L'anacoluto non è una parolaccia

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Piccola guida illustrata dedicata a chi ama la lingua italiana. Pubblicazione realizzata per la Provincia di Milano, Assessorato alla Cultura e beni culturali.

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Indice

Introduzione 7

La lingua la sa lunga 11

Conviene darsi una regolata 13

Fidarsi è bene, controllare è meglio 17

Si scrive perché o perchè? Boh! 21

La Maria è promossa, il Paolo invece no 27

I Santi si distinguono anche dall’apostrofo 31

Assassinii e assassini. A volte il plurale è micidiale 37

I pronomi: un argomento scottante 41

M o N? Scopriamo la differenza 45

L’anacoluto non è una parolaccia 49

La congiuntivite e altre patologie verbali 53

Le maiuscole. Attenzione alle stonature! 59

I punti cardinali della punteggiatura 63

Parole ed espressioni da rottamare 69

La d eufonica: una consonante dalla vita sregolata 73

Come prendere le preposizioni per il verso giusto 75

Salviamo il mondo dal cerchiobottismo 79

L’Italiano è wonderful 83

Dulcis in fundo 85

Appendice 87

PresidenteOn. Ombretta Colli

Assessore alla cultura e beni culturaliPaola Iannace

Direttore Centrale Turismo e CulturaPia Benci

Direttore Settore CulturaMassimo Cecconi

Servizio BibliotecheCristina Borgonovo, Osvaldo Carpinelli, Patrizia Salerni, Dario Salvetti, Alessandra Scarazzato

Ufficio StampaPinuccia Merisio, Marco Piccardi, Veronica Sebastianelli

Concept, progetto grafico e illustrazioni DBM Comunicazione

Revisione editorialeDBM Comunicazione

In copertinaElaborazione grafica Linda Berardi

Copyright © 2004 Provincia di Milano

Finito di stampare da Arti Grafiche Stefano Pinelli Srl, Milano,nel mese di aprile 2004

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Introduzione

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Questa breve pubblicazione nasce con lo scopo di offrireun aiuto semplice e pratico a quanti, giovani e adulti, sono inte-ressati ad approfondire le loro conoscenze sul corretto uso dellanostra lingua e delle regole che la governano, o sentono il bisognodi risolvere perplessità e dubbi linguistici, consapevoli dell’impor-tanza rappresentata dalla forma in cui ci si esprime o si scrive.

Chi ascolta un’esposizione verbale o legge uno scritto èinfatti spinto, di primo acchito, a giudicare l’educazione e il gradodi cultura del proprio interlocutore o dello scrivente attraverso lavalutazione di ciò che sente o legge.

Questo piccolo manuale non ha la pretesa di essere untesto di grammatica completo e organico: come potrebbe esserlodel resto con le sue ridottissime dimensioni? È invece solo un sem-plice vademecum, di agevole consultazione, un insieme di consigliriguardanti alcuni punti chiave su cui si regge la struttura dellanostra lingua, che, secondo i più autorevoli linguisti, ha purtropposubìto negli ultimi tempi un lento degrado che si riflette anche inuna banalizzazione del linguaggio.

La cultura è anche e soprattutto rispetto dei fondamenti edella ricchezza della lingua, intesa come insieme delle leggi che lagovernano, nate non per caso ma per necessità funzionali, ereditàdi una tradizione colta, diventata popolare quando è stata recepitacome patrimonio comune.

Al fine di contribuire al recupero di un valore giustamen-te considerato irrinunciabile, nel dicembre 2002 è stato presentatoa Roma, dal Presidente della Commissione Affari Costituzionali,un Disegno di Legge riguardante l’istituzione di un ConsiglioSuperiore della Lingua Italiana, massima espressione dell’identitànazionale e ricchezza che non può essere trascurata.

L’iniziativa si affianca a quella delle maggiori IstituzioniCulturali che nel nostro Paese sono impegnate nella difesa dellanostra lingua: in particolare l’Accademia della Crusca e la SocietàDante Alighieri.

Il primo obiettivo del nuovo organismo è l’elaborazione diuna grammatica ufficiale; nell’attesa, la Provincia di Milano hainteso precorrere i tempi con questa piccola guida, che per suanatura ha necessariamente trascurato tanti argomenti, ma che puòcomunque rappresentare un simpatico manuale di pronto soccorso,per sgombrare il campo da tante incertezze e soddisfare dubbi ecuriosità, per alcuni, fin qui irrisolte.

Paola IannaceAssessore alla cultura e beni culturali

Provincia di Milano

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La lingua la sa lungaTutto muta e si evolve intorno a noi, con una rapi-

dità a volte sconcertante: il paesaggio urbano, gli stili di vita,gli atteggiamenti, gli interessi, le propensioni, le mode, le tec-nologie sempre più sofisticate. Anche la lingua, sia pure piùlentamente, cambia, non essendo materia statica ma un ele-mento in continuo divenire: per l’introduzione di nuovi voca-boli, per la costruzione dei periodi che oggi si fanno più con-cisi e riflettono, adeguandosi, i ritmi della vita moderna.

La forma è più incalzante, più diretta, volta al nucleodella comunicazione. È questo soprattutto il linguaggio dellenuove generazioni, che intendono così trasferire nella linguail loro dinamismo, la passione per la velocità, il bisogno diimmediatezza.

Ci possiamo rendere conto della trasformazione con-sultando testi di autori noti risalenti a poche decine di anni fa:non corrispondono più alle attuali abitudini espressive.Leggendo invece una pagina de I promessi sposi si scopre sùbitola modernità e la limpidezza della prosa del Manzoni, che lofanno apparire contemporaneo. Questo accade ai “grandi”, chehanno saputo adottare un linguaggio in grado di sfidare i secoli.

Nonostante la lingua si adegui alla trasformazionedei tempi, comunque, non dovrebbe perdere i puntelli rap-presentati dalle regole di base, che sono come le chiavi divolta o i muri maestri senza i quali un edificio non si reggein piedi. Quando non sono rispettate le regole, comunquenecessarie in ogni forma di vita sia fisica che sociale, da uncedimento all’altro si assiste all’impoverimento progressivodella lingua, all’arbitrio di ciascuno di procedere al suosmantellamento, per evitare lo sforzo di apprenderne i detta-mi, e l’impegno nel rispettarli. Ma sono davvero così diffici-li le norme sulle quali questo manualetto intende richiama-re l’attenzione? L’Assessore Paola Iannace pensa di no. Perdimostrare la propria convinzione ha dato inizio alla sfida,nella certezza che sia indispensabile continuare a mantenerevitale un emblema della nostra “italianità”: la lingua deipadri; la sua conoscenza corretta è una ricchezza che per-mette a ciascuno di esprimersi in modo chiaro e completo, eanche questo è un segno di civiltà e di democrazia.

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Conviene darsiuna regolata

LE RAGIONI DELLE REGOLE

Molti si saranno domandati fin dai tempi dellascuola quali siano i motivi per i quali è indispensabile rispet-tare le regole della lingua. Tenteremo allora di offrire quiuna risposta, ricordando che perfino nell’universo tutto simuove seguendo un ordine preciso, e che l’uomo preistoricoha iniziato a evolversi solo quando ha sentito la necessità diorganizzarsi secondo leggi e ordinamenti.

La lingua non è una scienza esatta, d’accordo, madeve pur sempre essere sorretta da norme, le regole appun-to, e da princìpi che ne sorreggano l’impalcatura. Da que-sto si deduce che le regole non sono nate per capriccio diqualche mente sadica, come possono pensare gli studenti,allo scopo di complicare la loro vita; no: hanno tutte unafunzione logica, di cui possiamo qui ricordare almeno trepunti basilari:

Doverosa fedeltà alla costruzione originaria o alvocabolo da cui il termine italiano deriva: dalLatino e dal Greco soprattutto, ma anchedall’Arabo o da altra lingua straniera, fatto moltocomune in Italia, che fu per secoli teatro di scontrie occupazioni da parte di Francesi, Tedeschi,Spagnoli, e Arabi in Sicilia, i quali ci lasciarono ineredità tra l’altro una parte del loro lessico.

Necessità di chiarire opportunamente un significa-to, un concetto, un pensiero, attraverso la sceltadell’una o dell’altra forma grammaticale, comeappare, per esempio, nell’utilizzo dell’indicativo odel congiuntivo (vedi pag. 53).

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pag. 53

Infine, un quarto pittogramma inviterà i lettori a fer-mare l’attenzione su argomenti di primaria importanza, qualiregole, dubbi, scorrettezze ed errori da evitare assolutamente.

Esigenze eufoniche, (dal Greco eufonìa = bellezza disuono) per evitare una pronuncia sgradevole o dif-ficoltosa.

Nel corso della trattazione si farà spesso riferimentoa queste tre ragioni fondamentali, cui se ne aggiungeranno divolta in volta altre, dettate soprattutto da un bisogno di pre-cisione o di eleganza espressiva. Il proposito è comunquequello di spiegare sempre i vari perché: dopo averli compre-si, diventerà più facile per ciascuno ricordare e mettere inpratica ogni regola.

Per rendere immediata la comprensione delle regolecitate si utilizzeranno, a supporto del testo,

i seguenti simboli visivi, anche detti pittogrammi:

regola 1

regola 2

regola 3

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Fidarsi è bene,controllare è meglio

GLI STRUMENTI INDISPENSABILI

L’amore e il rispetto per l’Italiano si avvalgono diun supporto prezioso e di pronto utilizzo: un ottimo vocabo-lario in cui i lemmi (vocaboli), accentati per indicare la cor-retta pronuncia, vengono definiti con precisione, oppure undizionario, solo apparente sinonimo del precedente, in quan-to si tratta di un testo di uso più ampio, che può contenereanche derivazioni etimologiche, regole e irregolarità gram-maticali, ausiliari dei verbi irregolari e altro ancora.

In nessuna casa dovrebbe mancare almeno unacopia dell’uno o dell’altro, ampia e aggiornata. Si raccoman-da inoltre l’aggiunta di un dizionario dei sinonimi e dei contra-ri, indispensabile nella forma scritta per evitare ripetizione ditermini, che conferiscono ai periodi un andamento sciatto.

La straordinaria ricchezza della nostra lingua, chepossiede decine di sinonimi per la maggioranza dei vocabo-li, così da poter scegliere la sfumatura di significato più adat-ta caso per caso, permette di usufruire di una eccezionalevarietà espressiva; eppure molti si accontentano di utilizzareun numero ristretto di parole, per pigrizia mentale o scarsi-tà di fantasia o disinteresse, ed è un peccato: agendo così sirinuncia a un bene alla portata di tutti, prezioso poiché per-mette di trasmettere pensieri, emozioni, sentimenti con unagamma infinita di alternative. È come se avendo a disposi-zione un magnifico pianoforte a coda ci si limitasse a trarnealcune semplici canzoncine infantili.

Un valido dizionario dei sinonimi e dei contraripuò servire quando, rileggendo uno scritto, ci si rende contodi una o più ripetizioni di parole: se non vengono in mentealternative, lo si consulterà allora alla ricerca di possibilivarianti.

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Non si speri per esempio che sia in grado di distin-guere tra: da preposizione, che rifiuta l’accento, dà presenteindicativo di 3a persona del verbo dare, che invece lo esige,da’ imperativo di 2a persona dello stesso verbo, che richiedel’apostrofo (vedi pag. 35).

In casi simili, per riconoscere il valore di ciascuno,occorre l’intervento dell’intelligenza personale di chi scrive,che dimostrerà una volta di più la propria superiorità suquella della macchina, la quale ha pur sempre dei limiti.

Potremmo citare l’esempio del verbo “fare”, che diper sé significa soltanto operare, agire, eseguire, mentre vienesolitamente adoperato in un grande numero di occasionicon uno squallido appiattimento del linguaggio. Poiché pos-siede una settantina di sinonimi, sarà opportuno sceglierequello più adatto caso per caso, così da rendere l’espressionepiù colorita e appropriata.

ESEMPI DI SINONIMI APPROPRIATI

fare la prima elementare → frequentare

fare il medico → esercitare, svolgere la professione di..

fare domande → rivolgere, porre, presentare, compilare

fare un’alleanza → stringere, concludere

fare un discorso → pronunciare, intavolare, improvvisare

FIDARSI TOTALMENTE DEL“CORRETTORE” DEL PC?

Il personal computer si sta diffondendo rapida-mente, e rappresenta un aiuto senza dubbio utile per colo-ro che amano scrivere o devono farlo per ragioni di lavoro.Molti apparecchi sono dotati di correttore automatico cheavvisa degli errori grafici, ma anche di quelli ortografici egrammaticali.

Tuttavia non si può pretendere che l’intelligenzaartificiale del pc arrivi a scegliere opportunamente tra levarie grafie che alcuni vocaboli possiedono, dovute allediverse funzioni da essi esercitate nel discorso.

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pag. 35

Si scrive perché operchè? Boh!

VOCALI ACCENTATE

La lingua italiana, a differenza della francese e dellaspagnola, fa un parco uso del simbolo grafico dell’accento,chiamato tonico quando serve per indicare la vocale su cuiappoggia il tono di voce, fonico quando riguarda il suonoaperto o chiuso della o e della e, le uniche vocali italianeche possiedono doppia pronuncia.

Due sono i tipi di accento fonico: acuto, con verti-ce alto verso destra, per indicare suono chiuso (perché, qué-sto) oppure grave, con vertice alto verso sinistra, per indica-re suono aperto (cièlo, tè, cioè, pòrto).

In pratica la lingua italiana pone l’accento tonicosoltanto sull’ultima vocale delle parole tronche (esempiopietà), sull’unica vocale di alcuni monosillabi (vedi paragra-fo seguente) o all’interno di parole che mutano significatocon lo spostamento dell’accento (vedi tabella seguente),benché ormai tale pratica sia poco usata, dal momento cheil senso stesso della frase serve a stabilire l’accentazione cor-retta. Nessuno dirà infatti: “Vieni subìto!” come si ode neivecchi film di Stanlio e Ollio, che anche su certe storpiatu-re di vocaboli italiani puntavano la loro comicità.

Esempi di spostamento di accento su parole omoni-me (aventi la stessa grafia) che produce cambiamento disignificato:

àncora (strumento per imbarcazioni) ancòra (avverbio di tempo)

càpitano (verbo “capitare”) capitàno (grado di comando)

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pag. 23

Ci sarebbe poi l’accento circonflesso (con congiun-zione al vertice degli accenti acuto e grave), tuttavia ormaipressoché scomparso: può ancora accadere di incontrarlo inpoesia, per indicare una contrazione di lettere o per sostituirela doppia i nel plurale delle parole terminanti in io accentata.

L’ACCENTO SUI MONOSILLABI

Nei vocaboli con una sola vocale l’accento toniconon dovrebbe essere necessario, poiché è evidente che nonpuò esistere dubbio di pronuncia: “per”, “il”, “no”, “re”, ecc.non potranno che essere pronunciati in un solo modo, quin-di l’accento non serve.

Tuttavia esiste un gruppetto di monosillabi che esi-gono ugualmente l’accento, per distinguerli dai loro omoni-mi, vocaboli aventi la stessa grafia, ma diverso significato.

Esaminiamoli

MONOSILLABI ACCENTATI MONOSILLABI SENZA ACCENTO è → verbo essere e → congiunzione

sì → avverbio di affermazione si → pronome o particellapronominale

dà → 3a persona presente da → preposizione

indicativo verbo dare

dì → giorno (poetico) di → preposizione

lì → avverbio di luogo li → pronome

là → avverbio di luogo la → articolo o pronomepersonale femminile

ché→ congiunzione “perché” che → congiunzione o (poetico) pronome relativo

tè → bevanda te → pronome

sé → pronome se → congiunzione

né → congiunzione negativa ne → pronome o avverbio

sùbito (avverbio di tempo)subìto (verbo “subire”)

prìncipi (plurale di “principe”) princìpi (plurale di “principio”)

E inoltre: benché l’indicazione dell’accento fonico persegnalare la pronuncia aperta o chiusa della o e della eappaia esclusivamente su vocabolari e dizionari, si ricordiche la scelta dell’una o dell’altra pronuncia è importante perchiarire il significato di alcune parole omonime:

accétta (strumento di taglio)accètta (verbo “accettare”)

ésca (verbo “uscire”)èsca (cibo per attirare i pesci)

bótte (recipiente di legno)bòtte (percosse)

Nelle parole tronche la vocale o possiede sempreaccento grave, mentre la vocale e può avere accento acutoo grave; in caso di dubbio è opportuno affidarsi a un voca-bolario, per prendere atto della grafìa e quindi della pronun-cia più corretta.

Riassumendo

PAROLE TRONCHE CON LA VOCALE O:

falò comò però paltò pedalò

PAROLE TRONCHE CON LA VOCALE E:

noè cosicché lacchè viceré bebè

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Già, ma perché? Infatti la regola non dovrebbeessere accettata come una verità rivelata, ma per un motivologico: questi due monosillabi non hanno omonimi, a menoche non si voglia fare riferimento per uno di essi al suonoemesso dall’oca.

Come già è stato chiarito a proposito delle notemusicali, anche le voci cosiddette onomatopeiche, cheriproducono cioè suoni o rumori, non rientrano nel nove-ro delle “parti del discorso” vere e proprie.

Nota Bene

Quando il pronome sé è accompagnato da stesso o mede-simo non dovrebbe essere accentato, essendo già suffi-ciente il termine che l’accompagna per chiarire la suanatura. Alcuni linguisti non sono d’accordo, e insistonosulla legittimità dell’accento, che tuttavia sarebbe meglioeliminare poiché superfluo, dal momento che la sua unicafunzione è quella di distinguere il pronome sé dalla corri-spondente congiunzione, distinzione già effettuata dagliaggettivi dimostrativi stesso o medesimo.

A questo proposito qualcuno potrebbe obiettareche i nomi delle note musicali sono tutti omonimi di altret-tanti vocaboli, i quali dovrebbero quindi essere accentati perla regola sopra esposta; si noti tuttavia che le note musicalinon sono classificabili come “parti del discorso”, quindi nelnostro caso non se ne deve tenere conto.

Un accento irragionevole, che ancora si legge nelledate, usato soprattutto in corrispondenze commerciali,riguarda uno strano lì collocato tra l’indicazione del luogo ela data stessa.

Esempio

Palermo, lì 30 aprile 2004

È eredità di una forma arcaica priva ormai di giusti-ficazione.

Per concludere non possiamo dimenticare i dueavverbi di luogo qui e qua sulla cui assenza di accento nessu-no ha dubbi per merito di un certo ritornello, ben chiaronella mente di tutti fin dalla prima elementare:

Su qui e qua l’accento non va

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La Maria è promossa,il Paolo invece no

L’ARTICOLO MASCHILE

L’uso appropriato degli articoli determinativimaschili il, lo (sing.), i, gli (plur.), e degli articoli indetermi-nativi maschili un, uno, può a volte generare dubbi: per que-sto conviene esaminarne il corretto utilizzo.

Lo, il suo plurale gli e i loro composti si usano connomi maschili inizianti con vocale (in tale caso lo si elide,cioè si apostrofa, come vedremo tra poco (pag. 31), mentregli si elide solo davanti a i).

Si usano inoltre con i nomi inizianti con le conso-nanti x, z, s impura (seguita cioè da consonante):

l o xeno fobo → g l i xeno fob i l o z io → g l i z i il o sc ia to re → g l i s c ia to r i

Lo stesso accade coi gruppi di consonanti pn, ps,gn, per ragioni eufoniche:

l o pneuma t i co → g l i pneuma t i c il o ps i co logo → g l i p s i co log ilo gnomo → g l i gnomi

Il, il suo plurale i e i loro composti si usano connomi maschili inizianti per consonante, con esclusione deigià citati pn, ps, gn, x, z, s impura.

La ragione è semplice: per evitare l’accostamentodella lettera l, terminale di il, con le consonanti e i gruppi diconsonanti precedenti, che produrrebbe un suono estraneoalla dolcezza della lingua italiana.

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pag. 31

Esempio

L’ALIGHIERI, ma non IL DANTE ALIGHIERI

Nel linguaggio familiare, tuttavia, è concesso l’arti-colo con nomi e cognomi femminili.

Esempio

LA MARIA, LA BRAMBILLA, ecc.

Benché si stia diffondendo l’uso dell’articoloanche coi nomi propri maschili, si ricordi che si tratta diforma scorretta.

I nomi di parentela primitivi accompagnati dal pos-sessivo rifiutano l’articolo (mia madre, tuo zio, nostrononno), mentre se sono alterati (vezzeggiativi, diminutivi,ecc.), o ottenuti con l’aggiunta di prefissi (prozio, bisnonno,ecc.) o suffissi (sorellastra, ecc.), lo esigono.

Esempio

LA NOSTRA CUGINETTA, LA TUA NONNINA,IL VOSTRO BISNONNO

Attenzione!“mamma”, “papà” e “babbo” sono considerati vezzeggiativi,e come tali richiedono l’articolo in presenza del possessivo:

LA MIA MAMMA, e non MIA MAMMA

Il psicologo, per esempio, o il gnomo hanno unsuono veramente sgradevole.

Nel rispetto della regola, suocero,iniziante per s pura, cioè seguita da vocale,

esige l’articolo il e non l’articolo lo,come si sente e si vede scritto spesso.

L’articolo indeterminativo uno si adopera unica-mente davanti ai nomi maschili che iniziano con le conso-nanti o i gruppi di consonanti citati a proposito dell’artico-lo lo (pn, ps, gn, x, z ed s impura) mentre in tutti gli altri casisi usa l’articolo indeterminativo un (troncamento di uno).

Avremo perciò

un artista, un usciere, un cane, ecc.,ma anche uno gnomo, uno sciocco, uno zotico, ecc.,

poiché la lettera n, terminale di un, accostata apn, ps, gn, ecc., rappresenta una stonatura.

L’ARTICOLO FEMMINILE

Mentre gli articoli determinativi femminili la, le noncreano problemi, le perplessità nascono a volte con l’utilizzodell’articolo indeterminativo femminile una, che dinanzi aparole inizianti con vocale perde la a finale sostituita dall’apo-strofo, a causa della necessità dell’elisione (vedi pag. 31).

L’ARTICOLO CON NOMI PROPRI DIPERSONA E CON NOMI DI PARENTELA

Si eviti l’articolo dinanzi ai nomi propri di persona,a meno che non si tratti di personaggi celebri, nel quale casolo si userà dinanzi al solo cognome.

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pag. 31

I Santi si distinguonoanche dall’apostrofo

L’APOSTROFO, SEGNO DELL’ELISIONE

È il segno che si colloca in alto a destra in fine di unaparola, per indicare la caduta della vocale o della sillaba finaledinanzi ad altra parola iniziante per vocale; tale soppressioneprende il nome di elisione (da elidere, cioè sopprimere).

Lo scopo è quello di evitare per ragioni eufoniche (vedipag. 14) l’incontro di due vocali che produrrebbe iato (dalLatino hiatus “apertura della bocca”), con leggera difficoltà dipronuncia. È evidente che riesce più agevole dire l’oceano,anziché lo oceano: per questo la o dell’articolo cade, si elide.

Si faccia attenzione ai seguenti casi

L’elisione dell’articolo indeterminativo femminileuna dinanzi ai nomi femminili inizianti per vocale, connecessaria introduzione dell’apostrofo, potrebbe spingere avolte a tralasciare quest’ultimo; infatti tale articolo, diven-tando un per la perdita della a finale, viene spesso erronea-mente confuso col corrispondente maschile, che non richie-de l’apostrofo.

Esempio

un’anatra, un’ostrica, un’unghia, un’estate

Dimenticare l’apostrofo, in questi e in altri casi simili, costi-tuisce grave errore.

Gli articoli gli e le e i loro composti si possono eli-dere (ma è preferibile evitarlo), soltanto davanti a nomi plu-rali inizianti rispettivamente per i ed e, mentre non si pos-sono elidere dinanzi alle altre vocali.

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pag. 14

che possono perdere, in base al gusto di chi scrive, la vocalefinale: venir meno, poter dire, ecc.

Non esistono dubbi quando la parola seguente ini-zia per consonante; chi penserebbe infatti di scrivere peresempio buon’ cavallo o mar’ Mediterraneo, nonostante lacaduta delle vocali finali?

L’incertezza sorge (apostrofo sì, apostrofo no?, quin-di elidere un termine o troncarlo, evitando l’apostrofo?)dinanzi a vocaboli inizianti per vocale.

Il consiglio pratico è il seguente

si provi a porre il termine su cui si è dubbiosi dinanziad altro dello stesso genere che inizi per consonante:se l’accostamento è compatibile si tratta di troncamen-to (quindi l’apostrofo sarebbe errato), altrimenti occor-re elidere, inserendo l’apostrofo.

Si noti che lo stesso termine può utilizzare il tron-camento dinanzi ai nomi maschili, e l’elisione dinanzi aifemminili. Pare complicato, ma in pratica non lo è.

Vediamo qualche esempio:tal uomo non richiede l’apostrofo perché posso scriveretal dispiacere;qual esempio non richiede l’apostrofo, perché posso scriverequal buon vento.

Si faccia particolare attenzione all’indispensabiletroncamento (quindi non elisione) di qual dinanzi al verboessere, nelle forme inizianti con la vocale e.Esempio: qual è, qual era, ecc.Ben arrivato non richiede l’apostrofo, perché posso scrivereben detto.Nessun esito non richiede l’apostrofo, perché posso scriverenessun dolore.Invece, pover’uomo richiede l’apostrofo, perché non potreiscrivere pover ragazzo.

Esempio

CORRETTO: gl’Inglesi, l’estatiERRATO: gl’amici, l’ultime provviste

Si noti anche che quando le assume funzione dipronome, non si può mai elidere.

Esempio

CORRETTO: Le esternai (a lei) la mia perplessitàERRATO: L’esternai la mia perplessità

Abbiamo visto che l’elisione avviene in fine diparola: la si può tuttavia trovare anche all’inizio, quando sicitano anni passati, eliminando le prime due cifre.

Esempio

il ’45, il ’68, nel ’99, ecc.

La soppressione è tuttavia concessa soltantoquando si fa riferimento al secolo precedente, perciò nonè più consentito, negli anni 2000, scrivere il ’48 per indi-care il 1848.

IL TRONCAMENTO: QUANDOL’APOSTROFO NON È AMMESSO

Si dice troncamento la soppressione della vocalefinale oppure dell’ultima sillaba di un vocabolo, purché nonaccentate, che avviene senza apostrofo, il cui inserimentorappresenterebbe un errore.

Ecco i casi più comuni di parole soggette a tronca-mento: tal, qual, ben, buon, nessun, mar, signor, suor, amor,fior e gli aggettivi indefiniti maschili alcun, ciascun, nessun,qualcun. A questi si aggiungono gli infiniti di alcuni verbi

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TRONCAMENTI IRREGOLARI

Nonostante il troncamento rifiuti l’apostrofo, alcu-ni vocaboli lo esigono, benché la caduta della vocale o dellasillaba finale non sia stata provocata da ragioni eufoniche,come accade con l’elisione di cui abbiamo appena trattato.Attenzione: si tratta di eccezioni che richiedono l’apostro-fo, ma non l’accento, che rappresenterebbe un errore.

Un po’ → sta per un pocoA mo’di → sta per a modo diPie’ → sta per piede (a ogni pie’ sospinto,

a pie’ di pagina)Fe’ → sta per fede (forma antiquata usata un tempo

in poesia)Be’ → sta per bene! (avverbio di modo)

Molti, spesso anche giornalisti o scrittori di uncerto nome, scrivono questa esclamazione in forma discuti-bile: bè, beh.

Il primo caso (bè) è elencato nei vocabolari come voceimitativa del belato, scritta anche con prolungamento dellavocale, mentre beh, assimilato da alcuni grammatici ad altreesclamazioni accompagnate dall’h finale (ah!, oh!, ecc.), è accet-tato con la solita scusa che “si tratta ormai di uso comune”.

Chi intende scrivere correttamente, sceglieràcomunque la forma col troncamento irregolare: be’!

Particolarmente incerta per i più, inoltre, la grafiadi alcuni imperativi, che a volte sono erroneamente scritticon l’accento, mentre richiedono l’apostrofo.

Eccoli

Da’ → dai Di’ → diciFa’ → fai Sta’ → staiTo’ → togli, tieni Va’ → vai

E passiamo ai femminili:nessun’amica richiede l’apostrofo, perché non potrei scriverenessun compagna.Buon’idea richiede l’apostrofo, perché non potrei scriverebuon famiglia.Tal amica non richiede l’apostrofo, perché posso scrivere talragazza.

Riassumendo

APOSTROFO NO APOSTROFO SÌ

tal uomo pover’uomoqual esempio nessun’amicaqual è, qual era buon’ideaben arrivatonessun esitotal amica

Un’osservazione particolare merita san, troncamen-to di santo, che si tronca dinanzi a nomi propri inizianti perconsonante:

san Gerolamo, san Pancrazio, san Luca, san Gennaromentre riprende la sua struttura originaria dinanzi a quelliche cominciano per vocale, ovviamente con l’elisione dellavocale finale:

sant’Ambrogio, sant’Onofrio, sant’AntonioPer concludere l’argomento ricordiamo che davan-

ti a s impura non c’è né elisione, né troncamento, comeaccade con santo Stefano.

Il femminile santa resta di solito invariato:

santa Matilde, santa Chiara, santa Luciacon poche eccezioni dinanzi ad alcuni nomi inizianti per vocale:

sant’Anna, sant’Elena, sant’OrsolaCi si affiderà in questi casi alla tradizione.

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Assassinii e assassini.A volte il plurale è micidiale

PLURALE DEI VOCABOLITERMINANTI IN CIA, GIA, IO

Ecco un altro argomento che crea spesso perplessi-tà in chi è rispettoso della lingua italiana, mentre i più, igno-rando beatamente il dubbio, seguono l’istinto, che non sem-pre è buon consigliere.

Eppure la regoletta, che riguarda sia i nomi che gliaggettivi, è semplice e richiede solo un’attenzione minima.Eccola:Quando l’accento tonico cade sulla i finale dei vocaboliterminanti in cia o gia, la vocale resta anche nel plurale.

Esempio

farmacìa → farmacie bugìa → bugie

Se la i finale è atona, cioè non accentata, si osserviallora se il gruppo cia o gia è preceduto da vocale. In tale casosi conserva la i al plurale; diversamente la si elimina.

Esempio

ciliegia → ciliegiefrangia → frangeprovincia → provincecamicia → camicie

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CONCORDANZE

Come ci si comporta quando si devono concordareaggettivi riferiti a un insieme di nomi maschili e femminili?La regola è chiara: quando si tratta di persone, prevale il maschile (ebbene, sì!).

Esempio

Marco e Maria sono buoni

Tuttavia a volte quel maschile stona; allora si puòricorrere a scappatoie del tipo: Marco è buono, e anche Maria. Se invece si fa riferimento a cose, la concordanza può avereluogo anche col termine più vicino.

Esempio

I libri e le riviste erano ammucchiate in terra(oppure ammucchiati)

I vocaboli terminanti al singolare in io perdono la ial plurale se questa è atona (non accentata), mentre la man-tengono quando è tonica (accentata), nel quale caso si avràil plurale con la doppia i.

Esempio

fìglio → figliscòppio → scòppizìo → ziiformicolìo → formicolii.

Un’incertezza potrebbe nascere quando un pluralecorrettamente scritto con una sola i è in grado di generareomonimia, cioè suono uguale ad altra parola affine, ma condiverso significato. Per esempio, condominio e condominohanno il plurale graficamente identico. Come risolvere ilproblema? Semplicemente attraverso l’indicazione dell’ac-cento tonico interno al vocabolo: condomìni nel primo caso,e condòmini nel secondo. Tuttavia non mancano occasioni incui neppure tale soluzione è sufficiente: vedasi l’esempio diassassìnio e assassìno, omicìdio e omicìda, ugualmente accenta-ti; se si seguisse la regola, i plurali di ogni gruppo si confon-derebbero tra loro. E allora?

Si userà al plurale la doppia i per il vocabolo chetra i due termina in io, benché non accentato, contraddi-cendo quanto affermato in precedenza: del resto non si dicecomunemente che l’eccezione conferma la regola?

Riassumendo

assassìnio → assassìniiassassìno → assassìniomicìdio → omicìdiiomicìda → omicìdi

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I pronomi:un argomento scottante

I PRONOMI PERSONALI

Si nota a volte uno scambio scorretto tra maschilee femminile, tra singolare e plurale, tra soggetto e comple-mento. Osserviamo alcune possibilità di errore.

Soprattutto nel linguaggio parlato c’è chi utilizza tein luogo di tu come soggetto.

Esempio

te sei sempre in ritardo → ERRATOtu sei sempre in ritardo → CORRETTO

Lui e lei, complementi di egli ed ella, sono usati sem-pre più spesso anche con funzione di soggetto: “lui ha dettoche..” è forma propria del linguaggio parlato. Molto più cor-retto “egli ha detto che..” Ormai tollerati, non rappresentano però esempi di bello stile.

Accade anche di udire scambi di genere tra pronomipersonali. Frequente gli per il femminile e le per il maschile.

Dovrebbe essere inutile raccomandare di rifuggireda simili licenze.

Esempio

gli ho portato un dono (alla mamma) → ERRATOle ho portato un dono → CORRETTOle ho dato un consiglio (a un amico) → ERRATOgli ho dato un consiglio → CORRETTO

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preposizione a in presenza di un complemento di termine,restando fedeli all’origine latina del termine.

Esempio

Ho incontrato l’amico, cui avevo affidato i saluti per te.

Lo stesso accade quando cui è accompagnato dallapreposizione di, che è preferibile tralasciare quando il pro-nome è collocato tra l’articolo e il nome.

Esempio

Mario, la di cui moglie è un’ottima cuoca.. → PEGGIOMario, la cui moglie è un’ottima cuoca.. → MEGLIO

Loro, complemento di 3a persona plurale siamaschile che femminile, a volte è usato come soggetto, maè forma meno corretta di “essi”, “esse” che hanno inveceprecisa funzione di soggetto.

Lo stesso dicasi quando al posto del corretto plura-le a loro si usa gli che è invece singolare.

Esempio

gli ho dato (ai miei figli) → ERRATOho dato (a) loro → CORRETTO

Ugualmente errato l’utilizzo del pronome ci inluogo dei pronomi gli o le.

Esempio

l’ho incontrato, e ci ho detto → ERRATOl’ho incontrato, e gli ho detto → CORRETTOl’ho incontrata, e le ho detto → CORRETTO

I PRONOMI RELATIVI

I pronomi relativi che, il quale, i quali, la quale, lequali, cui e chi sono utili per rendere più agile il discorso, evi-tando la ripetizione del nome.

Il pronome relativo che (da usare unicamente comesoggetto o complemento oggetto) può essere sostituito con ilcorrispondente il quale (la quale, ecc.), più elegante e preci-so, usato soprattutto nella forma scritta.

Si noti il pronome relativo cui, che svolge semprefunzione di complemento, identificabile attraverso la prepo-sizione che lo accompagna. In certi casi si può tralasciare la

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M o N?Scopriamo la differenza

LA VECCHIA STORIELLADEL SERVITORE CON TRE GAMBE

Molti ricorderanno la storiella del servitore con tregambe di nome emme, che faceva da battistrada ai padroni pe b, dopo che questi avevano licenziato un domestico dinome enne, provvisto di due sole gambe, e perciò meno effi-ciente. La si poteva trovare nei sussidiari di una volta per laprima classe elementare, ed era efficace, perché dopo averlaconosciuta era difficile che gli alunni sbagliassero.Quindi si deve scrivere m anziché n, (nel linguaggio par-lato la differenza non si nota), quando la consonante pre-cede p e b.

Esempio

CORRETTO ERRATO

imbavagliare inbavagliareamputare anputare imbottitura inbottiturasimpatia sinpatiaimprobabile inprobabilecomposto conpostoimbroglio inbroglio

La regola vale anche per i nomi propri maschiliquali Giambattista, Giampiero, ecc., anche se qualcuno,per essere originale, sceglie uno scorretto Gianbattista oGianpiero.

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Si notino inoltre i verbi: piacere, nascere, tacere, gia-cere, che nella 1a e 3a persona singolare e nella 3a personaplurale del passato remoto introducono il gruppo cqu: piac-qui, piacque, piacquero; nacqui, nacque, nacquero; tacqui, tac-que, tacquero; giacqui, giacque, giacquero.

Se quella m non soddisfa, si possono scrivere i duenomi separati, nel quale caso la n va benissimo, mentreGianluigi, Gianantonio, Giangiacomo ecc. non hanno pro-blemi: la n è perfetta.

Riassumendo

CORRETTO ERRATO IN ALTERNATIVA

Giambattista Gianbattista Gian BattistaGiampiero Gianpiero Gian Piero

CQU, CCU, CU, QU, QQU: UNASCELTA CHE RICHIEDE ATTENZIONE

Per gli stranieri deve trattarsi di un vero rebus, chefa ritenere difficile e complicata la lingua italiana; anche pernoi in questo caso la distinzione tra le varie grafie può rap-presentare motivo di incertezza, che tuttavia apparirà facil-mente risolvibile per chi ha studiato (e ancora ricorda) ilLatino: infatti la scelta dell’uno o dell’altro gruppo si rifàgeneralmente ai vocaboli corrispondenti della nostra lin-gua madre.

In caso contrario sarà il vocabolario a venire in aiuto, oil ricordo delle regole impartite dalle maestre delle elementari.

Non ci soffermeremo sulla corretta grafia di“cuore”, “cuoio”, “cuoco”, “acqua” e “scuola” per non offen-dere i lettori, limitandoci a richiamare l’attenzione su alcu-ni vocaboli di uso più raro, su cui possono nascere dubbi.

Forme corrette

soqquadro, taccuino, innocuo (dal Latino innocuus),iniquo (dal Latino iniquus), proficuo, quota,quotidiano, scuotere, riscuotere, percuotere

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L’anacoluto non èuna parolaccia

L’ANACOLUTO E IL PLEONASMO

A volte si sentono citare questi termini, usati perindicare forme scorrette, proprie del linguaggio popolare.L’anacoluto, dal Greco “sconnesso”, “non corrispondente”,consiste nella mancanza di legame tra l’inizio di un periodoe la parte seguente, che introduce un soggetto diverso.

Esempi

ANACOLUTO: Un soldato che fugge, tuttipensano che sia un vigliacco.

FORMA CORRETTA: Tutti pensano che un soldato chefugge sia un vigliacco.

ANACOLUTO: La casa che ho costruito con tantisacrifici, i miei figli credono che valga poco.

FORMA CORRETTA: I miei figli credono che la casa che ho costruito con tanti sacrifici valga poco.

ANACOLUTO: Quelli che pregano, io spero cheil Cielo ascolterà le loro parole.

FORMA CORRETTA: Io spero che il Cielo ascolterà le parole di quelli che pregano.

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ANACOLUTI D’AUTORE

Calandrino, se la prima gli era paruta amara,questa gli parve amarissima.

G. Boccaccio

Quelli che muoiono, bisogna pregare Iddio per loro.A. Manzoni

Un religioso che, senza farvi torto, val più unpelo della sua barba che tutta la vostra.

A. Manzoni

Piero era il suo genere spaventare la gente. C. Pavese

Era un giovane che, come suol dirsi, glipuzzavano i baffi.

T. Landolfi

Come si vede, le frasi iniziano con un soggetto chepoi viene abbandonato per passare a una nuova costruzione,il che rappresenta una sgrammaticatura.

Si cita spesso come esempio di anacoluto Io mipiace.., in cui il soggetto non è il pronome personale, ma ciòche rappresenta il motivo del gradimento; è questo un erro-re che, per la più diffusa alfabetizzazione attualmente in atto,sta finalmente scomparendo.

Meno grave e addirittura perdonabile, ma solonella forma orale, è il pleonasmo, altro termine di derivazio-ne greca, che significa “superfluità”, “aggiunta inutile”.

Sono pleonasmi molto comuni “ma però”, unionedi due congiunzioni entrambe avversative, dove una solasarebbe sufficiente, e quell’a me mi che qualche grammaticoaccetta come rafforzativo, anche se di questo passo, trovan-do giustificazioni a ogni possibile distacco dalle regole, sifinisce con l’affidarsi all’arbitrio di chi parla o scrive.

Altri esempi

Entra dentro il salotto, e apri le finestre

Esci fuori subito da lì

Sali su con me per salutare mia madre

Aveva due occhi bellissimi (verrebbe da chiedersise il terzo, invece..)

È vero che pleonasmi e anacoluti si possono trovarein scritti di letterati e poeti di tutti i tempi, ma ricordiamoche essi, per la profonda esperienza, hanno sempre avuto lacapacità di utilizzare perfino le imperfezioni linguistiche percreare dissonanze utili per gli effetti che hanno inteso otte-nere; infatti sono come l’Agente 007: hanno la licenza.Meglio comunque non tentare in questo caso di imitarli.

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La congiuntivitee altre patologie verbali

UTILIZZO DEL CONGIUNTIVO

Per la solita tendenza alla semplificazione, sinoni-mo in questo caso di impoverimento della lingua, l’Italianosta perdendo gradualmente l’utilizzo del congiuntivo, formadi rara limpidezza espressiva derivata direttamente dalLatino, che attraverso essa manifestava possibilità in luogo dicertezza.

Indro Montanelli scrisse un giorno che il congiun-tivo si sta avviando a diventare quello che le posate d’ar-gento sono per certe famiglie: un segno di distinzione; con-tinuare a utilizzarlo non dovrebbe rappresentare tuttaviauno snobismo, ma una scelta di coerenza, di chiarezza, perfi-no di fedeltà alle proprie radici e di contrasto all’appiatti-mento, che non è mai segno di qualità.

Dal momento che esistono associazioni interessatealla difesa di ciò che deve essere protetto, varrebbe la penadi istituirne una per la salvaguardia del congiuntivo.

Qualcosa del resto si sta già facendo in questo set-tore: gli insegnanti coi loro alunni di una scuola di Trevisosi sono impegnati in una campagna simile a quella per impe-dire l’estinzione dei panda, avendo come slogan (antico gridodi guerra dei clan scozzesi):

Il congiuntivo non deve morire!

Complimenti: faremo il possibile per combattere insiemecon loro.

Dopo questa notizia che rincuora, passiamo quindiall’esposizione della regola, che più di ogni altra è affidata alsignificato che chi parla o scrive intende dare al propriopensiero.

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1a persona plurale dell’indicativo presente), e non “insegn-amo”.Allo stesso modo scriveremo: “noi spegn-iamo” e non “spegn-amo”, “che noi sogn-iamo” (perché -iamo è la desinenza della 1a

persona plurale del congiuntivo presente), “che voi sogn-iate”(essendo -iate la desinenza della 2a persona plurale del congiun-tivo presente), e non: “che noi sogn-amo”, “che voi sogn-ate”.

Riassumendo

CORRETTO ERRATOinsegn-iamo insegn-amospegn-iamo spegn-amoche noi sogn-iamo che noi sogn-amoche voi sogn-iate che voi sogn-ate

I composti con fare, dire, venire richiedono atten-zione, poiché seguono la coniugazione dei verbi che necostituiscono la base. Esempi: il presente indicativo di disfa-re è “io disfaccio”, e non “io disfo”, come dovrebbe essere senon seguisse la regola sopra citata. Allo stesso modo si diràe si scriverà: “io disfacevo”, “io disfeci”, “disfacendo”, ecc. enon “io disfavo”, “io disfai”, “disfando”.

Passiamo quindi ai composti del verbo dire:l’imperfetto indicativo di maledire è “maledicevo” e non“maledivo”. Allo stesso modo si dirà e si scriverà: “maledis-si” e non “maledii”, “maledicendo”, e non “maledendo”.Il verbo pervenire presenta qualche difficoltà nel passatoremoto, dove spesso si sente dire o si vede scritto “pervenii”,“pervenì”, “pervenirono”, in luogo di “pervenni”, “perven-ne”, “pervennero”, che sono le uniche forme corrette delpassato remoto del verbo venire, da cui pervenire deriva.

Riassumendo:

CORRETTO ERRATOdisfaccio disfodisfacevo disfavodisfeci disfaidisfacendo disfandomaledicevo maledivo

Il congiuntivo è il modo verbale che esprime dub-bio, eventualità, ma anche desiderio o timore che si verifi-chi un fatto: si utilizza in dipendenza di una proposizioneprincipale, che determina la scelta successiva tra l’indica-tivo e il congiuntivo.

Esempio

Penso (quindi immagino, ma non ne sono certo) che tumi abbia tradito.

Se invece intendo attribuire certezza alla mia ipo-tesi, userò in questo caso l’indicativo, dicendo o scrivendo:

Penso che mi hai tradito.

Sfumature, certo, ma preziose per manifestare com-piutamente un pensiero, pur senza utilizzare tante parole.

OSSERVAZIONI SU ALCUNI VERBI SPECIALI

Qualche perplessità nasce a volte sulla grafia dicerti verbi. Eccone alcuni.

I verbi che terminano all’infinito in ci-are e gi-areperdono la i della radice (la parte invariabile del vocabolo),dinanzi alle desinenze (le parti variabili) che iniziano con i ede, poiché la vocale i della radice non è più necessaria per man-tenere il suono dolce o palatale della c o della g precedente.

Si dovrà quindi scrivere: noi cominc-iamo, noi cominc-eremo, io cominc-erei,noi mang-iamo, noi mang-eremo, io mang-ereimentre sarebbe errato scrivere: cominci-eremo, mangi-erei, ecc.

I verbi che terminano all’infinito in gn-are egn-ere sono regolari, e pertanto mantengono la i delle desi-nenze quando queste compaiono.Quindi: “noi insegn-iamo” (perché iamo è la desinenza della

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La regola è semplice, e come al solito risponde alla logica:l’ausiliare dei verbi servili deve essere lo stesso richiestodal verbo al quale il servile è unito.

Le forme esatte sono perciò: sarei potuto fuggire,sarei dovuto essere castigato, con l’ausiliare essere in entrambii casi, poiché fuggire è intransitivo, e castigare è usato in formapassiva, ma: avrei dovuto castigare, poiché castigare è usato inquesto caso in forma attiva, e quindi richiede l’ausiliare avere.

PASSATO PROSSIMO OPASSATO REMOTO?

Il nome di questi tempi dell’indicativo, indistintitra loro nella lingua latina, può trarre in inganno: prossimoinfatti sembra fare riferimento a un’azione avvenuta direcente, remoto a un’azione lontana. In realtà non è così.

Il tempo passato remoto si usa per indicare un’a-zione conclusa, non importa se accaduta recentemente omolto tempo prima, mentre il tempo passato prossimoindica avvenimenti anche lontanissimi, i cui effetti conti-nuano ancora nel presente.

Esempi

Garibaldi morì nel 1882Dante Alighieri nacque nel 1265Mia figlia (tuttora vivente) è nata nel 1958Tre mesi or sono è venuto ad abitare pressodi noi mio fratello (il fatto perdura)Ieri incontrai Maria (azione vicina, macompletamente trascorsa)

L’utilizzo appropriato dei due tempi verbali nonsempre è rispettato nelle varie regioni italiane: nel Nord sipreferisce il passato prossimo (nel dialetto milanese il passa-to remoto addirittura non esiste), mentre nel Sud il passatoremoto è abituale. Con un po’ di attenzione si potrà rime-diare, almeno nel linguaggio scritto, alle inesattezze dovutealle abitudini locali.

CORRETTO ERRATOmaledissi malediimaledicendo maledendopervenni perveniipervenne pervenìpervennero pervenirono

GLI AUSILIARI ESSERE E AVERE

Essere e avere, come è noto, servono tra l’altro perla coniugazione dei verbi, e per questo sono definiti ausiliari.

Il verbo avere si usa per i tempi composti delleforme attive dei verbi transitivi, quelli che esprimono un’a-zione che passa, cioè transita o può transitare su un comple-mento oggetto (“Ho sconfitto la malattia”).

Il verbo essere si usa per le forme passive, nei tempisemplici e composti (“sono amato”, “ero stato amato”), e inol-tre per i tempi composti dei verbi intransitivi, quelli che espri-mono azione ferma sul soggetto, come nascere, vivere, morire, tor-nare, ecc. (esempio: “sono arrivato”, “ero tornato”). Si adoperaanche per i tempi composti dei verbi impersonali, usati per indi-care fenomeni atmosferici (piovere, nevicare, albeggiare, ecc.),quindi occorre dire o scrivere: “È piovuto per breve tempo”.

In alcune regioni si usa però in questi casi soprat-tutto l’ausiliare avere, ma in Toscana, dove il rispetto per lapurezza è innato, ciò non accade, neppure tra le personemeno colte, e questo dovrebbe bastare per tenerci lontani dauna forma poco corretta.

Non mancano tuttavia alcuni verbi intransitivi cheutilizzano l’ausiliare avere (“ho dormito”, “ho passeggiato”); incaso di dubbio converrà quindi ricorrere al dizionario, chesegnala sempre l’ausiliare corretto da usare coi verbi irregolari.

Le incertezze maggiori possono nascere per la scel-ta dell’ausiliare nei tempi composti dei verbi cosiddetti ser-vili potere, volere e dovere che accompagnano altri verbi.Qual è la frase giusta? avrei potuto fuggire oppure sarei potuto fuggire?avrei dovuto essere castigato oppure sarei dovuto essere castigato?

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Le maiuscole.Attenzione alle stonature!

Raduniamo qui alcuni esempi di scorrettezze e sto-nature da evitare.

LE MAIUSCOLE NEI TITOLIACCADEMICI, NOBILIARI, ONORIFICI

Trattandosi di appellativi che rappresentano unaqualifica particolare, per nascita o benemerenza o titoloaccademico, si dovrebbero scrivere con la lettera maiuscola.Si scriverà quindi:

il Ministrol’Onorevoleil Papail Presideil Professore

Quando tuttavia sono accompagnati dal nome pro-prio, è preferibile usare la minuscola:

il ministro Rossil’ing. Bianchiil dott. Brambillail conte Cavouril re Vittorio Emanuele II

Per regola si dovrebbe quindi scrivere anche: ilpapa Giovanni XXIII, benché in tale caso molti usino lamaiuscola in segno di rispetto.

Con significato generico, i diversi appellativi siscrivono con la lettera minuscola: il ministro, i senatori, ecc.

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sono portare nella cura della res publica con la cultura ormaigeneralizzata, l’impegno puntiglioso, la tenacia e quello spi-rito materno che fa parte della loro natura.Ecco allora il bisogno di coniare termini adatti alle nuovefunzioni, e per questo si è fatto ricorso alle regole già esi-stenti riguardanti il femminile dei corrispondenti nomicomuni maschili.

Abbiamo così la Presidentessa (la dottoressa), laDeputata (la scolara), la Senatrice (l’istitutrice).In altri casi meno usuali, tuttavia, invece di ricorrere allafemminilizzazione del termine, non sempre gradevole,(l’Assessora? la Ministra? o peggio: la Pubblica Ministera?),sarebbe meglio lasciare invariato il titolo: basterà accompa-gnarlo col nome e cognome dell’interessata (l’assessoreMaria Rossi, il ministro Maria Bianchi, ecc.), sufficienti achiarire il sesso.

LE MAIUSCOLE NELLE PAROLE INDICANTI NAZIO-NALITÀ E APPARTENENZA RELIGIOSA O POLITICA

La regola è affine alla precedente: se il termine èsolo, e quindi è usato come sostantivo, si deve scrivere conla lettera maiuscola.

Esempio

l’Italiano (lingua), i Russi (popolo), i Cattolici, i Liberali, ecc.

ma: la lingua italiana, la cultura russa, la religione cattolica,

la dottrina liberale, ecc.

poiché nei casi appena citati il termine assume funzionedi aggettivo qualificativo, e quindi la maiuscola non èappropriata.

Richiedono inoltre la maiuscola i periodi storici, isecoli, i movimenti culturali, le solennità religiose, i titoli dilibri, giornali, opere d’arte, associazioni, società, uffici pub-blici, istituzioni, mentre si usa la lettera minuscola per inomi di stagioni, mesi e giorni.Si scriverà perciò:

il Rinascimento, l’Ottocento,il Romanticismo, l’Ascensione, il Parlamento,

primavera, marzo, mercoledì

TITOLI PUBBLICI AL FEMMINILE

Un tempo non era necessario porsi il problema,poiché le donne non rivestivano cariche politiche o istitu-zionali, anche se in realtà molte di loro erano spesso ispira-trici di decisioni e di manovre che si compivano in alto loco.Dalla metà del secolo appena trascorso, tuttavia, si è final-mente compresa l’importanza dei benefìci che le donne pos-

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I punti cardinalidella punteggiatura

La punteggiatura, attraverso i diversi segni di inter-punzione, ha lo scopo di conferire allo scritto le pause neces-sarie per rendere evidente il significato dell’esposizione.

Ci sono tuttavia autori notissimi che hanno elimi-nato a volte la punteggiatura dai loro scritti (GiuseppeBerto, James Joyce, per esempio) anche se in tale caso la let-tura e la comprensione dei testi appaiono meno agevoli. Sitratta comunque di una scelta che solo chi possiede unapadronanza profonda della lingua si può permettere.

A tale proposito è giunta notizia che le autoritàinglesi che si occupano della difesa della Cultura nazionale,sentendo a loro volta la necessità di porre un freno al degra-do cui è sottoposta anche la loro lingua, si sono impegnaterecentemente nella difesa della punteggiatura, ricordandocome questa sia importante per chiarire il senso delle frasi.Noi non intendiamo certo essere da meno: abbiamo quindiraccolto qui le regole principali, pur avvertendo che nonsono tassative.

VIRGOLA

Cominciamo con lo sfatare una leggenda dura amorire, inculcata nelle teste degli alunni fin dai primissimianni di scuola dalle maestre di una volta, tramandata inseguito da una generazione all’altra: davanti alla congiunzio-ne “e” non si può mettere la virgola.

In realtà la virgola non si dovrebbe usare davantialla congiunzione “e” solo nell’ultimo termine di un elenco,benché a volte la virgola finale possa servire per accentuareuna distinzione, ma questo è solo un espediente letterario.L’equivoco potrebbe nascere dal fatto che la “e”, essendo

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Vedasi l’esempio seguente, in cui tra il soggetto e il verbo èinserita un’incidentale:

L’uomo, che avanzava a piccoli passi faticosi, avevanegli occhi la fredda determinazione di chi è deciso a

raggiungere la propria meta.

Errato sarebbe invece scrivere:

L’uomo, avanzava a piccoli passi faticosi.. come purtroppo spesso si legge.

IL PUNTO FERMO

Indica la conclusione di un periodo. Nella prosamoderna si preferiscono frasi brevi, che conferiscono unritmo più vivace e dinamico al discorso.

IL PUNTO E VIRGOLA

La sua stessa forma grafica, risultante dall’unione diun punto con una virgola, indica che si tratta di un segno diinterpunzione il cui valore sta tra l’uno e l’altra. Si usa peruna pausa più decisa di quella indicata dalla virgola, mameno forte del punto fermo.

I DUE PUNTI

Servono sia per introdurre un discorso diretto, cheuna spiegazione o un elenco.

congiunzione, serve a unire i termini di una frase, mentre lavirgola indica una separazione: l’utilizzo contemporaneopotrebbe dunque apparire una contraddizione, mentre inrealtà non è così.

Ecco dunque la semplice regola

La virgola, che ha lo scopo di indicare una pausabreve nel fluire del discorso, dovrebbe precedere la“e” e altre congiunzioni (esempio: ma, benché, per-ciò, ecc.) quando queste danno inizio a una nuovaproposizione, cioè a una frase di senso compiuto incui siano presenti almeno un verbo e un soggetto,espresso o sottinteso.

Esempio

Sono tornato a casa, e ho saputo la buona notizia.

Si noti comunque che si potrebbe fare a meno dellavirgola se si volesse evidenziare una contemporaneità diazione tra i due fatti.

Viene utilizzata anche per separare un vocativo dalresto della frase.

Esempio

Ricordate, figli miei, le parole di vostro padre!

La virgola non dovrebbe mai stare dopo il sogget-to, poiché lo separerebbe dal verbo di cui fa parte inte-grante.

Esistono tuttavia delle eccezioni chiaramente identi-ficabili: se dopo il soggetto si trova un’incidentale, la virgoladiventa necessaria, accompagnata da un’altra virgola al termi-ne dell’incidentale stessa, con funzione di doppia parentesi.

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IL PUNTO ESCLAMATIVOE IL PUNTO INTERROGATIVO

Non intendiamo certo soffermarci sul loro notissi-mo utilizzo, limitandoci a una raccomandazione: si eviti di raddoppiarli o triplicarli, o peggio di usarli insie-me per accentuare un’esclamazione o una domanda, conun eccesso di enfasi che non è mai indice di buon gusto.

LE ABBREVIAZIONI

Devono essere seguite dal punto fermo. Si ricordituttavia che le forme abbreviate riguardanti misure, pesi ecapacità (km, gr, dl, ecc.) sono al contrario considerate ter-mini compiuti e pertanto rifiutano il punto.

Attenzione!

Il titolo di “dottore” che precede un nome proprio spettan-te di diritto solo a chi ha conseguito una laurea, o l’ha otte-nuta honoris causa, può essere abbreviato in due modi:dott. (quindi seguito dal punto fermo), per indicare la cadu-ta della seconda parte del vocabolo; oppure dr, nel qualecaso il punto finale sarebbe un’incongruenza, dal momen-to che si tratta di una soppressione interna al vocabolo enon di un’abbreviazione.

I PUNTINI DI SOSPENSIONE

I puntini di sospensione (bastano due, come dicevala scrittrice Françoise Sagan, e ce n’è d’avanzo) servono perindicare un’incertezza, una reticenza, una pausa quando siriporta un discorso diretto o si esprime un pensiero.

Si raccomanda però un uso molto parco di questosegno grafico: l’eccesso è sgradevole, poiché imprime allaprosa un andamento zoppicante.

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LE VIRGOLETTE

Le virgolette (“ ”) si utilizzano per racchiudere undiscorso diretto o per riferire un pensiero, e possono esseresostituite dalle lineette (- -). Le virgolette servono inoltre per evidenziare titoli (di libri,di opere musicali o artistiche), epoche storiche, modi di dire,frasi convenzionali, parole sulle quali si richiama l’attenzio-ne, ecc.

Parole ed espressionida rottamare

CIOÈ & CO.

La nostra lingua da qualche tempo è soggetta acuriosi innamoramenti di termini che solitamente si diffon-dono tra i giovani, e che di solito si esauriscono, anche senon sempre rapidamente.

C’è stato il dilagare di un cioè che si infilava pervi-cacemente ogni due, tre parole senza un nesso logico con lafrase, dal momento che si tratta di una particella esplicativavolta a chiarire il significato di quanto espresso immediata-mente prima: deriva infatti dall’unione del pronome dimo-strativo ciò con è, 3a persona del presente indicativo delverbo essere. In realtà era segno di incertezza, di scappatoiaper prendere tempo nel seguire il filo logico del pensiero, avolte di timidezza: infatti quando chi parlava era sicuro di sée procedeva spedito nel discorso, il famigerato, inutile cioènon compariva. Divenne presto un’abitudine, un’intrusioneirritante che restò tuttavia confinata nell’espressione verba-le, finché si attenuò fino a scomparire quasi del tutto.

Si potrebbero citare altri vezzi simili, come attimi-no, grazioso diminutivo-vezzeggiativo che dovrebbe indicareun tempo brevissimo, mentre in realtà la sua durata potreb-be non avere limiti.

Un’altra inutile intrusione è rappresentata dall’av-verbio assolutamente, superfluo rafforzativo di affermazioni onegazioni, come se sì o no non fossero più che sufficienti amanifestare assenso o dissenso.

Appartiene allo stesso genere un intercalare chepersone di buona cultura introducono a volte in continua-zione nel loro discorso; si tratta di un inciso solitamenteinopportuno che “infiora” il loro eloquio: per così dire o dicia-mo così. Forma nervosa, segno di imbarazzo?

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Innanzi tutto il “che” possiede molte funzioni: puòessere congiunzione, e in tale caso può introdurre sia il modoindicativo che il congiuntivo, e perfino il condizionale. Puòsostituire la congiunzione perché nella forma letteraria, richie-dendo però di essere accentato. È poi anche pronome relativoplurivalente, giacché resta invariato nel maschile e nel fem-minile, nel singolare e nel plurale. Inoltre non muta nemme-no se usato come soggetto o come complemento oggetto,potendo assumere infine anche funzione di pronome neutro odi aggettivo esclamativo. Esempio: Che bella notizia!

Attenzione però: in quest’ultimo caso non dovreb-be essere unito soltanto a un aggettivo, come si sente spes-so nel Settentrione. È per esempio scorretto esclamare: Chenoioso! Che brutto!

Occorrerà invece aggiungere un sostantivo (Che di-scorso noioso! Che brutto esempio!), oppure si dovrà sostituire il“che” con un termine diverso, inserendo inoltre un verbo:Quanto risulta noioso! Come è brutto!

Ecco infine alcune frasi la cui pessima riuscita èdovuta al distratto utilizzo del “che”, usato appunto a van-vera, quindi da rottamare:Siccome che ho la febbre, non potrò uscire. Il “che” in questo caso ha una funzione indefinibile, poiché lacongiunzione causale che lo precede è già più che sufficienteper chiarire il significato della frase.

Allo stesso genere appartiene il “che” usato in una frasedi questo tipo: Sta’ attento, che il pericolo è sempre in agguato!

Abbiamo qui un “che” clandestino, infilatosi impro-priamente in un periodo che non sentiva affatto la necessitàdel suo intervento. Sarebbe bastato porre due punti dopo laseconda parola, sopprimendo l’intruso:Sta’ attento: il pericolo è sempre in agguato!

Il fatto è che l’inutile insistenza di certe ripetizioniottiene soltanto lo scopo di distrarre dal contenuto del di-scorso e di infastidire l’ascoltatore.

Si presti dunque attenzione alla necessità di con-trollare il proprio modo di esprimersi, anche evitando l’uti-lizzo di termini che improvvisamente diventano di moda eche banalizzano la lingua, con intromissioni non giustificatedal loro significato letterale.

ESPRESSIONI “A VANVERA”

Tra le molte ben più gravi scorrettezze che deprimono lanostra lingua, si nota a volte l’utilizzo di voci improprie, sucui sarebbe opportuno riflettere.

Si dice per esempio persona umana, con l’inutileaggiunta di un aggettivo qualificativo che rappresenta unpleonasmo (vedi pag. 50); si tratta di una formula ormaientrata nel linguaggio colto di conferenzieri e predicatori,usata perfino in più occasioni dal Pontefice, eppure, se con-sultiamo un dizionario, vediamo che il termine persona cor-risponde a individuo, uomo o donna. Allora che bisogno c’è diquell’aggiunta? A nessuno verrebbe in mente di definire per-sona un oggetto o un animale.

Un altro uso indiscriminato ben più grave vieneconsumato con il verbo giustiziare: La mafia ha giustiziato unquindicenne, facendolo sciogliere nell’acido..

Ma siamo matti? Che giustizia sarebbe questa?Eppure lo si legge e lo si sente dire e ripetere, soprattutto neitelegiornali. E questi sono solo due esempi..

LA FREQUENTE PERDITA D’IDENTITÀDEL “CHE”

Abbiamo già accennato brevemente a pag. 42 aquesta paroletta dall’apparenza modesta, ma dall’importanzasolitamente determinante nell’evolversi del discorso: tuttaviaè opportuno ampliare l’argomento, che presenta vari aspetti.

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pag. 50

pag. 42

La d eufonica:una consonante dalla vita

sregolata

LA D EUFONICA CON LACONGIUNZIONE “E” E LA PREPOSIZIONE “A”

La consonante d, aggiunta alla congiunzione e ealla preposizione a, quando sono seguite da parola inizianteper vocale, è detta eufonica, cioè utilizzata per rendere piùarmoniosa la pronuncia.

Un tempo si consigliava di adoperare la d anchecon la congiunzione o, che diventava od con un suono pernulla gradevole, quindi l’idea è stata in seguito giustamenteabbandonata.

L’argomento è stato a lungo controverso: meglio eultimo o ed ultimo, e anche o ed anche, a ogni o ad ogni? Di solito alle elementari si insegna il rispetto della regola dibase, quindi sempre ed e ad dinanzi a vocale.

Alcuni grammatici moderni, invece, suggerisconodi usare la d eufonica solo quando si incontrano vocali ugua-li, per ottenere la massima semplificazione. Si dovrebbe esse-re d’accordo con loro: il suono duro della consonante denta-le, introdotta a forza là dove non appare necessario, togliearmonia al fluire del discorso. Del resto già il Manzoni, nellarevisione del suo romanzo, si preoccupò di togliere la mag-gior parte delle d eufoniche esistenti nel testo primitivo.

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�Come prenderele preposizioni

per il verso giusto

L’USO A VOLTE SCORRETTODI ALCUNE PREPOSIZIONI

Soltanto errori veniali, d’accordo, ma basta pocoper scegliere la forma giusta, quella più vicina alle miglio-ri tradizioni della nostra lingua, evitando le forme chehanno subìto l’influenza di altri idiomi, soprattutto diquello francese.

Insieme con è la forma più corretta, di classica deriva-zione latina, che usava una cum per indicare unione.Insieme a è invece espressione meno appropriata.

Pasta col burro è il termine esatto che indica il condi-mento aggiunto alla pasta, mentre pasta al burro non haun significato grammaticalmente giustificabile.

Biglietto di visita dovrebbe essere usato in luogo di bigliet-to da visita, in quanto il suo utilizzo è di presentazione,mentre la preposizione da indicherebbe un fine, unoscopo inesistente.

Macchina per scrivere e macchina per cucire, dove la pre-posizione per indica giustamente lo scopo per cui lamacchina viene utilizzata, dovrebbero sostituire le piùcomuni ma meno corrette diciture: macchina da cuciree macchina da scrivere.

Per esempio è forma molto migliore di a, ad esempio.Nel primo caso la preposizione per chiarisce lo scopoper cui si cita un esempio, mentre la preposizione a èpriva di giustificazione.

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Si vedano gli esempi: con dei, per delle, a degli, dove dei, delle,degli significano alcuni, alcune. Allora è meglio usare gliaggettivi indefiniti, senz’altro più corretti.

Quindi si eviterà di dire o scrivere, per esempio:Sono uscito con degli amici.Più appropriato e preciso: Sono uscito con alcuni amici.

Da evitare anche l’accostamento delle preposizioni “pro-prie” più volte citate (di, a, da, in, con, su, per, tra, fra)con altre “improprie” (davanti, dietro, contro, ecc.).

Esempio

Una borsa con dentro un fascicolo → espressione popolareUna borsa contenente un fascicolo → più corretto

Associazione per delinquere è la sola forma corretta. Ancorauna volta il fine è indicato dalla preposizione sempliceper, mentre associazione a delinquere non è altro che la tra-sposizione pedissequa in Italiano dell’uso francese.

Per indicare il materiale con cui un oggetto è fabbrica-to si dovrebbe sempre usare la preposizione di e non lapreposizione in, il cui significato è ben diverso. Quindiscultura di marmo e non in marmo, giacca di lana e non inlana, borsetta di pelle e non in pelle, ecc.

Il moto da luogo richiede la preposizione da.Attenzione quindi: Me ne vado di Milano, è uscito di qui,ecc. sono forme scorrette.

Un caso particolare è rappresentato dalla preposizioneimpropria fuori, che esige di essere accompagnata dallapreposizione semplice da quando indica uscita, movi-mento (esempio: lo hanno buttato fuori dall’uscio), masi costruisce con la preposizione di negli altri casi: fuoridi senno, fuori di metafora, ecc. Difficile? No: basta soloun po’ di attenzione.

Si ricordi che mentre quasi tutte le preposizioniproprie possono diventare articolate unendosi a ogni articolodeterminativo, per, tra e fra, gelose della propria indipen-denza, rifiutano il connubio; quindi tra le, per i, fra gli, ecc.

Infine la preposizione con si può accoppiare soltan-to con il e con i, nel quale caso perde la n (coi, col).

Negli altri casi si dirà e si scriverà: con lo in luogo dicollo, con la in luogo di colla, con gli in luogo di cogli.

UNIONE DI DUE PREPOSIZIONI:MEGLIO SAREBBE EVITARE

Non si tratta di veri e propri errori, ma di stonatu-re. Si fa qui riferimento al consiglio di astenersi dall’accosta-mento di due preposizioni, salvo casi particolari tra cui quel-li già citati in precedenza (fuori da, ecc.).

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Salviamo il mondodal cerchiobottismo

I NEOLOGISMI

Abbiamo detto all’inizio che la lingua è viva, poi-ché si arricchisce continuamente di termini e di espressioniprodotte dal desiderio di rinnovamento, dall’evoluzionedelle tecnologie, dalla necessità di definire in forma concisauna gamma di situazioni nuove, o inusuali fino a qualchetempo prima.

Mai come negli ultimi anni questo fenomeno si èfatto intenso e pressante, accettabile quando non dipendedall’estro di persone ansiose soltanto di essere originali ecreative.

L’ultimo termine, tipico della pubblicità, ci porta aricordare che molto spesso è il linguaggio pubblicitario a for-nirci vocaboli nuovi; agli ideatori non interessa tuttavia lacorrettezza del neologismo: essi tendono soprattutto a colpi-re l’immaginazione, a farlo ricordare insieme col nome delprodotto sul quale intendono richiamare l’interesse. Ormaisono passati i tempi in cui erano gli artisti o i letterati cheinventavano parole nuove, nelle quali trasferivano il loroestro imaginifico.

Oggi non c’è più D’Annunzio, né altri geniali crea-tori di ideazioni linguistiche, perciò ci sentiamo bombardatida locuzioni orrende in cui anche i politici si stanno specializ-zando, alla ricerca di un’originalità che dovrebbe farli ricorda-re, secondo loro, agli elettori. Basti citare cerchiobottismo o rei-stituzionalizzazione, una delle tante –creature– del nuovo lessi-co giornalistico-parlamentare, che senz’altro rimandiamo almittente. Mentre il primo vocabolo è già entrato in un auto-revolissimo dizionario (vedi oltre), il secondo non ha ancorafatto la sua comparsa ufficiale. Speriamo che svanisca nelnulla da cui è venuto prima di essere legittimato.

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Dal Vocabolario della lingua italiana di Nicola Zingarelli, Zanichelli, Bologna, 2004

Cerchiobottismo [comp. col suff. cerchio e botte,sostantivo tratto dalla loc. dare un colpo al cerchio euno alla botte;1996 ] s.m. • Nel linguaggio giornali-stico atteggiamento di chi rivolge contemporanea-mente apprezzamenti e critiche sia a una parte che aun’altra in contrasto con la prima.

Cerchiobottista [1996] A s. m. e f. (pl. m. -i) • Chidà prova di cerchiobottismo. B anche agg.: commen-tatore cerchiobottista.

Non lasciamoci sedurre da uno –stupidario–(voce nuova efficace nella sua concisione) che con la lin-gua di Dante non ha nulla in comune, accettando soltantoi neologismi prodotti da quanto la tecnica e la scienza o lenuove esigenze della vita moderna hanno creato.

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L’Italiano è wonderful

I VOCABOLI STRANIERI:INTRUSIONI A VOLTE ILLEGITTIME

Esistono vocaboli di origine straniera, soprattuttoinglese, che fanno parte ormai della nostra lingua, apprezza-ti per l’efficacia e l’immediatezza; tra questi, numerosi termi-ni sportivi o tecnici, alcuni dei quali di recente introduzio-ne (web, software, ecc.).

Si ricordi che al plurale i vocaboli stranieri, appun-to perché ormai italianizzati, rifiutano la forma caratteristicadella lingua di origine: non films, goals, ecc., quindi, ma èsufficiente il cambiamento dell’articolo per indicare ilnumero.

Sembra opportuno segnalare a questo proposito larecente invasione, sia pure pacifica, di voci straniere entra-te nella nostra lingua senza reale necessità, in sostituzione diparole italiane perfettamente corrispondenti al significatoche devono esprimere. La ragione non è chiara: snobismo,esibizionismo, esterofilia?

Senza arrivare agli eccessi del nazionalismo france-se, che si spinge a rifiutare l’inglese “computer”, sostituen-dolo con “ordinateur”, ci permettiamo sommessamente disuggerire ove possibile la preferenza per “la lingua dove il belsì suona”, anche perché l’utilizzo eccessivo dei termini stra-nieri non nobilita affatto il linguaggio, come qualcunopotrebbe credere, ma è soltanto indice di cattivo gusto.

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Dulcis in fundo

Giunti al termine di questa breve trattazione, cicongediamo dai lettori parafrasando la formula in uso nellaCommedia dell’Arte del passato: porgiamo molte scuse perla schematicità delle informazioni, eppure ci auguriamo chele molte, purtroppo necessarie lacune rappresentino uno sti-molo ad approfondire e ad ampliare gli argomenti per pro-prio conto, attraverso la consultazione di un testo di gram-matica ben più ampio poiché la lingua italiana, la più dolce,armoniosa ed espressiva del mondo, lo merita veramente.

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Appendice

MOSTRICIATTOLI QUOTIDIANI

È questa la parte divertente del manuale, poiché èpiacevole ridere degli errori che sembrano sempre “degli altri”.Eppure, in seguito a un opportuno esame di coscienza, si sco-prirebbe che qualche volta anche noi.. Allora si faccia unproponimento: si dedichi un minuto alla consultazione di unvocabolario per scoprire la grafia esatta di ogni termine chesuscita perplessità, e si dubiti, sempre, ogni volta che ci sitrova dinanzi a una parola su cui non si possiedono certezze.

Aggiunta o raddoppiamento arbitrario• Dinnanzi: errato. Il vocabolo corretto è dinanzi, costi-

tuito da di+nanzi, mentre va bene innanzi, costituito dain+nanzi.

• Aereoporto, aereoplano, ecc.: errati. Sono corretti aero-porto, aeroplano, ecc., dove il prefisso aero deriva dalnome latino aer = aria e non da aereo.

• Obbiettivo e obbiettivamente: errati. Sono corretti con unasola b. Anche in questo caso si dovrebbe fare riferimentoall’originario obiectivus, Latino medievale, derivato dalLatino classico obiectum, dove il raddoppiamento non esi-ste; del resto non si può nemmeno accusare la più voltedeprecata, acritica dipendenza dalla lingua francese, chemantiene la singola b latina. Eppure qualche dizionariomoderno pone il termine con la b raddoppiata tra paren-tesi accanto a quello corretto, accettandolo come varian-te, senza nemmeno accennare a un uso diventato ormaicomune. Uno scrittore o un giornalista famoso ha sbaglia-to un giorno la grafia, e come il pifferaio di Hamelin dellacelebre fiaba ha trascinato con sé una folta schiera di imi-tatori, fiduciosi nella sua autorevolezza: è nata così la legit-timazione acritica, che tuttavia è priva di fondamento.

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Confusione bizzarra di ruoli • Dal “Giornale di Sicilia” dell’agosto 2003 un titolo

inquietante: “Boss malavitoso ucciso dal barbiere”. La pre-posizione articolata colpevolizza, trasformandolo inassassino, il povero barbitonsore del tutto innocente, ecerto terrorizzato per il fatto di sangue avvenuto nel suonegozio; sarebbe bastato qualche carattere di stampa inpiù per chiarire la vicenda. Tuttavia si sa: la necessità diconcisione non sempre è buona consigliera.

Divisione arbitraria• Tutt’ora: errato. È corretto tuttora.

Errore nello spostamento dell’accento tonico: difetto nellapronuncia• Rùbrica: errato. È corretto rubrìca, poiché conserva l’ac-

cento della parola latina da cui deriva. Lo stesso dicasiper édile, (corretto: edìle), sàlubre (corretto: salùbre),mòllica (corretto: mollìca), zàffiro (corretto: zaffìro),antesìgnano (corretto: antesignàno), incàvo (corretto:ìncavo), guàina (corretto: guaìna), ecc. I precedenti sonouna parte degli errori di pronuncia diffusi specialmentenel Settentrione. L’unica salvaguardia consiste nellaconsultazione del vocabolario.

• Nocciòlo è la pianta che produce nocciòle, mentre ilseme legnoso che si trova all’interno di alcuni frutti è ilnòcciolo.

• Cògnac: errato. È corretto cognàc. Essendo termine fran-cese lo si deve pronunciare come richiesto dalla linguadi origine.

Errore nell’inserimento arbitrario dell’accento tonico:difetto nella scrittura• Menù: errato. Si deve scrivere senza accento, adeguan-

dosi al termine francese da cui deriva, che appunto lorifiuta. Peccato che quell’inutile segno grafico si trovitroppo spesso su libri e giornali, in liste delle vivande e

• Grattuggiare: errato. È corretto grattugiare, da grattugia,senza alcuna giustificazione del raddoppiamento della g.

• Affezzionato: errato. È corretto affezionato, poiché lazeta non si raddoppia nelle sillabe zio e zia (vedi peresempio equinozio e non equinozzio, spaziale e non spaz-ziale, ecc.).

Annunci economici con difetto• Nelle inserzioni commerciali e nei cartelli riguardanti

offerte di locazione si legge spesso: Affittasi appartamen-ti: errato. Se il soggetto è plurale anche il verbo dovràesserlo, perciò: Affittansi o si affittano.

• Vendesi mobili usati : errato. È corretto vendonsi o si ven-dono.

Antiquata formula, segno di cattivo gusto• La mia signora: errato. È corretto mia moglie. Un marito

che usa in pubblico il termine signora riferito allamoglie, nome di perfetta trasposizione dal vocabolo lati-no mulier, il quale già di per sé esprime massimo rispet-to, non dimostra come egli crede particolare deferenzaverso di lei, ma solo affettazione e snobismo (dal Latinosine nobilitate, che chiarisce alla lettera l’educazione dichi si esprime così). Un estraneo potrà invece utilizza-re il termine, quando non si trova in condizione di con-fidenza, sia nella corrispondenza che nei convenevoli,evitando possibilmente il possessivo: la sua signora indi-ca forse ironicamente che si tratta della sua padrona, omeglio di colei che in casa porta i pantaloni, come si usadire con una caratteristica espressione popolare?

Confusione di verbi• Imparare e insegnare non sono intercambiabili: il primo

rappresenta l’azione di colui che apprende, il secondodi colui che dispensa nozioni. È quindi errato dire oscrivere, come spesso accade nel Sud: mi impara ilFrancese. La forma corretta è invece: mi insegna..

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nome proprio di un personaggio teatrale. Si dirà e siscriverà perciò: Maria è il sosia della Gioconda diLeonardo, e non la sosia.

• La tomaia: errato. Il termine, indicante la parte superio-re della scarpa, appartiene al genere maschile, quindi laforma corretta è il tomaio, mentre al plurale diventafemminile: le tomaia. Spiace che pur autorevoli dizio-nari moderni accettino il singolare femminile, definen-dolo la forma più diffusa, il che non dovrebbe rappre-sentare una giustificazione valida.

• Ecco un altro curioso cambiamento di genere, in questocaso dal femminile al maschile, che molti uomini attri-buiscono alle automobili prodotte da una nota aziendatedesca. Queste vetture subiscono spesso nel linguaggiocomune una mascolinizzazione che pare voler metterein rilievo le doti di potenza e grinta, ma anche di pre-stigio di quelle auto, quasi un tentativo di orgogliosaidentificazione tra il possessore e la vettura.

• Prima di concludere l’argomento, vale la pena di ricor-dare l’incerta attribuzione del vino Barbera, per alcunimaschile e per altri femminile. Perfino i dizionari piùprestigiosi non sono d’accordo: chi lo ritiene un vino–coi baffi–, chi una nobile signora dal carattere robustoe imperioso. Che fare? In Piemonte è senz’altro femmi-nile, e poiché in questa regione la Barbera è uno dei vinipiù tipici, dovremmo seguire l’uso locale, così comefanno molti esperti: a ciascuno comunque la sua scelta.

Inutile sovrappiù• Ma però: errato. Sono corretti o l’uno, o l’altro.

Abbiamo già fatto cenno a questo pleonasmo a pag. 50.• Mentre invece: errato. Come sopra, si usino soltanto o

l’uno, o l’altro, in quanto entrambi gli avverbi possie-dono la stessa funzione avversativa.

perfino in insegne luminose di ristoranti nostrani, pro-ducendo perplessità negli eventuali avventori stranieri.

Errore nella pronuncia della e aperta o chiusa• La pésca indica l’azione di pescare, il frutto richiede la è

aperta.• Sono numerosissimi i vocaboli italiani pronunciati

erroneamente per quanto riguarda il suono delle e,nonché delle o. La soluzione? Il ricorso al vocabolario oun lungo soggiorno didattico a Siena, dove la linguasgorga spontaneamente purissima dalla bocca dei loca-li, per farsi l’orecchio.

Errore nell’utilizzo del plurale dei nomi sovrabbondanti(quelli cioè che al plurale possono cambiare genere, consignificati diversi): • “I nemici avevano circondato i muri della città”: errato.

È corretto le mura, poiché i muri sono quelli di un edi-ficio.

• “Fu necessario suturare le labbra della ferita”: errato. Ècorretto i labbri, mentre le labbra appartengono agliesseri umani.

• “Dalla strada salivano i gridi della folla”: errato. È cor-retto le grida, essendo il termine riferito a esseri umani,mentre i gridi è usato per gli animali.

• “Per la febbre sentiva tutti gli ossi rotti”: errato. È cor-retto le ossa, quando si intende l’insieme. Gli ossi si usaper una parte del tutto. Esempio: “gli ossi del piede”.

Impropria femminilizzazione di termini• La soprano, la contralto: errato. È corretto il soprano, il

contralto, poiché il termine fa riferimento al –registro–sia della voce, che può appartenere anche a un uomo,che di certi strumenti (sassofono soprano, ecc.). Plurale:i soprani, i contralti. In questo, come in altri casi già cita-ti, saranno il nome e il cognome che determineranno ilsesso. Anche sosia è maschile, essendo derivato dal

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comunque è più difficile che lo stesso sbaglio appaianella forma scritta.

Sostituzione di consonante• Pultroppo: errato. È corretto purtroppo, ma questo è un

errore che si spera sia solo verbale, sentito spesso dallabocca di presentatori di telegiornali e di spettacoli tele-visivi.

Unioni arbitrarie• Peraltro: errato. È corretto per altro. • Tuttaltro: errato. È corretto tutt’altro.• Tuttalpiù, perlopiù: errati. Sono corretti tutt’al più, per

lo più.• Presempio: errato. È corretto per esempio.

Uso errato dell’avverbio più• Unito a un nome comune con idea accrescitiva:

“Vorrei più trasparenza”: errato. È corretto maggiore tra-sparenza. Infatti “più” con funzione accrescitiva si uti-lizza solo con gli aggettivi o con gli avverbi. Esempi: piùdolce e più velocemente (comparativi di maggioranza), ilpiù dolce (superlativo relativo).

Vocaboli e termini insidiosi • Album, ormai utilizzato per indicare anche un solo

disco contenente vari brani musicali, di solito di unostesso autore: errato. L’album è una custodia a libro incui si ripone una collezione di dischi, di foto o di altro.

• All’incontrario: errato, è forma trasandata, propria dellinguaggio familiare. L’espressione giusta è: al contrario.

• Cosa fai? Tollerabile nel linguaggio parlato popolare,ma improprio nella forma scritta, dove occorre ante-porre al nome cosa l’aggettivo interrogativo che. Si diràe si scriverà quindi correttamente: “Che cosa fai?” oppu-re: “Che fai?” passando dall’aggettivo al pronome inter-rogativo, col nome cosa sottinteso.

Mancanza di una lettera• Sopratutto: errato. È corretto soprattutto. • Allo stesso modo: soprammobile, sopracciglio, sopraddetto,

sopraffare, sopraffino, ecc. Sopra e sovra infatti, in unio-ne con vocaboli inizianti per consonante (tranne simpura, x, z, gn) di cui costituiscono il prefisso, richie-dono il raddoppiamento della consonante stessa.

Ore e loro suddivisione • Per indicare il numero di minuti successivi all’ora, si

possono usare sia i numerali cardinali che le frazioni,quando si tratta di multipli di 15 minuti: dodici e unquarto, dodici e tre quarti. Tuttavia, per indicare trentaminuti, alcuni passano stranamente a dodici e mezza,sottintendendo mezza ora. In realtà la locuzione esatta è(un) mezzo, quindi per coerenza si dovrebbe dire e scri-vere dodici e mezzo, che mantiene l’uso della frazione.

Plurale fuori luogo• Seni: scorretto. Il singolare seno comprende già entram-

be le mammelle, mentre il plurale non è altro che ilsolito francesismo. Anche in questo caso non mancanocomunque esempi illustri di scrittori che hanno eluso laregola.

Scambio di desinenze di verbi • Nella prima e seconda persona plurale dell’imperfetto

indicativo dei verbi della prima coniugazione (infinitoare) e della seconda (infinito ere), accade a volte diudire un curioso scambio di desinenze. Capita così chequalcuno dica parlevamo, portevate, ecc., oppure vedava-mo, perdavate, ecc., dimenticando che i verbi regolaridella prima coniugazione quali sono parlare, portare,ecc.mantengono nelle desinenze la vocale a, mentre quellidella seconda coniugazione quali sono vedere, perdere,ecc. vogliono la vocale e. Basta solo un po’ di attenzio-ne per controllare il proprio modo di esprimersi;

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comportano i seguenti vocaboli: usciere, coscienza ederivati. In tutti gli altri casi il gruppo sce rifiuta l’ag-giunta della i, quindi si scriverà scellerato, scena, scemo,cosce, ecc.

• The (bevanda): errato. È corretto tè, vocabolo ingleseche scritto con l’h centrale diventerebbe l’articolodeterminativo.

• Zabaglione: errato. È corretto zabaione, dall’illiricosabaia.

Per concludere, si noti che i dizionari moderniaccettano troppo spesso le espressioni dialettali, definendo-le “le più diffuse” e citandole accanto a quelle corrette.

Purtroppo però, da una concessione all’altra, si tro-veranno prima o poi ufficializzati errori comuni, mentre tuttiinsieme dovremmo difendere la nostra lingua dall’assaltoglobalizzante in atto, poiché anche in essa si identifica l’or-goglio nazionale, la nostra identità, la nostra storia, il nostropassato, un’eredità che dovremmo impegnarci a passareintatta a quanti verranno dopo di noi.

• I curriculum (plurale): errato. È corretto i curricula. Èvoce latina, e come tale conserva il plurale tipico dellalingua madre, con terminazione in a perché di genereneutro. Le altre numerose parole latine, passate inalte-rate nella lingua italiana, invece, restano di preferenzainvariate, e il loro plurale si riconosce dall’articolo.Esempio: il (o i) post scriptum, il (o i) referendum, l’(ogli) ultimatum, ecc.

• Anche gratis è un termine latino che ha subìto la con-trazione della doppia i originaria (da gratiis = per le libe-ralità). È dunque errore dire e scrivere a gratis.

• Numerose incertezze sta suscitando il vocabolo Euro,cui molti attribuiscono il plurale euri. Il Presidentedell’Accademia della Crusca ha dichiarato che si trattadi nome indeclinabile, il quale quindi resta invariato.Esempio: quella borsa è costata molti Euro.

• Poco a poco: errato. La forma corretta è a poco a poco,con la ripetizione della preposizione a dinanzi aentrambi i termini.

• Pulman: errato. È corretto pullman. Il nome deriva dal-l’americano George Pullmann, che creò carrozze ferro-viarie di lusso in cui non si avvertiva alcuno scotimen-to durante il percorso. In seguito la doppia n finale siridusse a una sola, ma la doppia l interna deve restare.E pensare che chi lo vede scritto correttamente puòimmaginare che si tratti di uno sbaglio..

• Salciccia: errato. È corretto salsiccia, dai vocaboli latinisal + insiccia, carne tagliuzzata. Il primo è termine dia-lettale da evitare.

• Succube è francesismo: più corretto l’italianosuccubo–succuba; plurale succubi–succube.

• Succo di arancio: errato. L’arancio è la pianta, incapacedi offrire succo. Si dirà quindi di arancia, essendo il frut-to di genere femminile, come del resto la maggioranzadei prodotti commestibili generati dagli alberi, mentrequelli orticoli sono soprattutto maschili (il pomodoro,il peperone, ecc.).

• Scenza: errato. È corretto scienza. Il gruppo sce solo inquesto caso e in pochi altri richiede la i, così come iderivati scienziato, scientifico, ecc. Allo stesso modo si

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Nota sull’autrice

Il testo è stato redatto dalla prof. ArmandaCapeder, già docente di Lettere in Istituti statali, da anniresponsabile a Milano di Corsi di scrittura creativa, orga-nizzati da un Ente a partecipazione comunale. Giornalistae scrittrice, da sempre studiosa di questioni linguistiche, hatratto questo manuale dalla sua esperienza didattica e dal-l’osservazione di tante lacune ortografiche e grammaticaliche purtroppo deprimono a vari livelli l’espressione orale escritta.

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