L’influsso dei fattori demografici sull’economia...
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L’influsso dei fattori demografici sull’economia italiana
Un’analisi empirica nel periodo 1951-2001
Gabriele Morettini,
28 Aprile 2005
Sommario
Il presente lavoro si propone di approfondire le relazioni tra crescita economica e dinamica
demografica, al centro di un intenso dibattito in letteratura. In particolare si cerca di
evidenziare il ruolo svolto dai fattori demografici nella crescita economica. L’interesse è
rivolto al caso italiano, in cui le regioni e province sono caratterizzate da ampi divari
economici e trend demografici divergenti. L’obiettivo è capire, tramite un’opportuna analisi
cross section, se i difformi sentieri di sviluppo percorsi nel dopoguerra sono in relazione con
situazioni demografiche quanto mai eterogenee. L’utilizzo di differenti banche dati e di vari
campioni, sia geografici che temporali, è funzionale al raggiungimento di risultati che possano
essere considerati robusti.
I risultati ottenuti confermano l’importanza dei fattori demografici, che rivestono (se studiati
opportunamente) un ruolo significativo nella determinazione della crescita economica, su cui
influiscono in varie forme e modi. I legami individuati non sono però fissi e immutabili ma
variano nel tempo e nello spazio. E’ dunque necessario prestare attenzione alle fonti e al
timing dei cambiamenti demografici, che vanno comunque inseriti in un contesto di
causazione cumulata, con feedback reciproci tra demografia ed economia. In questo modo è
possibile interpretare lo sviluppo economico italiano del secondo Dopoguerra nonché le forti
divergenze regionali che hanno segnato e tuttora caratterizzano l’economia del paese.
Parole Chiave: Crescita, Timing, Componenti e Struttura demografica, Robustezza.
Numeri di classificazione JEL: J10, J11, O40, O21, C82
1 Introduzione La ricerca delle relazioni tra fenomeni demografici e sviluppo è un tema classico della
riflessione economica. La necessità di capire se e in quale modo la popolazione influisce sulla
crescita economica (o viceversa) ha attraversato i secoli, alternando momenti di grande
fervore a fasi di allentamento degli studi. L’importanza di elementi economici nella
determinazione dei trend demografici è stata più volte enfatizzata ed è ormai considerata un
dato acquisito. Restano invece ancora dei dubbi riguardo la questione opposta, cioè sulla reale
capacità dei fattori demografici di influire sulla crescita economica.
Il dibattito si svolge tra chi si concentra sull’economia e tende a tralasciare le variabili
demografiche e chi invece ad esse assegna un ruolo primario, altamente significativo. I fautori
di questa seconda tesi devono poi approfondire la questione: si assiste quindi alla dicotomia
tra popolazionisti, che enfatizzano le potenzialità di sviluppo insite nella crescita demografica
(che allarga il mercato, assicura una maggior forza lavoro futura e costituisce un incentivo al
progresso tecnico) e neomaltusiani-ecologisti, che vedono nell’aumento di popolazione il
principale freno all’investimento e allo sviluppo economico (la crescita demografica riduce il
reddito pro capite, oltre a spingere gli investimenti verso scopi non immediatamente
produttivi come assistenza sociale e sanitaria).
Una risposta a questa controversia viene dalle verifiche empiriche, che si sono sviluppate
soprattutto a partire dagli anni ’60. Purtroppo questi lavori hanno seguito per almeno venti
anni un approccio standard che si focalizzava sulle relazioni tra due variabili, una economica
ed una demografica1. I risultati ottenuti sembravano avallare l’approccio cosiddetto
“neutralista” alla questione, dal momento che non emergeva alcuna relazione tra i tassi di
crescita della popolazione e del reddito pro capite: ”It is clear that there is little evidence of
any significant association, positive or negative, between the income and population growth
rates”2. Ciò smentiva i precedenti allarmi neomaltusiani e mostrava che era possibile avere
crescita economica anche in presenza di incrementi demografici: l’assenza di relazione era
una conferma della tesi che la popolazione non costituisce un freno allo sviluppo.
Da parte popolazionista si rifiutavano però i risultati raggiunti, considerati il frutto di una
metodologia errata e lacunosa, incentrata su variabili (ad esempio il tasso di crescita della
popolazione) troppo aggregate, incapaci di fornire risultati apprezzabili e permettere
l’individuazione delle relazioni sottostanti. Negli anni ’80 si cominciò ad avvertire l’esigenza
1 Solitamente le variabili utilizzate erano la crescita del reddito pro capite e della popolazione, ritenuti i
principali indicatori della dinamica demografica ed economica. 2 Easterlin (1967), pg.65.
di approfondire il quadro demografico3. Questa tendenza è proseguita con maggior vigore nel
decennio successivo, quando la ricerca di nuove variabili si è decisamente orientata verso una
scomposizione dei fattori della popolazione.
L’analisi si è inizialmente focalizzata4 sulle componenti della dinamica demografica (tasso di
natalità e tasso di mortalità) per poi passare ad approfondire5 il profilo temporale della
fertilità, in modo da individuare effetti contrastanti anche all’interno della stessa componente.
Negli anni ’90 si è affermato invece il filone di studi denominato “New Demography”6, che
poneva l’attenzione sulla struttura per età della popolazione, in considerazione della sua
diretta relazione con il mercato del lavoro e la sfera economica. Con l’età cambiano infatti
anche i contributi che un individuo fornisce alla società7: generalmente bambini e giovani
sono consumatori netti di risorse mentre gli adulti producono e risparmiano. Gli anziani non
hanno invece una connotazione ben definita anche se tendono, specialmente in età avanzata, a
divenire consumatori netti. La struttura demografica sembra quindi strettamente collegata alla
performance economica di un paese.
L’analisi empirica si è così mossa verso un maggior livello di scomposizione dell’originario
aggregato demografico: sono le componenti, influendo sulla struttura per età della
popolazione, ad agire sull’andamento della forza lavoro e sul rapporto di dipendenza, che
sono i canali più diretti tramite cui la popolazione ha effetti sull’economia. Ai tassi di crescita
della popolazione si sostituiscono quindi indicatori strutturali, che riescono a rappresentare
meglio la complessa dinamica demografica che caratterizza la realtà8.
Su questa linea si inserisce il presente articolo, che vuole evidenziare il ruolo svolto dai fattori
demografici nella crescita economica. L’interesse è rivolto al caso italiano, in cui regioni e
province sono caratterizzate da ampi divari economici e trend demografici divergenti9.
3 Vedi i lavori di Simon (1980) e Coale (1986). 4 Vedi ad esempio Blanchet (1988). 5 Barlow (1994). 6 A cui si possono ricondurre i lavori di Bloom e Freeman (BF, 1988), Kelley e Schmidt (KS 1995), Bloom e
Williamson (BW, 1998), Bloom e Canning (BC, 1999). 7 Bisogna comunque considerare che la dinamica demografica non è l’unica determinante per individuare la
forza lavoro, su cui influiscono significativamente anche fattori comportamentali. 8 Bloom e Williamson (BW, 1998) spiegano il cosiddetto “miracolo Asiatico” grazie ai cambiamenti che la
Transizione Demografica ha provocato sulla struttura della popolazione per età, considerata la principale
determinante della forza lavoro e della crescita economica.
9 Una critica spesso rivolta alle analisi cross country riguarda l’appropriatezza del campione, in alcuni casi
composto da elementi troppo eterogenei, che è riduttivo ricondurre ad un unico framework. In questo senso
l’Italia si pone come un caso ideale: presenta infatti una diversità regionale tale da consentire un’analisi
interessante ma non così eccessiva da portare a forzature. Le varie regioni presentano evidenti differenze
demografiche, economiche e sociali ma sono tutte inserite nello stesso contesto politico, monetario e
istituzionale.
L’obiettivo è capire, tramite un’opportuna analisi cross section, se i difformi sentieri percorsi
nel dopoguerra sono in relazione con situazioni demografiche quanto mai eterogenee.
L’attenzione accordata all’elemento demografico non sottintende comunque una negazione
della capacità dei fattori economici di influire sulle tendenze demografiche. Economia e
demografia vanno studiate in un contesto di mutua causazione: “demographic realities are
substantially determined by economic and social circumstances and institutions. But they also
influence those circumstance and institutions through a variety of potential channels….10
.”
Comunque, pur riconoscendone l’importanza, questa ricerca non si sofferma sull’importanza
dell’elemento economico nella determinazione dei trend demografici, che è già stata
ampiamente dibattuta in letteratura. Si preferisce invece, in accordo con l’obiettivo
dell’articolo, enfatizzare il ruolo dei fattori demografici sulla crescita economica: “The
objective of this paper is to explore the implications of demographic change for
macroeconomic performance”11
.
L’originalità del presente lavoro rispetto a studi simili (BW 1998, KS 1995) può essere
riassunta nei punti seguenti:
1. Il calcolo di risultati più robusti, ottenuto grazie all’utilizzo congiunto di vari dataset,
indicatori e campioni.
2. L’uso di un vasto set di indicatori demografici a volte inediti, come nel caso delle
componenti della mortalità e delle migrazioni. L’analisi delle componenti
demografiche e degli indici strutturali consente di studiare dettagliatamente i canali
attraverso cui avvengono i mutamenti.
3. Un ambito d’analisi (Italia) particolarmente interessante, sia per i forti mutamenti
demografici ed economici che hanno segnato il secondo dopoguerra sia per le notevoli
differenze regionali che la caratterizzano.
4. L’utilizzo di dati aggiornati al 2001 e molto dettagliati a livello geografico
(provinciale e regionale).
5. Una particolare attenzione al profilo temporale, che permette di evidenziare i
mutamenti nei meccanismi all’opera e di svolgere l’analisi all’interno di una
prospettiva storica, foriera di preziose informazioni aggiuntive e utile sostegno per le
regressioni empiriche.
10 BC (1999, pg.3). 11 BC (1999, pg.3).
2 La costruzione della banca dati La raccolta dei dati per l’Italia è stata un’opera lunga e complicata. Molte difficoltà sono state
superate utilizzando dati censuari, che hanno permesso di ottenere un ampio gruppo di
indicatori demografici per i differenti aggregati territoriali. Si hanno così serie sulla
dimensione e struttura della popolazione, divisa nelle tre classi di età 0-14, 15-64 e over 65,
caratterizzate da differenti livelli di attività e produttività umana12
. Dalle classi di età derivano
poi tutti gli indici di struttura come il rapporto di dipendenza, di anzianità, di vecchiaia e di
gioventù, la cui composizione è illustrata nella TAB.VAR1 in appendice. I censimenti
contengono informazioni anche sulla popolazione sopra i 75 anni che è forse la classe di età
più consona, in un periodo in cui la durata della vita si è allungata, ad indicare la parte di
popolazione che è effettivamente inabile o inattiva.13
E’ invece più problematica la raccolta di dati sulle componenti della popolazione, di fonte
anagrafica14
, per cui è necessario consultare un insieme di volumi, principalmente
pubblicazioni annuali dell’ISTAT15
o sommari riassuntivi16
. Ciò alimenta alcuni dubbi circa
l’accuratezza dei dati raccolti, in modo particolare per ciò che concerne la mortalità per età e
le migrazioni. Per ottenere i quozienti per età bisogna infatti avere il numero dei morti nelle
varie classi di età ed informazioni sulla popolazione per età, disponibili solo a cadenza
decennale in occasione dei censimenti17
.
Le migrazioni scontano invece i limiti di un fenomeno più difficile da rilevare rispetto a
quelli naturali18
e che è tra l’altro caratterizzato da variazioni abbastanza ampie e repentine,
12 La classe 15-64 comprende però anche tutte quelle persone che, pur in età da lavoro, non sono interessate a
trovare un’occupazione. Sarebbe quindi corretto rifarsi alla forza lavoro ricavata dalle indagini statistiche, che
presenta purtroppo dati distorti da incertezze nella fonte e nelle classificazioni adottate. 13 Molti over 65 esercitano attività produttive più o meno ufficiali. Gli over 75 sono invece generalmente meno
attivi, anche per la grande incidenza delle patologie croniche dopo quell’età. 14 Nel caso della mortalità è possibile scegliere tra anagrafe (mortalità dei residenti) e stato civile (mortalità dei
presenti). In questa sede si privilegia lo stato civile, che presenta serie più lunghe e complete (nel sistema
informativo italiano la classificazione delle morti si è basata principalmente sulla popolazione presente). Questo
approccio è tra l’altro più rispondente alla realtà: la mortalità riguarda le persone presenti, dal momento che è
legata ai fattori economici e climatici dell’ambito in cui si vive. Bisogna comunque ricordare che nel complesso
i dati non sono poi così diversi (nella gran parte dei casi le persone muoiono nella provincia di residenza). 15 “Annuario di statistiche demografiche”, “Popolazioni e movimento anagrafico dei comuni”, “Statistiche
demografiche” e, dal 1988, volumi specifici su nuzialità, nascite, decessi, movimento migratorio. 16 Vedi il “Sommario di statistiche demografiche” pubblicato nel 1987. 17 Sono state approntate alcune ricostruzioni della popolazione per età comprendenti anche gli anni intercensuari.
Purtroppo queste ricostruzioni, che si occupano di un periodo limitato (al massimo un ventennio), sono poco
precise (forti approssimazioni) ed eterogenee tra loro (notevoli differenze metodologiche). 18 Sono frequenti gli errori: persone non censite e reperite dopo la chiusura delle operazioni di censimento,
ricomparse dopo la cancellazione per irreperibilità, censite contemporaneamente in più comuni….
spesso a seguito del ciclo economico19
. Queste discrepanze possono comunque essere
considerate non significative in considerazione della particolare ottica di lungo periodo
assunta. L’adozione di tassi almeno ventennali permette quindi di considerare ininfluenti gli
errori o le anomalie20
(peraltro lievi) nei dati21
.
La raccolta dei dati economici è stata ancora più difficile, data la scarsa disponibilità di serie
regionali e provinciali del reddito o degli investimenti. Il problema è stato superato ricorrendo
ad alcuni dataset approntati da enti di ricerca come l’Istituto Tagliacarne o il CRENOS22
. In
particolare il CRENOS ha costruito due banche dati (una più lunga ma contenente solo il
reddito pro capite, un’altra limitata al periodo 1961-2001, ma che considera anche gli
investimenti fissi) per le regioni, mentre l’Istituto Tagliacarne ha fornito serie del reddito
provinciale a valori costanti. A partire da questi dataset sono stati calcolati i tassi di crescita
delle variabili economiche di interesse23
.
L’analisi si svolge su differenti campioni, costruiti secondo criteri geografici e temporali. Ciò
permette di ottenere una vasta mole di informazioni che aiutano nell’individuazione delle
tendenze del periodo. A livello geografico gli aggregati di riferimento sono regioni,
circoscrizioni24
e province25
, cui si aggiunge anche un’altra divisione (NEC, Nordovest e
Meridione) ritenuta molto appropriata in base alle caratteristiche economiche e demografiche
dell’Italia. Gli elementi presenti sono espressi nelle tabelle PROV0 e CIRC0 inserite in
appendice.
19 I picchi di variazione maggiori si raggiungono dopo un censimento, che è l’occasione per effettuare una
revisione dell’anagrafe, con un controllo quantitativo e qualitativo teso a regolarizzare gli errori, le omissioni e i
ritardi accumulati nel decennio. Il primo anno dopo il censimento è così caratterizzato da notevoli oscillazioni
nei valori che sono però imputabili più a imperfezioni nelle tecniche di rilevazione che a situazioni reali. Simili
inconvenienti non riguardano invece gli altri fenomeni demografici: le discrepanze tra censimento e anagrafe si
scaricano sulle migrazioni. 20 Ad esempio picchi di mortalità dovuti a particolari calamità, come il disastro del Vajont nel 1963, i terremoti
dell’Irpinia nel 1980 o del Friuli nel 1976. 21 “Measurement errors …can be important for the results only if they persist in substantial magnitude over
periods longer than ten years” (Barro, 1991, pg.420). 22 Centro per le Ricerche Economiche Nord - Sud. Informazioni sulle fonti e i metodi utilizzati nella costruzione
di queste banche dati sono presenti nel sito www.crenos.it. 23 I tassi di crescita si possono ottenere sia con il metodo di calcolo geometrico che con quello esponenziale, che
forniscono risultati molto simili. In questa sede si privilegia il tasso geometrico, che presenta una maggiore
aderenza con i tassi presenti in alcune pubblicazioni ISTAT (come il Sommario Statistico del 1987). 24 Il metodo più semplice e immediato per ottenere dati circoscrizionali consiste nel sommare i dati regionali
(dalle banche dati del CRENOS) o i dati provinciali (dalla banca dati dell’Istituto Tagliacarne) della stessa
circoscrizione. Ciò condurrebbe però a trattare con un campione di sei elementi, troppo ristretto per una buona
analisi cross country. Una soluzione migliore consiste nel creare dei campioni comprendenti le varie province
appartenenti a una circoscrizione. In questo modo si ottengono campioni più vasti e statisticamente trattabili: la
circoscrizione non presenta più un valore unico (somma dei dati provinciali), ma diviene un aggregato composto
da tutte le province ad essa appartenenti. 25 Si considerano le province esistenti al 1951, che consentono di avere una migliore omogeneità dei dati.
A questo primo livello di aggregazione si aggiunge anche un’articolata divisione temporale,
che si focalizza principalmente sul periodo compreso tra il 195126
e il 2001, anno dell’ultimo
censimento disponibile. L’analisi è forzatamente ristretta a questo lasso di tempo,
caratterizzato da una certa stabilità delle unità territoriali27
(in particolare fino al 1992, anno di
costituzione di 8 nuove province a fronte delle 3 nate nel periodo 1951-1992). E’ molto
interessante anche lo studio dei sottoperiodi, che permette una migliore comprensione delle
dinamiche in atto. In considerazione della particolare lunghezza dei fenomeni demografici28
è
comunque preferibile limitare lo studio al periodo 1951-2001 e ai sottoaggregati ventennali e
trentennali, tralasciando analisi decennali che possono essere inquinate da fenomeni ciclici e
congiunturali.
3 L’analisi empirica: metodo e specificazione Il metodo seguito è quello dell’analisi cross section, per cui bisogna scegliere una
specificazione adeguata. In questo caso si opta per un modello di convergenza che si basa
sulla relazione tra tasso di crescita e livello iniziale del reddito pro capite. Le funzioni stimate
sono lineari e le variabili inserite in modo additivo mentre il metodo di stima utilizzato è
quello dei minimi quadrati ordinari (OLS). La variabile dipendente in tutte le regressioni
effettuate è il tasso di crescita del reddito pro capite nel periodo di riferimento, che è un valido
indicatore dello standard di vita e un’utile misura dello sviluppo economico.
Per quel che concerne la scelta dei regressori si è cercato di costruire, seguendo la
metodologia delle cosiddette regressioni “alla Barro”, un framework il più possibile ampio e
completo, che contenga tutti i fattori generalmente riconosciuti come importanti per la crescita
economica. Un ruolo privilegiato spetta così al reddito all’inizio del periodo e agli
investimenti fissi29
(quando disponibili30
).
26 Per il dataset Crenos 60 l’analisi parte dal 1961, anno in cui si hanno i primi dati. 27 Prima del 1951 i censimenti erano imprecisi e contenevano poche serie, oltretutto distorte da continui
cambiamenti nella dimensione e numerosità delle province. Basti pensare che dal 1860 al 1935 si è passati da 34
a 92 province, mentre nei sessanta anni successivi sono state create solo 11 nuove province, di cui 8 nel 1992. 28 La natura strutturale dei fattori demografici fa sì che essi rifuggono da una lettura ciclica, mentre riescono a
manifestare appieno la loro influenza nel lungo periodo. 29 Sembra che la componente fissa degli investimenti sia la più importante, dato che le scorte non sono correlate
alla crescita economica ma vengono messe in atto per motivazioni strategiche o congiunturali. 30 Serie dell’investimento fisso sono disponibili solo per le regioni, mentre non esistono a livello provinciale.
Sono falliti anche i tentativi fatti per inserire una proxy come la potenza installata nei macchinari elettrici ad uso
industriale, i cui dati sono presenti nei censimenti dell’industria fino al 1981. Risultati deludenti si hanno anche
utilizzando i consumi industriali di energia elettrica (già utilizzati da Balloni nel 1995), per cui sono disponibili
serie più lunghe.
A questo solido nucleo31
si aggiungono di volta in volta le variabili demografiche
d’interesse32
, in modo da vedere quali sono le più significative e individuare i canali
preferenziali tramite cui la demografia influenza l’economia. La scelta dei regressori segue un
po’ il percorso logico seguito in letteratura. Così al nucleo iniziale si aggiunge il tasso di
crescita della popolazione (come nei modelli degli anni’70), che viene poi scissa nelle sue
componenti (natalità, mortalità e migrazioni), come è accaduto nella letteratura di fine ’80. Si
passa poi ad esaminare la struttura (elemento centrale degli studi degli anni ’90), per
terminare con un’analisi multicomponenti33
.
Una particolare attenzione è accordata al profilo temporale, dal momento che le relazioni
cambiano a seconda del periodo considerato: “population growth is not all good or all bad for
economic growth: it contains both elements, which can and….do change over time”34
. Ciò
consente di capire quali siano i meccanismi, i canali e le interazioni economico-demografiche
all’opera e come si siano evoluti nel corso del tempo (e nello spazio).
La riflessione considera però anche gli ultimi sviluppi metodologici, che hanno gettato
incertezza su gran parte dei risultati delle regressioni cross country35
. L’analisi è quindi
condotta con una costante attenzione alla robustezza delle relazioni: le variabili d’interesse
sono testate su un ampio numero di campioni (originati da differenti dataset, periodi
temporali, aggregazioni geografiche), nella speranza di trovare risultati comuni a
testimoniarne l’affidabilità.
31 L’inserimento di una variabile di capitale umano, di fonte censuaria, non ha prodotto risultati significativi e
quindi si è deciso di toglierla dalla lista dei regressori. 32 Per un elenco delle variabili utilizzate vedi la Tab.VAR1 in appendice. 33 Esiste comunque un’ampia gamma di ulteriori indicatori demografici che non vengono presi in considerazione
perchè non ritenuti utili per la presente ricerca (ad esempio la nuzialità), perchè hanno serie troppo corte (è il
caso della speranza di vita alla nascita), o perché forniscono dati lacunosi e poco accurati (la forza lavoro
disponibile, i tassi di attività e di disoccupazione). 34 Kelley e Schmidt (1995), pg.554 35 Le principali critiche (vedi Levine, 1992) rivolte alle regressioni cross country riguardano la fragilità dei
risultati ottenuti, molto sensibili a piccoli cambiamenti nel set informativo. In molti casi infatti la significatività
delle regressioni scompare al mutare di alcune condizioni. Ciò implica che i risultati non dipendono da relazioni
strutturali ma da fenomeni contingenti.
4 Risultati
4.1 Province e regioni
Componenti
L’analisi provinciale36
consta di un nucleo di riferimento limitato, in assenza degli
investimenti37
, al reddito iniziale. Questo, come si evince dalla terza riga della Tab. PROV1, è
significativo con l’atteso segno negativo, sintomo di convergenza.
Indicazioni ben diverse provengono invece dal tasso di crescita medio annuo della
popolazione che, come mostra la quarta riga della Tab.PROV1, non è rilevante in alcun caso
analizzato. La scarsa significatività del tasso di crescita della popolazione, nel solco della
miglior tradizione delle regressioni cross country, non deve essere il pretesto per trarre
affrettate ed erronee conclusioni, ma lo stimolo per approfondire la questione, tramite la
tecnica della scomposizione in indicatori più disaggregati proposta dalla “New
Demography”38
.
I risultati confermano la validità della procedura adottata: la natalità (riga 4 nella
Tab.PROV2), le migrazioni (riga 6 nella Tab.PROV2) e il saldo naturale (riga 7 nella
Tab.PROV2) registrano una diffusa significatività, accompagnata da un elevato R2. In
particolare la natalità39
mostra una buona capacità esplicativa40
, che si riverbera anche sul
saldo naturale (differenza tra tasso di natalità e tasso di mortalità), fortemente significativo. Le
relazioni presentano inoltre la connotazione attesa: fertilità e saldo naturale (segno negativo)
frenano la crescita economica, agevolata invece dal saldo migratorio (segno positivo). Merita
un cenno anche la significatività della fertilità ritardata41
, pur se con un coefficiente di segno
(negativo) opposto ai risultati di Barlow (1994). Questo è dovuto in parte agli effetti di
persistenza (la fertilità attuale è fortemente dipendente da quella del passato) e in parte alla
crescita della popolazione in età lavorativa, intimamente legata alla fertilità di 20 anni prima.
36 Per motivi di sintesi si è scelto di commentare solo i risultati del campione provinciale (a cui si riferiscono
tutte le tabelle presentate), molto più numeroso e più dettagliato a livello temporale. Le indicazioni raccolte e le
conclusioni raggiunte sono comunque valide anche per i vari dataset regionali, che presentano risultati molto
simili. Anche nel caso della banca dati CRENOS 1960, l’aggiunta di una nuova variabile (l’investimento, assente
negli altri casi), la diversa natura dei dati (ora regionali) e un differente campione temporale non sembrano
mutare di molto il quadro complessivo dei risultati. 37 L’investimento, quando presente (dataset CRENOS 1960) mostra una certa significatività, accompagnata
dall’atteso segno positivo. I risultati sono ancora migliori se non si considera la Basilicata, che presenta valori
dell’investimento anomali rispetto alle altre regioni. 38
Si potrebbe anche controllare la taglia o la densità della popolazione, ritenute importanti da vari autori (ad
esempio Simon, 1980), ma che nel caso in esame si caratterizzano per una spiccata assenza di significatività. 39 Come indicatore della natalità si usa il tasso netto di natalità medio annuo nel periodo di riferimento (Cbr). 40 Non è automatico interpretare l’indicatore R2 come sinonimo di capacità esplicativa della regressione.
Quest’indice permette comunque, nonostante tutti i suoi limiti, un primo sommario giudizio sulla bontà di
adattamento della regressione. 41 In questo caso si considera il tasso di natalità riferito a un periodo precedente. Il ritardo con cui influisce è di
20 anni circa: la natalità degli anni ’50 è ininfluente sul prodotto dei ’90, su cui invece incide la natalità dei ’70.
La differenza con Barlow è che questi due effetti non vanno in direzioni opposte, ma si
rafforzano vicendevolmente. Ciò contribuisce a connotare ancora più nettamente un’elevata
fertilità come un ostacolo allo sviluppo economico.
La mortalità42
invece (riga 5 nella Tab. PROV2) presenta oscillazioni di significatività e di
segno43
che alimentano seri dubbi sulla sua capacità esplicativa e danno anzi l’impressione di
una variabile fragile, fortemente dipendente dal set informativo proposto. Bisogna quindi, in
accordo con la strategia di scomposizione già applicata con il tasso di crescita della
popolazione, approfondire l’elemento mortalità per vedere se la sua scarsa significatività
derivi da una reale assenza di relazioni o dal particolare indicatore utilizzato, troppo aggregato
per cogliere appieno i fenomeni all’opera.
In effetti lo studio della mortalità per età mostra l’esistenza di situazioni variegate44
e
andamenti difformi. Sia la mortalità infantile (riga 8 in Tab.PROV2) che quella giovanile45
(riga 9 in Tab.PROV2) presentano una spiccata significatività in ogni periodo considerato. I
coefficienti hanno segno negativo: una riduzione della mortalità infantile implica un minor
spreco di risorse, che vengono destinate in maniera più intensa e selettiva a individui che
raggiungeranno l’età adulta, riuscendo a sfruttare il loro potenziale produttivo. La relazione è
comunque probabilmente soggetta a mutua causazione, in accordo con quanto sostenuto da
Preston (1980)46
.
Una risposta chiara (ad eccezione dell’ultimo periodo ’71-2001) viene anche dalla mortalità
della classe attiva, (riga 10 in Tab.PROV2) che è significativa anche se con un segno positivo
forse dovuto a causazione inversa. Una conferma in questo senso viene dall’inserimento di
una proxy sul grado di sviluppo, in questo caso il rapporto della popolazione impiegata in
agricoltura sul totale. Questa variabile, come si evince da una regressione ad hoc, è in stretta
relazione (con segno negativo) con la mortalità della popolazione in età attiva: nelle prime
fasi di un processo di sviluppo aumentano i morti in età adulta (si lavora di più e in ambienti
42 La variabile utilizzata è in questo caso il tasso netto di mortalità medio annuo nel periodo di riferimento (Cdr). 43 Presa a sé stante la mortalità ha un segno positivo, mentre se utilizzata insieme alla natalità acquista l’atteso
segno negativo. 44 Cambiamenti nella fertilità inizialmente riguardano solo le persone a zero anni, e se permanenti mutano la
struttura per età della popolazione. Cambiamenti nella mortalità interessano tutte le classi di età, e gli influssi
sulla struttura per età sono minori (a meno che non si concentri su una determinata classe di età). 45 La mortalità infantile riguarda tutte le morti dalla nascita al compimento del primo anno, mentre la mortalità
giovanile si riferisce alle morti prima dei 14 anni. E’ quindi strettamente legata alla mortalità infantile poiché la
maggior parte delle morti giovanili è concentrata all’interno del primo anno di vita. 46 Preston (1980) sottolinea come la maggior parte dei guadagni di mortalità sia dovuta a fattori extraeconomici.
Le variabili economiche esercitano significativi influssi solo su alcuni indicatori come la mortalità infantile.
meno salubri47
). Ciò è del resto confermato dai differenziali nei tassi di mortalità della classe
15-64, sensibilmente inferiori nelle aree meridionali, meno industrializzate.
Ben più deludenti i risultati per la mortalità delle classi anziane (over 65 e 75), che mostra una
ridotta significatività unita ad oscillazioni di segno (riga 11 e 12 in Tab.PROV2). I pochi
coefficienti rilevanti (limitati al primo ventennio e trentennio per gli over 65, all’ultimo
periodo per gli over 75) rimandano per lo più a una situazione di causazione inversa, in cui
elementi economici influenzano l’ambito demografico: è lo sviluppo che porta a una
riduzione dei tassi di mortalità degli over 75.
L’analisi delle componenti della mortalità consegna quindi un quadro confuso, con variabili
più o meno significative e segni contrastanti. La difficoltà nel rintracciare un senso compiuto
alla combinazione di diverse tendenze è alla radice della fragilità e della scarsa capacità
esplicativa dell’indice di mortalità totale48
.
Prima di chiudere il discorso sulle componenti è però necessario esaminare più
approfonditamente il fenomeno migratorio. Il saldo migratorio (la differenza tra immigrazioni
ed emigrazioni divisa per la popolazione media) è, come detto, in relazione significativa e
positiva con il reddito pro capite: solitamente emigrano giovani adulti49
, che portano la loro
forza lavoro in un’altra area, dove esercitano un benefico impatto sull’economia locale. I
movimenti migratori sono quindi, in accordo con quanto sostenuto dalla teoria economica, lo
strumento per riallocare il fattore lavoro, permettendo spostamenti da aree in cui c’è esubero
di popolazione a zone con carenza di manodopera. Questo effetto è amplificato in un contesto
come l’Italia, dove le migrazioni interne non sono sottoposte ad alcun tipo di restrizione e
registrano minori problemi di integrazione rispetto agli spostamenti dall’estero. Una conferma
in questo senso viene dall’indice di efficacia del fenomeno migratorio (riga 9 nella
Tab.PROV3), legato positivamente e in maniera significativa alla crescita del reddito pro
capite. Restano però dubbi sulla direzione della relazione, che sembra presentare una causalità
inversa, con elementi economici che determinano gli andamenti migratori.
Scendendo nel dettaglio si nota come il saldo si componga di due fenomeni antitetici e
collegati: emigrazioni ed immigrazioni. Utilizzando contemporaneamente come regressori
questi due elementi (colonna 6 nella Tab.PROV3) si ottengono risultati simili a quelli ricavati
47 Questo è un risultato comune ad altri lavori, come Steckel e Floud (1997). Da sottolineare come la mortalità
delle fasce più basse della popolazione attiva (15-30) non scende perché legata in gran parte ad incidenti stradali
che colpiscono fortemente questa classe, che di per sé registra pochi decessi per motivi di salute. 48 Questo è un risultato in disaccordo con alcune ricerche empiriche (Blanchet, 1988; KS, 1995) e vari modelli
teorici (Boucekkine 2001, Kalemli Ozcam 2000…) che hanno evidenziato l’importanza di una riduzione della
mortalità ai fini della crescita economica. 49 Le migrazioni sono generalmente autoselettive per età e genere: partono soprattutto giovani maschi, come
conferma Williamson (2004), pg.4. L’intero gruppo familiare si muove solo in circostanze eccezionali quali
carestie, guerre civili o tribali, che però non hanno interessato l’Italia nel periodo considerato.
dal saldo, con variabili significative e un buon R2. In questo caso si riesce anche ad
evidenziare la differente natura delle componenti, che presentano segni opposti e la
prevalenza di un elemento (le emigrazioni) sull’altro.
Se si limita l’analisi a una singola variabile migratoria emergono risultati significativi e
robusti per le emigrazioni interprovinciali (riga 4 in Tab.PROV 3) che presentano una
rilevanza persistente nel tempo. I coefficienti hanno il segno negativo che è logico attendersi
da un fenomeno che rappresenta una perdita netta di forza lavoro. La situazione muta
radicalmente se si considerano le emigrazioni totali (riga 5 nella Tab.PROV3), ottenute
sommando le emigrazioni intraprovinciali a quelle interprovinciali. In questo caso i
coefficienti non sono mai significativi, qualunque sia l’intervallo temporale considerato.
Dall’altro lato invece abbiamo la significatività (con coefficienti positivi) dei soli immigrati
totali (riga 7 nella Tab.PROV3) e non degli immigrati interprovinciali (riga 6 nella
Tab.PROV3), che mostrano un’assoluta assenza di qualsiasi legame con la crescita
economica.
Il fenomeno è di difficile interpretazione, tanto più se si considera che le migrazioni
intraprovinciali risultano invece significative (riga 8 nella Tab.PROV3) con segno positivo.
Questo poiché gli spostamenti intraprovinciali permettono alla popolazione di insediarsi nei
luoghi più produttivi della provincia, consentendo quindi una migliore allocazione delle
risorse umane.
Una spiegazione di quanto ottenuto si ottiene solo focalizzandosi sui cambiamenti che il
fenomeno migratorio comporta sulla forza lavoro provinciale. Nel valutare l’effetto
dell’emigrazione sull’economia locale bisogna riferirsi solo agli individui che portano le loro
abilità al di fuori della provincia, e che rappresentano quindi una perdita netta di forza lavoro.
Per quel che riguarda le immigrazioni, invece, rilevano tutti coloro che vanno a lavorare nelle
aree più produttive, sia che provengano da fuori provincia o da zone più disagiate della stessa.
Le immigrazioni interprovinciali rappresentano solo una parte, spesso nemmeno
maggioritaria, dell’afflusso di forza lavoro (quando c’è un polo industriale ci si sposta spesso
dai paesi del circondario). In questo modo si riesce a spiegare la differente significatività delle
variabili migratorie: nella forza lavoro provinciale vanno annoverati tutti gli immigrati,
provenienti sia dall’interno che dall’esterno della provincia, ma solo gli emigrati
infraprovinciali. E’ quindi necessario adottare un approccio differente nei due casi,
concentrandosi sulla variabile che realmente incide sul reddito provinciale: immigrazioni
totali ed emigrazioni interprovinciali.
L’analisi regionale presenta in questo caso risultati differenti, con l’elemento migratorio che
assume una minor importanza rispetto al caso provinciale, in particolare dagli anni ’70 in poi.
Bisogna però considerare il diverso peso specifico dei fenomeni oggetto d’indagine: le
migrazioni interregionali sono infatti molto più impegnative da preparare e mettere in pratica
rispetto agli spostamenti provinciali. A partire dagli anni ’70 si è quindi registrata una
sensibile diminuzione delle migrazioni interregionali, a fronte di un più contenuto il calo degli
spostamenti provinciali. Questa discrepanza è alla radice della differente capacità esplicativa
delle componenti migratorie nei campioni provinciali e regionali.
Struttura
Dopo aver esaminato le componenti demografiche si passa ad approfondire la struttura della
popolazione. L’attenzione è catturata dagli indicatori più usati in letteratura, in primis il
rapporto di dipendenza50
. Questa variabile, significativa con segno negativo, mostra tutta la
sua importanza51
, sottolineata (riga 4 nella Tab.PROV4) da una notevole capacità esplicativa
e dalla persistenza della significatività nel corso del tempo. Una conferma indiretta della
rilevanza del rapporto di dipendenza viene dall’utilizzo congiunto tra i regressori delle sue
due componenti, cioè il rapporto di gioventù e quello di anzianità52
, entrambe (colonna 7 nella
Tab.PROV4) significative con segno negativo. Gran parte dell’importanza del rapporto di
dipendenza va però attribuita alla componente giovanile, costantemente significativa (riga 5
nella Tab.PROV4) con segno negativo. Meno rilevante l’apporto fornito dall’indice di
anzianità (riga 6 nella Tab.PROV4), che mostra problemi di robustezza (oscillazioni nel segno
e nella significatività). Simili risultati lasciano molti dubbi sull’effettiva capacità esplicativa
di questo indice e testimonia delle difficoltà nell’attribuire agli over 65 una precisa
connotazione economica. Un’ulteriore conferma del ruolo centrale dei giovani nella rilevanza
degli indici di struttura viene dal rapporto di vecchiaia53
(riga 7 nella Tab.PROV4), che
mostra meglio di altre variabili l’importanza del rapporto tra giovani e anziani. La
significatività di questo indice evidenzia la necessità di non limitarsi a un sommario calcolo
della popolazione dipendente o attiva ma di approfondire la questione e vedere quale tra le
classi dipendenti è preponderante. La presenza di molti giovani implica un aumento dei
consumi e una diminuzione delle risorse destinate all’investimento, che sfocia in una
50L’indice di dipendenza è il rapporto tra parte dipendente e produttiva della popolazione, cioè (0-14 +
65+)/(15-64). 51 L’importanza di questo indicatore è stata già esaltata da alcuni studi: “Age structure is not the only influence
on economic growth, but certainly emerges as one of the most potent influences. Changes in the age distribution
of the population can have important economic effects” (BC, 1999, pg.3). 52 L’indice di gioventù è il rapporto tra la popolazione sotto i 14 anni e quella in età attiva, mentre l’indice di
anzianità è il rapporto tra la popolazione over 65 e quella in età attiva. La composizione di queste variabili è
comunque illustrata nella Tab. VAR1, in appendice. 53 Questo indice è il rapporto tra la componente over 65 e la parte giovanile della popolazione: (65+/0-14).
diminuzione della crescita economica. Gli anziani hanno invece una connotazione meno
definita dal momento che possono ancora rivestire un ruolo produttivo, fornendo ancora un
importante contributo economico, specialmente in termini di esperienza e capacità. Ciò spiega
il segno positivo del rapporto di vecchiaia: ai fini dello sviluppo è meglio avere
nell’immediato una maggiore proporzione di over 65 rispetto agli under 14.
Dopo questo primo screening, utile per l’individuazione degli elementi potenzialmente più
significativi, è possibile mettere insieme le diverse variabili in un’unica regressione. Si
possono, ad esempio, considerare congiuntamente il saldo naturale e quello migratorio.
Queste due componenti rappresentano modalità antitetiche e complementari di cambiamento
demografico, che nel caso in esame si rafforzano reciprocamente (entrambe significative e
con segno atteso)54
.
Direzione di causalità
Le relazioni individuate vanno comunque interpretate in un’ottica di causazione cumulata, in
cui anche l’elemento economico esercita un significativo influsso sulle dinamiche
demografiche. Si è quindi provveduto a un controllo dell’endogeneità potenziale, effettuato55
attraverso il confronto tra le stime OLS tradizionali, quelle ottenute con regressori
predeterminati (LAG) e le stime ricavate col metodo delle variabili strumentali (ILV).
Emerge una forte similitudine nel segno, nell’entità e nella significatività dei risultati per la
maggior parte delle variabili (compreso l’investimento, solitamente uno degli elementi a
maggior rischio di mutua causazione). Le divergenze si concentrano su elementi non molto
robusti come il tasso di crescita della popolazione, la mortalità per età e l’indice di anzianità.
Un caso a parte è rappresentato dalle migrazioni, che mostrano evidenti segni di mutua
causazione sia nel saldo che nelle singole componenti. Questi risultati trovano una conferma
nel test di Hausman, superato dalla gran parte delle variabili demografiche rilevanti eccetto le
migrazioni.
Profilo temporale
Per quel che concerne l’analisi temporale bisogna sottolineare come i risultati migliori si
ottengano con campioni trentennali, in particolare quello 1951-198156
. Il periodo 1971-2001
registra una generale riduzione della capacità esplicativa dei fenomeni demografici, che si
54 E’ invece difficile inserire nella stessa regressione componenti demografiche e indici di struttura, che
affrontano e analizzano la medesima situazione da angolazioni differenti. In questo caso è molto alto il rischio di
incorrere in errori statistici o problemi di collinearità. Questi inconvenienti si presentano anche nei tentativi di
mettere tra i regressori una componente demografica (o un indice strutturale) insieme al tasso di crescita della
popolazione. 55 Una trattazione dettagliata è presente in appendice. 56 I risultati ottenuti in questo periodo sono superiori a quelli del ventennio ’50-’60, rispetto ai quali presentano
una migliore bontà d’adattamento e un maggior numero di variabili significative.
accentua nell’ultimo ventennio (’81-2001), quando nelle regressioni non emergono variabili
demografiche significative. In questo periodo il sistema è molto più turbolento: il susseguirsi
di shocks57
, rivoluzioni tecnologiche, globalizzazione, cambiano il paradigma di riferimento,
in cui si assiste a un ridimensionamento dell’elemento demografico, molto importante nelle
fasi iniziali dello sviluppo.
Questa fase d’altronde non presenta più mutamenti strutturali significativi: la Transizione
Demografica è ormai esaurita58
e le migrazioni interregionali59
si sono sensibilmente ridotte.
La crescita economica si svincola progressivamente dalla dinamica demografica, mentre
acquista sempre maggiore importanza l’elemento comportamentale.
Per quel che riguarda il profilo temporale è opportuno arrestarsi qui: si potrebbe continuare ad
indagare anche sui decenni ma i risultati, oltre a non presentare sostanziali novità, diventano
un po’ meno robusti, parzialmente inquinati da fattori contingenti.
4.2 Circoscrizioni
I campioni regionali e provinciali esaminati in precedenza hanno fornito un quadro generale
della situazione italiana. In questa sezione si analizzano invece le circoscrizioni, che
permettono di evidenziare le differenze e le specificità locali, nella speranza di riuscire a
individuare delle spiegazioni per le grandi differenze che caratterizzano le diverse aree del
Paese. I risultati variano considerevolmente secondo il campione considerato.
Nel periodo di riferimento ’51-2001 il Nord Ovest (NW) si caratterizza per una scarsa valenza
esplicativa dei fattori demografici, imputabile soprattutto all’assenza di legami tipica
dell’ultimo periodo. Nel primo trentennio emerge una certa significatività delle componenti e
degli indici di struttura, che però subisce una graduale ma netta diminuzione con il passare del
tempo. Il ruolo dei fattori demografici subisce un ridimensionamento man mano che un’area
si sviluppa: i legami tra demografia ed economia diventano meno stringenti e comunque
segnati da una causalità inversa, dall’economia alla demografia. Questa tesi è confermata dal
tenore delle relazioni significative, che presentano segni invertiti rispetto al solito.
Su linee simili, anche se speculari, si pone il Sud. Anche in questo caso la maggior parte delle
variabili ha una significatività limitata a un ristretto lasso temporale. A differenza del NW
57 In passato l’effetto degli shocks veniva ridimensionato, sostenendo che nel lungo periodo conta la demografia.
Ma oggi gli shocks sono così numerosi e consistenti (sia per impatto che per durata) da influenzare anche il
lungo termine.
58 L’Italia è, dal punto di vista demografico, sempre più omogenea (mentre a livello economico le differenze si
acuiscono). Ciò conferma che la TD è giunta a compimento in tutte le aree italiane. 59 Le migrazioni dall’estero, sottoposte a vincoli più stringenti e alle prese con maggiori problemi di
integrazione, non hanno ancora avuto lo stesso impatto di quelle interne.
però il periodo rilevante è il secondo60
, in cui il fattore demografico esercita un rilevante
influsso sulla crescita economica. L’impatto è così forte da influenzare anche il cinquantennio
di riferimento, che registra così una grande rilevanza degli elementi demografici, in
particolare di tutte le variabili legate alle componenti giovanili della società (natalità,
mortalità infantile, indice di gioventù). La spiegazione, opposta al caso precedente, è legata al
timing dello sviluppo economico e demografico: componenti e struttura della popolazione non
acquistano importanza finché non ci si avvia su un sentiero di crescita economica e di
mutamenti demografici. Quindi, sia una società troppo sviluppata che una realtà
eccessivamente arretrata non lasciano spazio ad un ruolo economico attivo dei fattori
demografici. Questi acquisiscono importanza, come sostenuto da BW (1998), solo durante un
processo di transizione.
Una diffusa e permanente assenza di relazioni caratterizza invece le Isole, che probabilmente
scontano limiti interni al campione, troppo ristretto ed eterogeneo (Sardegna e Sicilia sono
realtà molto differenti, che hanno in comune solo l’insularità).
Nelle altre due circoscrizioni sembrano emergere aspetti e dinamiche radicalmente diversi,
che spingono per una loro trattazione comune. In questo senso aiutano sia la riflessione
teorica che l’osservazione empirica. L’analisi descrittiva delle tendenze demografiche sembra
infatti individuare una terza Italia, che si pone al di fuori della tradizionale dicotomia Nord-
Sud. Ma questo è proprio ciò che sottolineavano Bagnasco, Fuà e i fautori del modello Nord
Est Centro (NEC)61
. E’ così opportuno procedere a una nuova aggregazione territoriale, che
deriva direttamente dall’osservazione della realtà empirica, e non da classificazioni
preconcette. Nell’analisi effettuata si considerano due possibili conformazioni: una che
ingloba anche Trentino ed Abruzzo (NEC) ed un’altra senza queste due regioni (NEC2), poste
ai limiti dell’area di interesse. I risultati sono comunque molto simili e ripropongono quanto
visto con il Centro e (soprattutto) il Nord Est (NEST). Quest’area si caratterizza per una
scarsa significatività degli elementi demografici, ad eccezione del tasso di crescita della
popolazione e di alcuni parametri migratori. Del resto in queste zone la dinamica naturale non
ha mai inciso molto, nonostante le trasformazioni avvenute (ad esempio nella mortalità). E’
stato più importante il flusso migratorio, che ha rappresentato la fonte di maggior sviluppo
demografico: la richiesta di manodopera era soddisfatta dalle immigrazioni. Il NEC propone
60L’analisi per il periodo ’51-71, in cui l’arretrata società meridionale non aveva ancora iniziato mutamenti
demografici strutturali, mostra infatti una minor presenza di relazioni e una significatività ridotta. Ampliare il
campione al 1981 porta un miglioramento dei risultati, che diventano ancora più soddisfacenti se si considera il
periodo 1971-2001. 61 Bagnasco (1979) chiamava le tre aree NW, NEC e Meridione conformazioni sociali Centrale, Periferica e
Marginale.
quindi un modello di sviluppo in cui l’elemento demografico non riveste alcun ruolo, ad
eccezione del semplice afflusso/deflusso di forza lavoro che si ha con le migrazioni62
. Ciò
rappresenta una netta cesura con il resto dell’Italia. Sia il NW che il Meridione si pongono,
anche se in fasi diverse, nel solco dello stesso processo di sviluppo, che assegna grande
importanza ai fattori demografici, essenziali nell’avviare la transizione e nel conseguire
mutamenti strutturali. Il NEC si sviluppa invece secondo una traiettoria del tutto differente, in
cui le componenti demografiche sembrano assumere un ruolo secondario.
5 Riflessioni conclusive Interpretazione del caso italiano
In generale l’analisi svolta individua un ampio set di variabili significative e regressioni che
superano agevolmente i test diagnostici. Ciò costituisce una testimonianza dell’importanza
delle relazioni economico-demografiche nonché una conferma della numerosità delle stesse,
che si snodano su sentieri diversi e a volte contrastanti. La complessità della situazione e il
suo variare nel tempo spiegano quindi perché i meccanismi economico-demografici siano
difficili da individuare. E’ dunque necessario prestare attenzione alle fonti63
e al timing dei
cambiamenti demografici, che forniscono un utile supporto per interpretare lo sviluppo
economico italiano del secondo Dopoguerra.
L’Italia negli anni ’50 e ’60 presentava una struttura della popolazione abbastanza giovane. I
primi cambiamenti si sono avuti con il calo della fertilità (legato a cause economiche e
sociali) mentre la riduzione della mortalità infantile non sortiva grandi effetti (era già molto
bassa). Questa tendenza ha condotto il paese in una fase particolarmente propizia per lo
sviluppo economico, in quanto il calo delle nascite ha coinciso con l’entrata nel lavoro delle
generazioni precedenti (ad alta fertilità). L’azione congiunta di questi fattori si è risolta in una
forte riduzione del rapporto di dipendenza, all’epoca pesantemente legato alla sua
componente giovanile. Il paese ha beneficiato così di un dividendo demografico (o gift,
nell’accezione di BW, 1998), che creava opportunità64
di sviluppo economico. Questo forte
62 In questo caso la principale differenza temporale riguarda le componenti migratorie: nel primo ventennio
prevaleva l’emigrazione (che drenava le migliori risorse umane, ostacolando lo sviluppo), mentre la crescita
economica del secondo periodo (’71-2001) era fortemente legata alle immigrazioni totali. 63 Basta pensare ad una riduzione della fertilità o un aumento della speranza di vita, che approdano allo stesso
risultato ma con conseguenze molto diverse. 64 Bisogna ricordare come i cambiamenti nella struttura per età forniscono solo opportunità di sviluppo. Questo
potenziale si traduce in un’effettiva crescita economica solo sotto particolari condizioni e cioè con opportune
“quality of governmental institutions, labor legislation, macroeconomic management, opennes to trade, and
education policy” (Bloom e Canning, 2004, pg.12).
aumento della popolazione in età da lavoro65
si sposava al meglio con le esigenze
dell’industria manifatturiera dell’epoca, che manifestava una forte domanda di manodopera. Il
potenziale di crescita derivante dai cambiamenti demografici si è così tradotto in uno sviluppo
reale: l’Italia ha goduto appieno del “dividendo demografico”66
.
Tali condizioni favorevoli sono state però solamente transitorie, perché nei decenni successivi
la contestuale riduzione della mortalità tra gli anziani, sommata al persistente calo della
fertilità, ha contribuito all’invecchiamento della popolazione. Ciò ha segnato l’entrata in una
fase sfavorevole alla crescita economica (definita burden da BW, 1998), con un incremento
del rapporto di dipendenza, ora dominato dalla componente anziana67
.
Questo quadro, che ricalca da vicino la descrizione tratteggiata da BW (1998) per l’Asia, è
però complicato nel caso italiano da due fattori collegati tra loro: le migrazioni e le forti
discrepanze regionali. Infatti, a causa delle forti differenze economiche, strutturali, culturali e
sociali, le diverse aree della penisola hanno attraversato le varie fasi della Transizione
Demografica in periodi diversi. L’Italia si è quindi trovata ad essere la risultante di situazioni
eterogenee, il disegno di un mosaico composto da tessere mutevoli e variegate. Queste
differenze caratterizzavano regioni limitrofe della stessa nazione, in cui c’è piena libertà di
spostamento. Era così naturale che rappresentassero un forte impulso ai movimenti migratori.
Le migrazioni hanno inciso fortemente negli anni ‘50-’60 sulla struttura per età della
popolazione68
. L’effetto complessivo sullo sviluppo è stato positivo, in quanto ha permesso di
riallocare la popolazione dove c’era richiesta di lavoro e opportunità economiche: sono state
un riequilibratore economico-demografico poiché rappresentavano una valvola di sfogo per le
aree sovrappopolate e un afflusso di manodopera per le aree in sviluppo. Questa era
un’interazione benefica, che assicurava un mutuo vantaggio a realtà in differenti situazioni
demografiche. Allo stesso tempo sono però aumentate ancora di più le discrepanze tra le aree
di emigrazione (che perdevano potenziale forza lavoro) e di immigrazione (che ne
beneficiavano). Ai fini di una corretta valutazione del fenomeno migratorio bisogna applicare
un’ottica qualitativa: non conta solo quante persone si spostano ma soprattutto chi si sposta. A
una prima analisi sembra che l’emigrazione meridionale sia stata positiva perchè ha alleviato
65 Favorito anche dall’entrata sempre più massiccia delle donne sul mercato del lavoro. Questo era dovuto ai
cambiamenti nel costume e nella società oltre che alla ridotta fertilità, che riduceva il tempo che le donne
dovevano dedicare ad accudire i figli. 66 L’America Latina è invece un esempio di come si riesca a non sfruttare le opportunità di crescita create da
cambiamenti nella struttura per età della popolazione. In questo caso i mutamenti demografici hanno addirittura
innescato una spirale negativa, con elevata disoccupazione e aumento della criminalità. 67 La questione è comunque complessa, dal momento che non sono ancora del tutto chiare le conseguenze di un
invecchiamento della società. Ad esempio le persone potrebbero anche reagire all’aumento nella durata della vita
allungando la loro vita lavorativa. Per un quadro più chiaro ed esaustivo, vedi Bloom e Canning (2004). 68 Come detto in precedenza, le migrazioni riguardano principalmente giovani adulti in età da lavoro.
la crescita demografica del Sud. Se però si considera il profilo dei migranti si nota l’impatto
degli spostamenti sulla struttura per età, che capovolge del tutto il giudizio precedente,
evidenziando gli effetti negativi dell’emigrazione per lo sviluppo locale. A differenza delle
nazioni asiatiche descritte da BW (1998), il Sud ha infatti dovuto sopportare il peso di un
eccesso di popolazione giovanile senza però mai godere appieno del successivo dividendo
demografico. Le persone in età infantile e adolescenziale crescevano al Sud ma non appena
maturavano un potenziale produttivo emigravano al Nord. Per le regioni Meridionali diveniva
ancora più stringente la riduzione della fertilità, che oltre a rappresentare un costo immediato
non si risolveva nemmeno in una maggiore forza lavoro futura. La situazione era del tutto
speculare al Nord, che riusciva a contenere gli inconvenienti tipici dell’invecchiamento
demografico grazie alle immigrazioni dal Sud o da aree e province svantaggiate (tipicamente
montane)69
. I flussi migratori hanno quindi contribuito a migliorare la situazione dell’Italia
nel complesso, ma allo stesso tempo hanno acuito ancora di più le differenze e lo iato tra le
varie aree del paese.
Conclusioni
L’analisi svolta sul caso italiano ha permesso di giungere a una serie di conclusioni robuste e
affidabili, coerenti con la teoria economica e con l’esperienza storica nazionale e regionale. Si
evidenzia in particolare:
• La necessità di utilizzare una metodologia adeguata: solo attraverso una corretta
scomposizione delle variabili è possibile chiarire fenomeni come migrazioni e
mortalità, a un primo impatto criptici.
• L’esistenza di canali privilegiati e variabili particolarmente significative, come gli
indicatori strutturali. Del resto la struttura, agendo sulla forza lavoro e sulla
popolazione attiva, incide più direttamente su quella crescita economica rispetto alla
quale le componenti demografiche hanno solo effetti indiretti. Inoltre gli indicatori
strutturali riescono a considerare l’effetto congiunto dei vari fenomeni naturali
(mortalità, natalità, migrazioni) e della precedente struttura della popolazione (il
cosiddetto “effetto generazionale”).
• La minor significatività delle regressioni trentennali e ventennali rispetto al
cinquantennio di riferimento conferma la necessità di calibrare l’analisi sul lungo
69 In questo modo le regioni sviluppate mantenevano una struttura per età con più popolazione attiva rispetto al
Sud. Ciò contribuiva a far sì che le regioni del Centro-Nord beneficiassero di maggiori opportunità
d’investimento.
termine. Un allungamento del campione rende infatti ancora più evidenti certi effetti e
determinate relazioni, il cui campo di elezione è il lungo periodo.
• L’esistenza di situazioni difformi: sembrano emergere “tre Italie”, tre modelli di
sviluppo differenti. L’elemento demografico sembra significativo solamente
all’interno di un certo intervallo di sviluppo: acquista importanza all’inizio un
processo di crescita economica (Sud), ma la perde con il procedere dello stesso (NW).
Nell’area NEC invece la situazione muta radicalmente: i fattori demografici sono
relegati a un ruolo marginale e subordinato. Un certo influsso è esercitato solo dalle
migrazioni, che hanno inciso profondamente in queste zone.
• La necessità di studiare il problema in un’ottica di causazione cumulata, rispettosa
delle mutue relazioni tra sfera economica e demografica. L’insistenza sull’importanza
dell’elemento demografico è solo funzionale all’obiettivo dell’articolo, e non implica
l’adesione ad un assolutismo demografico stretto parente del riduzionismo economico
che si intende confutare. La politica demografica può quindi svolgere un ruolo attivo e
significativo, ma va integrata con misure economiche complementari.
• In generale tra economia e demografia si instaura un insieme di relazioni incrociate70
che legano popolazione e crescita economica. La dinamica economica incide sulla
popolazione principalmente tramite migrazioni mentre l’elemento demografico agisce
sull’economia attraverso l’azione delle componenti naturali. Il tramite tra le due sfere
è rappresentato dalla struttura demografica, su cui entrambi i fenomeni vanno a
influire. Quest’insieme di interrelazioni rende il quadro complessivo di difficile
interpretazione ad una prima lettura.
Un’ulteriore complicazione deriva dal fatto che le relazioni individuate mutano di intensità,
modalità e direzione nel tempo71
e nello spazio, a seconda del canale più importante in un
certo periodo o in un dato luogo. L’incapacità di cogliere la natura transitoria delle relazioni
ha generato errori ed equivoci, spesso sfociati in una negazione dei legami esistenti e,
soprattutto, dell’influsso della demografia sulla dinamica economica. E’ quindi necessario un
cambiamento di prospettiva, nella consapevolezza che nelle scienze sociali non esistono leggi
fisse e immutabili: le relazioni riguardanti l’uomo non sono eterne ma vanno studiate
all’interno di uno specifico contesto spazio-temporale.
70 La causalità “runs in both directions, from the economy to demography, and from demography to the
economy. The interaction is a dynamic process, with each side affecting the other” (BC, 1999, pg.3). 71 “The relationship between demography and economic growth is not necessarily constant over time” (BC,
1999, pg.3). L’influsso dei fattori demografici sull’economia, consistente negli anni ’50 e ’60, si attenua con il
passare del tempo fino a divenire del tutto marginale nel ventennio ’80-’90.
E’ molto significativo che i risultati ottenuti mostrino una forte persistenza anche a fronte di
cambiamenti nella specificazione o dell’utilizzo di diversi dataset e campioni, sia geografici
che temporali. Ciò è indice di robustezza e affidabilità delle conclusioni raggiunte, che
catturano l’essenza delle relazioni analizzate e non dipendono dal particolare ambito
analizzato. Questi risultati sono resistenti (soprattutto per le variabili più significative) anche a
critiche di natura metodologica o ad un’analisi diagnostica.
La ricerca è suscettibile di ulteriori miglioramenti, soprattutto per quel che riguarda il set di
dati disponibili. Si potrebbe estendere l’analisi ad altri indicatori demografici, ma è soprattutto
necessario trovare serie degli investimenti anche per le province. A livello metodologico i dati
potrebbero essere analizzati all’interno di uno studio panel che permetterebbe di superare
alcuni dei limiti tipici delle regressioni cross country.
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Kelley, Allen C. (1988) “Economic consequences of population change in the Third World”
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Australian Economic History Review 44:2, pp.118-141
Appendice
Legenda
Le seguenti tabelle illustrano i risultati delle varie regressioni effettuate. Per facilitare i confronti
l’ordine di numerazione delle tabelle è lo stesso, mentre cambia solo un codice iniziale indicante il
campione che si sta utilizzando.
Così si ha:
• PROV per la regressione sul dataset Tagliacarne e con il campione totale di 91 province;
• CIRC per la regressione sul dataset Tagliacarne e con un campione disaggregato per
circoscrizione;
Per quel che riguarda il contenuto delle tabelle, si presenta il valore dei coefficienti e subito sotto,
tra parentesi, il t ratios, decisivo per la significatività della regressione. Una particolare forma
grafica facilita la comprensione dei risultati: i coefficienti significativi all’1% sono in grassetto e
accompagnati da due asterischi, quelli significativi al 5% sono in corsivo e seguiti da un asterisco,
mentre quelli non significativi restano in forma normale. Ciò permette un’immediata e agevole
individuazione delle relazioni più importanti.
Per esigenze di spazio e semplicità non si specifica il periodo temporale cui si riferiscono le
variabili utilizzate, ad eccezione della variabile dipendente (il Gdp). E’ infatti a quest’ultima che si
conformano tutti i regressori: il periodo di riferimento, quando non diversamente specificato, è
sempre uguale a quello della variabile dipendente.
Le notazioni temporali si riferiscono alle ultime due cifre dell’anno considerato: così la dizione
“5101” indica il periodo 1951-2001 .
In quest’appendice, per non appesantire la trattazione, sono inseriti soltanto i risultati più
significativi. Altre regressioni meno rilevanti non sono pubblicate ma restano a disposizione per
chiunque voglia farne richiesta all’autore.
Tab.VAR1: Definizione delle variabili usate
Variabile Definizione (fonte) Gdp Tasso di crescita medio annuo del reddito pro capite a valori costanti nel periodo di riferimento
Fonte: CRENOS; Istituto Tagliacarte
Y0 Livello del reddito pro capite a valori costanti all’inizio del periodo di riferimento
Fonte: CRENOS; Istituto Tagliacarte
Inv Tasso di crescita medio annuo degli investimenti fissi in percentuale del GDP
Fonte: CRENOS
Pop Tasso di crescita medio annuo della popolazione nel periodo di riferimento
Fonte: ISTAT
Cbr Tasso netto di natalità medio annuo nel periodo di riferimento
Fonte: ISTAT
Cdr Tasso netto di mortalità medio annuo nel periodo di riferimento
Fonte: ISTAT
Cbrcdr Differenza tra il tasso di natalità e quello di mortalità nel periodo di riferimento
Fonte: ISTAT
Migr Tasso di migratorietà medio annuo nel periodo di riferimento: (Imm-Em)/Popolazione media
Fonte: ISTAT
Age Indice di dipendenza medio nel periodo di riferimento (0-14+65+/15-64)
Fonte: ISTAT
Giov Indice di gioventù medio nel periodo di riferimento (0-14/15-64)
Fonte: ISTAT
Vec Indice di anzianità medio nel periodo di riferimento (65+/15-64)
Fonte: ISTAT
Ivecc Indice di vecchiaia medio nel periodo di riferimento (65+/0-14)
Fonte: ISTAT Geap Differenza tra tasso di crescita medio annuo della popolazione attiva e tasso di crescita medio annuo della
popolazione globale nel periodo di riferimento
Fonte: ISTAT
Inf Tasso netto di mortalità infantile (tra 0 e 1 anno) medio annuo nel periodo di riferimento
Fonte: ISTAT
Cdr14 Tasso netto di mortalità giovanile (tra 0 e 14 anni) medio annuo nel periodo di riferimento
Fonte: ISTAT
Cdr1564 Tasso netto di mortalità della popolazione attiva (tra 15 e 64 anni) medio annuo nel periodo di riferimento
Fonte: ISTAT
Cdr65 Tasso netto di mortalità della popolazione anziana (sopra i 65 anni) medio annuo nel periodo di
riferimento
Fonte: ISTAT
Cdr75 Tasso netto di mortalità della popolazione anziana (sopra i 75 anni) medio annuo nel periodo di
riferimento
Fonte: ISTAT
Em Tasso netto di emigrazione interprovinciale medio annuo nel periodo di riferimento
Fonte: ISTAT
Imm Tasso netto di immigrazione interprovinciale medio annuo nel periodo di riferimento
Fonte: ISTAT
Eff Indice di efficacia delle migrazioni medio nel periodo di riferimento: (Imm –Em)/(Imm+Em)
Fonte: ISTAT
Effpop Indice di efficacia rispetto alla popolazione totale delle migrazioni medio nel periodo di riferimento:
(Imm+em)/Popolazione media
Fonte: ISTAT
Emtot Tasso netto di emigrazione totale (intra e interprovinciale) medio annuo nel periodo di riferimento
Fonte: ISTAT
Immtot Tasso netto di immigrazione totale (intra e interprovinciale) medio annuo nel periodo di riferimento
Fonte: ISTAT
Migrprov Tasso netto di migratorietà (immigrazione o emigrazione) intraprovinciale medio annuo nel periodo di
riferimento
Fonte: ISTAT
Tabella PROV 0: il campione di riferimento
Province Province Province Regioni
1 Torino 41 Massa Carrara 81 Trapani 1 Piemonte
2 Vercelli 42 Lucca 82 Palermo 2 Valle d'Aosta
3 Novara 43 Pistoia 83 Messina 3 Lombardia
4 Cuneo 44 Firenze 84 Agrigento 4 Trentino
5 Asti 45 Livorno 85 Caltanissetta 5 Veneto
6 Alessandria 46 Pisa 86 Enna 6 Friuli
7 Aosta 47 Arezzo 87 Catania 7 Liguria
8 Varese 48 Siena 88 Ragusa 8 Emilia Rom.
9 Como 49 Grosseto 89 Siracusa 9 Toscana
10 Sondrio 50 Perugina 90 Sassari 10 Umbria
11 Milano 51 Terni 91 NuOrCa 11 Marche
12 Bergamo 52 Pesaro 12 Lazio
13 Brescia 53 Ancona 13 Abruzzo
14 Pavia 54 Macerata 14 Molise
15 Cremona 55 Ascoli 15 Campania
16 Mantova 56 Viterbo 16 Puglia
17 Bolzano 57 Rieti 17 Basilicata
18 Trento 58 Roma 18 Calabria
19 Verona 59 Latina 19 Sicilia
20 Vicenza 60 Frosinone 20 Sardegna
21 Belluno 61 L'aquila
22 Treviso 62 Teramo
23 Venezia 63 Pescara
24 Padova 64 Chieti
25 Rovigo 65 Campobasso
26 Udine 66 Caserta
27 Gorizia 67 Benevento
28 Trieste 68 Napoli
29 Imperia 69 Avellino
30 Savona 70 Salerno
31 Genova 71 Foggia
32 La Spezia 72 Bari
33 Piacenza 73 Taranto
34 Parma 74 Brindisi
35 Reggio E. 75 Lecce
36 Modena 76 Potenza
37 Bologna 77 Matera
38 Ferrara 78 Cosenza
39 Ravenna 79 Catanzaro
40 Forli 80 Reggio C.
Tab.PROV 1 Core nel periodo 1951-2001
Dipendente Gdp5101 Gdp5101 Gdp5171 Gdp5181 Gdp7101
Costante 3,99**
(26,86)
3,97**
(26,49)
6,66**
(23,92)
5,43**
(29,25)
1,67**
(7,28)
Y051 -0,0002**
(-6,56)
-0,0002**
(-5,99)
-0,0006**
(-7,60)
-0,0004**
(-7,21)
Y071 0,00001
(0,53)
Pop -0,01
(-0,75)
0,009
(0,64)
-0,02
(-1,66)
0,002
(0,09)
S.E.reg. 0,47 0,47 0,80 0,57 0,48
R2 0,33 0,33 0,47 0,48 0,003
Adj.r2 0,32 0,31 0,46 0,47 -0,02
Jarque-Br. (p-values) 0,23 0,29 0,18 0,10 0,22
White (p-values) 0,18 0,04 0,09 0,05 0,12
Tab. PROV 2 componenti demografiche nel periodo 1951-2001
Dipend. Gdp5101 Gdp5101 Gdp5101 Gdp5101 Gdp5101 Gdp5101 Gdp5101 Gdp5101 Gdp5101
Cost 6,10**
(20,59)
3,06**
(10,07)
4,92**
(26,53)
4,66**
(28,52)
5,42**
(21,66)
5,34**
(22,76)
2,83**
(11,32)
3,50**
(4,09)
6,10**
(6,77)
Y051 -0,0004**
(-11,33)
-0,0003**
(-7,74)
-0,0004**
(-10,32)
-0,0004**
(-9,98)
-0,0003**
(-9,84)
-0,0003**
(-9,86)
-0,0003**
(-9,23)
-0,0002**
(-6,46)
-0,0002**
(-6,45)
Cbr -0,12**
(-7,74)
Cdr 0,11**
(3,44)
Migr 0,08**
(6,65)
Cbrcdr -0,07**
(-6,29)
Inf -0,05**
(-6,57)
Cdr14 -0,53**
(-6,72)
Cdr1564 0,44**
(5,41)
Cdr65 0,009
(0,59)
Cdr75 -0,02*
(-2,38)
S.E.reg. 0,37 0,45 0,39 0,40 0,39 0,22 0,41 0,48 0,46
R2 0,60 0,41 0,55 0,53 0,55 0,20 0,49 0,33 0,37
Adj.r2 0,59 0,39 0,54 0,52 0,54 0,56 0,48 0,31 0,35
Jar-Br. 0,40 0,39 0,70 0,38 0,58 0,68 0,39 0,23 0,23
White 0,29 0,36 0,67 0,64 0,90 0,99 0,98 0,24 0,36
Tab. PROV 2A Componenti nei vari periodi temporali (1951-1971; 1951-1981, 1971-2001)
Dipend. Gdp5171 Gdp5181 Gdp7101 Gdp5171 Gdp5181 Gdp7101 Gdp5171 Gdp5181 Gdp7101 Gdp5171 Gdp5181 Gdp7101
Cost 9,12**
(16,15)
8,14**
(23,39)
3,85**
(7,39)
5,30**
(8,88)
4,04**
(10,67)
1,26**
(4,23)
8,12**
(19,83)
6,56**
(23,33)
2,41**
(9,73)
7,79**
(22,21)
6,63**
(31,92)
2,26**
(8,42)
Y051 -0,0007**
(-10,90)
-0,0006**
(-14,30)
-0,0006**
(-9,22)
-0,0005**
(-10,59)
-0,0009**
(-9,48)
-0,0006**
(-9,75)
-0,0007**
(-10,58)
-0,0006**
(-13,45)
Y071 -8e-5**
(-2,83)
-10e-6
(-0,41) -7e-5**
(-2,71)
-4e-5
(-1,69)
Cbr -0,11**
(-4,88)
-0,12**
(-8,23)
-0,12**
(-4,51)
Cdr 0,15*
(2,35) 0,17**
(4,31)
0,06*
(2,03)
Migr 0,06**
(4,50)
0,06**
(4,60)
0,08**
(4,82)
Cbrcdr -0,08**
(-4,49)
-0,08**
(-7,43)
-0,05**
(-3,40)
S.E.reg. 0,71 0,44 0,43 0,77 0,53 0,47 0,72 0,52 0,42 0,72 0,46 0,45
R2 0,58 0,70 0,19 0,50 0,56 0,05 0,57 0,57 0,21 0,56 0,67 0,12
Adj.r2 0,57 0,69 0,17 0,49 0,55 0,03 0,56 0,56 0,19 0,56 0,67 0,10
JarBr. 0,41 0,40 0,34 0,19 0,13 0,21 0,30 0,98 0,52 0,32 0,30 0,27
White 0,30 0,10 0,74 0,43 0,34 0,53 0,13 0,16 0,58 0,76 0,85 0,76
Tab. PROV 3 componenti migrazioni nel periodo 1951-2001
Dipend. Gdp5101 Gdp5101 Gdp5101 Gdp5101 Gdp5101 Gdp5101 Gdp5101 Gdp5101
Cost 5,07**
(19,40)
3,93**
(10,81)
3,95**
(19,71)
3,43**
(17,14)
5,05**
(20,42)
3,54**
(21,82)
4,66**
(32,41)
4,62**
(17,31)
Y051 -0,0003**
(-8,46)
-0,0002**
(-6,51)
-0,0002**
(-5,41)
-0,0003**
(-7,95)
-0,0004**
(-8,70)
-0,0003**
(-8,59)
-0,0004**
(-11,46)
-0,0002**
(-6,26
Em -0,07**
(-4,80)
-0,09**
(-6,07)
Emtot 0,002
(0,18)
Imm 0,005
(0,27)
0,06**
(3,36)
Immtot 0,04**
(3,85)
Migrprov 0,06**
(4,79)
Eff 0,03**
(7,70)
Effpop -0,25**
(-2,75)
S.E.reg. 0,42 0,48 0,48 0,44 0,40 0,42 0,37 0,46
R2 0,47 0,33 0,33 0,42 0,53 0,46 0,60 0,38
Adj.r2 0,45 0,31 0,31 0,41 0,51 0,45 0,59 0,37
Jar-Br. 0,39 0,23 0,23 0,26 0,82 0,29 0,66 0,24
White 0,30 0,51 0,21 0,97 0,54 0,52 0,40 0,33
Tab.PROV4 Indici di struttura nel periodo 1951-2001
Dipend. Gdp5101 Gdp5101 Gdp5101 Gdp5101 Gdp5101 Gdp5101
Cost. 11,12**
(19,90)
6,50**
(20,31)
3,31**
(11,66)
3,66**
(23,93)
10,94**
(16,66)
6,12**
(12,33)
Y051 -0,0005**
(-16,95)
-0,0004**
(-12,03)
-0,0003**
(-7,32)
-0,0003**
(-8,51)
-0,0005**
(-16,89)
-0,0004**
(-10,89)
Age -0,12**
(-12,92)
Giov -0,06**
(-8,36)
-0,12**
(-12,01)
Vec 0,04**
(2,78)
-0,11**
(-7,34)
-0,20**
(-5,14)
Ivecc 0,008**
(4,50)
0,03**
(6,42)
S.E.reg. 0,28 0,36 0,46 0,43 0,28 0,38
R2 0,77 0,62 0,38 0,45 0,77 0,58
Adj.r2 0,76 0,62 0,37 0,44 0,76 0,56
Jar-Br. 0,41 0,52 0,38 0,35 0,49 0,65
White 0,83 0,29 0,08 0,28 0,67 0,15
Tab.PROV4A Indici di struttura nei vari periodi temporali (1951-1981, 1971-2001)
Dipend. Gdp5181 Gdp7101 Gdp5181 Gdp7101 Gdp5181 Gdp7101 Gdp5181 Gdp7101 Gdp5181 Gdp7101
Cost. 11,89**
(21,29)
6,57**
(3,95)
8,56**
(22,76)
4,00**
(6,64)
4,69**
(13,37)
1,24**
(4,23)
12,53**
(16,80)
8,73**
(5,43)
5,15**
(27,75)
1,63**
(7,62)
Y051 -7 e-4**
(-18,23)
-6 e-4**
(-14,79)
-4 e-4**
(-9,53)
-7 e-4**
(-18,33)
-5 e-4**
(-10,50)
Y071 -8 e-5*
(-2,17)
-8 e -5 **
(2,71)
-6 e-6
(-0,27)
-2 e-4**
(-4,24)
-3 e –5
(-1,03)
Age -0,10**
(-11,67)
-0,08**
(-2,96)
Giov -0,06**
(-8,68)
-0,05**
(-4,09)
-0,10**
(-11,03)
-0,12**
(-4,72)
Vec 0,05**
(2,68)
0,03*
(2,20) -0,12**
(-5,89)
-0,07**
(-3,15)
Ivecc 0,01**
(4,24)
0,004*
(2,58)
S.E.reg. 0,36 0,45 0,43 0,44 0,56 0,46 0,36 0,42 0,53 0,46
R2 0,79 0,09 0,71 0,16 0,51 0,06 0,80 0,25 0,56 0,07
Adj.r2 0,79 0,07 0,71 0,14 0,50 0,03 0,79 0,22 0,55 0,05
Jar-Br. 0,60 0,19 0,40 0,56 0,13 0,27 0,55 0,73 0,12 0,28
White 0,03 0,45 0,06 0,86 0,03 0,66 0,04 0,51 0,18 0,77
Circoscrizioni (CIRC)
Tab. CIRC0: campioni di riferimento
NW NEST CENTRO SUD ISOLE NEC 1 Torino 1 Bolzano 1 Massa Carrara 1 L'aquila 1 Trapani 1 Bolzano
2 Vercelli 2 Trento 2 Lucca 2 Teramo 2 Palermo 2 Trento
3 Novara 3 Verona 3 Pistoia 3 Pescara 3 Messina 3 Verona
4 Cuneo 4 Vicenza 4 Firenze 4 Chieti 4 Agrigento 4 Vicenza
5 Asti 5 Belluno 5 Livorno 5 Campobasso 5 Caltanissetta 5 Belluno
6 Alessandria 6 Treviso 6 Pisa 6 Caserta 6 Enna 6 Treviso
7 Aosta 7 Venezia 7 Arezzo 7 Benevento 7 Catania 7 Venezia
8 Varese 8 Padova 8 Siena 8 Napoli 8 Ragusa 8 Padova
9 Como 9 Rovigo 9 Grosseto 9 Avellino 9 Siracusa 9 Rovigo
10 Sondrio 10 Udine 10 Perugia 10 Salerno 10 Sassari 10 Udine
11 Milano 11 Gorizia 11 Terni 11 Foggia 11 NuOrCa 11 Gorizia
12 Bergamo 12 Trieste 12 Pesaro 12 Bari 12 Trieste
13 Brescia 13 Piacenza 13 Ancona 13 Taranto 13 Piacenza
14 Pavia 14 Parma 14 Macerata 14 Brindisi 14 Parma
15 Cremona 15 Reggio Em. 15 Ascoli 15 Lecce 15 Reggio Em.
16 Mantova 16 Modena 16 Viterbo 16 Potenza 16 Modena
17 Imperia 17 Bologna 17 Rieti 17 Matera 17 Bologna
18 Savona 18 Ferrara 18 Roma 18 Cosenza 18 Ferrara
19 Genova 19 Ravenna 19 Latina 19 Catanzaro 19 Ravenna
20 La Spezia 20 Forlì 20 Frosinone 20 Reggio Cal. 20 Forlì
21 21 Massa Carrara
22 22 Lucca
23 23 Pistoia
24 24 Firenze
25 25 Livorno
26 26 Pisa
27 27 Arezzo
28 28 Siena
29 29 Grosseto
30 30 Perugia
31 31 Terni
32 32 Pesaro
33 33 Ancona
34 34 Macerata
35 35 Ascoli
36 36 L'aquila
37 37 Teramo
38 38 Pescara
39 39 Chieti
Tab.CIRC1 Core nel periodo 1951 -2001
Dipendente Costante Y051 Pop S.E R2 Adj.R2 Jar-Br. White
NW Gdp5101 4,48**
(17,61)
-0,0003**
(-6,75)
0,01
(0,74)
0,29 0,75 0,72 0,58 0,62
NEST Gdp5101 5,20**
(30,50)
-0,0004**
(-10,09)
0,02*
(2,15)
0,18 0,86 0,84 0,84 0,87
CENTRO Gdp5101 5,11**
(14,41)
-0,0005**
(-5,70)
0,02
(1,03)
0,30 0,67 0,63 0,60 0,16
SUD Gdp5101 4,90**
(9,83)
-0,0007**
(3,67)
-0,02
(-0,73)
0,38 0,61 0,56 0,47 0,32
ISOLE Gdp5101 4,18**
(11,51)
-0,0005**
(-3,49)
0,02
(0,90)
0,23 0,63 0,53 0,79 0,24
NEC Gdp5101 4,96**
(24,15)
-0,0004**
(-7,93)
0,03
(2,16)
0,30 0,64 0,62 0,69 0,48
Tab.CIRC2 Componenti demografiche nel periodo 1951-2001
Dipend. Cost. Y051 Cbr Cdr Migr Cbrcdr S.E. R R2 Adj.R2 Jar-Br. White
NW Gdp5101 4,23**
(7,95)
-0,0003**
(-6,78)
0,02
(0,43)
0,30 0,75 0,72 0,56 0,72
NEST Gdp5101 5,13**
(9,40)
-0,0004**
(-6,83)
0,006
(0,19)
0,21 0,82 0,80 0,91 0,64
CENTRO Gdp5101 5,60**
(8,75)
-0,0005**
(-5,85)
-0,05
(-1,09)
0,30 0,67 0,63 0,84 0,51
SUD Gdp5101 6,83**
(15,17)
-0,0005**
(-4,59)
-0,15**
(-4,91)
0,25 0,83 0,81 0,70 0,59
ISOLE Gdp5101 5,93**
(4,56)
-0,0005**
(-4,02)
-0,09
(-1,49)
0,21 0,68 0,60 0,38 0,83
NEC Gdp5101 4,52**
(6,89)
-0,0004**
(-5,41)
0,03
(0,72)
0,32 0,60 0,58 0,71 0,34
NW Gdp5101 5,20**
(9,13)
-0,0003**
(-7,60)
-0,06
(-1,48)
0,28 0,77 0,75 0,31 0,98
NEST Gdp5101 5,37**
(14,50)
-0,0004**
(-8,53)
-0,02
(-0,46)
0,20 0,82 0,80 0,88 0,87
CENTRO Gdp5101 5,16**
(6,53)
-0,0005**
(-5,52)
-0,01
(-0,22)
0,31 0,65 0,60 0,73 0,67
SUD Gdp5101 2,85**
(2,33)
-0,0006**
(-3,92) 0,21
(1,94)
0,35 0,67 0,63 0,54 0,30
ISOLE Gdp5101 3,86**
(2,81)
-0,0004**
(-3,22) 0,02
(0,14)
0,24 0,59 0,49 0,83 0,44
NEC Gdp5101 4,98**
(10,27)
-0,0004**
(-7,04)
-0,002
(-0,04)
0,32 0,60 0,57 0,66 0,52
NW Gdp5101 4,43**
(16,24)
-0,0003**
(-5,35)
-0,0003
(-0,01)
0,30 0,74 0,71 0,67 0,56
NEST Gdp5101 5,50**
(30,83)
-0,0005**
(-10,97)
0,04**
(3,04)
0,17 0,89 0,87 0,76 0,42
CENTRO Gdp5101 5,42**
(15,76)
-0,0006**
(-6,85)
0,07**
(2,48)
0,27 0,74 0,71 0,45 0,63
SUD Gdp5101 5,77**
(11,56)
-0,0008**
(-6,00)
0,06*
(2,12)
0,34 0,68 0,64 0,58 0,37
ISOLE Gdp5101 4,69**
(9,63)
-0,0006**
(-4,07)
0,04
(1,68)
0,20 0,69 0,62 0,91 0,58
NEC Gdp5101 5,26**
(22,15)
-0,0005**
(-7,93)
0,05*
(2,40)
0,30 0,65 0,63 0,56 0,64
NW Gdp5101 4,43**
(18,20)
-0,0003**
(-7,15)
0,02
(0,91)
0,29 0,76 0,73 0,43 0,86
NEST Gdp5101 5,19**
(22,63)
-0,0004**
(-7,58)
0,006
(0,33)
0,21 0,82 0,80 0,90 0,71
CENTRO Gdp5101 5,03**
(14,32)
-0,0005**
(-5,62)
-0,01
(-0,56)
0,31 0,65 0,61 0,80 0,57
SUD Gdp5101 5,23**
(17,09)
-0,0005**
(-4,15)
-0,10**
(-4,17)
0,27 0,80 0,78 0,59 0,67
ISOLE Gdp5101 4,64**
(7,63)
-0,0005**
(-3,81)
-0,06
(-1,15)
0,22 0,65 0,56 0,52 0,66
NEC Gdp5101 4,90**
(18,68)
-0,0004**
(-6,17)
0,009
(0,42)
0,32 0,60 0,58 0,67 0,40
Tab.CIRC3 Indici di struttura nel periodo 1951-2001
Dipend. Cost. Y051 Age Giov Vec Ivecc S.E.R R2 Adj.R2 Jar-Br. White
NW Gdp5101 9,17**
(6,15)
-0,0004**
(-8,84)
-0,09**
(-3,21)
0,24 0,84 0,82 0,41 0,64
NEST Gdp5101 7,24**
(4,31)
-0,0005**
(-7,94)
-0,04
(-1,20)
0,20 0,84 0,82 0,65 0,76
CENTRO Gdp5101 11,45**
(6,88)
-0,0007**
(-8,45)
-0,11**
(-3,92)
0,23 0,81 0,79 0,29 0,63
SUD Gdp5101 11,42**
(8,32)
-0,0007**
(-7,40)
-0,11**
(-4,71)
0,25 0,82 0,80 0,49 0,25
ISOLE Gdp5101 9,96**
(3,11)
-0,0005**
(-4,37)
-0,10
(-1,86)
0,20 0,71 0,64 0,80 0,66
NEC Gdp5101 10,29**
(5,80)
-0,0006**
(-7,99)
-0,10**
(-3,02)
0,29 0,68 0,66 0,63 0,53
NW Gdp5101 4,38**
(6,66)
-0,0003**
(-6,46)
0,002
(0,08)
0,30 0,74 0,71 0,65 0,71
NEST Gdp5101 5,31**
(8,98)
-0,0004**
(-6,90)
-0,002
(-0,14)
0,21 0,82 0,80 0,88 0,68
CENTRO Gdp5101 5,96**
(8,74)
-0,0005**
(-6,17)
-0,03
(-1,59)
0,29 0,69 0,66 0,81 0,71
SUD Gdp5101 7,34**
(12,23)
-0,0006**
(-4,99)
-0,07**
-4,32)
0,26 0,81 0,78 0,81 0,12
ISOLE Gdp5101 6,42**
(4,17)
-0,0005**
(-4,17)
-0,06
(-1,57)
0,21 0,68 0,61 0,21 0,80
NEC Gdp5101 4,97**
(6,88)
-0,0004**
(-5,62)
-7 e –5
(-0,004)
0,32 0,60 0,57 0,66 0,66
NW Gdp5101 4,84**
(11,66)
-0,0003**
(-7,38)
-0,02
(-1,23)
0,29 0,76 0,74 0,51 1,00
NEST Gdp5101 5,36**
(15,95)
-0,0004**
(-7,39)
-0,009
(-0,48)
0,20 0,83 0,80 0,91 0,85
CENTRO Gdp5101 4,93**
(6,75)
-0,0005**
(-5,46)
0,003
(0,12)
0,31 0,65 0,60 0,76 0,52
SUD Gdp5101 3,12**
(2,91)
-0,0005**
(-3,25)
0,08
(1,98)
0,34 0,67 0,63 0,45 0,38
ISOLE Gdp5101 3,57**
(3,41)
-0,0004**
(-3,40)
0,02
(0,48)
0,23 0,60 0,50 0,78 0,22
NEC Gdp5101 5,66**
(12,78)
-0,0004**
(-6,37)
-0,04
(-1,79)
0,31 0,63 0,61 0,72 0,25
NW Gdp5101 10,09**
(5,63)
-0,0004**
(-8,19)
-0,11**
(-2,98)
-0,10**
(-3,33)
0,24 0,85 0,82 0,06 0,57
NEST Gdp5101 7,87**
(4,25)
-0,0005**
(-7,26)
-0,04
(-1,37)
-0,06
(-1,46)
0,20 0,84 0,81 0,50 0,77
CENTRO Gdp5101 12,41**
(6,43)
-0,0007**
(-8,32)
-0,12**
(-4,03)
-0,14**
(-3,48)
0,23 0,82 0,79 0,20 0,80
SUD Gdp5101 10,25**
(5,15)
-0,0007**
(-5,20)
-0,10**
(-3,90)
-0,08
(-1,53) 0,25 0,83 0,80 0,66 0,38
ISOLE Gdp5101 9,50**
(2,75)
-0,0005**
(-4,16)
-0,10
(-1,78)
-0,07
(-1,00)
0,21 0,72 0,61 0,51 0,48
NEC Gdp5101 11,45**
(6,56)
-0,0005**
(-7,71)
-0,10**
(-3,40)
-0,15**
(-3,96)
0,27 0,72 0,70 0,29 0,49
NW Gdp5101 4,60**
(14,34)
-0,0003**
(-7,07)
-0,002
(-0,85)
0,29 0,75 0,72 0,53 0,97
NEST Gdp5101 5,25**
(25,52)
-0,0004**
(-7,09)
-0,0007
(-0,30)
0,21 0,82 0,80 0,91 0,55
CENTRO Gdp5101 4,80**
(10,15)
-0,0005**
(-5,66)
0,002
(0,63)
0,31 0,65 0,61 0,80 0,57
SUD Gdp5101 3,46**
(5,46)
-0,0005**
(-3,84)
0,02**
(3,09)
0,31 0,74 0,71 0,57 0,48
ISOLE Gdp5101 3,36**
(4,82)
-0,0004**
(-3,75)
0,01
(1,11)
0,22 0,64 0,55 0,59 0,57
NEC Gdp5101 5,04**
(19,70)
-0,0004**
(-5,79)
-0,002
(-0,57)
0,32 0,60 0,58 0,69 0,58
Il controllo dell’endogeneità
Il controllo dell’endogeneità è effettuato tramite due diversi procedimenti. Inizialmente si procede a una stima OLS con
variabili predeterminate. I risultati per il campione PROV72 sono espressi nelle tabelle PROVLAG1-3 (per esigenze di
spazio la numerazione non ricalca che in parte i criteri precedenti), dove si confrontano stime ottenute col metodo OLS
tradizionale e col metodo delle predeterminate (LAG). La disposizione in colonne affiancate consente di confrontare in
maniera rapida e immediata i risultati ottenuti, notando subito i valori che si differenziano nei due casi.
Il periodo di riferimento è il quarantennio 1961-2001, e la variabile dipendente è il tasso di crescita medio annuo del
reddito pro capite nel periodo di riferimento (Gdp6101). Le variabili elencate sono espresse in modo diverso nei due
casi: nell’OLS si riferiscono all’intero periodo di analisi, mentre nel LAG indicano solo il primo decennio. Ad esempio,
il rapporto di dipendenza utilizzato è DIP6101 per l’OLS, e DIP60 per il LAG.
Per il resto le notazioni, la presentazione delle tabelle e le abbreviazioni delle variabili ricalcano quelle già utilizzate
nell’analisi precedente.
Tab. PROV LAG1 componenti demografiche nel periodo 1961-2001
Dipendente OLS LAG OLS LAG OLS LAG OLS LAG OLS LAG
Costante 4,90**
(13,97)
4,64**
(13,72)
2,92**
(11,58)
2,91**
(10,64)
3,72**
(19,40)
3,91**
(19,08)
3,96**
(16,98)
3,27**
(9,00)
3,32**
(24,13)
3,10**
(18,88)
Y061 -0,0002**
(-7,81)
-0,0001**
(-7,33)
-0,0001**
(-5,91)
-0,0001**
(-5,79)
-0,0002**
(-6,29)
-0,0002**
(-6,93)
-0,0002**
(-5,97)
-0,0001*
(-2,18) -0,0001**
(-5,08)
-7 e –5*
(-2,63)
Cbr -0,09**
(-4,78)
-0,05**
(-4,17)
Cdr 0,05
(1,95)
0,05
(1,77)
Cbrcdr -0,04**
(-2,79)
-0,04**
(-3,63)
Migr 0,05**
(3,23)
-0,002
(-0,18)
Pop -0,02
(1,40)
-0,02*
(-2,44)
S.E.reg. 0,36 0,37 0,40 0,40 0,39 0,38 0,38 0,41 0,40 0,39
R2 0,41 0,38 0,29 0,28 0,32 0,35 0,34 0,26 0,27 0,30
Adj.r2 0,40 0,37 0,27 0,27 0,30 0,34 0,32 0,24 0,26 0,29
Tab. PROV LAG2 componenti mortalità nel periodo 1961-2001
Dipendente OLS LAG OLS LAG OLS LAG OLS LAG OLS LAG
Costante 4,27**
(15,94)
4,42**
(15,54)
4,24**
(15,76)
4,34**
(16,78)
2,96**
(12,33)
2,97**
(13,55)
4,44**
(6,59)
4,44**
(6,59)
6,01**
(8,42)
6,01**
(8,42)
Y061 -0,0002**
(-7,16)
-0,0002**
(-7,41)
-0,0002**
(-7,04)
-0,0002**
(-7,49)
-0,0001**
(-5,50)
-0,0002**
(-5,68)
-0,0001**
(-4,92)
-0,0001**
(-4,92)
-0,0001**
(-5,90)
-0,0001**
(-5,90)
Inf -0,04**
(-3,97)
-0,02**
(-4,26)
Cdr14 -0,40**
(-3,84)
-0,24**
(-4,44)
Cdr1564 0,17
(1,89)
0,15*
(2,12)
Cdr65 -0,02
(-1,68)
-0,02
(-1,68)
Cdr75 -0,03**
(-3,81)
-0,03**
(-3,81)
S.E.reg. 0,37 0,37 0,38 0,37 0,40 0,40 0,40 0,40 0,38 0,38
R2 0,37 0,38 0,36 0,39 0,29 0,29 0,28 0,28 0,36 0,36
Adj.r2 0,36 0,38 0,35 0,38 0,27 0,28 0,26 0,26 0,35 0,35
72 Il campione Provinciale è quello più significativo. Per non appesantire troppo la trattazione si è scelto di non mettere
tabelle relative ad altri dataset, che sono però disponibili per chiunque ne faccia richiesta all’autore.
Tab.PROV LAG3 Indici Struttura nel periodo 1961-2001
Dipendente OLS LAG OLS LAG OLS LAG OLS LAG OLS LAG
Costante 10,16**
(8,62)
6,81**
(9,92)
5,15**
(12,30)
4,88**
(12,18)
2,90**
(12,09)
3,03**
(11,79)
9,68**
(8,30)
7,28**
(8,20)
3,20**
(22,28)
3,24**
(22,42)
Y061 -0,0003**
(-8,23)
-0,0003**
(-7,82)
-0,0002**
(-7,47)
-0,0002**
(-7,07)
-0,0001**
(-6,06)
-0,0001**
(-5,75)
-0,0003**
(-8,70)
-0,0003**
(-7,78)
-0,0002**
(-6,15)
-0,0001**
(-5,80)
Age -0,11**
(-5,82)
-0,05**
(-5,15)
Giov -0,04**
(-4,54)
-0,03**
(-4,08)
-0,11**
(-5,90)
-0,05**
(-4,95)
Vec 0,02*
(2,16)
0,02
(1,41) -0,09**
(-4,11)
-0,06**
(-2,99)
Ivecc 0,004*
(2,53)
0,005
(1,94)
S.E.reg. 0,35 0,36 0,37 0,37 0,40 0,40 0,34 0,36 0,39 0,40
R2 0,46 0,43 0,40 0,38 0,29 0,27 0,50 0,43 0,31 0,29
Adj.r2 0,45 0,42 0,38 0,36 0,28 0,26 0,48 0,41 0,29 0,27
Il confronto tra le stime OLS tradizionali e le stime OLS con le predeterminate è un primo passo, che riesce a dare
indicazioni solo sulla possibile presenza di endogeneità. Per ottenere risultati più affidabili è necessario approfondire la
questione tramite il metodo delle variabili strumentali (ILV). I risultati sono espressi nelle tabelle PROVILV 1-3, dove
si confrontano i coefficienti ottenuti per regressioni OLS e ILV. La variabile dipendente è il tasso di crescita medio
annuo del reddito pro capite del periodo di riferimento (Gdp6101) e i valori delle variabili elencate (regressori) si
riferiscono al quarantennio in entrambi i casi analizzati. Differiscono solo gli strumenti usati nel metodo ILV, che sono
tipicamente le variabili di interesse anticipate di un periodo (decennio).
Il confronto tra i risultati può già dare delle indicazioni sulla presenza di endogeneità, ma la questione trova una risposta
definitiva solo con il test di Hausman. I valori sono espressi in percentuale e scritti in grassetto o in forma normale a
seconda se siano soddisfacenti (superiori al 5%) o meno.
Tab. PROV ILV 1 componenti nel periodo 1961-2001
Dipendente OLS ILV OLS ILV OLS ILV OLS ILV OLS ILV
Costante 4,90**
(13,97)
4,71**
(12,58)
2,92**
(11,58)
3,11**
(10,01)
3,72**
(19,40)
3,75**
(20,84)
3,96**
(16,98)
-31,47
(-0,20) 3,32**
(24,13)
3,25**
(17,89)
Y061 -0,0002**
(-7,81)
-0,0002**
(-7,19)
-0,0001**
(-5,91)
-0,0001**
(-5,13)
-0,0002**
(-6,29)
-0,0002**
(-6,70)
-0,0002**
(-5,97)
-0,005
(-0,22) -0,0001**
(-5,08)
-6 e –5*
(-2,26)
Cbr -0,09**
(-4,78)
-0,08**
(-3,90)
Cdr 0,05
(1,95)
0,03
(0,80)
Cbrcdr -0,04**
(-2,79)
-0,04**
(-3,32)
Migr 0,05**
(3,23)
-3,05
(-0,22)
Pop -0,02
(1,40) -0,12**
(-3,82)
Hausman 14,58 28,68 74,76 0,00 0,00
S.E.reg. 0,36 0,36 0,40 0,40 0,39 0,38 0,38 -7,56 0,40 0,53
R2 0,41 0,41 0,29 0,28 0,32 0,36 0,34 -255,71 0,27 -0,25
Adj.r2 0,40 0,39 0,27 0,26 0,30 0,34 0,32 -261,54 0,26 -0,28
Tab. PROV ILV2 componenti mortalità nel periodo 1961-2001
Dipendente OLS ILV OLS ILV OLS ILV OLS ILV OLS ILV
Costante 4,27**
(15,94)
4,44**
(12,37)
4,24**
(15,76)
4,58**
(14,51)
2,96**
(12,33)
3,22**
(10,97)
4,44**
(6,59)
1,26
(0,69) 6,01**
(8,42)
1,56
(0,63)
Y061 -0,0002**
(-7,16)
-0,0002**
(-6,75)
-0,0002**
(-7,04)
-0,0002**
(-7,28)
-0,0001**
(-5,50)
-0,0001**
(-4,04)
-0,0001**
(-4,92)
-0,0001**
(-4,73)
-0,0001**
(-5,90)
-0,0001**
(-4,96)
Inf -0,04**
(-3,97)
-0,05**
(-3,30)
Cdr14 -0,40**
(-3,84)
-0,55**
(-4,34)
Cdr1564 0,17
(1,89)
0,05
(0,44)
Cdr65 -0,02
(-1,68)
0,04
(1,14)
Cdr75 -0,03**
(-3,81)
0,02
(0,72)
Hausman 47,21 3,06 11,43 2,98 2,00
S.E.reg. 0,37 0,38 0,38 0,38 0,40 0,40 0,40 0,45 0,38 0,45
R2 0,37 0,37 0,36 0,35 0,29 0,27 0,28 0,09 0,36 0,07
Adj.r2 0,36 0,35 0,35 0,33 0,27 0,26 0,26 0,07 0,35 0,05
Tab.PROV ILV3 Indici Struttura nel periodo 1961-2001
Dipendente OLS ILV OLS ILV OLS ILV OLS ILV OLS ILV
Costante 10,16**
(8,62)
16,52**
(5,39)
5,15**
(12,30)
4,98**
(10,88)
2,90**
(12,09)
3,21**
(11,24)
9,68**
(8,30)
11,57**
(5,97)
3,20**
(22,28)
3,26**
(21,93)
Y061 -0,0003**
(-8,23)
-0,0005**
(-5,52)
-0,0002**
(-7,47)
-0,0002**
(-6,75)
-0,0001**
(-6,06)
-0,0001**
(-5,33)
-0,0003**
(-8,70)
-0,0004**
(-6,85)
-0,0002**
(-6,15)
-0,0001**
(-5,13)
Age -0,11**
(-5,82)
-0,21**
(-4,30)
Giov -0,04**
(-4,54)
-0,04**
(-3,73)
-0,11**
(-5,90)
-0,14**
(-4,58)
Vec 0,02*
(2,16)
0,007
(0,51) -0,09**
(-4,11)
-0,12**
(-3,41)
Ivecc 0,004*
(2,53)
0,002
(1,17)
Hausman 0,68 35,43 3,95 14,95
60,79
8,23
S.E.reg. 0,35 0,40 0,37 0,40 0,40 0,40 0,34 0,34 0,39 0,40
R2 0,46 0,28 0,40 0,38 0,29 0,28 0,50 0,48 0,31 0,30
Adj.r2 0,45 0,27 0,38 0,37 0,28 0,26 0,48 0,46 0,29 0,28