L'esperimento di Afshar (Prefazione a cura del Prof. Luigi M.Caligiuri) -

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Aracne Editrice S.r.l., via R. Garofalo, 133/A-B, 00173 Roma “L’Esperimento di Afshar. Verso un nuovo approccio al principio di complementarità” (di Fausto Intilla) Prefazione a cura del Prof. Luigi Maxmilian Caligiuri (Docente di fisica e ricercatore presso il Wessex Institute of Technology, UK) _____________________________________ Il grande Richard P. Feynman, scherzando, era solito dire: “Se credete di aver capito la teoria dei quanti, vuol dire che non l'avete capita “, mentre Erwin Schrödinger, uno dei suoi padri fondatori, affermava: “Non mi piace, e mi spiace di averci avuto a che fare”. Tali affermazioni, al di la dell’evidente umorismo, celano un reale e profondo senso di disagio e di difficoltà agli stessi fisici che l’hanno elaborata partendo dai modelli della fisica quantistica, la quale, oltre a fornire previsioni spesso sconcertanti e lontanissime dal senso comune e dall’intuizione, rimane ad oggi, sostanzialmente, oscura nei suoi aspetti più fondamentali e nei suoi postulati. Tuttavia, in maniera direttamente proporzionale alla difficoltà di una sua univoca interpretazione, essa è stata ed è in grado di fornire una descrizione della realtà atomica e subatomica incredibilmente attendibile, rendendo conto di una miriade di fenomeni, altrimenti inspiegabili nell’ambito della fisica pre-quantistica (a tal punto che, quasi sicuramente, non sarebbe stata presa assolutamente in seria considerazione, se i risultati sperimentali non avessero lasciato altra scelta). La fisica quantistica, fornisce infatti una visione della realtà completamente diversa da quella offerta dalla fisica classica e, nonostante essa venga usata costantemente per costruire teorie, interpretare risultati e fornire previsioni, non siamo assolutamente sicuri di cosa essa sia veramente. La meccanica quantistica ha rappresentato e rappresenta un poderoso “strumento di calcolo” (emblematica è, a tal proposito, la frase erroneamente attribuita a Feynman, coniata da David Mermin: “zitto e calcola!”), utilizzato in maniera sostanzialmente pragmatica, relegando spesso in secondo piano o ignorando (adottando dunque quella che secondo Sean Carroll, è semplicemente “la vecchia strategia della rimozione”), il problema di fondo del suo reale significato.

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Aracne Editrice S.r.l., via R. Garofalo, 133/A-B, 00173 Roma

“L’Esperimento di Afshar. Verso un nuovo

approccio al principio di complementarità” (di Fausto Intilla)

Prefazione a cura del Prof. Luigi Maxmilian Caligiuri (Docente di fisica e ricercatore presso il Wessex Institute of Technology, UK)

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Il grande Richard P. Feynman, scherzando, era solito dire: “Se credete di aver capito la teoria dei quanti, vuol dire che non l'avete capita “, mentre Erwin Schrödinger, uno dei suoi padri fondatori, affermava: “Non mi piace, e mi spiace di averci avuto a che fare”. Tali affermazioni, al di la dell’evidente umorismo, celano un reale e profondo senso di disagio e di difficoltà agli stessi fisici che l’hanno elaborata partendo dai modelli della fisica quantistica, la quale, oltre a fornire previsioni spesso sconcertanti e lontanissime dal senso comune e dall’intuizione, rimane ad oggi, sostanzialmente, oscura nei suoi aspetti più fondamentali e nei suoi postulati. Tuttavia, in maniera direttamente proporzionale alla difficoltà di una sua univoca interpretazione, essa è stata ed è in grado di fornire una descrizione della realtà atomica e subatomica incredibilmente attendibile, rendendo conto di una miriade di fenomeni, altrimenti inspiegabili nell’ambito della fisica pre-quantistica (a tal punto che, quasi sicuramente, non sarebbe stata presa assolutamente in seria considerazione, se i risultati sperimentali non avessero lasciato altra scelta). La fisica quantistica, fornisce infatti una visione della realtà completamente diversa da quella offerta dalla fisica classica e, nonostante essa venga usata costantemente per costruire teorie, interpretare risultati e fornire previsioni, non siamo assolutamente sicuri di cosa essa sia veramente. La meccanica quantistica ha rappresentato e rappresenta un poderoso “strumento di calcolo” (emblematica è, a tal proposito, la frase erroneamente attribuita a Feynman, coniata da David Mermin: “zitto e calcola!”), utilizzato in maniera sostanzialmente pragmatica, relegando spesso in secondo piano o ignorando (adottando dunque quella che secondo Sean Carroll, è semplicemente “la vecchia strategia della rimozione”), il problema di fondo del suo reale significato.

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Diversamente dalla fisica classica, la cui “interpretazione” risulta del tutto univoca, la meccanica quantistica è caratterizzata, oggi, da diverse possibili interpretazioni inerenti ai suoi presupposti, metodi e risultati. Il problema centrale alla base di tale molteplicità di chiavi interpretative, risiede fondamentalmente nel cosiddetto “problema della misura”. Questo attiene alla constatazione che (diversamente dalla fisica classica, nella quale è possibile misurare con una precisione virtualmente grande a piacere, il valore di qualsiasi grandezza fisica), la fisica quantistica pone un limite intrinseco (indipendente dalla tecnica di misura e dal tipo di apparato sperimentale utilizzato), alla possibilità di misurare con precisione una data grandezza fisica senza interferire, in maniera distruttiva, con il sistema fisico stesso. Una delle conseguenze più importanti del problema della misura, riguarda le caratteristiche di irreversibilità che la meccanica quantistica sembra associare al processo di misura stesso; apparendo quindi in contrasto con il carattere reversibile di tutte le leggi fondamentali della fisica oggi note. In questo senso, esso risulta indissolubilmente legato ad un altro problema fondamentale della fisica: quello della “freccia del tempo”1. Il problema della misura, è stato magistralmente descritto da Erwin Schrödinger per mezzo del famoso paradosso del “gatto di Schrödinger”. In estrema sintesi, la questione riguarda la differenza fondamentale che la meccanica quantistica pone, tra ciò che potremmo definire come “conoscenza incompleta” di un sistema fisico (legata alla nostra ignoranza o limite di misurazione sul sistema considerato) e la “indeterminazione quantistica intrinseca” (legata alle limitazioni quantistiche connesse alla conoscenza del sistema). Ciò è dovuto al modo in cui, in fisica quantistica, viene definito lo stato di un sistema fisico, o più correttamente, il suo spazio degli stati, attraverso un oggetto matematico chiamato funzione d’onda; che non fornisce, diversamente dalla fisica classica, la posizione dei componenti del sistema, ma la probabilità che questi occupino, in un dato istante, una certa posizione nello spazio. Se un sistema quantistico può trovarsi in più stati differenti, esso si trova, in generale, in un istante generico, in nessuno dei suoi stati. In questo senso non è definibile un “luogo” ben preciso in cui un sistema si trovi ad esistere, poiché esso infatti può ritrovarsi, con probabilità non nulla, in qualsiasi punto dello spazio in un istante definito: esso cioè si trova, in uno stato che è caratterizzato da una sovrapposizione di tutti i suoi stati quantistici possibili. Ciò che sappiamo con certezza, è solo che il sistema è descritto da una sua precisa funzione d’onda che, d’altra parte, non possiamo né vedere e neppure misurare, in quanto essa non ci fornisce il

1 L.M. Caligiuri. Il tempo: realtà o illusione ?. Scienza e Conoscenza. n. 43, febbraio 2013,pagg. 56-63.

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valore di una grandezza fisica associata al sistema, ma soltanto un’informazione probabilistica relativa a tale grandezza. È come dire, riferendoci alle posizioni occupate da un sistema quantistico all’interno di una stanza, che ciò che possiamo conoscere, al variare del tempo, non è la posizione del sistema in ogni punto della stanza, ma la probabilità che esso si trovi nei diversi punti della stanza, data dal modulo al quadrato dell’ampiezza della funzione d’onda complessa. In questo senso la funzione d’onda si comporta effettivamente come un’onda (che assume valori e si “propaga” in ogni punto dello spazio e del tempo e che è soggetta ai fenomeni tipici delle onde), che tuttavia non trasporta energia o materia, ma pura informazione. Ma quale ruolo ha, allora, il processo di misurazione sul comportamento della funzione d’onda? Ebbene è proprio qui che la meccanica quantistica manifesta, in tutta la sua forza, la sua sostanziale differenza rispetto alla fisica classica. Il ruolo essenziale è svolto infatti dall’osservatore (o meglio, dell’osservazione) sull’evoluzione del sistema. Semplicisticamente parlando, se un sistema fisico quantistico può evolversi secondo due alternative esclusive, esse sono in generale equiprobabili finché non interviene l’osservazione di quali delle due possibilità il sistema ha effettivamente sperimentato. Un sistema quantistico, che si evolve dunque senza essere “osservato”, manifesta una distribuzione casuale rispetto all’occorrenza dell’una o dell’altra delle alternative possibili; mentre in un sistema “osservato”, il risultato finale cambia drasticamente. Ciò che accade è dovuto al fenomeno dell’interferenza tra le funzioni d’onda quantistiche dei due stati possibili che, come onde, si sovrappongono dando origine alle tipiche figure di interferenza proprie delle onde classiche. Ciò determina, in funzione del tipo di osservazione, la possibilità di differenti risultati completamente differenti dal caso “imperturbato”; da ciò è possibile dedurre che, se un sistema non viene osservato, esso si comporta in modo completamente diverso rispetto al caso in cui esso venga osservato. Ma cosa significa “osservare”? Questo è il punto centrale del problema della misurazione e dalla sua risoluzione, dipende la comprensione di cosa sia realmente la fisica quantistica; ma è proprio a questo punto che le sue diverse possibili interpretazioni si differenziano (talune divergendo sostanzialmente tra loro). L’interpretazione di Copenaghen, che ha dominato fino al passato recente il panorama della scienza “ufficiale” ed “ortodossa”, spiega il risultato della misurazione in termini di collasso della funzione d’onda (che rappresenta uno degli aspetti maggiormente problematici di tutta la fisica quantistica). Nel processo di collasso, la funzione d’onda si trasforma ex abrupto e discontinuamente, in seguito alla misurazione, in una funzione d’onda completamente differente, corrispondente al 100 % di probabilità dell’esito effettivamente riscontrato (annullando la probabilità di qualsiasi altro risultato). Ecco così “spiegato”, in modo piuttosto semplice, un punto assai

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misterioso; ovvero l’assenza d’interferenza, in seguito all’osservazione. Purtroppo, al di la dell’apparente semplicità, tale “interpretazione”, implica diverse e profonde problematiche ancora irrisolte. Infatti, se per un verso questa interpretazione della realtà, spiega bene i dati sperimentali (assegnando la giusta probabilità ai risultati della misurazione della grandezza in esame), dall’altro non fornisce alcuna spiegazione sull’origine del collasso stesso e di cosa sia in realtà una “osservazione”. L’osservazione presuppone necessariamente la presenza di un soggetto cosciente? E cosa è la coscienza? È forse essa stessa assimilabile al collasso di una funzione d’onda ed ha un ruolo cruciale nelle leggi fondamentali della fisica? Il collasso avviene “istantaneamente” o in maniera graduale? Sono tutte domande fondamentali alle quali l’interpretazione di Copenaghen non è in grado di rispondere. Ma uno degli aspetti più critici di tale interpretazione è senza dubbio l’irreversibilità a cui esso sottintende. Le regole che “gestiscono” il collasso sono infatti fondamentalmente due:

a) Se non si eseguono osservazioni, la funzione d’onda di un sistema evolve in maniera continua e deterministica, secondo l’equazione di Schrödinger (analoga all’equazione di Newton per i sistemi classici). L’informazione sul sistema si conserva nel tempo e l’evoluzione del sistema stesso, risulta essere reversibile.

b) L’osservazione determina il collasso della funzione d’onda in una nuova e diversa funzione, in maniera imprevedibile. In tale processo l’informazione non viene conservata e l’evoluzione del sistema risulta essere irreversibile (non c’è corrispondenza biunivoca tra la funzione d’onda post-collasso e quella ante-collasso).

Il processo di misurazione introduce quindi un elemento di natura casuale, oseremo dire “soggettivo”, nell’evoluzione di un sistema fisico (che si traduce in una “impredicibilità deterministica” dell’esito della misurazione), che a sua volta ne determina il carattere irreversibile. Lungo una simile evoluzione, si fissa una ben precisa freccia del tempo, che tuttavia pone anch’essa un ulteriore problema interpretativo (dal momento che questa non sembra associata alle leggi fisiche fondamentali, quanto piuttosto alle caratteristiche evolutive statistiche dei sistemi complessi)2. La maggior parte dei fisici accetta passivamente tale situazione, senza preoccuparsi dei profondi risvolti che tale concezione determina sull’interpretazione della realtà; mentre una minoranza “illuminata”, fortunatamente, interrogandosi sui fondamenti della meccanica quantistica,

2 Per una rassegna. L.M. Caligiuri, http://www.scienzaeconoscenza.it/articolo/la-freccia-del-tempo-prima-parte.php

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considera tale approccio insufficiente (seppur assolutamente “utile” a fini sperimentali). Uno dei punti più controversi dell’interpretazione di Copenaghen, è rappresentato dalla netta distinzione tra un sistema quantistico e un osservatore fondamentalmente classico che interagisce con il sistema, determinando il collasso della funzione d’onda. Tale dualismo tra sistema quantistico osservato ed osservatore classico, ha il suo contraltare sperimentale nel fondamentale ontologico dualismo introdotto dalla meccanica quantistica, tra comportamento ondulatorio e comportamento corpuscolare della materia, evidenziato negli esperimenti di diffrazione (il cui prototipo è rappresentato dall’esperimento della doppia fenditura, nelle sue diverse varianti realizzative). Ma è proprio così? Esiste qualche evidenza sperimentale del contrario? L’esperimento di Afshar, oggetto dell’omonimo saggio di Fausto Intilla, rappresenta un elemento di rottura nello scenario di interpretazione ortodosso di Copenaghen, proponendo la possibilità che gli aspetti di natura ondulatoria e corpuscolare dei sistemi quantistici, lungi dall’escludersi a vicenda (principio di complementarità), manifestandosi in maniera esclusiva nei risultati degli esperimenti a seconda di come questi vengono condotti, potrebbero essere rivelati contemporaneamente nel medesimo esperimento. La possibilità di intervenire nella misurazione, senza alterare lo stato di “super-posizione coerente” (anche in presenza di informazione precisa sullo stato quantistico del sistema, ovvero di informazione di tipo “which-way”), rappresenterebbe la dimostrazione sperimentale della negazione del collasso della funzione d’onda; mettendo così in profonda crisi l’impostazione della meccanica quantistica della scuola di Bohr. È forse superfluo sottolineare che l’esperimento in questione, condotto per la prima volta nel 2001 dal fisico iraniano-americano Shahriar Afshar presso l’IRIMS di Boston, suscitò fin da subito reazioni contrastanti, dividendo la comunità scientifica in detrattori e sostenitori dell’interpretazione dei risultati sperimentali dell’esperimento; i quali, con motivazioni più o meno valide (egregiamente sintetizzate nel saggio di Intilla), intendevano fornire rispettivamente elementi critici o a supporto dei risultati di Afshar. Per la verità i detrattori, in molti casi spinti più dal timore della messa in discussione dello proprio status quo accademico che da un autentico spirito di ricerca di comprensione e verità, bollarono sostanzialmente l’esperimento come un “flop”, dichiarandone false le conclusioni, mentre numerosi emeriti scienziati, aperti al confronto e alla messa in discussione di un’ortodossia palesemente problematica e necessitante di ulteriore comprensione ed approfondimento, trovarono molto interessante quanto sostenuto dal fisico iraniano, utilizzando i suoi risultati come spunto per lo svolgimento di ulteriori ricerche. Del resto, segni importanti dell’insufficienza dell’interpretazione di Copenaghen si erano già manifestati con largo anticipo molti anni prima

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dell’esperimento di Afshar, costituendo i presupposti delle interpretazioni alternative a quella di Bohr. Interpretazioni principalmente riassunte nella cosiddetta (…tra l’altro interessantissima) “Teoria a Molti Mondi” (MWI) della meccanica quantistica (che nega il collasso della funzione d’onda, inglobando la funzione d’onda dell’osservatore in un’unica funzione d’onda che comprende osservato ed osservatore). Oppure, per citarne solo un’altra tra le più famose, nell’altrettanto affascinante “Interpretazione Transazionale della Meccanica Quantistica” (TIQM), espressa in termini di sovrapposizione di onde di probabilità ritardate (provenienti dal passato) ed anticipate (provenienti dal futuro!). Interpretazioni entrambe foriere di profonde implicazioni, non solo in riferimento alla ricerca della tanto agognata “Teoria del Tutto”, ma anche, ad esempio, ad uno dei misteri più intriganti ed affascinanti di tutti i tempi: quello rappresentato dall’eventuale (…nonché reale) possibilità di “viaggiare” nel tempo! Senza rivelare qui ulteriori dettagli sul tema del saggio che segue, evitando così di privare il lettore del piacere di acquisirli dalla lettura dell’ottimo saggio di Intilla (che, con costante rigore scientifico ma con linguaggio al contempo accessibile, ne spiega i presupposti, i metodi ed i risultati), mi limiterò ad osservare che (a prescindere dal verdetto finale sul risultato dell’esperimento, a tutt’oggi ancora dubbio), grande merito del volume è indubbiamente da rintracciarsi nella riproposizione urgente e forte (attraverso un argomento originale, interessante e forse a molti poco noto), del tema dell’insufficienza dell’interpretazione ortodossa della meccanica quantistica e della necessità dunque di rivederne profondamente i presupposti (possibilmente alla luce di teorie più ampie, all’interno delle quali potranno essere chiariti definitivamente i punti oscuri che oggi la caratterizzano). Un saggio dunque altamente stimolante ed interessante che ripropone all’attenzione della comunità scientifica, ma anche del comune lettore curioso e smaliziato, una riflessione profonda e necessaria sui fondamenti della fisica contemporanea. Cosenza, addì 14 marzo 2013

Luigi Maxmilian Caligiuri