Le nuove sfide del penale - TopLegal
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Le nuove sfide del penale 2
Annicchiarico Studio Legale 6
Astolfo Di Amato & Associati Avvocati 8
Studio Legale Baccaredda Boy 9
Studio Bolognesi Avvocati Penalisti di Impresa 11
Studio Legale Borgna 13
BRB Studio Legale 14
DeaLaw Tax, Legal & Advisory 16
Gebbia Bortolotto Penalisti Associati 18
Studio Giordanengo Avvocati Associati 19
Studio Legale Isolabella 21
Studio Legale Pisano 22
Puccio Giovannini - Penalisti Associati 24
2 • TOPLEGAL FOCUS Penale d’impresa - Febbraio 2018
da affrontare nel diritto penale d’impresa è
quello della corretta attribuzione delle re-
sponsabilità nei processi penali. Secondo il
campione intervistato sarebbe utile accor-
ciare le distanze tra reale gestione e funzio-
namento dell’impresa e comprensione di
questo da parte degli inquirenti. Formando
un corpo di inquirenti in grado, fin dall’im-
postazione dell’indagine, di individuare i re-
sponsabili del settore nel quale è intervenuto
il reato e i soggetti che hanno effettivamente
agito.
Sempre restando in tema di maggiore con-
temperamento tra giustizia e impresa, c’è
chi reputa il “penale unico” non più sosteni-
bile sia in termini economici che in termini
di politica giudiziaria e penitenziaria. Sot-
tolineando l’importanza di differenziare i
processi per reati bianchi rispetto a quelli di
criminalità comune, in modo da adottare – in
assenza di prova certa – misure e strumenti
meno cruenti per il penale di impresa rispet-
to al penale tradizionale e di sangue. Questo
perché le cronache sono ormai dense di maxi
processi che colpiscono manager e impren-
ditori, dagli effetti devastanti e irreversibili
non soltanto sull’impresa oggetto d’indagine,
ma sul Sistema Paese, che perde d’attrattivi-
tà per gli investimenti esteri.
La sempreverde 231
Nonostante sia passato più di un decennio
dalla sua emanazione, il D.lgs 231/2001 sulla
responsabilità diretta delle aziende e degli
enti continua a essere di assoluta attualità.
Le nuove sfide del penale
FINO A UNA DECINA DI ANNI FA ERA
considerato un principe d’Aula. Oggi non
c’è settore della consulenza legale che non ne
veda il coinvolgimento diretto. Interpellato
non più solo in ottica processuale ma in ot-
tica preventiva, il penalista entra nella vita
aziendale a 360 gradi, dalla materia tutt’ora
attuale della 231 alla predisposizione di mi-
sure di sicurezza sul lavoro, passando per
questioni fiscali e finanziarie.
Ad aver agito da volano sono stati i tanti
interventi legislativi che si sono susseguiti
negli ultimi anni: dall’introduzione dei rea-
ti di disastro ambientale e omessa bonifica
all’innalzamento delle soglie per i reati fisca-
li, passando per la frenetica attività in tema
di anticorruzione svolta dall’Anac di Raffaele
Cantone. La materia penale ha così fatto in-
gresso a pieno titolo nella quotidianità ope-
rativa delle aziende. Tanto che alcune società
hanno iniziato a inserire nei propri organi-
smi di vigilanza i penalisti, ritenuti sempre
più utili anche all’interno di questi organi di
controllo.
Di fronte a un’evoluzione normativa e cul-
turale frenetica, però, la giustizia penale ita-
liana risulta ancora inadeguata nella gestio-
ne dei white collar crimes. È quanto emerge
da un’indagine condotta da TopLegal su un
campione di 24 insegne specializzate nella
materia, interrogate sull’evoluzione del dirit-
to penale d’impresa e sulle sfide in corso. Tra
maxi processi in cui sono indagate decine di
persone e altri casi in cui, invece, si ricorre
al semplificato meccanismo della responsa-
bilità per posizione, uno dei principali nodi
Non c’è ambito della vita aziendale che non lo chiami in causa. Un’indagine condotta da TopLegal su 24 insegne fotografa il diritto penale tra vecchie e nuove sfide
A cura di Maria Buonsanto
3 • TOPLEGAL FOCUS Penale d’impresa - Febbraio 2018
L’ingorgo tributario
Se il D.leg. 231 è un tema sempre attuale da
ormai quindici anni, è diventato d’attualità
più cogente quello dell’incursione del pena-
lista nel terreno dei fiscalisti. La crisi macro-
economica e il tentativo di individui e società
di sottrarsi alla eccessiva pressione fiscale
sono stati un acceleratore per i delitti tribu-
tari sia in Italia che verso l’estero. Se non è
complesso, per inquirenti esperti, accertare il
fatto, è sempre più impegnativo e talvolta im-
possibile, sia per il riciclaggio che per i reati
tributari connessi con paesi stranieri, rinve-
nire il profitto, celato attentamente e sapien-
temente in paradisi fiscali attraverso catene
di società fiduciarie.
In un clima già teso, a dare il colpo di gra-
zia alla pressione sui reati fiscali ci hanno
pensato le quattro sorelle digitali – Apple,
Google, Facebook e Amazon – che nell’ar-
co di un decennio sono passate a essere da
piccole start-up a macchine da soldi. Un fe-
nomeno che ha avuto delle ripercussioni in-
discutibili in ambito penale tributario, come
testimoniato dalla campagna del procura-
tore Capo di Milano Francesco Greco contro
l’elusione fiscale delle multinazionali del di-
gitale. Ciò ha fatto sì che le contestazioni di
transfer pricing e di stabile organizzazione
occulta siano passate da terreno dei fiscali-
sti a raggio d’azione dei penalisti in quanto
le Procure della Repubblica, in particolare
Milano e Roma, hanno spesso utilizzato lo
strumento penale per cercare di recuperare
il più possibile sotto il profilo patrimoniale.
Sono tanti i temi che in passato riguarda-
vano più direttamente i tributaristi, che oggi
sono diventati generatore di nuovi mandati
per i penalisti, sia in ottica preventiva che
di assistenza giudiziale a posteriori. Si spa-
zia dalla voluntary disclosure, la procedura
di collaborazione volontaria per il rientro di
capitali illecitamente detenuti all’estero, al
D.lgs 158/2015, che ha escluso la punibilità di
La norma infatti solleva, tutt’oggi, accesi di-
battiti tra gli addetti ai lavori. Tra gli argo-
menti più discussi c’è la sua applicazione a
macchia di leopardo, che contrappone uffici
giudiziari molto attivi sul tema a procure
che, invece, applicano la normativa con mi-
nore severità. D’altronde, a distanza di 14
anni persistono piccole e medie imprese che
ancora non hanno ritenuto di adeguarsi non
investendo sulla confezione e l’aggiornamen-
to dei modelli organizzativi.
Effettivamente, all’imprenditore non è
chiesto solo di dotarsi di un modello 231 ma
di monitorarlo continuamente per mantener-
lo aggiornato, idoneo ed efficace. Soprattutto
a causa della crescente rilevanza assunta da-
gli orientamenti giurisprudenziali in relazio-
ne alla struttura e al contenuto dei modelli
organizzativi. Ad esempio, la giurisprudenza
ha sottolineato l’importanza di una corretta
formazione dell’Organismo di Vigilanza per-
ché il modello andrebbe letto come effettivo
ed efficace strumento di governance.
È quindi importante sottolineare il ruo-
lo delle funzioni di controllo interno quale
strumento di prevenzione della commissione
dei reati presupposto e di accertamento della
violazione.
Un altro tema d’attualità legato alla 231 ri-
guarda la sua applicazione a società con
sede all’estero e a gruppi multinazionali, che
renderebbe utile l’adozione di modelli cross
border e di protocolli di comunicazione tra le
varie funzioni di controllo del gruppo.
E, infine, c’è chi afferma che andrebbe
chiarita l’applicazione alle società delle ga-
ranzie processuali previste dal nostro or-
dinamento per la persona fisica perché no-
nostante l’art. 35 del decreto preveda che al
procedimento nei confronti delle persone
giuridiche debbano essere applicate le norme
processuali previste per le persone fisiche in
quanto compatibili, sul piano applicativo tale
equiparazione crea non poche difficoltà.
4 • TOPLEGAL FOCUS Penale d’impresa - Febbraio 2018
nell’ambiente dallo stabilimento imputato, è
indispensabile il ricorso a studi epidemiolo-
gici. L’attenzione si fa massima, in particola-
re, quando si parla di responsabilità penale
per esposizione all’amianto.
Non soltanto perché negli ultimi tempi
i tribunali stanno prendendo una china di-
versa, più favorevole alle istanze delle difese,
portate avanti per anni senza apparente suc-
cesso; ma anche perché, secondo gli opera-
tori del settore, il tema sarà sotto i riflettori
ancora a lungo considerando che la latenza
della malattia è di quarant’anni e dunque, in
futuro, ci saranno presumibilmente ancora
molti processi.
Oltre alla responsabilità da amianto, sotto i
riflettori ci sono anche i cosiddetti nuovi eco-
reati, quali i delitti di inquinamento ambien-
tale (art. 452 bis c.p.) e di disastro ambientale
(art. 452 quater c.p.), introdotti dalla legge 68
del 2015. Le elevate cornici edittali di pena, l’e-
stensione della disciplina della confisca e l’in-
clusione dei nuovi reati tra i reati presupposto
per la responsabilità delle persone giuridiche
ai sensi della 231, contribuiscono a rendere
davvero “caldo” il tema della portata applica-
tiva delle nuove norme. A mantenere vivo l’in-
teresse sul tema ci pensano anche le questioni
interpretative ancora aperte. Molti addetti ai
lavori sottolineano, infatti, che la formulazio-
ne delle nuove norme rischia di lasciare ampio
margine di discrezionalità applicativa. E c’è
chi arriva a sostenere che «la riforma è scritta
male e lascia spazio a questioni di incostitu-
zionalità».
Leva e finanza nell’occhio del ciclone
Oltre a essere stata un driver per i reati di na-
tura tributaria, la crisi economica ha prodot-
to centinaia di processi per reati fallimentari.
Quando si parla di penale fallimentare, i temi
d’interesse per gli addetti ai lavori spaziano
dal più classico reato di bancarotta agli illeci-
ti posti in essere anche nell’ambito di proce-
alcuni reati tributari nell’ipotesi in cui i de-
biti tributari siano stati interamente estinti
anche in seguito a procedure conciliative o di
adesione all’accertamento.
In questa lotta di contrasto ai reati tribu-
tari, in Italia si è proceduto sul doppio binario
penale-amministrativo, con la coesistenza di
sanzioni sia penali sia amministrative per
le stesse condotte a carico delle medesime
persone. Ma proprio in questi mesi è arrivato
dall’Europa un colpo di piccone che ha mes-
so sull’allerta i penalisti. Lo scorso settembre
l’Avvocato generale della Corte Ue si è espres-
so su tre casi che riguardano l’Italia.
E la conclusione è stata la medesima: la
doppia repressione amministrativa e penale
delle medesime condotte, priva di un mecca-
nismo processuale per evitarla, non garan-
tisce il rispetto del diritto al ne bis in idem
(no alla doppia punizione) statuito dall’arti-
colo 50 della Carta per i diritti fondamentali
dell’Unione. Una conclusione che implicherà
fare i conti con il fatto che la normativa ita-
liana non prevede il coordinamento tra pro-
cedimenti penali e amministrativi e non
impone un vincolo di collaborazione alle au-
torità giudiziaria e tributaria.
Ecoreati e binomio penale-scienza
Oltre a penale e tax, c’è un altro binomio che
sta assumendo un ruolo sempre maggiore
nell’attività del penalista: quello tra penale e
scienza. Tutti i professionisti interpellati da
TopLegal concordano nel sottolineare la cre-
scente attenzione ai reati di natura ambien-
tale e l’imprescindibile necessità di coniu-
gare il sapere giuridico a quello scientifico.
I motivi sono molteplici e spaziano dal com-
plesso tema del nesso eziologico all’onere di
una prova rigorosa che eviti errori giudiziari.
Poiché nei processi per disastro ambien-
tale il fulcro dell’istruttoria è l’accertamen-
to dell’effettiva pericolosità per la salute
pubblica delle sostanze inquinanti diffuse
5 • TOPLEGAL FOCUS Penale d’impresa - Febbraio 2018
per i penalisti non è banale, considerando la
velocità con le quali circolano attualmente
le informazioni, l’inadeguatezza del sistema
nazionale in presenza di operazioni sempre
più transnazionali, l’impatto dell’informa-
tica nell’esecuzione di azioni su strumenti
finanziari e l’uso di sofisticati programmi in-
formatici per mettere a punto condotte mani-
polative.
Cybercrime, il reato corre in rete
Quando si parla di white collar crimes il rea-
to informatico è un tema ancora di frontiera
in Italia. Le peculiarità proprie dei crimini
informatici, connotati da transnazionalità,
rapidità di esecuzione e livelli di sofisticazio-
ne degli attacchi sempre più elevati, palesano
infatti l’inefficacia degli strumenti offerti dal
sistema penale, la cui reazione è di regola ste-
rile e tardiva.
Si pensi, ad esempio, ai frequenti sequestri
di interi archivi informatici, con la successiva
diffusione dei loro contenuti a seguito della
chiusura della fase di indagine: circostanze ido-
nee a provocare un gravissimo pregiudizio per
le imprese interessate, ben superiore rispetto
alla portata stessa del procedimento penale che
le vede coinvolte. È chiaro, quindi, che anche la
tutela dei dati personali è entrata nell’orbita del
diritto penale.
E, con essa, non pochi interrogativi su quello
che sarà il ruolo del penalista alla luce dei con-
tenuti del Regolamento sulla privacy che entrerà
in vigore a maggio 2018, soprattutto in relazione
alla figura del data protection officer quale figu-
ra di riferimento nella gestione degli strumenti
di tutela e delle policy adottate dalla società,
nonché con riguardo all’analisi del rischio e dei
conseguenti adempimenti richiesti dalla norma-
tiva. Se ne dibatte da poco in Italia, ma nei pros-
simi mesi il bisogno di procedure e policy che
permettano un’attività di controllo più efficace
dei dati è destinato a diventare un argomento
dirompente.
dure diverse dal fallimento. In quest’ultimo
caso, si fa riferimento in particolare al tema
della concessione del credito, degli strumenti
di soluzione della crisi d’impresa e del loro
impatto sul versante penalistico, nonché del-
la valutazione preventiva della loro utilizza-
bilità con la nomina dell’esperto valutatore.
Una delle novità del diritto penale falli-
mentare è, inoltre, la relazione sempre più
stretta che sussiste tra il diritto penale e l’at-
tività d’impresa svolta dalle banche. Negli
ultimi mesi, infatti, hanno assunto massi-
ma rilevanza, anche numericamente, i casi
di reati fallimentari in cui è rinvenibile una
responsabilità delle banche per concessione
abusiva di credito a imprese decotte.
Un fenomeno che non ha precedenti in
ambito di diritto fallimentare. In effetti, il
fermento del settore bancario è altissimo e si
sono moltiplicati i processi legati a respon-
sabilità degli ex vertici per reati di varia na-
tura (associazione a delinquere, aggiotaggio,
appropriazione indebita e riciclaggio). Tra
le vicende più note degli ultimi mesi ci sono
l’inchiesta Cian Ban (fiume di denaro), in cui
la Bank of China era accusata di coinvolgi-
mento in una presunta maxi operazione di ri-
ciclaggio da due miliardi di euro, e i processi
a Credit Suisse e IW Bank. Volendo allargare
il discorso, si può dire che il fermento non ri-
guarda solo l’attività strettamente bancaria,
ma più in generale il mondo della finanza. Ne
è un esempio il processo di Trani alle agenzie
di rating Standard & Poor’s e Fitch, accusate
di manipolazione del mercato per aver dif-
fuso intenzionalmente negli anni più critici
della crisi del debito informazioni “distorte
e tendenziose” sull’affidabilità creditizia ita-
liana.
Negli ultimi mesi, quindi, la tutela penale
delle manovre finanziarie è stata nell’occhio
del ciclone. Il problema sta nel tutelare il
pubblico dei risparmiatori in una realtà ra-
dicalmente diversa e di gran lunga più com-
plessa rispetto al passato. Una questione che
6 • TOPLEGAL FOCUS Penale d’impresa - Febbraio 2018
strato esercita le proprie funzioni (o le esercitava al
momento del fatto), la competenza va radicata in
capo al Giudice il cui Ufficio Giudiziario ha sede nel
capoluogo di un differente distretto di Corte d’Ap-
pello, individuato ex lege.
Le regole dettate dall’art. 11 c.p.p. si applicano
anche in caso di coinvolgimento nel procedimen-
to dei Giudici Onorai, quali ad esempio i Giudici di
Pace ovvero i membri laici delle Sezioni Agrarie
del Tribunale, atteso il carattere non episodico
dell’esercizio della giurisdizione e l’inserimento
di tali figure professionali tra gli organi deputati
all’amministrazione della giustizia. Sul punto si
sono pronunciate anche le Sez. Unite statuendo
che: “L’art. 11 c.p.p., che prevede una deroga alle re-
gole generali sulla competenza per territorio per i
procedimenti nei quali sia parte un magistrato, si
applica anche ai procedimenti nei quali siano
parte magistrati onorari, come il giudice di pace
ovvero i membri laici delle Sezioni Agrarie del
Tribunale …”.
L’applicazione di tale norma, e dei predetti ar-
resti giurisprudenziali, è stata invocata dalle Dife-
se degli imputati nel procedimento c.d. Ambiente
Svenduto in corso di celebrazione dinanzi alla
Corte d’Assise di Taranto, a seguito della costitu-
Processo ILVA, Magistrati parti civili: conseguenze
L’art. 11 del codice di procedura penale pre-
vede che l’incompetenza funzionale del
Magistrato (la quale determina il necessario
trasferimento del procedimento ad altra sede
distrettuale) si realizza nell’ipotesi in cui tale
Magistrato assuma “la qualità di persona sotto-
posta ad indagini, di imputato ovvero di perso-
na offesa o danneggiata dal reato”.
In altri termini, quando un procedimento
penale coinvolge un Magistrato e la competenza
a trattarlo spetti ad un ufficio giudiziario com-
preso nel distretto di Corte d’Appello in cui il Magi-
L’eccezione difensiva e la decisione della Corte d’Assise di Taranto
Non determina l’applicabilità dell’art. 11 c.p.p. la costituzione quale Parte Civile di un Giudice di Pace del Distretto, se questi, al momento della celebrazione del processo nel quale si costituisce, ha dismesso le funzioni: dall’avvenuta cessazione dell’appartenenza all’ordine giudiziario discenderebbe la possibilità di esclu-dere possibili condizionamenti sulla decisione finale.
A cura di Pasquale Annicchiarico
7 • TOPLEGAL FOCUS Penale d’impresa - Febbraio 2018
zietà del Giudice agli occhi della collettività e di
“evitare che il rapporto di colleganza e normale
frequentazione nascente dal comune espletamen-
to delle funzioni nello stesso plesso territoriale
possa inquinare, anche solo nelle apparenze, l’im-
parzialità del giudizio” (Cass. Sez. Unite 292/2004
Scabbia), l’applicabilità del meccanismo di cui
all’art. 11 c.p.p. non si presta ad alcun tipo di sin-
dacato nelle ipotesi in cui il soggetto che assume il
ruolo di imputato, indagato, persona offesa o dan-
neggiata dal reato, sia un magistrato e quest’ulti-
mo svolga, o abbia svolto, le funzioni giudiziarie
al momento del fatto-reato nello stesso distretto
di Corte di Appello del procedimento che lo vede
assumere una delle predette qualità. Per conso-
lidato orientamento dei Giudici di Legittimità ai
fini dell’applicazione della competenza specia-
le ex art. 11 c.p.p., ciò che rileva è che vi sia stato
esercizio delle funzioni giudiziarie al momento
della commissione del fatto-reato, a nulla rile-
vando l’intervenuta cessazione delle funzioni
giudiziarie al momento della costituzione di
parte civile. “È irrilevante la questione relativa al
momento di pensionamento del magistrato, sia
esso insorto prima, o dopo la costituzione di parte
civile. Per un verso, la costituzione di parte civile
non è condizione di operatività dell’art. 11 c.p.p.
per altro verso, ciò che rileva è la condizione del
magistrato al momento del fatto, come emerge
dall’espressione “esercitava” le funzioni al mo-
mento del fatto; mentre è del tutto irrilevante che
la cessazione sia intervenuta in un momento suc-
cessivo. Come confermato dalla Corte di Cassa-
zione, la deroga alla competenza fissata dall’art.
11 c.p.p., opera anche qualora il magistrato abbia
già cessato dal servizio (Cass. 4 maggio 1977, De
Vivo)”. Qualora l’eccezione difensiva, fondata su
di un orientamento allo stato univoco e consoli-
dato, dovesse trovare accoglimento in Appello o
in Cassazione, il processo ILVA sarebbe annullato
e trasferito dinanzi al Tribunale di Potenza per la
celebrazione, dall’inizio, di un nuovo Giudizio.
zione quale Parte Civile sia del dott. omissis che
ha esercitato le funzioni di Giudice di Pace di Ta-
ranto dal 1995 al 2015 (durante il periodo nel qua-
le si sarebbero consumati i fatti oggetto di impu-
tazione), sia del dott. omissis, come documentato
attraverso la produzione dei decreti ministeriali
di nomina e di numerose sentenze a loro firma.
La Corte d’Assise, tuttavia, ha rigettato l’eccezione
difensiva sostenendo che dall’avvenuta cessa-
zione dell’appartenenza del dott. omissis e del
dott. omissis all’ordine giudiziario al momento
della celebrazione del processo, discendereb-
be la possibilità di escludere condizionamenti
sulla decisione finale (“ … deve sussistere un
concreto ed attuale pericolo che il rapporto di col-
leganza incida sulla effettiva o apparente (presso
la pubblica opinione) imparzialità e terzietà del
giudice. Sicchè la cessazione della appartenenza
all’ordine giudiziario senza dubbio incide su det-
to rapporto di colleganza, ormai cessato e, quindi,
sul condizionamento, effettivo ma anche solo ap-
parente, che detta appartenenza potrebbe avere
sulla decisione finale del giudice … la accertata
cessazione dall’Ufficio di omissis, fa si di poter
ragionevolmente concludere per la inapplicabi-
lità del disposto di cui all’art. 11 c.p.p..”). Si tratta
di una decisione che offre interessanti spunti di
riflessione, atteso che l’ordinanza in questione
pare discostarsi tanto dalla ratio dell’art. 11 del
codice di rito, quanto da tutti i precedenti arresti
in materia.
Ed invero, premesso che la finalità perseguita
dalla norma in esame è indiscutibilmente quella
di garantire l’immagine di indipendenza e ter-
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Annicchiarico Studio Legale
Avv. Pasquale Annicchiarico
8 • TOPLEGAL FOCUS Penale d’impresa - Febbraio 2018
legittimità costituzionale. Le modifiche, infatti, si
sono incentrate su altri aspetti tra cui l’amplia-
mento della platea dei soggetti destinatari delle
misure (corrotti, stalker, truffatori, indiziati di
aver aiutato latitanti di associazioni a delinque-
re); la previsione di una trattazione prioritaria
del proc. di prevenzione patrimoniale; l’introdu-
zione dell’istituto del controllo giudiziario delle
aziende; la modifica del sistema di nomina/revo-
ca degli amministratori giudiziari.
Il punto dolente della disciplina continua,
dunque, a ravvisarsi in quella cultura del sospetto
che è alla base del sistema delle misure di preven-
zione. La riforma, ad esempio, non ha modificato
le previsioni in materia di confisca permanendo
la possibilità di confiscare i beni - di cui si sia ti-
tolari e che abbiano un valore sproporzionato
rispetto al proprio reddito dichiarato ai fini delle
imposte o alla propria attività economica - solo
sulla base di un generico accertamento della pe-
ricolosità. La conseguenza è che l’ablazione del
patrimonio del proposto, essendo ancora fonda-
ta su presunzioni, continua a porsi in contrasto -
anche a seguito della riforma - con diritti costitu-
zionalmente e convenzionalmente tutelati quali
la proprietà, il diritto di difesa ed il diritto ad un
equo processo.
La riforma “mancata” del Codice Antimafia
La legge n. 161/2017, entrata in vigore il 19 no-
vembre scorso, ha modificato la disciplina in
materia di misure di prevenzione contenuta nel
D.lgs. 159/2011 (cd. codice antimafia).
La riforma si pone al termine di un complesso
iter legislativo che ha preso le mosse dalle nume-
rose censure formulate con riferimento al prece-
dente testo legislativo, soprattutto in termini di
violazione dei principi costituzionali e conven-
zionali. Più precisamente, profili di illegittimità
sono stati ravvisati con riferimento ai presup-
posti applicativi della disciplina di prevenzione
che consente l’inflizione di misure personali e
patrimoniali particolarmente afflittive (quali il
sequestro e la confisca) sulla base di un giudizio
meramente presuntivo di pericolosità del sogget-
to, fondato su elementi indiziari ed ispirato alla
cd. logica del sospetto. Si è, altresì, criticata la
“distorsione” del sistema di prevenzione caratte-
rizzato da standard probatori molto bassi e dalla
totale assenza delle garanzie tipiche del proces-
so penale. Pertanto, si è auspicata una modifica
dell’intero sistema.
Nel riformare la disciplina in parola il Legisla-
tore non ha, tuttavia, recepito le istanze di revi-
sione - in senso garantistico - dell’intero sistema
della prevenzione, lasciando irrisolti i dubbi di
I pericoli per i diritti fondamentali
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A cura di Astolfo Di Amato
9 • TOPLEGAL FOCUS Penale d’impresa - Febbraio 2018
aprire la strada all’incriminazione di condotte
ascrivibili alla categoria del post-fatto non pu-
nibile.
L’introduzione dell’art. 648ter.1, in sostanza,
è il risultato di una scelta di compromesso che
nei fatti ha soltanto ridimensionato il “privile-
gio di autoriciclaggio”, continuando a prevede-
re l’esclusione della punibilità in caso di “mera
utilizzazione o di godimento personale” (al co.
4) e richiedendo la sussistenza di un concreto
ostacolo all’identificazione della provenienza
delittuosa dei beni (al co. 1).
Il frutto di questa scelta è una fattispecie che
non brilla per chiarezza nella formulazione e
che, senza dubbio, lascia molti nodi interpreta-
tivi da risolvere a dottrina e giurisprudenza.
Nella propria opera di contrasto all’economia
dell’illegalità, la L. 186/14 ha modificato anche
l’impianto del d.lgs 231/01, inserendo l’art. 648
ter.1 c.p. nel catalogo dei c.d. reati presupposto.
Tale inclusione, operata mediante il sempli-
ce richiamo all’art. 648ter.1 nel corpo dell’art.
25-octies, desta non poche perplessità. Provia-
mo a fare qualche esempio.
In primo luogo, non è chiaro come la clau-
sola modale dell’art. 648ter.1 co. 1 (laddove si
richiede che la condotta debba essere tenuta
“in modo da ostacolare concretamente l’iden-
Autoriciclaggio e responsabilità degli enti
All’esito di un lungo processo di evoluzione
normativa in tema di riciclaggio, l’art. 3
della L. 15.12.2014, n. 186 ha introdotto nel codice
penale l’art. 648ter.1 c.p.
Con questo intervento normativo il legisla-
tore si è proposto di superare il principio del
c.d. “privilegio di autoriciclaggio” che impediva
l’incriminazione dell’autore o del concorrente
nel reato che pone in essere condotte di rici-
claggio o reimpiego.
Sulla base delle indicazioni ricevute in sede
consultiva dalla Commissione Giustizia della
Camera dei Deputati, il Parlamento ha prefe-
rito però non procedere alla radicale elimina-
zione della clausola di non punibilità di cui agli
artt. 648bis e 648ter c.p., per non rischiare di
L’autoriciclaggio nel d.lgs 231/01, tra i dubbi della dottrina ed il silenzio giurisprudenziale
A tre anni dall’entrata in vigore nell’ordinamento nazionale della normativa in tema di autoriciclaggio, le questioni interpretative da risolvere in relazione all’inclusione della fattispecie all’interno del catalogo dei c.d. reati presupposto ex d.lgs 231/01 per la responsabilità degli enti risulta-no ancora molto numerose.
A cura di Carlo Baccaredda Boy
10 • TOPLEGAL FOCUS Penale d’impresa - Frebbraio 201810 • TOPLEGAL FOCUS Penale d’impresa - Febbraio 2018
clausola pensata per ipotesi tipiche delle perso-
ne fisiche.
Infine, risulta problematica la potenziale
violazione del principio di tassatività in tema
di responsabilità degli enti.
Ci si chiede, infatti, se la responsabilità
dell’ente per autoriciclaggio debba essere limi-
tata ai casi in cui il reato-base (da cui deriva il
bene o le altre utilità reimpiegate) sia già com-
preso nel catalogo del d.lgs 231/01 o si configuri
anche in presenza di delitti diversi (quali, ad
esempio, i reati tributari). Tale aspetto è ov-
viamente molto rilevante sul piano pratico: si
pensi all’elaborazione del modello organizzati-
vo e alla predisposizione da parte dell’ente dei
presidi a contenimento del rischio reato. Una
questione simile, relativa all’inserimento nel
catalogo 231 degli artt. 416 e 416bis c.p., è stata
risolta dalla Suprema Corte in ossequio al prin-
cipio di tassatività, circoscrivendo l’operatività
di tali reati ai soli casi in cui l’associazione ab-
bia reati-fine contemplati dal catalogo del d.lgs.
231/01 (Cass. Pen., Sez. VI, 24.01.2014, n. 3635).
La dottrina sul punto è divisa tra autori
che sostengono l’applicabilità di una soluzio-
ne analoga anche per l’autoriciclaggio ed altri
che, invece, argomentano l’insussistenza della
lesione del principio di tassatività sulla base
della diversità strutturale tra i reati associati-
vi e il 648ter.1. Ancora una volta, non risultano
pronunce specifiche sul punto.
In conclusione, come si desume da questa
breve esemplificazione, a tre anni dall’entrata
in vigore della L. 186/14 gli orizzonti applicativi
dell’autoriciclaggio nel d.lgs 231/01 risultano
ancora da delineare e l’interpretazione è affida-
ta agli sforzi dei primi commentatori. Ad oggi, i
dubbi rimangono numerosi ed è auspicabile un
intervento chiarificatore della giurisprudenza.
tificazione” della provenienza delittuosa dei
beni o altre utilità) si declinerà nell’ambito
della responsabilità delle persone giuridiche,
specialmente in relazione alle realtà più gran-
di che – si pensi alle imprese multinazionali –
pongono quotidianamente in essere operazioni
finanziarie di elevata complessità.
Le prime pronunce sul tema (tutte relative
a persone fisiche) offrono alcuni utili spunti
di riflessione e cercano di valorizzare l’intento
del legislatore; Cass. Pen., Sez. II, 28.07.2016 n.
33074, ad esempio, afferma che con l’avverbio
concretamente “il legislatore richiede […] che la
condotta sia dotata di particolare capacità dis-
simulatoria [ossia] un impiego di qualsiasi tipo
ma sempre finalizzato ad occultare l’origine il-
lecita del denaro o dei beni oggetto del profitto”.
In attesa di pronunce specifiche sull’argomen-
to, la questione è da considerarsi aperta. La
speranza è che la giurisprudenza non ceda ad
interpretazioni abroganti dell’avverbio “con-
cretamente”.
Una seconda criticità, inoltre, è ravvisabile
nell’interpretazione da dare all’art. 648ter.1, co.
4 (non punibilità “per mera utilizzazione o go-
dimento personale”), qualora l’autoriciclaggio
sia realizzato nell’interesse o a vantaggio di un
ente. Come si osserva in dottrina, infatti, ipotiz-
zare il caso in cui il provento dell’illecito a mon-
te sia stato meramente utilizzato o destinato al
“godimento personale” dell’ente risulta molto
complesso, se non impossibile, essendo stata la
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Avv. Carlo Baccaredda Boy
11 • TOPLEGAL FOCUS Penale d’impresa - Febbraio 2018
pericolo la salute dei soggetti interessati. Sotto
questo profilo, l’intervento legislativo può rite-
nersi positivo poiché contiene quella tendenza
della giurisprudenza a sostituirsi al legislatore
evocando, non sempre a proposito, le fattispe-
cie appena richiamate. Del resto, questa prassi
giurisprudenziale era stata criticata anche dalla
stessa Corte Costituzionale che nel 2008 aveva
auspicato un intervento del legislatore penale in
grado di disciplinare in modo autonomo tali fatti-
specie criminose, garantendo quella certezza del
diritto che il ricorso alla figura del disastro inno-
minato aveva compromesso. La necessità di un
intervento legislativo di ampio respiro risponde
altresì agli obblighi comunitari indicati dalla di-
rettiva 2008/99/CE. Qualche perplessità sussiste,
invece, in ordine alla introduzione delle figure
dell’ “Inquinamento ambientale” e del “Disastro
ambientale” (art. 452 bis e quater c.p.), sotto il
profilo della certezza del diritto.
Si pensi, infatti, all’impiego dell’avverbio
“abusivamente” e al ricorso a formule lingui-
stiche vaghe e poco precise (“equilibrio di un
ecosistema”, alterazione irreversibile”), che dif-
ficilmente potranno essere meglio precisate in
via ermeneutica e che stridono con il principio
di determinatezza.
Un aspetto innovativo e sicuramente rilevan-
I reati ambientali a due anni e mezzo dalla riforma
La riforma doveva rispondere ad un primo com-
pito: superare l’inadeguatezza del sistema
sanzionatorio previgente. Tale assetto era, infatti,
incentrato su fattispecie di carattere contravven-
zionale chiamate a sanzionare anche condotte
connotate da una certa gravità che venivano però
punite con pene pecuniarie o di modesta entità.
Questo esiguo apparato repressivo si mostra-
va foriero di ricadute negative almeno sotto due
versanti. Da un lato, era assai frequente il ricorso
al procedimento di oblazione, che portava alla
estinzione del reato attraverso il pagamento di
una sanzione amministrativa di carattere pe-
cuniario; dall’altro, si era diffusa la prassi delle
Procure della Repubblica di ricorrere, a fronte
della scarsa efficacia repressiva e deterrente del-
le sanzioni previste dal T.U. Ambiente, alle fatti-
specie poste a tutela dell’incolumità pubblica
(artt. 439, 440 c.p.), con la conseguenza di evocare
pene sproporzionate rispetto al reale disvalore
di fatti di inquinamento che non ponevano in
Analisi critica e risvolti applicativi della nuova disciplina
La riforma ha lati oscuri e propone questioni irrisolte. Il compito del pro-fessionista sarà quello di fornire alle imprese una guida nella prevenzione del rischio penale
A cura di Dario Bolognesi
12 • TOPLEGAL FOCUS Penale d’impresa - Febbraio 2018
nero della responsabilità a fronte della adozione
di compliance programs che abbiano positiva
ricaduta nel settore ambientale. Già nel 2011 il
legislatore era intervenuto, anche sotto la spinta
degli obblighi comunitari, inserendo alcune ipo-
tesi, al tempo contravvenzionali, nell’ambito dei
reati presupposto. Tuttavia, la scelta di non inclu-
dere le fattispecie codicistiche, tradizionalmente
deputate alla tutela dell’ambiente (getto pericolo-
so di cose ex art. 674 c.p.; avvelenamento di acque
destinate all’alimentazione ex art. 439 c.p.; lo stesso
disastro ex art. 434 c.p.; etc.), aveva depotenziato la
riforma dando luogo ad effetti paradossali poiché
veniva integrata la responsabilità dell’ente in pre-
senza di offese bagatellari, mentre nulla si poteva
dinnanzi agli illeciti più gravi. Attualmente, sul
piano sanzionatorio, gli illeciti amministrativi di-
pendenti da reato sono puniti attraverso sanzioni
pecuniarie calcolate secondo il sistema delle quote
previsto dall’art. 10 d.lgs. 231/2001 che il legislatore
ha fissato entro limiti edittali di una certa rilevan-
za e non sono, peraltro, oblazionabili. Poiché la
responsabilità dell’Ente può riguardare non solo i
soggetti di notevole capacità economica ma anche
realtà aziendali di modesto spessore, si rileva che
per queste ultime le sanzioni previste possono ri-
sultare eccessivamente afflittive. Perciò le aziende,
anche di medie o piccole dimensioni, debbono do-
tarsi di Modelli di organizzazione e controllo ade-
guati ed efficaci, idonei a prevenire i reati e ad ave-
re efficacia esimente, al fine di prevenire chiamate
in causa e condanne a sensi del decreto 231/2001.
Per cogliere questo obbiettivo gli Studi legali che
si occupano della redazione dei modelli per l’im-
presa dovranno, anche rispetto agli ecoreati di cui
stiamo trattando, svolgere unitamente ai clienti
ed a consulenti esperti una approfondita analisi
dell’area a rischio in questione.
te è senza dubbio rappresentato dall’inserimento
dei reati ambientali tra i reati presupposto che
configurano una responsabilità dell’ente ai sen-
si del d.lgs. 231/2001. La scelta del legislatore è
senz’altro condivisibile nell’ottica di estendere
la responsabilità ex d.lgs. 231/2001 a tutti i settori
in cui è necessario responsabilizzare l’impresa,
ma d’altro canto sembra giustificata la preoccu-
pazione di quest’ultima a fronte dei sopra citati
dubbi in ordine al perimetro applicativo delle
nuove norme ed alla loro interpretazione: sus-
siste cioè ancora una volta il rischio che sia de-
mandata alla giurisprudenza la definizione della
volontà del legislatore, con la verosimile conse-
guenza di decisioni almeno in un primo tempo
eterogenee che non gioveranno alle certezze ne-
cessarie all’imprenditore per valutare il rischio e
fare scelte ed investimenti importanti.
Sotto diverso profilo bisogna riconoscere che
l’inserimento della nuova normativa nel sistema
231 consente di dare risposta sanzionatoria alla
scorretta politica di impresa anche quando non
sia possibile individuare il singolo responsabile,
costituendo contemporaneamente argine a spin-
te criminogene e maggiori garanzie di tutela per
l’ambiente, quest’ultime rinforzate dalla intro-
duzione da parte del legislatore di meccanismi
premiali a favore degli enti che si adoperino per
il ripristino dello stato delle matrici ambientali
al momento antecedente la commissione dell’il-
lecito; è stata altresì prevista una causa di eso-
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13 • TOPLEGAL FOCUS Penale d’impresa - Febbraio 2018
no cagionato un danno od un pericolo concreto
ed attuale di danno alle risorse ambientali, ur-
banistiche o paesaggistiche protette.
La prescrizione impartita è un atto di ini-
ziativa posto in essere prima che l’autorità giu-
diziaria venga investita della notizia di reato; il
conseguente procedimento penale resta sospeso
dall’iscrizione fino al momento in cui il Pubblico
Ministero riceve comunicazione dell’adempi-
mento o dell’inadempimento delle prescrizioni
impartite.
Solo qualora venga accertato l’adempimento
delle prescrizioni, il contravventore sarà ammes-
so al pagamento, in sede amministrativa, di una
somma pari al quarto del massimo dell’ammen-
da stabilita per la contravvenzione commessa. Il
Pubblico Ministero, ricevuta notizia dell’estin-
zione della contravvenzione, provvederà a chie-
dere l’archiviazione del procedimento penale.
Va rilevato che, qualora, come più volte si è
verificato accadere nella pratica, gli organi di
polizia non attivino la procedura di cui sopra,
ormai divenuta invece rutinaria in materia an-
tinfortunistica, l’attività di difesa può stimola-
re l’applicazione delle norme citate, evitando
così l’inizio di un vero e proprio procedimento
penale.
L’estinzione delle contravvenzioni ambientali
La legge 68/2015 ha riformato in maniera si-
gnificativa il sistema dei reati ambientali,
introducendo nuove ipotesi delittuose, punite
molto severamente. Per quanto concerne, invece,
gli illeciti contravvenzionali previsti dal codice
dell’ambiente (d. l.vo 152/06), la normativa in esa-
me ha proposto una novità di rilievo e, cioè, un
meccanismo estintivo che ricalca quello previsto
in materia di sicurezza sul lavoro (art. 301, d.lgs.
81/2008). Una procedura, quindi, di notevole in-
teresse e di rilevante impatto pratico.
L’art. 318 ter, al I comma, prevede, infatti,
che, allo scopo di estinguere la contravvenzione
accertata, l’organo di vigilanza in materia am-
bientale, nell’esercizio delle funzioni di polizia
giudiziaria, ovvero la polizia giudiziaria stessa,
impartisca al contravventore un’apposita pre-
scrizione, fissando per la regolarizzazione un
termine, che può venir prorogato, a richiesta del
contravventore ed in presenza di specifiche e
documentate circostanze, non imputabili, ovvia-
mente, al contravventore stesso, tali da determi-
nare un ritardo nella regolarizzazione.
La nuova procedura estintiva trova applica-
zione nelle ipotesi contravvenzionali punite con
la sola pena dell’ammenda o con la pena alterna-
tiva dell’arresto o dell’ammenda, che non abbia-
Un’opzione extra processuale per le imprese
A cura di Giovanni Borgna
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14 • TOPLEGAL FOCUS Penale d’impresa - Febbraio 2018
lo statuto delle garanzie processuali, in www.
dpei.it). Nonostante, infatti, l’art. 35 del Decreto
preveda che al procedimento nei confronti delle
persone giuridiche debbano essere applicate le
norme processuali previste per le persone fisiche
in quanto compatibili, sul piano applicativo tale
equiparazione crea non poche difficoltà.
Senza pretesa di esaustività, si prenda qua-
le esempio la presunzione di innocenza di cui
all’art. 27, c. 2 della Costituzione, posto a raffron-
to con l’art. 6 del D. Lgs. 231/01, che prevede un’in-
versione dell’onere della prova nel caso in cui il
reato presupposto sia commesso da soggetto
apicale. Un’anomalia, va detto, opportunamente
corretta in via interpretativa dalla Corte di Cas-
sazione che sul punto ha precisato che grava <<
comunque sull’Accusa l’onere di dimostrare la
commissione del reato .. e la carente regolamen-
tazione interna dell’ente. Quest’ultimo ha ampia
facoltà di fornire prova liberatoria>> (Cass., sez
VI, 16 luglio 2010, n. 27735). Ancora, è il caso di
citare il diritto di difesa, che si estrinseca (anche)
attraverso il principio del nemo tenetur se dete-
gere: detto principio non trova la medesima, pie-
na applicazione anche per le persone giuridiche,
poiché l’incompatibilità assoluta a testimoniare
vale solo per la persona fisica imputata per il rea-
to presupposto (art. 44, c. 1, lett. a) D. Lgs. 231/01),
D. Lgs. n. 231/2001: considerazioni processuali e (criticità) applicative
Un tema meritevole di interesse per il nume-
ro crescente dei procedimenti pendenti nei
confronti degli enti ai sensi del D. Lgs. n. 231/2001
riguarda l’individuazione delle garanzie pro-
cessuali previste dal nostro ordinamento per
la persona fisica applicabili anche alle Società
(oggetto proprio di recente delle acute riflessioni
di un attento autore: V. Mongillo, Responsabilità
da reato degli enti collettivi ed attività difensive:
La trama giurisprudenziale ancora non consistente (seppur progressiva-mente si assiste, come è inevitabile che sia, ad un aumento dell’esperien-za applicativa), in uno con le limitate indicazioni legislative, contribuisce a connotare di incertezza la disciplina della responsabilità dell’ente ex de-licto. I temi irrisolti sono molteplici e ben lontani dall’essere definiti a livello interpretativo: tra questi, su tutti, l’in-dividuazione di quali siano le garanzie processuali previste dal codice di rito per le persone fisiche applicabili anche alle Società.
A cura di Stefano Bruno e Gino Bottiglioni
15 • TOPLEGAL FOCUS Penale d’impresa - Febbraio 2018
autoriciclaggio – può ritenersi soggetto concor-
rente nel reato presupposto ed, in quanto tale,
usufruire di tali meccanismi premiali? Occorre
innanzitutto considerare che le sezioni unite
intervenute nella vicenda c.d. ThyssenKrupp
hanno affermato che la responsabilità dell’ente
consiste in un nuovo sistema di responsabilità
sanzionatoria, non riconducibile al paradigma
penale stricto sensu inteso, con ciò discendendo
che non è configurabile il concorso di persone nel
reato tra persona fisica ed ente. Inoltre, il sistema
delineato dal D. Lgs. n. 231/2001 disciplina la re-
sponsabilità da reato dell’ente come diretta ed
autonoma rispetto a quella della persona fisica,
tanto che ai sensi dell’art. 8 del decreto in parola,
essa sussiste anche quando l’autore persona fisi-
ca del reato non è stato identificato o non è im-
putabile ed il reato (presupposto) si estingue per
una causa diversa dall’amnistia. E a tale proposi-
to, si deve segnalare che la relazione allo schema
del D. Lgs. n. 231/2001 afferma <<che le cause di
non punibilità e, in generale, le vicende che ine-
riscono quest’ultima, non reagiscono in alcun
modo sulla configurazione della responsabilità
in capo all’ente, non escludendo la sussistenza
di un reato>> (F. Sgubbi – L. Mazzanti, Le cause
di non punibilità, in F. Sgubbi - L. Mazzanti – N.
Ferrara Micocci, La voluntary disclosure. Profili
penalistici, Piacenza, 2015). Non pare, dunque,
superabile il dualismo a cui verosimilmente si
assisterà nel prossimo futuro tra persona fisica
(amministratore di una società, tanto per fare un
esempio), che ha aderito alla procedura di col-
laborazione volontaria, beneficiando di tutte le
relative coperture e garanzie, ed ente, all’interno
del quale sono stati reinvestiti i proventi di pre-
cedenti attività delittuose, sprovvisto invece di
tali guarentigie.
mentre per il legale rappresentante opera solo se
quest’ultimo ricopriva la medesima carica anche
al momento del fatto (art. 44, c. 1, lett b del me-
desimo Decreto). Altra questione meritevole di
riflessione attiene al requisito di interesse e van-
taggio di cui all’art. 5 del Decreto. Sebbene, infat-
ti, si tratti di un elemento costitutivo dell’illecito
amministrativo da reato, spesso si assiste ad un
insufficiente approfondimento di tale aspetto in
sede processuale. La riflessione vale sia avendo
riguardo alla contestazione dell’illecito da parte
della Pubblica Accusa, poiché sovente non si rin-
viene nel capo di imputazione una individuazio-
ne dell’interesse o vantaggio sufficientemente
determinata (tale da consentire il pieno eserci-
zio del diritto di difesa), sia avendo riguardo alla
fase di accertamento processuale, ove spesso
l’attenzione è focalizzata sulla valutazione circa
la sussistenza della esimente di cui agli artt. 6 e
7 del Decreto, in luogo della valutazione sul re-
quisito di interesse e vantaggio, che, per ragioni
logiche e di coerenza sistematica, dovrebbe co-
stituire un accertamento di tipo propedeutico.
In ultimo, è opportuno fare cenno all’istituto
della Voluntary Disclosure bis che incoraggia al-
cune interessanti riflessioni con riferimento alla
responsabilità degli enti. Partendo dai dati noti
dell’esclusione della punibilità di taluni reati per
i soggetti che abbiano optato per l’emersione
dei capitali e della estensione di tale beneficio
anche ai concorrenti, l’ente imputato ex D. Lgs.
231/2001 - ad esempio, per i reati di riciclaggio o
Avv. Stefano Bruno
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16 • TOPLEGAL FOCUS Penale d’impresa - Febbraio 2018
L’EPPO sarà una vera e propria “procura euro-
pea” con una sede centrale in Lussemburgo e avrà
strutture decentrate in ciascuno Stato membro
dell’UE. La direzione di EPPO sarà affidata ad un
Procuratore europeo, mentre le indagini verranno
svolte generalmente dai Procuratori delegati no-
minati in ciascuno Stato membro ove opereranno
stabilmente.
In merito alle loro attribuzioni, si osserva che
quest’ultimi disporranno degli stessi poteri dei
procuratori nazionali in materia di indagine, azio-
ne penale e di rinvio a giudizio per le ipotesi di rea-
to di propria competenza.
In particolare, l’EPPO sarà competente a
perseguire i reati fraudolenti che ledono inte-
ressi finanziari dell’UE, così come indicati nella
Direttiva (UE) 2017/1371 (c.d. “Direttiva PIF”). Si
tratta inter alia delle ipotesi di corruzione attiva
e passiva, di frode che abbracceranno anche il
settore IVA, nonché le ipotesi di partecipazione
ad un’organizzazione criminale, quando l’atti-
vità di questa sia incentrata sulla commissione
dei reati di cui alla Direttiva PIF.
Al riguardo, va precisato che l’EPPO potrà pro-
cedere, altresì, con riferimento a qualsiasi altro
reato “indissolubilmente legato” ad uno dei reati
indicati nella citata Direttiva, solo laddove però
venga constatata la maggior gravità del reato di
“EPPO”: la prima procura dell’Unione europea
Il 20 novembre 2017 è entrato in vigore il Rego-
lamento (UE) 2017/1939 che prevede l’istituzione
della Procura europea c.d. “EPPO”, da European
Public Prosecutor Office.
Il Regolamento nasce dalla volontà di 20 Paesi
membri dell’UE, tra cui l’Italia, di instaurare una
“cooperazione rafforzata” per l’istituzione dell’EP-
PO. Al momento dell’entrata in vigore del Rego-
lamento, pertanto, oltre a Danimarca, Irlanda e il
Regno Unito (che già secondo il Trattato godono di
un regime diverso in materia di giustizia), risultano
estranei all’iniziativa la Polonia, Malta, l’Ungheria,
la Svezia e i Paesi Bassi nei quali, ad oggi, non tro-
verebbero applicazione le disposizioni in parola.
La nuova procura (c.d. “EPPO”) avrà il compito di indagare e perseguire le frodi comunitarie
Secondo le recenti stime della Com-missione europea, le frodi comunitarie graverebbero sul bilancio UE per più di 50 miliardi di euro all’anno. In tale contesto paneuropeo, l’EPPO giocherà un ruolo primario nel contrasto alle frodi a tutela degli interessi finanziari dell’UE. A tale scopo, l’EPPO intreccerà strette relazioni con altri organi di co-operazione e di indagine UE, in primis Eurojust, nonché Olaf e Europol.
A cura di Antonio De Luca
17 • TOPLEGAL FOCUS Penale d’impresa - Febbraio 2018
Il Regolamento contempla, altresì, la possibili-
tà di limitare le misure delle intercettazioni e del
tracciamento unicamente a specifici reati gravi, a
patto che lo Stato che intenda limitare l’utilizzo di
dette misure notifichi all’EPPO l’elenco di questi
reati.
L’EPPO potrà intervenire anche sulle misure
volte alla restrizione delle libertà personali. I Pro-
curatori europei competenti – tenuto conto anche
delle attribuzioni ad essi spettanti in ragione del
diritto nazionale – potranno infatti disporre di-
rettamente o richiedere l’emissione di misure di
arresto o di custodia cautelare, nonché emettere o
chiedere un mandato di arresto europeo.
Mentre dal punto di vista delle garanzie pro-
cedurali, gli indagati potranno invocare le tute-
le previste nella Carta dei Diritti fondamentali
dell’Unione europea e nelle Direttive (già) adottate
dall’Unione in materia di garanzie difensive.
A queste devono aggiungersi altrettante garan-
zie processuali previste dal diritto nazionale nel
singolo Stato membro applicabili unitamente alla
esplicita menzione del diritto al silenzio, alla pre-
sunzione di innocenza, al diritto dell’accusato a
presentare prove, nonché di chiedere alla Procura
di raccoglierne, di chiedere la nomina o l’audizio-
ne di periti e l’escussione di testimoni.
In sostanza, l’EPPO – che diverrà operativa
non prima del 2021 – sarà un vero ufficio di pro-
cura addetto a condurre indagini penali. Non un
ufficio di coordinamento e di cooperazione giudi-
ziaria come Eurojust; non un ufficio per indagini
amministrative, come l’OLAF; ma – appunto – un
ufficio di indagini penali che, invero, si avvarrà del-
le informazioni e dell’assistenza di Eurojust, delle
analisi e del sostegno operativo dell’OLAF, nonché
dell’intelligence di Europol.
frode rispetto a quello connesso. Non si può non
costatare, pertanto, come le competenze di EPPO
copriranno un ventaglio molto ampio di ipotesi
di reato che verranno – parimenti – indagate, ac-
certate e perseguite. Con specifico riferimento ai
poteri di indagine, si osserva come i procuratori
delegati potranno disporre di un “minimo” di mi-
sure investigative, nonché – su richiesta – di quelle
ulteriori previste dal diritto nazionale applicabile.
Il Regolamento prevede che – per i reati san-
zionati con una pena massima di almeno quattro
anni – gli Stati membri debbano in ogni caso porre
a disposizione dei procuratori le seguenti misure:
i) perquisizioni (ivi quelle sui sistemi informati-
ci), nonché qualsiasi misura cautelare necessaria
a preservare le prove; ii) produzione di qualsiasi
oggetto o documento ritenuto pertinente; iii) pro-
duzione di dati informatici, inclusi quelli bancari;
iv) congelamento o confisca degli strumenti o dei
proventi del reato; v) intercettazione delle comu-
nicazioni; vi) tracciamento e rintracciamento di
oggetti e beni merce.
Le suesposte misure investigative “base”, inve-
ro, possono subire delle limitazioni nelle disposi-
zioni normative applicabili nello Stato membro.
Tali limitazioni possono assumere un carattere
“soggettivo”, se si pensa a soggetti o a categorie di
soggetti che godono di particolari immunità, ov-
vero anche “oggettivo”, è questo il caso di norme
imperative relative alla produzione di dati infor-
matici, alle intercettazioni delle comunicazioni
elettroniche e al tracciamento delle stesse.
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18 • TOPLEGAL FOCUS Penale d’impresa - Febbraio 2018
Ciò posto, in termini operativi, la novella in
esame potrà comportare l’esigenza di rivedere
ed integrare le prassi e le politiche concernenti
la gestione dei flussi informativi già operanti
nelle Società. In questo senso, deve sottolinear-
si l’opportunità di esplicitare in una procedura
l’ambito della segnalazione (che deve avere ad
oggetto temi esclusivamente attinenti al perime-
tro di cui al D.lgs. 231/2001 e, pertanto, rivolgersi
direttamente all’Organismo di Vigilanza), al fine
di evitare che lo strumento venga utilizzato per
portare alla luce vicende che non hanno alcuna
rilevanza ai fini del D.lgs. 231/2001. A tal fine, po-
trebbe rendersi necessario dedicare ampio spa-
zio all’attività formativa rivolta ai dipendenti, in
relazione alle tutele agli stessi spettanti nonché,
e soprattutto, alle ipotesi ed alle modalità delle
segnalazioni, al fine di garantire il corretto e con-
creto sviluppo del sistema di whistleblowing.
Non dimentichiamo, infatti, che un’efficace
sistema di flussi informativi può individuare un
indice di effettiva applicazione del Modello, ido-
neo a “fare la differenza” nel caso di procedimen-
to nei confronti dell’ente per i reati di cui al D.lgs.
231/2001, dove centrale attenzione viene data
alle modalità di attuazione del Modello da parte
del personale.
Il Whistleblowing nel modello 231
La segnalazione di illeciti è in primo luo-
go espressione del senso civico del whist-
leblower, oggi concretamente tutelato anche nel
nostro ordinamento da una riforma sentita da
molti come necessaria.
A quasi 150 anni dalla prima disciplina del
fenomeno del whistleblowing – individuato
dai più nel False Claim Act del 1863, voluto da
Abramh Linconl, per contrastare gli approfitta-
tori che sovraccaricavano il prezzo dei carichi
per le forniture governative - è infatti in attesa
di pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale la se-
conda tappa del percorso legislativo in materia
di whistleblowing, che interviene istituendo
non solo un vero e proprio sistema di garanzie
per il dipendente pubblico, ma anche nel settore
privato.
Viene infatti integrato l’art. 6 del D.lgs. 231/01
in relazione ai contenuti del MOG ove dovran-
no essere esplicitati, oltre ad uno o più canali di
segnalazione idonei a garantire la riservatezza
dell’identità del segnalante, espresse sanzioni in
risposta alla violazione del divieto di atti di ritor-
sione o discriminatori correlati alla segnalazio-
ne, nonché nei confronti del soggetto che opera
dolosamente o con colpa grave segnalazioni in-
fondate.
Tutela del Whistleblower: tra etica d’impresa ed esigenza di concretezza
A cura di Maurizio Bortolotto
Gebbia Bortolotto Penalisti AssociatiTorino - Roma - Milano
Sede Legale: 10121 Torino - Corso Vittorio Emanuele II n. 64 [email protected] - www.gbpenalisti.it
19 • TOPLEGAL FOCUS Penale d’impresa - Febbraio 2018
i provvedimenti adottati da una autorità naziona-
le dovranno avere attuazione diretta ed immedia-
ta all’interno di altri ordinamenti senza la necessi-
tà di rogatorie o di procedimenti di conversione.
In altri termini, verrà attribuita alla decisione
adottata da un giudice penale di un altro Stato
membro la stessa efficacia giuridica propria dei
provvedimenti adottati dai giudici nazionali.
Per quanto riguarda specificamente l’ordine
di indagine europeo, esso consentirà di richiedere
all’autorità giudiziaria di un altro Stato di procede-
re ad attività di indagine da utilizzare nell’ambito
del procedimento penale in corso nello Stato emit-
tente. Ne consegue, pertanto, che elementi di pro-
va acquisiti alla luce delle norme e delle garanzie
esistenti nello Stato richiesto diventeranno utiliz-
zabili all’interno di un altro ordinamento giuridico
processuale.
Si tratta di una innovazione rivoluzionaria at-
teso che potranno essere richieste attività di inda-
gine estremamente rilevanti quali il trasferimento
temporaneo di persone detenute, l’esecuzione di
operazioni sotto copertura, l’acquisizione di in-
formazioni e documenti presso banche ed istituti
finanziari e l’acquisizione in tempo reale di flussi
di dati informatici e telematici provenienti o diretti
a banche ed istituti finanziari.
Non solo, l’autorità straniera potrà richiedere
La rivoluzione “silenziosa”del diritto penale europeo
Il decreto legislativo n. 108/2017 ha introdotto nel
nostro ordinamento l’ordine europeo di indagi-
ne penale. Si tratta di uno strumento investigati-
vo assolutamente innovativo che consentirà alle
autorità giudiziarie nazionali di compiere atti di
indagine e di acquisizione probatoria in un altro
Stato membro.
A norma dell’articolo 82 del Trattato sul fun-
zionamento dell’Unione Europea, la cooperazione
giudiziaria tra gli Stati dell’Unione si basa, infatti,
sul principio del mutuo riconoscimento delle sen-
tenze e delle decisioni giudiziarie. Ciò significa che
L’ordine europeo di indagine penale: un nuovo tassello nella creazione del diritto processuale penale europeo
Il 13 luglio 2017 è stato pubblicato in G.U. il decreto legislativo n. 108/2017 che recepisce nell’ordinamento italia-no la direttiva del Consiglio europeo n. 41/2014 sull’ordine di indagine euro-peo. Il nuovo strumento di cooperazio-ne è entrato in vigore il 28 luglio 2017. Si tratta di uno strumento di acquisi-zione probatoria che avrà certamente un notevole impatto operativo nell’at-tività giudiziaria degli stati nazionali e che richiede, pertanto una accurata riflessione.
A cura di Gugliemo Giordanengo e Simona Carosso
20 • TOPLEGAL FOCUS Penale d’impresa - Febbraio 2018
si coglie appieno dalla lettura dell’articolo 27 del
decreto che consente al Pubblico Ministero ed al
Giudice italiano di emettere l’ordine di indagine
e trasmetterlo direttamente all’autorità straniera
per l’esecuzione.
Allo stato attuale non hanno aderito alla diret-
tiva Danimarca ed Irlanda e l’ordine di indagine
è stato implementato da poco più della metà dei
Paesi aderenti. Questo istituto è in vigore nei con-
fronti del Regno Unito sino alla definizione degli
accordi connessi alla Brexit.
L’adozione di un sistema di mutuo riconosci-
mento giudiziario crea, tuttavia, numerosi dubbi e
perplessità interpretative.
E’ stato, infatti, osservato che questo sistema
postula un elevatissimo livello di fiducia reciproca
tra gli ordinamenti giuridici quanto alle garanzie
processuali esistenti, tanto da imporre agli Stati
aderenti di eseguire decisioni adottate altrove sen-
za alcuna procedura di riconoscimento.
Qualche dubbio è d’obbligo ove si consideri che
si è pervenuti ad adottare il principio del mutuo ri-
conoscimento senza assicurare preventivamente
un livello omogeneo di armonizzazione normati-
va tra i diversi sistemi giudiziari e tra le disposizio-
ni processuali in materia di validità ed utilizzabili-
tà della prova penale.
Paradossalmente, mentre la libera circolazione
delle merci è stata preceduta dall’imposizione agli
Stati membri di rigidi standard di qualità produt-
tiva, così non è avvenuto per la circolazione di un
materiale così “delicato” quale la prova di un pro-
cedimento penale che ha un impatto diretto sulle
libertà dell’individuo e sul diritto di difesa. (in
questo senso Marafioti L., “Orizzonti investigativi
europei, assistenza giudiziaria e muto riconosci-
mento”, pag. 14 - Mazza O., “Il principio del mutuo
riconoscimento nella giustizia penale, la mancata
armonizzazione e il mito taumaturgico della giuri-
sprudenza europea”, pag. 155-156).
di eseguire provvedimenti di sequestro probato-
rio, nonché di effettuare intercettazioni in Italia
con l’assistenza dell’autorità giudiziaria italiana.
E’ possibile, infine, procedere all’acquisizione
dei verbali di prova di altri procedimenti, dei dati
contenuti in banche dati accessibili all’autorità
giudiziaria, all’audizione di persone informate sui
fatti, dei consulenti o periti, della persona offesa
e della persona sottoposta ad indagini o imputata
che si trovi sul territorio nazionale.
Un caso particolare di attività di indagine è
costituito dalla previsione dell’immediata comu-
nicazione all’autorità richiedente dell’identifica-
zione di persone titolari di un specifico numero
telefonico o di un indirizzo di posta elettronica o di
un indirizzo IP.
L’ordine investigativo europeo può essere uti-
lizzato, entro determinati limiti di pena, in rela-
zione a reati per i quali si è ormai giunti ad una
armonizzazione europea quali l’associazione a de-
linquere, la corruzione, il riciclaggio, reati ambien-
tali, frodi, nonché per tutte le fattispecie di reato
che siano previste da entrambi gli ordinamenti in
ossequio al principio della doppia incriminazione.
Va rilevato che l’ordine potrà essere emesso anche
con riferimento a violazioni tributarie, valuta-
rie o doganali indipendentemente dall’esistenza
nell’ordinamento italiano della medesima tipolo-
gia di imposizione fiscale o di regime valutario o
doganale.
La portata dirompente di questo strumento
Studio Giordanengo Avvocati Associati
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Foto in alto Avv. Guglielmo Giordanengoin basso lo studio
21 • TOPLEGAL FOCUS Penale d’impresa - Febbraio 2018
te le attività cross border a rischio reato (da
individuarsi ex ante attraverso un Risk Asses-
sment mirato sulle operazioni originate/ge-
stite all’estero ma realizzate o aventi effetti in
Italia).
La costruzione del Modello cross border richie-
derà un lavoro di coordinamento (da verificar-
si attraverso la c.d. Gap Analysis) tra i proto-
colli 231 cross border e le procedure aziendali
verosimilmente già esistenti all’estero. La cor-
retta applicazione del Modello 231 cross bor-
der, inoltre, dipenderà dall’adozione di uno
strumento (c.d. Alert System) capace di indi-
viduare, all’interno dell’operatività societaria
estera, le condotte cross border di rilevanza
231. L’attivazione dell’Alert System in relazione
ad una determinata operazione, infatti, avver-
tirà la Società del “rischio 231” e dunque della
necessità di gestirla nel rispetto del Modello
231 cross border.
Il Modello dovrà inoltre essere presidiato
da uno specifico Organismo di Vigilanza no-
minato dall’Ente straniero. L’esistenza di una
Società controllata o una branch in Italia (già
dotate di propri Modelli 231 italiano), infine,
imporrà il coordinamento tra i Modelli (quello
italiano e quello cross border) e tra OdV.
L’imputabilità “231” delle società straniere
Il D.lgs 231/01 è applicabile anche alle Società
e ai Gruppi aventi sede all’estero che opera-
no in Italia, ancorché privi di una branch o di
una sede italiana. Su questo – come provano i
molti procedimenti a carico di Enti stranieri –
non vi è più alcun dubbio. In particolare, ci si
riferisce a tutti quegli Enti che pongono in es-
sere attività c.d. cross border, ossia operazioni
di qualsiasi natura che, ancorché originate e
gestite all’estero (ad esempio, in quanto idea-
te, attuate, registrate presso la sede straniera o
realizzate da un soggetto che funzionalmente
agisca nell’interesse o per conto della Società
estera), producano un qualche effetto o si rea-
lizzino anche solo in parte in Italia.
La Società straniera, infatti, potrà essere
imputata ex D.lgs 231/01 tutte le volte in cui al
responsabile (persona fisica) del reato presup-
posto sia applicabile la legge penale italiana ai
sensi dell’art. 6 c.p. (si applica la legge italiana
quando in Italia è avvenuta in tutto o in parte
l’azione o l’omissione o si è verificato l’evento).
Ne deriva che anche una Società straniera
che operi in Italia potrà tutelarsi da eventuali
contestazioni 231 solo attraverso l’adozione di
uno specifico Modello 231 cross border, quale
strumento essenziale capace di presidiare tut-
L’essenziale adozione di Modelli 231 cross border negli Enti esteri che operano in Italia
Studio Legale Isolabella Via Fontana 4 - 20122 Milano - T. +39 02.5992101 - F. +39 02.55181791
A cura di Francesco Isolabella e Matteo Pozzi
22 • TOPLEGAL FOCUS Penale d’impresa - Febbraio 2018
bio’… quando il dato probatorio acquisito lascia
fuori soltanto eventualità remote, pur astratta-
mente formulabili e prospettabili come possi-
bili in rerum natura, ma la cui effettiva realiz-
zazione, nella fattispecie concreta, risulti priva
del benché minimo riscontro nelle emergenze
processuali, ponendosi al di fuori dell’ordine
naturale delle cose e della normale razionalità
umana” (ex multis, Cass. pen., sez. I, 31 maggio
2011, n. 35107).
In sintesi: la prova della colpevolezza dell’im-
putato deve essere fornita dalla Pubblica Accu-
sa con certezza; e la ricostruzione alternativa
dei fatti (rispetto alla ricostruzione in termini
di colpevolezza), che condurrebbe all’assolu-
zione dell’imputato, deve risultare “priva del
benché minimo riscontro nelle emergenze
processuali”, e deve porsi “al di fuori dell’ordi-
ne naturale delle cose e della normale raziona-
lità umana”.
2. La prova del reato di corruzione
Con specifico riferimento al reato di corruzio-
ne propria, “per un atto contrario ai doveri di
ufficio”, la condotta vietata è prevista dall’art.
319 c.p., e si riferisce al pubblico ufficiale che
riceva denaro o altra utilità, o ne accetti la
promessa, per compiere (o aver compiuto) un
Corruzione e responsabilità degli enti
1. La responsabilità delle persone fisiche e la
prova “oltre ogni ragionevole dubbio”
In primo luogo, è noto che principio fonda-
mentale ai fini dell’accertamento di respon-
sabilità penale in capo a una persona fisica è
quello dell’ “oltre ogni ragionevole dubbio”,
cristallizzato nell’art. 533 c.p.p.: vale a dire, ai
fini dell’emissione di una sentenza di condan-
na, la Pubblica Accusa ha l’onere di fornire la
prova della colpevolezza dell’imputato “al di là
di ogni ragionevole dubbio”.
Tale formula, secondo la consolidata giuri-
sprudenza della Suprema Corte, deve inten-
dersi nel senso che “il giudice deve ritenere
intervenuto l’accertamento di responsabilità
dell’imputato ‘al di là di ogni ragionevole dub-
L’accertamento di colpevolezza alla luce della giurisprudenza della Suprema Corte
Con numerose ed apprezzabili pro-nunce, la Corte di Cassazione ha pro-gressivamente formulato alcuni criteri fondamentali in tema di requisiti e standard probatorio per la responsa-bilità delle persone fisiche e degli enti, in rapporto ai reati di corruzione. Se ne offre nelle righe seguenti essenziale e schematica sintesi.
A cura di Roberto Pisano, fondatore e managing partner Studio Legale Pisano
23 • TOPLEGAL FOCUS Penale d’impresa - Febbraio 2018
ufficiale, non essendo sufficiente a tal fine la
mera circostanza dell’avvenuta dazione” (Cass.
pen., sez. VI, 22 giugno 2017, sopra citata).
3. La responsabilità degli enti ai sensi del d.l-
gs. n. 231/2001
Per ciò che concerne la responsabilità degli
enti ai sensi del d.lgs. n. 231/2001, rispetto a
reati di corruzione commessi dai propri diri-
genti o dipendenti nell’interesse o a vantaggio
dell’ente, del pari pregevole è l’elaborazione
della Suprema Corte in ordine all’individua-
zione di alcuni fondamentali principi direttivi.
In primo luogo, nell’ottica della Corte di Cas-
sazione, il sistema di cui al d.lgs. n. 231/2001
“costituisce un corpus normativo di peculiare
impronta, un tertium genus, se si vuole. Col-
gono nel segno, del resto, le considerazioni
della Relazione che accompagna la normativa
in esame quando descrivono un sistema che
coniuga i tratti dell’ordinamento penale e di
quello amministrativo nel tentativo di contem-
perare le ragioni dell’efficienza preventiva con
quelle, ancor più ineludibili, della massima ga-
ranzia” (Cass. pen., Sez. Un., 24 aprile 2014, n.
38343, caso ThyssenKrupp).
In secondo luogo, “è da escludere che il siste-
ma violi il principio di colpevolezza… Si deve
considerare che il legislatore, orientato dalla
consapevolezza delle connotazioni crimino-
logiche degli illeciti ispirati da organizzazioni
complesse, ha inteso imporre a tali organismi
l’obbligo di adottare le cautele necessarie a
prevenire la commissione di alcuni reati, adot-
tando iniziative di carattere organizzativo e
gestionale. Tali accorgimenti vanno consacrati
in un documento, un modello che individua i
rischi e delinea le misure atti a contrastarli.
Non aver ottemperato a tale obbligo fonda il
rimprovero, la colpa di organizzazione”.
atto contrario ai doveri di ufficio; ed è punita,
anche per il corruttore, con la reclusione da
sei a dieci anni.
In armonia con il fondamentale standard pro-
batorio sopra illustrato, la Pubblica Accusa ha
l’onere di fornire la prova, in termini di certez-
za (“al di là di ogni ragionevole dubbio”), del-
la sussistenza di tutti gli elementi costitutivi
della indicata fattispecie incriminatrice: tra
cui, in particolare, la prova dell’esistenza di un
accordo corruttivo intervenuto tra il privato e il
pubblico ufficiale, che si sia sostanziato quan-
tomeno nella promessa di pagamenti illeciti a
favore dell’indicato pubblico ufficiale, accettata
dal medesimo (in cambio del compimento, da
parte di tale pubblico ufficiale, di un atto con-
trario ai doveri del proprio ufficio).
Ciò è confermato espressamente dalla Supre-
ma Corte, secondo la quale vi è “l’esigenza che
la prova dell’accordo illecito, quale fatto tipico
costituente il reato di corruzione propria, sia
raggiunta in termini di certezza al di là del ra-
gionevole dubbio” (ex multis, Cass. pen., sez. VI,
22 giugno 2017, n. 41768).
Ulteriormente, sempre ai sensi della consoli-
data giurisprudenza della Suprema Corte, an-
che allorquando “risulti provata la dazione di
denaro o di altra utilità in favore del pubblico
ufficiale, è necessario dimostrare che il com-
pimento dell’atto contrario ai doveri d’ufficio
sia stato la causa della prestazione dell’utilità
e della sua accettazione da parte del pubblico
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Avv. Roberto Pisano
24 • TOPLEGAL FOCUS Penale d’impresa - Febbraio 2018
nere concreto il pericolo che vengano commes-
si illeciti della stessa indole di quello per cui si
procede” (art. 45 D.Lgs. 231/01).
Come noto, peraltro, le sanzioni interdit-
tive non possono essere irrogate in via tem-
poranea qualora, oltre ai presupposti ex art.
45, non sussistano anche le condizioni di cui
all’art. 13 del Decreto (profitto di rilevante en-
tità e illecito commesso da soggetto apicale,
ovvero reiterazione degli illeciti).
Né bisogna mai dimenticare il cd. “prin-
cipio di gradazione” delle misure. Infatti, in
base all’art. 46 del Decreto, il Giudice, nel di-
sporre la misura cautelare, deve tenere conto
della specifica idoneità di ciascuna di esse in
relazione alla natura e al grado delle esigenze
cautelari da soddisfare, nonché della propor-
zionalità all’entità del fatto e alla sanzione che
si ritiene possa essere irrogata nei confronti
dell’ente.
Nel caso di specie, il Giudice per le Indagini
Preliminari, in accoglimento delle prospet-
tazioni formulate dalle difese, ha rigettato la
richiesta presentata dal Pubblico Ministero, in
ragione dell’insussistenza di un concreto peri-
colo di reiterazione delle attività criminose, ex
art. 45 D.Lgs. 231/01.
Le misure cautelari ex d.lgs. 231/01 nei confronti degli enti:“maneggiare” con cautela!
È un tema di grande attualità quello relativo
alle condizioni di applicabilità agli enti, in
via cautelare, delle misure interdittive, ex art.
9, D.Lgs. 231/01.
La delicatezza dell’argomento deriva dal
fatto che, sempre più di sovente, le Procure
ricorrono a tale strumento per reprimere il
fenomeno della criminalità d’impresa. Invero,
tali misure possono avere effetti dirompenti
per l’ente ancora sub judice (si pensi all’in-
terdizione dall’esercizio dell’attività, che può
determinare la paralisi dell’attività della so-
cietà), per cui appare indispensabile “maneg-
giarle” con cautela, verificando attentamente
che sussistano tutti i presupposti applicativi.
Recentemente, nell’ambito di un procedi-
mento penale per reati ambientali, la Procura
di Brescia ha chiesto l’applicazione dell’inter-
dizione temporanea dall’esercizio dell’attività
nei confronti di quattordici società, tra le quali
alcune di rinomanza nazionale.
A parere dello scrivente, la Procura non ha
fatto buon uso dei criteri previsti dal Decreto,
focalizzando la sua attenzione unicamente sul
requisito dei “gravi indizi di colpevolezza” e
trascurando l’esame relativo alla sussistenza
di “fondati e specifici elementi che fanno rite-
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