LA VIRGOLA giugno 2014 - numero unico

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Voci libere dal Munari numero unico giugno 2014 I numerosi movimenti, che in questi mesi stanno creando ten- sioni nel vecchio continente, mettono a dura prova quella che è l’idea di “Europa unita”, facendo sorgere non poche per- plessità e domande a riguardo. Ne sentiamo parlare in conti- nuazione, ne leggiamo sui gior- nali, ne parlano i media, ma: “Cos’è l’UE? Com’è nata? Cosa non sta funzionando?” Nell’im- mediato secondo dopoguerra la volontà di creare un’unione di carattere economico diede vita alla CEE (a cui aderì anche l’Italia): un patto fra sei nazio- ni volto ad una maggiore e più libera circolazione di denaro e merci all’interno dell’area pre- euro. Questi accordi commer- ciali posero le basi dell’Unione Monetaria Europea attuata solo nel 1999 con l’introduzione della moneta unica per tutti gli stati membri. Cosicché per la prima volta, nel 2000, gli Ita- liani hanno accolto l’euro nelle proprie case, illudendosi di es- sere diventati tutti, improvvisa- mente, Europei. Un entusiasmo effimero che ha lasciato presto il posto all’insofferenza quando ci si è resi conto che la strada per un’Europa unita era anco- ra lunga e incerta. Il fatto che si sia privilegiata l’unificazione economica a quella politica e sociale, ha fatto sì che il con- tinente odierno risulti diviso non tanto dai confini nazionali quanto dalle profonde differen- ze linguistiche, sociali e cul- turali presenti fra i vari stati. Senza contare che nella scelta di aderire a un’Europa più par- tecipata, di davvero partecipato ci sia stato ben poco. Continua in seconda pagina Ritengo che pressoché di tutto ciò che conosciamo e con cui ab- biamo a che fare al giorno d’oggi possiamo trovare il suo significa- to, le sue vere origini, nel passa- to, nella nostra storia più o meno antica; ciò non vuol dire esclusi- vamente la storia alla quale sia- mo subito spinti a pensare, ricca di imprese militari ed accordi politici, ma una più vicina a noi come singoli individui. Tornan- do indietro fino alle origini e alle prime fasi di evoluzione dell’uo- mo, possiamo vedere quanto la sua vita fosse simile a quella di un animale selvaggio, preda e predatore, gremita di responsa- bilità e pericoli, senza mai un momento di completa tregua o la possibilità di ritirarsi da quella frenetica corsa dove le sensazio- ni, le emozioni, erano autentiche, elementari ma potenti: la paura, l’eccitazione data dall’avventu- ra, la fuga da un leone nel cuore della notte. Potrebbe sembrarci strano ma noi, adesso, a quegli uomini, a quelli che erano co- stretti a fuggire come prede, tan- te volte quante noi scarichiamo musica da internet, siamo ancora molto legati. È scientificamen- te dimostrato che l’uomo vuole provare emozioni, ne necessita: il motivo per cui i film horror fanno successo, per cui lo han- no le droghe, la musica spinta, l’alcol ed altri innumerevoli vizi dell’uomo, compreso il consumi- smo, è questo. In fondo, il nostro cervello vorrebbe ancora provare quelle emozioni primordiali che ancora conserviamo nel nostro DNA, ma nella nostra civiltà moderna e tecnologica questo è molto difficile. Continua in seconda pagina LA FELICITÀ OGGI È POSSIBILE Alla conquista della libertà osannata da poeti e filosofi È stata una scommessa della professoressa Gazzarin e risale a 4 anni fa: impegnare i suoi allievi a scrivere degli articoli che potessero poi dare forma ad un giornale di classe. Mol- ti, come potete ben immagi- nare, erano gli scettici. Chi per un’avversità congenita nei confronti dell’Italiano, chi per l’eccessiva mole di lavoro che si prospettava… insomma di- versi erano poco entusiasti del progetto. All’inizio fu, dunque, quasi un’imposizione, ma poi Continua in ultima pagina UNA SCOMMESSA VINCENTE Dopo tre anni La virgola, voci libere dal Munari è il giornale dell’Istituto EUROFLOP In Europa dilagano i movimenti antieuro

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La Virgola - voci libere del munari Giornale del LICEO ARTISTICO Bruno Munari di Vittorio Veneto

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Voci libere dal Munari numero unico giugno 2014

I numerosi movimenti, che in questi mesi stanno creando ten-sioni nel vecchio continente, mettono a dura prova quella che è l’idea di “Europa unita”, facendo sorgere non poche per-plessità e domande a riguardo. Ne sentiamo parlare in conti-nuazione, ne leggiamo sui gior-nali, ne parlano i media, ma: “Cos’è l’UE? Com’è nata? Cosa non sta funzionando?” Nell’im-mediato secondo dopoguerra la volontà di creare un’unione di carattere economico diede vita alla CEE (a cui aderì anche l’Italia): un patto fra sei nazio-ni volto ad una maggiore e più libera circolazione di denaro e merci all’interno dell’area pre-euro. Questi accordi commer-ciali posero le basi dell’Unione Monetaria Europea attuata solo nel 1999 con l’introduzione della moneta unica per tutti gli stati membri. Cosicché per la prima volta, nel 2000, gli Ita-liani hanno accolto l’euro nelle proprie case, illudendosi di es-sere diventati tutti, improvvisa-mente, Europei. Un entusiasmo effimero che ha lasciato presto il posto all’insofferenza quando ci si è resi conto che la strada per un’Europa unita era anco-ra lunga e incerta. Il fatto che si sia privilegiata l’unificazione economica a quella politica e sociale, ha fatto sì che il con-tinente odierno risulti diviso non tanto dai confini nazionali quanto dalle profonde differen-ze linguistiche, sociali e cul-turali presenti fra i vari stati. Senza contare che nella scelta di aderire a un’Europa più par-tecipata, di davvero partecipato ci sia stato ben poco.Continua in seconda pagina

Ritengo che pressoché di tutto ciò che conosciamo e con cui ab-biamo a che fare al giorno d’oggi possiamo trovare il suo significa-to, le sue vere origini, nel passa-to, nella nostra storia più o meno antica; ciò non vuol dire esclusi-vamente la storia alla quale sia-mo subito spinti a pensare, ricca di imprese militari ed accordi politici, ma una più vicina a noi come singoli individui. Tornan-do indietro fino alle origini e alle prime fasi di evoluzione dell’uo-mo, possiamo vedere quanto la sua vita fosse simile a quella di un animale selvaggio, preda e predatore, gremita di responsa-bilità e pericoli, senza mai un momento di completa tregua o la possibilità di ritirarsi da quella frenetica corsa dove le sensazio-ni, le emozioni, erano autentiche, elementari ma potenti: la paura,

l’eccitazione data dall’avventu-ra, la fuga da un leone nel cuore della notte. Potrebbe sembrarci strano ma noi, adesso, a quegli uomini, a quelli che erano co-stretti a fuggire come prede, tan-te volte quante noi scarichiamo musica da internet, siamo ancora molto legati. È scientificamen-te dimostrato che l’uomo vuole provare emozioni, ne necessita: il motivo per cui i film horror fanno successo, per cui lo han-no le droghe, la musica spinta, l’alcol ed altri innumerevoli vizi dell’uomo, compreso il consumi-smo, è questo. In fondo, il nostro cervello vorrebbe ancora provare quelle emozioni primordiali che ancora conserviamo nel nostro DNA, ma nella nostra civiltà moderna e tecnologica questo è molto difficile.Continua in seconda pagina

LA FELICITÀ OGGI È POSSIBILEAlla conquista della libertà osannata da poeti e filosofi

È stata una scommessa della professoressa Gazzarin e risale a 4 anni fa: impegnare i suoi allievi a scrivere degli articoli che potessero poi dare forma ad un giornale di classe. Mol-ti, come potete ben immagi-nare, erano gli scettici. Chi per un’avversità congenita nei confronti dell’Italiano, chi per l’eccessiva mole di lavoro che si prospettava… insomma di-versi erano poco entusiasti del progetto. All’inizio fu, dunque, quasi un’imposizione, ma poi

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UNA SCOMMESSA VINCENTEDopo tre anni La virgola, voci libere dal Munariè il giornale dell’Istituto

EUROFLOPIn Europa dilaganoi movimenti antieuro

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Continua dalla prima paginaEcco perché affolliamo i centri commerciali e le discoteche, perché cerchiamo di riempire un vuoto ma nel modo sbagliato.La grandissima maggioran-za delle azioni che compiamo giornalmente sono dettate dal nostro subconscio, in particola-re dalla zona del cervello chia-mata cervelletto, questo vuol dire che per la maggior parte della nostra vita ripetiamo in modo quasi del tutto involon-tario le stesse medesime azioni dettate da esso, ovvero da ciò a cui siamo abituati, che abbiamo immagazzinato e tiriamo fuo-ri ogni qualvolta è necessario.Questo perché è molto più fa-cile non impegnarsi, non usci-re dagli schemi, conservare la situazione attuale, al massimo lamentandosi se le cose non vanno come si vorrebbe. Per fortuna esiste la controparte: il nostro lobo frontale responsabi-le del desiderio di cambiamen-to, di emozioni, di uscita dai soliti canoni a cui siamo abitua-

ti e di media, purtroppo, nella nostra società, poco sviluppato; ma basterebbe forza di volontà per cominciare ad utilizzarlo almeno in buona parte, per non correre al centro commerciale a vedere le nuove collezioni, ma per uscire nella natura e goder-si quella rimasta, per viaggiare, per scoprire. Solo così saremo in grado di al-lenare quella parte del cervello che a sua volta rilascerà endor-fina ed altre sostanze responsa-bili nell’uomo della sensazione di piacere, altrimenti definito benessere, la risposta scientifi-ca alla domanda su cosa siano le emozioni.Certamente più facile a dirsi che a farsi, soprattutto quan-do è molto più semplice e ve-loce lasciarsi trascinare fino a scavarsi un solco circolare nel terreno come nostro percorso di vita, con scelte sempre più complicate da prendere e mo-notonia sempre più opprimente, ma non di certo impossibile, non quando sappiamo che ne

vale della nostra felicità. Senza cadere nel solito discorso di un controllo generale della società, questo sarebbe il modo per fug-gire da quello stato di catalessi concepito per l’uomo moderno e nel quale siamo dentro fino al collo; sarebbe quella libertà tanto osannata da poeti e filo-sofi, perché la felicità totale

non può derivare dalla politica, dalla comunità, non quella di tutti almeno, ma da noi stessi, noi come individui, abbiamo il sangue umano che scorre nelle vene, il sangue di un animale dotato di grandi talenti e poten-zialità: approfittiamone.

Guglielmo Turbian

Continua dalla prima paginaPer quanto riguarda l’Italia e altri paesi dell’Unione, infatti, la scelta di aderire all’euro fu presa principalmente da tecnici, contro l’opinione di numerosi economisti, ma soprattutto non coinvolgendo la cittadinanza. Non bisogna forse creare il cittadino, prima di costruire la nazione? Siamo davvero certi che i cittadini Italiani, Tedeschi, Spagnoli avessero già maturato quella consapevolezza d’insie-me, necessaria per diventare cittadini Europei? Basti pensa-re che nelle uniche due nazioni dove c’è stata questa possibilità di scelta, avendo indetto un re-ferendum consultivo, il popolo si è espresso fortemente in con-trasto con questa possibilità.Qualcuno potrebbe obbiettare che comunque, seppure vacil-lante, un passo avanti per con-solidare un’identità Europea è stato fatto. Le recenti elezioni

per rinnovare il Parlamento eu-ropeo del 25 maggio sembrano averci avvicinati un po’di più a Bruxelles, rendendoci più partecipi di questa neo-politica sovranazionale. Seppure bar-collando ci si avvicina all’obiet-tivo, si cerca di creare adesso questo sentimento collettivo di partecipazione che si dava per-duto. Meglio tardi che mai!Non è così semplice. È suf-ficiente spostare l’attenzione sul Mediterraneo per subito ri-cordarsi che qualcosa è andato storto. Della Grecia non si parla più: scomparsa dai riflettori e dalle memorie. Invece la Grecia c’è ed è più in crisi che mai, con un debito pubblico esorbitan-te in continua ascesa e guidata da un governo frustrato e iner-me, che cerca di far fronte a un sentimento nazionalista sempre più diffuso fra i giovani e la classe medio – bassa. In piazza abbondano ancora gli slogan: ‘‘No all’euro. No all’Europa’’e non c’è da stupirsene. Anche la Spagna non naviga in acque

tranquille e deve far fronte agli stessi problemi: disoccupazio-ne giovanile, insoddisfazione generale, emigrazione, tracollo dell’economia interna, ma so-prattutto un rancore anti-euro-peo sempre più diffuso. Un mal di pancia generale che trova il capo espiatorio in Bruxelles e favorisce l’ascesa di partiti ra-dicali come l’Izquierda Unida, promotori di una campagna anti - euro. Nella fascia mediterra-nea ci troviamo anche noi ita-liani, invasi quotidianamente da migliaia di sbarchi clandestini e costretti a far fronte da soli ad un problema sostanzioso quan-to oneroso, senza nessun aiu-to; da un’Europa che dovreb-be aiutare si finisce per essere multati, per le gravi condizioni in cui versano i centri di acco-glienza di Lampedusa e Mineo, ormai allo stremo delle forze e delle risorse. In Italia le volontà di uscire dall’euro sono portate avanti dalla Lega Nord e dalla dibattuta figura di Beppe Gril-lo con il M5S, volontà causate

e sostenute soprattutto da una situazione interna sempre più critica. Perché in tutta Europa, partiti, anche morfologicamen-te diversi per tendenza politica, si battono per uno scopo comu-ne? Da cosa sono spinti? È inu-tile abbandonarsi a dietrologie quando la risposta è semplice: la paura. Il crollo della Grecia ha forse aperto gli occhi su quei nuovi scenari europei che pos-

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LA FELICITÀ OGGI È POSSIBILE

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sono prospettarsi e ha messo in luce quelli che sono i limiti della moneta unica. Con l’ado-zione dell’euro ci si è trovati a dover delegare all’Europa il controllo dell’emissione di mo-neta che rappresenta da sempre lo strumento più efficace per controllare il debito pubblico e domare l’inflazione. Privi di questo privilegio, i paesi sovra-ni si sono trovati in balia del-

le borse internazionali e della fiducia degli investitori che si detti una politica in funzione delle esigenze di mercato e non viceversa.Certo, i rischi di una uscita dall’euro non sono pochi: le spese a cui dovrebbe far fronte il nostro Paese aumenterebbero conseguentemente all’aumento del costo delle materie prime, poiché non si riuscirebbe a sod-

disfare il fabbisogno interno. Inoltre i grandi interessi delle lobby, legati ad una politica di questo genere, causerebbero senz’altro una serie di sanzio-ni economiche; senza contare che non si potrebbe fruire delle molte comodità e servizi che l’UE offre ai Paesi membri. Sarebbe necessario dunque ri-lanciare le nostre imprese par-tendo dall’artigianato e dalla produzione dei beni di lusso. Sarebbe opportuno rinforzare il sistema per la lavorazione di materie prime in modo da ri-durre il dislivello tra domanda e offerta per poi rilanciare la moneta con una svalutazione competitiva.Così si potrebbe far fronte alla fuga dei cervelli e manodope-ra italiana all’estero; infatti, si verrebbero a creare numerosi posti di lavoro, nei quali i gio-vani possano trovare una via sicura per il futuro, ribaltando quell’idea di Italia vecchia che ad oggi impera. Tale rivoluzio-ne dal punto di vista economico

potrebbe coinvolgere tanti altri settori dando voce a molte idee che ora sono considerate uto-piche. Capire se sia più giusto mantenere l’euro o “abolirlo” non è dunque cosa facile. Biso-gna affidarsi al proprio senso di appartenenza ad una comunità e operare una scelta prima di tutto personale. Da paese de-mocratico qual è l’Italia sulla carta, si dovrebbe ascoltare la voce del popolo, unica gran-de forza in grado di scegliere riguardo al suo futuro, propo-nendo inchieste , referendum consultivi e agire al più presto. Le tante incertezze e indecisio-ni che stanno stanno alla base della nascita di movimenti anti euro possono diventare la base per un’Europa più utile, equa e consapevole che si impegni a creare un sentimento, prima che una moneta. Solo così si potrà garantire fiducia e stabili-tà ad un futuro imminente, spe-riamo migliore.

Matteo Da Frè, Eros Basei

UOMO & NATURAUna riconciliazione ancora possibile?Uomo e Natura, un rapporto che dura da milioni di anni. Chi è una minaccia per chi? Da che parte schierarsi? È forse misan-tropia schierarsi a favore della Natura? “Se sei così convinto che l’uomo sia un nemico e una minaccia per la natura perché non ti uccidi?” “Perché uccider-si quando è possibile vivere in armonia con essa senza recarle danno?” Questo potrebbe essere un dialogo tra una persona co-mune ed una ambientalista.Da una parte un illuso senti-mento di superiorità, dato dal fatto di essere la specie domi-nante sul pianeta, dall’altra un sentimento di adattamento e condivisione. La Natura ci ha sempre dato moltissimo: sin dall’alba della vita dell’Uomo avevamo a disposizione risorse vastissime ed inimmaginabili regalate senza nulla in cambio, forse solo con la condizione di dover imparare da soli, a nostre

spese, con l’esperienza, come utilizzare questi doni. Tutti questi ragionamenti li abbiamo realizzati ricorrendo al nostro cervello che, grazie alla Natura dell’evoluzione, ha raggiunto uno stadio superiore rispetto a quello di tutte le altre creature presenti sul pianeta. Non è que-sto un lampante fatto che l’Uo-mo stesso fa parte della Natura, allo stesso modo in cui ne fan-no parte gli altri animali? Già miliardi di anni fa la futura e momentanea presenza dell’Uo-mo era stata scritta nella vita del nostro pianeta.La razza umana è stata grazia-ta dell’evoluzione. La Natura stessa ha fatto in modo che que-sta specie di scimmia evoluta arrivasse, un giorno, in cima alla catena alimentare, non gra-zie a denti e zanne affilate o corazze impenetrabili ma ad un cervello che potesse inventare ed elaborare ciò che all’uomo

mancava ovvero ciò che la Na-tura stessa aveva negato a lui ma non agli altri animali meno evoluti. Siamo giunti, grazie al nostro cervello, ad essere la specie dominante, siamo giun-ti ad elaborare pensieri a cui, senza il dono dell’evoluzione che la Natura ci ha dato, non saremmo mai potuti, nemmeno lontanamente arrivare. È gra-zie a questo supercervello che l’Uomo ha stabilito di essere superiore alle altre creature e a tutto il resto del pianeta. Con

questo ragionamento ha, me-taforicamente, morso la mano che lo nutriva, iniziando a sfi-dare la Natura in una gara alla sopravvivenza. La razza umana è entrata in una fase di disillu-sione: ogni essere umano pen-sa: “Questa è la mia era, la mia epoca, il mio momento e faccio ciò che ritengo giusto per me.” L’Uomo ha deciso di annienta-re ecosistemi ed equilibri natu-rali per soddisfare i suoi frivoli bisogni.

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Ogni anno molti criminali vengo-no arrestati in tutto il mondo, ma solo in alcuni Stati rischiano la pena di morte. In Italia la Costitu-zione afferma che: “Le pene non possono consistere in trattamen-ti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato. Non è ammessa la pena di morte.”[art. 27]. Capia-mo, dunque, che i detenuti hanno diritto ad una seconda possibilità, anche grazie al reinserimento, ma soprattutto che la morte e la tortura sono ritenute inutili e di-sumane, nonostante altri Paesi le pratichino ancora.Quando un detenuto esce di pri-gione dovrebbe avere già speri-mentato dei lavori socialmente utili per rendersi conto che non sempre bisogna arrivare ad ucci-dere, rubare o infrangere le leggi per ottenere qualcosa e per esse-re considerati. Non sempre però chi viene liberato viene accettato dalla propria comunità; ne è un drammatico esempio il racconto di Eugen Wiesnet, che ricorda l’esperienza di un ragazzo di di-

ciannove anni, Hans K. che, ritor-nato dal carcere minorile dopo tre anni di detenzione, venne rinne-gato dal suo villaggio di origine. Egli quindi si impiccò per dispe-razione dopo sei settimane. Dalla sua lettera di addio: «Perché gli uomini non perdonano mai…!»”, possiamo capire come sia doloro-so il ritorno alla vita normale dopo una pena carceraria e quando i pregiudizi pesino su una perso-na. Molti arrivano al suicidio per i sensi di colpa per ciò che hanno compiuto o per non essere ac-cettati nuovamente dalla propria gente, perché quest’ultima vede esclusivamente il delinquente che è appena uscito di prigione e non l’uomo. Possiamo dire quindi che non bisogna mai rinnegare una persona per i pregiudizi sul suo passato, ma bisogna valutare se la detenzione sia stata favorevole a un percorso di cambiamento e, se questo è avvenuto, è opportuno dare un’altra possibilità di riavere una vita normale.

Serena De Biasi

Ritengo che la pena di morte sia un metodo sbrigativo per risol-vere i problemi causati da un individuo. I dati dimostrano che negli stati in cui essa è ancora presente i reati non sono dimi-nuiti, e perciò non è neanche così utile a dissuadere le per-sone dal commetterne. Infatti, fa quasi più senso pensare di dover passare venti, trent’an-ni in una cella a non far nulla, che non il pensiero della morte stessa. Nemmeno la strada della tortura è una giusta via, perché non aiuta l’uomo a capire dove ha errato, ma solo a ricevere, in cambio di ciò che ha commesso, del dolore fisico.Non si può neanche essere certi che questo non peggiori la si-tuazione, andando a creare nel condannato ulteriore rabbia e predisposizione alla vendetta

violenta. Per queste ragioni, cre-do che non si possa rispondere alla violenza con altra violenza, perché si crea un circolo vizio-so basato sugli istinti più bassi dell’uomo, che non è più in gra-do di riportare pace e benessere, ma solo terrore e sgomento. Dal 1948 in Italia la pena di morte è stata resa illegale; la Costituzio-ne all’articolo 27 dichiara: “Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso dell’umanità e devono tendere alla rieducazione del condan-nato. Non è ammessa la pena di morte.”Il percorso di rieduca-zione del condannato è espres-sione di modernità e di senso civico, dentro e fuori la realtà carceraria. L’insegnamento di principi morali ed etici, l’istru-zione, la tensione verso il bene collettivo e la predisposizione

a fare delle buone azioni sono solo alcuni esempi di ciò che andrebbe re-insegnato al de-tenuto. Fare in modo che egli impieghi le sue ore in modo costruttivo, che impari un me-stiere, che venga istruito: sono passi importanti per la sua rina-scita. Certo è un percorso impe-gnativo, che richiede soprattutto fiducia e disponibilità. Sarebbe molto più semplice eliminare subito il problema, strappando-gli via la vita! Ognuno di noi merita una seconda possibilità e il riconoscimento dei propri diritti naturali; inoltre un indi-viduo ha bisogno di essere in-tegrato nella società da cui era stato allontanato. Il carcere, senza una fase di ri-educazione, non è utile. Talvolta capita che vadano riviste alcune pene, per-ché dopo un certo numero di

anni passati in una cella, se sono troppi, una persona finirà con l’essere distrutta, invece che ri-costruita. Se una persona entra in galera a vent’anni ed esce a quaranta, senza uno straccio di lavoro, né una famiglia, proba-bilmente tornerà a fare una vita tesa all’illegalità. Se invece al condannato viene data una cul-tura, insegnato un mestiere, ma-gari offerto un posto di lavoro una volta uscito dal carcere, ci sono molte più possibilità che decida di abbandonare la vita da delinquente per dedicarsi ad un’attività produttiva all’interno della società, con qualche spe-ranza in più.Questo è il compito di uno stato moderno che tenda verso il pro-gresso e la costituzionalità.

Alice De Zorzi

NELLA VITA È POSSIBILE CAMBIAREPena di morte o rieducazione del condannato? Un dibattito ancora in atto

PENA DI MORTE E TORTURA: LA VERA SOLUZIONE?

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LA CITTÀ GABBIADal nostro “inviato” a MilanoImmagino dolci e luminose come astri, le lacrime di Lucia Mondella quando nel brano “Addio ai monti” ne “I Promes-si Sposi”, saluta con amorevole sconsolatezza il paese natale, mentre se ne sta allontanan-do per sfuggire al potente don Rodrigo. Il capolavoro manzo-niano è sempre attuale e a di-mostrarlo è anche la trattazione del binomio città-paese; per lo scrittore la prima è infatti moti-vo di tumulti, violenze e disor-dine, mentre il secondo gode di impagabile quiete e serenità. Ebbene, come avrete dedotto dal titolo, seppure sia palese che io non stia vivendo nella Milano neoclassica ove visse Manzoni e meno che meno in quella seicentesca vituperata dal potere spagnolo dove lo scrittore ambientò il suo ro-manzo, sento di poter ratificare con le dovute modifiche il suo verdetto: la città è una gabbia d’ansie!Con ciò non voglio assoluta-mente affermare che le persone residenti in campagna non sia-no soggette alle stesse ansietà, ma che il modus vivendi del cittadino è ancor più asfissian-te. Viviamo una realtà in cui i tempi di attesa devono essere sempre più centellinati, proprio per il sentimento di repulsione che proviamo per la stessa pa-rola attesa; “non abbiamo più dodici miseri minuti da dedica-re a cuocere il riso nella pento-la, e allora per farci risparmiare tempo è stata realizzata una ver-sione di riso che si prepara nel forno a microonde in soli due minuti”. Siamo guidati dall’on-da dell’immediatezza non sen-za essere completamente indif-ferenti a ciò che ci circonda.Ma come possiamo trovare la feli-cità fra tanto sgomento? Come possiamo riconoscere la felicità in una società che valuta un si-mile dato ricorrendo all’inscin-dibile legame per cui una mag-giore ricchezza corrisponde ad una maggiore serenità? Lascio

a voi svelare simili arcani. Come disse Robert Kennedy alcune settimane prima del suo assassinio in un discorso in pie-na campagna presidenziale: “Il Pnl misura tutto, tranne quello che rende la vita degna di esse-re vissuta”. La sudditanza del cittadino a tempi di vita sem-pre più dettati dalla frenesia, fa ineluttabilmente scaturire delle conseguenze che rendono l’in-dividuo sempre meno libero e, al contrario, sempre più impan-tanato nella sua inquieta e inar-restabile attività di produzione. Questo frena la possibilità del singolo di poter migliorare se stesso poiché egli non sa più come ritagliare, all’interno del-la sua giornata, dello spazio per il proprio arricchimento cultu-rale. Sarà incredibile, ma gli antichi Romani, durante le loro attività private, contemplava-no l’idea di otium (non inteso nella maniera negativa in cui lo pensiamo noi oggi), ovvero il piacere dell’accrescimento co-noscitivo, che sarebbe stato uti-le, oltreché per loro stessi, per il bene della società e del mon-do. L’uomo moderno vive sulla sua pelle un’ansia che sovente fatica a giustificare. Cerca di lenire il suo malessere attra-verso una vita parallela online, capace invece di renderlo ancor più angosciato e vittima del suo stesso desiderio di accettazio-ne, facendo valere sopra ogni cosa il primato dell’Ego poiché incapace di agire “per altro che per se stesso”.La civiltà, descritta dal filosofo Emil Cioran come una pazzia e un male che l’uomo inflisse a se stesso e che vorrebbe a sua volta far provare a quelli che fino ad ora vi sono fuggiti, ci addita, ci pungola con le sue velleità più subdole, pronta a gravare su ognuno di noi.Se non siete ancora pronti a tutto questo, non aspettate di restarne obnubilati!

Enrico Nadai

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RICONQUISTARE PER DIFENDEREAl lavoro servono nuove regoleIl termine “lavoro” racchiude in sé molteplici significati, più o meno oggettivi e ben conosciuti da tutti. L’idea che si associa più frequentemente a questa parola ricade nella sfera professionale intesa come la fase nella quale l’essere umano è chiamato a cercare un mezzo di sostenta-mento per la propria sopravvi-venza cioè lavorare. Nel corso dei secoli la progressiva distin-zione sociale, dovuta alla nasci-ta della classe imprenditoriale e di quella operaia, composta da poveri lavoratori disposti a pra-ticare faticose attività per una retribuzione, ha segnato una profonda spaccatura tra le due componenti del sistema produt-tivo. All’inizio l’unico rapporto tra il datore di lavoro e il dipen-dente era solo il lavoro stesso, l’attività svolta, non esisteva un contratto, nato e impostosi poi, nel corso dell’Ottocento e Novecento. Questa stipulazio-ne voluta soprattutto dalla clas-se operaia, cominciò a fornire diritti, sicurezze e certezze. Al giorno d’oggi la società occi-

dentale si è evoluta molto dal punto di vista dei diritti lavora-tivi e di leggi che ne regolano il funzionamento economico, garantendo coperture assicura-tive in caso di infortunio, strut-ture adeguate alle pratiche la-vorative, ma imponendo anche molta burocrazia; tante regole che, se da un lato forniscono diritti per la collaborazione tra datore e operaio, dall’altro li-mitano la pratica lavorativa in sé. Ciò significa che la spesa utile alla produzione, viene ap-pesantita da fiumi di inchiostro e carta stampata. Per esempio è palese il fatto che oggi per un imprenditore è più costoso as-sumere e mantenere un dipen-dente rispetto all’entrate che grazie a lui riceve. In pratica si è passati dalla totale assenza di diritti e regole ad un’eccessiva burocrazia che impone, limita, costringe il sistema produttivo in una morsa mortale. Il lavoro va riconquistato, proprio par-tendo da questo aspetto: cam-biando regole e garanzie, tro-vando un giusto equilibrio che

riporti l’uomo, imprenditore ed operaio, a concepire l’attività professionale come qualcosa di positivo. Difatti nel corso degli anni, l’ambiente lavorativo è apparso a molti come contro-partita della schiavitù, e in tanti si sono arresi a percepire sala-ri indecenti pur di lavorare. Il lavoro a poco a poco ha preso il sopravvento su tutto, ha su-bordinato la società, la quale, non potendone più fare a meno, ha finito per schiacciare quella forma di libertà necessaria per coltivare ogni sorta di svago ed evasione utili all’essere umano. Il periodo di crisi mondiale, che anche l’Italia vive, abbatte an-cor di più l’intraprendenza del cittadino, sempre interessato ad una riforma consapevole delle regole lavorative. I dati forniti dal rapporto ISFOL, in base al quale sembra che il 20% de-gli occupati italiani ritenga di svolgere mansioni che utiliz-zano solo parzialmente le sue competenze, sono un segnale forte del fatto che il dipendente sia disposto a lavori in campi

ai quali non appartiene pur di non patire la fame. Un’alterna-tiva, come fornisce il medesi-mo rapporto per contrastare la crescita del mercato lavorativo, consiste nel conciliare i meriti con le opportunità professiona-li. Un dato allarmante è anche il numero delle fabbriche italiane e occidentali che si spostano all’estero, verso oriente dove le condizioni di salute e sicurezza connesse al lavoro sono quasi inesistenti. Meno diritti e meno sicurezza garantiscono un bas-so costo di produzione! Ma non è possibile dunque, fornire diritti, sicurezza e salute ad un prezzo sostenibile che garanti-sca la pratica lavorativa? Biso-gna riflettere sui pro e i contro, prima di schierarsi a favore del-le sicurezze o dei profitti. Serve dare una speranza a cittadini e lavoratori, garantendo loro un futuro equamente bilanciato tra diritti e opportunità, valori e certezze … a questo punto da ritrovare e difendere.

Eros Basei

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“Muratore di 48 anni perde il lavoro e si impicca”: questo è ciò che lessi tempo fa durante il tragitto mattutino casa - scuo-la. Non è la prima volta tuttavia che si leggono notizie del gene-re nelle locandine esposte fuori dalle edicole, anzi, la cosa è di cadenza quasi giornaliera, così la famosa domanda: “Perché si è suicidato?” trova risposta nell’altrettanto famigerata frase: “È colpa della disoccupazione”, ovvero la mancanza di lavoro.Ciò è paradossale se pensia-mo all’articolo 1 della nostra Costituzione, il quale recita che “L’Italia è una repubblica democratica fondata sul lavo-ro”; ed ecco la discrepanza: un Paese che si basa su ciò che in realtà non c’è: il lavoro non è più sicuro. Per porre rimedio a tale problema è innanzitutto ne-cessario individuarne le cause.Analizzando la parola “sicu-rezza” si comprende il suo du-plice significato: tutela della salute - da un lato - e garanzia dall’altro, garanzia del lavoro appunto. Ed è proprio quest’ul-timo che viene a mancare oggi, specialmente per i giovani come sono io, che in diverse

occasioni ho avuto modo di sentire tanta sfiducia per quanto concerne il lavoro in discorsi i quali dicevano che non var-rebbe la pena intraprendere una professione per la quale non c’è interesse, attitudine e preparazio-ne scolastica.L’Italia è fortunatamente ricca di figure altamente qualificate come: medici, ingegneri, tecni-ci che, però, non trovano alcun impiego per il quale hanno de-dicato anni di studio e denaro; anche questo è un altro para-dosso, in quanto la Repubblica stessa riconosce il diritto ad ogni cittadino di svolgere la professione che preferisce, pro-muovendo le condizioni affin-ché ciò accada. Per riassumere il tutto useremo una uguaglian-za: sfiducia dei giovani sulle possibilità di lavoro offerte dal paese, più bassa retribuzio-ne, più alto livello di istruzio-ne uguale a “fuga di cervelli” all’estero.Se la preoccupazione dei gio-vani è trovare una professione che sia appagante e che rispon-da alle proprie esigenze/pos-sibilità, per quanto riguarda la fascia d’età che va dai 30 anni

in su, le preoccupazioni sono altre, come l’avere un lavoro in base ad un contratto a tem-po indeterminato che permetta uno stipendio dignitoso e sicu-rezza. È proprio quest’ultima, intesa come tutela della salute sul luogo del mestiere, che ri-sulta un fattore preoccupante in quanto è successo diverse volte che più operai siano deceduti a causa della mancanza di attrez-zature adeguate; per far fronte a tale situazione lo Stato, me-diante l’Ispettorato del lavoro, controlla che le attività siano a norma e quindi idonee allo svolgimento delle mansioni; così grazie a queste ispezioni il numero di infortuni è calato, ma lo stesso governo non finan-zia né l’azienda - la quale deve pagare un’assicurazione - né lo sviluppo di nuovi mezzi tecno-logici volti a limitare gli inci-denti sul lavoro.Il sottoscritto, per esperienza personale è a conoscenza che un’azienda è stata sanzionata dallo Stato perché non a nor-ma - il che è cosa giusta - ma il proprietario, non avendo la disponibilità economica, né per pagare tale multa, né per rende-

re idoneo il luogo di lavoro, ha dichiarato il fallimento, licen-ziando gli operai. E quindi di-soccupazione. Il circolo vizioso ricomincia.Vorremmo fare ancora una ri-flessione su quello che secondo noi è il migliore investimento sul quale puntare per quanto riguarda il lavoro in Italia: il settore artistico che, infatti, ha donato splendore e ricchezza culturale al Paese, a tal punto da essere primo nella classifica mondiale dell’UNESCO. Basti pensare alle brillanti menti di pittori, scultori, compositori, musicisti… tutte professioni che stanno scomparendo per fare spazio a quelle tecnico-informatiche, perché queste ultime sono più richieste e con-siderate più utili alla società. Si ritiene tuttavia che la soluzione migliore sia unire l’utile al di-lettevole , ossia unire le arti con la tecnica: Da Vinci, Palladio, Cristofori … tutte persone che coniugarono tali competenze e che contribuirono così al pro-gresso mondiale.È forse un caso che la moda e il design italiano siano così ri-nomati nel mondo? Siamo con-sapevoli che il lavoro creativo richieda investimenti econo-mici, che rendono tali profes-sioni ardue da intraprendere.. ma, come si è visto accadere in passato, con l’ingegno tutto è possibile.

Mattia Pizzaia

S O C I E T ÀGiugno 2014 La Virgola | 7

LAVORO: DIRITTISICUREZZA E CREATIVITÀPuntare sul settore artistico per uscire dal circolo vizioso

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S O C I E T ÀNumero unico8 | La Virgola

“Quella in carcere non è vita, sei lontano dagli affetti, sdraia-to su una brandina a guardare il nulla. In carcere una persona si fa tanti pensieri, dai più radiosi ai più cupi, pensi a come fartela passare giorno per giorno, io mi sono dedicato alla palestra, for-tunatamente il mio compagno di cella era un ragazzone tutto muscoli. Ogni giorno facevamo esercizi, per tenerci in forma e far passare le ore, in cella il tempo si ferma, e quando si fer-ma i pensieri ti assalgono e ti tolgono la lucidità, per soprav-vivere bisogna essere positivi e con la testa sulle spalle.Molte volte mi sono detto: “ La mia vita è finita, ora cosa fac-cio, cosa farò?”. Mi sono fer-mato spesso a pensare al perché della mia reclusione, al perché mi sono comportato cosi. Mai e

ripeto mai, mi sarei aspettato di commettere una cosa così nella mia vita, sono passati un po’di anni ma il passato non si can-cella. Il carcere mi ha aiutato a essere l’uomo che sono, si su-pera tutto nella vita, si sbaglia, si paga e si impara la lezione. Io sono migliorato, e mentre te ne parlo come vedi sorrido, perché io in carcere mi sono trovato bene. Ne ho passati due ma in tutti e due non ho avu-to problemi, tra i carcerati c’è molta solidarietà, se ti compor-ti bene, vivi tranquillo, se sei iperattivo, sbruffone o attacca-brighe sia con i compagni che le guardie e arrivi alla mani, rischi di finire in isolamento os-sia una prigione nella prigione. Ci puoi restare anche per setti-mane e da quello che ho visto e sentito non è una bella cosa. In

molti vedono i secondini come bestie, persone in divisa che sbattono il manganello contro le sbarre per incutere timore, la gente ha l’idea del carcere sba-gliata, legata ai film e alle dice-rie dei mass media. Nei carceri in cui sono stato io non c’era il sovraffollamento, non si face-va la doccia nudi tutti insieme, queste sono tutte fantasie di gente che non sa.Il messaggio che voglio far pas-sare è quello di pensare prima di agire, la vita è una ragazzi, pensate bene alle conseguenze

delle vostre azioni, tirare anche solo un pugno ad una persona nel posto sbagliato comporta la morte. Avrete spezzato una vita, una cosa che non potre-ste mai cancellare dalla vostra testa. Scontare una pena per omicidio o qualsiasi altro reato compromette i rapporti inter-personali e dà un idea di voi sbagliata perché sarete etichet-tati a vita per il reato per cui siete stati incriminati. Nessuno ha mai detto che la vita è una cosa facile, non complicatevela però”.

IL CARCERE RACCONTATO DA UN EX DETENUTOTestimonianza raccolta da Federica Ricchiuti

È davvero impossibile pensare che l’intera umanità si possa sottomettere ad un potere au-toritario e dispotico? Tale do-manda iniziò ad essere motivo di discussione tra i sociologi durante la seconda metà del No-vecento in seguito all’obbedien-za di massa all’interno di quegli Stati in cui si svilupparono le idee nazi-fasciste. Non furono, infatti, solamente i gerarchi na-zisti ad obbedire al comando di sterminio contro ebrei, zingari e omosessuali dato da Hitler (senza dimenticare, però, anche i gulag sovietici), ma gran parte della popolazione tedesca, che si caratterizzò per una forma omertosa di negazionismo. In particolare, il processo al gerar-ca Adolf Eichmann fece sorgere dei dubbi sulla sua effettiva cru-deltà e consapevolezza. Come fa notare Hannah Arendt nel

saggio “La banalità del male. Eichmann a Gerusalemme”, du-rante questa discutibile udienza emerge la personalità mediocre dell’uomo in questione e ciò che più sorprende é la sua ba-nale “normalità”. É proprio in questo quadro di normalità che l’esperimento Milgram viene effettuato. L’idea dell’esperi-mento nasce negli anni ‘60, dopo il processo Eichmann, per rispondere alla domanda iniziale sull’indole sottomissi-va dell’uomo sociale. L’esperi-mento si basava sulla presenza del “ricercatore” rappresentati-vo della figura autorevole della scienza, dell’“insegnante”, il quale, reclutato tramite un an-nuncio, doveva punire median-te scosse elettriche simulate l’“allievo”, un attore complice, qualora non avesse fornito la risposta esatta. Il risultato scon-

volgente fu che una percentuale elevata di coloro che dovevano provocare le scosse, credute vere e dolorose, continuarono a infliggerle, sotto le incitazioni del “ricercatore”, nonostante le suppliche da parte degli attori-vittime. Il risultato fu giustifi-cato dal fatto che la presenza di una figura autoritaria portava i partecipanti a non sentirsi più dei SOGGETTI moralmente coinvolti, ma solamente degli STRUMENTI che eseguivano un ordine. L’obbedienza dimo-strata dagli “insegnanti” fu col-legata al sistema educativo che induceva al rispetto dell’autori-tà e degli accordi stipulati con la medesima. Si notò, inoltre, che il grado di obbedienza cambia-va sensibilmente in base alla distanza dall’autorità e dalla vit-tima in questione. Ciò ci può far comprendere come sia possibile

una certa indifferenza al male altrui se si è adeguatamente lon-tani, da sentirsi non coinvolti. Questo può rispondere in parte alla questione di come i cittadi-ni tedeschi e italiani, durante la seconda guerra mondiale, non si siano “accorti” di quello che stava succedendo.

Arianna Rusalen

LA NORMALITÀ DEL MALEL’uomo comune: uno strumento in mano all’autorità

Ars Disputandi

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La storia insegna molte cose e la prima tra queste è, senza dubbio, l’applicazione del teo-rema fisico per il quale ad ogni azione corrisponde una reazio-ne uguale e contraria. In svaria-te situazioni si è constatato che tale principio ha una validità che spazia dall’ambito fisico-scientifico all’ambito umano, quello dei rapporti interperso-nali. È su questo concetto che l’idea espressa da Fritjof Ca-pra, ne “La rete della vita” del 1997, si basa. Capra sostiene, riferendosi alle sue esperienze in campo fisico, che le prati-che distruttive a lungo termine falliscono, paragonandole alla creazione delle prime cellule nucleate, che non fu una lotta di competizione, ma un pro-cesso graduale fatto di coope-razione tra le varie parti della

molecola. Esempi lampanti di questa affermazione sono i ‘re-gimi totalitari’della prima parte del Novecento. Hitler, Lenin e poi Stalin, ma anche lo stesso Mussolini, furono i portatori di un messaggio d’odio, lo stesso che condannò a morte milioni e milioni di persone nei campi di sterminio. Tali regimi, proprio per la base di violenza su cui si fondavano, finiranno per esse-re annientati dall’intervento di forze interne ed esterne.È impossibile pensare che l’in-tera umanità si sottometta alle direttive di personaggi dispo-tici, stolti e senza riguardo per le classi meno agiate, i quali si concentrano a rafforzare lo sta-to per sottomettere le masse.Anche in altre situazioni, come nel caso delle relazioni affettive, atteggiamenti dispo-

tici e possessivi nei confronti dell’altro minano alle radici il rapporto, perché l’Amore, in particolare, si basa sul valore di uguaglianza tra i due partner che in collaborazione tentano, passo dopo passo, di costruire la loro vita insieme, superando le avversità nel loro cammino.Penso che questo principio, per quanto banale possa sembra-re, abbia una valenza davvero ampia. Sostengo, infatti, che una delle caratteristiche più negative di questo mondo sia l’assenza di collaborazione per la risoluzione dei problemi e la tendenza ad anteporre a tutto i propri conflitti interiori, avven-tandosi e accanendosi su cose e persone, come un cacciatore fa con la propria preda.

Diego Zanette

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Il suicidio per crisi economica è uno dei tanti avvenimenti che oggi fanno accapponare la pel-le. L’hanno trovato nella sede della sua azienda impiccato il 13 febbraio 2014. L’editore padovano Giorgio Zanardi, 73 anni, titolare di un grosso stabi-limento nella zona industriale di Padova, ha deciso di suicidarsi in seguito all’accumulazione di debiti contratti nella sua azien-da, una delle più importanti nel campo dell’editoria. L’azienda, nata a Padova negli anni Ses-santa, è cresciuta inglobando e collaborando con molte al-tre aziende del Nord Est fino a trasformarsi nel Gruppo edito-riale Zanardi. Giorgio Zanardi lascia la moglie, due figlie e i

dipendenti dell’azienda, molti in cassa integrazione. Infatti, dei 300 dipendenti originari, sono rimasti a lavorare effetti-vamente circa 110. Secondo il report presentato da Link Lab, il Centro studi e ricerche socio-economiche della Link Campus University, nel 2013 sono stati 149 i suicidi causati dalla crisi economica: uno ogni due giorni e mezzo. Nel 2012 i casi erano stati uno ogni quattro giorni. Quasi la metà delle vittime appartiene alla classe impren-ditoriale, il 40 per cento erano disoccupati, i restanti lavorato-ri dipendenti ancora attivi, ma evidentemente in difficoltà. La mancanza di denaro o comun-que una situazione debitoria

insanabile rappresentano senza dubbio la motivazione princi-pale del tragico gesto. E forse non è un caso se quasi tutti i de-cessi di questo tipo si concen-trano tra settembre e ottobre, a cavallo cioè della scadenza dell’ultima rata Iva. Quando sento al telegiornale la notizia di drammi simili, mi sorgono brividi improvvisi, come scari-che elettriche. Mi sento invade-re dalla tristezza, immaginando la disperazione che ha avuto il sopravvento su tante persone. Mi riesce difficile, però, com-prendere pienamente un simi-le gesto che mi appare anche come una forma di egoismo. Dato il mio carattere altruista, cercherei di affrontare i pro-

blemi, magari chiedendo aiuto, proprio per dovere verso chi mi sta attorno. Al solo pensiero di dover abbandonare gli amici e la famiglia, che mi sono stati accanto offrendomi tutto il loro affetto, non ce la farei mai a to-gliermi la vita. Sono dell’idea che si debba rimboccarsi le maniche e farsi forza anche nei momenti duri che la vita pur-troppo ci riserva piuttosto che scegliere la via più facile ed abbandonare gli altri, per quan-to questa idea possa sfiorarci a causa dello sconforto.In questi casi conta molto il so-stegno che si riceve dagli altri che ci aiutano e credono in noi. È essenziale guardare gli aspet-ti positivi della vita, per quanti innumerevoli possano essere quelli negativi e non soffer-marsi sul senso di solitudine e sull’assenza di soluzioni imme-diate ai problemi. Non mi sen-to, tuttavia, in grado di criticare qualcuno per quanto orrendo

Continua in ultima pagina

ACCETTARE LA DURA REALTÀ PER COMINCIARE A CAMBIARLAUn segno di fortezza e coraggio

GLI AGGRESSORI DISTRUGGONO SEMPRE SE STESSI Se i sentimenti

minano le relazioni

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C U LT U R A & I N T E R C U LT U R ANumero unico10 | La Virgola

La commemorazione del disa-stro del Vajont, lo studio dello sfruttamento idrico per la pro-duzione dell’energia idroelet-trica e l’analisi degli aspetti morfologici e geologici del no-stro territorio sono stati i fattori che ci hanno portato quest’anno a percorrere il bacino del Piave fino a Longarone. E così, mer-coledì 16 aprile 2014, noi alun-ni delle classi 1A e 1D del liceo artistico “B. Munari”, assieme ad alcuni nostri professori, ci siamo trovati alle ore7:50 in Piazza Medaglie d’Oro, pronti per salire sulla corriera, che ci avrebbe portati alla tristemente famosa diga del Vajont.Durante il tragitto ci siamo fer-mati a Nove, dove è salito con noi il geologo prof. Antonio Della Libera che, con gran-de pazienza, ci ha spiegato gli aspetti morfologici e geologici del Fadalto facendoci notare come una frana paleolitica ab-bia fatto deviare il corso del

fiume Piave, creando lo sbar-ramento che ha dato origine al lago di S. Croce. Giunti a Longarone, attraverso una stra-da tortuosa, siamo saliti alla diga dove l’aria era molto più forte e decisamente più fred-da. Qui il prof. Della Libera ci ha spiegato la formazione, ma anche la causa, della frana che il 9 ottobre 1963 si staccò dal monte Toc, facendo fuoriuscire dalla diga milioni di metri cubi di acqua, che spazzarono via il paese e con esso la vita di mol-tissime persone. Qui una guida ci ha condotto proprio sopra la diga stessa. È stato molto emo-zionante percorrerne il traccia-to; abbiamo potuto guardare dall’alto la valle di Longarone e il canyon scavato dal torren-te Vajont, che era stato scelto dall’ingegnere Carlo Semenza, progettista della SADE, pro-prio per la costruzione della diga; abbiamo potuto rabbrivi-dire e commuoverci ascoltando

con attenzione le parole e il ri-cordo ancora vivo nei supersti-ti, di quella che è stata una delle più grandi catastrofi provocate dall’uomo. Camminando sopra la diga abbiamo potuto capire quanta acqua fosse fuoriuscita quella sera e con quale violenza la natura si sia ribellata all’uo-mo.Dopo l’emozionante visita al Vajont, ci siamo recarti nel piccolo Comune di Erto dove si trova il museo del Vajont. Nel-le varie stanze, abbiamo potu-to osservare: foto, documenti, resti della vita quotidiana del tempo e dei paesi vicini; appese alle pareti dei pannelli ripercor-revano la storia della costruzio-ne della diga e le dinamiche del disastro. Dopo una pausa per il pranzo e un po’di relax, duran-te il quale abbiamo approfittato per discutere di ciò che ave-vamo visto, abbiamo visitato il piccolo paese di Erto: sem-brava di essere tornati indie-tro nel tempo, case in pietra si affacciavano su strette stradine

lastricate anch’esse in pietra, e i pochi abitanti rimasti davano l’impressione di essere uniti tra di loro. Gironzolando per le viuzze bastava alzare lo sguar-do per vedere Casso, l’unico paese salvato dall’onda omici-da. Nella strada del ritorno non poteva mancare la sosta a Lon-garone dove si trova la chiesa di Santa Maria Immacolata co-struita a seguito del disastro del Vajont dall’architetto Giovanni Michelucci. La sua struttura, ricca di significati, si inserisce in quello scenario di dolore come un urlo straziante di vita.Qui abbiamo anche approfitta-to per gustare un buonissimo gelato, poiché Longarone è la “patria” dei gelatai che con la loro professionalità si sono fatti conoscere in tutto il mondo.È stata certamente una giornata serena, ma ognuno di noi si è por-tato in fondo al cuore la tristezza di quel lontano 9 ottobre 1963.

Filippo Arnaud

UNA TRAGEDIA COSTRUITA A REGOLA D’ARTEA piedi sul Vajont: per non dimenticare

Continua da pagina 3La Natura, d’altro canto, è rela-tivamente impotente perchénon possiede zanne e artigli per potersi difendere immedia-tamente dagli attacchi umani. La sua autodifesa nasce quan-do l’Uomo intacca e distrugge equilibri primordiali che, attra-verso reazioni a catena lunghe anche molti anni, finiranno per ritorcersi contro l’Uomo stes-so, annientando il suo modo di vivere o la sua stessa vita. L’Uomo sta causando sempre più squilibri sul pianeta e molte

reazioni a catena si stanno in-nescando, così tante che forse finiranno per annientare l’Uo-mo definitivamente, un Uomo illuso che il suo dominio possa durare in eterno. Se riassumes-simo la vita complessiva del pianeta in un anno, quella della specie umana coprirebbe solo qualche secondo. Siamo desti-nati a scomparire; come i dino-sauri, anche noi faremo il nostro tempo e spariremo, forse, senza lasciare traccia; ne siamo con-sapevoli, ma l’egoismo ci sta portando ad accelerare questo nostro timer di autodistruzione. L’Uomo distrugge ed inquina

senza alcun rimorso, uccide e annienta per soddisfare l’ego nel cervello che la Natura stes-sa gli ha donato, ma quest’ulti-ma saprà riscattarsi: ci spazzerà via e darà la possibilità che ha dato a noi a qualcun altro. Per-ché ciò non avvenga l’Uomo dovrebbe alleggerire la propria orma attraverso una “riscoperta felice” di uno stile di vita più sobrio, in armonia con la sua creatrice che, magari colpita dal tentativo di riconciliazione, potrà concedergli qualche se-condo in più.

Michele Augusto

UOMO NATURA

M di Muller

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C U LT U R A & I N T E R C U LT U R AGiugno 2014 La Virgola | 11

Ciao a tutti!Mi chiamo Rafael Heikkila e sono il ragazzo finlandese che frequenta quest’anno il Liceo artistico “Bruno Munari”.Magari mi conoscete oppure mi avete almeno visto qualche volta a scuola. Io sono venuto in Italia con Intercultura per imparare la lingua italiana e per conoscere la cultura del Pae-se (come vivete, come parlate, come funziona lo Stato e che cosa è il vero cibo italiano) e vi-sitare diversi luoghi dell’Italia.Abito con la famiglia Meneghel che mi ospita a Valmareno, una frazione di Follina. La famiglia è composta dalla madre Silvia e dal padre Mauro, dalla sorelli-na Letizia che ha otto anni e dal fratellino che ha dieci anni.Intercultura, conosciuta nel mondo con la sigla AFS, è un’organizzazione che organiz-za scambi culturali per un anno scolastico (10 mesi), per sei mesi, tre mesi e anche per qual-che settimana. Alcune famiglie che sono volontarie ospitano un ragazzo oppure una ragazza stranieri per dieci mesi o meno. I ragazzi imparano la cultura del Paese, le tradizioni della famiglia con cui imparano ad abitare. Infine i ragazzi diven-tano figli adottivi delle fami-glie ospitanti, hanno imparato

la nuova lingua, la cultura, il diverso modo di vivere, ad ave-re pazienza, a sopravvivere… insomma diventano dei ragazzi più sicuri di sé e tornano al pa-ese d’origine molto più maturi.La settimana scorsa (23-30 marzo) sono andato con Inter-cultura in Sicilia, in provincia di Ragusa, per una settimana di scambio. Una settimana prima Sebastian, un ragazzo danese, era venuto qui vicino a Cone-gliano per la settimana di scam-bio. Noi potevamo scegliere una regione dell’Italia dove andare per vedere com’è la vita, e diversi posti nell’Italia. Io ho scelto la Sicilia perché è famo-sa per i bei posti. Abitando qua al nord, volevo vedere com’è la vita al sud, quindi sono andato in un luogo che è il punto più basso dell’Italia. Sono vola-to fino a Catania domenica 23 marzo insieme al danese. Da Catania ho percorso un tratto di strada per circa due ore in mac-china con la famiglia ospitante di Sebastian. Lui abita a Scicli, che è una bellissima cittadina barocca. Scicli è a circa cinque minuti dal mare. Domenica sera i miei genitori ospitanti della Si-cilia sono venuti a prendermi da casa di Sebastian e siamo andati a mangiare e a vedere la piccola città marina di Ragusa che è sul

mare. La settimana sono stato a Ragusa a casa dei genitori che mi hanno ospitato. A Ragu-sa c’è una bellissima vecchia parte della città che si chiama Ragusa Ibla.Durante la settimana con il no-stro gruppo siamo andati a visi-tare quattro diverse scuole, per vedere come sono organizzate, quali attività svolgono e con quali metodi. In tutte le scuole abbiamo fatto qualcosa di bello e diverso, ma la più bella cosa è che abbiamo incontrato dei ra-gazzi siciliani e potevamo par-lare con loro e fare delle belle amicizie. In una scuola abbia-mo prodotto il cioccolato, in un’altra abbiamo parlato ingle-se con i ragazzi italiani perché era un liceo linguistico e in un istituto alberghiero dei ragazzi ci hanno fatto un buonissimo pranzo. Mercoledì siamo andati in una città che è nel posto più meridionale d’Italia e dicono anche d’Europa. Venerdì siamo

andati a Siracusa, che è una città sul mare, ha il parco archeolo-gico della Neapolis dove sono conservati un vecchissimo e famoso Teatro greco, l’Orec-chio di Dionigi e tante antiche tombe. Sabato mattina siamo partiti molto presto da Ragusa: la nostra meta era l’Etna. Ab-biamo guidato circa due ore pri-ma di raggiungere una cittadina ai piedi dell’Etna e da lì siamo saliti; abbiamo poi lasciato le macchine e continuato a pie-di. Abbiamo camminato forse un’oretta e mezza fino ad un bel posto sull’Etna. Dopo il pranzo siamo scesi in una grotta che si è formata quando la lava è anda-ta fuori dalla terra. Sabato sera, che era l’ultima sera, siamo an-dati a cenare e festeggiare con il nostro gruppo di ragazzi. Sono partito da Catania con l’aereo e sono tornato al terminal di Tre-viso domenica mattina.

Rafael Heikkila

UN FINLANDESE IN ITALIAIl viaggio di un giovane con Intercultura

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C U LT U R A & I N T E R C U LT U R ANumero unico12 | La Virgola

Quest’anno la nostra classe 1D ha svolto un interessante approfondimento sul ruolo e l’importanza che i settori della bacologia e della filanda hanno ricoperto nel nostro territorio.Il percorso si è articolato in tre fasi. Inizialmente, con l’ausilio della lavagna LIM, la nostra in-segnante di Lettere ci ha intro-dotto l’argomento della bachi-sericoltura nel nostro territorio, a partire dall’attività delle baco-logie, all’allevamento dei bachi da seta nell’ambiente contadino del nostro territorio, fino alla lavorazione dei bozzoli, negli stabilimenti delle filande, per l’estrazione e la lavorazione del prezioso filo di seta. Abbiamo, inoltre, preso visione delle fasi della vita della falena del baco da seta, della sua metamorfosi, fino alla produzione del bozzo-lo. La spiegazione è stata ac-compagnata da immagini e foto interessanti e chiarificatrici, tal-volta anche raccapriccianti.La seconda fase del percorso ha visto l’intervento a scuola del prof. Carlo De Poi, direttore della compagnia teatrale “Col-lettivo di ricerca teatrale” di Vittorio Veneto. Egli, insieme ad altri ricercatori, ha condotto degli studi storici sul ruolo eco-

nomico e sociale che l’attività bachisericola ha ricoperto nel nostro territorio fino agli anni ‘70, quando anche gli ultimi impianti sono stati chiusi. Il suo intervento ci ha arricchi-ti con informazioni legate alla storia della bacologia in Italia e nel nostro territorio e illustran-doci le dure condizioni di vita delle donne, che lavoravano ne-gli opifici, e delle famiglie che allevavano in casa i bachi da seta. Il suo intervento, inoltre, è stato propedeutico alla visione di una rappresentazione teatrale sul tema, ideata e messa in sce-na dal “Collettivo di ricerca te-atrale”, a cui avremmo assistito la settimana successiva.E così, la mattina di giovedì 13 marzo, si è svolta la terza fase del nostro percorso. Insieme ad altre quattordici classi del nostro Istituto, ci siamo recati al teatro “Da Ponte” di Vitto-rio Veneto, per assistere alla rappresentazione teatrale. Lo spettacolo, intitolato “Fila, fila, filandera”, ruotava intorno al mondo della filanda. La vicen-da è inventata, ma conteneva riferimenti storici reali desunti dalle ricerche storiche condotte in precedenza dal “Collettivo”.Il racconto è ambientato alla

fine degli anni ‘40 del secolo scorso. I protagonisti sono due filandere, Judita e Merita, il loro padrone, Angelino, e Fra’ Carlo, ovvero Angelino stesso nelle vesti di un frate. Le due donne avevano di compito di allestire il museo della filanda, dato che il padrone voleva ren-dere immortale la storia degli opifici, illustrando ai visitatori come si svolgeva il lavoro al loro interno. Nella vicenda in-terviene Fra’ Carlo, con il ruolo di spiegare la provenienza in Italia del baco da seta e l’origi-ne del suo allevamento.I bachi sono stati introdotti in Europa da due monaci che li avevano importati di nascosto dopo un viaggio in Cina. Nac-que così l’attività dell’alleva-mento del baco da seta. La rac-colta dei bozzoli, in cui i bachi da seta si avvolgevano per tra-sformarsi in crisalidi, costituiva una parte importante del reddi-to di molte famiglie contadine che allevavano i bachi in casa propria, trattandoli come dei veri e propri “cavalier”, proteg-gendoli dalle malattie, per non mandare a monte il guadagno dell’intero anno.Una volta raccolti i bozzoli, il lavoro proseguiva poi nelle fi-lande. Qui il lavoro era svolto quasi completamente dalle don-ne, e se da un lato questa attivi-tà rappresentò una opportunità di lavoro fondamentale nelle famiglie del tempo, dall’altro significò per le donne una vita passata nell’umidità, con le

mani sempre nell’acqua bollen-te, con la puzza insopportabile dei bozzoli, in condizioni di lavoro difficilissime e talvolta umilianti. Inoltre, lo stipendio era veramente misero, perché i primi padroni sfruttavano la diffusa disoccupazione del pe-riodo per pagare la manodopera a basso costo. Quello della ba-chisericoltura e della lavorazio-ne della seta, comunque, sono stati settori molto importanti nell’economia italiana. Anche qui, a Vittorio Veneto, sin dagli inizi dell’Ottocento sono sorte alcune delle più importanti ba-cologie e filande italiane, grazie anche al clima favorevole alla coltivazione del gelso delle cui foglie si nutrivano i bachi. La produzione vittoriese, inoltre, era la migliore per qualità tra quelle italiane e la produzione italiana era la più importante d’Europa.Questo approfondimento ci ha permesso di conoscere un mon-do che per noi era completamen-te sconosciuto. E se il nostro sguardo, passeggiando per Vit-torio Veneto, si dovesse posare su una delle tante ciminiere che ancora testimoniano la presen-za delle ex-filande, o su uno dei gelsi che ancora sopravvivono nelle nostre campagne, il nostro ricordo non può che tornare a Giudita, a Merita e alle tante donne che, con i loro sacrifici, hanno contribuito a costruire la società in cui noi oggi viviamo.

Ilaria Vettoretti, Sofia Piai

FILA, FILA,FILANDERA

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M U S I C A & S P O RTGiugno 2014 La Virgola | 13

TORNEO “FAIR PLAY”Intervista ai protagonisti per “giocare leale”Quest’anno il nostro Istituto ha partecipato al torneo “Fair-Play”, un’iniziativa promossa dal Comune di Vittorio Veneto che aderisce alla Carta di To-ronto nella quale si promuo-vono le attività fisiche. Questo documento denuncia l’inatti-vità fisica sul piano salutare in quanto contribuisce ad aumen-tare il livello di obesità infan-tile ed adulta. La mancanza di attività fisica è al quarto posto tra le principali cause di mor-te dovuta a malattie croniche, come disturbi cardiaci, ictus, diabete e cancro. I problemi causati dall’inattività incido-no anche sul piano economico per via dei costi dell’assisten-za sanitaria e la conseguente improduttività dei cittadini; la promozione di modalità di spostamento attivi, come cam-minare, l’utilizzo di biciclette e mezzi pubblici, possono inol-tre ridurre l’inquinamento e l’emissione di gas serra. L’ini-ziativa “Fair-Play” si basa sul concetto ludico dello sport, il

quale riesce a far sviluppare un senso di competizione positiva che aiuta la persona a reagire alla vita e a credere di più nel-le proprie doti. Anche quando una persona crede di non avere delle abilità, riesce, attraverso il senso di unità, a comprende-re di fare parte di una squadra, di una società, sentendosi parte integrante di essa. Hanno ade-rito all’iniziativa vittoriese sia scuole private, come il “Dan-te” e il “S. Giovanna D’Arco”, sia scuole statali, come il no-stro Liceo, quello scientifico, l’I.T.C., l’I.T.I.S., l’I.S.I.S. Bel-trame e l’I.P.S.I.A.. L’attività sportiva ha avuto inizio l’11 febbraio con il torneo di palla-volo femminile ed è terminato il 9 maggio con la giornata di atletica leggera, conclusasi con la premiazione. Le discipline svolte sono: pallavolo maschi-le-femminile, basket maschile-femminile, calcio a 11 maschile e calcio a 5 femminile. La gior-nata di atletica, invece, è stata caratterizzata sempre da squa-

dre di ambo i sessi, impegnate nelle seguenti discipline: staf-fetta 3x800m, salto in lungo, 100m e lancio del Vortex.Gli alunni del Munari sono ri-usciti a vincere alcune partite contro le altre scuole, ma an-che di fronte alle sconfitte la loro voglia di divertirsi non è diminuita. Questo traspare dai commenti dei ragazzi che han-no partecipato in modo attivo all’iniziativa e dal professor Bastanzetti che li ha allenati, con l’aiuto della professoressa Botteon, riuscendo a creare un senso di squadra che si vorreb-be passasse all’intero istituto per poter vivere in un ambien-te attivo. Questo messaggio di cooperazione vuole rivolgersi a tutti i docenti perché l’intera scuola dovrebbe promuovere anche queste attività ludiche: lo spirito d’unione della squadra si amplierebbe così alla scuola stessa con una ricaduta positiva per tutti.

Arianna Rusalen

IL RECUPERO DELLA VOCE NEGATAPenso sia fondamentale per ognuno di noi porsi un obbietti-vo, avere una passione alla quale dedicarsi e che diventi anche una forma di sostegno, una guida du-rante le difficoltà, soprattutto in questo periodo della nostra vita che è fondamentale per il nostro futuro e durante il quale si posso-no imboccare strade non sempre ascendenti. A proposito di questo, durante le prove di un concerto organizzato dalla scuola di musi-ca che frequento, ho conosciuto due ragazzi ex tossicodipenden-ti che ora vivono in comunità a Conegliano, i quali sono stati coinvolti in un’esperienza, in cui hanno la possibilità di esprimer-si, da un insegnante/musicista che da qualche anno lavora con loro. È stato impressionante tro-varsi faccia a faccia con coeta-nei (dei due la ragazza ha ora 16 anni), che sono stati protagonisti di certe gravi situazioni, osser-vare i loro volti, sentirli suonare, cantare e vederli impegnati con entusiasmo, gratificati dall’avere la possibilità di sentire, evocare, condividere emozioni con altre persone. Questa ragazza,che ha tentato più volte di scappare dalla comunità, dopo aver cominciato a cantare e suonare vuole restare lì. Dice di aspettare ogni settima-na con ansia la lezione di canto e pianoforte perché già sempli-cemente avere la possibilità di ricevere delle attenzioni ed es-sere seguita è per lei una boccata d’ossigeno. Penso che molti gio-vani oggi cadano nella tossicodi-pendenza perché non riescono a dare un senso alla loro esistenza e il coinvolgere a fare musica questi ragazzi è un’iniziativa bel-lissima. Suonare insieme è creare un’atmosfera, comunicare, tro-vare un’armonia anche tramite un compromesso mettendosi in discussione. Un fondamento fan-tastico che ci insegna la musica è proprio questo: che sia composta da suoni armoniosi o da rumori, l’insieme deve convivere.

Andrea D’Arsiè

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L E T T E R AT U R A & A RT ENumero unico14 | La Virgola

L’ALTRA FACCIA DELLA SCRITTURA“… Avessi avuto soldi, non sa-rei diventato un criminale. Ma probabilmente non sarei neppu-re diventato uno scrittore” . È così che Edward Bunker si pre-senta: scrittore, sceneggiatore e attore statunitense, nonché detentore del poco onorevole primato di più giovane recluso di tutti i tempi, nel carcere di S. Quintino all’età di 17 anni. Ragazzo orfano, problematico, ma dalla mente acuta, Bunker ha passato gran parte della vita ad entrare e uscire di prigione, luogo tra l’altro dove compie i primi passi per quella che sarà una fiorente carriera letteraria. In prigione per non impazzire inizierà a scrivere, scoprendo un talento inaspettato, e una ca-pacità di trasmettere e comuni-care quasi innata. Si ritrova così non più un criminale che scri-ve, ma uno scrittore dal passato criminale, senza il quale non lo sarebbe diventato. Così ci fa provare le insicurezze di Max Dembo, che dopo otto anni di reclusione viene preso lette-ralmente a schiaffi dal mondo reale, luogo che non ha posto per uomini come lui in “Come una bestia feroce”. Affrontiamo i primi passi nel carcere insie-me a Ron Deker in “Animal Factory”, ragazzo di buona fa-miglia arrestato per possesso

di marjuana , che fa amicizia con un detenuto, il quale lo aiuta ad affrontare la sua nuo-va realtà. Cresciamo insieme ad Alex Hammond in “Little Boy Blue”, ragazzino sfortu-nato con la voglia di libertà, amicizia, avventura o sempli-cemente di essere capito, che scappa dalle case affidatarie,

istituti e addirittura da ospedali psichiatrici dove viene ospitato e infine a causa di cattive ami-cizie e della malasorte diventa un vero e proprio criminale pe-rennemente arrabbiato con la società. Niente romanticismo, niente eroe che, nonostante le vicende avverse, mantiene i suoi princìpi, niente redenzio-

ne ma solo una brutale analisi naturalistica dei meccanismi dell’underworld, che solo un uomo che c’è stato dentro fino al collo può riportare in tutte le sue orribili, agghiaccianti ma anche folli, passionali sfumatu-re. Non stupisce che tutti i suoi libri siano stati iniziati in car-cere, racconti ispirati alle sue vicende, nero messo su bianco solo ed esclusivamente duran-te i suoi periodi di reclusione. Non ha mai preso carta e penna da persona libera. Sconcertante dal punto di vista linguistico, ricercato ed articolato, con fra-si complesse che costringono a rileggere più volte, se non si presta la dovuta attenzione. Ciò non toglie però fascino al tutto, anzi lo rende ancora più ipnotico, avvincente, capace di introdurti nel mondo di Bun-ker, l’altra faccia del mondo , lasciandoti con la sensazione di essere appena stato travolto da un uragano: intontito, confuso, a tratti entusiasta, altri dispera-to ma sempre e comunque con un retrogusto amaro dopo aver visto l’altra faccia del mondo, delle persone, di te… con gli occhi finalmente aperti sul fatto che c’è altro oltre il tuo piccolo e insignificante giardino sicuro.

Klea Shahini

Il giornale sta andando in stam-pa proprio nel giorno in cui nel nostro istituto si svolge la Giornata dell’Arte, fortemente voluta da un gruppo di studenti che hanno ideato e organizzato numerosi laboratori, invitando esperti ed ex allievi. Grande l’affluenza alla DANZA HIP HOP, diretta da Michele Pin, ballerino professionista (K&S) e al laboratorio TEATRO, strut-turatosi addirittura in due locali sotto la magistrale regia di Edo-ardo Fainello e Katiuscia Bo-

nato, attori e insegnanti presso l’Accademia Teatrale Lorenzo Da Ponte di Vittorio Veneto. Questa festosa giornata, docu-mentata e ripresa dalla Sezio-ne Multimediale, sarà visibile nei prossimi giorni nei social network e nelle piattaforme on-line del nostro istituto. La par-tecipazione è, più di ogni altro anno, vivace e di qualità. Un grazie va a tutti coloro che han-no reso possibile questa bella esperienza!

Eros Basei

Edward Bunker

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Orizzontali2. Il romanzo con l’Innomina-to - 15. Parti di arto comprese tra gomito e polso-17. Leviga-re o migliorare - 19. Si ripete due volte al brindisi - 20. Gran-di cervidi - 21. Contrario di NE - 22. Isole a largo dell’Irlanda - 23. Fine della storia - 24. La fine dell’eroe - 26. Introduce l’ipotesi - 27. Il verbo della calamita - 29. Insegnante, pe-dagogo - 32. Simbolo chimico dell’Hassio - 33. Suonano uno strumento simile all’oboe - 36. Imperia - 38. Regista di “La Grande Bellezza” - 39. Quo-ziente d’intelligenza - 40. Ven-tilato, arieggiato - 41. Articolo

indeterminativo - 42. Motivo di un versamento - 45. Irrilevanti, trascurabili - 47. Tipo di cuo-io a ridotto impatto ambientale -50. Grande lago salato asiatico - 51. Persone all’oscuro - 53. Gettarsi... in mezzo - 54. Al-caloide contenuto nella cortec-cia di piante della china - 56. Fallo nel tennis - 57. Tritolo - 59. Antiche scrivanie - 61. Dea della discordia - 62. Affluente svizzero del Reno - 63. Contra-rio di supino.

Verticali1. Ne sono ghiotti i topi - 2. Il nome dello scrittore Fleming - 3. Pubblico Ministero - 4.

Iniziali di Benigni - 5. Non la vede l’impaziente - 6. Non sa-lutare, dannoso - 7. Può essere sostituito dai punti di sospen-sione - 8. Ai piedi di Tomba - 9. Una nota affermazione - 10. Le machines... mangiasoldi - 11. In matematica è greco - 12. Comune nome maschile arabo - 13. Moglie di Abramo - 14. Andare su tutte le furie - 16. Strada cittadina - 18. Ernie... senza pari - 21. Rudolf, filo-sofo e pedagogista austriaco - 24. Schiava vergine, all’epoca dell’Impero Ottomano - 25. La nostra moneta - 27. Esistono anche quelle stradali - 28. Po-polo dell’Asia Minore del II

millennio a.C. - 29. Efficace, convincente - 30. Una delle Repubbliche Sorelle - 31. Re-cipiente di pelle - 33. Davanti... casa - 34. Astronave... ingle-se - 35. Dan, artista marziale statunitense di origini filippine - 37. Capitale delle Filippine - 38. Diminutivo come cucciola - 41. Elemento chimico radio-attivo - 43. L’arteria principale - 44. Dittongo in maree - 46. Costellazione... con la cintura (in latino) - 48. Sigla di Latina - 49. Precede Vegas - 52. Otte-nere, prendere in inglese - 54. Croce Rossa - 55. Al centro del litro - 58. Consonanti in otaria - 60. Duecento romani.

R E L A XGiugno 2014 La Virgola | 15

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P U B B L I C A Z I O N I I S T I T U TOGiugno 2014 La Virgola | 16

Continua dalla prima paginasi rivelò un modo divertente e alternativo per imparare a scri-vere meglio. I gruppi di lavoro favorirono le amicizie e la sem-pre crescente curiosità ci por-tava a conoscere cose nuove, alimentando la nostra voglia di informarci. Con la prima pub-blicazione scoprimmo anche la soddisfazione e l’orgoglio di aver realizzato con le nostre mani un vero e proprio giorna-le. L’anno successivo nessuno ebbe dubbi nel voler continuare l’attività e uscimmo addirittura con due numeri. Lo scorso anno vennero coinvolte le classi ter-ze con al loro interno la sezione di Grafica i cui membri si impe-gnarono nel lavoro di impagi-nazione, realizzando una nuova veste del giornale che si è arric-chito anche di un DossierArte. Con questo numero, giugno 2014, “La Virgola” si rinnova

e diventa Giornale d’Istituto! Tutti, studenti e professori, hanno infatti contribuito in-viando i loro articoli alla nuova Redazione (composta da allie-vi delle varie classi e sempre coordinata dalla professoressa Gazzarin in collaborazione con il professor Merlo) che ne ha curato la stesura definitiva. Si anticipa che all’inizio del pros-simo anno scolastico verrà in-detto un concorso per l’ideazio-ne di una nuova configurazione grafica della testata. Invitiamo fin d’ora a partecipare all’ini-ziativa e a cimentarsi, sempre più numerosi, nella divertente professione di “giornalisti” e “redattori”. Stiamo anche co-struendo una collaborazione con l’emittente televisiva An-tenna Tre. La Redazione augura a tutti una buona lettura!

Chiara Vecellio Del Monego

UNA SCOMMESSA VINCENTE ACCETTARE LA DURA REALTÀ PER COMINCIARE A CAMBIARLA

www.liceoartisticomunari.gov.itÈ online il nuovo sito del nostro Liceo!Nuova grafica e nuovi contenuti per avere tutte le informazioni che cercate in un click!

Continua dalla pagina 9sia l’atto da lui compiuto.Molto spesso basterebbe avere una figura accanto che dopo una giornata no, ti dica sì; che dopo una serie di av-venimenti negativi intrecciati gli uni con gli altri, ci guardi con un sorriso; che ci infonda sicurezza, facendoci capire che andare controcorrente, anche se è da pazzi, ci porta a

qualcosa; che gli sforzi attua-ti saranno sempre ricompen-sati in un modo o nell’altro; che andare avanti accettando la realtà e cominciare a cam-biarla è segno di fortezza e coraggio.La malinconia, il dolore non potranno così mai superare la forza di vivere, di sorridere.

Laura Meneghin

Ringraziamenti: La Redazione ringrazia tutti coloro che hanno contribuito alla realizzazione di questo numero del giornale, inviando articoli e materiale vario.

Voci libere dal Munari

Periodico del Liceo Artistico Bruno Munari

Giugno 2014 EDITORE: Liceo Artistico Bruno Munari

SEDE: Vitttorio Veneto -prov. TV - Via Gandhi - n.14

CONTATTI:telefono 0438551422fax [email protected]

RESPONSABILI:Annamaria GazzarinAldo Merlo

PROGETTO GRAFICO ED IMPAGINAZIONE:Eros Basei - Matteo Da Frè - Andrea D’ArsiéGuglielmo Turbian

REDAZIONE:Eros Basei - Matteo Da Frè - Andrea D’Arsié - Guglielmo TurbianFederica Ricchiuti - Arianna Rusalen - Klea ShahiniChiara V. Del Monego

Anno 4 - Numero unico

In allegato a questo numero de LA VIRGOLA trovate il

Quattro giornalisti durante la giornata dell’Arte