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CORSO DI LAUREA IN SCIENZE INTERNAZIONALI E ISTITUZIONI EUROPEE LE ORGANIZZAZIONI MAFIOSE IN PROVINCIA DI COMO (ANNI 1980-2010) Relatore: Prof. Fernando Dalla Chiesa Elaborato finale di: Marco Fortunato Matricola n° 755925 Anno Accademico 2011/2012

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CORSO DI LAUREA IN

SCIENZE INTERNAZIONALI E

ISTITUZIONI EUROPEE

LE ORGANIZZAZIONI MAFIOSE

IN PROVINCIA DI COMO

(ANNI 1980-2010)

Relatore: Prof. Fernando Dalla Chiesa

Elaborato finale di:

Marco Fortunato Matricola n° 755925

Anno Accademico 2011/2012

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I N D I C E

INTRODUZIONE ………………………………………………… pag. 1

CAPITOLO I

1.1 Come è arrivata la mafia a Como: perché ha potuto allargarsi

e radicarsi ………………………………………………. pag. 3

1.2 Geografia mafiosa in provincia ……………………….. pag. 10

1.3 Situazione nelle realtà limitrofe: un’occhiata a Varese,

Lecco e Brianza …………………………………….. … pag. 18

1.4 Perché Como? …………………………………………. pag. 23

CAPITOLO II

2.1 Il caso Campione d’Italia ……………………………… pag. 32

2.2 “Pecunia non olet”: la vicenda Perego ………………… pag. 35

2.3 Perego e le ecomafie: il nuovo Ospedale Sant’Anna …. . pag. 40

2.4 Mandelli – Minasi, professionisti al servizio dei boss .... pag. 43

CAPITOLO III

3.1 Si toglie il velo all’invisibilità: Operazione “I fiori della

notte di San Vito” ……………………………………… pag. 49

3.2 Operazione “Infinito” ………………………………….. pag. 58

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CAPITOLO IV

4.1 Le risposte della società civile: l’azione della Prefettura… pag. 67

4.2 L’azione di Confindustria, CGIL, CISL, UIL Lombardia.. pag. 69

4.3 Il Progetto San Francesco a Cermenate …………………. pag. 71

CONCLUSIONI …………………………………………….. pag. 75

APPENDICE ………………………………………………. pag. 79

BIBLIOGRAFIA…..……………………………………….. pag. 85

RINGRAZIAMENTI………………………………………. pag. 89

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1

INTRODUZIONE

«Forse tutta l’Italia sta diventando Sicilia... A me è venuta una fantasia, leggendo

sui giornali gli scandali di quel governo regionale: gli scienziati dicono che la

linea della palma, cioè il clima che è propizio alla vegetazione della palma, viene

su, verso il nord, di cinquecento metri, mi pare, ogni anno... La linea della palma...

Io invece dico: la linea del caffè ristretto, del caffè concentrato... E sale come l’ago

di mercurio di un termometro, questa linea della palma, del caffè forte, degli

scandali: su su per l’Italia, ed è già oltre Roma...»1

La “linea della palma” di Sciascia è già arrivata a Como? E’ la domanda alla quale

si cercherà di dare una risposta esauriente in questa Tesi. Risposta già facilmente

prevedibile date le molte inchieste che hanno interessato le province circostanti e in

particolar modo Milano, quella che un tempo era la “capitale morale” d’Italia.

Si cercherà di analizzare le varie situazioni dando il più possibile un’impronta

sociologica, cercando quindi di comprendere le motivazioni delle scelte dei singoli,

i benefici che ne ricevono e lo stesso metodo verrà utilizzato nel descrivere le

organizzazioni mafiose. Si cercherà dunque di non fare una storia giudiziaria e per

questo motivo non saranno seguiti interamente gli esiti processuali, venendo solo

brevemente trattate le vicende giudiziarie dei personaggi coinvolti e cercando

invece di comprendere cosa emerge dall’impianto accusatorio.

L’analisi della situazione comasca verterà innanzitutto sui motivi per cui le

organizzazioni mafiose, delle quali si evidenzieranno brevemente i tratti

caratteristici, hanno scelto la città come meta per i loro traffici, illeciti e non, e di

come esse abbiano potuto estendere i propri “tentacoli” (per citare la metafora de

“La Piovra”), nella provincia lombarda.

E di come la popolazione, gli imprenditori, abbiano permesso per ignoranza o

connivenza che ciò accadesse.

1 L. Sciascia, Il giorno della civetta, Einaudi, 1961

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Emergerà nella trattazione l’importanza che la Confederazione Elvetica, distante

pochi chilometri, ha avuto nello sviluppo delle organizzazioni di stampo mafioso,

ruolo svolto anche dalla ricchezza del territorio che ha permesso il processo di

“accumulazione originaria” che porterà la criminalità organizzata e la ‘Ndrangheta

in particolare ad entrare nel traffico di stupefacenti.

Non mancherà una breve relazione su quanto accade nelle province limitrofe a

Como, ossia quelle di Varese, Lecco, Milano e la Brianza in generale.

Si cercherà di comprendere quello che può essere considerato un “errore”

legislativo, ossia l’istituto del soggiorno obbligato del ’56, esteso agli indiziati per

mafia nel ’65, il quale ha favorito l’insediamento di personaggi legati alla

criminalità organizzata nell’Italia settentrionale: molti boss non sono emigrati dalla

propria terra d’origine solo per il confino, ma hanno anche sfruttato i flussi

d’emigrazione meridionale “mimetizzandosi” in essi.

Nel II capitolo si evidenzieranno i legami della cosiddetta “zona grigia” con le

organizzazioni mafiose, con un’analisi approfondita delle vicende di tre comaschi

che hanno stretto alleanza con la ‘Ndrangheta per ottenere benefici comuni: gli

imprenditori Perego e Mandelli e l’avvocato Minasi.

Verrà poi presa come “perno” dell’azione dell’antimafia sul territorio l’operazione

“I fiori della notte di San Vito” del giugno 1994, la quale verrà trattata soprattutto

attraverso le carte della Sentenza della Corte d’Appello, numero 1968/98, messe a

disposizione dalla Procura Generale del Tribunale di Milano.

Si parlerà approfonditamente anche dell’ultimo grande blitz contro la ‘Ndrangheta

in Lombardia, ovvero dell’operazione “Infinito” del luglio 2010, analizzando

l’ordinanza di custodia cautelare del GIP del Tribunale di Milano.

Infine la tesi tratterà delle risposte della società civile comasca all’azione mafiosa,

analizzate grazie a colloqui con il Prefetto di Como, dr. Michele Tortora, con un ex-

dirigente di Confindustria Como, dr. Mario Giudici, e con il direttore del Progetto

San Francesco, dr. Alessandro De Lisi. Progetto che consiste nel creare un Centro

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di Studi contro le mafie, il primo in Europa, scegliendo come sede una villa

confiscata alla mafia a Cermenate, un comune della provincia di Como.

CAPITOLO I

1.1 Come è arrivata la mafia a Como: perché ha potuto allargarsi e

radicarsi

Como è una città di circa 85’000 abitanti, posta su di un ramo dell’omonimo lago di

manzoniana memoria, ed è situata a circa 10 km dalla Svizzera, 50 km da Milano,

30 km da Varese e 30 km da Lecco.

Contando i vari comuni che attorniano la città, ben 163, gli abitanti complessivi

salgono a circa 595’000; inoltre ha una exclave nel territorio svizzero, rappresentata

dal Comune di Campione d’Italia.

Bisogna inoltre ricordare che fino al 1992 la quasi totalità dell’attuale Provincia di

Lecco apparteneva a quella comasca.

La città è situata in una posizione abbastanza centrale per lo sviluppo di tutti i

traffici, legali e non, che passano attraverso queste zone.

La sua vicinanza alla Confederazione Elvetica, raggiungibile sia per strada sia per

lago, la rende una meta privilegiata per il commercio con essa, e anche le varie

organizzazioni criminali di stampo mafioso se ne accorgono.

Di tali organizzazioni le principali in Italia sono tre: Camorra, ‘Ndrangheta e Cosa

Nostra; sono presenti anche Sacra Corona Unita e Stidda, ma esse hanno una

presenza marginale rispetto alle altre tre.

Queste organizzazioni mafiose sono differenti tra di loro: la prima nasce in un

contesto di degrado urbano, estendendosi dalla città, Napoli, fino alle campagne,

area vesuviana e casertana. Essa è un fenomeno popolare nato nella città che, come

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ricorda Enzo Ciconte, «al momento dell’Unità d’Italia era la più grande metropoli

d’Italia»2. Dunque è anche vero che la Camorra, e le organizzazioni mafiose in

generale, abbia iniziato a prosperare sì in condizioni di decadenza, ma in un

ambiente dove poteva contare su un relativo sviluppo economico.

La Camorra come associazione nasce nel 1820, con un proprio Statuto, per

governare, e anche esercitare, la violenza che viene vista come un modo per riuscire

a sopravvivere al degrado urbano.

Essa, poi, si sviluppa e arricchisce con il contrabbando (soprattutto di sigarette

grazie alla chiusura del porto franco di Tangeri nel 1956) e a metà degli anni ‘70

ottiene i capitali necessari per entrare nel traffico degli stupefacenti. Infine dagli

anni ’90 circa ai suoi traffici aggiunge il riciclaggio di denaro.3

Cosa Nostra nasce invece dal latifondo siciliano descritto da Giuseppe Alongi nel

suo libro come «il concime da cui attinge con rigoglio la mala pianta della

maffia»4, e dalla violenza esercitata dai campieri sui contadini per conto dei

gabellotti, i quali sono alle dipendenze del proprietario terriero che vive in città.

Anche quella che, nel linguaggio comune, viene denominata “mafia” si sviluppa

grazie allo sviluppo economico, portato anche dalla nascita della Regione Sicilia e

dalla Cassa del Mezzogiorno che permettono a Cosa Nostra di avere capitali per

“inurbarsi” e per poi, intorno alla metà degli anni ’70, di fare il “salto di qualità”

entrando nel traffico di stupefacenti. Ulteriore evoluzione sarà poi il riciclaggio di

denaro5.

La ‘Ndrangheta è un’organizzazione criminale mafiosa più recente rispetto alle

altre due e ci è voluto molto tempo per considerarla una “mafia” differente dalle

altre: ciò è testimoniato anche dal fatto che l’art. 416-bis del Codice Penale, del

1982, non la nomina. Il testo dell’articolo recita infatti:

«Le disposizioni del presente articolo si applicano anche alla camorra e alle altre

associazioni, comunque localmente denominate, che valendosi della forza

2 E. Ciconte, ‘Ndrangheta padana, Catanzaro, Rubbettino, 2010, pag. 35

3 Lezioni di Sociologia della criminalità organizzata, Professor F. Dalla Chiesa

4 G. Alongi, La maffia nei suoi fattori e nelle sue manifestazioni: studio sulle classi pericolose della

Sicilia, Bocca, Torino, 1886 5 Ibidem

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intimidatrice del vincolo associativo perseguono scopi corrispondenti a quelli

delle associazioni di tipo mafioso»6. Solo nel 2010 verrà aggiunta al codice la

dicitura «alla ‘ndrangheta»7

Inizialmente essa è stata una criminalità gregaria rispetto alle altre, aiutando il

contrabbando di sigarette verso Napoli; grazie alle opere pubbliche ed ai sequestri

rapidamente colma il “gap” con Cosa Nostra e Camorra riuscendo ad entrare nel

traffico degli stupefacenti intorno ai primi anni ’80. Ma dagli anni ’90 essa diventa

la criminalità egemone, beneficiando dello scontro frontale tra Cosa Nostra e lo

Stato e grazie al proprio “patto federativo” del 1991.

Questo tipo di criminalità ha una maggiore propensione ad espandersi, tant’è che si

può definire “colonizzazione” quella che ha attuato e sta attuando nel Nord Italia e

nel resto del mondo (Germania, Australia, Canada, America Latina…)8

Tuttavia queste tre organizzazioni, hanno anche degli aspetti che le accomunano:

hanno il controllo del territorio in cui si sviluppano, creano dei rapporti di

dipendenza personali e rapporti organici con la politica, ed usano la violenza come

regolatrice dei conflitti. Questi sono i requisiti del modello mafioso e dovunque essi

si installino, impiantano questi elementi.9

Como è stata coinvolta dalla strategia di espansione delle organizzazioni mafiose,

in particolar modo di quella della ‘Ndrangheta.

Questa strategia è stata favorita dall’istituzione del soggiorno obbligato nel 1956

per le «persone pericolose per la sicurezza e per la pubblica moralità»10

, estesa poi

nel 1965 «agli indiziati di appartenere ad associazioni mafiose»11

; «tra il 1961 e il

1971, calcola la Commissione Antimafia, in Lombardia sono arrivate ben 372

persone sottoposte a sorveglianza speciale, soprattutto per indagini di mafia. Nella

provincia di Milano se ne contano 48, a Bergamo 61, a Brescia 51, a Como 44, a

Cremona 36, a Mantova 34, a Pavia 48, a Sondrio 21 e a Varese 29. Considerate le

6 URL= http://www.camera.it/_bicamerali/leg15/commbicantimafia/files/pdf/Art_416bis.pdf

7 D.L. 04 febbraio 2010, n.4, art. 6 comma 2

8 Lezioni di Sociologia della criminalità organizzata, Professor F. Dalla Chiesa

9 Cfr. F. Dalla Chiesa, La Convergenza, Melampo, Milano, 2010, pagg. 35-36

10 Legge 27 dicembre 1956, n. 1423

11 Legge 31 maggio 1965, n. 575

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distanze assolutamente ridotte tra i nove capoluoghi di provincia lombardi (e

anche di molti centri di altre regioni limitrofe: 288 confinati sono infatti in

Piemonte, 246 in Emilia Romagna e 143 nel Veneto), appare chiaro quali e quanti

contatti, in un decennio, possano aver mantenuto tra loro i quasi quattrocento

personaggi in odor di mafia.»12

Quindi è vero che le organizzazioni mafiose hanno iniziato questa espansione in

una loro strategia di “colonizzazione”, ma è pur vero che le Autorità competenti

hanno dimostrato di non comprendere il fenomeno mafioso, non distinguendolo da

una semplice forma di criminalità seppur organizzata, e anzi favorendolo in questo

loro disegno criminoso.

Oltre a ciò anche le popolazioni autoctone hanno favorito l’insediamento di queste

associazioni, non esplicitamente ma, come succede nelle regioni a tradizionale

presenza mafiosa, implicitamente, con l’omertà.

Ciconte scrive: «Ma non avevano detto che a Milano la mafia non c’era? Che era

un problema dei terroni, di quelli lì del Meridione, violenti e un po’ selvaggi? Che

mai e poi mai i mafiosi avrebbero potuto vivere e radicarsi in Lombardia? Sì, lo

avevano detto in tutti i modi giornalisti della carta stampata e della televisione, e

un’infinità di uomini politici, altre persone importanti, imprenditori, bancari e

banchieri […]. Non siamo terroni, noi, dicevano. Sono loro che hanno la mafia,

non noi. Ci teniamo alla nostra immagine pulita, di lavoratori onesti. Se si parla di

mafia pensano che anche noi siamo mafiosi.»13

Questo è il “sentir comune” della persone del Nord: c’è il timore di rovinare il

proprio buon nome, il buon nome della propria terra, che si sente affiancato a quello

di una realtà diversa, che si vuol tener lontana.

E’ stato proprio questo atteggiamento che ha garantito un’invisibilità materiale alle

varie organizzazioni mafiose, e che ha permesso loro di penetrare e colonizzare il

territorio, senza che nessuno protestasse. A dire il vero le proteste ci sono state, i

sentori di questa presenza qualcuno li aveva avvertiti: ma le critiche non hanno

permesso di sentire le loro voci.

12

M. Portanova, G. Rossi, F. Stefanoni, Mafia a Milano, Milano, Melampo, 2011, pag. 53 13

E. Ciconte, op. cit., pag. 10

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Inoltre è sempre valida la massima latina “pecunia non olet”, il denaro non ha

odore. Ciò è vero al Sud come al Nord: molti imprenditori non si sono preoccupati

della provenienza del denaro, della reputazione che avevano le persone che lo

offrivano, ma lo accettavano e in questo modo favorivano l’insediamento di

esponenti della criminalità organizzata nelle proprie imprese, nelle proprie città.

Si riesce ad ottenere così il controllo del territorio, che è il primo, e forse il

principale, requisito del modello mafioso.

Como è una provincia attorniata da circa 160 comuni nei quali, date le loro

relativamente piccole dimensioni, le organizzazioni criminali di stampo mafioso

hanno la possibilità di radicarsi con più facilità. Essa è una città produttiva dal

punto di vista industriale, come nel caso della lavorazione della seta che la rende

famosa in tutto il mondo, è “al centro” dei vari traffici commerciali tra le altre città

lombarde, e soprattutto con la Svizzera. e questi fattori la rendono una meta

“appetibile” per le varie organizzazioni criminali che qui possono ottenere profitti

grazie all’inserimento nell’economia legale.

Le organizzazioni mafiose hanno potuto contare su diversi fattori per potersi

espandere in regioni che non hanno una tradizionale presenza mafiosa:

legittimità: non ci sono denunce, né atti d’accusa e ci sono celebri frasi di

esponenti politici come quella di Vittorio Orlando «Mafioso mi dichiaro e

sono lieto di esserlo14

»; nascendo questa legittimità porta al consenso di

massa

invisibilità materiale: è un fattore di forza in quanto se essa non esiste la

popolazione non si mobilità contro di essa

invisibilità concettuale: la mafia è stata a lungo studiata

approssimativamente, dunque non attraverso uno studio coerente che

permettesse di comprendere meglio il fenomeno e di organizzare una

risposta adeguata ad esso

espansività: hanno una naturale tendenza all’espansione nel mercato

14

Cit. in F. Dalla Chiesa, op. cit., pag. 31

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8

impunità: se un mafioso non viene condannato continuerà l’obbedienza

della popolazione.15

Anche a Como la criminalità organizzata ha sfruttato questi fattori di forza,

riuscendo ad avere la complicità di settori dell’apparato politico-amministrativo e

degli industriali: ciò è esemplificato meglio dal fatto che alcuni imprenditori

taglieggiati, anziché denunciare i propri estorsori alle Autorità competenti, si

rivolgevano a personaggi di dubbia moralità, uno dei quali, spesso in accordo con

gli estorsori dell’imprenditore, intavolava una finta mediazione portando ad una

riduzione della somma richiesta. L’imprenditore si trovava dunque in una posizione

apparentemente più favorevole e ringraziava il mediatore, aumentando la legittimità

e il potere di quest’ultimo: inoltre l’imprenditore, così facendo, si trovava in debito

col mafioso, e al momento opportuno quest’ultimo lo farà valere.

Le organizzazioni mafiose si sono potute allargare in questa provincia anche a

causa di un disegno non unitario nelle attività di contrasto ad esse: le Autorità

competenti non hanno delineato un quadro attraverso cui svolgere la loro attività e

le operazioni antimafia sono state disparate, forse tese più alla repressione e

all’arresto dei colpevoli che alla comprensione del fenomeno che invece avrebbe

permesso un esito più favorevole nel contrasto.

Infine gli stessi quotidiani locali non hanno aiutato la popolazione a comprendere il

fenomeno: è vero che alcuni articoli su attentati, incendi ecc sono stati riportati alla

matrice mafiosa, ma non si può dire della maggior parte, e dunque i lettori non

hanno potuto, anche per questo, elaborare una coscienza critica al riguardo,

riconoscendo il fenomeno nelle sue manifestazioni e creando adeguati “anticorpi”.

La città lariana non è di certo la tranquilla meta turistica che si pensa: sono stati

molti gli episodi di intimidazione che hanno visto protagonisti negozianti,

imprenditori e cittadini. Solo tra il 2006 e il 2010, per restare in epoca recentissima,

sono stati ben trentasei gli atti che si pensa siano riconducibili alla criminalità

organizzata, disseminati in tutta la provincia, sia nella Cintura urbana, sia nella

15

Cfr. F. Dalla Chiesa, op. cit., pag 284

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Brianza, sia nell’Olgiatese e nell’Erbese.16

Nel 2010, «in marzo a Erba, Brianza,

vengono fatte saltare per aria nella stessa notte due discoteche. Un messaggio

chiaro, che non è solo la pretesa del pizzo, ma pretesa di controllo sull’industria

del divertimento, sui luoghi dove si mescolano gli ambienti sociali e si fa amicizia

con i rampolli della buona borghesia, dove si smercia la “roba” senza rischi. I

carabinieri dicono: “E’ stato una lavoro da professionisti”. Gli amministratori

locali sono di diverso parere: “E’ stata una ragazzata”».17

E a settembre del 2011

una bomba carta esplode davanti ad una trattoria di Olgiate Comasco, la cui

deflagrazione si sente anche a ottocento metri di distanza: anche qui i proprietari

dicono frasi simili: «Non abbiamo subito nè avvertimenti, nè richieste di denaro».18

Auto e mezzi di lavoro incendiati, spari contro vetrine, auto e case, e anche un

omicidio: quello nell’agosto del 2008 di Franco Mancuso per un regolamento di

conti. Tanto che, nell’ottobre del 2011, il direttore di Confcommercio Como,

Graziano Monetti, si dice preoccupato per ciò che accade19

.

Sembra dunque una situazione simile a quella che descriveva Franchetti, deputato

del Regno d’Italia, nel 1876, a conclusione del viaggio in Sicilia che produsse

un’inchiesta firmata dallo stesso Franchetti insieme a Sonnino, altro deputato che si

occuperà del secondo libro nato da questa inchiesta. Certo, le circostanze nel caso

di fattispecie sono molto diverse, ma vi sono delle affinità, soprattutto quando il

deputato afferma che «Il timore della sanzione contro chi fa una denunzia, porta

una testimonianza, o presenta una querela a danno di un prepotente di qualunque

grado, è più efficace che quello della sanzione penale contro chi rifiuti la sua

cooperazione alla giustizia in caso di delitto, o quello del danno materiale di chi

subisce un’ingiustizia senza respingerla colle difese fornite dalla legge»20

16

Cfr. “La Provincia”, 7 novembre 2011, pag. 9 17

F. Dalla Chiesa, op. cit., pagg. 238-239 18

Cfr. “La Provincia”, 19 settembre 2011 19

Cfr.“La Provincia”, 29 ottobre 2011, pag. 17 20

Cfr. L. Franchetti, Condizioni politiche e amministrative della Sicilia, Barbera, Firenze, 1877

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1.2 Geografia mafiosa in provincia

Come è avvenuto in generale per la cosiddetta colonizzazione, le organizzazioni

criminali di stampo mafioso sono arrivate nel territorio comasco intorno agli anni

’60, attraverso il confino che portava i sospettati di appartenere alla criminalità

organizzata ad essere inviati nel Nord Italia.

Ma è a cavallo degli anni ’80 e ’90 che le organizzazioni criminali di stampo

mafioso, e la ‘Ndrangheta in particolare, arrivano a livelli tali da attirare

l’attenzione delle autorità pubbliche che effettuano operazioni contro di esse, come

nel caso delle operazioni “Leopardo” del 1992, “Nord- Sud” del 1993, “I fiori della

notte di San Vito” del 1994.

La “Relazione sulle risultanze dell’attività del gruppo di lavoro incaricato di

svolgere accertamenti su insediamenti e infiltrazioni di soggetti ed organizzazioni

di tipo mafioso in aree non tradizionali”, un sottogruppo della Commissione

Parlamentare Antimafia con relatore Carlo Smuraglia, nei riguardi della Lombardia

e della zona brianzola in particolare, afferma che «risulta la distribuzione della

criminalità mafiosa su tre fasce: una interna alla città, con particolare

concentrazione attorno alle periferie; una nell’hinterland più vicino alla città (con

particolare riferimento ad alcuni comuni, come Trezzano, Cesano Boscone,

Corsico, Buccinasco); ed infine una fascia più esterna, concentrata essenzialmente

nel triangolo Milano-Como e Lecco-Varese comprendente tutta la Brianza. […] Le

indagini più recenti hanno evidenziato, tra le organizzazioni mafiose operanti a

Milano e nel triangolo Milano-Como-Varese, una suddivisione di operatività non

tanto a livello territoriale, quanto a livello di settori di interesse.

La camorra si dedica soprattutto alle rapine ai danni dei TIR, ai furti, ai falsi

nummari ed al gioco clandestino.

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La mafia e la ‘ndrangheta, invece, controllano il traffico internazionale di sostanze

stupefacenti e si dedicano al riciclaggio e alle attività imprenditoriali e

finanziarie.» 21

Questa firmata da Smuraglia è la prima Relazione organica sulla presenza delle

organizzazioni mafiose nelle aree non tradizionali, e nell’estratto citato viene

brevemente descritta tale presenza nella Brianza.

Nella realtà comasca si può affermare che sia la ‘Ndrangheta l’organizzazione

criminale di maggior peso, organizzazione che tra l’altro è la più abile delle tre

“mafie” a colonizzare il territorio e a svilupparsi.

Cosa Nostra ha avuto, e ha tuttora, perché non si può credere che sia sparita

completamente, una presenza sul territorio, ma negli anni ’90, tale presenza è

andata scemando, sia in seguito agli arresti susseguiti alle stragi del ’92-’93 che

hanno portato in carcere diversi esponenti riconducibili a tale criminalità

organizzata, sia perché è stata la ‘Ndrangheta a fare la scelta vincente, puntando

sulla cocaina e non sull’eroina come fece invece Cosa Nostra.

La ‘Ndrangheta ha potuto crescere in maniera esponenziale grazie ai cosiddetti

“coni d’ombra”22

: il primo si è avuto con il terrorismo, creatosi allorché

l’attenzione pubblica e mediatica era tutta incentrata sulle Brigate Rosse e i

sequestri di persona passarono in secondo piano; il secondo si ebbe quando Cosa

Nostra sfidò frontalmente lo Stato attraverso le stragi (si parla di variabile politico-

mediatica); il terzo è dato dalla lotta ai clandestini, spesso usati nel lavoro in nero.

Terzo cono d’ombra diverso dagli altri due in quanto «nei primi due casi il cono

d’ombra è il prodotto contingente della storia, in questo terzo caso esso discende

da una libera scelta politica, diventa un regalo insperato da parte di chi può

decidere le sorti e le urgenze della regione.»23

La seconda variabile da analizzare quando si esamina la ‘Ndrangheta e le ragioni

che l’hanno portata al primato non solo nel comasco ma tra le varie organizzazioni

21

Cfr. Relazione sulle risultanze dell’attività del gruppo di lavoro incaricato di svolgere

accertamenti su insediamenti e infiltrazioni di soggetti ed organizzazioni di tipo mafioso in aree non

tradizionali, 1994, URL=http://legislature.camera.it/_dati/leg11/lavori/stampati/pdf/36356.pdf 22

Cfr. F. Dalla Chiesa, op. cit., pagg. 225-226 23

F. Dalla Chiesa, op. cit., pag. 228

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mafiose è di tipo strategico-organizzativa: questa organizzazione è riuscita a

stipulare un proprio patto federativo nel 1991, che ha avuto come conseguenza il

controllo degli omicidi in modo tale da non far emergere tale realtà, e allo

spartimento dei profitti tra i clan senza faide intestine, come la seconda guerra di

mafia tra il 1985 e il 1991 e che portò a circa 700 morti (la prima fu nella metà

degli anni Settanta con oltre 200 morti). Una terza variabile, molto importante, è di

tipo culturale: la maggiore affidabilità della ‘Ndrangheta come organizzazione

criminale. La “leggenda” che gli ‘ndranghetisti non parlano, che non vi siano

“pentiti” (anche se ciò viene smentito dai fatti) portano la criminalità organizzata

calabrese a godere di maggiore fiducia, soprattutto da parte dei cartelli della droga

latino-americani che non si fidano più di Cosa Nostra e si affidano per i loro traffici

proprio alla ‘Ndrangheta.

La quarta variabile è demografica: corrisponde alla disseminazione territoriale della

‘Ndrangheta. Tale organizzazione cerca di espandersi dappertutto, sia nel Nord

Italia che all’estero (Australia, Germania...), sia seguendo che precedendo i flussi

migratori, mescolandosi dunque con i calabresi che si trasferiscono. Ultima

variabile da prendere in considerazione in questa analisi è di tipo internazionale: la

caduta del Muro di Berlino ha portato all’apertura di nuovi mercati nei Paesi ex-

comunisti, come ad esempio lo smaltimento delle armi nel mercato nero e la

‘Ndrangheta è stata abile ad inserirsi in questo contesto sfruttando le nuove

opportunità creatisi. Inoltre la dissoluzione dell’Urss ha portato a molte guerre,

anche geograficamente vicine come è avvenuto nei Balcani: ciò ha permesso un

aumento della vendita di armi e anche di droga, facendo dunque aprire nuove aree

territoriali.24

Per quanto invece riguarda la Camorra, essa è la meno propensa delle tre a

colonizzare un territorio, soprattutto nel Nord, e ad espandersi, sia in quanto è un

fenomeno popolare che si sviluppa nel degrado ambientale, sia in quanto la

presenza ‘ndranghetista è già molto forte nel Settentrione.

Si è comunque registrata una presenza di questa organizzazione, come si evince ad

esempio dal sequestro avvenuto nell’ottobre 2010 di un fabbricato a Faggeto Lario,

24

Cfr. F. Dalla Chiesa, op. cit., pag. 251

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13

sulle rive del Lago di Como, di proprietà dell’imprenditore Giuseppe Felaco.

Felaco è un esponente di spicco del clan Polverino che gestisce la zona di Marano,

un popoloso comune nella cerchia a nord di Napoli.

Secondo la Relazione annuale sulla criminalità organizzata dello Scico della

Guardia di Finanza, nella provincia comasca è anche presente il clan guidato da

Pasquale Puca, operante tra Bregnano e Cermenate.

Con l’operazione “Catfish” si è scoperto che anche la Sacra Corona Unita si è

espansa a Como, mettendo una base per i traffici di droga guidata dal boss

Germano Solito, arrestato poi nel corso di tale operazione.25

Una delle principali indagini sul fenomeno mafioso nella provincia comasca si apre

con l’arresto di Calogero Marcenò, all’epoca residente a Puginate in provincia di

Como, la sera del 16 aprile 1992: egli stava partendo per la Sicilia con delle armi

dirette a Leonardo Messina, capoclan di San Cataldo legato a Giuseppe Madonia,

che venne arrestato il 18 aprile.26

Il 30 giugno 1992 Leonardo Messina ha iniziato a collaborare con l’Autorità

Giudiziaria (precisamente con il Procuratore aggiunto di Palermo, Paolo Borsellino,

e con il dr. Roberto Aliquò), affermando di aver fatto affari con Marcenò,

conosciuto da ragazzo in quanto suo concittadino di San Cataldo, e con Salvatore

Maimone, socio di questi nelle attività illegali.

Messina afferma che sia Marcenò che Maimone erano affiliati alla ‘Ndrangheta

calabrese, inseriti in una struttura regionale guidata da Giuseppe Mazzaferro, della

famiglia Mazzaferro di Marina di Gioiosa Ionica, trasferitosi in Lombardia a

seguito dell’applicazione del divieto di soggiorno in Calabria.

Messina dichiara di aver ripreso i contatti con Marcenò quando questi dal 1990 era

stato sottoposto alla misura di obbligo di soggiorno a Bulgarograsso, in provincia di

Como.

Da queste dichiarazioni scattò l’operazione “Leopardo”, che portò in carcere, oltre

al già citato Calogero Marcenò, anche Giuseppe Marcenò, Salvatore Maimone e

Giuseppe Mazzaferro.

25

Cfr. URL= http://www.omicronweb.it/wp-content/uploads/2008/01/omicron8.pdf 26

Colloquio con dott. Bodero Maccabeo, capo della Procura della Repubblica di Como

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Dopo il loro arresto sia Calogero Marcenò sia Salvatore Maimone hanno iniziato la

loro collaborazione con la giustizia, dichiarando il primo di essere stato affiliato

alla Locale di Como nel 1984 dove aveva raggiunto la dote di “camorrista” e di

essere poi divenuto capo della Locale di Varese a partire dal 1990 con la dote di

“trequartino”. Maimone ha dichiarato di essere stato affiliato alla Locale di Como

da Marcenò e di aver fatto poi parte della Locale di Varese.

Per meglio comprendere il fenomeno ‘Ndrangheta è doveroso a questo punto fare

una specificazione sulla sua struttura: essa, come racconta tra gli altri Nicola

Gratteri, «si articola in “Locali”, “cosche” e “ ‘ndrine”. La cosca o ‘ndrina si

fonda in larghissima misura su una famiglia di sangue. Più cosche, legate tra di

loro, danno vita al Locale, che costituisce l’unità fondamentale di aggregazione

mafiosa su un determinato territorio, quasi sempre coincidente con un paese o con

il rione di una città.

Per la costituzione del Locale è necessaria la presenza di almeno 49 affiliati.»27

Afferma che vi è una divisione gerarchica della ‘Ndrangheta, tra la Società

Maggiore e la Società Minore, dove «la caratteristica dei vari gradi è la “dote”

che indica il valore di merito conferito ad un affiliato nel corso della sua carriera e

che aumenta progressivamente: più è pesante e più conta.»28

Per quanto riguarda i clan presenti in provincia, a Cermenate vi è la cosca

Paviglianiti-Latella; nel 1996 vengono arrestati i capi di questa Domenico

Paviglianiti e Giovanni Puntorieri nel corso dell’operazione “Europa”.

Altre ‘ndrine calabresi operanti nel territorio sono state quella dei Trovato, degli

Spinella-Ottinà e dei Mazzaferro: Franco Coco Trovato è stato per anni il boss

indiscusso del lecchese e che gestiva affari anche a Como e nella Brianza; i secondi

gestirono il traffico di stupefacenti tra Como, Fino Mornasco, Rovellasca e Saronno

dagli anni Ottanta al 1993, anno dell'esecuzione del loro capo Diego Spinella. Il

clan Mazzaferro invece è stato praticamente decimato da due operazioni delle forze

dell’ordine nei loro confronti: nel giugno 1994 l’operazione “Fiori della notte di

San Vito” portò all’arresto di circa 400 persone, compreso il boss Giuseppe

27

N. Gratteri, A. Nicaso, Fratelli di sangue, Mondatori, 2012, pagg. 65-66 28

Ibidem, pag. 70

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15

Mazzaferro, mentre nel novembre 1996 scatta l’operazione “Fiori della notte di San

Vito 2” che porta all’emanazione di 97 provvedimenti di restrizione.

La trattazione delle vicende legate a questo clan verrà qui brevemente accennata, e

ripresa nel terzo capitolo quando verrà analizzata più specificatamente questa

operazione e verrà meglio delineata l’organizzazione facente capo a Giuseppe

Mazzaferro, impropriamente presentata come una scissione, in quanto la

‘Ndrangheta è una struttura unitaria e la “divisione” è solo a livello operativo, come

si vedrà più nei dettagli.

Quella legata ai Mazzaferro è una evoluzione della ‘Ndrangheta, una scissione di

quella del nord che non ha più sentito l’esigenza di recarsi alla riunione annuale di

Polsi in Aspromonte e che si è affrancata dalla Calabria per la propria

organizzazione e per il conferimento delle doti. Elemento di novità è anche il fatto

che le nuove Locali nel territorio perseguano gli interessi personali di Mazzaferro,

ossia il traffico di cocaina.

Nell’ “altra” ‘Ndrangheta c’era bisogno del consenso della Calabria per affiliare

nuovi personaggi al nord, mentre nelle Locali del clan Mazzaferro questo assenso

non era necessario.

Mazzaferro manteneva rapporti con la ‘Ndrangheta calabrese, infatti le persone che

appartenevano al suo clan pensavano di far parte di essa, ma non riconosceva altri

capi sopra di sé mentre sotto aveva un gran numero di Locali.

Come raccontato dal collaboratore di giustizia Raffaele Iaconis, le prime Locali al

Nord Italia sono state aperte negli anni Settanta, tra cui quella di Socco, frazione di

Fino Mornasco, fondata da Giuseppe Mazzaferro.

Nel 1976 c’è la decisione, da parte della ‘Ndrangheta calabrese, di creare una

“camera di passaggio”, ovvero una struttura per la presentazione delle nuove Locali

a Polsi, che serviva come metodo di controllo delle colonie lombarde.

Contemporaneamente Mazzaferro propose allo stesso Iaconis di federare le Locali

lombarde e la creazione di una propria “camera di controllo”, sovraordinata alle

stesse, per controllare il conferimento delle doti e l’apertura di nuove Locali.

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Questa “camera di controllo” avrebbe dunque scavalcato la “camera di passaggio”

decisa dalla Calabria e ha rappresentato il secondo passo di allontanamento dalla

“madrepatria”, seguito alla decisione di non partecipare più alle riunioni al

santuario della Madonna di Polsi e di riunirsi lo stesso giorno, il 29 agosto, a Fino

Mornasco.

Il clan Mazzaferro viene anche descritto come una “mafia giovane”, anche perché

decide poi di entrare nel traffico degli stupefacenti, più redditizio del contrabbando

di sigarette; è dunque “giovane” in quanto gli esponenti della “vecchia”

‘Ndrangheta calabrese erano contrari all’inserimento in tale traffico.

Nell’operazione “Fiori della notte di San Vito” viene evidenziato che tale clan ha

costituito sedici Locali in Lombardia, tra cui Como, Fino Mornasco, Senna

Comasco, Appiano Gentile, Cermenate e Mariano Comense.29

Sempre per quanto riguarda la ‘Ndrangheta nella provincia, la Relazione al

Parlamento sull’attività delle forze di polizia del 2004 afferma che: «Un'importante

operazione di servizio ha, infatti, confermato sul territorio la leadership della

criminalità calabrese, sia per numero di affiliati, sia per qualificati collegamenti

con paritetiche organizzazioni presenti nella Lombardia. E' emersa l'operatività

delle cosche reggine "Maesano-Pangallo-Paviglianiti" e "Sergi-Marando", per il

tramite di soggetti residenti in Mariano Comense e Novedrate, nel settore del

traffico internazionale di stupefacenti, di armi e esplosivi. È stata anche segnalata

l'operatività di soggetti calabresi nel settore delle estorsioni, della ricettazione di

autovetture, del riciclaggio di proventi illeciti e dell'usura soprattutto a Campione

d'Italia, nel quadro dei complessi interessi che ruotano intorno al gioco d'azzardo.

Non è da sottacere l’importanza strategica rivestita dal valico autostradale di

Brogeda attraverso il quale transitano stupefacenti, capitali illeciti e prodotti

contraffatti.»30

La Relazione dell’anno successivo aggiunge inoltre la presenza di elementi

riconducibili ai clan Trovato, Mazzaferro e Mancuso.31

29

Cfr. Sentenza della Corte d’Appello di Milano, n. 1968/98 30

Relazione al Parlamento sull’attività delle forze di polizia, sullo stato dell’ordine e della sicurezza

pubblica e sulla criminalità organizzata, Anno 2004, pagg. 263-264 31

Relazione al Parlamento sull’attività delle forze di polizia, sullo stato dell’ordine e della sicurezza

pubblica e sulla criminalità organizzata, Parte II, Anno 2005, pag. 258

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Nel luglio 2010 scatta l’operazione “Infinito”, la quale dimostra che nella provincia

di Como sono state aperte tre Locali di ‘Ndrangheta.

Una a Mariano Comense, che come si evince anche dall’operazione “I fiori della

notte di San Vito” è capeggiata da Salvatore Muscatello, mentre altri membri

importanti sono Francesco e Rocco Cristello, cugini di Rocco Cristello della Locale

di Seregno: la connotazione della Locale di Mariano Comense è quella di un

piccolo sodalizio dedito prevalentemente a trattare gli stupefacenti.

La Locale di Mariano Comense è stata la più importante del territorio fino

all’omicidio di Carmelo Novella, poi vi è stato un declino di Muscatello a favore

della Locale di Erba.

Un’altra Locale che si trova nel Comasco è la Locale di Erba, la quale, sulla base

delle risultanze investigative, è di recente costituzione. E’ composta da affiliati per

lo più originari di Isola di Capo Rizzuto e per questo è forte il collegamento con

esponenti della cosca Arena – Nicoscia che è egemone ad Isola. Tra gli affiliati vi è

Michele Oppedisano, nipote di Domenico Oppedisano, attuale capo del Crimine

della ‘Ndrangheta. Ciò ha fatto sì che vi sia anche un forte legame tra la Locale di

Erba e le famiglie della Piana

Questa Locale è la più potente del territorio e i Varca e Crivaro sono gli eredi di

Franco Coco Trovato, boss del Lecchese. Sono attivi nel traffico di stupefacenti,

nell’usura e nel movimento terra. Il legame tra il clan Trovato e la Locale di Erba è

testimoniato dal fatto che un ristorante di Erba era di proprietà di Francesco

Crivaro, affiliato a questa Locale, nel quale si tenevano summit di ‘Ndrangheta: e il

nome di questo, “Coconut”, è un chiaro “omaggio” al boss del lecchese.

A capo di questa Locale vi è Pasquale Giovanni Varca, il quale impone la sua

presenza nel settore del movimento terra ed è referente in Lombardia di Domenico

Oppedisano; detiene inoltre armi occultate nel maneggio di Erba, sede della Locale.

La terza Locale descritta dall’operazione “Infinito” è quella di Canzo-Asso, a capo

della quale vi è Luigi Vona, la cui importanza è sancita dalla sua partecipazione al

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summit di ‘Ndrangheta a Paderno Dugnano. Tra gli affiliati a questa Locale

troviamo Giuseppe Furci, il quale partecipa alla nomina del rappresentante generale

della Lombardia e accompagna Vona al maneggio di Erba in occasione di incontri

con esponenti della Locale di Erba.

Si può comunque affermare che in Como città e nei tanti piccoli comuni sulle

sponde del Lario non sia radicata la presenza mafiosa, cosa che invece non si può

dire del suo hinterland, anche più immediato: questa zona è infatti la più produttiva,

quella in cui si concentra la maggior parte delle industrie e le maggiori attività.

1.3 Situazione nelle realtà limitrofe: un’occhiata a Varese, Lecco e

Brianza

E’ importante analizzare l’espansione della criminalità organizzata nelle zone

limitrofe, sia per inquadrare meglio il fenomeno comasco in un contesto più ampio,

sia per evidenziare la pericolosità delle suddette organizzazioni

Nella provincia di Varese si è visto che la presenza delle organizzazioni mafiose si

è sviluppata con l’arrivo di Giacomo Zagari nel 1954, il quale riesce a riunire

attorno a sé una schiera di conterranei calabresi, tra cui i Pesce e i Bellocco, coi

quali inizierà a intraprendere attività delinquenziali.

Anche in questa zona, come nel resto del Nord, dopo il contrabbando le

organizzazioni mafiose sono passate ai sequestri di persona, al fine di proseguire

quel processo di accumulazione originaria che porterà poi ad avere i capitali

necessari ad entrare nel traffico degli stupefacenti. Gli ostaggi venivano poi spediti

in Aspromonte, e ciò dimostra che i rapporti tra le “colonie” e la “madrepatria”

erano molto stretti.

Potente boss del territorio divenne in seguito Antonio Zagari, figlio di Giacomo.

Egli, divenuto un collaboratore di giustizia, racconta di essere passato dal lavoro di

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operaio a compiere rapine armate, sequestri di persona, estorsioni e omicidi.

Ottenne il consenso degli imprenditori intercedendo per loro nei taglieggiamenti

che subivano –molto spesso era un “trucco” messo in atto da mafiosi a lui fedeli- e

riuscendo ad ottenere un prezzo più basso rispetto a quello di partenza.

Oltre alla ‘Ndrangheta calabrese, si riscontra la presenza della Stidda, la mafia

catanese, in costante contrasto con Cosa Nostra, salita agli onori della cronaca dopo

l’omicidio di Francesco Viola avvenuto in provincia nel 1990, ucciso per la faida

tra clan in Sicilia.

Risulta inoltre presente nella provincia di Varese anche la Camorra, presenza

verificata in occasione, sempre nel 1990, dell’omicidio di Roberto Cutolo, figlio del

fondatore della Nuova Camorra Organizzata.32

Per quanto riguarda invece la provincia di Lecco, va sottolineato il fatto che essa si

è costituita nel 1992, diventando autonoma da quella di Como, ed è divenuta tale

scorporando 84 dei suoi 90 comuni da tale provincia, mentre gli altri 6 da quella di

Bergamo. Nella trattazione è stato scelto di parlarne solo in questo paragrafo,

nonostante l’importanza che la città, e i vari comuni che la costituiscono, ha avuto e

la forte presenza mafiosa nel territorio che è stata scoperta dall’Autorità Giudiziaria

nel corso di varie operazioni.

In questa provincia la figura preponderante è quella di Franco Coco Trovato, boss

indiscusso del lecchese e affiliato alla ‘Ndrangheta, il quale, insieme al suo alleato

Pepè Flachi, domina il mercato della droga tra le province di Milano, Como e

Lecco.

Questo è stato dimostrato anche dalle rivelazioni del collaboratore di giustizia

Salvatore Annacondia, boss del clan Modeo di Taranto e affiliato alla Sacra Corona

Unita, a Cosa Nostra e alla ‘Ndrangheta, il quale «descrive prima le strategie

mafiose della Puglia, sua regione di provenienza, ma arriva subito a spiegare il

controllo su Milano, Como e Lecco dei boss della ‘ndrangheta Pepè Flachi e

Franco Coco Trovato.» 33

Trovato, nato in provincia di Catanzaro, arriva a Lecco nel 1967 come muratore,

ma decide subito di non perseguire la via della legalità: «infila una serie di rapine a

32

Cfr. Francesca Marantelli, Elaborato finale, “Le organizzazioni mafiose in provincia di Varese” 33

M. Portanova, G. Rossi, F. Stefanoni, op. cit., pag. 202

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banche, supermercati e portavalori. Entra nel giro dei sequestri di persona (come

quelli ai danni di Cristina Mazzotti, Giovanni Stucchi e Pietro Fiocchi) e

soprattutto del traffico di stupefacenti. A Milano, a fine anni Settanta, stabilisce

“ottimi rapporti” con Angelo Epaminonda e Gimmi Miano […] Coco Trovato

accumula alcune condanne e conosce Flachi intorno alla metà degli anni Ottanta,

rendendosi conto che, insieme, i due rispettivi clan possono dominare il mercato

della droga e della malavita milanese, comasca e lecchese.»34

Anche Antonio Zagari, boss ‘ndranghetista di Varese divenuto poi collaboratore di

giustizia, parla di Franco Coco Trovato: «La sua attività diventò il traffico di

stupefacenti che gestiva insieme ad Antonino Pristeri. Era legato alla famiglia di

Paolo De Stefano di Reggio Calabria. Il De Stefano era alleato di Nitto Santapaola

e dei palermitani.»35

Tale legame era anche di sangue, in quanto la figlia di Trovato, Giuseppina, si era

sposata con Carmine De Stefano, figlio del boss Paolo.

I Trovato sono alleati non solo dei De Stefano, ma anche degli Arena, clan mafioso

di Crotone, e della famiglia di Farao-Marincola, attivi anch’essi in Lombardia.

Giuseppe di Bella, divenuto collaboratore di giustizia dopo aver fatto parte del clan

Trovato, racconta le vicende del boss del lecchese, affermando che «nel 1975

Franco Coco Trovato ha già un piccolo esercito a disposizione, ma non ha i gradi

né il potere da santista. Tutti e due i riconoscimenti arrivano solo all’inizio degli

anni Ottanta.»36

Ma per arrivare a tali riconoscimento servono soldi e una giusta reputazione:

dunque commette numerosi omicidi e decide di entrare nel giro dei sequestri di

persona per racimolare ingenti quantità di denaro in poco tempo. Il primo sequestro

da lui organizzato è datato 26 giugno 1976, perpetrato ai danni di Cristina Mazzotti,

una studentessa di Eupilio, in provincia di Como, figlia di Helios Mazzotti,

imprenditore cerealicolo: da questo sequestro ottiene un miliardo di lire, ma la

figlia non tornerà mai a casa. Uccisa prima ancora di ricevere i soldi del riscatto, e

il cui corpo verrà ritrovato solo dopo il pagamento.

34

Ibidem 35

Ibidem, pag. 208 36

Gianluigi Nuzzi, Claudio Antonelli, Metastasi, Chiarelettere, 2010, pag. 91

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Tra i beni sequestrati alla cosca Trovato c’è un ristorante il “Wall Street”, che darà

il nome all’inchiesta condotta da Armando Spataro che porterà in carcere, e

all’ergastolo, il boss.

La situazione non è certo rosea nelle altre zone della Brianza; nella realtà limitrofa

a quella comasca troviamo le province di Monza-Brianza e di Milano.

Monza-Brianza è una provincia di recente costituzione, divenuta operativa nel

giugno 2009, situata tra le province di Como, Lecco, Varese, Bergamo e Milano.

I comuni che ne fanno parte non sono esenti da infiltrazioni mafiose: la giunta

comunale di Desio ha rassegnato le dimissioni, nel novembre 2010, per evitare che

questo fosse il primo comune lombardo ad essere sciolto per infiltrazioni mafiose e

potersi ripresentare alle elezioni successive. E’ Natale Iamonte a controllare questo

comune; egli nel 1988 arrivò qui attraverso il soggiorno obbligato, interessandosi

ed entrando nel business del mattone, senza disdegnare le relazioni con gli

esponenti politici.

«La Brianza è una delle zone a più alta densità mafiosa della Lombardia. Anche

qui le cosche calabresi hanno il monopolio di alcune attività edilizie, si legge nella

Relazione della Commissione Parlamentare antimafia del 2008. Le famiglie più

importanti, è scritto nella relazione, sono quelle vibonesi dei Mancuso e degli

Iamundo, e i Cristello di Mileto (Vibo Valentia), che controllano soprattutto i

comuni di Giussano, Seregno, Verano Brianza»37

Da questa citazione è facile intuire quanti interessi susciti la zona brianzola per le

organizzazioni mafiose, tanto che si arriva a sterminare il clan Miriadi per una

disputa sugli appalti edili: il tutto a Vimercate, non a Reggio Calabria. Si uccide

anche a Seregno, dove nel marzo 2008 sparano a Rocco Cristello, “contabile” della

Locale di questo comune.

«A Monza, continua la commissione antimafia, ci sono gli Arena e i Mazzaferro.

Tra Desio, Bovisio Masciago e Cesano Maderno, è presente “la famiglia Iamonte-

Moscato, originaria di Melito di Porto Salvo»38

37

M. Portanova, G. Rossi, F. Stefanoni, op. cit., pag. 399 38

Ibidem

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22

Milano è la capitale europea della cocaina, e questo traffico è gestito

principalmente dalla ‘Ndrangheta; le organizzazioni mafiose hanno così dei profitti

immensi, da reinvestire nelle attività legali. Tanto per dare un’idea dell’immensità

di questo traffico, Ciconte scrive «Il farmacologo Silvio Garattini, direttore

dell’Istituto di ricerca Famacologica Mario Negri, ha detto: “Dai nostri esami

sulle acque fognarie di Milano nel 2009 abbiamo scoperto che si consumano

almeno 10.000 dosi di cocaina ogni giorno, con un aumento del 50% nei week-

end”».39

Da qui sono passati tutti o quasi i maggiori esponenti della criminalità

organizzata: Joe Adonis, Francis Turatello, Michele Sindona, Luciano Liggio, i

Sergi, i Barbaro, i Papalia, Nitto Santapaola, i Mazzaferro, Giuseppe Calderone,

Tommaso Buscetta, Gaetano Badalamenti, Michele Greco, Gerlando Alberti,

Salvatore Riina e molti altri. Qui hanno tenuto riunioni, intessuto legami, hanno

imposto la loro presenza nella città e nella provincia, in tutte le attività: dal

movimento terra all’edilizia, dal contrabbando e al traffico di stupefacenti, senza

dimenticare l’importanza rivestito dall’Ortomercato. Sono dunque tanto gli interessi

in gioco nella capitale industriale del Paese, tanto che, forse, si può dire che Milano

sia diventata una delle capitali della ‘Ndrangheta, le quali però sono solitamente

paesi piccoli, come Platì e San Luca.

Ma, se si vogliono fare affari, uno tra i maggiori crocevia europei è proprio la

metropoli lombarda, dove tra l’altro si terrà l’Expo 2015, molto ambito dagli

interessi mafiosi.

A Milano, come dappertutto, la criminalità organizzata cerca contatti, legami con

gli esponenti politici: uno tra i requisiti del modello mafioso è proprio questo, i

rapporti organici con la politica.

Politica che ovviamente nega qualsivoglia tipo di legame con essi: «Eppure “a

Milano la mafia non esiste”, hanno dichiarato finora il sindaco (fino al maggio

2011) Letizia Moratti, il Presidente della Regione Roberto Formigoni, il prefetto

Gian Valerio Lombardi. “Ci sono 13 politici lombardi che hanno ricevuto i voti

della ‘ndrangheta” rivela invece il magistrato calabrese Nicola Gratteri. “E sono

39

E. Ciconte, op. cit., pag. 18

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ben 8 i consiglieri comunali di Milano che, secondo le indagini, hanno avuto

rapporti con i boss calabresi” aggiunge il sociologo Nando dalla Chiesa.» 40

Dunque “le mani della mafia” sono in tutta la Lombardia, la quale sta diventando

non solo la quinta regione di mafia, ma addirittura la quarta. E’ preoccupante

inoltre che in Lombardia la corruzione sia sempre più dilagante, tanto che negli

indici di corruzione ora, come Regione, è sotto la linea mediana.

La mafia non è più un fenomeno da “terroni”, ma è trasversale, taglia tutta l’Italia

da nord a sud, senza contare le ramificazioni in Europa e nel resto del mondo.

E tutta la Lombardia, da Milano a Como, da Varese a Lecco passando per la

Brianza, è infetta da questo cancro.

1. 4 Perché Como?

Como è una provincia attorniata da una numerosa miriade di comuni, 163, nei

quali, date le loro relativamente piccole dimensioni, le organizzazioni criminali di

stampo mafioso hanno la possibilità di radicarsi con più facilità. Essa è una città

produttiva dal punto di vista industriale, come nel caso della lavorazione della seta

che la rende famosa in tutto il mondo, è al centro dei vari traffici commerciali tra le

altre città lombarde, vicinissima alla Svizzera, e questi fattori la rendono una meta

“appetibile” per le varie organizzazioni criminali che qui possono ottenere profitti

grazie all’inserimento nell’economia legale.

Inserimento in cui le organizzazioni criminali investono il 57% del loro fatturato,

come riportato da Serena Uccello. Per dare un’idea del volume di denaro che viene

riciclato scrive che «nella classifica in cui vengono investiti i capitali illeciti l’Italia

figura al quarto posto dopo Stati Uniti, Isole Cayman e Russia. Il 3,7% del

riciclaggio mondiale cioè passa per il nostro Paese: 55'500 milioni di dollari

secondo una stima dell’FMI (Fondo Monetario Internazionale)».41

A proposito del

40

G. Barbacetto, D. Milosa, Le mani sulla città, Chiarelettere, 2011, pag. 13 41

N. Amadore, La zona grigia, La Zisa, Palermo, 2007, pag. 9

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riciclaggio è utile a fini di completezza d’informazione, aprire una parentesi su

come esso si suddivida: «il processo di riciclaggio si articola in tre fasi

fondamentali: fase del collocamento (placement stage), attraverso la quale il

denaro proveniente direttamente dalle attività criminali viene tramutato in saldi

attivi di rapporti intrattenuti con intermediari finanziari (la cosiddetta moneta

scritturale); la fase del cosiddetto layering stage, in cui avviene il camuffamento

dell’origine e l’eliminazione delle tracce contabili del denaro sporco, soprattutto

attraverso ulteriori trasferimenti; la fase dell’integrazione (integration stage) in cui

avviene la completa integrazione del denaro proveniente da attività criminose nel

circuito legale, cioè il vero e proprio riciclaggio, e non si può più individuare la

matrice illecita.»42

Tornando sulla città lariana, essa è sede di grandi aziende, come l’impresa di

costruzioni Nessi&Malocchi S.p.A., le imprese tessili Mantero S.p.A., Ratti S.p.A.,

e Clerici Tessuto & C. S.p.A., l’azienda medica Artsana, la rete di ipermercati

Bennet e molte altre: tali nomi sono indice della ricchezza produttiva del contesto

comasco, che attrae chi è in cerca di profitto, non sempre in maniera legale; la

produttività comasca si concentra nel settore della seta, lavorazione che la rende

famosa in tutto il mondo.

Inoltre Como, e la Lombardia in generale, sono state il punto di arrivo per molti

meridionali, i quali si sono trasferiti nel nord industriale alla ricerca di lavoro:

dunque la criminalità organizzata è stata anche facilitata dal fenomeno di

emigrazione dal sud, in quanto molto spesso si sono creati nel territorio lombardo

“gruppi” di concittadini nei quali era forte il legame di appartenenza alla terra

d’origine, e tra i vari legami che si sono portati dietro c’è quello di sottomissione

alla mafia.

Molti sono stati gli esponenti delle organizzazione mafiose a trasferirsi in

Lombardia di loro spontanea volontà, e non solo a causa del soggiorno obbligato;

trovando molti loro conterranei hanno ricreato le stesse situazioni, gli stessi

sentimenti e i rapporti di forza che vigevano al sud.

42

N. Amadore, op. cit., pag. 45

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25

Come già detto, però, questi hanno trovato terreno fertile anche nel nord, facilmente

assoggettato all’omertà, all’obbedienza creatasi attraverso l’intimidazione. Come

scrive ancora Ciconte: «Soprattutto in alcune aree del Nord l’immagine del mafioso

è strettamente legata a quella dell’uomo truce e violento, sanguinario, dal volto

lombrosianamente crudele. [...] L’equazione “mafioso=assassino” fu immediata, e

ad essa seguì la convinzione che se non c’è omicidio non c’è mafia, affermazione

che, come sanno tutti quelli che vivono in zone di mafia, non è assolutamente vera,

perchè si può controllare il territorio ed ottenere l’omertà della popolazione senza

bisogno di usare continuamente la forza bruta.»43

E le parole di Ciconte ricalcano

quelle dette molti anni prima, nel 1900, da Giuseppe De Felice Giuffrida, il quale

scriveva: «La maffia è dunque una società di sanguinari, di assassini o peggio?

Nemmeno ciò può sostenersi, senza correre il rischio di essere frequentemente

smentiti dai fatti.»44

Ed è evidente la similitudine tra le due vicende, e non nuoce

sottolineare la distinzione tra la realtà del Nord Italia riportata dal primo e quella

della Sicilia riportata dal secondo.

Oltre all’essere una città industriale molto produttiva, Como è stata “scelta” nel

processo di colonizzazione del territorio da parte della criminalità organizzata

anche per altri motivi: uno tra questi è la tranquillità della zona.

E’ questo un tema ricorrente nelle scelte di espansione poiché le organizzazioni

mafiose hanno bisogno di invisibilità per gestire i loro traffici illeciti; è anche più

facile riuscire a ottenere il controllo del territorio e imporre la loro presenza nei

piccoli comuni, nelle piccole città. Prima bisogna avere il controllo dei “pesci

piccoli”, delle piccole aziende, dei piccoli comuni per poi puntare più in alto.

Prendendo ad esempio un caso concreto che verrà trattato in seguito, non si può

immediatamente prendere contatti con aziende di grossa dimensione come la ditta

Perego Strade e chiedere il pizzo per farla lavorare: occorre prima avere un nome,

una reputazione di un certo tipo.

43

E. Ciconte, op. cit., pag. 34 44

Giuseppe De Felice Giuffrida, Maffia e delinquenza in Sicilia, Società editrice lombarda, Milano,

1900

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Como è stata “investita” dall’espansione mafiosa anche per un altro motivo, forse

più importante dei precedenti: la vicinanza alla Svizzera.

La Confederazione Elvetica dista circa solo 10 km, e dunque risulta facile

immaginare l’attrattiva che Como ha avuto per i personaggi legati alla criminalità

organizzata. Essi hanno potuto sfruttare i canali già aperti per i traffici illegali con

la Svizzera: il traffico illegale principale che si è sviluppato nel territorio comasco è

stato il contrabbando di sigarette estere, importate attraverso auto per lo più rubate,

e poi portate nel resto del Paese. Tale traffico avveniva non solo attraverso auto, ma

anche attraverso natanti, e ciò dimostra che per attraversare il confine anche il lago

svolgeva un ruolo fondamentale. Oltre alle sigarette, un volume di contrabbando

molto rilevante è stato quello di valuta, sia italiana che estera, importata ed

esportata oltre confine; venivano inoltre contrabbandati molti beni quali zucchero e

soprattutto caffè tostato.

Il contrabbando, insieme ai sequestri, hanno costituito il processo di accumulazione

originaria dei capitali, risultato poi fondamentale quando, intorno al 1975, le

organizzazioni mafiose, e la ‘Ndrangheta in particolare, hanno compiuto il salto di

qualità entrando nella gestione del traffico di stupefacenti. Il fatto che Como sia

“investita” dal traffico di cocaina è confermato anche da un cablogramma

pubblicato da Wikileaks e partito dall’ambasciata americana di Roma: il 3

novembre 2009 il file inviato parla dell’operazione “Colline comasche”, iniziata nel

2006 e conclusa nel 2008 e che ha portato all’arresto di 49 persone, 159 denunciati

alla DDA e un sequestro complessivo di 25 kg di cocaina, 1 di eroina, 10 auto e

13000 euro di proventi del traffico. Ma la città non è viatico solo di droga: in un

altro cablogramma, del settembre 2004 e partito dall’ambasciata USA di Ankara, la

città viene nominata come punto di passaggio del traffico di esseri umani che

vengono camuffati da turisti e con falsi passaporti.

Entrando nel giro della droga le organizzazioni mafiose hanno potuto acquisire

enormi quantitativi di denaro, il quale è stato reinvestito nell’economia legale, sia

per aumentarlo che per “ripulirlo”. Con l’ingresso nel traffico di stupefacenti45

è

cambiato il rapporto tra le organizzazioni mafiose e lo Stato: i profitti principali non

45

F. Dalla Chiesa, op. cit., pagg. 42-43

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vengono più da attività legali, come l’edilizia, condotte in maniera illecita, ma da

un’attività che è già illegale di suo, e dunque lo Stato non può più “tollerare” o far

finta di nulla, ma interviene. Facendo riferimento soprattutto a Cosa Nostra, ma in

un ragionamento che può essere esteso, con i necessari “distinguo”, all’intera

criminalità organizzata, con la droga “cambia” la mafia per diversi motivi. Il primo

è dato dalla maggiore forza a livello economico di cui ora dispone: «la Sicilia

diventa infatti la più grande raffineria del Mediterraneo. I canali criminali di Cosa

Nostra, gli stessi rapporti con l’America, consentono di sviluppare una rete di

affari incalcolabili.» Da questo volume di soldi deriva la necessità di darsi al

riciclaggio per “pulirli” e poterli investire nell’economia legale.

Hanno potuto dunque presentarsi agli imprenditori del territorio, sia delle regioni a

tradizionale presenza mafiosa che, soprattutto, quelle del Nord Italia concedendo

loro prestiti che però hanno portato i mafiosi, grazie ai tassi d’usura applicati, ad

assumere il controllo delle imprese stesse. Oltre a ciò entrano in nuovi settori,

soprattutto quello della sanità che rappresenta circa l’80% delle spesa di una

regione. Per avere tale settore si è anche disposti ad uccidere, come dimostra

l’assassinio di Francesco Fortugno, vice-Presidente del Consiglio della Regione

Calabria nonché medico; egli viene ucciso poiché la ‘Ndrangheta aveva puntato su

di un altro candidato, e con la sua eliminazione questo candidato sarebbe entrato in

Consiglio.

Il riciclaggio nel settore sanitario si ha soprattutto grazie all’apertura di nuove

cliniche e laboratori, le quali frutteranno alti profitti, grazie anche alle convenzioni

vantaggiose che vengono stipulate. Inoltre serviranno anche per uno dei requisiti

del sistema mafioso: le reti di dipendenza personali. Questo perché verranno dati

dei posti di lavoro, allargando dunque il consenso all’organizzazione mafiosa, e per

di più, lavorando nel settore della sanità, si acquisiranno delle benemerenze sociali

da parte dei cittadini ai quali verrà curata la salute.

Ciò comporta anche lo sviluppo delle reti di relazioni sociali, entrando a contatto

con primari, professionisti, assunti da loro, e anche attraverso i pazienti abbienti;

tali strutture sanitarie divengono anche dei bacini elettorali, in quanto il paziente

sviluppa un rapporto di fiducia e dipendenza col proprio medico e se questi gli dà

un consiglio elettorale, è molto probabile che il paziente segua tale consiglio.

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La Sanità offre delle opportunità aggiuntive, come la possibilità di fare favori

legali, ad esempio operare in giornata, e illegali, come ospitare latitanti dando ad

essi un nome falso. Inoltre l’ospedale è un luogo tranquillo per gli incontri mafiosi:

lo dimostrano le intercettazioni effettuate al “Felice villa” di Mariano Comense

dove, nel luglio 2008 dopo l’omicidio di Carmelo Novella, si riuniscono alcuni boss

del calibro di Antonino Lamarmore, capo della locale di Limbiate e mastro generale

dei clan calabresi e Vincenzo Mandalari, della locale di Bollate. Sono lì per parlare

con Salvatore Muscatello, capo della Locale di Mariano e lì ricoverato, per fare il

punto sulla situazione della successione allo stesso Novella.46

Oltre agli immensi profitti, con l’ingresso nel “giro della droga” la mafia cerca una

propria autonomia politica, cercando di mettersi “sullo stesso piano” degli

esponenti politici e finanziando le loro campagne elettorali. Questa prospettiva di

arricchimento facile e veloce porta però a dinamiche anomiche con rottura delle

regole che creano un aumento della conflittualità interna all’organizzazione. Questa

corsa al profitto ha portato erroneamente a pensare che la mafia diventasse

“impresa”, ma non è così in quanto il requisito principale del fenomeno mafioso è il

controllo del territorio. La rottura delle regole spinge verso una gerarchizzazione

con la lotta per arrivare a tale vertice (es. prima guerra di mafia vinta dai

Corleonesi). Questo eccesso di violenza, sia interno sia contro lo Stato, porta però

alla perdita del suo status di “invisibilità” materiale, e ad una forte reazione da parte

della società civile, soprattutto da parte degli studenti. Dunque il prezzo da pagare è

la perdita di consenso della popolazione.

Tornando ad analizzare come coi capitali ottenuti grazie alla droga la criminalità

organizzata entra nell’economia legale, è da notare che i mafiosi non si comportano

sempre allo stesso modo con gli imprenditori, in quanto ne esistono varie tipologie

con cui rapportarsi in maniera differente, e Rocco Sciarrone è abile a tracciare una

distinzione fra di essi.47

Egli li divide in tre classi, a seconda del modo in cui essi usufruiscono della

protezione mafiosa di cui la loro attività è fatta oggetto:

46

Cfr. “La Provincia”, 15 luglio 2010 47

Cfr. R. Sciarrone, Mafie vecchie mafie nuove, Roma, Donzelli, 2009

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imprenditori subordinati: ad essi è imposta una protezione passiva, sono

quelli che subiscono solo la forza intimidatrice mafiosa, senza trarne

alcun vantaggio

imprenditori collusi: è loro imposta una protezione, ma essa è attiva, in

quanto vi è un rapporto interattivo coi mafiosi che può essere fondato su

un fine comune

imprenditori mafiosi: sono imprenditori diversi da quelli schumpeteriani,

che invece sono pacifici; essi sono guerriglieri, hanno la volontà di far

parte della storia, immettono nel mercato dei servizi illegali

(categoria che, più che da Sciarrone, viene tratteggiata da Nando dalla Chiesa)

Nella provincia lariana si è potuta riscontrare l’esistenza della categoria degli

imprenditori mafiosi, ossia imprenditori che sfruttano la forza di intimidazione e i

capitali che vengono dati loro dalla criminalità organizzata per aggiudicarsi in

maniera illecita gli appalti e poter così ottenere benefici per sé e per

l’organizzazione. Esemplificativa è la vicenda, mostrata più avanti, di Ivano

Perego, il quale sfrutta il mafioso Strangio per intimidire i propri concorrenti.

Molti imprenditori comaschi, invece, risultano essere subordinati, ossia non

ottengono alcun beneficio dalla presenza mafiosa ed anzi ne risultano solo

danneggiati. Se non seguono i dettami della criminalità organizzata subiscono

incendi ai mezzi di lavoro o altri tipi di danni, e non denunciano tali atti per paura

di ritorsioni peggiori.

Nando dalla Chiesa traccia uno schema a proposito dei rapporti tra economia,

politica e criminalità:

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I cerchi “esterni” rappresentano politica, imprenditoria e

criminalità, mentre le zone interne sono i rapporti creatisi tra queste tre forze48

: gli

imprenditori mafiosi si inseriscono perfettamente in questo schema nello spazio

risultante dall’unione tra imprenditoria e criminalità.

Quello che è mancato a Como è stata la volontà di arginare il fenomeno mafioso,

evitando che si diffondesse anche in questa zona.

Ciò non è stato fatto dalla popolazione per diversi motivi che vanno dalla paura alla

volontà di essere complici, passando per l’invisibilità di cui la criminalità

organizzata ha goduto, ma anche dalle Autorità Giudiziarie, le quali non sono state

in grado di tracciare un quadro unitario dell’espansione mafiosa e di agire

all’interno di un progetto volto ad eliminarle sul nascere.

Senza contare che ammettere, in tempi non sospetti, che la mafia fosse a Como,

avrebbe nuociuto all’immagine del territorio e si è preferito far finta di nulla.

Ma questo “comune sentire” di non voler parlare di mafia nel territorio, ha portato

il capoluogo lariano ad essere il quarto comune in Lombardia per numero di beni

confiscati: ben 65 tra cui 10 aziende stando ai dati dell’ ANBSC (Agenzia

nazionale per l'amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati

alla criminalità organizzata)49

e che hanno portato, secondo il “Mafia index (1983 -

2009)” che misura la presenza mafiosa nelle varie province combinando gli omicidi

di stampo mafioso, beni confiscati, comuni sciolti per infiltrazione e i dati sulle

associazioni mafiose, a fare di Como la seconda provincia della Lombardia per la

diffusione della criminalità organizzata.

48

Cfr. F. Dalla Chiesa, op. cit. 49

Dati dell’Agenzia nazionale per l’amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e

confiscati alla criminalità organizzata del maggio 2012

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Ed è un dato allarmante, che dovrebbe suscitare indignazione e far muovere chi di

dovere per avviare un’intensa attività di contrasto, sia sotto il profilo della

repressione che attraverso lo sviluppo di una cultura civica della legalità

«La lotta alla mafia, il primo problema da risolvere nella nostra terra bellissima e

disgraziata, non doveva essere soltanto una distaccata opera di repressione, ma un

movimento culturale e morale che coinvolgesse tutti e specialmente le giovani

generazioni, le più adatte a sentire subito la bellezza del fresco profumo di libertà

che fa rifiutare il puzzo del compromesso morale, dell'indifferenza, della contiguità

e quindi della complicità»

La citazione del giudice Paolo Borsellino è riferita alla Sicilia, ma è perfettamente

inseribile nel contesto del Nord, dove bisogna riuscire a rifiutare il “puzzo della

complicità”

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CAPITOLO II

2.1 Il caso Campione d’Italia

Campione d’Italia rappresenta un’exclave italiana nel territorio del Canton Ticino,

ed è un comune fortemente integrato sia economicamente che amministrativamente

con la Svizzera, soggetto al regime doganale elvetico.

Il Casinò, uno dei quattro presenti in Italia, venne aperto nel 1917 per nascondere

un’attività di spionaggio: chiuso dopo due anni, riaprì nel marzo 1933. Nel 2007 è

stata inaugurata la nuova sede, che lo rende la casa di gioco più grande d’Europa.

Bisogna premettere che la costituzione di Casa da gioco avviene grazie ad una

deroga del codice penale, il quale vieta la pratica del gioco d’azzardo su tutto il

territorio nazionale, e dunque non vi è nessuna disposizione del codice che autorizzi

l’apertura di Casinò.50

L’attenzione dell’Autorità Giudiziaria sul Casinò di Campione d’Italia emerge nel

1983 quando, l’11 novembre, le forze dell’ordine fanno irruzione in questo e negli

altri tre casinò italiani: Venezia, Sanremo e Saint Vincent. «E’ il blitz di San

Martino, l’operazione destinata a togliere i veli alle presunte manovre illegali che

uniscono politici, affaristi di ogni genere e boss mafiosi»51

. Si dice anche che con

questa operazione «viene tolto il coperchio a un pentolone in cui ribolle una delle

vicende più maleodoranti accadute in Italia negli ultimi anni, i cui protagonisti

sono politici, affaristi e faccendieri, scoperti a braccetto con alcuni dei più noti

capi mafiosi.»52

La classe politica sia di Sanremo che della Valle d’Aosta esce distrutta

dall’inchiesta, che porta al banco degli imputati noti boss di Cosa Nostra, i quali

considerano i Casinò utili non solo sotto il profilo dell’immagine, ma anche come

luogo per riciclare denaro e prestare soldi ad usura.

Il Casinò di Campione, in particolare, viene considerato un’enorme “lavatrice” per

il denaro sporco da parte delle organizzazioni mafiose, che lì piazzano dei loro

50

Cfr. Codice Penale, Libro Terzo, Capo II, Sezione I, artt. 718 e ss. 51

M. Portanova, G. Rossi, F. Stefanoni, op. cit., pag. 175 52

G. Barbacetto,E. Veltri, Milano degli scandali, Laterza, 1991, Pag. 7

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uomini: Di Bella riferisce che c’era un uomo di Franco Coco Trovato, Angelo

Epaminonda racconta che Nitto Santapaola agiva attraverso Gaetano Corallo

all’interno della casa da gioco.

Il blitz di San Martino evita che le due cordate in corsa per aggiudicarsi la gestione

del Casinò di Sanremo, con i loro rispettivi rapporti di amicizia con politica e

criminalità organizzata, ottengano il risultato voluto.

Fu nel 1977 che i clan decisero di appropriarsi del Casinò comasco, e lo fecero

attraverso Bruno Masi, uomo di fiducia del conte Cotta che gestiva sia il Casinò di

Saint Vincent attraverso la Sitav, con Masi come amministratore unico, sia quello

di Campione attraverso la Getualte. In quell’anno Masi convinse Cotta a vendere la

Getualte a quello che risulterà essere un semplice prestanome: dietro di lui si

celavano infatti Ilario Legnaro e Gaetano Corallo, entrambi legati a Nitto

Santapaola. Grazie a tangenti elargite sia al sindaco di Campione, Felice De Baggis,

sia ad un esponente della minoranza in consiglio comunale ottennero nel 1978 che

la gestione del Casinò fosse concessa alla Getualte per altri cinque anni. E chi

cercava di fare il proprio lavoro onestamente non se la passava bene: un consigliere

comunale, Ferdinando Tanzi, venne percosso dopo aver denunciato gli illeciti dietro

alla gestione del casinò. E’ grazie ai soldi ottenuti illecitamente con questo Casinò

che sia Legnaro che Corallo acquistarono un Casinò nelle Antille, e poi tentarono la

scalata a quello di Sanremo.

Il processo di primo grado, apertosi il 10 ottobre 1989, conferma l’impianto

accusatorio dell’esistenza di un disegno mafioso che ha permesso dal 1977 al 1983

di impadronirsi del controllo del casinò; vengono condannati i politici di Campione

(e di Sanremo) e sarà assolto Nitto Santapaola per insufficienza di prove. Dopo

l’annullamento delle accuse per l’art. 416-bis da parte della Cassazione dopo la

sentenza di secondo grado, la Corte d’Appello di Milano riesce a confermare le

accuse di associazione mafiosa agli imputati.

C’è inoltre da aggiungere che periodicamente la Corte dei Conti condanna i vari

amministratori del Comune, per mala gestione, uso improprio dei fondi ecc, ma

sono voci che si perdono nel vuoto.

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Non solo viene riciclato il denaro a Campione, ma vi è anche un’altissima

percentuale di usurai, i quali prestano soldi sia a chi perde ai tavoli, sia a chi ne ha

bisogno e non può andare in banca a chiederli. Come registra negli anni ’90 il

sostituto procuratore della Repubblica presso la Direzione Distrettuale Antimafia di

Torino, Teresa Benvenuto, sta scomparendo la figura «del singolo usuraio, più

esposto al rischio di denunce e meno attrezzato in caso di inadempienze da parte

degli usurati»53

, mentre invece aumenta quello della criminalità organizzata nei

confronti di questa attività.

Attraverso l’usura, i clan mafiosi possono riuscire ad impadronirsi delle attività

legali delle loro vittime, le quali non riescono più a restituire il debito e l’unico

modo per pagare è appunto cedere la loro attività.

Ciconte afferma addirittura che «l’usura si sta così affiancando al traffico di

stupefacenti. Se una volta questa attività si poteva considerare residuale per il

mafioso, con il passare del tempo è diventata una delle sue attività principali.»54

Como dunque possiede anche questo fattore di attrazione per l’espansione mafiosa:

la presenza di un Casinò, che gode peraltro di privilegi fiscali derivanti dal fatto di

essere una zona extradoganale, il quale attira gli interessi della criminalità

organizzata che sfrutta i tavoli verdi per “pulire” il denaro sporco acquisito tramite

le proprie attività illegali, quali ad esempio il traffico di stupefacenti.

Ma non solo riciclaggio: all’interno del Casinò è facile incontrare e stabilire

connessioni e legami con industriali, esponenti della borghesia e politici con il vizio

del gioco. Ed è anche usato per infiltrarsi nell’economia locale.

Va segnalato che dopo il blitz di San Martino e vari commissariamenti per il

sospetto di infiltrazioni mafiose, non si sono più registrate tracce di scalate al

Casinò.

Il Casinò di Campione ora ha una gestione pubblica, alla quale partecipano la

Provincia di Como, la Provincia di Lecco, la Camera di Commercio, Industria,

Artigianato e Agricoltura di Como, e quella di Lecco, come deciso dalla legge n.

488 del 23.12.2008

53

E. Ciconte, op. cit., pag. 142 54

Ibidem, pag. 144

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2.2 “Pecunia non olet”: la vicenda Perego

“Chi è Ivano Perego?”

“Ivano Perego è colui che ha distrutto il movimento terra: rubava materiale ed è a

causa sua che nel giro di due mesi mi sono stati bruciati e fatti sparire camion e

macchine, ed è da due anni che non faccio altro che pagare debiti.”55

Risponde così, alla domanda del pm Alessandra Dolci, Leonardo Rusconi ex

titolare dell’omonima azienda di autotrasporti, gestita oggi dai figli e sull’orlo del

collasso. L’uomo, in Tribunale, ha indicato in Perego il responsabile del fallimento

della propria impresa per la sua concorrenza “sleale”.

Ivano Perego, nato a Cantù in provincia di Como, sembra il classico imprenditore

brianzolo, laborioso, dedito agli affari, ed è il giovane figlio di una famiglia di

costruttori a cui veniva data in mano un’azienda conosciuta nel Nord della

Lombardia.

L’edilizia ha rappresentato storicamente uno dei settori trainanti dell’economia

lombarda, vivendo di fasi di espansione e di recessione. Si è infatti avuta una

grande espansione nel dopoguerra fino alla metà degli anni sessanta, seguita da una

recessione che ha portato ad un crollo del mercato delle costruzioni fino a circa il

1980. Nel decennio successivo si è registrata una ripresa, ma dopo di essa, a causa

del mancato finanziamento delle opere pubbliche conseguenti allo scandalo

“Tangentopoli”, si è avuto un nuovo calo. Dal ’96 sono comparsi i primi segnali

positivi, e dagli anni 2000 il settore ha costantemente mostrato un andamento

positivo e nel 2007 si sono registrati i volumi produttivi più elevati registrati dal

1970. A partire dal 2008 è iniziato un calo produttivo che ha interessato i vari

comparti dell’edilizia e da un’indagine dell’ANCE (Associazione Nazionale

Costruttori Edili) di Como presso le ditte associate è stato evidenziato l’insorgere di

grande difficoltà all’accesso a credito. Negli anni seguenti si è confermata la

situazione di grave difficoltà in cui operano le imprese edili. L’ANCE ha stimato

che nel quadriennio 2008-2011 vi è stata una perdita nel settore delle costruzioni

del 14,7%.

55

Cfr. Interrogatorio di Leonardo Rusconi, cit. in URL=

http://www.stampoantimafioso.it/2012/03/05/perego-strade-dietro-le-sbarre-la-resa-dei-conti-quasi/

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36

Come mostra il grafico seguente, nel biennio 2006-2007 che precede la vicenda

Perego, su un totale di 246'000 lavoratori occupati, l’edilizia occupa l’8% di essi,

mentre la maggior parte è nel settore dei servizi.

Servizi

56%

Industria

35%

Edilizia

8%

Agricoltura

1%

Servizi

Industria

Edilizia

Agricoltura

E’ in questa situazione dell’economia lariana e in difficoltà finanziarie che nel 2008

l’azienda di Cassago Brianza costituisce la Perego General Contractor srl (PGC),

società che sembra solida ed affidabile, almeno in apparenza: partecipa a vari

appalti, come quello per la costruzione di una nuova struttura giudiziaria davanti al

Palazzo di Giustizia di Milano.

«A due mesi dalla costituzione ufficiale, la compagine della società cambia con

l’ingresso di società fiduciarie che hanno una funzione di schermo rispetto alla

proprietà sostanziale. Le indagini mettono a nudo questo schermo: la presenza di

Andrea Pavone e Salvatore Strangio nella società Carini non è casuale. Il 49%

delle azioni è loro.»56

Viene dunque tracciato un quadro di un certo rilievo: il gruppo Perego non è solo

una società a partecipazione mafiosa, ma una vera e propria società mafiosa.

In questa società troviamo due personaggi di rilievo, e non per le loro capacità

manageriali: sono due esponenti della criminalità organizzata che hanno un ruolo

importante in Perego.

56

E. Ciconte, op. cit., pag. 147

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37

Il primo è Salvatore Strangio, originario di Natile di Careri, accusato da parte

dell’Autorità Giudiziaria di acquisire «per conto della ‘ndrangheta, in particolare

delle ‘ndrine di Platì e Natile di Careri, la gestione e comunque il controllo delle

attività economiche della Perego Strade SRL, poi divenuta Perego General

Contractor, una delle maggiori società operanti in Lombardia nel settore del

movimento terra, garantendo con la propria presenza la equa spartizione dei lavori

tra le ‘ndrine calabresi e le corrispondenti locali della Lombardia»57

. Egli dunque

ha il compito di acquisire il controllo della società e di procurare vantaggi a terzi,

sempre legati alla ‘Ndrangheta.

Andrea Pavone, invece, nativo di Gioia del Colle e amministratore di fatto della

PGC, «favoriva l’ingresso in Perego General Contractor di Strangio Salvatore;

inoltre, quale suo diretto riferente, ne diveniva amministratore di fatto,

occupandosi direttamente della gestione delle operazioni finanziarie, poi non

andate a buon fine, della acquisizione di partecipazioni societarie in altre

importanti aziende nel settore delle opere pubbliche»58

. Egli si presenta come uomo

di fiducia delle cosche: viene definito come “creazione di Strangio” e rappresenta il

collegamento esterno tra Perego e quest’ultimo. Le indagini rivelano anche che

Pavone non era legato solo a Strangio, ma anche a Rocco Cristello della Locale di

Seregno.

Ma Strangio e Pavone non sono gli unici esponenti della criminalità organizzata in

contatto con Perego: pur essendo il presidente di una grande azienda lombarda, a

Corsico, Buccinasco e nelle zone circostanti deve lasciar lavorare Maurizio

Luraghi, accusato di associazione mafiosa nell’ambito del processo “Cerberus” e

complice del clan Barbaro-Papalia. Facendo sempre riferimento a quella che è stata

una delle prime e più complete opere contro la mafia siciliana, Franchetti descrive

due società «destinate all’esercizio della prepotenza e alla ricerca di guadagni

illeciti[...] dette, l’una dei Mulini, l’altra della Posa. [...]La società della Posa

57

Cfr. Tribunale civile e penale di Milano, Ordinanza di applicazione di misura cautelare personale,

N. 47816/08 R.G.N.R. mod. 21, N. 682/08 R.G.GIP, pag. 4, in URL=

http://www.genovaweb.org/Occ_op._Tenacia_Dda__Milano.pdf 58

Ibidem

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[...]aveva per iscopo apparente il mutuo soccorso. [...]Ai soci era proibito farsi

vicendevolmente concorrenza. Il capo destinava chi doveva lavorare, e chi

rimanere ozioso.»59

La vicenda Perego si avvicina molto a quella descritta: vi è in

entrambi i casi una società che decide chi si aggiudica gli appalti e in quali zone,

senza controllare o verificare quale azienda possa fare meglio lo stesso lavoro. Ciò

di cui si parlava era però il contesto di Palermo, e nel 1876. Non si parlava di certo

della Lombardia e negli anni 2000.

Quando Strangio entra in Perego, nasce un problema per la spartizione dei lavori

conferiti dall’azienda: Perego si era accordato con i cugini Michele e Domenico

Oppedisano, ma con la morte di Pasquale Barbaro viene a mancare il trait d’union

degli affari delle varie cosche calabresi.

Perego aveva inoltre un forte legame con Cosimo Verterame, subordinato a

Pasquale Varca collegato con gli Arena di Isola; si delinea così una

contrapposizione tra due clan, da una parte gli Oppedisano e dall’altra i Varca.

Per dirimere la questione le due famiglie vanno in Calabria a chiedere il parere di

Giuseppe Pelle, indicato come capocrimine della ‘Ndrangheta: questo dimostra che

gli affari in Lombardia vengono decisi in Calabria.

Gli Oppedisano sono contrari alla presenza di Strangio nell’impresa lombarda, dal

momento che se ne vogliono impossessare; ma Pelle decide a favore di

quest’ultimo, al quale continuerà a spettare la gestione dei rapporti con Ivano

Perego.

«Strangio sa bene quale sia la funzione della Perego, e lo dice con chiarezza “è

quella di mantenere centocinquanta famiglie calabresi”»60

. Si nota chiaramente

che qui non ci si trova nella situazione di un imprenditore subordinato o colluso con

l’organizzazione mafiosa: «con Strangio, la ‘ndrangheta è direttamente dentro

l’impresa: è quindi un rappresentante dell’organizzazione stessa a gestire in prima

persona i lavori. Con la compiacenza dell’imprenditore formale Perego – il quale

esplicitamente dismette tutti i suoi poteri di decisione in favore di Pavone e di

Strangio – la Perego diviene sostanzialmente una stazione appaltante a beneficio

della ‘ndrangheta.»61

59

Cfr. L. Franchetti, op. cit., pagg. 13-14 60

E. Ciconte, op. cit., pag. 152 61

Ibidem, pag. 158

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Ma Perego, Strangio e Pavone non si limitano ad ottenere illegalmente appalti nel

territorio, vogliono fare le cose “in grande”: sognano la scalata alla Cosbau Spa,

società trentina che aveva ricevuto anche delle commesse per svariati milioni per la

ricostruzione in Abruzzo dopo il terremoto, ma che ora era esposta

finanziariamente. Come scrivono gli inquirenti «mettere le mani su Cosbau vuol

dire entrare alla grande nel giro degli appalti pubblici»62

.

L’operazione non è per nulla semplice in quanto, oltre ai capitali che ad

un’organizzazione mafiosa non mancano di certo, bisogna ottenere le “carte in

regola”: cosa che viene fatta attraverso un sistema di “scatole cinesi” che permette a

Pavone di presentarsi come amministratore di una società “pulita”. Dall’ottobre

2009 Pavone riesce a diventare socio maggioritario della Cosbau: è riuscito a

ingannare esperti di Paesi diversi e le reticenze dei proprietari trentini.

Una volta che la Perego è entrata nel capitale sociale dell’impresa, Antonio

Oliverio, ex assessore della giunta Penati, viene messo come consigliere. Egli era

un consulente della stessa Perego, il cui compito era quello di avvicinare esponenti

politici ai quali chiedere dei “favori” e ottenere così dei vantaggi: è Ivano Perego

stesso a volere questo tipo di rapporto.

Ma a fine dicembre succede quello che nessuno si aspetta: Carlo Bonamini, al

vertice della Cosbau, dichiara che la documentazione relativa al deposito del titolo

di garanzia da parte della Royal Bank of Scotland è contraffatta.

Tutto l’impianto di scatole cinesi si svuota, Pavone e Oliverio vengono allontanati e

la Perego fallisce insieme a tutte le società che le gravitano attorno.

Oliverio non è l’unico politico con il quale Perego era in contatto: c’è stato un

incontro in un palazzo della Regione Lombardia con Massimo Ponzoni, assessore

alla qualità dell’ambiente della penultima giunta Formigoni. «Ponzoni – si legge

nell’ordinanza di cattura di Perego & soci – “fa parte del capitale sociale

dell’organizzazione” ed è il “salto di qualità” politico che attendeva

l’imprenditore brianzolo.»63

62

Cit. in E. Ciconte, op. cit., pag. 154 63

F. De Filippo, P. Moretti, Mafia Padana, Editori riuniti, 2011, pag. 150

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Bisogna ora riprendere l’organigramma societario della Perego: “l’addetto alla

sicurezza dei cantieri”, Strangio, a metà del 2009 viene allontanato, sostituito nella

sua funzione da Rocco Cristello della Locale di Mariano, e ci si affida alla sua

importanza nelle gerarchie ‘ndranghetiste, anche per difendersi dallo stesso

Strangio. Questo accade in quanto si teme che egli venga indagato e l’azienda,

soprattutto nella fase della scalata alla Cosbau, non se lo può permettere. Ma, come

visto, a fine 2009 la PGC fallisce.

La mafia dunque, riprendendo le parole di Ciconte, non è una cosa da terroni: le

infiltrazioni, le connessioni sono ovunque, in ogni regione d’Italia. E un

imprenditore brianzolo, nato a Cantù, che mangia cassoeula può benissimo essere

classificato come “imprenditore mafioso”, essendo una parte organica

dell’organizzazione mafiosa.

2.3 Perego e le ecomafie: il nuovo ospedale Sant’Anna

Ma Ivano Perego non si è occupato solo di vincere appalti in maniera illecita e di

far acquisire legittimità e profitti alle organizzazioni mafiose: viene accusato anche

di traffico illecito di rifiuti.

La mafia ha “fiuto” per gli affari, offre infatti ai vari imprenditori un servizio

innovativo, e lo fa ad ottimi prezzi: lo smaltimento dei rifiuti, soprattutto tossici.

Legambiente ha coniato un neologismo per definire il fenomeno: ecomafie.

I boss propongono alle aziende di smaltire i loro rifiuti tossici, che andrebbero

portati in apposite discariche e smaltiti con procedimenti speciali (e dunque alti

costi), a prezzi veramente vantaggiosi per gli impresari; essi dunque accettano

queste offerte, credendo (o meglio, volendo credere nel migliore dei casi) che essi

verranno trattati nel migliore dei modi, anche se il prezzo molto basso dell’offerta

dovrebbe far venire quantomeno dei dubbi al riguardo. Ovviamente la criminalità

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organizzata non ha alcuna intenzione di preoccuparsi della tutela dell’ambiente: per

aumentare il profitto usano delle apposite buche nel terreno nelle quali vengono

gettati ogni sorta di rifiuti tossici e pericolosi. Buche che poi verranno riempite con

altra terra o con una colata di cemento e, molte volte, sopra di esse verranno

costruiti edifici.

Il movimento terra dunque è importantissimo per le organizzazioni mafiose in

quanto permette anche di smaltire i rifiuti delle imprese e di ottenere doppio

guadagno sullo stesso terreno: sia la costruzione di edifici o quant’altro, sia di

sotterrare amianto e ogni altro tipo di rifiuto velenoso.

E Ivano Perego sfrutta i propri dipendenti proprio per questo: ed essi eseguono

sotto la minaccia del licenziamento, come raccontano gli stessi dipendenti nei

verbali degli interrogatori: «Andrea Pavone […] ci intimava a non contattare più i

sindacati e per qualsiasi cosa a rivolgerci direttamente a lui. In caso contrario

avrebbe indagato e preso provvedimenti, anche di licenziamento». Certo, i

dipendenti avrebbero dovuto denunciare, ma perdere il proprio posto di lavoro,

soprattutto durante una recessione economica, non è un’alternativa facile da

scegliere.

«Un altro dipendente della Perego dice ai magistrati: “ricordo in particolare la

presenza di diverso materiale pericoloso, in particolare bentonite, che veniva

caricata sui camion e poi da me ricoperta con terra di scavo normale al fine di

occultarne la qualità”»64

.

Ciconte, riportando le parole del giudice che si occupa della vicenda Perego, scrive

che Ivano Perego è un «personaggio veramente privo di scrupoli e che non ha

alcun problema a costruire sopra rifiuti pericolosi e costringere i camionisti a

gravi illeciti ambientali, pur di guadagnare.»65

Perego dunque utilizza i propri cantieri per seppellire materiali pericolosi, evitando

di sobbarcarsi costi alti per portarli in apposite discariche: la terra smossa per un

cantiere crea una buca adatta per depositare tali rifiuti che poi verrà ricoperta.

64

E. Ciconte, op. cit., pag. 161 65

Ibidem, pag. 167

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Attraverso l’intimidazione e la corruzione impone la propria presenza in vari

cantieri, tra cui quello dal quale è sorto il nuovo Ospedale Sant’Anna di Como.

Molti dipendenti denunciano gli scarichi di rifiuti di materiali, tra cui amianto e

bentonite, e si parla addirittura di duemila tonnellate di materiali versati sotto il

nuovo ospedale.

Ma l’inchiesta, iniziata nel luglio 2010 e passato anche sui tavoli della DDA di

Milano, nell’agosto dello stesso anno ottiene un esito quantomeno “spiazzante”: i

carotaggi eseguiti dall’Arpa non evidenziano la presenza di amianto, con grande

soddisfazione del direttore dell’ospedale. Il trasferimento dello stesso ospedale

dalla sede di Camerlata a quella di San Fermo viene dunque confermato.

Questo non esclude la presenza di materiali tossici: viene asserito che i carotaggi

siano stati fatti nei luoghi sbagliati e a quote non abbastanza profonde. Luca

Gaffuri, all’epoca capogruppo del PD in Lombardia, chiese quali fossero i criteri

usati per stabilire la zona in cui effettuare i carotaggi, visto che la procura aveva

dato indicazioni generali, senza specificare alcun luogo.

Va inoltre sottolineato che i numerosi autisti che hanno testimoniato riportando date

e luoghi di versamento dei materiali tossici, presi anche dal colorificio Lechler di

Ponte Chiasso e dall’ex tinturificio Ticosa di Como, hanno fornito testimonianze

convergenti in questo senso. Veniva dunque dato loro il compito di svuotare i

camion della Perego nei vari cantieri, pena il licenziamento, soprattutto se si fossero

rivolti ai sindacati.

Anche l’allora consigliere comunale, nonché geologo, Mario Lucini chiese

chiarezza sulla vicenda Sant’Anna: ora è diventato sindaco, chissà se se ne

ricorderà.

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2.4 Mandelli – Minasi, professionisti al servizio dei boss

Ivano Perego non è stato l’unico imprenditore mafioso che si è messo al servizio

dei boss: un’altra vicenda esplicativa del potere dei clan di entrare nell’economia

legale è quella legata ad Adolfo Mandelli, imprenditore lariano.

Questi è un imprenditore di Menaggio, in provincia di Como, proprietario tra le

altre cose del Birrificio Menaggio Srl e gestore dal 2009 del Lido Giardino situato

in quello stesso comune.

E’ stato arrestato nel 2010 nel corso di un’operazione contro il clan Lampada-Valle,

con l’accusa di associazione di stampo mafioso per «aver contribuito al

rafforzamento economico» del clan. Durante l’operazione sono scattate le manette

per 15 persone, tra cui i presunti capi, Francesco Valle e i figli Angela e Fortunato.

Il capofamiglia, Francesco Valle, è legato alla famiglia De Stefano, potente clan

che opera a Reggio Calabria, e si trasferì a Vigevano agli inizi degli anni ’80

quando scoppiò la sanguinosa faida con la cosca Geria-Rodà. Dunque in questo

caso non è stato il soggiorno obbligato a portare un boss al nord, ma motivazioni

intrinseche alla stessa realtà ‘ndranghetista calabrese.

Le nozze tra due famiglie mafiose non sono solo un momento di gioia, ma vengono

fatte per creare alleanze tra di esse, per stabilire dei forti legami e formare dei

sodalizi criminali.

E’ stato così anche nel caso del matrimonio tra Maria Valle, figlia di Fortunato e

dunque nipote del capofamiglia, con Francesco Lampada che si svolse il 15 luglio

2006. Un’unione di sangue tra due diverse ‘ndrine per aumentare il proprio potere

criminale e per spartire gli alti profitti che derivano dall’uso dell’associazione

mafiosa.

Il ricevimento del matrimonio si svolse proprio sulle rive del Lario, al Villa d’Este

di Cernobbio. Nominata, tra gli altri riconoscimenti acquisiti, nel 2009 dalla rivista

“Forbes” miglior hotel del mondo66

, la Villa è molto famosa perché sempre sede di

66

Cfr. URL=http://www.villadeste.com/it/38/riconoscimenti.aspx

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incontri tra ministri, banchieri, capi di Stato, come nel caso del “Forum Villa

d’Este”, organizzato da “The European House – Ambrosetti”, che si svolge a

settembre per fare il punto sui temi riguardanti l’economia globale67

.

E’ proprio questa la località scelta dalla criminalità organizzata per suggellare il

loro legame, forse scelta non solo per lo sfarzo (circa 60000 euro spesi per il

banchetto), ma per dare un segnale: lì non va solo lo Stato, ma anche la

‘Ndrangheta.

Nel 2010 scatta dunque il blitz contro il clan Lampada-Valle e contro i vari

professionisti che gravitano attorno all’orbita della cosca; per la DDA di Milano,

che si è occupata dell’operazione, il clan Valle è particolarmente potente in quanto

tende a riproporre nella zona lo stesso controllo del territorio, l’intimidazione e

l’omertà presenti nelle regioni a tradizionale presenza mafiosa.

Come detto, tra i vari professionisti che offrono le proprie prestazione e il proprio

know-how alla ‘Ndrangheta vi è Mandelli, il quale è accusato di non essere solo un

prestanome della famiglia Valle, con la quale ha rapporti attraverso la Seguro Srl

con sede a Rebbio, una frazione di Como, ma è anche un «imprenditore edile e

personaggio realmente in grado di gestire gli interessi della famiglia in modo

proficuo»68

In particolare secondo l’ordinanza di custodia cautelare emessa dal GIP del

Tribunale di Milano, Giuseppe Gennari, l’imprenditore avrebbe fatto gli interessi

del clan «rendendosi intestatario fittizio» di alcune società in modo da permettere

agli affiliati di «eludere le disposizioni di legge in materia di misure di prevenzione

patrimoniale» 69

Ciconte scrive che egli è «imprenditore amico e “prestanome dei

Valle, personaggio di estrema importanza per gli affari della famiglia”. E’ socio

dei Valle in due società, e sa che siccome i Valle non possono avere bene intestati a

loro nome, necessariamente devono avvalersi di prestanome. E’ lui che “organizza

67

Cfr. URL=http://www.ambrosetti.eu/it/workshop-e-forum/forum-villa-d-este 68

Cfr. Ordinanza di applicazione di misura cautelare personale e contestuale sequestro preventivo,

Tribunale Civile e Penale di Milano, N. 46229/08 R.G.N.R., N. 10464/08 R.G.GIP, in URL=

http://www.pudivi.it/ORDINANZA-VALLE.pdf 69

Ibidem

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operazioni immobiliari di rilievo” insieme ai Valle ed è lo strumento “per accedere

a contesti imprenditoriali di notevole livello”.»70

Le accuse nei confronti del clan Valle sono quelle di praticare l’usura e di usare

l’intimidazione per “raccogliere” gli interessi sul capitale prestato loro dovuti, e di

infiltrarsi nell’economia legale con i capitali ottenuti in maniera illecita anche

attraverso dei prestanome.

Si pensa che siano molti gli imprenditori lombardi che hanno subito l’intimidazione

e l’usura della ‘ndrina Valle, anche se sono state poche quelle finora accertate.

La base operativa del clan era “La Masseria” di Cisliano, una villa bunker situata al

di sopra dell’omonimo ristorante. Lì avvenivano i pestaggi degli imprenditori

taglieggiati che non pagavano.

Gli interessi dei Valle si estendevano anche nei cantieri dell’Expo 2015, grazie

anche ad assessori comunali conniventi, come Davide Valia, assessore di Pero.

Questo si evince da una telefonata tra Fortunato Valle, figlio di Francesco, e

Mandelli stesso, nella quale si progettava la costruzione di un mini Casinò proprio a

Pero, licenza ottenuta nell’ambito delle iniziative legate all’Expo.

«Valle: “Allora siccome ti spiego Adolfo lì l’hanno fatta zona, come si dice, zona

essendoci l’Expo, la fiera.”

Mandelli: “Ah, sarà di espansione, di interesse e tutte quelle robe lì...”

Valle: “...dove praticamente hanno rilasciato quella licenza per mini casinò dove si

può fare praticamente ristorante...”

Mandelli: “Cazzarola, Nato, è una bella cosa quella”

Valle: “Allora ti spiego, mi hanno dato la licenza e c’è un anno di tempo per

identificare l’area dive dobbiamo dare il contratto d’affitto”

Mandelli: “minchia meglio di Davide che è a Pero..cosa dobbiamo avere.” »71

Questa intercettazione è esplicativa dei rapporti che si intrecciano tra mafia,

imprenditoria e politica: le tre “forze” uniscono i loro sforzi per raggiungere un

risultato comune e falsare appalti e il tessuto dell’economia legale: un imprenditore

onesto si trova così la strada chiusa e non può fare guadagni leciti, col risultato che

70

E. Ciconte, op. cit., pag. 63 71

Cfr. “La Provincia”, 04 luglio 2010

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magari dovrà chiudere la sua impresa perché non riesce a fare profitti. Profitti che

di certo non mancano se alle spalle hai la criminalità organizzata.

Ma Mandelli non è stato l’unico professionista comasco a favorire il clan Lampada-

Valle: più di recente, agli inizi del dicembre 2011, è stato oggetto di due ordinanze

di custodia cautelare, una da Milano e l’altra da Reggio Calabria, Vincenzo Minasi,

avvocato originario di Palmi con uno studio a Breccia (una frazione di Como), uno

a Lugano e villa a Fino Mornasco. Nel corso dell’operazione sono finiti in manette

anche Giulio Lampada, il fratello Francesco, la moglie di quest’ultimo Maria Valle

e il fratello di questa Leonardo, considerati affiliati alla ‘Ndrangheta, e addirittura

un magistrato del Tribunale di Reggio Calabria e un maresciallo della Guardia di

Finanza.

E’ questa, oltre ai membri del clan, la “zona grigia” che viene colpita: con accuse

che vanno dall’associazione mafiosa, al concorso esterno, alla corruzione fino

all’intestazione fittizia di beni. «L’arresto di un magistrato è sempre cosa grave,

ma altrettanto lo è quello di un architetto, di un ingegnere, di un avvocato, di un

medico. Perché i professionisti scelgono, nel momento in cui entrano a far parte

del rispettivo Ordine professionale, di stare dalla parte della collettività onesta e

non di una parte corrotta e criminale. Ma non sempre riescono a tenere fede al

loro giuramento. E il coinvolgimento dei professionisti, a mio modo di vedere,

rappresenta un pericolo grave per la tenuta sociale: gli Ordini professionali [...]

hanno competenze e funzioni che ne fanno pezzi importanti della vita

democratica.»72

Non è la prima volta che Minasi viene accusato di favorire un clan mafioso: nel

1994 era stato già arrestato nel corso dell’operazione “Tirrenia” per aver favorito la

cosca Molè di Gioia Tauro. Inoltre l’avvocato comasco è stato, fino al suo arresto,

l’avvocato di Massimo Sabatino, uno degli imputati al processo per l’omicidio della

collaboratrice di giustizia Lea Garofalo. Questa volta, invece, è stato accusato di

aver messo le sue competenze e la sua persona a disposizione del clan Lampada-

Valle secondo l’ordinanza della DDA di Milano, e della cosca Gallico secondo la

72

N. Amadore, op. cit., pag. 35

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DDA di Reggio Calabria, provvedimento che fa riferimento all’inchiesta “Cosa

mia” del giugno 2010. E’ quantomeno interessante notare che, come riporta sempre

Amadore, «Se un avvocato è indagato per associazione mafiosa o concorso esterno

in associazione mafiosa può continuare ad esercitare. La sanzione non arriva

nemmeno quando il legale è stato arrestato.»73

Secondo gli inquirenti, Minasi avrebbe «consapevolmente fornito un apporto» ai

componenti del clan, in modo tale da far loro avere informazioni segrete che egli

otteneva grazie alla sua professione (e dunque violando il segreto istruttorio);

svolgeva inoltre la funzione da prestanome per i Lampada-Valle e il suo studio era

sede di incontri nei quali venivano decise le strategie del clan.74

Dopo il suo arresto, Vincenzo Minasi ha iniziato a collaborare con il pm Ilda

Boccassini: anche grazie dalle sue dichiarazioni è scattata un’altra operazione

antimafia, che ha portato in carcere 5 nuove persone, tra cui un amico dello stesso

Minasi, un direttore d’hotel e tre uomini della Guardia di Finanza. Questi ultimi

sono finiti in manette con l’accusa di avere intascato tangenti per avvertire il clan

Lampada-Valle dei controlli sulla regolarità dei videopoker di loro possesso.

E Minasi chiama in causa anche uomini dei servizi segreti, come Nicolò Pollari, ex

direttore del Sismi, del quale dichiara che era in contatto con il consigliere

regionale calabrese PdL Francesco Morelli, arrestato nell’operazione scattata nel

2010 sempre contro i Lampada-Valle.

Tornando invece all’operazione del dicembre 2011, insieme a Minasi era stato

oggetto di un’ordinanza di custodia cautelare anche Daniele Borelli, notaio e

avvocato ticinese, il cui nome era proprio legato all’avvocato comasco. Accusato

dall’antimafia milanese di praticare un ruolo consapevole nel riciclaggio di denaro

oltre confine, pochi giorni dopo che l’ordinanza era stata spiccata contro di lui, e

precisamente il 5 dicembre, si è impiccato nella sua abitazione di Lugano. La sua

posizione, soprattutto in merito al suo ruolo “consapevole” nel riciclaggio di danaro

ipotizzato dai magistrati, non potrà essere dunque chiarita.

73

Ibidem, pag. 40 74

Cfr. “La Provincia”, 01 dicembre 2011

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Secondo quanto detto da Minasi, il professionista elvetico «avrebbe permesso la

realizzazione di una serie di specchi che ha consentito al boss e all’amico giudice

di entrare, in gran segreto, in una srl intestata formalmente all’avvocato

comasco.»75

Ma la famiglia Lampada-Valle non si limita ad entrare in contatto e “usufruire” di

professionisti: cerca, come avviene in generale per la criminalità organizzata, i

rapporti organici con la politica.

Ciò si è potuto constatare grazie all’intercettazione della telefonata tra Giulio

Lampada e Antonio Oliverio, già accusato e poi assolto per la vicenda Perego,

avvenuta nel marzo 2008, durante la campagna elettorale per le elezioni Politiche.

«Lampada: “Senti, Antonio, ti volevo chiedere una cosa... mi telefona un amico di

Reggio Calabria per chiedermi se conosco un esponente dell’Udeur...Fidedius, una

cosa del genere”

Oliverio: “De Feudis, sì”

Lampada: “Cos’è, un consigliere? Un deputato?”

Oliverio: “No, no è l’ex segretario provinciale di Como”

Lampada: “Sei in buoni rapporti?”

Oliverio: “Molto.E’ il direttore della Colacop, il consorzio cooperative lombarde.

Fammi conoscere i motivi...

Lampada: “So soltanto che mi ha detto se riuscivo a conoscerlo..

Oliverio: “Non c’è problema»76

E’ evidente quindi la volontà della ‘ndrina calabrese di ottenere un altro appoggio

politico per i suoi traffici e avere quindi sia più impunità sia più legittimità.

De Feudis, comunque, smentisce di essere stato avvicinato da personaggi mafiosi o

a questi affini, ma comunque afferma che «il pericolo di essere avvicinato da

personaggi chiacchierati è concreto»77

75

Cfr. “La Provincia”, 01 aprile 2012 76

Cfr. “La Provincia”, 04 dicembre 2011 77

Ibidem

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49

Dunque anche recentemente la forza dei clan mafiosi si manifesta in tutti i loro

aspetti, soprattutto nella loro abilità di coinvolgere la “zona grigia”. E sebbene,

soprattutto in campagna elettorale, si stringono le mani a persone che non si

conoscono, farlo con un esponente della criminalità organizzata permette a

quest’ultimo di vantare una forte legittimità.

CAPITOLO III

3.1 Si toglie il velo all’invisibilità: Operazione “I fiori della notte di

San Vito”

Il 15 giugno 1994 la ‘Ndrangheta subisce un duro colpo: 370 ordini di custodia

cautelare “decapitano” l’organizzazione nel Nord Italia. 117 di questi vengono

recapitati direttamente in carcere, ma soprattutto vengono arrestati due poliziotti, un

primario e un capo infermiere dell’ospedale di Rho e sono stati dati avvisi di

garanzia a carabinieri, finanzieri ed ad un giudice.

L’operazione delle forze dell’ordine viene chiamata “I fiori della notte di San

Vito”, poiché i “fiori” nel linguaggio della ‘Ndrangheta sono i gradi degli affiliati,

mentre San Vito è il giorno in cui è stato effettuato il blitz.

La Lombardia si sveglia dunque con un’enorme operazione che dimostra che la

criminalità organizzata fa affari, e da molto, nella terra “padana”. E non sono

coinvolti solo calabresi o comunque meridionali, ma molti “polentoni”; e la favola

che la mafia è solo del sud, si dissolve per l’ennesima volta.

Giuseppe Mazzaferro, capo dell’omonimo clan che, insieme ai colletti bianchi e ai

clan Paviglianiti e Ottinà, venne fatto oggetto dell’operazione, si insediò in

Lombardia a seguito dell’applicazione del soggiorno obbligato a Cornaredo, in

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provincia di Milano; ancora una volta è una legge dello Stato che nella sua

realizzazione pratica favorisce le organizzazioni mafiose.

La ratio detta legge che nel 1956 istituì il soggiorno obbligato per le «persone

pericolose per la sicurezza e per la pubblica moralità»78

e che venne poi estesa nel

1965 «agli indiziati di appartenere ad associazioni mafiose»79

era quella di

eliminare i legami tra i boss mafiosi e gli altri affiliati, con la convinzione che nel

nord non si sarebbe potuto creare quel clima di omertà presente nelle regioni a

tradizionale presenza mafiosa e di «colpirlo nel prestigio locale, dimostrando che

lo Stato, pur incapace di mandarlo in carcere, aveva però l’autorità per infliggergli

una sanzione degradante.»80

Fu un errore clamoroso. Non fu il nord a trasformare

in persone “oneste” i boss, ma furono questi che si inserirono nel tessuto produttivo

delle regioni nelle quali si trasferirono e che ricrearono gli stessi vincoli associativi,

di intimidazione, di omertà anche dove si pensava fosse possibile; inoltre bisogna

sottolineare che i contatti con le regioni di provenienza erano tutt’altro che

complicati, grazie ad esempio al telefono, ed inoltre è vero che i boss non potevano

tornare, ma i loro parenti e amici potevano trasferirsi e ricreare gli stessi gruppi

presenti al sud.

Anche Leonardo Messina, boss di San Cataldo che operava nella zona di

Caltanissetta e membro della “Commissione provinciale di Cosa Nostra”, riuscì a

creare legami al nord, quando nel 1990 fu mandato, sempre per il soggiorno

obbligato, a Bulgarograsso, in provincia di Como. Qui riprese i contatti con un suo

conterraneo che conosceva sin da ragazzo, Calogero Marcenò, e conobbe il socio di

questi, Salvatore Maimone.

Marcenò fu arrestato nell’aprile del 1992 mentre trasportava un carico di armi

dirette in Sicilia proprio per lo stesso Messina, il quale fu tratto in arresto pochi

giorni dopo.

Quest’ultimo decise, nel giugno dello stesso anno, di divenire collaboratore di

giustizia, e dalle sue dichiarazioni scaturì a novembre l’operazione “Leopardo”, che

portò all’arresto di circa duecento persone, ma era un’operazione più incentrata su

78

Legge 27 dicembre 1956, n. 1423 79

Legge 31 maggio 1965, n. 575 80

F. Dalla Chiesa, op. cit., pag. 218

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Cosa Nostra che sulla ‘Ndrangheta, come dimostra il fatto che la misura cautelare

conteneva come primi nomi quelli di Giuseppe Madonia e Salvatore Riina: tale

operazione portò all’iscrizione nel registro degli indagati Giuseppe Mazzaferro,

Calogero Marcenò, Giuseppe Marcenò e Salvatore Maimone.

Nel marzo 1993 sia Calogero Marcenò sia Salvatore Maimone iniziarono la loro

collaborazione con l’Autorità Giudiziaria, confermando innanzitutto di far parte

della ‘Ndrangheta e di essere affiliati il primo alla Locale di Como da metà degli

anni ’80 e di aver raggiunto la dote di “camorrista”, per poi divenire nel 1990 capo

della Locale di Varese con la dote di “trequartino”; il secondo, invece, alla Locale

di Como da Marcenò per poi seguire il suo “capo” nella Locale di Varese.

Dalle dichiarazioni di questi tre affiliati, oltre a quelle di Salvatore Morabito e

Antonio Zagari, prese vita l’operazione “I fiori della notte di San Vito”, la quale

portò in carcere 370 persone tra Milano, Como (ben 213 ordini di custodia

cautelare), Varese, Brescia, Pavia; nella sentenza della Corte d’Appello di Milano si

legge che gli imputati erano tali «per i reati di: associazione per delinquere di

stampo mafioso finalizzata al traffico di stupefacenti, traffico di armi, rapine,

estorsioni, ed altro; nonché spaccio di stupefacenti, detenzione porto illegali di

armi, rapina aggravata, detenzione e porto illegale di armi, rapina aggravata,

furto aggravato, favoreggiamento, ricettazione ed altro in concorso. Reati

commessi nelle province di Milano, Como, Varese, Brescia, Pavia ed altrove dal

1976 a tutto il 1994.»81

Tale blitz, oltre a mostrare i collegamenti tra criminalità organizzata e i cosiddetti

colletti bianchi, mise in luce l’organizzazione del clan Mazzaferro, operante in

Lombardia.

A capo di questa famiglia vi era Giuseppe Francesco Mazzaferro, nato nel maggio

1937 a Marina di Gioiosa Ionica, e quindi appartenente alla corrente della piana.

Come detto egli fu sottoposto alla misura del soggiorno obbligato a Cornaredo, in

81

Sentenza della Corte d’Appello di Milano, n. 1968/98, pag. 15

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provincia di Milano, ma ciò non gli impedì di riunire attorno alla sua figura un gran

numero di conterranei e di sviluppare traffici illeciti nella regione.

Sempre nella sentenza della Corte di Appello, gli si imputa di «aver diretto una

associazione ‘ndranghetistica che aveva preso, appunto, il nome da lui (cosiddetto

“Clan Mazzaferro”), strutturata in una fitta ed estesa rete di “cellule territoriali”,

definite “Locali”, dedite ad attività illecite di ogni genere, nelle provincie di

Milano, Como, Varese, Brescia, Pavia e Bergamo, dal settembre 1982 in poi» e di

«aver diretto ed organizzato una associazione finalizzata al traffico di sostanze

stupefacenti, nei luoghi sopra indicati, dal 1976 in poi».82

Il clan Mazzaferro e i suoi esponenti sono certamente riconducibili alla

‘Ndrangheta calabrese, ma vi sono delle differenze tra di essi. Innanzitutto la

collocazione geografica, in quanto vi è un distaccamento in Lombardia da parte di

un clan calabrese, anche se i legami e i contatti con la “madrepatria” rimangono

forti e numerosi; vi è poi una differenziazione per quanto riguarda gli affari, visto

che Mazzaferro è tra i primi a voler entrare nel traffico degli stupefacenti e il suo

clan è dedito proprio a questo; infine vi è la decisione di non partecipare più alla

riunione di Polsi, tradizionale summit di ‘Ndrangheta tenuto solitamente a fine

agosto/primi di settembre, ma di tenere un incontro similare negli stessi giorni ad

Andrate, una frazione di Fino Mornasco in provincia di Como, e nel quale

partecipavano molti esponenti provenienti da Giffone.

Leonardo Messina ritiene che quella dei Mazzaferro sia una “mafia giovane” e

questo spiega i motivi per cui erano relativamente pochi gli atti di violenza, i

tentativi di infiltrazione nell’amministrazione pubblica, nella politica e nel mondo

imprenditoriale perpetrati dal clan, al contrario invece di quanto accade in Calabria.

Col tempo, sostiene il boss di San Cataldo, sarebbero di certo aumentati.

Certo è che, sebbene relativamente pochi, tali atti di violenza e di intimidazione nei

confronti della popolazione ci sono stati, come nel caso di diversi titolari esercizi

commerciali che si sono trovati di fronte a uomini che puntavano armi contro di

loro; la pretesa di controllo del territorio c’era, eccome. Questi atti intimidatori

82

Cfr. Sentenza della Corte d’Appello di Milano, n. 1968/98

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hanno creato un clima di illegalità diffusa, che ha permesso alle persone legate alla

‘Ndrangheta di farsi da garanti dell’ordine pubblico in contrapposizione ad uno

Stato che invece non riusciva a risolvere il problema, e dunque ad ottenere la

fiducia della popolazione.

Il fatto che il clan Mazzaferro si servisse dell’intimidazione quando non riusciva a

raggiungere “amicizie” con esponenti politici, è mostrato dagli spari all’auto del

sindaco e dell’assessore di Fino Mornasco.

Ma non si cercavano solo “amicizie” con la politica: per quanto possibile venivano

inseriti degli amministratori conniventi nei comuni, come è emerso da

un’intercettazione della polizia dalla quale veniva alla luce che il sindaco di Senna

Comasco era di Giffone e amico personale di Vincenzo Majori, responsabile della

Locale presente in tale Comune.

Quello che risulta dalle indagini e dalle osservazioni della Corte, è che quella dei

Mazzaferro è una ‘Ndrangheta differente da quella “classica”. Ma pur essendo

“diversa” o “altra”, nei fatti risulta appartenere alla stessa “onorata società”: ciò è

dimostrato sia dall’assenso della famiglia Mazzaferro residente in Calabria alla

costituzione di una “camera di controllo” lombarda (come si è già detto e si

riprenderà meglio in seguito) e dunque da un bene placet generale della Calabria,

sia perché i portatori di istanze di completa autonomia rispetto alla “madrepatria”,

come nel caso di Carmelo Novella, sono stati uccisi da killer inviati loro dalla

Calabria.

Si può dunque dire che la differenziazione tra il clan Mazzaferro e la ‘Ndrangheta

sia solo “operativa”, con la spartizione dei profitti con la “madrepatria”, ed è in

questo senso che è stata e verrà intesa nella trattazione dell’argomento.

Il quadro del clan Mazzaferro viene fatto dal collaboratore di giustizia Raffaele

Iaconis, il quale fu affiliato sin dagli anni ’50 alla Locale di Giffoni, e racconta di

essersi trasferito a Como, dove era già operativa una Locale, intorno alla metà degli

anni ’70. Egli afferma di aver conosciuto Giuseppe Mazzaferro nel 1964-1965 e

che questi aveva già costituito la Locale di Socco (frazione di Fino Mornasco) a cui

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capo c’era Salvatore Mercuri. Fino al 1978 questa Locale, a differenza di quella di

Como, non fu presentata a Polsi e dunque vi era un contrasto tra queste due Locali.

Iaconis riferisce che già all’epoca del suo arrivo a Como erano operative le Locali

di Calolziocorte, in provincia di Lecco a cui capo c’era lo stesso Iaconis, quella di

Como, guidata da Pasquale Sorbara, quella di Cermenate, con a capo Giuseppe

Costa, quella di Mariano Comense sotto il controllo di Pasquale Cugnetta, quella di

Monza con Gaetano Comandè e infine quella di Socco, guidata ancora da Iaconis.

Stando alle sue dichiarazioni, le istanze autonomistiche di Giuseppe Mazzaferro

presero forma con più vigore quando nel 1976 la ‘Ndrangheta calabrese decise di

creare una “camera di passaggio” sia per avere un controllo più diretto su quanto

facessero le sue colonie al nord sia anche per presentare le nuove Locali a Polsi (la

prima che usufruì di tale meccanismo per essere presentata fu quella di Milano). Fu

allora che Mazzaferro, all’epoca sottoposto al soggiorno obbligato a Riva Ligure,

propose la formazione di una “camera di controllo”, ossia di un organismo

sovraordinato alle varie Locali che sarebbe stato utilizzato per coordinarle, per

autorizzare la loro apertura e presentarle a Polsi in un momento successivo, e per

attribuire le doti superiori all’interno dell’organizzazione mafiosa.

Tale proposta fu votata e approvata in una riunione tenutasi nello stesso 1976 in un

ristorante a Laglio, in provincia di Como. E’ da sottolineare il fatto che «aderire a

tale iniziativa significava entrare nell’orbita della famiglia Mazzaferro e, infatti, i

primi locali ad aderirvi furono quelli di Como, Calolziocorte, Fino Mornasco,

Milano e Monza.» La Locale di Pavia, invece, decise di non farne parte. 83

Le dichiarazioni di Iaconis si fermano al 1980, e dopo questa data non vengono più

considerate attendibili: questo perché, essendo stato arrestato nel settembre dello

stesso anno per estorsione e avendo fatto rivelazioni contro un affiliato, perse le

cariche acquisite all’interno della ‘Ndrangheta e non fece più parte di essa,

trasferendosi tra l’altro per lungo tempo prima in Piemonte e poi in Veneto.

Dalle considerazioni del Tribunale, emerge che quella dei Mazzaferro è

un’evoluzione della ‘Ndrangheta, ossia una sorta di distaccamento di quella del

83

Sentenza della Corte d’Appello di Milano, n. 1968/98, pag. 577

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nord che non ha più sentito l’esigenza di recarsi al santuario della Madonna di Polsi

per il tradizionale summit e che si è “affrancata” dalla Calabria per l’apertura di

Locali e per il conferimento di cariche. Sono dunque motivi “operativi”, soprattutto

per la gestione del traffico di stupefacenti.

Risulta inoltre che solo in alcuni Locali vi era la figura del “responsabile della

Locale”, una sorta di presidente onorario che non svolgeva funzioni operative, ma

aveva la responsabilità di esso: Varese non lo aveva, Senna Comasco solo da un

certo periodo, mentre Como lo aveva dal 1992. Senna Comasco, inoltre, aveva una

‘ndrina che svolgeva le sue attività in Puglia, sempre dipendente dalla Locale di

origine.

Per comprendere l’evoluzione del clan Mazzaferro dopo il 1980, vengono in aiuto

dell’Autorità Giudiziaria altri affiliati a tale clan, come Domenico Foti e Gaetano

Comandè i quali, collaboratore il primo e imputato il secondo, hanno reso delle

dichiarazioni riguardo ad esso.

In particolare è Foti a far luce sulla “autonomia” delle Locali lombarde guidate da

Mazzaferro: come riporta la Sentenza della Corte d’Appello per autonomia si deve

intendere «la non necessità di presentarsi tutti gli anni a Polsi; la autonoma

decisione inerente la apertura di nuovi locali o il conferimento di cariche o doti,

non certamente il venir meno della comune appartenenza mafiosa, essendo esclusa

una eventuale “espulsione” di Mazzaferro dalla ‘ndrangheta.»84

Racconta Foti che fu Comandè a proporre a Mazzaferro di non presentare più le

Locali a Polsi, il quale accettò subito la proposta e, grazie al consenso del fratello

che risiedeva in Calabria, divenne il capo unico delle Locali lombarde tra loro

federate. Il requisito essenziale per concedere il permesso di aprirne altre era quello

di garantire il controllo del proprio territorio attraverso una continua attività

criminale e di intimidazione, e soprattutto di occuparsi del traffico di droga.

Risulta infatti che Giuseppe Mazzaferro trafficasse innumerevoli chili di cocaina e

che ogni Locale dovesse venderla.

84

Sentenza della Corte d’Appello di Milano, n. 1968/98, pagg. 579-580

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La proposta di Comandè si può collocare nel 1986, e dunque da quella data si può

dire che il clan Mazzaferro fosse “distaccato”, nel senso sopra specificato, dalla

‘Ndrangheta calabrese.

Dalle vicende delle Locali di Varese e Senna Comasco si può capire che quanto

affermano Foti, Iaconis e altri sul potere di Mazzaferro è reale.

Per quanto riguarda la Locale di Varese, la prima testimonianza arriva da Calogero

Marcenò, il quale afferma che agli inizi del 1990 Leonardo Messina gli aveva

proposto di aprire una “decina” di Cosa Nostra in quel comune; ciò in conseguenza

dello sfaldarsi della famiglia Zagari dopo il pentimento di Antonio, e che aveva

reso il territorio “libero”. Marcenò riferì della proposta ad altri affiliati i quali ne

parlarono con Mazzaferro, che propose di creare una Locale di ‘Ndrangheta,

proposta poi accettata da Marcenò che ne divenne capo. Lo stesso Messina ha

confermato la vicenda.

Nel settembre dello stesso anno venne battezzata la Locale, anche se vi erano stati

molti contrasti in merito all’apertura, poiché molti affiliati ad essa erano di origine

siciliana, e ai calabresi non stava bene. Circostanza confermata anche da Foti, il

quale aggiunge che fu Mazzaferro a “imporsi” per l’apertura dato che in quella

Locale sarebbe state gestite enormi quantità di droga.85

In relazione alla Locale di Senna Comasco, c’è da segnalare che si verifica il caso

contrario rispetto a quella di Varese: ossia è Mazzaferro a ritardare l’apertura di

essa.

Questo avviene, nonostante il parere favorevole di molti affiliati alla sua apertura,

perché Mazzaferro non ha ricevuto abbastanza garanzie da quello che sarebbe

diventato il capo della Locale, Vincenzo Majori, in merito al commercio della

droga.

Foti ricorda anche che al posto di Senna doveva aprirsi una Locale a Cantù, ma ciò

non si verificò poiché un affiliato al Locale di Cermenate, si rivolse a Mazzaferro

85

Sentenza della Corte d’Appello di Milano, n. 1968/98, pag. 582

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chiedendogli che tale comune restasse sotto l’influenza di Cermenate (altro segno

del ruolo che rivestiva Mazzaferro)

La Locale di Senna Comasco venne aperta solo nel febbraio 1991, dopo che venne

acquistata della droga dallo stesso Foti. Il fatto che Majori non avviasse intense

attività in relazione al traffico di stupefacenti venne punita negando le doti maggiori

all’interno di questa Locale a tutti gli affiliati.

Sempre a proposito del clan Mazzaferro, Nicola Gratteri scrive che «In Lombardia

vi erano ben 16 Locali: 3 a Milano,e uno per ognuno di queste altre città: Appiano

Gentile, Cermenate, Como, Fino Mornasco, Lentate sul Seveso, Lumezzane,

Mariano Comense, Monza, Pavia, Rho, Senna Comasco, Seregno, Varese.»86

Per quanto riguarda le Locali in provincia di Como, sono 6 quelle fondate da

Mazzaferro.

Dai risultati delle indagini e dalle considerazioni del Tribunale, emerge che:

la Locale di Appiano Gentile ha a capo Michelangelo Maci con responsabile

Antonino La Rosa ed è una Locale prettamente giffonese e dedita al traffico

di stupefacenti. E’ una colonia di quella di Fino, costituita per dare spazio

alle volontà di crescita degli stessi Maci e La Rosa; vi era inoltre un patto

tra queste due Locali per non “rubarsi” gli acquirenti della droga. Viene

considerata dagli inquirenti una di quelle a maggior tasso di pericolosità in

quanto impegnati in tutti i settori (droga, armi, falso nummario, ecc). Si sa

comunque poco della Locale di Appiano in quanto non si sono avuti

collaboratori di giustizia.

a Cermenate comandava sulla Locale Gaetano Costa, mentre responsabile di

essa era Giuseppe Scali; a differenza delle altre i capi e molti affiliati

provenivano da Grotteria, mentre per quanto riguarda i traffici erano dediti

al traffico di stupefacenti e a quello di armi. Per quanto riguarda la cocaina

il punto di riferimento era, ovviamente, Mazzaferro, ma per l’eroina veniva

sfruttato il legame di Costa con i Paviglianiti, residenti a Cermenate.

86

N. Gratteri, A. Nicaso, Fratelli di sangue, Mondatori, 2012, pag. 272

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quella di Como era nel 1976, quando si decise la creazione della camera di

passaggio, una delle più importanti, tanto che si pensava che dovesse essere

proprio questa Locale a svolgere questa funzione, ma poi fu preferita

Milano. Como fu molto importante per il contrabbando di sigarette che

passava dal suo territorio grazie alla vicinanza con la Confederazione

Elvetica. Questa Locale ebbe un periodo di declino sul finire degli anni ’80

in quanto gli affiliati non volevano trafficare droga, ma agli inizi degli anni

’90 anche qui iniziò il traffico di stupefacenti. Anche questa era una Locale

giffonese, luogo da dove arrivavano la maggior parte dei suoi affiliati.

a capo della Locale di Fino Mornasco si trova Michelangelo Chindamo; è

una tra le Locali più “antiche” (sin dagli anni ’70 circa) ed è

prevalentemente dedito al traffico di stupefacenti.

per quanto riguarda la Locale di Mariano Comense, anche di essa si conosce

poco per l’assenza di collaboratori di giustizia: si sa solo che prima di essere

ucciso comandava Pasquale Cugnetta che gestiva il traffico di droga, mentre

capo attuale è Salvatore Muscatello che è contrario ad essa.

dell’apertura della Locale di Senna Comasco si è già parlato prima: qui è

doveroso riportare che Vincenzo Majori, responsabile della Locale, si sta

“scostando” e quindi i traffici di droga possono iniziare guidati da

Domenico Foti, che ne è invece il capo. Majori è stato importante in quanto

ha finanziato la cena elettorale del sindaco di Senna Comasco.

3.2 Operazione “Infinito”

Il 13 luglio del 2010 scatta un altro blitz contro la ‘Ndrangheta calabrese e le

colonie milanesi: è l’operazione “Crimine-Infinito”, che taglia trasversalmente

l’Italia, da Reggio Calabria a Milano.

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E’ la prova che il lavoro in concerto tra due DDA porta al successo.

Si tratta infatti di due filoni di inchiesta: il primo, “Crimine”, eseguito dalla

Direzione Distrettuale Antimafia di Reggio Calabria e il cui dibattimento a

processo verrà condotto dal Procuratore aggiunto della Repubblica Nicola Gratteri,

dal Procuratore capo Giuseppe Pignatone e dal Procuratore aggiunto Michele

Prestipino; il filone milanese dell’inchiesta, “Infinito”, è stato invece dibattuto dal

Procuratore aggiunto Ilda Boccassini e dai sostituti Procuratori Alessandra Dolci,

Alessandra Cecchelli e Paolo Storari, e dal sostituto Procuratore di Monza

Salvatore Bellomo.

Per quanto riguarda il filone lombardo dell’inchiesta, esso ha portato a circa 118

condanne e, grazie alla collaborazione del “pentito” Antonino Belnome, a svelare

come si è riorganizzata la ‘Ndrangheta dopo le varie operazioni che l’hanno colpita

in tutto il territorio.

Il mito che “a Milano la mafia non c’è”, come ha sostenuto in tempi recenti

Pillitteri, ex sindaco di Milano («Il bello de La Piovra è che si tratta di una favola,

soltanto di una favola»)87

crolla definitivamente.

L’ordinanza di applicazione di misura coercitiva spiccata dal giudice per le indagini

preliminari del Tribunale ordinario di Milano riprende ciò che emerse dalla

inchiesta “Nord-Sud”, ossia che vi è una struttura di coordinamento delle varie

Locali lombarde, denominata “La Lombardia”, a capo della quale. Anche

nell’operazione “I fiori della notte di San Vito” era emersa l’esistenza di questa

“camera di passaggio”, e l’idea della sua costituzione veniva dai collaboratori

datata 1976. Dalle intercettazioni effettuate nel 1998 emerge che all’epoca a capo di

questa struttura, che veniva utilizzata dalla Calabria per avere una sorta di controllo

sulle attività che avvenivano in Lombardia, vi era Carmelo Novella. “Compare

Nuzzo” dal 1999 al 2007 era stato lontano dalla regione e stabilì il proprio

domicilio a San Vittore Olona dopo la sua scarcerazione nell’agosto dello stesso

anno. Nel periodo sopra indicato risulta che a capo de “La Lombardia” ci fossero

Cosimo Barranca e Pasquale Barbaro.

87

Cfr. F. dalla Chiesa, op. cit., pag. 217

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Novella aveva sviluppato un progetto completamente nuovo, che usciva dagli

schemi che la ‘Ndrangheta si era sempre data: quello di rendere autonoma “La

Lombardia” dalla madrepatria calabrese.

Quella calabrese è un’organizzazione unitaria, composta da diverse ‘ndrine a base

familiare e che, almeno fino alle scoperte derivanti da questa operazione e che

verranno riprese in seguito, non ha avuto un’organizzazione gerarchica. Le diverse

‘ndrine possono cercare di ottenere interessi personali, ma rimanendo sempre legate

a questa unica organizzazione di cui devono perseguire le finalità, e soprattutto

anche se decidono di colonizzare altri territori, sia in Italia che all’estero, devono

mantenere uno stretto rapporto con la “casamadre” calabrese. Le decisioni più

importanti si prendono sempre in Calabria, come avviene nel summit annuale di

‘Ndrangheta che si tiene al santuario della Madonna di Polsi.

Quindi la proposta di Novella era incompatibile con quello che è sempre stata la

‘Ndrangheta: non poteva dunque essere accettato dagli ‘ndranghetisti di lungo corso

il progetto di “staccare” le Locali lombarde da quelle calabresi, concedendo

completa autonomia ad esse e ponendole sotto il controllo della struttura da loro

stessi creati, la camera di passaggio, al cui vertice ci sarebbe stato lo stesso Novella.

Questi, per creare consenso attorno alla sua figura e favorire il proprio progetto,

iniziava ad elargire le varie “doti” agli affiliati a lui fedeli, e permetteva di aprire

Locali senza l’autorizzazione della Calabria. «Novella sta galoppando; corre

troppo, e qualche anziano del “locale” di Milano comincia a preoccuparsene

seriamente. Teme la creazione di un Nord contrapposto al Sud, con il conseguente

distaccamento della “Lombardia dalla originaria struttura di vertice calabrese.[...]

Novella va avanti per conto proprio, e non dà conto a nessuno del proprio agire.

Da Reggio cominciano a pensare che stia passando il segno. [...] Nel giugno 2008

sono in tanti a partecipare, a Marina di Gioiosa Jonica, ad un importante

matrimonio di una donna della famiglia degli Aquino. Arrivano in tanti, anche da

Milano, e persino due in rappresentanza della “Lombardia”. Manca solo lui,

Novella. E’ un fatto grave, perché “secondo le regole di ‘ndrangheta è obbligatorio

per le famiglie degli sposi includere tra gli invitati i rappresentanti delle ‘ndrine e

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delle “locali” “amiche”, tanto da ritenere “rotta” l’alleanza qualora non arrivi

l’invito”»88

E “compare Nuzzo” pagherà con la vita le sue istanze di autonomia: il 14 luglio

2008 due killer a volto scoperto lo uccidono sparandogli in testa in un bar di San

Vittore Olona. A “licenziarlo”, come si dice nel gergo ‘ndranghetistico, sarà

Antonino Belnome che si autoaccuserà dell’omicidio una volta arrestato e divenuto

collaboratore di giustizia (20 settembre 2010): e le armi per il delitto provengono da

Como, più precisamente dal maneggio “La Masseria” di Bregnano, di proprietà di

Salvatore Di Noto, nome che ricomparirà più tardi nella trattazione.

Dopo l’omicidio nasce il problema della successione: la Calabria decide dunque di

riportare sotto il suo controllo la camera di passaggio e “traghettatore”, fino a

quando tutti gli affiliati tornino consci dell’unitarietà dell’organizzazione e fedeli ad

essa, ne diventa Pino Neri, già condannato nel corso dell’operazione “I fiori della

notte di San Vito” per essere il capo della Locale di Pavia.

Il 31 ottobre 2009 a Paderno Dugnano, al circolo Arci Falcone-Borsellino avviene

un fondamentale summit di ‘Ndrangheta, durante il quale viene deciso che le Locali

hanno sovranità nelle loro azioni, ma devono essere inserite ne “La Lombardia” e

rispondere ad essa e la sospensione dell’assegnazione di nuove doti sia in Calabria

che in Lombardia. Sarà lo stesso Pino Neri ad esporre queste decisioni al summit

perché, nelle parole di Vincenzo Mandalari, «ha parlato a qualche tavola giù e

adesso ci metterà a conoscenza»89

Inoltre viene deciso che Mastro Generale de “La

Lombardia” e incaricato di tenere i rapporti con la Calabria sarà Pasquale Zappia.

Sono comunque decisioni provvisorie poiché «E’ un esperimento, quello che si fa;

non c’è nulla di definitivo. Neri dice chiaramente: “Vediamo se dobbiamo

cambiare qualcosa... e fra un anno scendiamo in Calabria, ed ho appuntamento

con gli uomini della Calabria, ci vediamo e discutiamo per vedere il da farsi”. La

novità del discorso è compresa da tutti. E’ la restaurazione del potere, che torna ad

essere saldamente nelle mani degli ‘ndranghetisti rimasti in Calabria.»90

88

E. Ciconte, op. cit., pagg. 117-118 89

Cit. in E. Ciconte, op. cit., pag. 122 90

E. Ciconte, op. cit., pag. 123

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Riunione che sarà interamente filmata dagli investigatori che hanno avuto così

l’occasione di vedere tutti i capi-Locale arrivati all’incontro organizzato da

Vincenzo Mandalari, capo della Locale di Bollate. Proprio in un circolo intitolato ai

due giudici che rappresentano l’azione contro l’antimafia e che hanno pagato con la

vita il loro impegno i boss si riuniscono, ovviamente senza che il proprietario della

sede Arci si chieda perché i calabresi abbiano prenotato una sala facendo disporre i

tavoli a ferro di cavallo e non volessero essere disturbati durante la cena, tanto da

far chiudere le porte della cucina perché dovevano parlare di cose importanti.

Dunque è a Milano che si verifica uno dei più importanti summit mafioso, nel quale

viene deciso come proseguirà “La Lombardia” dopo l’eresia di Novella e dopo il

“licenziamento” di questi.

Ed è piuttosto “paradossale” che il sindaco di Milano, Letizia Moratti, pochi mesi

prima della riunione di Paderno Dugnano, e precisamente il 25 maggio dello stesso

anno, durante una puntata di “Anno Zero” abbia dichiarato a proposito della mafia

che «da noi non può succedere. »

Semplice ignoranza o paura di rovinare il buon nome della città?

Nella realtà comasca con l’operazione “Infinito” sono state individuate tre Locali:

una a Mariano Comense (già emersa con l’operazione “I fiori della notte di San

Vito”), una ad Erba e una a Canzo-Asso, due comuni tra loro limitrofi.

Si nota dunque che non si hanno più notizie delle Locali emerse nel blitz

sopraccitato del giugno ’94, quali Appiano Gentile, Cermenate, Como, Fino

Mornasco e Senna Comasco; ciò però è bel lontano dal definire “pulite” ovvero

prive della presenza mafiosa tali aree, come dimostrano i beni confiscati in questi

comuni e i vari atti di intimidazione, estorsione che ivi si verificano.

Per quanto riguarda la Locale di Mariano Comense, essa risulta essere dedita al

traffico di stupefacenti e a capo di essa si trova Salvatore Muscatello, già

considerato tale nel ’94, il quale è uno dei più anziani esponenti della ‘Ndrangheta

in Lombardia.

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Tra gli altri personaggi affiliati a questa Locale spiccano i fratelli Cristello, Rocco e

Francesco, cugini di Rocco Cristello ucciso nel marzo 2008 ed esponente

importante della Locale di Seregno.

Rocco Cristello di Mariano è già stato citato, in quanto garantiva protezione agli

amministratori del gruppo Perego che, come riporta l’ordinanza, è «una delle più

grosse aziende operanti nel settore movimento terra in Lombardia»91

dopo

l’estromissione dalla società di Salvatore Strangio.

Salvatore Muscatello è stato ripetutamente contattato in merito all’elezione del

nuovo reggente de “La Lombardia” e vota a favore di Pasquale Zappia.

Dalle indagini risulta che gli affiliati a questa Locale abbiano a loro disposizione

una ingente quantità di armi, sia fucili sia materiale esplosivo sia due bombe di

fabbricazione jugoslava, ritrovate all’interno del maneggio “La Masseria” di

Bregnano, di proprietà di Salvatore Di Noto. Tale maneggio è salito agli onori della

cronaca quando, grazie alle rivelazioni di Belnome, si è saputo che lì era stato

ucciso Antonio Tedesco, ammazzato nel 2009 con un colpo di pistola e finito a

picconate e il cui corpo è stato poi gettato nella calce per favorire la

decomposizione a Bernate Ticino, dove è stato ritrovato. La condanna a morte

sarebbe stata ordinata direttamente dalla Calabria per impedire che Belnome, capo

della Locale di Giussano, potesse vendicarsi personalmente: la motivazione era che

Tedesco si era vantato di essere andato a letto con la sorella del boss di Giussano.

Belnome avrebbe dovuto dunque ammazzarlo per “ripristinare” l’onore della

famiglia: se non lo avesse fatto avrebbe corso il rischio di essere ucciso anch’egli

perché queste sono le regole ferree della ‘Ndrangheta. E’ evidente dunque quanto la

‘Ndrangheta, e le organizzazioni mafiose in generale, siano composte da elementi

di modernità e di arretratezza: il primo elemento emerge nell’abilità di inserirsi nei

più disparati contesti, permettendo loro di rinnovarsi e di “fare innovazioni” come

ad esempio nello smaltimento di rifiuti, un servizio “nuovo” offerto dalla

criminalità organizzata. L’arretratezza esce fuori nell’osservanza di norme arcaiche,

nate con l’organizzazione stessa e rimaste immutate nonostante il passare del

tempo.

91

Cfr. Ordinanza di applicazione di misura coercitiva, Tribunale ordinario di Milano, N. 43733/06

R.G.N.R., N. 8265/06 R.G.G.I.P., in URL= http://www.stampoantimafioso.it/wp-

content/uploads/2011/07/operazione-infinito.pdf, foglio nr. 26

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64

La Locale di Mariano Comense era considerata la più rilevante per l’importanza

nella gerarchia ‘ndranghetista dei suoi esponenti, ma ciò fino all’omicidio di

Carmelo Novella, a seguito del quale vi è stato un relativo declino di questa Locale

a vantaggio di quella di Erba.

Pasquale Giovanni Varca risulta essere dunque il capo della Locale di Erba, la

quale è di recente costituzione ed è il referente in Lombardia per Domenico

Oppedisano che è considerato l’attuale Capo del Crimine della ‘Ndrangheta.

E’ composta da affiliati per lo più originari di Isola di Capo Rizzuto e per questo è

forte il collegamento con esponenti della cosca Arena-Nicoscia che è egemone in

quella zona della Calabria. Questo legame emergerà in maniera forte quando verrà

dallo stesso Varca e dagli altri “isolitani” gestita la fase organizzativa del

trasferimento di due latitanti appartenenti a questa cosca. Vi è inoltre un forte

connessione con le famiglie della Piana, in quanto tra gli affiliati a questa Locale vi

è Michele Oppedisano, nipote di Domenico.

Varca e i suoi affiliati si impongono nel movimento terra con metodi di

intimidazione di stampo mafioso e inoltre secondo gli investigatori ha garantito ad

un’organizzazione albanese l’appoggio delle ‘ndrine che controllano il porto di

Gioia Tauro per far entrare nel Paese grossi carichi di cocaina.

Altro metodo utilizzato dagli affiliati per aumentare i profitti a loro disposizione è

quello di esportare in Tunisia dei mezzi da lavoro che vengono falsamente

denunciati come rubati dai proprietari.

Anche gli esponenti di questa Locale hanno a loro disposizione ingenti quantità di

armi che vengono nascoste nel maneggio di Erba, sede della Locale.

Un altro personaggio importante di questa Locale è Francesco Crivaro, considerato

il numero due: egli, oltre a collaborare all’usura, mette in contatto Varca con gli

esponenti dell’organizzazione albanese sopraccitata, e dà la disponibilità del suo

ristorante, il Coconut di Eupilio, per tenere riunioni di ‘Ndrangheta. Il ristorante è

molto frequentato da “vip” tra cui Lele Mora con il quale Crivaro ha una foto che

gli serve per aumentare la propria legittimità nei confronti della popolazione. Tra i

frequentatori del locale di Eupilio vi è anche Azouz Marzouk, divenuto “famoso”,

suo malgrado, in seguito alla strage di Erba che ha visto coinvolta la sua famiglia.

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65

E riguardo a questa strage per la quale sono stati condannati due vicini di casa, ci

sono degli scenari diversi da quelli prefigurati dalle sentenze. Infatti Azouz ha

raccontato di aver avuto in carcere una lite con Maurizio Agrati e, sebbene il nome

di quest’ultimo poi non venga riportato nel fascicolo carcerario del tunisino, risulta

però che questi fu spostato due volte di cella e aggredito perché considerato un

“infame”. A seguito di quelle liti Raffaella fu oggetto di telefonate anonime e riferì

ad un’amica che un italiano l’aveva avvicinata in macchina dicendole di stare

attenta.

Agrati non è un carcerato qualunque, in quanto gli investigatori lo accusarono di

essere un’esponente di spicco della ‘Ndrangheta e legato a Coco Trovato, in carcere

in quel momento per il tentato omicidio di un uomo.

E’ stata inoltre ventilata l’ipotesi (non dalla magistratura né dagli inquirenti) che i

killer possano aver sbagliato obiettivo: obiettivo sarebbero stati i figli di Ruggero

Cantoni, condannato a 18 anni in primo grado per aver fatto parte di

un’associazione a delinquere che avrebbe taglieggiato per anni Erba, che vivevano

proprio nella Corte dove è avvenuta la strage.

Queste sopra elencate sono ipotesi scartate dagli inquirenti, ma utili per far capire

che personaggi sono coinvolti nella varie vicende della realtà Erbese.

Altra novità che emerge da questa Locale è quella riportata da Ciconte, il quale

scrive che: «Nel “locale” di Erba, invece, troviamo un milanese affiliato, o, come

dicono gli ‘ndranghetisti, “fatto uomo”. E’ una novità assoluta. Non era mai

successo nella storia della ‘ndrangheta.»92

Terza e ultima Locale che emerge dall’operazione “Infinito” è quella di Canzo-

Asso. A capo di essa vi è Luigi Vona, mentre altro personaggio importante affiliato

a questa Locale è Giuseppe Furci. Vona è stato elettore di Pasquale Zappia il 31

ottobre 2009 al circolo Arci di Paderno Dugnano: Furci ha accompagnato questi al

summit e anche alle varie riunioni che si sono tenute a Erba con gli esponenti di

quella Locale.

92

E. Ciconte, op. cit., pag. 109

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In questa Locale si erogano prestiti di denaro ad usura a più persone dimoranti a

Canzo – Asso, e c’è il ricorso all’intimidazione ed alla minaccia per ottenere il

pagamento dei crediti acquisiti.

Vona era già stato segnalato dalle forze dell’ordine nel corso dell’operazione “I

fiori della notte di San Vito” in quanto appartenente al clan Mazzaferro, ma era

stato assolto dal reato associativo. In quell’occasione, però venivano ritrovati e

sequestrati i suoi appunti che contenevano frasi proprie dei vari rituali

‘ndranghetisti.

“Infinito è un’operazione fondamentale, non solo per il calibro degli arrestati ma

soprattutto per la chiarezza sulle organizzazioni mafiose e la ‘Ndrangheta, in

particolare, che permette di fare.

Come riportato da Nando dalla Chiesa93

, con il blitz del luglio 2010 si scopre che la

‘Ndrangheta ha una struttura centralizzata e gerarchica, cosa inconcepibile fino a

pochi anni fa: al vertice vi è il capo-crimine (Domenico Oppedisano stando alle

indagini) a cui fanno capo tutte le Locali sparse nel mondo e dunque non ci sono

più le varie ‘ndrine che perseguono interessi personali, sempre sottostando alle

Locali, in condizioni di relativa autonomia. Si è inoltre scoperto che le colonie

lombarde hanno acquisito tanta forza da mettere in discussione la “suprema

autorità” calabrese, ma le loro istanze autonomistiche sono state prontamente

sedate, come si è visto nel caso di Novella. Viene confermato quanto si sapeva con

l’operazione “I fiori della notte di San Vito”, ossia che l’omertà sta diventando

dilagante in Lombardia: moltissimi lombardi o non denunciano le varie estorsioni o

atti intimidatori o, una volta chiamati a testimoniare, ritrattano le loro affermazioni.

Il primo caso si è verificato ad esempio con «Mimmo Maio, ferito a colpi di pistola

nel 1974, nel 1991 e nel 1993, che ha sempre detto di non sapere il perché e i

possibili autori di quei fatti»94

; il secondo caso, invece, si è potuto riscontrare

durante il processo a Muscatello con la ritrattazione dei testi d’accusa.

Dunque, stante questa omertà e i numerosi atti di intimidazione ed estorsione, si è

visto quanto la colonizzazione della ‘Ndrangheta sia diventato preponderante,

anche attraverso intestatari fittizi che hanno permesso l’inserimento nell’economia

93

Cfr. F. dalla Chiesa, op. cit. 94

Sentenza della Corte d’Appello di Milano, n. 1968/98, pag. 554

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legale e l’appoggio politico che la criminalità organizzata è riuscita ad ottenere, non

più solo su scala comunale ma addirittura nazionale.

Infine emerge come dato preoccupante il fatto che la società civile del nord non si

preoccupi del fenomeno quanto si dovrebbe: sia nelle parole dei sindaci, sia nel

caso sopraccitato del summit a Paderno Dugnano dove si riuniscono sotto gli occhi

di tutti i boss mafiosi del territorio.

CAPITOLO IV

4.1 Le risposte della società civile: l’azione della Prefettura

Negli ultimi anni si sta sviluppando, sebbene con colpevole ritardo, la coscienza

che la presenza della criminalità organizzata è radicata sulle sponde del Lario.

Le ultime operazioni di polizia che hanno coinvolto personaggi lombardi e anche

comaschi hanno fatto sempre più vegliare sul fenomeno mafioso l’opinione

pubblica e soprattutto i giornali locali, tra cui “La Provincia” che segue le inchieste

dell’antimafia e pubblica molti articoli al riguardo.

Un’azione efficace (o almeno si spera) nei confronti delle organizzazioni criminali

di stampo mafioso è portata a compimento da parte della Prefettura di Como. Essa è

impegnata sul fronte della prevenzione, utilizzando per tale fine degli strumenti che

dovrebbero costituire degli sbarramenti al pericolo di infiltrazioni mafiose

nell’economia del territorio.

Il primo e principale strumento di tale tipo è costituito dalle informazioni antimafia

che vengono raccolte per le opere pubbliche sul territorio. Per interdire l’accesso ad

una ditta è sufficiente il pericolo di infiltrazione e dunque non vi è la necessità di

dimostrare una infiltrazione in atto, ma basta il semplice sospetto che ciò possa

avvenire, che può essere dato da elementi sintomatici come ad esempio la

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partecipazione all’interno della ditta che lavora di soggetti collegati a clan mafiosi o

che hanno comunque avuto a che fare con personaggi di dubbia moralità. Il Prefetto

può dunque emanare conseguentemente dei provvedimenti interdittivi nei confronti

di queste ditte.

Il secondo strumento utilizzato è l’intervento del gruppo interforze istituito presso

la Prefettura e che vede la partecipazione della DIA, delle forze dell’ordine e degli

organismi pubblici che sono incaricati di tutelare il lavoro come l’Ispettorato del

Lavoro, INPS, INAIL ecc. Questo organismo si occupa di, a prescindere dalle

segnalazioni che vengono fatte che riguardano l’informativa antimafia, accedere ai

cantieri per verificare di fatto chi lavora e se chi lo fa è legittimato a farlo. Questo

organismo viene utilizzato soprattutto nelle grandi opere per scongiurare il rischio

che vi sia un’infiltrazione mafiosa nelle imprese che le costruiscono.

Oltre alla prevenzione, è seguito con molta attenzione da parte della Prefettura il

tema della sensibilizzazione della pubblica opinione in quanto vi è la

consapevolezza della necessità di creare consenso al lavoro delle forze dell’ordine e

creare una consapevolezza della popolazione che possa, in qualche modo, costituire

uno sbarramento alle infiltrazioni della mafia nell’economia sana. La Prefettura

sostiene infatti tutte le iniziative, che abbiano un minimo di credibilità e che vadano

in questa direzione, presenti nel territorio ad opera di ONLUS, amministrazioni

comunali ed in generale delle forme di mobilitazione pubblica sul rischio di

penetrazioni mafiose nell’economia.

Per quanto riguarda il tema dei beni confiscati è un tema seguito dalla Prefettura

anche se non sono direttamente coinvolti in quanto è l’ANBSC ad occuparsene. La

Prefettura ha comunque istituito un nucleo di supporto che si occupa di dare una

mano all’Agenzia per l’assegnazione dei beni sequestrati in provincia che sono

circa 65.

Il Prefetto, dr. Michele Tortora, crede che siano iniziative importanti in quanto

danno il segno di una presenza forte dello Stato che toglie il bene al mafioso e lo

mette in circolo per finalità di pubblico interesse, come previsto dalla Legge 109

del 7 marzo 1996.

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69

Il Prefetto stesso sostiene che vi sia una più diffusa sensibilizzazione dell’esistenza

del fenomeno mafioso nella provincia e più in generale in Lombardia, anche grazie

alle risultanze del processo “Infinito” e delle più recenti indagini della Magistratura.

Sembra dunque che le istituzioni nella provincia non abbiano più paura di rovinare

il “buon nome” della città ma abbiano deciso di parlare chiaramente nei confronti

della popolazione civile.

4.2 L’azione di Confindustria, CGIL, CISL, UIL Lombardia

Confindustria Como si dice, nelle parole di un suo ex-dirigente ed ora consulente

della stessa, dr. Mario Giudici, assolutamente determinata a dare il suo contributo

affinché le Forze dell’Ordine, la Magistratura, ecc. facciano tutto il possibile per

stroncare questo fenomeno, in quanto esso è assolutamente negativo per la

maggioranza delle aziende presenti sul territorio poiché crea concorrenza sleale.

Questo avviene perché chi può contare sui soldi derivanti dalla criminalità

organizzata può entrare nel mercato e offrire servizi a prezzi molto bassi, mettendo

in difficoltà chi lavora onestamente. Stando alle sue parole, Confindustria Como si

batte da tanto tempo insieme ai sindacati affinché venga rivista la normativa sugli

appalti, in quanto gli appalti emanati dalla Pubblica Amministrazione sono al

massimo ribasso e questo facilita chi ha delle irregolarità alle spalle.

E’ importante evidenziare che il dr. Giudici non crede che l’apparato industriale di

Como sia interessato da fenomeni di estorsione, incendi, pizzo o altri atti

intimidatori: egli individua nelle imprese edili quelle più a rischio e sottolinea

l’alterità di Confindustria rispetto a queste vicende, come nel caso della vicenda

Perego che sottolinea essere un’impresa edile e non industriale. Ritiene che

comunque possano verificarsi eventuali infiltrazioni all’interno delle loro aziende

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per il riciclaggio di denaro, anche se afferma che non sono mai giunte segnalazioni

di questo tipo.

A livello regionale, come Confindustria Lombardia, assieme a CGIL, CISL, e UIL

LOMBARDIA, l’11 aprile 2012, hanno sottoscritto un avviso comune per la

promozione di una cultura della legalità in chiave di contrasto della criminalità

organizzata.

L’avviso è strutturato in diversi punti che prevedono:

necessità di potenziare i presidi di governance della legalità: «Confindustria

Lombardia e CGIL CISL UIL Lombardia ritengono necessario individuare

le migliori e più efficaci forme di partecipazione e coinvolgimento di tutte le

componenti del sistema istituzionale e sociale per contrastare i rischi di

infiltrazioni criminali»

più trasparenza e controlli negli appalti: «Le parti promuovono

l’inserimento, nei bandi di gara tipo e nei capitolati di appalto, di adeguate

misure coerenti con la vigente legislazione in funzione di prevenzione

antimafia [...]. Nei bandi di gara si deve dare priorità al criterio dell’offerta

economicamente più vantaggiosa, valorizzando, con misure premiali, gli

elementi qualificanti dell’attività d’impresa [...]. Le parti, inoltre, auspicano

la piena ed effettiva applicazione degli obblighi di tracciabilità del flussi

finanziari»

realizzare una forte azione di formazione per la legalità nelle scuole anche

attraverso il sostegno della Regione, affinché conceda risorse a tal fine

assicurare la continuità alle attività produttive oggetto di provvedimenti

dell’Autorità Giudiziaria: è stata avanzata l’idea che l’Autorità Giudiziaria

sia messa in grado, quando viene sequestrata un’azienda per infiltrazione

mafiosa, di affidarne la gestione a soggetti professionalmente preparati per

gestirla, per evitare che un’azienda sequestrata alla mafia voglia dire

dipendenti licenziati, e si impegnano a promuovere azioni in tal senso.

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4.3 Il Progetto San Francesco a Cermenate

Nel 2007 a Cermenate, in provincia di Como, in via Di Vittorio 10 è stata

confiscata una villa alla ‘Ndrangheta: la Polizia di Stato ha rinunciato a farne una

propria sede istituzionale e ha deciso di mettere l’immobile a disposizione

dell’Agenzia nazionale per l’amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati

e confiscati alla criminalità organizzata, la quale a sua volta ha affidato il bene al

Comune.

Il Comune ha dunque deciso di collaborare con le altre realtà locali, sia economiche

che produttive, e con le associazioni esistenti per raggiungere la condivisione civile

della responsabilità di avere un centro antimafia nel proprio territorio.

Obiettivo ambizioso è quello di fare di tale villa il primo centro europeo per l’alta

formazione contro le mafie e per la promozione della cultura dei diritti umani. Il

“Centro studi sociali contro le mafia – Progetto San Francesco” è stato costituito il

2 maggio 2011 e inaugurato il 7 maggio ed è stato dedicato all’ “eroe borghese”

Giorgio Ambrosoli, il liquidatore della Banca Privata Italiana, ucciso l’11 luglio

1979 da un killer inviato da Michele Sindona, proprietario della Banca.

Il Centro studi è rivolto alle imprese, alle banche, ai sindacalisti e soprattutto alla

formazione dei giovani e “conducente” di esso è Padre Antonio Garau, presidente

di Jus Vitae onlus, che da anni lotta contro la mafia a Palermo, mentre direttore del

Centro è il dott. Alessandro De Lisi.

Nello Statuto si legge, all’art. 2.2, che «tra gli ambiti in cui intende progettare e

realizzare le proprie attività, l’Associazione individua prioritariamente la

formazione culturale e sociale a favore dei lavoratori, dei pensionati, della

cittadinanza, dei giovani, dei soggetti fragili (siano essi colpiti dal disagio

economico o fisico e psichico, o anche vittime di violenza domestica, criminale,

usuraia, del racket, delle guerre e delle migrazioni clandestine).»95

95

Cfr.

URL=http://www.progettosanfrancesco.it/images/sanfrancesco/pdf/PSF_DEFINITIVO_NUOVO

_STATUTO_APS_MARZO_2012.pdf

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Di certo il percorso intrapreso non è facile: a marzo 2012 tutti i sette pannelli del

percorso antimafia del Parco Comunale Scalabrini di Cermenate, dove ha sede il

bene confiscato, sono stati danneggiati con scritte di vernice spray. L’intento è stato

quello di vandalizzare i volti di personaggi che rappresentano l’azione

dell’antimafia, come i giudici Falcone e Borsellino, Padre Puglisi, Piersanti

Mattarella, il generale Carlo Alberto Dalla Chiesa e colui al quale il centro è

dedicato, Giorgio Ambrosoli.

Il sindaco ha sporto denuncia contro ignoti per dare segno di un’azione volta a

contrastare questo tipo di atti che, nella migliore delle ipotesi, trattasi di atto

vandalico, altrimenti può essere considerato come una forma di intimidazione.

Non è comunque la prima volta che accade un simile atto. Il 24 maggio 2010 era

stato piantato nel cortile dell’Istituto Caio Plinio di Como un “albero antimafia” in

memoria di tutti i caduti nella lotta contro le organizzazioni mafiose; ma nella notte

tra il 18 e il 19 giugno qualcuno era entrato nella scuola e aveva preso a calci

l’albero fino a quando si era spezzato. Restano però appese le scritte contro la mafia

fatte dai ragazzi. De Lisi ha affermato che: «Cernobbio è la capitale dell’economia.

Como deve diventare la capitale della lotta contro la mafia. Se dovesse essere

appurato che non si tratta di una ragazzata, ma di un atto intimidatorio di certo

non ci spaventeremo e saremo in grado di piantare una foresta contro la mafia. E

la nostra risposta sarà più dura perché come abbiamo confiscato i beni alla mafia

confischeremo alla mafia la forza di infiltrarsi negli appalti pubblici. Saremo

durissimi nelle reazioni insieme alle forze dell’ordine e alla magistratura. Il gesto

volgare di sradicare un albero in una scuola dimostra come sotto il colletto bianco

della mafia lombarda continuano a nascondersi uomini rozzi, privi di cultura e

vigliacchi.»96

E purtroppo non furono due episodi isolati: l’anno successivo, il 5 marzo, lo stesso

De Lisi e la sorella di Giovanni Falcone, Maria, piantarono sul lungolago un albero

in memoria del giudice con una targa a lui dedicata. Il 23 maggio 2011, proprio nel

giorno dell’anniversario della strage di Capaci in cui persero la vita insieme al

giudice a alla moglie gli agenti della scorta, tale lapide fu sfregiata ancora da

“vandali”. Giova inoltre ricordare che il 7 maggio venivano consegnate le chiavi

96

Cfr. “La Provincia”, 20 giugno 2010, pag. 12

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della villa dove si avvierà la “scuola antimafia”. In merito allo sfregio il direttore

del Progetto San Francesco commenterà: «Un tempismo perfetto, tale da far

pensare che un collegamento con la nostra attività c’è eccome. Significa che stiamo

facendo bene, che la nostra azione è incisiva, che diamo fastidio»97

Ben tre episodi in pochi mesi, proprio quando l’attività di contrasto alle

organizzazioni mafiose si fa più evidente. Certo, al momento non si può escludere

la pista vandalica, ma i dubbi che ci si trovi di fronte solo a delle “bravate” sono

molti.

Il quadro inizia a farsi inquietante soprattutto quando vengono prese in esame le

vicende legate alle amministrazioni comunali di Fino Mornasco, piccolo comune

della provincia che, come si è visto, è stato interessato da indagini della

Magistratura sia nel caso dell’operazione “I fiori della notte di San Vito”, sia perché

proprio qui è stato arrestato l’avvocato del clan Lampada-Valle, Vincenzo Minasi.

Fermandoci solo agli ultimi anni, l’ex sindaco Paolo Mazzola è stato vittima di

minacce, e commenta drammaticamente affermando che «Non sono fatti nuovi,

purtroppo in paese sono cose che sistematicamente succedono. A me hanno spedito

per due volte proiettili a casa. La prima era uscita sui giornali, la seconda me l'ero

tenuta per me».98

Per quanto riguarda invece l’amministrazione in carica, invece,

nel 2012 è stata incendiata l’auto di Luca Cairoli, assessore al Commercio, mentre

dei proiettili sono stati sparati contro la concessionaria di proprietà della sua

famiglia. E il 18 maggio il sindaco in carica, Giuseppe Napoli, è stato destinatario

di un messaggio molto esplicito: una croce con la sua foto e una bomba, priva di

innesco, appesa con un cavo. Evento che si lega alle altre minacce ricevute dallo

stesso Napoli.

Ma non si è deciso di stare zitti: è stata organizzata per il 25 maggio una fiaccolata

per dire “no alle intimidazioni”. Anche se tutti non la pensano così. Il consigliere di

minoranza Massimo Tagliabue ha affermato che «l’iniziativa del 25 maggio e la

fiaccolata “sono una spettacolarizzazione”, e che se si continua così “il rischio è

97

Cfr. “Il Fatto Quotidiano”, 2 giugno 2011 98

Cfr. URL=http://www.lettera43.it/fatti/mafia-il-tentacolo-comasco_4367552053.htm

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74

che alla fine ci scappi il morto”»99

. Parole che fanno quantomeno riflettere. E’ da

segnalare che la minoranza ha poi deciso di non partecipare alla fiaccolata alla

quale erano presenti molti cittadini e anche il Prefetto.

La strada per il Progetto San Francesco non si presenta facile, anche alla luce di

questi avvenimenti: ma Benedetto Madonia, segretario regionale del Siulp

Lombardia, dichiara che: «Tutte le volte che qualcuno deturpa il ricordo noi

reagiamo con forza. Pianteremo mille alberi, faremo una targa più evidente»100

. E

lo stesso De Lisi dichiara che «Io sono fatto così più provano a fermarmi e più

reagisco con il doppio della convinzione».101

99

Ibidem 100

Cfr. “Corriere di Como”, 24 maggio 2011 101

Cfr. “Il fatto quotidiano”, 2 giugno 2011

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CONCLUSIONI

La “linea della palma” di Sciascia è dunque arrivata anche a Como: era abbastanza

ovvio che ciò succedesse, dati i numerosi fattori ed elementi che hanno fatto della

provincia lariana una meta appetibile per le organizzazioni mafiose.

Molti sono stati i fattori che hanno permesso l’espansione della criminalità

organizzata nella zona:

la ricchezza del territorio, la vicinanza alla Svizzera, la vicinanza a città quali

Milano, Lecco, Varese nelle quali tale presenza era già stata dimostrata da

numerose inchieste. Il capoluogo lombardo è un enorme centro finanziario, e per di

più è considerato la capitale europea della cocaina: è facile dunque immaginare il

volume di affari e di capitali circolanti nella città e l’attrattiva che essa suscita.

La criminalità organizzata si è potuta insediare prima nei piccoli comuni della

provincia comasca, dove poteva godere di maggiore invisibilità e dove era più

facile per un gruppo di conterranei coesi ottenere il controllo del territorio, per poi

espandersi in quelli più grandi e anche più ricchi grazie alla maggior dimensione

delle imprese.

Si è voluto tacere a lungo a proposito del fenomeno per salvaguardare il buon nome

della città, che è sempre stata un’importante località turistica e che costituisce da

sempre un’attrattiva a livello mondiale, come dimostrato anche dalle numerosi ville

di attori di Hollywood che si affacciano sul Lario. E’ stato questo forse il fattore più

importante nella strategia di espansione a Como, e nel Nord Italia in generale delle

organizzazioni criminali di stampo mafioso: poter contare sul relativo “silenzio” da

parte delle istituzioni, degli imprenditori taglieggiati, dei giornali, della popolazione

civile. «Perché il silenzio -come ha commentato Anna Canepa della Direzione

Nazionale Antimafia- è l’ossigeno che consente a questi poteri di riorganizzarsi e

rafforzarsi»

E’ la cosiddetta “zona grigia” quella da cui la mafia trae il suo potere: è l’insieme

dei colletti bianchi, degli imprenditori che preferiscono fare affari con essa piuttosto

che denunciarla, che preferiscono spartirsi gli elevatissimi profitti ottenuti in

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maniera illecita piuttosto che agire in un’economia legale governata dal libero

mercato.

E la crisi finanziaria che l’economia sta vivendo rende più facili questi rapporti, con

la criminalità organizzata che porta capitali alle imprese, le quali li accettano ma in

questo modo perdono il controllo della propria azienda. Oggi, come riferito dal

dott. De Lisi e da Michele Prestipino, il nuovo business per le organizzazioni

mafiose è la gestione del debito delle imprese in difficoltà finanziarie.

Ma dopo il “sonno” delle istituzioni sia a livello regionale sia a livello provinciale

sulla presenza delle organizzazioni criminali di stampo mafioso sulla Lombardia e

su Como, sembra che ora le istituzioni, l’Autorità Giudiziaria, le amministrazioni

locali e i sindacati siano concordi e fermi nella loro posizione di lotta alla

criminalità organizzata.

L’azione di questi organi si può inquadrare in uno schema proposto da Dalla Chiesa

sull’azione dell’antimafia nel sistema delle influenze, dove nell’asse delle ordinate

troviamo i prerequisiti e i requisiti su quello delle ascisse:

LEGITTIMITA’ INVISIBILITA’

MATERIALE

INVISIBILITA’

CONCETTUALE

ESPANSIVITA’ IMPUNITA’

Economico “Addio pizzo”,

boicottaggio,

cooperative

Etica imprese,

imprenditoria,

sindacati

Associazioni

antiracket

Sociale Studenti Associazioni

locali

Politico Movimenti

politici

Parlamento

Istituzionale Commissione

antimafia

Sindaci,

amministratori,

prefetti

Magistrati,

forze

dell’ordine

Culturale Scuola, libri,

teatro

Giornalismo

Morale “Ammazzateci

tutti”, parroci

“Libera”,

movimenti

vittime

Movimento

parti civili

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Certo, non tutti i movimenti qui citati sono presenti nella provincia, ma come

dimostrato nella trattazione molti sono reperibili anche a Como; ciò si evince dai

documenti e dalle dichiarazioni che dimostrano un’attenzione sempre maggiore

negli ultimi anni da parte di associazioni sindacali come CGIL, CISL E UIL

COMO, di imprenditori sotto l’insegna di Confindustria Como, di molte

associazioni comasche che hanno aderito alla rete di associazioni “Libera” e dalla

presenza dell’associazione antiracket e usura S.O.S. Italia Libera.

Inoltre molti candidati sindaci alle ultime elezioni hanno parlato della criminalità

organizzata e si sono detti favorevoli ad un’azione di contrasto contro di essa.

Certo, sono “solo parole”, ma testimoniano comunque la scomparsa della volontà di

mantenere il buon nome della città non parlando del fenomeno mafioso.

Il Prefetto è in prima linea a combattere le organizzazioni mafiose nella provincia e

l’azione della Magistratura e delle Forze dell’Ordine si fa sempre più efficace. Il

Prefetto ha inoltre, secondo le direttive impartite dal Ministero dell’Interno, il

potere di esprimere un parere circa la sussistenza dei requisiti per l'accesso al Fondo

istituito per le vittime dei reati di tipo mafioso e trasmette tutta la documentazione

al Comitato di solidarietà per le vittime di tali reati.

Gli studenti sono consci dell’esistenza del fenomeno a livello nazionale e attuano

un’azione di contrasto, come ad esempio nel caso della manifestazione tenutasi il

26 maggio 2012 contro l’attentato alla scuola Morvillo-Falcone di Brindisi in

occasione della quale sono stati ricordati i giudici Paolo Borsellino e Giovanni

Falcone nel ventennale della loro morte.

Si è sviluppata sempre più l’attenzione giornalistica nei riguardi del fenomeno

mafioso che interessa Como e il suo hinterland, attraverso il quotidiano locale “La

Provincia” e la pubblicazione di diversi libri, come “Mafia Padana” di Paolo

Moretti e Francesco de Filippo e “La quinta mafia” di Marta Chiavari. Inoltre

l’attore e regista Giulio Cavalli ha tenuto alcuni spettacoli nella provincia lariana e

pertanto il pubblico ha potuto avere in questo modo una rappresentazione “visiva”

del fenomeno.

Per quanto riguarda la Commissione Antimafia, oltre alle relazioni che hanno

parlato del fenomeno mafioso a Como e che sono state citate in precedenza, si dà

rilievo al fatto che due senatori della Lega Nord hanno chiesto nel 2010 al

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presidente Pisanu, in carica quell’anno, di tenere una seduta speciale su Como a

seguito dell’inchiesta sul presunto traffico di amianto e rifiuti proibiti depositati nel

cantiere del nuovo Ospedale Sant’Anna di Como.

Facendo riferimento al “sottosistema morale” è da segnalare che è iniziato da

qualche mese il percorso che porterà alla costituzione di un Coordinamento

provinciale comasco di “Libera”, e dunque soprattutto i giovani stanno mostrando

una forte volontà di lottare contro la criminalità organizzata in quanto c’è la

consapevolezza del suo radicamento anche sulle rive del Lario.

Sembrano dunque aprirsi ottime prospettive per la città, visto l’impegno promosso

da coloro che lottano contro la criminalità organizzata a Como. Prefetto, sindaci,

sindacati e le istituzioni in generale sembrano manifestare unità di intenti e

l’attenzione dell’opinione pubblica si fa sempre più vigile.

E’ importante che la linea adottata rimanga la stessa, costante nel tempo anche

quando le organizzazioni mafiose sembreranno “sparite”, ricordando che, come

disse Giovanni Falcone: «La mafia è un fenomeno umano e come tutti i fenomeni

umani ha un principio, una sua evoluzione e avrà quindi anche una fine.». Anche

se di certo il fenomeno è ben lungi dallo sparire, e serviranno ancora molti anni

prima che ciò avvenga.

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APPENDICE

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Dislocazione episodi criminosi riconducibili alla ‘Ndrangheta

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Ingrandimento zona sud-ovest

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Ingrandimento zona sud-est

Elenco luoghi significativi in provincia di Como

Puginate Frazione del comune di Bregnano dove era

residente Calogero Marcenò.

Bulgarograsso Comune di residenza di Leonardo Messina nel

1990.

Cermenate Al numero 10 di via Di Vittorio si trova il bene

confiscato alla 'Ndrangheta divenuto sede del

Progetto San Francesco.

Erba Dai risultati dell'operazione "Infinito", emerge

che nel maneggio di Via Milano 1 è collocata la

sede della Locale di Erba.

Erba Franco Crivaro, affiliato alla Locale di Erba,

metteva a disposizione il suo ristorante

“Coconut” per summit di 'Ndrangheta

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Elenco episodi delittuosi suddivisi per anno

Anno 2006

Cabiate A settembre la vetrina di un'esposizione mobili viene colpita da

quattro pallottole nella notte

Cassina Rizzardi A febbraio, in via Monti, vengono incendiati alcuni serramenti di

quattro appartamenti in costruzione

Anno 2007

Cermenate A gennaio ignoti danno fuoco ad alcuni attrezzi e materiali

agricoli in un'azienda

Bregnano A marzo viene data alle fiamme una Audi

Anzano del Parco Ad aprile vengono distrutti da un incendio doloso dei mezzi di

un'azienda

Bregnano A maggio viene dato fuoco ad un container adibito ad ufficio.

Fino Mornasco A maggio viene sparato un colpo di pistola contro la vetrina di

un negozio.

Carugo Ad agosto, nel centro del paese, ignoti sparano contro

l'abitazione di un calabrese.

Mariano Comense A novembre lo showroom di un mobilificio e di una

concessionaria d'auto vengono colpiti da proiettili.

Casnate con Bernate Il 10 dicembre viene trovato un foro di proiettile sulla vetrina di

un'impresa specializzata in impiantistica.

Carugo Il 22 dicembre vengono trovati due fori di proiettile nella vetrata

di un parrucchiere. Arosio Il 31 dicembre 2007 un bar viene colpito da proiettili.

Anno 2008

Cadorago A inizio 2008, in via Verga, viene dato alle fiamme un camion.

Lomazzo A inizio 2008 viene trovato un foro di proiettile sulla vetrina di

una ditta di autotrasporti.

Mariano Comense A febbraio vengono ritrovati fori di proiettili sulla vetrina di una

sala giochi.

Casnate con Bernate Ad aprile cinque autocarri di due ditte di trasporti vengono

incendiati.

Fino Mornasco A maggio un uomo viene affiancato sulla Strada Statale dei

Giovi da due uomini in moto che sparano contro la sua vettura

Orsenigo A giugno vengono incendiati gli uffici di un'azienda.

Bregnano A luglio vengono sparati proiettili contro una casa.

Bulgorello (frazione di

Cadorago)

L'8 agosto viene ucciso, all'esterno del bar "Arcobaleno" in via

Monte Rosa, Franco Mancuso.

Fino Mornasco A settembre la vetrina di un centro benessere viene colpita da dei

proiettili.

Cirimido A ottobre 2008 viene dato alle fiamme un capannone.

Mariano Comense A dicembre 2008 colpi di pistola vengono sparati contro

un'abitazione privata.

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Anno 2009

Oltrona San Mamette A inizio 2009 vengono incendiate alcune auto parcheggiate in

una ditta di esportazione veicoli.

Veniano A marzo viene incendiata un'auto.

Mozzate A maggio vengono sparati sette colpi di pistola contro la vetrina

di un negozio.

Lurago Marinone A giugno si spara contro un bar.

Anzano del Parco A luglio vengono sparati colpi di pistola contro l'abitazione di un

privato.

Cassina Rizzardi A settembre viene recapitata una lettera con un bozzolo.

Carugo Ad ottobre, in via Toti, si spara contro un bar.

Fino Mornasco Ad ottobre un'auto viene colpita da proiettili e un'altra viene

incendiata.

Cadorago A novembre 2009 tre persone aggrediscono un quarantenne e poi

lo minacciano con una pistola.

Anno 2010

Mariano Comense Il 15 gennaio nella cassetta delle lettere di una donna residente a

Perticato viene e recapitato un proiettile.

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BIBLIOGRAFIA

L. Sciascia, Il giorno della civetta, Einaudi, 1961

F. Dalla Chiesa, Contro la mafia, Einaudi, Torino, 2010

L. Franchetti, Condizioni politiche e amministrative della Sicilia, Barbera, Firenze,

1877

A. Zagari, Ammazzare stanca, Reggio Emilia, Aliberti, 2008

E. Ciconte, ‘Ndrangheta padana, Catanzaro, Rubbettino, 2010

G. Alongi, La maffia nei suoi fattori e nelle sue manifestazioni: studio sulle classi

pericolose della Sicilia, Bocca, Torino, 1886

F. Dalla Chiesa, La Convergenza, Melampo, Milano, 2010

M. Portanova, G. Rossi, F. Stefanoni, Mafia a Milano, Milano, Melampo, 2011

N. Gratteri, A. Nicaso, Fratelli di sangue, Mondatori, 2012

N. Amadore, La zona grigia, La Zisa, Palermo, 2007

Gianluigi Nuzzi, Claudio Antonelli, Metastasi, Chiarelettere, 2010

Giuseppe De Felice Giuffrida, Maffia e delinquenza in Sicilia, Società editrice

lombarda, Milano, 1900

G. Barbacetto, D. Milosa, Le mani sulla città, Chiarelettere, 2011

R. Sciarrone, Mafie vecchie mafie nuove, Roma, Donzelli, 2009

G. Barbacetto, E. Veltri, Milano degli scandali, Laterza, 1991

F. De Filippo, P. Moretti, Mafia Padana, Editori riuniti, 2011

E. Ciconte, ‘Ndrangheta, Rubbettino, 2011

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FONTI

Lezioni di Sociologia della criminalità organizzata, Professor F. Dalla Chiesa

Relazione sulle risultanze dell’attività del gruppo di lavoro incaricato di svolgere

accertamenti su insediamenti e infiltrazioni di soggetti ed organizzazioni di tipo

mafioso in aree non tradizionali del 1994

Relazione al Parlamento sull’attività delle forze di polizia, sullo stato dell’ordine e

della sicurezza pubblica e sulla criminalità organizzata, Anno 2004

Relazione al Parlamento sull’attività delle forze di polizia, sullo stato dell’ordine e

della sicurezza pubblica e sulla criminalità organizzata, Anno 2005

“Le organizzazioni mafiose in provincia di Varese”, Francesca Marantelli,

Università degli Studi di Milano, 2011, Tesi di Laurea

Dati dell’Agenzia nazionale per l’amministrazione e la destinazione dei beni

sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata del maggio 2012

ATTI GIUDIZIARI

Operazione “I fiori della notte di San Vito”: Sentenza della Corte d’Appello di

Milano, n. 1968/98

Ordinanza di applicazione di misura coercitiva, Tribunale ordinario di Milano, N.

43733/06 R.G.N.R., N. 8265/06 R.G.G.I.P.

Paragrafi relativi alla vicenda Perego: Ordinanza di applicazione di misura

cautelare personale, Tribunale civile e penale di Milano, N. 47816/08 R.G.N.R.

mod. 21, N. 682/08 R.G.GIP

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Nel Capitolo 2, paragrafo 2 : Interrogatorio di Leonardo Rusconi

Paragrafo relativo alla vicenda Mandelli: Ordinanza di applicazione di misura

cautelare personale e contestuale sequestro preventivo, Tribunale Civile e Penale di

Milano, N. 46229/08 R.G.N.R., N. 10464/08 R.G.GIP

SITOGRAFIA

http://www.camera.it/bicamerali/leg15/commbicantimafia/files/pdf/Art_416bis.pdf

http://legislature.camera.it/_dati/leg11/lavori/stampati/pdf/36356.pdf

http://www.omicronweb.it/wp-content/uploads/2008/01/omicron8.pdf

http://www.stampoantimafioso.it/2012/03/05/perego-strade-dietro-le-sbarre-la-resa-

dei-conti-quasi/

http://www.genovaweb.org/Occ_op._Tenacia_Dda__Milano.pdf

http://www.villadeste.com/it/38/riconoscimenti.aspx

http://www.ambrosetti.eu/it/workshop-e-forum/forum-villa-d-este

http://www.pudivi.it/ORDINANZA-VALLE.pdf

http://www.stampoantimafioso.it/wp-content/uploads/2011/07/operazione-

infinito.pdf

http://www.progettosanfrancesco.it/images/sanfrancesco/pdf/PSF_DEFINITIVO_N

UOVO_STATUTO_APS_MARZO_2012.pdf

http://www.lettera43.it/fatti/mafia-il-tentacolo-comasco_4367552053.htm

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PERIODICI

“La Provincia”, 20 giugno 2010

“La Provincia”, 04 luglio 2010

“La Provincia”, 15 luglio 2010

“La Provincia”, 19 settembre 2011

“La Provincia”, 29 ottobre 2011

“La Provincia”, 07 novembre 2011

“La Provincia”, 01 dicembre 2011

“La Provincia”, 04 dicembre 2011

“La Provincia”, 01 aprile 2012

“Il Fatto Quotidiano”, 02 giugno 2011

“Corriere di Como”, 24 maggio 2011

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RINGRAZIAMENTI

Alla fine di questa Tesi di Laurea vorrei fare dei sentiti ringraziamenti a coloro che

mi hanno aiutato ad arrivare fino a qui e a chi mi ha aiutato nel lavoro.

Vorrei ringraziare in primis il Relatore di questa Tesi, Professore Nando dalla

Chiesa, per avermi aiutato nella ricerca del materiale, nella paziente opera di

correzione e per tutto il lavoro che c’è dietro a questa Tesi; lo ringrazio per la

disponibilità e cordialità sempre dimostrata e per gli insegnamenti che mi hanno

fatto aprire gli occhi davanti al fenomeno mafioso.

Sentiti ringraziamenti vanno anche a Paolo Moretti, giornalista de “La Provincia” di

Como per avermi aiutato nella ricerca del materiale, per le correzioni e per la

notevole quantità di informazioni datomi. Per gli stessi motivi ringrazio anche il Dr.

Alessandro De Lisi, direttore del Progetto San Francesco e anche per avermi fatto

scoprire la bella realtà di questo Progetto. Faccio a loro i miei personali

complimenti per l’impegno speso nel loro lavoro e per la passione che ci mettono.

Ringrazio anche il Capo della Procura della Repubblica di Como, Dr. Giacomo

Bodero Maccabeo, per le informazioni riguardo all’operazione “Leopardo” e sulle

vicende di Leonardo Messina; un grazie particolare va al Dr. Gian Luigi Fontana,

Sostituto Procuratore Generale presso la Corte di Appello di Milano e a Giuseppe

Favino, Cancelliere presso la Procura della Repubblica del Tribunale di Como, per

avermi fornito le carte della Sentenza della Corte d’Appello riguardo all’operazione

“I fiori della notte di San Vito”.

Ringrazio inoltre il Prefetto di Como, Dr. Michele Tortora, e il Dr. Mario Giudici

della Confindustria di Como per avermi concesso un colloquio ed espresso la loro

opinione riguardo il fenomeno mafioso a Como.

Infine ci terrei a ringraziare i miei genitori e mio fratello per avermi appoggiato

nelle scelte da me fatte e per avermi supportato nei momenti di difficoltà.