Lampedusa. Il Truman Show italiano

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MERCOLEDÌ 2 MARZO 2011 il manifesto pagina 15 Lampedusa Antonello Mangano O rmai è chiaro. In quei pochissi- mi chilometri quadrati in mez- zo al Mediterraneo si giocano partite importanti. I tunisini e gli eri- trei, gli abitanti dell’isola e gli uomini della capitaneria, i somali o i pescatori sono comparse, pedine di un gioco grande tra il governo italiano, i regimi africani, l’Unione Europea. Una roccia a pochi chilometri dall’Africa, a sud di Tunisi, è in grado di spostare valanghe di voti in base a una semplice ragiona- mento: c’è l’invasione e noi sappiamo fermarla. «Un gioco a palla tra Africa ed Europa», disse una volta un migrante africano a Gabriele Del Grande. «E la palla siamo noi». La sceneggiatura è elementare. La Le- ga dice: l’Africa ci invade. Gli italiani, an- che quelli di mente più aperta, finisco- no per impaurirsi. La Lega dice: ecco, abbiamo fermato l’invasione. Il gover- no Berlusconi acquista consensi, perso- naggi di infimo livello culturale e politi- co arrivano ai vertici delle istituzioni. Ri- prendono gli sbarchi? L’opposizione ri- mane confinata all’interno del copione: non siete stati capaci di fermare l’inva- sione. Così da anni, fino all’ultima pun- tata. La famosa invasione. Nell’anno di maggior afflusso – il 2008 - giunsero a Lampedusa circa 30.000 persone (l’equivalente di un paese). I dati di maggior «allarme» diffusi da Ministero dell’Interno parlavano di un 10% circa di migranti che arrivano sulle coste ita- liane. Arriva molta più gente a Fiumici- no o a Venezia, ma nessuno parla di in- vasione dal cielo o di assalto alla lagu- na. Eppure i cinesi in qualche modo ar- riveranno, e nessuno li ha mai visti a Lampedusa. E molti di coloro che giun- gono sulle nostre coste, non hanno nes- suna intenzione di fermarsi. Prosegui- ranno per gli altri paesi europei. In Ita- lia, invece, i rifugiati somali arrivano a tagliarsi i polpastrelli pur di lasciare i nostri confini, vittime di un complesso inghippo burocratico che li lega a una terra ostile dove non vengono accolti, ma sfruttati fino all’inverosimile. Anche la stessa idea degli «sbarchi» tende a confermare la sindrome dell’in- vasione. Nella maggior parte dei casi, si dovrebbe parlare di «soccorso in ma- re», un concetto differente che produ- ce un diverso immaginario. Nella real- tà, gli uomini della Finanza e della Capi- taneria pattugliano le acque dell’isola, e spesso hanno accompagnato in por- to i natanti. Non è un caso che nessuno arrivi a Pantelleria. I lampedusani la- mentano spesso che quell’isola rimane il «paradiso dei turisti», mentre la loro è stata scelta come un gigantesco «cen- tro immigrati». Una fotografia pubbli- cata da Repubblica.it mostra bene quel- lo che normalmente succede nella real- tà. Come vedete non somiglia per nien- te a uno sbarco o a un assalto alle coste (le coste «prese d’assalto» sono un altro orrendo luogo comune giornalistico). Persino le famose «carrette del ma- re» non sono spesso tali, ma pescherec- ci a volte in buono stato, visibili nel ci- mitero delle barche di Lampedusa e de- stinati a essere distrutti. E pure i famosi scafisti, o le temibili «mafie internazio- nali» che lucrano sui sogni degli im- mancabili «disperati» sono spariti col passare del tempo, anche se basta una debole traccia a farli evocare. Quasi sempre, negli ultimi anni, il rapporto è tra un pescatore o un intermediario che ti vende la barca. E buona fortuna. Ovviamente a Lampedusa arriva ed è arrivata tanta gente. Profughi politici e persone desiderose di migliore la pro- pria condizione. Ricongiungimenti di amori e affetti e persino questioni di sa- lute. Qualche volta, anche la semplice voglia di «vedere cosa c’è dall’altra par- te» e poi tornare indietro. Un desiderio che a vent’anni è più che normale, e che i giovani europei realizzano con l’Erasmus o la tessera ferroviaria dell’In- terRail. I ragazzi tunisini rischiando la pelle nel Mediterraneo. La vera guerra tra poveri. Quella dei giornalisti. Sono loro i principali artefi- ci del Truman Show. Spesso per igno- ranza, ed è un’aggravante. A volte per- ché le regole del loro gioco sono dure per tutti. «Le donne chiudono la porta a doppia mandata e gli uomini minac- ciano la rivolta». Lo riferisce l’inviato de La Stampa a Lampedusa, il 15 feb- braio. Nell’isola sono appena arrivate migliaia di persone, ma è completa- mente falso che ci sia aria di rivolta. Iso- lani e africani giocavano a calcetto. I tu- nisini manifestavano nelle vie del cen- tro, ma per ringraziare tutti: lampedu- sani, poliziotti, persino Maroni. Cosa succede agli operatori dell’informazio- ne? L’inviato arriva a Lampedusa. Guar- da in cagnesco i colleghi. Deve trovare la notizia, altrimenti la prossima volta mandano un altro. Ecco la vera guerra tra poveri, altro che migranti. Magari gonfia un fatto, inventa una dichiara- zione, deve trovare qualcosa che sia ap- petibile. Le tensioni interrazziali funzio- nano sempre, l’invasione degli affama- ti pure. Non funziona (almeno per l’im- maginario corrente) provare a spiega- re, tentare di capire. Le storie incredibili. E intanto lo show nasconde le storie vere. Quelle che non saranno mai notizie. Per esem- pio il migrante giunto anni fa in porto allo stremo delle forze, praticamente di- sidratato. Che però non accettò di man- giare o bere perché era periodo di Ra- madan e bisognava aspettare il tramon- to. O il caso del cittadino italiano che stava telefonando tranquillamente, in una cabina, all’inizio del 2009. La poli- zia lo scambia per un «clandestino» e inizia a bastonarlo. Oppure la vicenda del soccorso in mare che diventa «resistenza a pubbli- co ufficiale», sicuramente la più kafkia- na delle vicende dell’isola, ben viva nel- le menti dei sette pescatori tunisini as- solti per favoreggiamento dell’immigra- zione clandestina, ma condannati dal Tribunale di Agrigento perché erano entrati nelle acque territoriali italiani. Ovviamente per accompagnare in por- to dei migranti che avevano salvato. I loro pescherecci sono rimasti seque- strati per anni nei pressi del porto, fin- ché non sono diventati inservibili. Grazie ai social network e al turi- smo (ovviamente a una sola direzio- ne) capita pure che nascano storie d’amore, contrastate però da leggi pri- ve di umanità che non contemplano queste possibilità. Ed ecco che tra co- loro che sono sbarcati a Lampedusa c’è anche chi racconta di aver rischia- to di morire tra le onde per rivedere la fidanzata in Francia. Nessuno ha vo- glia di iniziare una procedura lunga anni che può anche concludersi con un rifiuto. C’è pure chi parte per curar- si. Come gli italiani del Sud preferisco- no farsi operare negli ospedali della Lombardia, così i tunisini guardano verso Nord per le questioni di salute. Ma anche questa eventualità non è prevista dalla legge. Anzi, queste sto- rie non hanno neppure diritto a esse- re narrate. Non saranno mai notizie da telegiornale. Arrivederci da Lampe- dusa, alla prossima puntata. Sicura- mente sarà una replica. Le carrette, i disperati, l’invasione.... TRUMAN SHOW TERRITORI Fulvio Vassallo Paleologo C ome si poteva prevedere, il sindaco di Mineo e il presidente della provin- cia di Catania hanno ceduto alle pressioni di Maroni e due giorni fa abbiamo avuto l’annuncio: il centro di Mineo, una struttura di palazzine già occupate da milita- ri americani della base di Sigonella, «acco- glierà» circa 2000 «richiedenti asilo». Al cen- tro dovrebbero essere quindi trasferite per- sone richiedenti asilo, ma senza alcuna ga- ranzia che una commissione territoriale sia appositamente istituita, come prevede la legge. Forse si pensa di dislocare periodica- mente in questa nuova struttura la Commis- sione territoriale di Siracusa, che però già in passato ha dimostrato di non essere in gra- do di fare fronte alle esigenze del Cara di Cal- tanissetta e alle esigenze di altre strutture della parte meridionale della Sicilia, come Cassibile, adesso chiuso dopo ripetuti scan- dali, e Pozzallo. Le notizie danno per certo che il centro sa- rà rivolto all’integrazione e dovrebbe diven- tare un «modello», una «città dell’accoglien- za», con interpreti, mediatori, associazioni,e con la gestione dominante della Croce Ros- sa, stando alle prime notizie. Quello che è certo è che il centro di accoglienza sarà «pro- tetto» da «un cordone di forze di polizia». Se fosse un vero centro di accoglienza non ci sarebbe bisogno di questo schieramento mi- litare. Quello che appare evidente è che il go- verno vuole sfruttare questa ennesima emer- genza creata sul territorio per trasformare il regime del trattamento dei richiedenti asilo, che in base alle direttive comunitarie ed al nostro ordinamento interno, non possono essere trattenuti in un centro chiuso, e quel- lo di Mineo sarà proprio un centro chiuso. Inoltre è alto il rischio che il governo de- porti da un centro all’altro, per tutta l’Italia, coloro che sono già in regime di accoglienza e che questo spezzi i legami di integrazione già costruiti ed abbatta le possibilità di pre- sentare ricorsi contro i dinieghi di status. Ri- mane sullo sfondo l’applicazione sommer- sa del reato di immigrazione clandestina: ad Agrigento per esempio, per quanti giungo- no dalla Tunisia, c’è la prassi della rimessio- ne in libertà dai Cie con l’intimazione a la- sciare entro 5 giorni il territorio nazionale, un invito alla clandestinità. Nessuno pensa ad applicare agli immigrati in fuga dal Ma- ghreb gli istituti della protezione sussidiaria e della protezione umanitaria, mentre rima- ne inapplicata la normativa sull’accoglienza dei profughi nel caso di afflussi di massa. Si stanno creando le condizioni di una nuova emergenza umanitaria, che non deriva sol- tanto dalle tragiche vicende del Maghreb, ma dal modo irresponsabile e improvvisato con il quale si sta gestendo la situazione de- gli arrivi, paventando anche il rischio di un ondata biblica, con devastanti conseguenze sul piano dell’informazione e dell’opinione pubblica. «L’avamposto dei disperati» dove sbarcano le carrette del mare. L’esodo biblico. L’incubo invasione. Nel corso degli anni Lampedusa è diventato un luogo dell’immaginario, anziché un posto reale. Raccontando i recenti arrivi, i media non hanno fatto altro che riproporre il solito vocabolario. Perché a Lampedusa non si racconta quello che succede realmente, ma un soggetto televisivo. Con effetti politici sempre efficaci A CHI GIOVA L’ALLARME IMMIGRATI IMMIGRATI A LAMPEDUSA/FOTO AP altra italia GOVERNO E IMMIGRATI Mineo, il business dell’accoglienza in gabbia

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Articolo su 'il manifesto' - 2 03 2011

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MERCOLEDÌ 2 MARZO 2011 il manifesto pagina 15

LampedusaAntonello Mangano

Ormai è chiaro. In quei pochissi-mi chilometri quadrati in mez-zo al Mediterraneo si giocano

partite importanti. I tunisini e gli eri-trei, gli abitanti dell’isola e gli uominidella capitaneria, i somali o i pescatorisono comparse, pedine di un giocogrande tra il governo italiano, i regimiafricani, l’Unione Europea. Una rocciaa pochi chilometri dall’Africa, a sud diTunisi, è in grado di spostare valanghedi voti in base a una semplice ragiona-mento: c’è l’invasione e noi sappiamofermarla. «Un gioco a palla tra Africa edEuropa», disse una volta un migranteafricano a Gabriele Del Grande. «E lapalla siamo noi».

La sceneggiatura è elementare. La Le-ga dice: l’Africa ci invade. Gli italiani, an-che quelli di mente più aperta, finisco-no per impaurirsi. La Lega dice: ecco,abbiamo fermato l’invasione. Il gover-no Berlusconi acquista consensi, perso-naggi di infimo livello culturale e politi-co arrivano ai vertici delle istituzioni. Ri-prendono gli sbarchi? L’opposizione ri-mane confinata all’interno del copione:non siete stati capaci di fermare l’inva-sione. Così da anni, fino all’ultima pun-tata.

La famosa invasione. Nell’anno dimaggior afflusso – il 2008 - giunsero aLampedusa circa 30.000 persone(l’equivalente di un paese). I dati dimaggior «allarme» diffusi da Ministerodell’Interno parlavano di un 10% circadi migranti che arrivano sulle coste ita-liane. Arriva molta più gente a Fiumici-no o a Venezia, ma nessuno parla di in-vasione dal cielo o di assalto alla lagu-na. Eppure i cinesi in qualche modo ar-riveranno, e nessuno li ha mai visti aLampedusa. E molti di coloro che giun-gono sulle nostre coste, non hanno nes-suna intenzione di fermarsi. Prosegui-ranno per gli altri paesi europei. In Ita-lia, invece, i rifugiati somali arrivano a

tagliarsi i polpastrelli pur di lasciare inostri confini, vittime di un complessoinghippo burocratico che li lega a unaterra ostile dove non vengono accolti,ma sfruttati fino all’inverosimile.

Anche la stessa idea degli «sbarchi»tende a confermare la sindrome dell’in-vasione. Nella maggior parte dei casi, sidovrebbe parlare di «soccorso in ma-re», un concetto differente che produ-ce un diverso immaginario. Nella real-tà, gli uomini della Finanza e della Capi-taneria pattugliano le acque dell’isola,e spesso hanno accompagnato in por-to i natanti. Non è un caso che nessunoarrivi a Pantelleria. I lampedusani la-mentano spesso che quell’isola rimaneil «paradiso dei turisti», mentre la loro èstata scelta come un gigantesco «cen-tro immigrati». Una fotografia pubbli-cata da Repubblica.it mostra bene quel-lo che normalmente succede nella real-tà. Come vedete non somiglia per nien-te a uno sbarco o a un assalto alle coste(le coste «prese d’assalto» sono un altroorrendo luogo comune giornalistico).

Persino le famose «carrette del ma-re» non sono spesso tali, ma pescherec-ci a volte in buono stato, visibili nel ci-mitero delle barche di Lampedusa e de-

stinati a essere distrutti. E pure i famosiscafisti, o le temibili «mafie internazio-nali» che lucrano sui sogni degli im-mancabili «disperati» sono spariti colpassare del tempo, anche se basta unadebole traccia a farli evocare. Quasisempre, negli ultimi anni, il rapporto ètra un pescatore o un intermediarioche ti vende la barca. E buona fortuna.

Ovviamente a Lampedusa arriva edè arrivata tanta gente. Profughi politicie persone desiderose di migliore la pro-pria condizione. Ricongiungimenti diamori e affetti e persino questioni di sa-lute. Qualche volta, anche la semplicevoglia di «vedere cosa c’è dall’altra par-te» e poi tornare indietro. Un desiderioche a vent’anni è più che normale, eche i giovani europei realizzano conl’Erasmus o la tessera ferroviaria dell’In-terRail. I ragazzi tunisini rischiando lapelle nel Mediterraneo.

La vera guerra tra poveri. Quella deigiornalisti. Sono loro i principali artefi-ci del Truman Show. Spesso per igno-ranza, ed è un’aggravante. A volte per-ché le regole del loro gioco sono dureper tutti. «Le donne chiudono la portaa doppia mandata e gli uomini minac-ciano la rivolta». Lo riferisce l’inviatode La Stampa a Lampedusa, il 15 feb-braio. Nell’isola sono appena arrivatemigliaia di persone, ma è completa-mente falso che ci sia aria di rivolta. Iso-lani e africani giocavano a calcetto. I tu-nisini manifestavano nelle vie del cen-tro, ma per ringraziare tutti: lampedu-sani, poliziotti, persino Maroni. Cosa

succede agli operatori dell’informazio-ne? L’inviato arriva a Lampedusa. Guar-da in cagnesco i colleghi. Deve trovarela notizia, altrimenti la prossima voltamandano un altro. Ecco la vera guerratra poveri, altro che migranti. Magarigonfia un fatto, inventa una dichiara-zione, deve trovare qualcosa che sia ap-petibile. Le tensioni interrazziali funzio-nano sempre, l’invasione degli affama-ti pure. Non funziona (almeno per l’im-maginario corrente) provare a spiega-re, tentare di capire.

Le storie incredibili. E intanto loshow nasconde le storie vere. Quelleche non saranno mai notizie. Per esem-pio il migrante giunto anni fa in portoallo stremo delle forze, praticamente di-sidratato. Che però non accettò di man-giare o bere perché era periodo di Ra-madan e bisognava aspettare il tramon-to. O il caso del cittadino italiano chestava telefonando tranquillamente, inuna cabina, all’inizio del 2009. La poli-zia lo scambia per un «clandestino» einizia a bastonarlo.

Oppure la vicenda del soccorso inmare che diventa «resistenza a pubbli-co ufficiale», sicuramente la più kafkia-na delle vicende dell’isola, ben viva nel-le menti dei sette pescatori tunisini as-solti per favoreggiamento dell’immigra-zione clandestina, ma condannati dalTribunale di Agrigento perché eranoentrati nelle acque territoriali italiani.Ovviamente per accompagnare in por-to dei migranti che avevano salvato. Iloro pescherecci sono rimasti seque-strati per anni nei pressi del porto, fin-ché non sono diventati inservibili.

Grazie ai social network e al turi-smo (ovviamente a una sola direzio-ne) capita pure che nascano storied’amore, contrastate però da leggi pri-ve di umanità che non contemplanoqueste possibilità. Ed ecco che tra co-loro che sono sbarcati a Lampedusac’è anche chi racconta di aver rischia-to di morire tra le onde per rivedere lafidanzata in Francia. Nessuno ha vo-glia di iniziare una procedura lungaanni che può anche concludersi conun rifiuto. C’è pure chi parte per curar-si. Come gli italiani del Sud preferisco-no farsi operare negli ospedali dellaLombardia, così i tunisini guardanoverso Nord per le questioni di salute.Ma anche questa eventualità non èprevista dalla legge. Anzi, queste sto-rie non hanno neppure diritto a esse-re narrate. Non saranno mai notizieda telegiornale. Arrivederci da Lampe-dusa, alla prossima puntata. Sicura-mente sarà una replica. Le carrette, idisperati, l’invasione....

TRUMAN SHOW

TERRITORI

Fulvio Vassallo Paleologo

Come si poteva prevedere, il sindacodi Mineo e il presidente della provin-cia di Catania hanno ceduto alle

pressioni di Maroni e due giorni fa abbiamoavuto l’annuncio: il centro di Mineo, unastruttura di palazzine già occupate da milita-ri americani della base di Sigonella, «acco-glierà» circa 2000 «richiedenti asilo». Al cen-tro dovrebbero essere quindi trasferite per-sone richiedenti asilo, ma senza alcuna ga-ranzia che una commissione territoriale siaappositamente istituita, come prevede lalegge. Forse si pensa di dislocare periodica-mente in questa nuova struttura la Commis-sione territoriale di Siracusa, che però già in

passato ha dimostrato di non essere in gra-do di fare fronte alle esigenze del Cara di Cal-tanissetta e alle esigenze di altre strutturedella parte meridionale della Sicilia, comeCassibile, adesso chiuso dopo ripetuti scan-dali, e Pozzallo.

Le notizie danno per certo che il centro sa-rà rivolto all’integrazione e dovrebbe diven-tare un «modello», una «città dell’accoglien-za», con interpreti, mediatori, associazioni,econ la gestione dominante della Croce Ros-sa, stando alle prime notizie. Quello che ècerto è che il centro di accoglienza sarà «pro-tetto» da «un cordone di forze di polizia». Sefosse un vero centro di accoglienza non cisarebbe bisogno di questo schieramento mi-litare. Quello che appare evidente è che il go-

verno vuole sfruttare questa ennesima emer-genza creata sul territorio per trasformare ilregime del trattamento dei richiedenti asilo,che in base alle direttive comunitarie ed alnostro ordinamento interno, non possonoessere trattenuti in un centro chiuso, e quel-lo di Mineo sarà proprio un centro chiuso.

Inoltre è alto il rischio che il governo de-porti da un centro all’altro, per tutta l’Italia,coloro che sono già in regime di accoglienzae che questo spezzi i legami di integrazionegià costruiti ed abbatta le possibilità di pre-sentare ricorsi contro i dinieghi di status. Ri-mane sullo sfondo l’applicazione sommer-sa del reato di immigrazione clandestina: adAgrigento per esempio, per quanti giungo-no dalla Tunisia, c’è la prassi della rimessio-

ne in libertà dai Cie con l’intimazione a la-sciare entro 5 giorni il territorio nazionale,un invito alla clandestinità. Nessuno pensaad applicare agli immigrati in fuga dal Ma-ghreb gli istituti della protezione sussidiariae della protezione umanitaria, mentre rima-ne inapplicata la normativa sull’accoglienzadei profughi nel caso di afflussi di massa. Sistanno creando le condizioni di una nuovaemergenza umanitaria, che non deriva sol-tanto dalle tragiche vicende del Maghreb,ma dal modo irresponsabile e improvvisatocon il quale si sta gestendo la situazione de-gli arrivi, paventando anche il rischio di unondata biblica, con devastanti conseguenzesul piano dell’informazione e dell’opinionepubblica.

«L’avamposto dei disperati»dove sbarcano le carrettedel mare. L’esodo biblico.L’incubo invasione.Nel corso degli anniLampedusa è diventatoun luogo dell’immaginario,anziché un posto reale.Raccontando i recenti arrivi,i media non hanno fatto altroche riproporre il solitovocabolario. Perchéa Lampedusa non siracconta quello che succederealmente, ma un soggettotelevisivo. Con effetti politicisempre efficaci

A CHI GIOVAL’ALLARMEIMMIGRATI

IMMIGRATI A LAMPEDUSA/FOTO AP altra italia

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Mineo, il business dell’accoglienza in gabbia