La scuola di Atene
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PREMESSA
La percezione è un’attività dei nostri sensi, volta a
conoscere quanto avviene nel mondo che ci circonda.
Nelle opere d’arte figurativa, dalle epoche antiche ad oggi,
possiamo riconoscere le leggi della percezione visiva e
comprendere la loro capacità comunicativa.
L’opera presa in esame deve gran parte della sua forza
espressiva alla presenza di raggruppamenti di figure e alla
costruzione prospettica e quindi ben si presta per
analizzare le regole compositive finalizzandole alla
didattica del linguaggio visivo.
1
CAPITOLO PRIMO
RAFFAELLO E IL CONTESTO STORICO
2
1.1
LA VITA
Raffaello nacque ad Urbino, l'anno 1483, da Giovanni de'
Santi, pittore non molto eccellente.
Giorgio Vasari racconta la vita di Raffaello Sanzio con
sicurezza e dovizia di particolari cui è lecito fare fede.
Condotto dal padre alla corte d'Urbino, sotto la protezione
di Giovanna Feltria, Raffaello è un pittore precocissimo.
Quando Giovanni muore, nel 1494, egli rimane
completamente solo, già mancandogli la madre.
Nonostante la giovane età, Raffaello ha già potuto
ammirare l'arte del grande Pietro Perugino e dell'architetto
Bramante. Sotto la commissione di Evangelista di
Piandimeleto, scolaro del padre, egli attende alla sua prima
commissione importante. Già nel 1497, lavora presso la
bottega del Perugino, suo vero maestro, del quale
l'influenza è evidente soprattutto nelle primissime opere.
Un contratto del 10 dicembre 1500 prevede che il
Piandimeleto, con l'aiuto di Raffaello, realizzi una Pala in
onore di Nicola da Tolentino, nella chiesa di Sant'Agostino
3
a Città di Castello. L'apporto del tutore è quasi nullo e
l'opera dimostra le precoci capacità artistiche di Raffaello.
Da questa data in poi, la vita dell'artista è una frenetica
corsa da una città all'altra, intento spesso a più opere in
contemporanea, di cui si occupa interamente da solo.
Nonostante la calma perfetta dei suoi dipinti, Raffaello vive
con un ritmo frenetico e nei primi anni del Cinquecento
realizza un cospicuo numero di opere: l' "Incoronazione
della Vergine" (1503), lo "Sposalizio della Vergine (1504),
la "Pala Ansidei", la "Pala Colonna", la "Deposizione per
Atalanta Baglioni", il "Cristo in gloria e i Santi", tutte opere
realizzate a Perugia; la "Madonna Connestabile", la "Dama
con l'unicorno", la "Madonna del cardellino", i "Ritratti
Doni", la "Sacra famiglia Casigliani", realizzate tra il 1504 e
il 1508 a Firenze. Nella prestigiosa capitale artistica
toscana, Raffaello si è recato col desiderio di ottenere
committenze e fama. Negli stessi anni, egli compie un
viaggio ad Urbino, lavora per breve tempo in città per poi
tornare a Firenze, forse tentando, senza esito, di farsi
affidare la decorazione di Palazzo Vecchio, disattesa ormai
4
da Michelangelo e Leonardo. Nel 1509, risulta tra i pittori
stipendiati presso la corte pontificia di Giulio II della
Rovere. E' qui che egli realizza il suo capolavoro,
affrescando le Stanze Vaticane. Quella della Segnatura,
con cui inizia, gli fa subito ottenere il plauso e
l'ammirazione di tutta la corte e di umanisti quali Bembo,
Inghirami, Tebaldeo, di letterati come l'Aretino, il
Castiglione e il Bibbiena.
Raffaello con la sua opera incarna perfettamente l'arte
moderna e riassume i valori umanistici del vivere civile,
della filosofia classica e della tradizione occidentale.
Mentre continua l'opera in vaticano, nel 1511 Agostino
Chigi gli richiede la decorazione della sua villa sul
Lungotevere della Lungara, Giovanni Goritz gli
commissiona l'affresco del "Profeta Isaia", letterati, filosofi
del tempo gli richiedono ritratti oggi molto famosi.
Ormai al culmine della sua splendida carriera, Raffaello
viene preferito ad artisti come Michelangelo, che Leone X
lascia inattivo per favorire il pittore urbinate. Dopo la morte
del Bramante, egli esegue lavori d'architettura ed è
5
nominato direttore della fabbrica di San Pietro.
Nel 1515, realizza dieci cartoni per altrettanti arazzi, da
porre sulle pareti della Cappella Sistina. Nel 1516, riceve
l'incarico di conservatore delle antichità romane, con la
clausola di realizzare una carta topografica di Roma.
Questa attività influisce radicalmente sulla sua pittura:
assorto nel lavoro, Raffaello realizza splendidi disegni
preparatori per le sue opere, lasciandone interamente la
fattura agli allievi. Consumato dalla sua vita operosa e
frenetica, ammirato e avvolto da leggende sulla vita e sulla
sua persona, Raffaello muore il 6 aprile del 1520: pare di
venerdì santo, così come era venuto al mondo.
1.2
LA FORMAZIONE
Raffaello elaborò il suo stile attraverso un incessante
processo d’osservazione e selezione, studiando le opere
altrui e filtrando ciò che maggiormente lo colpiva in un suo
personale linguaggio artistico. Non fu mai un imitatore e nei
6
suoi disegni si conta solo un numero ristretto di copie. I
motivi da cui prendeva ispirazione erano, infatti, soltanto il
punto di partenza per lo sviluppo di idee originali. Negli
anni della sua formazione fece tesoro dell’insegnamento
del Perugino, soprattutto per quanto concerneva la
struttura compositiva e la ricerca di equilibrio formale la
bilanciata simmetria dei due gruppi di personaggi nello
sposalizio della vergine, ad esempio richiama alla mente
la consegna delle chiavi del Perugino. Un altro elemento
che accomuna Raffaello al maestro è la tecnica di
variare l’angolazione delle teste, per ottenere un effetto più
mosso. A Firenze, lasciatosi alle spalle la lezione
peruginesca, ormai assimilata, Raffaello si volse alla
conquista di nuove fonti di apprendimento. Le opere di
questo periodo rivelano l’influenza di Leonardo nelle
morbidezze dei contorni e nella crescente complessità
compositiva. Le Madonne in special modo testimoniano
l’ammirazione nei confronti della capacità leonardesche di
organizzare gruppi di figure all’interno di compatti schemi
piramidali. Ma la lezione più importante che Raffaello
7
trasse da Leonardo fu l’espressione dei sentimenti dei
personaggi attraverso i loro gesti e l’atteggiamento dei loro
corpi. Il frutto di quegli anni di maturazione fiorentina è ben
visibile negli affreschi della stanza della Segnatura dove
Raffaello diede prova della sua abilità nel ritrarre l’intera
gamma dei tipi e delle emozioni umane. Nella Scuola di
Atene e nella Disputa del Sacramento si muovono
personaggi di ogni età e aspetto, colti in un’infinita varietà
di gesti e legati da una sapiente orchestrazione. Nelle
ultime opere le figure hanno maggiore robustezza e solidità
d’impianto forse un riflesso dell’impressione riportata dalla
vista degli affreschi di Michelangelo nella Cappella Sistina.
Anche l’influenza Michelangiolesca fu comunque assorbita
gradualmente senza assumere l’aspetto della copia diretta.
Questo processo di assimilazione tipico dell’atteggiamento
di Raffaello è illustrato molto bene nella Trasfigurazione
ove si trovano, infatti, echi leonardeschi in gesti e visi, la
maestosità michelangiolesca e le nobili forme della scultura
classica, ma alla combinazione di tutti questi elementi
presiede l’originalità narrativa del pittore che individua
8
accuratamente ogni personaggio attraverso abiti
atteggiamenti, espressioni, ogni figura è connotata da una
reazione particolare, diversa da quella di tutte le altre, che
ne esprimono perfettamente la psicologia, ed è proprio in
questa viva capacità di rappresentazione che si esprime
appieno il genio di Raffaello,
1.3
IL RAPPORTO CON I CONTEMPORANEI
I numerosi impegni di Raffaello, coronati da successi,
ebbero un’immediata influenza sui contemporanei;
l’impatto provocato dall’artista sull’arte del Rinascimento fu
notevole tanto esso fu vasto, e in un modo o nell’altro ne
risentirono tutti gli artisti italiani di un certo livello, anche se
dopo il 700 si prese in considerazione solo il pittore
dimenticando l’architetto e l’archeologo. Raffaello lasciò
numerosi discepoli, tutti tentarono invano di riflettere la
serenità dell’arte del maestro. Ma gli effetti, spesso
rumorosi, non mostrarono di avere ereditato il senso
9
musicale del Maestro, pronto a comporre lo spazio con i
più dolci ritmi. Anche perché i tempi in quel periodo si
facevano torbidi, e stavano iniziando in Italia secoli di
servitù nei confronti degli stranieri; l’Italia stava
cominciando a soffrire le dure tormente, che gli umiliarono
la terra e gli avi. Stava iniziando quel secolo che sarà
sconvolto dai grandi avvenimenti religiosi e politici.
10
CAPITOLO SECONDO
LA PROSPETTIVA
11
2.1
SIGNIFICATO DI PROSPETTIVA
In arte, la prospettiva è un sistema di convenzioni
rappresentative che mirano a ricreare sulla superficie
bidimensionale della tela o del rilievo la profondità dello
spazio reale. La prospettiva si fonda sulle leggi elementari
dell'ottica, e in particolare sul fatto che gli oggetti distanti
sembrano più piccoli e meno definiti rispetto a quelli vicini.
L’arte medievale aveva semplificato la raffigurazione sia
pittorica che scultorea, annullando tutti gli effetti di
spazialità. Le figure, in pose e immagini sempre molto
schematiche, venivano collocate, nel quadro o nei
bassorilievi, sempre su un unico piano verticale. Ciò
portava ad una rappresentazione del tutto antinaturalistica,
in quanto le immagini artistiche non assomigliavano in nulla
alle immagini che i nostri occhi colgono della realtà
circostante. Il naturalismo, in pittura, può essere definito
come la riproduzione che più si avvicina a quella sensoriale
del nostro occhio. Vi sono delle leggi ottiche molto precise,
che regolano la nostra vista. L’occhio raccoglie i raggi visivi
12
dallo spazio, li fa convergere in un punto, e quindi li proietta
su un piano ideale posto all’interno dell’occhio. In pratica,
traduce la realtà, tridimensionale, in immagini,
bidimensionali. Il pittore, in pratica, opera allo stesso modo:
percepisce una realtà tridimensionale, e la traduce in
rappresentazioni bidimensionali. Se la rappresentazione
segue le stesse leggi ottiche dell’occhio umano, abbiamo
una pittura naturalistica; diversamente si va nel simbolico o
nell’astratto. La conclusione di questa ricerca, portava a
comprendere il funzionamento della visione oculare, e a
tradurlo in un sistema logico, da applicarsi per la
costruzione della rappresentazione. Tale sistema logico è
ciò che si definisce «prospettiva».
Tra le varie regole, alla base della prospettiva, se ne
possono citare almeno due:
le rette che, nello spazio tridimensionale sono parallele,
nelle rappresentazioni piane tendono a convergere in un
punto, detto punto di fuga, e che è unico per tutte le rette
parallele alla medesima direzione;
13
l’altezza degli oggetti tende a ridursi progressivamente,
man mano che questi si allontanano dal punto di
osservazione.
Applicando queste regole si possono ottenere immagini del
tutto simili a quelle che i nostri occhi trasmettono al
cervello. In tal modo, il quadro viene ad essere una sorta di
illusione spaziale, dove le figure sembrano non collocarsi
su una superficie piana, ma in uno spazio virtuale, che si
apre a partire dal piano di rappresentazione. Dopo la
scoperta del chiaroscuro, che sfruttava la luce per definire
attraverso la differenza di tonalità la tridimensionalità dei
volumi, la scoperta della prospettiva consentiva di
rappresentare la tridimensionalità dello spazio, attraverso
l’uso della geometria proiettiva.
14
2.2
BREVE STORIA DELLA PROSPETTIVA
Gli antichi egizi, greci e romani indicavano la profondità
dello spazio nei dipinti mediante una serie di accorgimenti
più o meno rudimentali, come la sovrapposizione parziale
delle figure. A Roma, la parola perspectiva (dal verbo
perspícere, 'vedere chiaramente') indicava la 'scienza della
visione' e corrispondeva al termine greco 'ottica'. Perciò,
nonostante fossero arrivati a utilizzare talvolta la
convergenza apparente delle linee parallele di profondità, i
pittori e gli scenografi greci e romani, legati all'esperienza
della visione reale, non giunsero mai a determinare un
'punto di vista' fisso e immutabile capace di coordinare tutti
gli aspetti della visione .La comprensione scientifica delle
leggi della prospettiva è quindi un'acquisizione
relativamente recente nella storia: esse furono per la prima
volta descritte con precisione in Italia, nel Quattrocento.
Tra la fine del XIV e l'inizio del XV secolo, gli artisti erano
arrivati a sviluppare una coscienza intuitiva della
prospettiva; ma fu l'architetto fiorentino Filippo Brunelleschi
15
che, con una serie di esperimenti attuati tra il 1417 e il
1420, mise a punto con esattezza le leggi della prospettiva
lineare centrica. I pittori fiorentini Masaccio e Paolo Uccello
furono tra i primi ad assimilare e ad applicare le regole
prospettiche di Brunelleschi, vero punto di svolta nello
sviluppo della cultura artistica del Rinascimento. Nel 1435,
l'architetto Leon Battista Alberti scrisse in latino il trattato
Della pittura, pubblicandolo poi in italiano nel 1436. Il
trattato accoglieva e spiegava il metodo di Brunelleschi e
fissava le basi teoriche per tutti gli sviluppi successivi della
teoria prospettica; ulteriori precisazioni teoriche e
fondamentali applicazioni pratiche vennero proposte da
Piero della Francesca e Leonardo da Vinci. La padronanza
delle leggi della prospettiva lineare ,che traduce
graficamente l’effetto di riduzione scalare degli oggetti
determinato dalla distanza, ha avuto un impatto enorme
sullo sviluppo della produzione artistica in Occidente:
bisognerà attendere il XX secolo, e in particolare le
esperienze delle avanguardie, per vedere messi in
discussione nelle arti figurative i fondamenti della
16
prospettiva teorizzati in epoca rinascimentale. D'altronde,
la ricerca di una soluzione definita scientificamente
(secondo i principi della geometria descrittiva) per il
problema della rappresentazione della profondità è un fatto
che ha riguardato unicamente la cultura occidentale. Il
problema non è mai stato posto altrove in modo analogo:
anche presso le civiltà dove la produzione artistica
raggiunse livelli di grande raffinatezza e complessità, come
in Oriente o nell'America precolombiana, la resa della
distanza e della profondità spaziale, talvolta molto efficace,
si è fondata su presupposti più intuitivi ed empirici.
2.3
L’USO DELLA PROSPETTIVA NEL CINQUECENTO
Le prime applicazioni della prospettiva avvennero a
Firenze, nel terzo decennio del XV secolo, ad opera di
Masaccio nel campo della pittura e di Donatello nel campo
della scultura. Ma il vero inventore della prospettiva fu
Filippo Brunelleschi. Che Brunelleschi fosse un architetto
17
non è affatto casuale. In realtà tra architettura e prospettiva
esiste un rapporto molto intimo: la prospettiva è un sistema
che funziona bene solo se dobbiamo rappresentare degli
spazi che seguono precise regole geometriche. Lo spazio
naturale non ha forme geometriche regolari: in natura non
troveremo mai linee rette, linee parallele, angoli retti,
quadrati, cerchi e altri enti geometrici simili. Questi sono
elementi geometrici che troviamo solo nell’architettura: solo
lo spazio artificiale, quello costruito cioè dall’uomo, ha una
geometria di base fatta di linee rette, di angoli retti, di
parallele e perpendicolari e così via. Ecco perché la
prospettiva è una tecnica che si può usare solo per
rappresentare spazi architettonici. Nel Quattrocento
assistiamo, infatti, ad un connubio molto stretto tra pittura e
architettura. Nei loro quadri, i pittori rinascimentali, per
materializzare la profondità spaziale utilizzando la
prospettiva, usano sempre l’architettura. Un quadro
rinascimentale del Quattrocento è sempre una
straordinaria rappresentazione di spazi architettonici. Ma
ovviamente la prospettiva condizionò molto anche la
18
stessa architettura. La rappresentazione prospettica
condizionò gli architetti, portandoli a progettare edifici dalle
forme sempre più regolari, che si davano alla percezione
come la materializzazione stessa di quella chiarezza
geometrica che la prospettiva proponeva come nuovo
canone di bellezza.
Il ritorno all’antico
Il Rinascimento, già nel suo stesso nome, contiene
l’implicito tema del recupero del passato. Nel campo più
vasto della cultura umanistica del tempo, recupero
dell’antico significò studiare tutti quegli autori classici che
erano stati un po’ trascurati nel medioevo; significò un
recupero anche di quei temi filosofici che vanno sotto il
nome di neoplatonismo.
Il neoplatonismo era nato nel III secolo grazie ad un
filosofo di nome Plotino. Questo neoplatonismo ritornò di
gran moda nell’ambiente fiorentino del Quattrocento, grazie
a pensatori quali Marsilio Ficino, Pico della Mirandola,
Lorenzo Valla. Senza entrare nel merito di questioni
squisitamente filosofiche, il neoplatonismo fornì importanti
19
spunti teorici di pensiero ad un tema che, con l’arte
rinascimentale, divenne improvvisamente impellente: il
recupero della bellezza.
Arte e bellezza sembrano, per molti, quasi sinonimi. In
realtà non è affatto vero. Che l’arte avesse per fine la
bellezza è stato vero solo in alcuni periodi della storia. È
stato vero per l’arte greca, ma non lo è stato, invece, per
l’arte medievale.
Nel medioevo, una visione dell’arte, basata
fondamentalmente sulla religione, escludeva del tutto la
bellezza. L’arte aveva un fine essenzialmente didattico:
insegnare le storie della religione cristiana. La bellezza non
era importante, anzi, veniva spesso considerata
apertamente pericolosa. Perché la bellezza è qualcosa che
parla ai sensi, e come tale può indurre più al peccato che
non ai buoni precetti.
Nel Rinascimento assistiamo invece ad un recupero
intenso del concetto di bellezza. Il perché è ben
comprensibile: la bellezza era l’espressione stessa della
perfezione, di quella perfezione che diviene il metro per
20
giudicare la capacità dell’uomo di creare un mondo nuovo.
In questo il Rinascimento è molto simile al mondo greco: in
entrambi i casi la bellezza è sinonimo di perfezione e si
basa su leggi matematiche. La bellezza è l’armonia dei
rapporti perfetti, che solo i numeri sanno svelare.
Il neoplatonismo fu importante per le riflessioni sulla
bellezza. Secondo questa filosofia, ciò che è bello è anche
buono, e ciò che è buono è anche bello. In pratica non
c’era conflitto tra sfera etica ed estetica. Come si sa,
questo è un punto molto controverso, che ha avuto alterne
posizioni nel corso della storia del pensiero occidentale.
Tuttavia, grazie a questo modo di risolvere un conflitto che
nel medioevo aveva estraniato il bello dall’arte, anche il
neoplatonismo contribuì a riportare, nel corso del
Quattrocento, il tema della bellezza ad una nuova attualità.
In questo, quindi, il Rinascimento recupera l’antico.
Recupera il senso del bello, l’armonia delle proporzioni, il
gusto per la perfezione formale. In ultima analisi, come
l’arte classica, anche l’arte rinascimentale vuole ottenere il
naturalismo più perfetto: vuole una rappresentazione della
21
realtà che, nella sua perfezione, sia conoscenza esatta di
ciò che viene rappresentato. Per questo, anche l’arte
contribuì a creare il nuovo uomo del Rinascimento: un
uomo che indaga con ogni strumento il mondo che lo
circonda per meglio conoscerlo.
In un primo momento, il recupero dell’antico si materializzò
in architettura, prima che nelle arti figurative. Il
Rinascimento fu anche rifiuto dell’architettura gotica, e
delle sue irregolari geometrie. Questo rifiuto portò gli
architetti del tempo a recuperare, in alternativa, tutte quelle
forme e regole che avevano caratterizzato la grande
architettura romana: gli ordini architettonici, gli archi a tutto
sesto, la regolarità delle forme geometriche, e così via. In
seguito, il ritorno all’antico si manifestò sempre più nelle
arti figurative, anche grazie ad una nuova attenzione posta
ai temi mitologici che, con il Rinascimento, tornarono
nuovamente ad essere rappresentati.
Ma il Rinascimento fu soprattutto, come già detto, non un
semplice recupero di elementi decorativi: fu il recupero di
22
un atteggiamento verso l’arte che prediligeva la bellezza e
il naturalismo.
23
CAPITOLO TERZO
LA SCUOLA DI ATENE
24
DESCRIZIONE DELL’OPERA
“La scuola di Atene”
Il celebre affresco della Scuola di Atene è stato eseguito
tra la fine del 1509 ed il 1510.
La“Scuola” ha poi un carattere architettonico specifico:
sembra la navata di una grande chiesa. Ha, infatti, le forme
25
della nuova Basilica di San Pietro disegnata dall'amico di
Raffaello, Donato Bramante, e iniziata tre anni prima
dell’affrescatura della Stanza, nel 1506. Un visitatore del
periodo familiare con la vita della corte pontificia doveva
già conoscere il progetto bramantesco, e sarebbe stato
perciò capace di identificare lo spazio architettonico della
“Scuola” con la progettata Basilica
Raffaello intende rappresentare - rifacendosi all’ideale di
Pico della Mirandola e di Marsilio Ficino - la tensione
rinascimentale che contrappone Platone ed Aristotele, ma,
nello stesso tempo, ne coglie l’unità nell’ambito della
ricerca filosofica comune a tutti gli uomini.
Evoluzione dello studiolo rinascimentale, la Stanza della
Segnatura (detta così perché sede – sotto Paolo II – del
tribunale ecclesiastico della “Signaturae Gratiae”) mostra
una novità importante per la sostituzione delle tradizionali
teorie di ritratti di uomini illustri con affreschi (come nel
caso dello studiolo di Federico da Montefeltro a Urbino),
quali la Disputa del Sacramento, il Parnaso, le Virtù e
soprattutto la Scuola d’Atene, dove sapienti d’ogni epoca
26
discutono animatamente circa il raggiungimento della
Verità. Il celebre affresco della Scuola di Atene, situato
all'interno dei Palazzi Vaticani, è da quasi tutti attribuito a
Raffaello Sanzio ed è stato eseguito tra la fine del 1509 ed
il 1510. Soltanto Coppier ritiene che lo abbia eseguito il
Sodoma e considera opera di Raffaello soltanto la
rappresentazione del pittore stesso. In questo dipinto sono
raffigurati numerosi filosofi e saggi dell'antichità all'interno
di un grandioso edificio, che richiama i motivi
dell'architettura romana tardo-imperiale. Ai lati del primo
arco sono situate, dentro nicchie, le statue degli dèi Apollo
e Minerva, il cui significato è chiarito dai bassorilievi che
stanno sotto di esse: un combattimento tra uomini nudi e
un Tritone che rapisce una ninfa del mare rappresentano la
violenza e i desideri sensuali degli uomini, che invece
dovrebbero essere controllati e dominati dalla ragione,
personificata da Apollo; le raffigurazioni poste sotto
l'immagine di Minerva simboleggiano probabilmente
l'attività dell'intelligenza governata dalla divinità. Si
possono intravedere di scorcio altre nicchie con statue e
27
bassorilievi lungo le pareti della navata. I personaggi
centrali dell'opera vengono rappresentati sulla sommità
della scalinata: essi sono i due grandi filosofi Platone ed
Aristotele. E' notevole la capacità di Raffaello di
rappresentare le idee più complesse con immagini davvero
semplici: entrambi i filosofi compiono gesti che sintetizzano
la loro dottrina: Platone, che ha con sé il Timeo, solleva un
dito per indicare il cielo, mentre Aristotele, che tiene in
mano il libro dell'Etica, stende in avanti un braccio con il
palmo della mano rivolto verso il basso. Sulle immagini di
Platone ed Aristotele si sviluppa in profondità il motivo
centrale del dipinto: sopra di essi si succedono alcuni
grandi archi e le loro figure sono inquadrate sullo sfondo
del cielo dall'ultima arcata. A sinistra dei due filosofi che
dominano la scena compare Socrate, che conversa con
alcuni giovani, tra i quali sono stati riconosciuti Alcibiade (o
forse Alessandro), che è armato, Senofonte ed Eschine
(oppure è questo Alcibiade). Ancora più a sinistra, in
basso, è raffigurato Zenone, incoronato con pampini, ed
Epicuro che legge su un libro sorretto da un bambino. Più a
28
destra, in primo piano, si trova Pitagora, che annota
qualcosa su un grosso volume, mentre un fanciullo, forse
Telange, gli mantiene una tavoletta. Alle sue spalle,
chinato su di lui, è stato identificato un altro filosofo,
Averroè, che indossa un turbante di colore bianco. L'uomo
appoggiato con il gomito sinistro su un grande blocco è
Eraclito, quello sdraiato sulla scalinata è Diogene, mentre è
incerta l'identità di colui che, in piedi accanto ad Eraclito,
indica un libro aperto che tiene appoggiato sopra un
ginocchio: si ipotizza che egli sia Parmenide, Senocrate
oppure Aristosseno. A destra troviamo Euclide che si china
fra i propri discepoli per misurare una figura geometrica
con un compasso, mentre dietro di lui vi sono Zoroastro e
Tolomeo, che sorreggono rispettivamente la sfera celeste
ed il globo terraqueo. Gli illustri sapienti dell'antichità
rappresentati in questa grandiosa opera sono collegati al
presente, cioè vi sono stretti legami tra i personaggi del
passato e quelli contemporanei all'autore dell'affresco:
Platone, Eraclito ed Euclide, ad esempio, hanno le
sembianze rispettivamente di Leonardo, Michelangelo e
29
Bramante, l'architetto che sembra aver ispirato, con i suoi
progetti per la basilica di San Pietro, il solenne edificio
rappresentato nella Scuola di Atene (alcuni ritengono che
fu lui stesso a disegnare la parte architettonica
dell'affresco). Sono ritratti anche altri artisti, umanisti e
principi della corte pontificia: Federico Gonzaga, ( è il
ragazzo alle spalle di Epicuro) e Francesco Maria della
Rovere, primo duca di Urbino ( è il giovane in abito bianco
a sinistra di Parmenide), Pietro Bembo, umanista e, dal
1539, cardinale, e, in particolare, Raffaello stesso,
raffigurato nel giovane con un copricapo nero in piedi
all'estrema destra del dipinto, vicino al Sodoma.
Il progetto primitivo dell'affresco, come appare in un
disegno conservato a Siena, era molto diverso da quello
che fu poi realizzato: doveva essere raffigurato un solo
filosofo (si pensa Platone), tre saggi, situati più in basso,
ed intorno una folla di discepoli. L'ordinamento di questo
disegno, troppo gerarchico e disorganico, fu poi
notevolmente mutato nel cartone dell'Ambrosiana a Milano,
che è molto vicino alla composizione finale, anche se con
30
alcune differenze: sono molto più accentuati gli effetti di
chiaroscuro e manca la parte architettonica; inoltre è
ancora assente la figura di Eraclito, che fu aggiunta solo
quando l'affresco era già stato compiuto, probabilmente
dopo lo scoprimento della prima parte della Volta della
Sistina, che avvenne il 14 agosto dell'anno 1511.
Il collo della tunica di Euclide è decorato da alcuni segni
dorati: secondo il Redig De Campos essi sono le lettere
"RVSM", interpretate come le iniziali della firma di
Raffaello: "Raphaël Urbinas Sua Manu"; il Bertini Carlosso
ha esteso la lettura della scritta ai segni seguenti,
ottenendo così "RVSMDVIIII", che significherebbe
"Raphaël Urbinas MDVIIII"; ma il Redig De Campos non ha
mutato la propria opinione.
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Nel grafico si propone la suddivisione tipicamente
pitagorica dell’ottava, che prevede due intervalli di quarta
(tetracordi) separati da un tono detto ‘tono di disgiunzione’
contrassegnato con il piccolo arco nella parte superiore. Il
termine epogdoon indica in effetti il rapporto di 9/8 che
caratterizza il tono pitagorico. I numeri nella parte superiore
6, 8, 9, 12 indicano la forma in cui venivano caratterizzate
nel pitagorismo, con riferimento al monocordo, l’ottava
(6,12), la quinta (6,9 e 8,12), la quarta (6,8 e 9,12) e la
fondamentale (12,12) e come variante rispetto ai numeri
1,2,3,4, il cosiddetto quaternario che è proposto nella
forma simbolica della Tetraktys tracciata alla base del
grafico.
33
3.2 ANALISI DELLO SPAZIO
· Presentazione dei tre livelli dell’opera:
I LIVELLO prima schiera di filosofi, disposta sul piano inferiore
della scena, divisi tra EMPIRICI e MATEMATICI;
II LIVELLO seconda schiera di filosofi, disposta sul piano
centrale della scena, i PADRI DELLA FILOSOFIA MODERNA;
III LIVELLO superiore, che rappresenta la dimensione MITICA,
simboleggiata dalle statue di Apollo e Minerva.
· Identificazione e caratterizzazione dei filosofi:
I LIVELLO (dal centro dell’affresco verso l’estremità sinistra: gruppo
dei “matematici”):
- ERACLITO (550 ca-480 ca a.C.): in posizione centrale ed
isolata.
- PARMENIDE (sec. V° a.C.): si erge dietro Eraclito.
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- PITAGORA (570-490 ca a.C.): seduto, con un libro, un
calamaio e un pennino, raffigurato nell’atto di annotare,
probabilmente, le proprie impressioni riguardo alla figura
rappresentata sulla lavagna nera che gli è accanto.
- EPICURO (341-271/270 a.C.): incoronato dai pampini, in atto
di annotare un libro, appoggiato ad un capitello (la figura potrebbe
rappresentare, però, anche Bacco abbracciato da Orfeo, la figura
dormiente dietro di lui).
- ZENONE di Elea (sec. V° a.C.): rappresentato, all’estrema
sinistra, da un vecchio e un bambino, che simboleggiano l’origine
orale della filosofia, legata a racconti mitologici e ai misteri di Orfeo e
Bacco (fratello di Apollo).
I LIVELLO (dal centro dell’affresco, verso l’estremità destra: gruppo
degli “empirici”):
- EUCLIDE (sec. IV a.C.) (oppure ARCHIMEDE 287-212 a.C.):
figura china a terra, nell’atto di proporre una dimostrazione con il
compasso, mentre i quattro giovani che lo circondano dimostrano
interesse e coinvolgimento.
- TOLOMEO (sec. II d.C): figura incoronata, vestita in giallo e
verde, reggente il globo terrestre (la geografia).
- ZOROASTRO (tra il 1000 e il 600 a.C.): figura barbuta, di
fronte a Tolomeo, reggente la sfera celeste (l’astronomia); Orfeo (sul
lato sinistro) e Zoroastro (sul lato destro), rappresentavano, nel
Rinascimento, l’“antica teologia”, le due basi della filosofia.
I LIVELLO (in posizione centrale):
- DIOGENE di Sinope (410 ca-323 a.C.): (gruppo degli empirici)
sdraiato con malagrazia sui gradini, guarda con sospetto dei fogli,
presumibilmente i dialoghi platonici giovanili, in cui campeggia la
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figura di Socrate, di cui Diogene si faceva beffa. Al suo fianco, una
ciotola, l’unica cosa che egli possedesse.
II LIVELLO (dal centro dell’affresco verso l’estremità sinistra):
- PLATONE (428/427-348/347 a.C.): figura anziana barbuta,
vestita di marrone e arancio, indica, con la mano destra, la strada
che, secondo la sua filosofia, portava al Vero: il cielo, cioè il mondo
intelligibile, non empirico. Con l’altra mano regge una delle sue
opere, il Timeo, in cui aveva tentato una spiegazione dell’origine del
mondo. Nell’affresco la sua testa e quella di Aristotele, sono fra le più
piccole raffigurate, ma sono pure le uniche ad avere il cielo come
sfondo.
- SOCRATE (470/469-399 a.C.): collocato a sinistra di Platone,
di cui fu il maestro, vestito da una mesta tunica e voltato di spalle
rispetto alle figure centrali di Platone e Aristotele; lo si riconosce per
le fattezze (per le quali Raffaello poté adoperare come modello una
testa antica) e per i gesti: egli, infatti, è ritratto nell’atto del dialogare,
processo caratteristico della sua filosofia. Fra i discepoli v’è
Antistene, il poeta Agatone (per altri Senofonte) e un giovane
soldato, probabilmente l’amico Alcibiade. Sembra che un altro
discepolo faccia segno di allontanarsi a un bibliotecario che ha
accolto uno schiavo muscoloso carico di testi, non funzionali al
metodo socratico. Socrate appare ritratto, non casualmente, sotto la
statua di Apollo, dio del Sole e dell’armonia, oltre che delle arti, di cui
era seguace e da cui era stato proclamato, secondo la leggenda, il
più saggio degli uomini.
Socrate
II LIVELLO (dal centro dell’affresco verso l’estremità destra):
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- ARISTOTELE (384-322 a.C.): figura barbuta, vestita di
azzurro, che campeggia nella scena insieme a quella di Platone.
III LIVELLO:
- Statua di Apollo (sulla sinistra): dio delle arti, del Sole e
dell’armonia.
- Statua di Minerva (sulla destra): dea dell’intelligenza.
Sono ritratti anche altri artisti, umanisti e principi della corte pontificia:
Federico Gonzaga, (è il ragazzo alle spalle di Epicuro) e Francesco
Maria della Rovere, primo duca di Urbino, Pietro Bembo, umanista e,
dal 1539, cardinale, e, in particolare, Raffaello stesso, raffigurato nel
giovane con un copricapo nero in piedi all’estrema destra del dipinto,
vicino al Sodoma.
Il progetto primitivo dell’affresco, come appare in un disegno
conservato a Siena, era molto diverso da quello che fu poi realizzato:
a testimonianza di una gestazione resa complicata dalla volontà di
Raffaello di rappresentare una forte carica simbolica dietro
un’apparente noncuranza architettonica e scenografica, infatti,
doveva essere raffigurato un solo filosofo (si pensa Platone), tre
saggi, situati più in basso, ed intorno una folla di discepoli.
L’ordinamento di questo disegno, troppo gerarchico e disorganico, fu
poi notevolmente mutato nel cartone dell’Ambrosiana a Milano, che è
molto vicino alla composizione finale, anche se con alcune
differenze: sono molto più accentuati gli effetti di chiaroscuro e
manca la parte architettonica; inoltre è ancora assente la figura di
Eraclito, che fu aggiunta solo quando l’affresco era già stato
compiuto, probabilmente dopo lo scoprimento della prima parte della
Volta della Sistina, che avvenne il 14 agosto dell’anno 1511.
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Il valore simbolico dell’affresco si ritrova anche nell’interpretazione
allegorica delle arti liberali.
Con questa grandiosa opera le arti plastiche, che erano state
classificate tra le meccaniche, vengono considerate sullo stesso
piano di quelle liberali: Raffaello concepisce l’operare artistico, non
solo come ricerca razionale del vero, ma anche come discorso
mentale, come ricerca dell’idea. Alcuni storici dell’arte (per es. André
Chastel ed Antonio Springer) hanno visto nell’affresco una
rappresentazione delle sette arti liberali: a sinistra, grammatica,
aritmetica e musica; a destra, geometria ed astronomia; in cima alla
scalinata, retorica e dialettica. I due gruppi di persone simboleggiano
la scienza dei numeri nei suoi due aspetti: musicale (a sinistra) ed
astronomico (a destra); secondo Chastel, inoltre, “il dito di Platone
esprime l’orientamento finale: dalla scienza dei numeri alla musica,
dalla musica all’armonia cosmica, da questa all’ordine divino delle
cose”.
Probabilmente, la prima visione d’insieme può essere stata suggerita
dai versi danteschi (Inferno, IV, 130-144) che presentano nel limbo
gli antichi filosofi sapienti: si tratta di Aristotele-Socrate-Platone
attorniati da 17 altri pensatori (dei quali Raffaello non rappresenterà
solo Orfeo, Cicerone e Seneca oltre ai medici-scienziati):
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Bibliografia:
- E. Panofsky, La prospettiva come forma simbolica,
Feltrinelli, Milano 1983
G.C.Argan, Storia dell’arte italiana, Sansoni
G.Vasari,Le vite dei più eccellenti architetti,pittori e
scultori italiani
WEBGRAFIA :
www.scudit.net/mdraffaello.htm -
www.liberliber.it (Vasari)
it.wikipedia.org/wiki/La_scuola_di_Atene_(Raffaello_Sanzio)
www.artemotore.com
www.exibart.com
http://it.encarta.msn.com
www.educational.rai.it
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INDICE
Premessa pag. 1
CAPITOLO PRIMO – Raffaello e il suo contesto storico
1.1 la vita pag. 3
1.2 la formazione pag. 6
1.3 il rapporto con i contemporanei pag. 9
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3. CAPITOLO SECONDO – la prospettiva
2.1 significato di prospettiva pag. 12
2.2 breve storia della prospettiva pag. 15
2.3 l’uso della prospettiva nel cinquecento pag. 17
CAPITOLO TERZO – La scuola di Atene di Raffaello
3.1 descrizione dell’opera pag. 25
2 lettura dell’opera, applicazione della prospettiva pag. 34
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Il misterioso efebo della Scuola d'Atene
Merita particolare attenzione, a questo proposito, la Scuola
di Atene nella vaticana Stanza della segnatura. Il ritratto
del misterioso efebo in abito bianco, non appartiene, a
nostro giudizio, come sino ad ora è stato ipotizzato, a
Francesco Maria Della Rovere, diciannovenne nipote del
papa. Non esistono infatti elementi di continuità fisionomica
con il ritratto nel quale fu effigiato, pur negli anni della
maturità, da Tiziano. L'opera e il disegno preparatorio
rinviano invece a un impianto strutturale del volto molto
vicino a quello della modella bruna nota come Fornarina.
Indagini su un quadro sentimentale
Particolarmente interessante si rivela l'osservazione dei
quattro "sguardi in macchina" che appaiono nella Scuola
d'Atene. In tutto l'affresco, infatti, soltanto quattro
personaggi hanno gli occhi rivolti verso l'osservatore
esterno del quale incrociano lo sguardo. I personaggi sono:
Raffaello, l'efebo in abito bianco i cui tratti fondamentali
rinviano al modello fisionomico della Fornarina, due eroti
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collocati dal pittore alla sinistra di chi osserva l'opera. E'
importante notare che le quattro figure insistono sullo
stesso piano. La posizione complanare, accentuata dagli
"sguardi in macchina", conferisce alla "scena nella scena"
un forte unità narrativa. E' lecito chiedersi se, in questo
modo, l'artista abbia voluto configurare un tenero quadro di
unità familiare da offrire alla propria modella. Lo "sguardo
in macchina" è utilizzato da Raffaello in molti dipinti di
storia. In questo modo ammiccante egli crea un
collegamento vivido tra gli spettatori e i committenti
dell'opera oppure con gli amici più intimi del pittore che
vengono chiamati, in qualità di figuranti, a prestare il
proprio volto alla storia rappresentata.
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