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LE RIFLESSIONI DI GIOIA
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PREMESSA
Desidero innanzitutto ringraziare tutti voi che,
generosamente, perdete il vostro tempo con i pensie ri di una
semplice campagnola come me. Colgo inoltre l’occasi one per
dirvi che, al fine di rendere più piacevole la vost ra
lettura, ho fatto correggere questo mio scritto all a
professoressa Plotini, la più istruita fra le comar i del
comitato parrocchiale. E’ dunque merito suo se nei miei
racconti troverete espressioni corrette, assenza (s periamo!)
di errori grammaticali, nonché, talvolta, parole do tte.
Gioia
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1. Gli eroi non hanno un buon odore (Flaubert).
Io sono una donna fortunata. I miei genitori doveva no
averlo intuito che la mia vita sarebbe stata piena di belle
sorprese, altrimenti, come lo spieghereste voi il m io nome
di battesimo, Gioia? Sono convinta che mi piacesse molto
già nuotare nella placenta, quando ancora ero in at tesa di
uscire fuori ed arrivare qui, in questo bel mondo d ove
viviamo tutti: credetemi, io, su questa Terra, ho t rovato
solo brave persone, gente che mi vuole un gran bene .
Oggi, ad esempio, è stato il mio compleanno e, con mio
marito, abbiamo fatto una grande festa fuori, all’a perto,
nel cortile della nostra casa: noi abitiamo in aper ta
campagna e ci divertiamo molto ad organizzare delle mangiate
memorabili con gli amici. Pensate, infatti, che io ed
Alceste, il mio adorato coniuge, iniziamo a prepara rci per
l’accoglienza addirittura una settimana prima del g iorno
fissato per la grande abbuffata: certo, sono sette giorni
frenetici quelli, ma poi, una volta a tavola, si è ben
ricompensati. Per sistemare tutto al meglio, ogni v olta, io
e mio marito ci dividiamo i compiti: a lui –poverin o!- tocca
sempre andare a sparare al maiale. Non sapete che p ena provo
quando lo vedo partire con il fucile in spalla, sce ndere il
viottolo che parte dal retro della nostra casa, e v arcare il
cancello della porcilaia. E’ un animo sensibile il mio
Alceste, e si vede ad occhio nudo quanto gli dispia ce per la
povera bestia moritura: certo, vorrei vedere voi! N on è
bello fare la parte del boia, prendendosi, oltretut to, anche
le occhiatacce degli altri animali che abbiamo spar si qui
nella cascina, fra il cortile e il terreno. Eh sì, perché,
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dai e dai, tutti, ma proprio tutti, i conigli, i pa voni,
persino le galline, hanno capito che Alceste è il k iller
della fattoria, incaricato di far fuori, di volta i n volta,
la bestiola che ci serve per il pranzo o per la cen a.
Capirete che, dopo aver assolto a questo terribile dovere,
il mio santo marito non è più in grado di fare null a, anzi,
gli serve una intera settimana per riprendersi dall o shock,
ed il buonumore gli torna giusto giusto in prossimi tà della
festa che abbiamo organizzato. Dunque, mentre il mi o amore
si riposa, io sbrigo tutte le altre faccende necess arie,
ovvero pulisco da cima a fondo la casa, ramazzo il cortile,
che è sempre ricco di piume di pavone, faccio il ba gno a
Bingo e Bongo, due dei nostri cani con lo speciale permesso
di entrare in casa, e poi, ancora, vado a fare la s pesa e
cucino per due giorni di fila.
Faccio tutto da sola, poiché penso sempre che, esse ndo io in
buona salute, con braccia forti e vigorose, non deb bo
lamentarmi per la mancanza di aiuti da parte degli altri:
come dice il parroco del paese, il Signore nella su a
saggezza ci affida solo compiti che siamo in grado di
compiere, quindi è giusto che io sbrighi queste inc ombenze
senza alcuna assistenza. Così vuole il Signore. Sia fatta la
volontà di Dio.
Ma ho perso il filo, scusatemi, vi stavo parlando d ella
magnifica festa di compleanno che Alceste mi ha org anizzato
oggi. Dunque, vi dicevo che sono venuti al mio pran zo tutti
i nostri amici… cioè, mio marito dice sempre “nostr i” ma io,
in verità, non le conosco tanto bene queste persone che
arrivano ogni volta, anche perché sono tutti uomini e,
quando li vedo, non riesco proprio a discuterci, an zi, sono
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incapace di trovare argomenti di conversazione comu ni, tipo
la cucina o il bucato. Questi amici dei quali vi pa rlo,
infatti, discutono solo ed unicamente di caccia all a lepre e
di armi da fuoco adatte per ammazzare una lepre, co sì,
essendo io impreparata sull’argomento, me ne sto zi tta e
penso solo a riempire i piatti… tanto per fortuna c ’è
Alceste che parla con tutti! Sì, perché il mio dolc e coniuge
è un cacciatore anche lui, ed ogni domenica mattina , alle
cinque precise, parte in cerca di prede: io non amo tanto
questo hobby, mi fanno paura le armi, però mi piace tanto
vedere Alceste che all’alba si prepara per la missi one.
Pensate, lui mi sveglia appositamente quando il sol e non ha
nemmeno cominciato a spuntare, così posso prepararg li il
caffè, lo zuppone di latte e pane, ed aiutarlo ad i ndossare
la tuta mimetica da ranger: dopo, però, lui mi dice sempre
di tornare a letto e di riprendere sonno… è così pr emuroso
mio marito!
Ma vi stavo raccontando della mia festa di complean no:
dunque, la cosa più bella dell’intera giornata è st ata
ricevere il regalo che mi ha fatto Alceste. Un libr o! Beh,
in realtà è un po’ piccolo, quindi diciamo un libri cino:
sulla copertina c’è scritto “Il Libro degli Aforism i” e
nell’introduzione si dice che, leggendo per molti g iorni di
seguito queste frasi, una ogni mattina, e rifletten doci poi
su fino a sera, “…la vostra mente ne trarrà giovame nto e la
vostra anima nutrimento”.
Io ho cercato sul dizionario che vuol dire aforisma ed ho
trovato questa definizione: “breve frase che racchi ude in sé
un sapere filosofico o morale”. Stamattina, allora, dopo che
Alceste se n’è andato al lavoro, ho letto il primo aforisma
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scritto nel libro. E’ questo: gli eroi non hanno un buon
odore. Beh, non ci avevo mai pensato ma, in effetti ,
ragionandoci un po’... prendete Alceste, il mio gue rriero:
quando rientra dal lavoro è così sporco e sudato ch e neanche
Pluto (il nostro cane più pulcioso) gli si avvicina . Dunque
è esatto quello che dice l’aforisma. Incredibile! C he dono
utile questo libricino! Io, che per dirvela tutta, tanto
colta non sono, leggendolo mi potrò istruire, potrò
riflettere su tante cose: sì, decisamente questo è il regalo
più bello che io abbia mai ricevuto. E pensate che Alceste
non l’ha neanche dovuto comprare, poiché l’ha trova to sotto
un albero mentre faceva i suoi bisogni!
Eh, ve lo dicevo prima, io sono proprio una donna f ortunata.
2. L’opera umana più bella è di essere utile al pro ssimo
(Sofocle).
Più leggo questi aforismi, più mi convinco che colo ro che li
hanno scritti dovevano essere dei veri e propri gen i: anche
questo Sofocle, ad esempio, dice una cosa ben giust a.
Stamattina, mentre ero intenta a fare colazione sed uta,
ancora tutta assonnata, al tavolo della cucina, mi sono
messa a riflettere sulla sensazione che provo quand o aiuto
qualcuno e… beh, in effetti mi sento bene quando lo faccio,
mi sembra di impiegare nel modo migliore il tempo c he ho a
disposizione. Che poi, questa del fornire aiuto è u na cosa
che mi capita spesso, dato che, purtroppo, mia sore lla
Diletta ne ha sempre bisogno: poverina, sembra esse re stata
colpita da una maledizione. Sì, potrei dire che tan to sono
fortunata io nella vita, quanto è sciaguratamente i ellata
mia sorella. Tutta la sua esistenza è stata una seq uela di
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disgrazie, una dietro l’altra, a cominciare da quan do
eravamo piccole. Pensate, infatti, che noi due figl ie siamo
state da subito trattate in modo diverso dai nostri
genitori: per farvi un esempio, mentre io alla dome nica
rimanevo a casa ad aiutare la mamma nelle faccende
domestiche, Diletta, puntualmente, doveva andare in pullman
con il gruppo della parrocchia a visitare qualche l ocalità
vicina alla nostra zona! Così, alla sera lei tornav a sempre
distrutta, poiché aveva dovuto camminare molto e ve dere
tanti posti. Certo, ad essere proprio sincera, anch e a me
sarebbe piaciuto molto andare alla domenica con la comitiva
di don Carletto ma, come diceva mia madre, quelle n on erano
cose per me, e poi non vedevo quanto era stanca la mia
sorellina al rientro da quelle gite? Io non avrei p otuto
reggere tutta quella fatica e, anzi, mi dovevo cons iderare
fortunata per il fatto di rimanere a casa con la mi a
famiglia nel giorno di festa. Eh, la mia mamma era proprio
una donna saggia ed aveva ragione, sapete, a dirmi così: in
fondo, io alla domenica potevo stare con i nostri c ani,
giocarci un po’ mentre li lavavo, spazzolavo e spul ciavo, ed
inoltre potevo respirare l’aria buona di campagna m entre
rassettavo l’aia, sentendo, in primavera, il profum o dei
fiori appena sbocciati, mentre Diletta, invece, era
costretta a respirare lo smog di qualche cittadina turistica
qui nei dintorni. Povera la mia sorellina! Ma, aspe ttate, vi
stavo parlando dell’aiuto che le do sempre mi sembr a…
allora, dicevo che a Diletta capitano quasi tutte l e
settimane inconvenienti spiacevoli, e di conseguenz a io, per
quanto posso, mi sforzo di darle una mano. Prendete , ad
esempio, quanto è accaduto qualche giorno fa: ci er avamo
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messe d’accordo affinché andasse lei dal nostro bab bo, che è
rimasto vedovo qualche anno addietro, per fare una bella
chiacchierata, così, tanto per non farlo sentire so lo… anche
se, in realtà, andando io tutte le sere a trovarlo, non
dovrebbe sentire molto la mancanza dei familiari… a d ogni
modo, il giorno del quale vi parlo Diletta mi aveva chiamata
informandomi del fatto che: “in seguito ad una sedu ta dal
mio psicoterapeuta cittadino, ho stoicamente preso la
decisione di recarmi da papà, per cercare di vincer e il mio
complesso edipico”. Ora, io non ci avevo capito mol to del
suo discorso, ma mi era chiaro che sarebbe andata l ei dal
babbo e, dunque, io mi ero tranquillamente messa a
rammendare i calzini di Alceste. Ma, dopo qualche m inuto,
Diletta mi ha telefonato di nuovo, dicendomi che c’ era stato
un cambiamento nella programmazione di “Rete Celest e, la
rete della donna campestre” e che, in seguito a ciò , la sua
soap preferita, “Donna di paese, donna senza pretes e”, era
stata anticipata, motivo per cui lei non poteva usc ire di
casa per recarsi dal babbo, altrimenti avrebbe pers o i
primi, fondamentali, dieci minuti della telenovela. Capite
ora ciò che intendevo dire? Iella su iella! Per una volta
che la mia sorellina si era finalmente decisa a vin cere
questi suoi problemi d’Edipo che la devastano e non la fanno
vivere tranquilla, le va a capitare questo inconven iente!
Beh, io comunque continuerò a pregare per lei quand o vado in
chiesa, che risolva presto questa situazione di mal essere
diffuso involgente la sua sfera primitiva sensorial e, come
dice bene Diletta, che è una donna istruita. Che po i, anche
mia sorella prega, anzi, è profondamente devota: pe nsate che
almeno una volta all’anno mi lascia i suoi quattro bambini
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per andare in pellegrinaggio nella terra di qualche santo.
L’anno scorso, per esempio, è stata a visitare la s alma di
Santo Domingo, mentre l’anno prima era andata a dir e il
rosario sulla tomba di Santa Fe. Eh sì, Diletta è d avvero
molto religiosa!
3. Le idee migliori sono proprietà di tutti (Seneca ).
Come faccio da due giorni, anche oggi ho dato un’oc chiata al
mio preziosissimo libro, alla ricerca di un’altra b ella
frase sulla quale riflettere: ne ho trovata una che , non ci
crederete, è proprio adatta per raccontarvi quello che è
successo qualche mese fa a me e alle mie amiche del comitato
parrocchiale. Dunque, comincio dal dirvi che qualch e tempo
addietro ho avuto, tanto per cambiare, un’immensa f ortuna,
ovvero quella di poter partecipare a un concorso di cucina:
ciò che chiedevano gli organizzatori della gara era che
venissero inventati dei piatti diversi dal solito, più
fantasiosi di quelli che normalmente si preparano, ad
esempio combinando insieme ingredienti strani. Qual e premio
in palio per la cuoca che avesse tirato fuori la ri cetta più
originale c’era … tenetevi forte, un week-end a Par igi per
sole femmine! Quattro posti in un albergo molto cos toso, più
il biglietto aereo! Quando le mie amiche sono venut e a
dirmelo, quasi non ci credevo: mi avevano iscritta a quel
fantastico concorso! Sì, io me la cavo in cucina,
specialmente con i piatti di cacciagione, visti tut ti gli
animali morti che Alceste porta a casa alla domenic a, però
una gara a quel livello … ho pensato subito che non sarei
mai stata capace di inventarmi qualcosa di molto pa rticolare
da cucinare. Alla fine, però, con le altre comari d el
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comitato parrocchiale abbiamo avuto una trovata gen iale:
ciascuna di noi avrebbe pensato a un piatto insolit o da
proporre e poi ci saremmo confrontate, scegliendo q uindi
l’idea migliore con la quale presentarci al concors o.
Potete immaginare la mia ansia in quei giorni! Ho p rovato a
fare milioni di menù: pollo con marmellata, trota c on
cipolle e miele, cappone con l’uva passa, pasta con ricotta
e caffè, ciambellone con le carote e il sedano, ma nulla, mi
sembrava tutto troppo esagerato! In effetti, ora ch e ci
ripenso, queste sono ricette che vedo tutti i giorn i in
tivù, quindi qualcuno che mangia roba simile ci dev e pur
essere… ad ogni modo, i piatti di cui vi parlavo no n mi
convincevano per nulla ma, giusto quando stavo per
arrendermi e affidarmi all’ingegno delle mie amiche , ho
avuto l’illuminazione! Ma sì, -ho pensato- il conig lio alla
perpetua! Dovete infatti sapere che, all’età di ott o anni,
ho avuto una strana malattia, i cui sintomi erano l ingua
verde e chiazze viola sul viso: i miei genitori,
preoccupati, mi hanno allora amorevolmente affidato alle
cure della perpetua del fu parroco del paese. Mi ri cordo
ancora cosa disse la mia povera mamma al nostro sac erdote
quando mi consegnò a lui, “… e mi raccomando, don G igetto,
non ce la riportate finché non diventa presentabile ,
chiaro?”; e siccome io sono tornata normale dopo mo lti mesi,
ho passato tanto tempo con Santina, la perpetua del parroco,
tutte e due in cucina a rassettare e a cucinare. Ec co, è
stato allora che ho imparato questa ricetta del con iglio! E’
un piatto molto semplice, ma oltremodo originale, p oiché la
bestiola deve essere presentata in tavola intera e con le
zampine davanti unite, come se stesse pregando: poi , a
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tavola, prima di servire i commensali, si prende la paletta
di legno e si schizza per tre volte il coniglio con un
composto di olio e rosmarino, per benedire l’animal e.
Ma certo, che bella idea! Il coniglio alla perpetua ! Quando
mi è venuta in mente questa ricetta sono stata feli cissima,
poiché finalmente avevo l’idea giusta, e dunque non mi
restava altro da fare che proporla alle mie comari del
comitato.
Quando mi sono riunita con le altre, però, non so c ome, ma
la mia proposta non ha avuto successo: tutte hanno
cominciato a dire che dovevo essere impazzita, che dovevo
aver avuto una crisi, come hanno detto… sì, mistica ! Io,
ancora oggi, non sono riuscita a capire il motivo d i tanta
contrarietà, comunque, essendoci rimasta molto male , ho
detto alle amiche che mi volevo ritirare dalla gara e che
una di loro avrebbe potuto prendere il mio posto, p roponendo
la ricetta che riteneva più giusta.
E così è stato: io ho rinunciato al concorso di cuc ina e la
Bice Ciripicchio, la soprano del coro parrocchiale, ha
partecipato in mia sostituzione. Beh, posso dirvi u na cosa?
Tutto il dispiacere che avevo dentro quella sera in cui le
amiche hanno rifiutato la mia idea, si è improvvisa mente
tramutato in gioia quando ho saputo della vittoria della
Bice: pensate, ha vinto presentando proprio il mio piatto,
il coniglio alla perpetua! Lì per lì, quando ho let to la
notizia su “Il Gazzettino del contadino”, ho pensat o a un
errore, ma poi ho realizzato che, evidentemente, le mie
amiche dovevano aver valutato di nuovo la mia ricet ta,
considerandola buona. L’articolo sul giornale dicev a pure
che la Bice e le altre autrici dell’invenzione culi naria, la
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Doris Pappatani, la Patrizia Sbrecolini e la Giusep pina
Cabelloni, a quell’ora erano già sul volo per Parig i: certo,
la partenza era stata immediata e le mie amiche,
sicuramente, non avevano avuto il tempo di informar mi della
bella novità.
Per me, comunque, l’importante è che la mia idea si a stata
premiata. Che soddisfazione!
4. La meraviglia è figlia dell’ignoranza (G.B. Vico ).
Mi sembra di avervelo già accennato: io non sono un a donna
molto istruita. Non ho potuto studiare quanto avrei voluto,
o almeno quanto mia sorella Diletta, poiché, l’anno in cui
avrei dovuto frequentare la prima superiore, in cas a nostra
c’è stata la famosa protesta delle mucche. Sì, in p ratica
alla fine dell’estate la Bianchina e la Rosella, du e delle
nostre vacche più ricche di latte, decisero di punt o in
bianco di non farsi più mungere: la mia povera mamm a era
convinta che le bestie si fossero risentite per qua lche
frase di troppo, volata in quel periodo nella nostr a
fattoria a causa dell’arrivo, nella cascina dei nos tri
vicini, di Clarabella, la mucca appena eletta Miss Mammella.
Probabilmente, sosteneva la mamma, qualcuno di noi doveva
essere stato così insensibile da parlare in termini
entusiastici di quella miss Clarabella davanti alla nostre
mucche. La Rosella e la Bianchina, secondo la mamma , erano
molto suscettibili e dovevano aver preso la cosa su l
personale… che aveva quella vacca più di loro? Cosa faceva
uscire fuori? Oro liquido al posto del latte?
La situazione era diventata grave: le nostre bestie
protestavano da oltre una settimana, colpendo con l e pesanti
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code chiunque si avvicinasse a loro nel tentativo d i
mungerle, quando, all’improvviso, la mia geniale so rella
ebbe una trovata miracolosa. C’è da dire che Dilett a aveva
da poco iniziato a snobbare gli ambienti paesani: i n
particolare, il pomeriggio dopo la scuola si recava sempre
in città per partecipare alle sedute di uno strano circolo,
“per l’affermazione dell’io e l’estrinsecazione del la
femminilità repressa”, così almeno diceva lei.
Ecco, proprio durante una di quelle riunioni, avven uta
durante il periodo della rivolta animale nella nost ra
fattoria, la mia intelligente sorella sentì un disc orso che,
secondo lei, avrebbe potuto risolvere il problema c he ci
affliggeva. Il discorso in questione era il seguent e:
l’essere umano, e quindi, aveva poi convenuto la ma mma,
anche le mucche, può vivere bene solo se ha una for te dose
di autostima. Nessuno infatti, proseguiva questa te oria, può
ritenersi un elemento valido e utile per la società se non
se ne convince per primo lui stesso, facendo un lav oro
mentale di auto-convincimento della propria intelli genza,
bellezza, sapienza e generosità verso i suoi simili . Ora,
andava avanti il discorso, l’uomo, ma anche la best ia, aveva
dedotto poi la mia povera mamma, per raggiungere la giusta
dose di autostima non può usare che un mezzo, sicur o,
infallibile, ovvero la ripetizione ad alta voce dei propri
pregi. In questo modo chiunque, concludeva tale teo ria,
avrebbe rafforzato il proprio io, affermandolo cont ro le
difficoltà della vita. Questo era ciò che Diletta a veva
sentito a quella riunione del circolo giù in città: tornata
a casa la sera ne parlò con il babbo e la mamma, e
l’indomani tutti e tre vennero a dirmi la buona nuo va. Si
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era finalmente trovata la soluzione al problema del le
mucche! Però c’era un particolare, mi dissero subit o dopo:
giacché la Bianchina e la Rosella erano animali e, dunque,
non parlavano, non avrebbero mai potuto ripetere a se stesse
le frasi previste dalla teoria di Diletta. Per rime diare a
questo problema, mamma, babbo e sorella avevano pen sato che
io avrei potuto benissimo rimanere a casa quell’ann o,
anziché cominciare la scuola, e passare la mattina nella
stalla con le nostre mucche ripetendo ad alta voce quanto
prescritto per la loro malattia dell’autostima, cio è queste
due frasi “io, Bianchina, del latte sono la regina” e “io,
Rosella, della fattoria sono la più bella”. E fu co sì che,
da allora, io iniziai a non andare più a scuola com e gli
altri ragazzini della mia età…
Ma perché vi stavo raccontando questo? Ah sì, per v ia della
frase che ho letto stamattina sul mio libro degli a forismi:
“la meraviglia è figlia dell’ignoranza”! Ecco, come vi
spiegavo, per via del fatto delle mucche io non son o molto
colta, ed ora ho capito, grazie a questa frase, che deve
essere questo il motivo per cui molto spesso resto a bocca
aperta nel sentire certe cose! Prendete l’altro gio rno, ad
esempio: mentre stavo facendo il bucato, ho scopert o un
biglietto nelle tasche della tuta mimetica di Alces te,
quella che lui usa per andare a caccia. Era un mess aggio
scritto a penna e diceva così: “Ci vediamo domenica prossima
nel solito anfratto dentro al bosco. Aspettami, mio
leprotto.” Ora, lì per lì non ho capito tanto bene, però,
per fortuna, alla sera mio marito mi ha spiegato tu tto: ma,
lo sapevate voi che cos’è un “rito propiziatorio”? Beh, in
pratica il mio Alceste, per far sì che la caccia se ttimanale
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sia buona, ogni lunedì scrive una tenera frase alla sua
preda, poi la ripete ad alta voce per cinque giorni davanti
allo specchio del bagno, ed infine, quando arriva l a
domenica, lui parte alla volta del bosco, ormai con vinto che
la bestiola sia proprio lì che lo aspetta.
Che dirvi? Io proprio non avevo mai sentito parlare di
questo “rito propiziatorio”! Dunque è vero, ci si m eraviglia
sempre quando si è ignoranti come me!
5. Chi non viaggia non conosce il valore degli uomi ni.
(Proverbio Moresco).
Il giorno più bello della mia vita è stato, senza d ubbio,
quello in cui ho sposato il mio Alceste.
La mia povera mamma aveva tenuto da parte per me un
bellissimo abito da indossare il giorno delle nozze .
Pensate, l’aveva cucito lei personalmente quando io ero
piccola, usando la stoffa avanzata al tappezziere c he aveva
rifoderato il divano giallo di casa nostra: eh sì, sembravo
veramente una bambola quella mattina, anzi, vi dirò che ero
proprio tale e quale alla mia Primula, la bambina d i
porcellana che tengo in salone, sulla mensola sopra al
caminetto, accanto alla gondola che mi ha portato D iletta
da Venezia.
La mia cerimonia nuziale si è svolta nella chiesa
dell’Asinello, chiamata così perché si trova in cim a ad una
ripidissima salita, quasi impossibile da percorrere se non
si è in groppa a un ciuco. Beh, a dire il vero gli
invitati, il giorno del nostro matrimonio, avevano adottato
uno stratagemma molto ingegnoso per raggiungere
l’obiettivo: ed è stato per via di questa loro argu zia che
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io, arrivata con il mio babbo davanti alla chiesa, per
entrare ho dovuto scavalcare decine e decine di sca rponi da
montagna accatastati proprio di fronte all’entrata della
parrocchia. E non vi dico i fiori meravigliosi che c’erano
intorno all’altare e lungo le navate laterali! Graz ie,
infatti, ad un gentile pensiero della perpetua di d on
Carletto, la chiesa era piena di grandi composizion i
floreali a forma di corone, rimaste lì da un funera le
celebrato il giorno prima.
Terminata la messa, poi, siamo andati tutti a mangi are nel
ristorante scelto da Alceste: mio marito, infatti, aveva
dichiarato già da mesi di voler scegliere lui il lu ogo ove
si sarebbe svolto il nostro pranzo di nozze. Io, ad essere
sincera, mi aspettavo che si andasse al “Roseto fio rito”,
oppure al “Giardino incantato”, due posti molto rin omati
nella nostra zona: ma, in fondo, anche da “Peppone il re
della cacciagione” non ci siamo trovati male. Gli u nici
inconvenienti, infatti, sono stati: 1) l’odore di c oniglio
in salmì che ha impregnato totalmente il mio bell’a bito,
senza peraltro venire più via, tant’è che ancora og gi Bingo
e Bongo gironzolano attorno al baule dell’ingresso dove
tengo il mio vestito, pensando che dentro ci sia un pasto
succulento; 2) la macchia di sugo con la quale Alce ste si è
macchiato il suo prezioso completo da cerimonia (e dire che
si era annodato intorno al collo un’intera tovaglia a
quadrettoni per non sporcarsi!); 3) i cori intonati durante
tutto il pranzo da un gruppo di motociclisti che st avano
mangiando nella sala accanto alla nostra. Sapete,
quest’ultimo problema, forse, avrebbe potuto essere evitato
se il ristorante di Peppone non si fosse trovato pr oprio
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lungo la strada statale… ma ad ogni modo non posso certo
lamentarmi, lì ci siamo trovati bene: il cibo, anch e se un
po’ pesante, era veramente gustoso.
Ma, parlando del mio matrimonio, il ricordo più bel lo che
ho, e del quale vi voglio narrare, è quello del via ggio di
nozze: la sera stessa dello sposalizio, infatti, io ed
Alceste siamo partiti in aereo alla volta del deser to. Ora,
non saprei dirvi con precisione in quale paese ed i n quale
continente siamo andati, però, una volta giunti a
destinazione, ci siamo ritrovati in un bellissimo a lbergo
in mezzo alle dune di sabbia. Io, quando il mio amo re mi
aveva annunciato che saremmo andati nel deserto, av evo
subito pensato, fra me e me, alle illustrazioni del mio
sussidiario delle scuole elementari: le piramidi, i
faraoni, le mummie, e via discorrendo… ed invece, s apete
una cosa strana? Nel posto in cui siamo andati noi, tutte
queste cose non c’erano! No, in effetti io non ho v isto
nulla di quello che mi aspettavo, però in compenso ho
passato sette magnifici giorni nella piscina dell’h otel, e
Alceste, dal canto suo, ha potuto mangiare quotidia namente
il suo piatto preferito, ovvero gli spaghetti al ra gù,
preparati appositamente per lui dalla cuoca dell’al bergo.
Un giorno, poi, è successo un fatto curioso: un sig nore con
indosso una tunica bianca e un fazzoletto in testa è andato
dal mio adorato marito, il quale era molto impegnat o con un
solitario, e gli ha proposto di uscire un attimo fu ori
dall’hotel per vedere il suo cammello: Alceste, che è una
persona cortese, è andato e ha osservato l’animale. Ora, io
non ho mai saputo se quel bizzarro episodio c’entra sse
qualcosa, fatto sta che quella stessa sera, mentre eravamo
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a cena, il mio Alceste mi ha detto una cosa belliss ima,
ovvero: “Gioia, solo io so quanto tu vali veramente … di
certo più di quanto pensano gli altri!”.
Che dirvi? Dunque è proprio così come ho letto stam attina:
quando si viaggia si scopre il valore autentico del le
persone.
6. L’ansia è come una sedia a dondolo, sei sempre i n
movimento ma non avanzi di un passo (Anonimo).
Credo di non avervi ancora parlato dei miei parenti , a parte
quelli più stretti, ovvero i miei genitori e mia so rella
Diletta. Voglio quindi farvi sapere che la mia fami glia
comprende anche altre persone, poiché sia mio padre che mia
madre (che il Signore l’abbia in gloria), hanno avu to la
fortuna di crescere con dei fratelli e delle sorell e: per la
precisione, quindi, io ho quattro zie dalla parte d i mio
papà e tre zii dalla parte di mia mamma.
Le quattro sorelle di mio padre, zia Assunzione, zi a
Immacolata, zia Addolorata e zia Incoronata, sono t utte
zitelle: io, per dirvi come la penso, ho sempre cre duto che,
con quei nomi, le zie si sarebbero fatte suore, ed invece il
tempo è passato e loro non si sono maritate, né han no preso
i voti. Sono perciò rimaste signorine.
Zia Assunzione ha una piccola farmacia qui in paese e se la
cava bene nel suo lavoro, benché tutti dicano che p rima o
poi le persone smetteranno di comprare le medicine da lei,
per via dello sforzo che si deve fare ogni volta ne l mimare
alla zia i sintomi del malessere accusato. Sì, perc hé zia
Assunzione, purtroppo, non sente. Nulla. Neanche se avesse
un megafono puntato dentro all’orecchio riuscirebbe a
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percepire qualche suono: i clienti della farmacia s i sono
ormai abituati alle condizioni della zia, così, pri ma di
recarsi da lei, preparano tutti una piccola recita da farle
vedere, affinché lei possa comprendere bene il dolo re da
loro lamentato. Ad esempio, per dirvene una, chi ha un forte
mal di pancia di solito entra nel negozio della zia
tastandosi lo stomaco e contorcendosi come un’angui lla.
Ovviamente questo metodo della recitazione non è
infallibile… infatti è già capitato più volte che l a
Bettina, un’anziana comare che soffre di emicranie e si
massaggia continuamente le tempie, sia uscita dalla farmacia
di zia Assunzione con una “crema per il lifting del contorno
occhi”… ma tant’è! I suoi clienti continuano a reca rsi da
lei, dunque si vede proprio che qui in paese la zia è molto
stimata!
Anche zia Immacolata, zia Addolorata e zia Incorona ta (la
Santa Trinità le chiamano), hanno una piccola attiv ità
commerciale qui in paese: si tratta di una bottega di
orologi: il suo nome, esposto fuori, sull’insegna, è “Tempo
Biblico”. A me piace molto andare a trovare le zie e
perdermi fra tutti quei pendoli a cucù, sveglie a f orma di
pianoforte e orologi a muro a forma di pesce: evito , però,
di andare da loro in prossimità della mezza, perché , come
dicevano tutte le vecchiette della via al funerale del
povero Carmine, il vedovo debole di cuore che abita va vicino
al negozio delle zie, tanti squilli messi insieme p ossono
essere molto pericolosi.
Ecco, queste sono dunque le mie quattro zie, ovvero le
sorelle di mio padre.
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Ma, come vi dicevo prima, anche la buonanima della mia mamma
aveva compagnia, poiché in casa con lei c’erano ben tre
fratelli, cioè i miei zii Totuccio, Devoto e Orazio .
Zio Totuccio ancora oggi lavora il tabacco, o almen o in
famiglia crediamo tutti così: il fatto è che questo mio zio
ha sempre svolto il mestiere di contadino, alzandos i ogni dì
all’alba per recarsi nella piantagione, e rientrand o a casa
solo al calar delle tenebre, a fine giornata. Ora, non so se
voi conoscete i campi di tabacco: le piante sono mo lto alte
e la coltivazione è fitta, sicché è impossibile ved ere la
sagoma di qualcuno nascosto là in mezzo; e poiché z io
Totuccio vive solo, non essendosi mai sposato, ness uno lo
vede quando al mattino si reca nel campo, né quando , alla
sera, ne esce. Ad ogni modo, tutti noi si pensa che lo zio
sia sempre lì, in mezzo al tabacco.
Zio Devoto e zio Orazio, invece, non hanno mai svol to un
lavoro preciso: anche loro scapoli, hanno sempre am ato
andare in mezzo al bosco a raccogliere funghi, oppu re
recarsi giù al fiume a pescare trote. E proprio que sta loro
passione della pesca mi è tornata in mente oggi, me ntre
riflettevo sull’aforisma appena letto: quella frase ,
infatti, mi ha subito fatto ripensare alla domenica in cui,
con tutta la mia famiglia, sono andata a fare una
scampagnata giù al fiume. Gli zii, al tempo, avevan o una
piccola barchetta di legno ed io, il giorno del qua le vi
parlo, mentre i grandi preparavano le cose da mangi are, ero
salita sopra a questa imbarcazione: purtroppo, però , la fune
che univa la barchetta ad una grossa pietra posta s ul greto
del fiume non era legata bene, così io sono stata t rascinata
via dalla leggera corrente, andando ad incagliarmi fra due
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grosse rocce che sporgevano fuori dall’acqua, propr io nel
mezzo esatto del fiume. Beh, alla fine, per venire via da
lì, ho dovuto rimboccarmi le maniche: con una forza
sorprendente per una ragazzina di otto anni, ho rem ato per
circa un’ora, riuscendo infine a tornare, mezza mor ta però,
sulla sponda del fiume dove i miei familiari, accor tisi
subito della bravata che avevo fatto, mi aspettavan o. Ecco,
fino a stamattina, quando ho letto l’aforisma del q uale vi
dicevo, non ero mai riuscita a capire perché, quel giorno,
zio Devoto e zio Orazio, pur avendomi vista in mezz o al
fiume, non si fossero buttati in acqua per venire a
riprendermi. Ma ora è tutto chiaro: i poverini eran o
angosciati per me! Ma certo! L’ansia li stava divor ando ed
impediva loro di muoversi…
7. Un bel morir tutta la vita onora (Francesco Petr arca).
L’altra sera, alla riunione del comitato parrocchia le, ho
sentito le mie amiche discutere di tombe, lapidi, p arole
scolpite nel marmo e via dicendo. Ho subito pensato ad una
disgrazia! In particolare, la mente mi è andata in un attimo
all’Ernesto, il proprietario della trattoria più fa mosa del
paese: ormai, infatti, tutti noi abitanti di questo luogo ci
aspettiamo da un momento all’altro il decesso di qu esto
nostro compaesano, così, quando sentiamo fare disco rsi
funebri, pensiamo subito a lui. Il fatto è che la t rattoria
dell’Ernesto si trova proprio in mezzo alla strada statale
che attraversa il paese e, per essere precisi, la c ucina del
locale si trova da un lato della strada, mentre la sala con
i tavoli si trova sull’altro lato: l’Ernesto, che s erve
personalmente le pietanze ai suoi clienti, si trova così
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costretto ad attraversare la statale almeno un cent inaio di
volte al giorno. Pensate: ho sentito dire in giro c he
nessuna assicurazione vuole fare un contratto all’E rnesto, a
meno che lui non paghi una cifra spropositata, di c erto non
normale per un semplice oste di paese. Questa facce nda è, in
effetti, ingiusta, ma ricordo di aver sentito un ca so simile
a quello dell’Ernesto in una trasmissione televisiv a: lì,
però, l’assicurazione non volevano farla al proprie tario di
un negozio di rettili asiatici, che è certo ben div erso da
una trattoria… ad ogni modo, questo ora non c’entra . Le mie
amiche, in parrocchia, non stavano parlando dell’Er nesto,
che per ora è vivo. La discussione funebre aveva in vece
preso il via a causa degli sconti proposti, solo pe r questo
mese, dal marmista della nostra zona, quello che, p er
intenderci, ha scolpito tutte le lapidi del paese. La Bice e
le altre, vista l’occasione, stavano pensando di
approfittarne per ordinare, sicuramente un po’ in a nticipo,
la propria lapide: ognuna delle comari, dunque, sta va
riflettendo ad alta voce sulla scritta che avrebbe voluto
far incidere sulla propria tomba.
Quando io sono entrata nella sala parrocchiale, la Rosa
stava appunto dicendo che era indecisa fra “ancella del
Signore, dotata di ogni cristiana virtù”, e “serva di Dio,
del marito, dei figli e dei suoceri”: secondo lei a ndavano
bene entrambe le scritte. Appena mi hanno visto, le mie
amiche mi hanno subito coinvolto nel loro discorso,
chiedendomi di pensare anch’io a una frase per la m ia
lapide. Io non ho una grande fantasia, perciò ho de tto che
non mi veniva in mente nulla, però a voi posso dirl o: in
realtà mi è sempre piaciuta la frase che c’è sulla tomba di
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nonno Massimino, che poi, coincidenza, è la stessa frase che
ho letto stamattina sul libro degli aforismi. Chiss à, allora
questo doveva essere un detto famoso già all’epoca: un bel
morir tutta la vita onora… certo che, a sapere com’ è morto
il nonno, si capisce che non avrebbe potuto esserci scritta
più azzeccata di questa per lui! Il padre di mio pa dre,
infatti, faceva il guardiano della villa comunale d el paese:
lui curava le aiuole, potava le piante, strappava l e erbacce
dalla terra, insomma si adoperava in ogni modo per mantenere
pulito quel bel giardino. Una notte di tempesta, co n tuoni e
fulmini a non finire, e con un vento che soffiava a 180
chilometri orari, il nonno, pur di portare in salvo alcune
piantine appena innestate nel terreno della villa c omunale,
uscì di casa con quella tremenda bufera. C’è ancora qualche
vecchietto in paese che ricorda la scena vista dall a
finestra della propria casa: nonno Massimino che vo lava, con
il suo fazzoletto rosso al collo ed una piantina di begonie
in mano…
8. La malattia è una convinzione ed io nacqui con q uella
convinzione (Italo Svevo).
Sin da quando ero bambina, ho sempre avuto un buon rapporto
con i medici. Per dirvene una, ad esempio, non mi s ono mai
sognata di scappare via in occasione della visita a nnuale,
nella nostra casa, del dottor Felicino: che brav’uo mo che
era quello! Visitava tutti con una tale delicatezza ! Io non
mi lamentavo di certo quando, per controllarmi i de nti, il
dottore mi spalancava la bocca fino quasi ad intrav edere le
mie viscere… io no, ma Giocondo e Belmondo, i nostr i due
puledrini, si lagnavano eccome! Sentirli era uno st razio,
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sembrava proprio che il dottore li stesse torturand o! Eppure
quello era veramente il miglior medico della zona: “così
sprecato per le bestie”, dicevano in casa… ed infat ti, dopo
tutti gli animali della nostra fattoria, la mia pov era mamma
faceva sempre visitare anche me dal dottor Felicino . Ero
veramente una bambina fortunata io, che venivo addi rittura
visitata a domicilio, mica come Diletta che, poveri na, ogni
mese doveva andare giù in città per il controllo da l
pediatra.
Sarà, dunque, per via di questo bel rapporto che ho
sviluppato con la figura del dottore durante l’infa nzia,
che, nel corso del tempo, mi sono appassionata semp re più
alla scienza medica, iniziando così a studiare tutt e le
malattie descritte ne “l’Enciclopedia dell’inguarib ile
ipocondriaco”, composta da venti volumi, che Alcest e ha
pazientemente comprato a rate dopo averla vista in un
programma tivù.
Ora io sono dunque in grado di riconoscere i sintom i di
molte malattie, azzeccando anche le cure giuste da seguire
nei vari casi.
Prendete la Tina ad esempio, una delle comari del c omitato
parrocchiale: lei soffre di una rara forma allergic a a
qualsiasi tipo di detersivo per pavimenti e spray p er lo
spolvero dei mobili. Mi sono accorta di questa sua malattia
a distanza di qualche mese dal suo arrivo nel nostr o
comitato: in particolare ho notato che la Tina, dur ante le
riunioni nella sala dell’oratorio, non si offriva m ai
volontaria per fare le pulizie. Sapete, la nostra p arrocchia
non ha i fondi per pagare qualcuno che pulisca un p o’ i
locali della chiesa, così facciamo tutto noialtre c omari.
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Pensate che ci siamo addirittura divise i compiti
settimanali: a me spetta lavare per terra al lunedì , al
martedì, al mercoledì, al giovedì, al venerdì e al sabato,
mentre le mie amiche hanno l’incarico di passare lo
spolverino sulle panche della chiesa alla domenica, prima
dell’arrivo dei fedeli per la messa di mezzogiorno.
Ma vi dicevo delle malattie che so riconoscere… dun que,
un’altra è l’asma da cicorietta di campagna: dovete infatti
sapere che don Carletto, il nostro amato parroco de l quale
vi ho già parlato, ha scoperto che, sul pezzo di te rra
retrostante alla chiesa, cresce, per volontà del Si gnore,
dice lui, una squisita cicorietta selvatica. So che è buona
perché l’ho assaggiata dopo averla colta, lavata, p ulita e
cucinata: anche al nostro prete è piaciuta molto, c osì, da
allora, è lui a chiedermi sempre di andare a raccog lierne un
po’ e darla poi alla sua perpetua, affinché lei gli ela
faccia trovare per cena.
Ecco, un giorno che don Carletto mi aveva fatto que sta
richiesta, vedendo che lui aveva appena finito di d ire messa
e si accingeva ad andare a stendersi sulla sua sdra io nel
giardino vicino alla parrocchia, gli chiesi se, per caso,
non volesse accompagnarmi a cogliere la cicorietta: sapete,
quattro mani sono sempre meglio di due! Ma non avev o neanche
finito di porgli la domanda che don Carletto iniziò
improvvisamente a tossire e a respirare affannosame nte, come
qualcuno che stesse soffocando… era asma da cicoria ! Mi
spiegò infatti il nostro prete, una volta ripresosi , che fin
da piccolo lui era affetto da questa strana forma d i
“occlusione delle vie aeree”, avvertendo un senso d i
“costrizione polmonare” tutte le volte in cui mette va il
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naso troppo vicino ad una piantina di cicoria campe stre.
Però, per fortuna, aggiunse poi don Carletto, l’asm a non si
presentava se quella verdura arrivava a lui già cuc inata e
condita, adagiata su un bel piatto, magari con acca nto un
cosciotto di pollo.
Quante strane malattie ci sono nel mondo… ma non sa rà, come
dice l’aforisma che ho letto oggi, che tante person e nascono
convinte di essere affette da un male inguaribile s enza in
realtà averlo? Boh, io “l’enciclopedia dell’inguari bile
ipocondriaco” l’ho letta tutta, ma non c’è scritto nulla su
questo argomento, su quali medicine si debbano pren dere per
cambiare idea ed iniziare a credere di essere sani come
pesci!
9. Un linguaggio diverso è una diversa visione dell a vita
(Flaubert).
Oggi ha suonato alla porta di casa nostra un bizzar ro
individuo: il mio Alceste era, come al solito, al l avoro,
ed io, così com’ero vestita, con il grembiulone a s cacchi
che uso per preparare il pastone da far mangiare ai cani,
ho aperto a questo strambo signore.
“Buongiorno madama, incantato di conoscerla”, mi ha detto
lui, non appena mi ha vista sulla soglia di casa.
“Sono Giovanni Fringuelli, rappresentante della E.E.E.
Company, e vengo a illustrarle il nostro lavoro, sempre ch e
lei mi permetta di sedermi cinque minuti sul suo di vano…”,
ha poi aggiunto lo sconosciuto.
Io, lì per lì, non ho capito molto bene cosa voless e questo
signor Fringuelli, però, siccome mi sembrava scorte se non
farlo entrare in casa, gli ho detto di aspettare lì due
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minuti, che io sarei tornata poco dopo per farlo
accomodare. Ho quindi richiuso velocemente la porta di
casa, sono corsa in salone, ho cacciato Bingo e Bon go dal
sofà (quei due se ne stanno sempre lì, immobili), p oi ho
preso Furetto “il mini-aspiratore per ogni peloso d ifetto”
e l’ho passato su tutto il divano, rimasto vittima della
muta dei miei due cagnolini. Finito di pulire, sono tornata
alla porta e ho fatto entrare il signor Fringuelli, che nel
frattempo mi aveva pazientemente aspettato.
“Prego, venga, venga, si accomodi in salone”, gli h o detto.
“Grazie, molto gentile madama”, mi ha risposto lui,
sedendosi sul sofà.
A quel punto anch’io mi sono seduta, per la precisi one ho
spostato una delle sei sedie che stanno attorno al nostro
tavolo, sapete, quelle con lo schienale a forma di testa di
leone, e mi sono piazzata proprio di fronte al sign or
Fringuelli: ero veramente curiosa di ascoltare le s ue
parole, anche perché, qui in paese, si vedono sempr e le
stesse facce, mai un volto nuovo, qualcuno che parl i di
cose diverse dalla vendemmia o di come far cadere l e olive
dall’albero…
“Allora, mia signora, oggi, in questa bella giornat a di
sole che il buon Dio ha voluto mandarci, sono qui d a lei
per parlarle della nostra company, e in particolare dei
nostri prodotti migliori, cioè quelli evidenziati d a un
recente focus group da noi organizzato”, ha iniziato a dire
il signor Fringuelli.
Tutto, allora, si è immediatamente chiarito nella m ia
testa: ma certo, avevo davanti a me un rappresentan te del
circo che, in questo periodo, sta facendo gli spett acoli
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nella nostra zona! Me l’avevano detto le comari del la
parrocchia, che era arrivato il circo in paese, ma,
sinceramente, io pensavo che i numeri dello spettac olo
fossero sempre gli stessi, non sapevo nulla della b ella
novità che c’è quest’anno: addirittura un gruppo di
mangiatori di fuoco!
“La ringrazio per essere passato qui stamattina a d irmi
personalmente le novità della vostra compagnia”, ho
risposto allora io al signor Fringuelli, “sono molt o
interessata alla sua illustrazione”.
“Madama, le sue parole mi rallegrano –mi ha detto q uindi
lui-, se lei ci apprezza veramente così tanto, al p iù
presto le farò fare la conoscenza del nostro magazine”.
Ecco, questa frase del signor Fringuelli, devo prop rio
dirvelo, mi ha lasciato molto sorpresa: nessuno, in fatti,
mi aveva detto che quest’anno la compagnia circense ha
preso in affitto un magazzino per fare le sue esibi zioni!
Eppure la Gertrude e la Leonella sono andate a vede re lo
spettacolo… e mi sembrava avessero parlato del soli to
tendone rosso nel grande spiazzo che c’è fuori dal paese,
vicino al campo santo, non certo di un deposito mer ci.
“Dunque, ciò di cui voglio parlarle, madama, è il n ostro
asso nella manica, il pezzo migliore della nostra company,
la nuova, nuovissima, commercial paper da noi
sponsorizzata… ”, ha poi ripreso a dire il signor
Fringuelli, parlandomi, poi, per altri venti minuti di
quest’altra attrattiva che c’è adesso al circo.
Io l’ho ascoltato fino alla fine, ma non ho capito granché:
santa pazienza, secondo voi com’è possibile che un animale
da cortile, anche se ammaestrato per il commercio, possa
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essere utilizzato per comprare addirittura mobili o case?
E’ sempre un palmipede! Che cosa possono mai avergl i
insegnato per farlo diventare così prezioso? Forse quelli
del circo hanno istruito talmente tanto questa pape ra da
renderla in grado di fare di conto? Può essere, qui ndi,
messa dietro alla cassa di un negozio? Oppure è in grado di
servire i clienti di una pizzicheria, affettando pr osciutto
e salame?
“… lei capisce, signora, la commercial paper che noi
offriamo non ha alcun bisogno di essere descritta n ei
minimi particolari, tanta è la sua fame!”, ha concluso
quindi il signor Fringuelli.
Al sentire queste ultime parole, le mie perplessità sono
notevolmente aumentate. Ma come: questa papera è
addirittura famelica, sicché per nutrirla ci vorran no
almeno cinque o sei recipienti di pane ammollato in acqua,
eppure ha così tanto successo? Possibile che tutti
accettino di scambiarla con beni di ogni tipo?
Mah, ad ogni modo non ho fatto in tempo a chiedere al
signor Fringuelli spiegazioni più approfondite su q uesto
strano animale, poiché lui è dovuto andar via di co rsa
subito dopo aver terminato l’illustrazione dei nuov i numeri
che ci sono quest’anno al circo: vorrà dire che mi terrò i
miei dubbi sino a quando Alceste non mi porterà a v edere lo
spettacolo…
10. Non c’è mai stata una guerra buona o una pace c attiva
(Benjamin Franklin).
Da dieci anni in casa combattiamo la guerra del let ame.
Dovete infatti sapere che i rapporti fra il mio Alc este e
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il nostro vicino non sono molto buoni: per dirvi la verità,
il mio adorato marito mi ha proibito più volte anch e solo
di parlare con la Geppina Copponi, la moglie del vi cino in
questione, perché, come dice il mio amore “la famig lia è
sempre quella, non devi avercela solo con uno, ma c on tutto
l’albero genealogico!”. Ora, a parte il fatto che n on
capisco perché dovrei prendermela con gli alberi de i nostri
confinanti, magari facendoci pipì contro, come fa A lceste,
non vedo perché dovrei smettere di chiacchierare co n la mia
vicina. Peraltro, io e la Geppina andiamo a fare la spesa
nello stesso supermercato, quello grande, appena fu ori dal
paese, e ci consigliamo sempre su quale detersivo p rendere,
quale ammorbidente comprare, insomma, ci diamo a vi cenda
utili suggerimenti.
Ma vi dicevo del letame: dunque, dai tempi dei temp i, il
nostro terreno e quello dei Copponi sono sempre sta ti
divisi da una siepe che correva per tutta la lunghe zza del
confine fra i due fondi. A causa, però, dei tragici eventi
che hanno riguardato il povero Ignazio Copponi, la siepe in
questione è stata, da un momento all’altro, complet amene
sradicata, lasciando le nostre proprietà senza una precisa
delimitazione. Tutto cominciò quando il fu Ignazio, suocero
della Geppina, ebbe la sventura di assaporare il gu sto di
una vita ricca e lussuosa, senza poi, però, riuscir e a
concludere nulla, e rimanendo, invece, a fare la su a vita
di sempre, ovvero quella di vecchietto di campagna.
L’Ignazio aveva, infatti, il vizio del gioco: in vi ta sua
aveva provato di tutto, corse dei cavalli, schedina del
totocalcio, scommesse su chi avrebbe prodotto più v ino in
occasione della prossima vendemmia, e via dicendo. Ma la
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sua passione più forte era nata il giorno in cui, i n paese,
era arrivato il “gratta e vinci”: da quando l’Ignaz io aveva
scoperto di poter tentare la fortuna semplicemente
grattando un cartoncino colorato comprato al bar de lla
piazza, era impazzito di felicità. Aveva iniziato a d
acquistare interi rotoli di biglietti e se ne andav a in
giro per le campagne a grattarli uno per uno: a vol te, mi
raccontava la Geppina, quando il suocero non rientr ava a
casa alla sera, uno dei maschi della famiglia dovev a uscire
a cercarlo nei campi, armato di torcia. Bastava pun tare la
luce sul terreno e seguire l’inequivocabile traccia
lasciata dall’Ignazio, ovvero i cartoncini del grat ta e
vinci appallottolati e buttati via. Il vecchietto v eniva
sempre ritrovato seduto sotto un melo o un pero, as sorto
nei suoi pensieri e sul perché non vincesse mai nul la a
quel gioco diabolico.
Un bel giorno, però, la fortuna girò e decise di ba ciare
proprio Ignazio Copponi. L’uomo si trovava seduto v icino
alla siepe che, come vi ho detto, separava il suo f ondo dal
nostro: d’un tratto, grattando un cartoncino dei su oi, vide
apparire sotto alla patina d’argento un sole che so rrideva.
Era il simbolo del premio da centomila euro! Il vec chietto
si pulì gli occhi, controllò meglio e poi, dalla fe licità,
iniziò a urlare, a cantare e a ballare, dimenandosi come un
pazzo in preda al demonio. Poi svenne. Risvegliatos i,
ancora in preda all’agitazione, come prima cosa si mise la
mano in tasca per ammirare ancora una volta il suo
cartoncino magico. Ma non trovò nulla. Probabilment e,
durante il ballo scatenato che aveva fatto, il bigl ietto
doveva essergli caduto lì in giro, nei pressi della siepe.
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L’Ignazio iniziò allora a cercare furiosamente il s uo
gratta e vinci milionario e, nella foga, fece a pez zi la
siepe… peraltro inutilmente, perché quel benedetto
cartoncino non venne mai più ritrovato.
La Geppina è ancora oggi convinta che il suocero av esse
solo sognato di vincere al gioco mentre dormiva ste so sul
campo, e che dunque, in realtà, non esistesse alcun
cartoncino fortunato. Io non saprei dire, fatto sta che il
povero Ignazio trascorse il resto della sua vita, f ino alla
scomparsa due anni dopo, vagando per le campagne de lla zona
in cerca del suo biglietto della fortuna: era così triste
vedere quel povero vecchietto sempre chino sui camp i,
dall’alba al tramonto!
Ma vi stavo raccontando della siepe: dunque, capire te ora
che la siepe, da quel tragico evento, non c’è più, e quindi
nulla separa la nostra proprietà da quella della fa miglia
Copponi. Per rimediare a questo problema, il mio Al ceste ha
allora pensato di utilizzare, come confine fra noi e loro,
un po’ del letame che usiamo per concimare il campo e
l’orto dietro casa. Questa idea, però, non è stata molto
apprezzata dai vicini, i quali hanno subito tolto i l nostro
letame dalla striscia di terreno comune. E’ così in iziata
la guerra. Ogni notte Alceste, vestito di nero, con un
sacco in spalla e con una vanga in mano, va giù sul confine
fra i due terreni e versa gli escrementi dei nostri
maialini sul campo, stendendoli per bene lungo tutt a
l’antica lunghezza della siepe. Ogni mattina, all’a lba, il
marito della Geppina, vestito di nero, con un sacco in
spalla e una vanga in mano, va giù sul confine e le va il
letame dal terreno.
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Non mi permetto di dire nulla al mio Alceste, perch é lui è
più istruito di me e sa quello che fa, però io, sul la lotta
del letame con i Copponi, la penso un po’ come ques to
signore qui, quello che ha scritto l’aforisma che h o letto
stamattina a colazione: la guerra non è mai buona.
11. Chi legge sa molto; chi osserva sa molto di più
(Alexandre Dumas figlio).
Il nostro è un tranquillo paesino di campagna, e ha tutto
quello che serve alla comunità, ovvero una scuola, alcune
farmacie, dei bei negozi, e anche una piccola bibli oteca
comunale. Sapete, qualche tempo fa avevo anche iniz iato a
frequentare quel posto così pieno di libri: ne ha t almente
tanti che sembra dover scoppiare da un momento all’ altro!
Pensate che, solo dopo un mese di visite alla bibli oteca, ho
scoperto quanto sia alta realmente la Gisella, l’ad detta ai
prestiti dei libri: il fatto è che lei se ne stava sempre
dietro alla sua scrivania, e io non avevo mai potut o vedere
il suo corpo dal busto in giù. Chi se l’aspettava c he fosse
praticamente nana e che sedesse sopra a tre volumi
dell’Atlante Mondiale, posti, a mo’ di cuscino, sul la sua
sedia? Questo per dirvi, appunto, quanto la nostra
biblioteca comunale sia stracolma di libri.
La prima volta che mi sono recata lì, devo ammetter lo, non è
stato per motivi di istruzione, per farmi una cultu ra,
insomma: no, ero andata quel giorno, era la metà di gennaio,
per farmi dare un libro alto un centimetro e mezzo.
“Scusi, signora, ma non ha un titolo da darmi? Un a utore?
Com’è possibile scegliere un libro da leggere solo in base
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al suo spessore?”, mi aveva detto la Gisella, una v olta
sentita la mia richiesta.
Potevo forse dirle che quello era l’esatto spessore del
pezzo di zampa che s’era rotto non appena Alceste a veva
schiantato il suo posteriore sulla poltrona della
pennichella? Capite, a metà gennaio il mio amato sp oso è
ancora un po’ appesantito dalle passate feste natal izie e a
volte, durante quel mese, accadono incidenti di que sto tipo
in casa. Ad ogni modo, sentendomi molto in imbarazz o, avevo
detto alla Gisella che volevo un libro leggero poic hé soffro
di mal di schiena e non posso portare grandi pesi: lei mi
aveva allora dato un piccolo volume e io me n’ero a ndata.
Però poi, una volta a casa, avevo iniziato a ripens are a
tutti gli scaffali zeppi di racconti, storie, vicen de
narrate da persone famose, quelle, ad esempio, dell e quali
parlano a volte in tivù… e così, d’un tratto, ho pr eso la
decisione. Sarei tornata lì e mi sarei fatta dare u n bel
libro in prestito dalla Gisella! E così è successo.
Ma, devo ammetterlo, la lettura di quelle pagine no n è stata
affatto facile: innanzitutto, quel libro parlava de lla
bruttissima esperienza vissuta da un signore russo o giù di
lì, il quale, un giorno, si era ritrovato a essere uno
scarafaggio. Potete immaginare voi una cosa più orr ibile di
questa? Io penso sempre che mi piacerebbe essere un a
farfalla, oppure un’aquila, per volare sopra a tutt e le case
del paese e vedere tutti dall’alto, ma mai e poi ma i vorrei
diventare uno scarafaggio. Che crudeltà ha dimostra to questo
scrittore! Inventare una storia del genere, così mo struosa…
inoltre, questo l’ho scoperto dopo, continuando a l eggere,
la famiglia di questo sfortunato signore l’aveva ol tretutto
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lasciato solo in quelle sventurate condizioni: ness uno si
curava più di lui! Insomma, è o non è una delle inf amie
peggiori che voi abbiate mai sentito? Per dire, anc he
Alceste, quando torna dal lavoro alla sera, somigli a di più
a un porcello che a un uomo, ma io non mi sono mai sognata
di abbandonarlo a sé stesso: anzi, gli sfilo sempre le
scarpe dopo che si è buttato sulla sua poltrona (sf ondata,
come vi dicevo), gli porto un vassoio con la cena, che lui
divora con le mani, e infine gli do un tovagliolo p er
pulirsi la bocca dopo che ha finito di mangiare (ci oè dopo
aver fatto un potente rutto). Che poi, il mio amore ha il
peso di una elefantessa gravida: volete mettere qua nto è più
facile occuparsi di un insetto come lo scarafaggio? Io, ogni
volta che devo portare a letto mio marito che si è
addormentato in salone, devo farmi assolutamente ai utare da
Bingo e Bongo: loro due tirano Alceste con delle co rde
legate intorno ai suoi polsi, mentre io gli sollevo le
gambe, leggere quanto due prosciutti stagionati.
Insomma, questo libro qui del signore-insetto, mi h a messo
molta tristezza; a pensare alla meschinità che c’è nel
mondo! E purtroppo neanche i libri che ho preso in prestito
dopo di quello mi sono piaciuti granché: uno di que sti, ad
esempio, parlava di una signora, la moglie di un me dico di
campagna, che si annoiava sempre e ne faceva di tut ti i
colori al povero marito… ma, dico io, perché questa signora
non si metteva a fare il bucato, a stirare, a spazz olare i
suoi cani? Avrebbe occupato le ore senza fare tutte quelle
meschinità al povero medico! Prendete, ad esempio, la povera
Sissi, la moglie del dottor Felicino: finché è rima sta in
vita non si è mai lamentata di nulla con il marito, e non è
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mai stata male qui da noi in paese, benché lei foss e “un’
altezzosa cittadina”, come diceva la buonanima dell a mia
mamma. La Sissi, infatti, si è dedicata completamen te al
prossimo durante la sua esistenza, così, pur vivend o in
campagna, non si è mai è annoiata,: ricordo che qua nd’ero
bambina la vedevo sempre andare in giro per il paes e con dei
robusti giovanotti, tutti contadini provenienti da famiglie
molto povere. Lei comprava a questi baldi ragazzoni vestiti,
scarpe e tutto quello di cui avevano bisogno, e lor o, in
cambio, la ospitavano sempre, al pomeriggio, nelle loro
baracche situate ai margini dei campi arati: rammen to anche
quello che diceva in proposito la mia povera mamma: “…la
signora di certo non va lì a prendere il tè…”.
Ora, io non so dirvi se la Sissi prendesse il caffè o la
limonata, al posto del tè, quando si recava dai suo i
protetti, ma credo che ciò non abbia molta importan za: lei
era una donna buona, generosa e altruista, altro ch e la
bovara del libro!
Ecco, come avrete capito da soli, l’esperienza che ho fatto
alla biblioteca comunale non mi è piaciuta molto: a nzi,
stamattina, leggendo l’aforisma del giorno, ho capi to che
quello che i miei occhi hanno visto accadere nel co rso del
tempo vale molto più di mille volumi.
12. Non puoi insegnare al granchio a camminare diri tto
(Aristofane).
Mi sono accorta, cari lettori di questo mio diario di
riflessioni, di non avervi parlato molto del posto in cui
vivo: sì, vi ho detto che abito in un paesino di ca mpagna, e
che la mia casa è una specie di fattoria con tanti animali
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che vanno e vengono in libertà, però non vi ho mai descritto
con precisione la contrada nella quale mi trovo. Ri medierò
ora. Dunque, dovete anzitutto sapere che, dalle nos tre
parti, c’è l’usanza di chiamare le vie, le strade, e i
viottoli di campagna con dei nomi da noi inventati. Per
capirci, il corso principale del paese, corso Itali a, per
tutti i paesani è in realtà corso Noè, per via di u n
episodio accaduto oramai trent’anni fa, ma ricordat o ancora
da tutti noi e raccontato ai bambini come fosse dav vero una
storia della Sacra Bibbia.
Era il mese di novembre, un periodo triste e piovos o:
l’acqua scendeva senza sosta da giorni e giorni e p ersino i
contadini, che di solito aspettano con ansia la pio ggia,
erano disperati per lo stato in cui si erano ridott i i
campi, i quali sembravano delle vere e proprie palu di
melmose.
Ai tempi, abitava in cima al corso principale del p aese (che
era ed è tuttora una strada in salita che passa dav anti alla
chiesa del nostro patrono, San Fiffello, e arriva g iù fino
alla villa comunale) un vecchietto di nome Noè, di mestiere
artigiano del legno. Il signor Noè era famoso per i suoi
animali: la bottega che aveva ereditato dal padre e ra
infatti piena di cani, gatti, gufi, cavalli, ippopo tami,
elefanti, galli, maiali e migliaia di altre creatur e di Dio.
Tutte in legno, ovviamente. La cosa strana era che il
vecchietto odiava invece gli animali vivi: in paese lo si
poteva vedere spesso prendere a calci nel didietro dei
poveri cagnolini randagi oppure scacciare con il su o bastone
dal pomello lucido gli uccellini che gli volavano i ntorno in
primavera. Nessuno si è mai spiegato il perché di q uesto
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comportamento del signor Noé… mah, stramberie degli anziani,
dicevano in paese. Ma vi raccontavo della sua casa: il
vecchietto viveva in una villetta con giardino post a in cima
al corso del paese, in un punto dove, all’epoca, no n c’erano
più negozi, botteghe, né altre abitazioni, ma solo silenzio.
Nessuno, quindi, arrivava mai a piedi sin lassù, pe r due
motivi: 1) non c’era ragione di salire fino a lì, v isto che
quella parte finale della strada era deserta; 2) il vecchio
Noé aveva fama di essere un tantino brusco di modi, e niente
affatto cortese con chi gironzolava dalle parti di casa sua.
Dunque, come vi dicevo, quell’autunno ci fu una gra n pioggia
e il corso del paese si ridusse a un torrente in pi ena:
l’acqua veniva giù a secchiate e, scendendo a valle ,
aumentava sempre più la sua potenza: si racconta qu indi che,
un giorno di novembre, i soliti frequentatori del b ar del
corso, quello posto a valle, all’inizio della salit a, vicino
ai giardinetti comunali, d’un tratto sentirono degl i strani
rumori provenire dall’alto, dalla cima, dove si tro vava la
casa di Noé: si girarono tutti a guardare e videro, allora,
qualcosa di veramente pazzesco. Il vecchietto scend eva giù
dal corso dentro ad una barchetta di legno colma di sculture
di animali, remando furiosamente con due lunghi bas toni (poi
identificati nelle zampe di un fenicottero in legno )
bestemmiando e urlando frasi incomprensibili su Nos tro
Signore e sull’umidità. Ecco, da quell’autunno di t renta
anni fa, il corso del nostro paese iniziò a essere chiamato
da tutti corso Noé.
Ma vi dicevo della mia contrada. Dunque, io abito i n
località Ciao, detta così a causa di un bisnonno de l mio
caro Alceste: quell’uomo, infatti, si recava ogni m attina ad
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arare i suoi campi qui intorno, e alla sera, prima di
rientrare a casa, nel centro del paese, si fermava a fare
quattro chiacchiere con i contadini della zona. Le sue
chiacchiere però, non erano mai quattro, ma diventa vano
sempre sei, poi otto, poi dieci: insomma, benché og ni tanto,
durante la conversazione, questo nostro antenato di cesse a
tutti “ciao, ciao, io me ne rientro a casa”, in rea ltà non
si decideva mai ad andarsene. Non si è mai capito i l motivo
di questo comportamento del bisnonno, anche se, a p arere
dell’anima pia della mia defunta suocera, per compr endere
tutto sarebbe stato sufficiente dare uno sguardo al la moglie
di quell’uomo, in particolare ai suoi folti baffi.
Alla contrada Ciao si arriva attraverso un viottolo di
campagna che attraversa molti campi: purtroppo ques ta è una
strada molto malandata, piena di sassi e di animali tipo
faine che sfrecciano da una parte all’altra della v ia,
provocando spesso incidenti. L’ultimo di questi è a vvenuto
proprio qualche giorno fa: il povero Peppino, che a bita qui
dietro, appena tre case dopo di noi, è finito in me zzo a un
campo di girasoli per evitare una creatura pelosa d ella
quale non è neanche riuscito a capire bene la natur a.
In realtà, però, la prima parte del sentiero che co nduce
alla contrada Ciao non è malridotta, anzi, è liscia come una
tavola da stiro: è solo da Villa Rita in poi che la strada
si fa difficile da percorrere. Dovete infatti saper e che,
come mi ha spiegato bene il mio Alceste, Villa Rita è di
proprietà dell’assessore comunale Pallettoni, il qu ale ogni
anno si cura di far sistemare la via che porta nell a nostra
zona, ma solo per il tratto necessario per giungere a casa
sua. Così, noialtri che abitiamo dopo, rischiamo di
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incrociare volpi, porcospini, lepri e conigli, fine ndo per
campi quando torniamo a casa, mentre l’assessore ar riva
comodamente nella sua proprietà. Che dirvi? Sperare che
questi simpatici animaletti, che vivono intorno a n oi,
imparino a camminare correttamente e ad attraversar e la
strada solo quando non passa nessuna macchina, mi s embra
inutile: lo dice anche il mio libro degli aforismi: il
granchio non potrà mai andare diritto!
13. La pazzia del metodo: questo è genio (Anonimo).
Un po’ fuori dal nostro paesino, in aperta campagna , c’è un
posto dove vivono dei vecchietti senza famiglia, sa pete,
persone anziane che non hanno parenti in grado di o ccuparsi
di loro. Tutti noi abitanti della zona chiamiamo qu esto
posto “lo zospizio”, per via dello strano metodo ut ilizzato
dal direttore dell’istituto per tenere allegri i su oi
malconci ospiti. Il dottor Bonaccioni, infatti, è u n uomo
che ha passato tutta la sua vita ad amministrare il
giardino zoologico di una tranquilla cittadina di
provincia: così, a furia di trattare con tigri, ele fanti,
scimmie e foche, il dottore si è convinto della ass oluta
necessità, per gli uomini, di creare un salutare ra pporto
di amicizia (o anche d’amore, sostiene lui) con ogn i sorta
d’animale. Capita spesso, quindi, di incontrare il
direttore Bonaccioni che se ne va a zonzo per il pa ese,
sussurrando fra sé e sé, a testa bassa, frasi del t ipo: “Il
gatto guarda sempre la tivù con voi, anche se non g radisce
il programma”, oppure “Il pesce rosso non si lament a mai,
neanche se scordate di farlo mangiare: al massimo m uore”.
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Ecco, data la lunga esperienza lavorativa del dotto r
Bonaccioni in quello zoo di città, è chiaro che,
ritrovatosi improvvisamente alla guida di un ospizi o,
quell’uomo abbia avuto un momento di confusione men tale: ed
è per questo motivo che la prima decisione presa da l
dottore è stata quella di assegnare ad ogni vecchie tto un
animale da curare.
“Avere una bestiola da accudire è il miglior modo p er
tenere desto il cervello dell’anziano”, ha detto il dottor
Bonaccioni il giorno in cui si è tenuta all’istitut o la
cerimonia di benvenuto in suo onore.
E così, da allora, il ricovero per vecchietti è div entato
per tutti “lo zospizio”. Quando si passa vicino al cancello
d’entrata si sente sempre un gran baccano: abbaiare di
cani, nitrire di cavalli, muggire di mucche, grugni re di
maiali, e chi più ne ha più ne metta. Pensate che n essuno,
in zona, sa dire con precisione quante specie anima li ci
siano in quel posto!
Ma vi parlavo degli abbinamenti vecchietto- bestiol a voluti
dal direttore dello zospizio : se volete il mio par ere, il
dottor Bonaccioni è un genio e le coppie da lui for mate
sono frutto di ragionamenti sopraffini. Ecco, magar i capire
questi ragionamenti, e quindi comprendere il perché
dell’assegnazione di un certo animale a un certo
vecchietto, non è proprio semplice: io, però, ho av uto la
grande fortuna, una volta, di poter parlare di ques to con
il direttor Bonaccioni: lui, in quell’occasione, mi ha così
spiegato tutto nei particolari.
Dunque, la prima coppia creata dal dottore è quella
composta dal vecchietto Pinuccio, abbastanza sordo e
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convinto di essere un generale di corpo d’armata, e
Silvestrino, un merlo indiano che il dottor Bonacci oni è
riuscito ad avere di contrabbando. L’abbinamento, i n questo
caso, si spiega così: poiché Pinuccio non sente gra nché, ed
il pennuto Silvestrino è ben ammaestrato e dotato d i una
voce molto squillante, si è pensato di metterli ins ieme,
affinché l’uccello comunichi con il vecchietto. Cos ì, ad
esempio, quando si avvicina l’ora del pranzo, non c ’è
bisogno che la cuoca dello zospizio vada a chiamare
personalmente Pinuccio, poiché Silvestrino, allo sc occare
della mezza, inizia a cantare a squarciagola “E’ ar rivata
l’ora della zuppa! Forza, forza, generale, richiama la tua
truppa!”.
Altra coppia geniale voluta dal dottor Bonaccioni è quella
formata dall’anziano Vincenzino e da Nerone il pito ne: lo
so, lo so, i serpenti sono molto pericolosi, ma que sto qui
è ben istruito.
“Il trafficante brasiliano che me l’ha venduto l’ha
perfettamente educato, sicché ora questo splendido rettile
sa che non sta bene uccidere qualcuno”, così mi ha detto il
direttore Bonaccioni quella volta che l’ho incontra to.
Vincenzino, mi ha spiegato ancora il dottore, soffr e di uno
strano male, chiamato “epilessia”: ecco, quando gli prende
un attacco di questa malattia qui, Nerone lo avvolg e
completamente e lo immobilizza, così, mi ha detto a ncora il
direttor Bonaccioni, loro dello zospizio stanno tra nquilli
ed attendono serenamente che a Vincenzino passino q ueste
“convulsioni”. Quando ciò avviene, Nerone libera l’ anziano
dalla presa e si arrotola di nuovo su se stesso.
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Ancora, all’istituto c’è la coppia formata dal vecc hietto
Poldo e dalla foca Giuditta: dovete infatti sapere che
Poldo, durante la sua gioventù, è stato un grandiss imo
giocatore di pallamano, arrivando, un anno, persino a
vincere il prestigioso “Torneo delle Venti Cascine” , evento
che all’epoca riuniva i migliori atleti delle campa gne qui
intorno. L’anziano non si è mai arreso al fatto di non
poter giocare a pallamano, all’interno dell’istitut o, per
la mancanza di qualcuno che potesse giocare al suo livello,
ovvero da campione: d’altronde, la maggior parte de i
vecchietti lì ricoverati riesce a malapena a regger si al
bastone mentre cammina, sicché non è che Poldo aves se molte
speranze di trovare un degno compagno da sfidare… f ino a
quando, dietro ordine del dottor Bonaccioni, non è arrivata
lei, Giuditta! Pensate che da quando ha la sua foca
giocatrice l’anziano è letteralmente rinato e passa tutto
il giorno a lanciarle la palla e ad insegnarle i tr ucchi
della pallamano!
Capite ora perché vi ho detto che il direttore dell o
zospizio è un vero e proprio genio? Chi altri sareb be stato
capace di trovare delle soluzioni così brillanti ai
problemi dei vecchietti ricoverati in quell’ istitu to?
E pensate che in paese il dottor Bonaccioni viene
considerato da tutti un povero pazzo: ma quella non è
follia, è genialità. Come dice l’aforisma che ho le tto
oggi, no?
14. Un classico è un libro che ancora prima di esse re
finito ti dice quello che deve dire (Italo Calvino) .
Oggi mi è successa una cosa orribile.
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Mentre ero sull’aia, intenta a riflettere sul nuovo , saggio
aforisma appena letto sul mio prezioso libricino, m i sono
d’un tratto ricordata di avere la padellaccia sul fuoco.
Sapete, si tratta di un piatto tipico delle nostre parti,
sicuramente non facile da digerire, ma insistenteme nte
richiesto da Alceste alla sua “Gioia del palato”: i n
pratica, la padellaccia è composta da organi intern i del
maiale, come ad esempio cuore, fegato e viscere, tu tti
cucinati in un pentolino unto ben bene di lardo (il quale
lardo, peraltro, può anche provenire da un amico de l
porcello proprietario degli organi, non è mica nece ssario
che derivi proprio da lui…). Ma vi dicevo che
improvvisamente mi sono ricordata della pentola che avevo
messo sul fuoco: ecco, a quel pensiero, ho subito s messo di
leggere e sono corsa in casa per controllare la cot tura
della mia prelibatezza. Nulla si era bruciato, per fortuna,
così ho abbassato un po’ il fuoco sotto al fornello e sono
tornata fuori per riprendere la mia lettura ma, a q uel
punto, non ho trovato più il mio libro! Disperata, ho
iniziato allora a cercarlo nei dintorni, giù nel ca mpo,
fuori dal cancello di casa, ovunque, e alla fine… n on
riesco neanche a dirlo, vedete? Alla fine l’ho ritr ovato.
Era nella piccionaia che abbiamo vicino alle cucce (mai
usate) di Bingo e Bongo: il povero libricino era to talmente
distrutto, ogni pennuto aveva in bocca una sua pagi na e
nella grande gabbia aperta era tutto uno svolazzare di
carta chiazzata da escrementi di uccello!
Lì per lì mi sono sentita morire.
Il regalo di Alceste! La mia scuola di riflessione!
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Dopo, però, mi sono calmata: il fatto è che, mentre mi
struggevo per la perdita, ho ricordato a memoria la frase
che stavo leggendo stamattina, poco prima del fatta ccio.
“Ma forse è così -ho allora pensato-, forse il libr icino mi
ha già perfettamente istruita…”.
Non so: ci rifletterò su.