LA RICCITELLI GIOVANI - Teramani :: il mensile … di informazione in distribuzione gratuita Ottobre...
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mensile di informazione in distribuzione gratuita
Ottobre 2010
LA RICCITELLIE I “SUOI” GIOVANI
C’È UNA LINEA SOTTILE pag. 06
LA RIFORMA DELL’UNIVERSITÀ pag. 10
FRANCOCHIONCHIO pag. 24
n. 66
SOMM
ARIO 3 Scommettiamo che...
4 Berardo Rabbuffo 5 Shop Art 6 C’è una linea sottile 8 ...e c’è una linea ancor più sottile 9 “Dammi del Leo” 10 La riforma dell’Università 11 Margherita Hack 12 Inalienabilmente vostro 14 Morbosamente Sarah 16 Il giro dell’immondo 17 Campà cent’anne 18 L’oggetto del desiderio 20 La Riccitelli e i “suoi” giovani 21 Note Linguistiche 22 Teramo culturale 23 Coldiretti informa 23 Serenità 24 Franco Chionchio 26 Il film del mese 28 Calcio 28 Dura Lex Sed Lex 30 Basket
Direttore Responsabile: Biagio TrimarelliRedattore Capo: Maurizio Di BiagioCoordinatore: Maria Grazia Frattaruolo
Hanno collaborato: Mimmo Attanasii, Raffaello Betti, Giuseppina Bizzarri, Maurizio Di Biagio, Maria Gabriella Di Flaviano, Giovanni Di Girolamo, Elvio Fortuna, Maria Grazia Frattaruolo, Carmine Goderecci, Amilcare Lauria, Bebè Martorelli, Silvio Paolini Merlo, Antonio Parnanzone, Leonardo Persia, Yuri Tomassini, Carla Trippini
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B elén Rodriguez farà parte
dell’ammucchiata del Festival di
Sanremo, una “lama a doppio filo”
(parole sue) che può spedire dritti in
paradiso o precipitarti nella polvere?
Dopo la bestemmia “contestualizzata”
del Premier, la Rai è matura per
“contestualizzare” le ammissioni sull’uso
della cocaina da parte della show-girl, la
bellona diventata celebre nel 2008 per aver
accusato Luxuria – mani a cuneo tra le cosce
– di invidiarle quello che la ex-parlamentare
prima o poi si sarebbe defalcato una volta
per sempre (Wladimiro Guadagno è transgender e non lo farebbe mai). Per
adesso però sta attraversando un periodo
critico, la permanenza in Africa per girare il
cinepattone la obbliga a lunghe astinenze
da cellulari e diavolerie tecnologiche dalle
quali è inseparabile. Sarebbe addirittura
sull’”orlo della pazzia” (anche qui parole sue).
Mamma Rai, preoccupata, fa sapere che
sta lavorando per lei, ormai il gruppone per
la volata finale verso le seratone sanremesi
sta coagulando. Dov’è l’insolito, lo “strano”
in questa vicenda da italietta tamarra che il
pomeriggio del 25 dicembre si accatasterà
nei cinema per sgolarsi l’ennesima boiata
vanziniana? Lo “strano” è che, per un
ammissione del tutto simile a proposito
di stupefacenti, Morgan del talent-trash-
show X-Factor fu piazzato, qualche mese
fa, davanti ad un plotone di esecuzione,
licenziato da Mamma Rai e poi giustiziato.
Sarebbe interessante conoscere, tra l’altro,
quale sia stato all’epoca il pensiero del
“contestualizzatore” mons. Fisichella. La
signorina, che stupidina non è, durante
un’intervista sul set africano ha anche
buttato lì che l’autentico sogno della sua vita
è avere al più presto un figlio e poi recitare
in un film di Pedro Almodovar. Tradotto:
non sono più la spericolata che slinguazza
col pentito tricologico Fabrizio Corona, non
sniffo più, ho smesso di fare gestacci e dire
parolacce in tv e ho scoperto pure il cinema
d’autore. Mi sono ripulita e mi sento pronta,
prontissima, per siglare il contratto d’oro
sanremese. n
3diYuri Tomassini
l’Editoriale
La Televisione
n. 66 • Ottobre 2010
Scommettiamo [email protected]
La nuova destra che
avanza come un
tornado ha Berlusconi
nel suo mirino. La fine
del tycoon-barzellettiere
rappresenta senza dubbio
la consacrazione di un
Futuro senza più i lacci e
laccioli di norme ad azien-
dam, ad personam, norme
insultate spesso, bypassate, violentate, deturpate, azzerate. Un Futuro
e Libertà per l’Italia. Un guizzo d’orgoglio per tanta gente delusa da una
politica fin troppo affaristica che non conserva più l’afflato vitale di una
comunità che dalla base discuta, ragioni, dissenta, proponga. Tutto è
calato dall’alto: nomine, sindaci, ordini imperiali, bolle papali. Fli ancora
non ha un suo “manifesto” anche se Berardo Rabbuffo, consigliere Pdl
alla Regione, prova a tracciare una rotta. Che inevitabilmente parte da
un piccolo regno nell’occhio del ciclone in questi giorni, nei pressi della
curva del tabaccaio.
A scanso di equivoci, come siamo messi a cognati?“Tranquillo. Vede, a Fini per
Montecarlo hanno fatto un’opera
di linciaggio come - con i dovuti pa-
ragoni – a suo tempo fecero a me
prendendo a pretesto le problema-
tiche del traffico”.
Sicché a Teramo abbiamo Il Giornale!?
“Ce ne sono alcuni che apparten-
gono a dei potentucoli locali. C’è un
giornale asservito che, senza avere Feltri al timone, ha fatto opera di
killeraggio nei miei confronti non riuscendoci: ciò spiega la mia elezione
nel listino”.
Metodo Boffo in città?“E c’è stata pure una connivenza all’interno dell’amministrazione
comunale e forse anche del Pdl. Chiodi comunque ufficialmente mi ha
sempre difeso”.
Politica in movimento
Tempi duri anche per le sedi An.“Non lo dica a me, ci ho rimesso di tasca mia qualche migliaio di euro
per pagare l’affitto di Via Oberdan fino a dicembre”.
L’ultima volta che ha parlato con il senatore Paolo Tancredi?“Molto tempo fa, in occasione della formazione della giunta. Non
condivido il modo con cui ha gestito questa provincia: la politica deve
liberare non opprimere”.
Di Zio monopolista tra un hotel, Vicolo stretto ed una Stazio-ne Sud.“Il monopolio non va mai bene, uccide la concorrenza: a Teramo trat-
tammo con una ditta di rifiuti di Sogliano sul Rubicone: avremmo avuto
uno sconto, guarda caso subito dopo Di Zio calò il prezzo pure lui”.
Venturoni?“Ce la farà”.
Il suo futuro e la sua libertà è davvero il suo Futuro e Libertà?“Guardi, sta per nascere un grande partito, uno schieramento capace di
abbracciare tutti i moderati, che si candida a governare in maniera più
adatta ai tempi in un tempo senza più ideologie”.
Del Pdl che facciamo?“Il Pdl è un grande contenitore vuoto in cui attraverso una sequela di
nominati dall’alto non esiste più una dialettica interna. Anche per gli
iscritti non è un bel periodo…”.
Beh, effettivamente lì vedo spesso in giro per il Corso.“Prima salivano
le scale, aprivano
il giornale, discu-
tevano, dicevano
tu hai sbagliato,
tu hai fatto bene,
c’era dialettica,
mentre adesso è
cambiata l’aria,
non c’è più con-
fronto”.
Che cosa si è rotto nel Popolo delle Libertà?“Non sono stato
eletto dal Pdl
ma nel listino di
Chiodi: è lui che
sostengo. In verità
io ho sempre seguito Fini e un PDL senza il cofondatore Fini per me
non ha senso”.
Che le ha detto il Presidente della Camera?“In bocca al lupo. Stiamo formando una nuova figura politica sociale,
liberale, nazionale ed europea: quando inizi un nuovo cammino sei
spaventato però se ti giri indietro giudichi spaventoso il posto in cui eri
ieri”.
Ma diciamoci la verità, non è che è andato via perché non l’hanno accontentata a dovere? Sa, capita spesso.“No, non è questo il motivo, avrei potuto avere di più dov’ero; il reale
motivo è che io faccio le cose per passione, perché credo ancora ad
una politica che ha la gente in mente. Se avessi voluto fare i miei inte-
ressi mi sarei potuto stare buono e tranquillo e attendere, io invece ho
4ott 2010
Un futuro e libertà per Rabbuffo
diMaurizioDi Biagio [email protected]
POLITIC
A
“...C’è un giornale asservito che, senza
avere Feltri al timone,ha fatto opera di killeraggio nei miei confronti non
riuscendoci...”
indossato l’elmetto e sono sceso in battaglia
perché con Fini nasce un’idea nuova su cui
tutti ci metteremo in gioco”.
Capitolo termovalorizzatore: è d’ac-cordo?“Sì, è un ottimo modo per liberarsi dei
rifiuti ma bisogna indire le gare ad evidenza
pubblica”.
Piccolo particolare.“Le gare d’appalto europee sono impre-
scindibili”.
Ma nella sua avventura non c’è perico-lo di fare il carico di scontenti Pdl?“Non è il nostro obiettivo e penso nemme-
no quello dei delusi. Fli non è un ripiego:
bisogna comprendere appieno il messaggio
che è rivoluzionario e non certamente un
discorso localistico per qualcuno che non ha
avuto spazio”.
Ma dovevate imbarcarvi Catone in quest’avventura. La base, quella in formazione, è delusa.“Al pari di altri parlamentari Catone è stato
delegato nella regione dove risiede: tuttavia
questa è ancora una logica in fieri, siamo un
progetto in evoluzione”.
Chi farà parte della compagine futu-rista?“Noi stiamo assistendo ad un cambiamento
epocale, dove si guarda ad un sistema total-
mente nuovo e dove però finora le promesse
sono state disattese. Nel Fli avremo perso-
naggi di tutti i crismi: io vorrei molti giovani,
anche se vengono da altre esperienze, Fli
non è An in sedicesimi”.
An però resta nel cuore“Sono rimasto An dentro. Io sono sempre per
il sociale, per l’ordine, per la trasparenza, tutti
principi che ho sempre cercato di applicare
nella mia vita politica. Il partito è uno stru-
mento: se questo invece diventa un discorso
autoreferenziale e verticistico che tenta ad
escludere, allora che ci stai a fare? diventa
un sistema di potere”. n
“Economia Politica” che stimola arricchisce la città della sensibilità
verso l’Arte e che di conseguenza si fa apripista nella valorizzazione
di tutte le vie del centro, non solo sotto l’aspetto commerciale ma
anche come occasione di incontro tra le persone. Tutto questo sarà
reso possibile grazie alla proficua
collaborazione tra gli artisti, gli
artigiani e i residenti della via,
generando relazioni di solidarietà e
sinergia con tutti i cittadini.
Attraverso performance che hanno
come oggetto la poesia, la musica
e la scultura, ma aperte anche ad
altre forme artistiche in genere,
quindi con la partecipazione di
artisti noti a sostegno di artisti
emergenti Art Shop ridisegna una
nuova identità della via, tanto da divenire un evento unico che ha
come protagonisti non solo artisti e
cittadini teramani ma si fa anche vetrina
per tutti coloro che, provenendo da
altre parti d’Italia, vorranno partecipare.
L’operazione Shop Art di via D’An-
nunzio che tenderà naturalmente ad
allargarsi alle Vie circostanti, come ad
esempio Via Carlo Forti, costituisce
la possibilità concreta di migliorare
la qualità della vita dei cittadini e di
conseguenza dell’intera nostra città. In occasione di Shop Art, Via
D’Annunzio viene rigorosamente chiusa al traffico per l’intera gior-
nata, proprio per consentire una tranquilla e rilassante passeggiata,
immersi nell’arte. Alcuni locali e fondaci, chiusi da troppo tempo,
saranno riaperti e utilizzati come estemporanei spazi espositivi
rallegrati dalle esibizioni di giocolieri e musicisti di strada.
In occasione dell’appuntamento di Novembre, l’atmosfera
sarà resa ancora più accattivante dall’aroma avvolgente delle
caldarroste. n
ott 2010
5Arte in stradadallaRedazione [email protected]
EVENTI Shop
ArtÈ trascorso ormai un anno
da quando, per iniziativa di
alcuni volenterosi facenti
capo a Grazia Ricci, si svol-
ge in Via D’Annunzio una inizia-
tiva che dovrebbe rappresentare
un esempio da seguire da parte di
altre Vie della nostra città.
Shop Art è una manifestazione,
ormai collaudata e consolidata,
nata da un gruppo di artisti, foto-
grafi, artigiani che hanno avuto
l’idea di ubicare il proprio studio-
laboratorio in una via intitolata
proprio a Gabriele D’Annunzio,
uno dei più grandi poeti del ‘900.
Allora perché non rafforzare
l’identità artistica di questa via?
Così è nata Via Gabriele D’An-nunzio Shop Art, con l’intento
di proporre un evento ogni primo
sabato del mese.
Si può tranquillamente considera-
re Shop Art come un evento di
Grazia Ricci
...un evento di “Economia Politica” che stimola
arricchisce la città della sensibilità verso l’Arte e che di conseguenza si fa apripista nella valorizzazione di tutte le
vie del centro...
B rutta storia quella di Sarah Scazzi, la 15enne uccisa e abusata
dallo zio ad Avetrana e il cui corpo è stato ritrovato il 7
ottobre.
Ma brutta storia anche quella di Giovanna, Michele, Giulia,
Simone e Alessandra! Brutte storie quelle di abusi, stupri, incesti e
pedofilia.
E, se pur la parola “brutta” non rende giustizia all’orrore che si consu-
ma nel sottobosco della peggior delinquenza e soprattutto all’interno
delle pareti domestiche, mi limiterò ad
usare tale termine per non cadere nel
volgare.
Adesso però mi stacco dal caso parti-
colare, da cui ho preso spunto solo per
introdurre un discorso ben più ampio, e
sposto il campo visivo all’universale, quindi
non scriverò più della povera Sarah e della
sua famiglia, nelle cui dinamiche familiari
non oserei mai addentrarmi non avendone
il diritto.
Secondo le ultime statistiche, il 70%
degli abusi sessuali sui minori avviene in
famiglia. Le violenze intrafamiliari sono
sempre esistite, anzi, forse un tempo, quando molte famiglie vivevano
in monolocali e si dormiva in 5 o in 6 nella stessa stanza, sicuramente
gli abusi erano più frequenti, solo che allora non se ne parlava. L’era
dei mass-media ha finalmente portato alla luce molto fango e ha
spinto molte vittime a denunciare i loro aguzzini.
Eppure ancora non ci siamo.
Alle soglie del Terzo Millennio abbiamo dei dati sconcertanti (70%!) e
stiamo parlando solo dei dati ufficiali. Se venissero denunciate tutte
le violenze consumate tra le mura domestiche forse la percentuale
salirebbe vertiginosamente. Ma anche volendo attenersi solo alle
stime ufficiali, esse sono comunque troppo elevate.
A malincuore bisogna riconoscere che gli orchi sono dei personaggi
presenti in tutte le epoche, passate, presenti e future. È chiaro che
di loro bisogna parlare in continuazione. Mai abbassare la guardia e
spegnere i riflettori!
In questa sede, però, mi piacerebbe accendere i fari sui complici
dell’orco.
La riflessione è d’obbligo. Se il 70% degli abusi sessuali sui mino-
ri avviene in famiglia, e se la famiglia per definizione è un nucleo
formato almeno da due o più persone, se dunque l’orco (sia esso il
padre, il fratello maggiore, lo zio, il cugino o il compagno della madre)
La televisioneSOC
IETÀ agisce all’interno di un nucleo familiare... è implicito che ci sono
delle persone che si aggirano evanescenti intorno alla vittima e al
carnefice. Individui in carne e ossa che scompaiono come fantasmi.
Esseri umani che respirano ma non emettono suoni. Bocche che si
aprono ma tacciono. Occhi che vedono ma sono chiusi. Orecchie che
sentono ma sono ovattate. In una parola... complici!Mai come in questi casi il silenzio diventa assenso.
Se il mostro agisce indisturbato e trova terreno fertile in un ambiente
familiare, è sottinteso che gli altri componenti della famiglia ne sono
complici silenziosi e omertosi. D’accordo, anche i complici avranno
paura dell’orco, oppure non vogliono rovinare l’equilibrio familiare, o
ancora si vergognano, nascondono e rinnegano una tale mostruosità.
I complici avranno, forse, anche delle attenuanti, ma non dovrebbero
mai dimenticare che sono degli adulti e che, come tali, dovrebbero
prendersi cura dei minori. Soprattutto quando questi minori sono i
propri figli!
Io mi batto sempre sul concetto di “prevenzione”, del quale avrò
sicuramente scritto in altre occasioni, ma non m’importa di essere
ripetitiva, anzi, credo che non se ne parli mai abbastanza. Sono forte-
mente convinta che uno degli aspetti della prevenzione per una sana
crescita psico-affettiva dei ragazzi è data
soprattutto dall’ascolto e dall’attenzione.
È importante ricordare che una pre-
venzione efficace parte da un contesto
educativo familiare e scolastico capace
di dare ascolto al bambino e ai suoi
bisogni, nelle differenti fasi evolutive. La
prevenzione costituisce l’elemento chiave
in tema di abuso sessuale.
Prevenire vuol dire stare un passo avanti,
significa fare in modo che questo dram-
matico evento non si verifichi mai. Signi-
fica innanzitutto favorire e potenziare le
condizioni individuali, familiari e sociali
che proteggono un bambino, ostacolando il verificarsi di un abuso.
Guardare negli occhi i nostri figli, è prevenzione. Ascoltarli, è
prevenzione. Dar voce ai loro bisogni, è prevenzione. Contenere la
loro tristezza, è prevenzione.
Riempire con l’affetto (e non
con i regali) il loro vuoto, è pre-
venzione. Prendersi cura di loro,
è prevenzione.
Altrimenti, come canta Ligabue,
“c’è una linea sottile fra tacere
e subire. C’è una linea sottile
fra star fermi e subire.
Cosa pensi di fare? Da che
parte vuoi stare?”.
Io aggiungerei: “C’è una linea
sottile fra nascondere e acconsentire. C’è una linea sottile fra fin-
gere di non vedere e favoreggiare. TU cosa pensi di fare? TU da che
parte vuoi stare?”.
Cerca di stare sempre dalla parte di tuo figlio. Perché non c’è uomo,
padre, marito, cognato o compagno che sia, che valga più della vita
di un figlio. n
6diCarlaTrippini [email protected]
ott 2010
C’è unalinea sottile
Cerca di stare sempre dalla parte di tuo figlio.
Perché non c’è uomo, padre, marito, cognato o compagno che sia, che valga più della
vita di un figlio.
Cara Titti,seduti tutti intorno alla scrivania del Tuo Direttore abbiamo deciso di scriverti...sono passati quasi due mesi da quando sei andata via ad arricchire il cielo di una luce nuova.Una luce che si è spenta nella squadra Te.Am., che ti ha visto raggiungere tanti obiettivi comuni ma anche tanti tuoi personali: la macchina, il posto fisso, la casa, quanto sono stati importanti per te questi risultati!In questi anni ti abbiamo visto crescere professionalmente con tutta la dedizione e la passione che riuscivi a mettere in tutto quello che facevi, hai sostenuto la Direzione dei Servizi in maniera impagabile fino al prestigioso traguardo del Porta a Porta.Sei stata il cuore pulsante di tutte le nostre serate di tutti i momenti aggregativi, sei stata il colore delle nostre giornate grigie... chi ha morso la vita più di te? Qual è il miglior esempio per noi costretti a continuare il percorso senza di te? Una piccola grande donna che ha trovato sempre le modalità di vivere una vita piena senza né sconti né limiti... “Niente sarà più come prima”.
Grazie Titti
I tuoi Amici della Te.Am.
... e c’è una linea ancor più sottile fra intervistare e interroga-
re. C’è una linea sottilissima fra informare e ingarbugliare.
C’è una linea ultrasottile fra documentare e spettacolarizza-
re. E, purtroppo, c’è una linea sottile come
un capello, fra... sdegnarsi e abituarsi all’orrore.
Attenzione! Noi non ce ne accorgiamo, sempre su
tutt’altre faccende affaccendati, ma lentamente e
subdolamente ci stanno instillando a piccole dosi una
droga letale. I primi sintomi sono indignazione e rac-
capriccio, poi si passa all’estasi con punte altissime
di chiacchiericcio e presunzione di giudizio, infine,
in un decrescendo di emozioni che via via vanno
smorzandosi, si stramazza al suolo affogando in un
mare di indifferenza.
Fortunatamente però, c’è l’antidoto. I problemi di tutti i giorni ci ripor-
tano alla realtà. Fino a quando non avviene un altro caso di violenza.
E allora ci spariamo di nuovo in vena ore e ore di programmi TV dove
esperti, avvocati, criminologi, psicologi, magistrati, vittime e carnefici,
tutti insieme appassionatamente, come in un grande baraccone, facen-
doci credere di avere in mano la verità, preparano una nuova miscela
esplosiva per la nostra prossima dose di “informazione”.
Per carità! L’informazione è sacrosanta. Senza di essa saremmo tutti
degli ignoranti. Ma, quando diventa poltiglia masticata per giorni dai
pescecani... allora si trasforma inevitabilmente in “disinformazione”. Ed
è proprio in quel momento che produce gravi effetti collaterali.
Immaginiamo la scena. Ogni sera un ipotetico soggetto A si sfila le
pantofole, si sdraia comodamente sul divano, aggiusta i cuscini dietro
la schiena, fa un lungo respiro per
allontanare la tensione quotidiana,
si rilassa, impugna il potere (vedi te-
lecomando) e... splash!! Una pappa
informe e oscura, ruminata per ore
da bocche diverse, esce prepoten-
temente dal nostro bel televisore al
plasma nero e lucido.
Allora il soggetto B, che nel frattem-
po si era sdraiato sull’altro divano, esordisce: «Stasera c’è un bel film
su Sky».
A lo interrompe: «Aspetta, scusa un attimo! Fammi sentire cosa dicono
su quella povera Sarah. Oddio! Lo stanno dicendo in diretta che è mor-
ta! Guarda, c’è anche la mamma in televisione. Ma come fa a rimanere
impassibile? Io però l’avevo capito che era stato lo zio!».
La televisioneSOC
IETÀ B: «Anch’io. Ma secondo
me non era da solo?
Anche a portarla in quel
pozzo... non so. E Sabrina
che ruolo ha in questa
storia?».
A: «Mah! Questa storia mi
puzza!».
Diamine! E certo che
puzza!!
Essendo una storia di abu-
so, stupro, omicidio (anzi, omicidio e poi
stupro, in quest’ordine!), pozzo, fango e
melma... già puzzava a prescindere! Fi-
guriamoci adesso, che un tale intruglio
si è mescolato a quella brodaglia che ci
propinano a tutte le ore!
In TV sembrano un branco di cani affa-
mati che rovistano nella spazzatura con la speranza di trovare l’osso
più succolento: la verità. E noi lì, a guardarli mentre si azzannano e poi
fingono di leccarsi le ferite, a tifare per l’uno o per l’altro, a preferire
“Porta a Porta” (incredibile la coincidenza con la raccolta domiciliare
dei rifiuti di Teramo Ambiente, denominata come la trasmissione di
Bruno Vespa, non credete?) a “Matrix” o viceversa.
“Matrix”, d’altra parte, «... è ovunque. È intorno a noi. Anche ades-
so, nella stanza in cui siamo. È quello che vedi quando ti affacci alla
finestra, o quando accendi il televisore. L’avverti quando vai a lavoro,
quando vai in chiesa, quando paghi le tasse. È il mondo che ti è stato
messo davanti agli occhi per nasconderti la verità». (Morpheus a Neo,
tratto da Wikipedia).
Dunque... dicevamo? Ah! La verità!
“La verità è come il vetro, che è trasparente se non è appannato. Per
nascondere quello che c’è dietro basta aprire bocca e dargli fiato!
(“Meno Male”, Simone Cristicchi). Mi piace.
D’accordo, siamo seri! Io presumo che la verità sia ciò che ognuno di
noi crede vero ma che poi, confrontato con quello che dice l’altro, risul-
ta essere falso. Che dite, mi sono incartata? D’accordo, allora diciamo
che la verità è un concetto talmente difficile da incastrare all’interno di
confini delimitati che si potrebbe tagliare la testa al toro e liquidare il
discorso con un bel... “la verità non esiste”! Punto.
Oppure si potrebbe usare una metafora, che sicuramente è più d’effet-
to. Vediamo cosa mi viene in mente... Ecco ci sono!
Cercare la verità è come cercare un assassino dentro una stanza dove
ci sono mille specchi. Tu vedi la sua immagine riflessa in mille posti, ma
non sai quale di quelle figure è reale. Però... c’è un modo per scoprire
dov’è. Basta rompere tutti gli specchi! Alla fine, necessariamente, dovrà
rimanere una sola immagine. Quella vera!
Purtroppo, però, si è fatta l’una di notte e allora B si sveglia sbadiglian-
do e allungando le gambe prima rannicchiate sul divano, urta con una
gomitata A e dice con voce soporifera: «Spegni, va, che domani ci
tocca lavorare!».
A sussulta infastidito e bofonchia: «Non puoi essere più delicato? – poi,
mentre s’infila le pantofole – Ma... alla fine, chi era l’assassino?».
B: «Boh! Tanto... domani fanno le repliche!».
Clic sul tasto rosso. E domani è un altro giorno. n
8diCarlaTrippini [email protected]
ott 2010
“l’informazione”
... e c’è una linea ancor più sottile
E, purtroppo, c’è una linea sottile come un capello,
fra... sdegnarsi e abituarsi all’orrore.
L eo Gullotta apre a Teramo la stagione di Prosa della Riccitelli.
Giubbino blu minimal, da burocrate ai tempi degli alti papaveri
di Mao. Labbra serrate, taglienti, quasi anticipatori di un improv-
viso scroscio di risata. Occhi vispi, farneticanti fino all’inverosi-
mile, due biglie impazzite che rivelano un’anima clownesca repressa
a stento. Ed è in lui, in Leo Gullotta, la possente dicotomia del saggio
che invecchia dentro un corpo profondamente da ragazzino.
Sessantacinque anni, di cui 50 tra film alla Vanzina, commedie
pierinesche e picaresche, cabaret televisivi che hanno accompagnato
due o tre generazioni tra chiappe al vento e pailette, fino ai primi
sdoganamenti di Nanni Loy, il regista iper reality che raccontava tra le
cucine di legno bianco aspra crudezza l’Italia che cresceva, e di Torna-
tore, siciliano come lui che con Baaria e Nuovo Cinema Paradiso lo ha
praticamente nominato cavaliere del lavoro. Passando per Vajont di
Martinelli, per il teatro, fino alla lunga stagione del Bagaglino, 21 anni
per raccontare la lenta agonia della prima repubblica.
“Dammi del Leo” proruppe Gullotta alla presentazione a Teramo della
pièce teatrale “Le allegre comari di Windsor” all’interno della stagione
di prosa della Riccitelli. Lo accennò per fendere quella cappa di occhi
indagatori che lo circondavano. Lo chiamavano Gullottino quand’era
più che uno scricchiolo quasi 14enne al Teatro Stabile di Catania.
Iniziò a prendere confidenza con il sacro fuoco: ultimo di sei figli, in
una famiglia semplice, è comunque cresciuto attorno a dei vari mae-
stri di vita come Salvo Randone e Turi Ferro.
Poi le luci della Capitale con il varietà. S’incupisce quando spesso gli
rammentano che lui è un attore comico, aggettivo che in Italia, al pari
dei giornalisti sportivi, incarnerebbe un sottoprodotto culturale, una
collana Harmony, una sorta di bontempone illetterato che per sbaglio
fa cose da grandi.
“Eh che Jack Lemmon negli Stati Uniti era considerato uno tonto”
sbuffa iracondo dal tavolo, “uno che è stato nel set di A qualcuno
piace caldo ma anche in quello di Missing”. L’arguta doppiezza
siciliana è cara a Gullotta tanto che apre a Pirandello, altro doppio di
un continente colmo di controsensi e doppie chiavi di lettura. “Amo le
trasformazioni” e di fatti la sua vita è una continua trasformazione tra
gli assiti scricchiolanti del teatro e le starlette col numero di telefono
incastonato negli ampi reggiseno a balconcino. Eppure in questo cam-
po come nella vita occorre tanta curiosità. Il tono di voce è impostato,
va e viene, d’arguzia, non è più quello siculo-lancinante del Bagaglino,
ma segue le onde di un solfeggio prettamente melodrammatico.
“Curiosi fino ad attapettarti sul tavolo” così conia un neologismo,
o forse stravolgendo un vocabolo che non ricorda più, come speso
capita alle nostre nonne. Su una cosa è lucidissimo: sui politici italiani
che “sono molto più comici di noi”; “in politica, la stupidità non è un
handicap” fa sue le parole di Napoleone Bonaparte.
A Teramo ha recitato in Le allegri Comari di Windsor interpretando
Falstaff. “Un’opera vivace, di luce” racconta Gullotta, quasi mediter-
ranea nel suo chiacchiericcio insistente e permaloso. Una pièce “che
alla fine non ti farà subito chiedere dov’è parcheggiata l’auto o dove
si va a mangiare la pizza, bensì ti farà godere due minuti pieni di
silenzio meditabondo”.
C’è chi gongola per i 2300 abbonati alla stagione di Prosa della Ricci-
telli. Chiaramente è il presidente Maurizio Cocciolito che in sei stagio-
ni teramane non scorge segni di débâcle, anzi “mentre nelle altre città
si assiste ad un ridimensionamento, vedi anche Il Piccolo di Milano,
qui da noi la stagione ha avuto un aumento di altri 100 abbonati”.
Teramo è una realtà che nel centro Italia, tolta ovviamente la Capitale,
dice la sua, “è sicuramente al vertice”. Unico rammarico è quel contri-
buto regionale, ritenuto da Cocciolito “fondamentale per il prosieguo”,
che quest’anno non è stato all’altezza: “Se continua così non potremo
andare avanti” è il grido d’allarme del presidente.
Leo Gullotta riprende con un cerchio d’amore: “Odio gli spigoli e gli
angoli, preferisco le forme rotonde, anche nelle persone amo le ro-
tondità, nell’essere, nell’agire, del dare”. Chiude così: “Vivi come credi.
Fai cosa ti dice il cuore …ciò che vuoi, una vita è un’opera di teatro
che non ha prove iniziali. Canta, ridi, balla, ama e vivi intensamente
ogni momento della tua vita, prima che cali il sipario e l’opera finisca
senza applausi”. Che fa se le parole sono di Charlie Chaplin. n
ott 2010
9incontri
diMaurizioDi Biagio [email protected]
EVENTI “Dammi
del Leo”
Paolo Di Vincenzo
Comunicazione, Scienza e Società
Musica dal vivo
Gli alumni raccontano
Musica dal vivo
Comunicazione: tra arte, vita e professione
Leo Gullotta
Il Preside della Facoltà
e il Direttore del Dipartimentodi Scienze della comunicazione
consegnano i libretti alle matricole
Spritz di benvenuto
...con la Riccitelli
M entre sto scrivendo la riforma dell’Università sta entrando nel
suo iter conclusivo: approvata dal Senato il 29 luglio scorso
sarà discussa prossimamente in aula. Verrà approvata così
com’è? Verrà approvata emendata? Non verrà approvata a
causa della calendarizzazione in aula?
Che la necessità di una radicale riforma del sistema universitario
pubblico statale sia ampiamente condivisa è incontrovertibile ma che
essa non risponda compiutamente alle esigenze reali e alle aspettative
attese è altresì certo. Alla vigilia della discussione in aula emerge infatti
uno stato di agitazione della docenza e dei ricercatori universitari in
aperto dissenso rispetto alla ratio del DdL 1905 meglio conosciuto come
decreto Gelmini e più in generale rispetto alle politiche economico-
finanziarie di investimento e
di decurtazione delle risorse
umane dell’università quali
vengono perseguite da anni e
il cui progressivo programmato
inasprimento insidia l’esisten-
za stessa della istituzione.
Attualmente il clima è rovente e
nonostante l’ampia discussio-
ne degli ultimi mesi in sede
parlamentare e i numerosi prov-
vedimenti emanati il disegno
di legge di riforma del sistema
universitario allo stato attuale
permane ancora connotato da
molteplici elementi di criticità.
La mobilitazione generale sta
coinvolgendo sempre più gli
atenei (più di 40 atenei, compreso l’ateneo teramano, stanno aderen-
do al rinvio della didattica e la percentuale di ricercatori che si sono
dichiarati indisponibili alla didattica ormai supera il 70%, percentuale
equivalente a circa 10000 ricercatori su 25683) contro una riforma che
penalizza l’università pubblica tagliando i fondi di finanziamento e gli
investimenti sia nella didattica che nella ricerca mettendo a rischio il
diritto allo studio e la qualità dell’istruzione universitaria, e penalizza
L’Università
altresì la figura dei ricercatori universitari non riconoscendo loro in alcun
modo le funzioni di docenza svolta ormai da anni né l’impegno profuso
a livello organizzativo né il ruolo avuto nell’ampliamento, consolidamen-
to e miglioramento dell’offerta formativa.
C’è allora da chiedersi quali finalità e quali obiettivi si sarebbe dovuti
prefiggere un intervento legislativo di radicale innovazione e riorga-
nizzazione del sistema universitario? Solo a volerne individuare alcuni
potremmo elencare l’introduzione di un sistema di valutazione che
consenta di premiare e stimolare il merito scientifico e formativo, la
revisione del sistema organizzativo e di governance degli atenei ormai
inadeguata ai tempi, la revisione dei meccanismi di reclutamento, la
reale garanzia del diritto allo studio, la riduzione del numero dei fuori
corso e il miglioramento della qualità sia della didattica sia dell’offerta
formativa erogata, una migliore collaborazione e integrazione tra il
mondo universitario e la società civile, il sostegno e la promozione della
competitività scientifica e della ricerca.
Orbene tali esigenze di profonda ri-
forma non solo non trovano compiu-
te risposte nell’impianto del ddl ma
sono ulteriormente penalizzate da
una continua contrazione delle risor-
se economiche e dalle conseguenti
limitazioni del turn-over che rendono
di fatto insostenibile non tanto lo svi-
luppo quanto la stessa sopravvivenza
del sistema universitario pubblico
statale. L’essenza dell’Università è la
ricerca e soltanto lo stanziamento di
congrui finanziamenti per lo sviluppo
di una sua seria attività consente
di promuovere un’offerta formativa
idonea a preparare adeguatamente le generazioni future.
Il legislatore italiano va invece in controtendenza per via di una contra-
zione intollerabile delle risorse economiche a sostegno sia dell’intero
sistema sia dei singoli attori che in esso operano. Tale contrazione è
ancora più intollerabile ed incomprensibile se raffrontata con quanto
stanno facendo altri Paesi europei (come ad esempio la Germania) che
contrariamente a quanto si sta facendo nel nostro Paese incrementano
considerevolmente gli investimenti pubblici in ricerca e formazione. La
contrazione delle risorse avrà effetti devastanti non solo sulle attività di
ricerca scientifica istituzionale pregiudicando ulteriormente la competi-
tività del mondo accademico rispetto al panorama internazionale e pri-
vando la società tutta di un indispensabile apporto in termini di sviluppo
tecnologico e competitivo, ma pregiudicherà tragicamente la capacità
formativa degli atenei di fatto limitando fortemente il diritto allo studio
previsto dalla Costituzione.
Quanto alle risorse umane il disegno di riforma è ancor più penalizzante
e sul piano del reclutamento di nuovi ricercatori e sul piano del ricono-
scimento dello status giuridico dei ricercatori già in servizio che sin dal
1980 aspettano un intervento normativo di definizione del loro ruolo.
Sotto il primo profilo la riforma, con l’introduzione del Ricercatore a
Tempo Determinato (siglato RTD), aggraverà ulteriormente lo stato di
precarietà delle nuove generazioni le quali, tra i vari livelli “pre-ruolo”
del Dottorato di ricerca, Assegno di Ricerca e RTD, dovrebbero mettere
in conto oltre 13 anni di precarietà istituzionalizzata prima di approdare
10ott 2010
La riforma dell’Università al traguardo?
diGiuseppina Bizzarri [email protected]
E quale riforma?
L’essenza dell’Università è la ricerca e soltanto lo stanziamento di congrui
finanziamenti per lo sviluppo di una sua
seria attività consente di promuovere un’offerta
formativa idonea a preparare adeguatamente
le generazioni future.
POLITIC
A
N on scriverò dell’astrofisica e divulgatrice scientifica Margherita
Hack, perché basta fare un clic su Google per scoprire che
ci sono circa 310.000 risultati corrispondenti al suo nome.
Non tenterò neanche di abbozzare qualcosa sulla scienziata
e ricercatrice Margherita Hack, perché Wikipedia è sicuramente più
attendibile di me. Non compilerò elenchi sull’attività politica della can-
didata alle elezioni europee del 2009 Margherita Hack. Non narrerò del
passato della sportiva ed ex campionessa di salto in lungo Margherita
Hack. E non mi addentrerò sulle scelte di vita dell’atea, animalista e
vegetariana Margherita Hack.
Perché altri saranno sicuramente più preparati di me in questi campi.
Perché ci vorrebbero pagine e pagine di inchiostro. E poi perché tutte
quelle citate sono solo categorie. Io credo che nessuna persona do-
vrebbe essere incastrata all’interno di una categoria.
Scriverò della persona Margherita Hack. Perché a me piace parlare
delle persone, dei sentimenti, delle emozioni.
Ad esempio, nello scrivere il suo nome, spesso mi sono fatta fregare
dall’emozione e ho scritto “Huck” con la “u”. Sono stata subito ripresa
dagli addetti ai lavori che, scandalizzati, mi hanno richiamato all’ordine:
«Attenta! Guarda che si scrive “Hack”, con la “a”!».
Ragazzi... spero di non aver sbagliato anche qui!
Comunque, tornando a lei, personalmente non ho ancora avuto il
piacere di conoscerla e spero di avere questo onore quando verrà a
Teramo. Però, avendo curato l’editing del libro scritto da lei a quattro
mani con il Prof. Marco Santarelli (“Diario di un incontro”, edito da
Zikkurat Edizioni&Lab), l’ho conosciuta un po’ tramite il DVD dal quale è
partita l’idea dei due autori.
Mi ha colpito la simpatia di Margherita Hack. Il suo accento fiorentino,
la sua capacità di ridere come una ragazzina, la sua dote naturale a
spiegare concetti astrusi (almeno per me, che ritengo che la matemati-
ca non sia la mia opinione!) in maniera così semplice, da farci accende-
re la lampadina in testa ed esclamare: «Adesso ho capito!!».
Mi ha colpito la meraviglia con cui parla delle stelle le quali, forse, dopo
la spiegazione scientifica perdono un po’ di magia, ma almeno abbia-
mo capito di che pasta sono fatte.
Mi ha colpito la sua umiltà, quando dice che «Divulgare aiuta di più chi
divulga che chi riceve la divulgazione. S’impara a capire quello che non
s’è capito. Nello sforzo di spiegarlo, si arriva a capirlo meglio».
Detto da un’astrofisica...
Ed è per tutto questo che attendo con ansia di stringerle la mano. n
a Teramo il 5 novembre
ott 2010
11
ad un posto fisso e depaupererà fortemente i
ranghi dell’accademia. Una siffatta prospet-
tiva infatti rischia di allontanare i giovani più
brillanti dal mondo dell’università scorag-
giandoli dall’intraprendere una “carriera” non
garantita dalla stabilità e minata fortemente
dalla mancanza di risorse che consentano, a
quanti effettivamente meritevoli, di approda-
re ad un traguardo certo e duraturo.
Per quanto riguarda invece i ricercatori con-
fermati a tempo indeterminato – ben 25683
– il disegno di legge di riforma rimuove ogni
loro aspettativa futura di avanzamento di
carriera in un contesto generale che rimane
fortemente caratterizzato da meccanismi
destinati a generare nuovo precariato. Ancora
una volta i ricercatori, pur contribuendo
in modo decisivo all’organizzazione della
didattica nell’ambito della più vasta offerta
formativa dei singoli corsi di laurea, non solo
non vedono riconosciuta la loro funzione
docente ma vengono scippati di un diritto
sacrosanto alla giusta ed oggettivamente
meritata progressione di carriera. Non
viene valutato in nessun conto il fatto che
le ultime riforme succedutesi nell’ambito
del sistema universitario con i passaggi alle
lauree triennali e lauree specialistiche o
anche magistrali sono state rese possibili
grazie al carico didattico che i ricercatori si
sono assunti in uno spirito di collaborazione
e di servizio all’istituzione senza che la legge
li obbligasse su tale versante. A causa di ciò i
ricercatori di oltre quaranta atenei, compreso
l’ateneo di Teramo, non come rivendicazione
di categoria ma nella direzione di una corret-
ta comprensione del problema del sistema
universitario in riforma hanno dichiarato la
propria indisponibilità a ricoprire incarichi
didattici aggiuntivi per l’anno accademico
2010/2011, attenendosi strettamente a
quanto previsto dall’art. 32 del DPR 382/1980,
determinando di fatto lo slittamento delle
attività di apertura dei corsi.
La mobilitazione partita inizialmente dai ricer-
catori si è poi allargata a tutte le componenti
universitarie portando a quel processo di ri-
flessione sulla riforma del sistema universita-
rio all’insegna dei valori essenziali e fondanti
quali la qualità della ricerca e dell’alta forma-
zione come patrimonio irrinunciabile delle
generazioni future. La protesta si è sempre
più ampliata ed estesa; si sono moltiplicati i
dibattiti, le assemblee, le mozioni e si è presa
consapevolezza della necessità di alzare la
voce e di dare contributi utili per i correttivi
al progetto in discussione e per avere quella
riforma che sia in linea con quanto saggia-
mente il nostro Presidente della Repubblica
ha ribadito: “..e io vorrei che fossero salvate
le spese per gli investimenti, per la ricerca e
per l’Università riconoscendo il loro carattere
prioritario”.
Che sia finalmente la volta buona? n
il personaggio
diCarla Trippini [email protected]
EVENTI Margherita
Hack
L a luna che risplende nelle tenebre, gli spiriti, lo specchio
dal responso implacabile; numeri sacri dalla forte carica
simbolica; peccati capitali, gola, lussuria, avarizia, superbia,
accidia, invidia e ira; virtù cardinali, forza, sapienza, giustizia,
temperanza assieme a quelle spirituali, fede, speranza e carità, fin
dalla notte dei tempi, incutono timore e rispetto, generando disagio
e speranza. In mancanza di salde risposte, senza verità concepi-
bili, l’arcano si trasforma in ambiguità. Sorgono forti componenti
motivazionali inconsce che portano a considerare necessaria una
certa proibizione, istituendo divieti e interdizioni, che provocano
imbarazzo, vergogna e insulti.
Così sono stati creati i tabù da infrangere nei reality show. Indignarsi
dinanzi a un programma televisivo, che manda in onda orrore & di-
sperazione come se
fosse una musichetta
dell’autoscontro
col gonzo di turno
seduto a cavalcioni
sopra la spalliera
dell’automobilina e
il mozzicone appeso
sulle labbra, fa parte
della polpetta avvele-
nata che i network ci
buttano dal video per
entrare indisturbati
in casa nostra. Poi ti dicono pure che se non ti piace la minestra che
stai guardando puoi sempre cambiare canale, invece di puntare nel
vuoto il telecomando e lo sguardo per terra.
E allora, ben vengano quelle adrenaliniche puntate della Guerra nel
Golfo; rientrare di fretta la sera per attarallarsi come un cane sul
divano, il panino freddo della mezzanotte stretto in pugno e una
birra calda, perché quelle nel frigo tua moglie te le ha già contate e
per lei la matematica non è mai stata un’opinione.
Che belli i razzi della contraerea, schizzano su nel cielo stellato di
Bagdad come stelle comete; le bombe a grappolo fanno una fonta-
nella colorata che sa tanto di Festa del Patrono de’ Noartri Paraculi,
che ce ne stiamo al calduccio, i piedi sul camino, a rivendicare la
sacralità dell’inalienabile diritto alla Cronaca vera, alla Vita in diretta,
agli Amici di Maria, a Cambio moglie, alla Talpa, alla Fattoria, alla
Sposa perfetta, ai Fatti vostri, al Verdetto finale, a Uomini e donne,
Diritto di cronacaSAT
IRA
a Chi l’ha visto?, alle liturgie di Porta a Porta e alle Confidential
Information di Emilio Fede. Diritto all’informazione che salta sempre
fuori per le corna del tuo amico, ma subito negato se vuoi sapere
di chi è una banca o se l’inceneritore dei rifiuti fa venire il cancro
a chi ci abita vicino. Vai sul 2 ché c’è la moglie di quello che hanno
fatto a pezzi il mese scorso col machete: glielo stanno rispedendo a
pacchetti con la posta celere.
Ehi tu, avvicina quel microfono, non si sentono i lamenti quando
passa il postino! Infrangere un tabù è considerata cosa ripugnante,
degna di biasimo e censura da parte della comunità. Ma visto che
resistiamo a tutto tranne che alle tentazioni, sarebbe utile tenere
bene a mente che non si vive di sola tv. Quando la sera tornate
stanchi dal lavoro, se ancora ce l’avete un lavoro, tirate una carezza
sul muso di vostra
moglie, di vostro
marito, di chi vi si
sopporta e venite
subito alle mani
rinfacciandovi tutto
quanto fin dal gior-
no del matrimonio,
del vostro incontro,
sbattendo a terra
piatti, cristalli e va-
sellame. Trascinatevi
poi sul pavimento
con una sedia senza
gommini per tutta
la cucina. Capirete
allora quanto impor-
tante sia spegnere
il televisore per
restare soli con
se stessi e con un
vicino che vi batte
i pugni sul muro
urlando per tutto il
condominio: «Fatela
finita, stronzi!». n
12diMimmoAttanasi [email protected]
ott 2010
Inalienabilmente vostroporca... Televisione
...Diritto all’informazione che salta sempre fuori per le corna del tuo amico, ma subito negato se vuoi sapere di chi è una banca o se
l’inceneritore dei rifiuti fa venire il cancro a chi ci abita vicino.
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Il risparmio sul gas metano.JULIA SERVIZI PIÙgestione vendita gas metano
È arrivata la tuanuova vicina di casa.
Risparmia subito il 10%sulla bolletta del gas metano.
S arah Scazzi. Un nome che non appartiene più ad una ra-
gazzina di quindici anni, ma un nome che in sé evoca mille
orrori. L’orrore di uno zio mostro, forse, di una cugina as-
sassina, forse, di una famiglia complice di segreti scabrosi e
inconfessabili, forse. Di sicuro un nome che evoca mille immagini,
mille telecamere, mille dirette tv, mille copertine, mille giornalisti,
mille opinionisti, mille salotti tv, mille teorie, tesi e opinioni.
Ed ecco allora che il direttore della Rai, Mauro Masi, interviene
invitando le reti pubbliche (dopo quasi due mesi di show!) “ad un
maggiore equilibrio nella trattazione degli ultimi casi di cronaca”.
Ed ecco allora la Palombelli che invia una lettera al Tg5 per scu-
sarsi direttamente con la povera Sarah, per tutto il circo mediatico
macabro che si è creato.
Ma Sarah Scazzi è anche altro. È il volto di mille persone che mor-
bosamente seguono la notizia, ma quale notizia? I pettegolezzi, i
sentito dire, i dettagli più intimi di
chiunque sia coinvolto anche in
modo trasversale nella vicenda.
Se è vero che da un lato esiste
un’informazione “deviatamente
morbosa”, è anche vero che
esiste un pubblico assetato di
dettagli, di immagini.
Ed ecco allora che Sarah Scazzi
diventa motivo per fare una gita
fuori porta. Dove? Ma è chiaro, ad
Avetrana.
Famiglie intere, anche con bambi-
ni al seguito, si sono recate a vedere la casa di Sarah, dove è stata
uccisa Sarah, dove è stata nascosta Sarah. Una sorta di visita mu-
seale: guarda tesoro lì è dove l’hanno strangolata; ah, ecco questo
è il pozzo; bambini state attenti a non cadere; sapete che qui ci
hanno buttato una bambina come voi? Guardate bene tutto, così
se la maestra vi fa fare il tema prendete pure un bel voto! Tesoro
hai fotografato tutto?!
Forse il Grande Fratello e tutti gli altri reality sul genere, han-
no reso lo spettatore spione, bramoso di dettagli, di vedere coi
propri occhi. Ma la casa dello zio Michele non è quella del Grande
Fratello, lì non si è consumato uno spettacolo ma un dramma vero,
un dramma che davvero ha spezzato la vita di una quindicenne.
Profondo Sud
Ma allora perché andare a vedere il pozzo dove è stato gettato il
corpicino di questa ragazzina? Che gusto se ne può trarre? Cos’è
che spinge un individuo ad Avetrana, a Cogne, ad Erba, a Perugia, a
Novi Ligure? Sinceramente non so dare una risposta.
Trovo tutto ciò un orrore nell’orrore, l’informazione a caccia di
dettagli e un pubblico affamato di essi, un circolo vizioso dal quale
difficilmente si esce, se non con un maggior rispetto del dolore, del
privato, dell’intimo, di una minore ricerca del superfluo a vantaggio
di una cronaca vera, pulita, sia da parte dei media che da parte del
pubblico.
Sarah Scazzi, un nome abusato. n
14ott 2010
Quando lo spettatore entra nel film
NACA
diMaria Grazia Frattaruolo
Morbosamente Sarah
Forse il Grande Fratello e tutti gli altri reality
sul genere, hanno reso lo spettatore spione,
bramoso di dettagli, di vedere coi propri occhi.
S iamo tranquilli e sereni. Sereni come il cielo prima del
fulmine; tranquilli e consapevoli delle difficoltà, dei luoghi
comuni e delle contraddizioni cui bisognerà far fronte nella
faticosa trasposizione, in chiave teatrale, di un classico
della narrativa mondiale. Rivisto e manomesso; un’anticipazione
della moderna fantascienza, un romanzo di Jules Verne. Il traslato
è ingenuo. L’allegoria non è sicuramente degna di un romanziere.
Della storia del londinese Phi-
leas Fogg e del suo cameriere
francese Passepartout, che
tentano di circumnavigare il
mondo in 80 giorni, per vince-
re una scommessa stipulata
con i soci del Reform Club,
rimarrebbe ben poca cosa, se
non l’intento di raggiungere
un fine e onorare il proprio
prestigio. In verità, anche per un quattrino
ancora da buttare nella sacca e mettersi
pure sotto le ruote della carrozza un cane
randagio per la fretta di tornare in tempo.
Il casting è mission impossible.
Interpreti improbabili per personaggi di
fantasia con l’incombenza di compiere
un miracolo: riuscire a mettere in scena
uno spettacolo di satira politica,
un’opera da tre soldi sullo smalti-
mento dei rifiuti.
“Il giro dell’immondo in 80 fiducia
nella giustizia”.
Commediola borghese degli
equivoci e brillanti trovate, in cui
lo spettatore non sta nella pelle,
intrigato dalle boutade.
L’equivoco si chiarirà in un im-
pensabile finale, più inverosimile di quelli immaginati durante un
illusorio girotondo di rivelazioni.
La lettura sociale che traspare nel testo si manifesta nei pro-
tagonisti che incarnano il potere e che hanno l’unico scopo di
mantenere la poltrona, scendendo continuamente a compromes-
si, inguaiando e peggiorando una situazione di per sé già troppo
SerenitàSAT
IRA imbarazzante. Tempi comici di
fattura leggera, come in un co-
pione di Feydeau. Uno schema
quasi da pochade. Da segnalare
la strana coppia: il famosissimo
caratterista americano e un
grande del teatro italiano. L’am-
ministratore Joe Viterelli, che
duetta con il principe del foro,
l’avvocato Franco Volpi, in una
memorabile scena dell’assurdo.
Ma per
com-
pren-
dere
meglio
la situation comedy si pensi a un Berlu-
sconi che nomina come proprio difenso-
re Antonio Di Pietro. Roba da matti! La
maggior parte della vena comica è data
dallo slapstick, il linguaggio del corpo;
dal continuo scambio d’identità
e da tante paronomasie: semplici
giochi di parole.
“L’Austria, il cuore verde d’Europa,
è piena d’inceneritori!”, tuona dal
proscenio Checco Zalone, aggiu-
standosi il cavallo dei pantaloni in
una esilarante gag. E giù risate a
crepapelle e fragorosi applausi su
in galleria a sottolineare che da
quelle parti gli unici inceneritori
attivi sono due impianti viennesi e
uno minuscolo a Wels
(http://www.inforifiuti.com/
luogoComune5.html).
La platea regala una
standig ovation a Marco
Paolini, quando questi si
esibisce in un’orazione
pubblica, un sermone
su vivibilità, traffico e
bike sharing, pedalando
sollazzoso verso il par-
cheggio a due piazze del
suo fiammante transatlantico su quattro ruote motrici. A questo
punto non vogliamo svelare altro, se non una fulminante battuta
del primo attore:
“T’avisse a crede che ‘ngh’è tutte ‘lla terre je ce vuje fa l’uje?!”.
Sorry...
Any resemblance to real events and/or to real persons, living or
dead, is purely coincidental
(Qualsiasi riferimento a fatti realmente accaduti e/o a persone reali, vive o
morte, è puramente casuale).
Sipario! n
16diMimmoAttanasi [email protected]
ott 2010
Il giro dell’immondoin 80 fiducia nella giustizia
Interpreti improbabili per personaggi di fantasia con l’incombenza di
compiere un miracolo: riuscire a mettere in scena
uno spettacolo di satira politica, un’opera da tre soldi sullo smaltimento
dei rifiuti.Vincent Schiavelli
Checco ZaloneJoe Viterelli
Meg Ryan
Marco Paolini
Franco Volpi
ott 2010
17La poesia
diGiovanni Di Girolamo [email protected]
SATIRA
Nu jurne da lu mèdeche Giuhuànnepe’ ’nu cunzije, ’nda se dice, jette;
e senza pêrde tempe je dicette:“I’ vulesse, dottò, campà cent’anne!A te, pirciò, te vuje addumannàpe’ ’st’ubbiettive che tiness’a fa”.
Lu mèdeche pe’ ’n’àtteme armanettetra sbalurdite, mute e senza fiate;ma pu’, pensenne ch’ère ’na truvate,ridènne divertite j’arspunnette:“Se fusse cuscì fàcele, Giuhuànne,mô tutte nû campèsseme cent’anne!”
E l’addre: “Scì, dottò, queste lu sacce;e i’ ci-ajògne pure: nda vo’ Ddije!Ma quelle che ti cerche è ’nu cunzije:diche, currêgge ’mpo’ quelle che facce,li cose che i’ sbaje a ffà, li vizieche tinghe pure, e mêtte cchiù judizie”.
Lu mèdeche s’arfìce serie, e appresse,come vulesse stâ nu ccò a lu joche,sbuttò: “Care Giuhuànne, mbè, ’nu pochelu fume t’hî lascià: pecché ggià quesse– e te lu spièghe se nn’hî mai capite! –t’accorce de dicianne e cchiù la vite”.
Giuhuànne lu ’rguardò ’mpo’ de traverse,annazzecò la cocce, e pu’ je fice:“Dicianne pe’ lu fume, tu me dice!?...’Mbè i’, dottò, chiss’anne nnì so’ perse;anze, dicesse manche ’nu minute,pecché ’ssu vizie mai lu so’ tenute”.
’Mpo’ hitticàte e ’mpo’ soprappenzìrelu mèdeche sturciò la vocche, e appressediciò: “Brave, Giuhuànne, nnì ’nu fesse!Però te diche: attente a lu bicchîjre:sbuddille spesse è grave, ca lu vinete fa ’rvintà lu fèteche farine”.
“Lu vine, dice?... – j’arspunnò Giuhuànne,nghe ’nu mezze surrise su la vocche –s’è pe’ quesse la morte a me nen tocche,
e i’ campesse pure dducent’anne:ca mai lu so’ sentite lu saporeche te’ lu vine, oppure addre liquore”.
Mezze annuiate e mezze spazientite,lu mèdeche arbijò: “Tu... giuvinottemô cchiù nen si’: pirciò da mezzanottete t’hî da cumincià ffà ’na durmite”.“Dice bbone, dottò – scì bbenedette! –ma i’nghe li hallìne vaje a llette”.
Mô quasce mpo’ lu mèdeche s’arràje,ma nghe ’nu tone affàbbele je dice:“Sapème tutte che ce fa felice’lla cose: ma pe’ scungiurà li huàjenghe ll’anne che t’hî tu, ce da iî’ piane;diche, mpo’ da li fèmmene luntane”.
E qua Giuhuànne: “Ma, dottò, che vvu’?Nghe ’ssa cose che dice, a lu passateggià poche vodde ce so’ pazzijàte,e mô è dicianne che nce joche cchiù!”E lu mèdeche: “Allore tu, Giuhuànne...ma pe’ che cazze vu’ campà cent’anne?”.
Traduzione
Vivere cent’anniUn giorno dal medico Giovanniper un consiglio [consulto], come si dice, andò; e senza perdere tempo gli disse:“Io, dottore, vorrei vivere cent’anni.A te, perciò, vorrei chiederti per quest’obiettivo cosa dovrei fare”.
Il medico per un attimo rimasetra sbalordito, muto e senza fiato;ma poi, pensando fosse una trovata [uno scherzo] ridendo divertito gli rispose:“Se fosse così facile, Giovanni,tutti noi ora camperemmo cent’anni”.
E l’altro: “Sì, dottore, questo lo so;e io ci aggiungo: come vuole Dio!Ma quello che ti chiedo è un consiglio:dico, correggere un poco quello che faccio, le cose che io sbaglio a fare, i vizi
che ho pure, e mettere più giudizio”.Il medico si rifece serio, e quindi,come volesse stare un poco al gioco, sbottò: “Caro Giovanni, ebbene, un pocoil fumo lo devi lasciare: perché già quello – e te lo spiego se non l’hai [mai] capito –ti accorcia di dieci anni e più la vita”.
Giovanni lo riosservò un po’ obliquo,dondolò la testa, e poi gli fece:“Dieci anni per il fumo, tu mi dici!?...Ebbene io, dottore, questi anni non li ho persi; anzi, direi neppure un minuto,perché questo vizio non l’ho mai avuto”.
Un po’ sconcertato [come trasalito perla risposta] e un po’ soprapensieroil medico storse la bocca, e appressodisse: “Bravo Giovanni, non sei uno stupido!Però ti dico: attento al bicchiere:vuotarlo spesso è grave, in quanto il vinoil fegato te lo fa diventare farina”.
“Il vino, dici?... – ribatté Giovanni,con un mezzo sorriso sulla bocca –se è per questo la morte me non tocca [non mi sfiora]e io vivrei pure duecento anni,poiché mai ho sentito il saporeche ha il vino, oppure altri liquori”.
Mezzo annoiato e mezzo spazientito,il medico ricominciò: “Tu un giovanottoadesso più non sei: per-ciò a mezzanotte devi cominciare a farti una dormita”.“Dici bene, dottore, – che tu sia benedetto! – ma io con le galline vado a letto[all’ora in cui si ritirano le galline]”.
Ora il dottore quasi un po’ si arrabbia,ma con un tono affabile gli dice:“Sappiamo tutti che ci fa feliciquella cosa: ma per scongiurare dei guai,con gli anni che tu hai, ci devi andare piano; dico, un po’ lontano dalle donne”.
E qua Giovanni: “Ma dottore, che vuoi? Con quella cosa che dici, nel passatogià poche volte mi ci sono divertito,ed ora sono dieci anni che non ci gioco più!” Ed il medico: “Allora tu, Giovanni...ma per che cazzo vuoi vivere cent’anni?”
Campàcent’anne
C on il termine “avorio” si indica il materiale organico che pro-
viene dai denti incisivi superiori dell’elefante. La convenzione
di Washington del 1973 per la regolamentazione del commer-
cio internazionale di specie in via di estinzione ha stabilito
precise direttive internazionali per impedire il bracconaggio e lo
sterminio degli elefanti, perciò questo materiale si avvia a diventare
il simbolo di una epoca scomparsa. La sua esportazione è vietata e
dunque, ciò che si trova legalmente
sul mercato, in realtà proviene soprat-
tutto da zanne fossili di mammuth o
da quelle d’ippopotamo, del narvalo,
del rinoceronte, del capodoglio. Può
essere prelevato legalmente da ani-
mali abbattuti
perché vecchi e
malati o morti
naturalmente,
l’avorio arriva
perciò da tutti
i paesi africani
con savane e
branchi di ele-
fanti (Tanzania,
Mozambico,
Gabon, Zaire,
Kenia, Ghana),
ma anche
dalla Birmania
e dall’India.
Qualunque sia
l’origine, l’avorio
è un materiale
che tende ad
indurire, disi-
dratarsi perché
è poroso, e a
corrodersi a
contatto con so-
stanze chimiche
anche semplici come il profumo o le creme di bellezza.
Deve essere stoccato con cautela e in buone condizioni climatiche:
aria secca, fresca e al riparo dalla luce, precauzioni che valgono
L’Oggetto del DesiderioPRE
ZIOSITÀ
anche per conservare gli oggetti e gli ornamenti ottenuti con la
sua lavorazione.
Di colore bianco crema, tendente al miele o al bruno, l’avorio si
presenta a grana finissima
con un motivo di venature
traslucide e di cerchi
concentrici, ognuno dei
quali è spesso circa un
cm e rappresenta sette
anni di vita dell’animale.
Questa caratteristica,
visibile a occhio nudo, è
ciò che distingue l’avorio
vero da ogni sua possibile
imitazione. Materiale
tenero ed elastico, può
essere intagliato e inciso
molto facilmente con tec-
niche simili a quelle della
lavorazione del legno; ogni
oggetto viene poi lucidato
con l’olio che dona una
patina lucida e gradevole,
mentre per mantenerlo
pulito è sufficiente acqua e sapone. Per la sua scarsità ha numerosi
sostituti e imitazioni: “la polvere d’avorio” si ottiene con gli scarti di
lavorazione fusi con un collante dello stesso colore, “l’avoriolina” è
un materiale plastico a base di celluloide al quale si è perfino riusciti
a dare le venature traslucide dell’avorio vero, il corozo è il seme di
una pianta africana, detto anche “avorio vegetale”. L’avorio è un
materiale amato e utilizzato fin dagli albori della civiltà, con cui sono
stati creati oggetti di ogni tipo come collane e bracciali, scettri e
spade, statuette religiose, ombrelli, scatole, intarsi per mobili, pettini
e tabacchiere. n
18diCarmine Goderecci [email protected]
ott 2010
L’Avorio
L’avorionell’età vittoriana
Igioielli che caratterizzano il lungo re-gno della Regina Vittoria in Inghilterra (1834-1901) sono generalmente denomi-
nati “sentimentali” perché, attraverso la raf-figurazione di oggetti e figure reali, vengono rappresentati simbolicamente i principali sentimenti: così il cuore rappresenta l’amore, la mano l’amicizia, il serpente l’eternità, il nodo è simbolo di unione, l’angelo della protezione divina.I pendenti, le spille, i collier, le parure e i bel-lissimi bracciali intagliati in un unico pezzo d’avorio, si ispirano anche al repertorio na-turalista, ricco di rose, fiori, foglie, grappoli d’uva, mazzi di fiori e cestini. È proprio nel tardo Ottocento che l’arte di intagliare l’avorio raggiunge l’apice della perfezione. Molto spesso questi gioielli era-no imitati usando l’osso, assai meno costoso ma che ingiallisce velocemente e non ha la stessa consistenza e lucentezza dell’avorio.
A bbiamo trascorso una intera giornata presso la sede della
Riccitelli e quello che ci ha colpiti è stata la numerosa pre-
senza di stagisti della Facoltà di Scienze della Comunicazione
dell’Università di Teramo e della Luiss di Roma che collabora-
no alla organizzazione degli spettacoli Ve ne raccontiamo l’attività.
Sono giovani, belli, pieni di entusiasmo e determinati. Sono il segno
dei tempi, interpreti vitali di una realtà ancora non contaminata dal
degrado intellettuale, portatori sani di idee, moderni, a volte un po’
geniali a volte un po’smarriti, sostenitori delle più avanzate tecnolo-
gie ma ancora indifesi di fronte alla vita e alle sue complessità. Sono
i giovani della Riccitelli, un gruppo nutrito e motivato di laureati e
laureandi protagonisti attivi di stages formativi grazie a un accordo di
convenzione con la Facoltà di Scienze della Comunicazione dell’Uni-
versità di Teramo, a cui si è di recente aggiunta Emanuela, l’ultima del
gruppo, diplomata in copy editing al corso Nuovi Giornalismi organiz-
zato dal settimanale Internazionale e dall’Università Luiss di Roma e
arrivata alla Riccitelli su richiesta di convenzione, sempre per stage
formativo, della Luiss stessa.
Gli leggi in faccia tutta l’intraprendenza dell’età, la voglia di dimostra-
re quello in cui credono ma anche di credere in quello che vogliono
Istituzioni cittadine
dimostrare. Hanno negli occhi quell’integrità e quel sano integralismo
che l’età ancora gli concede, lusso che a vent’anni ti è consentito ma
che si dovrebbe avere sempre senza timore di etichettature, quando
invece dalla dimensione del bianco e nero passi alla consapevolezza
del grigio e poi all’accettazione delle infinite sfumature di grigio.
Loro, alla Riccitelli, sono entrati come un ciclone, non conoscono
stanchezza, non si pongono limiti, non si tirano indietro, e passano dal
rispondere al telefono al ricevere gli artisti, da una conversazione in
inglese, purtroppo sempre un po’ stentata, alla macchina fotocopia-
trice, dall’organizzazione dell’evento al controllo di un posto a teatro.
Non guardano mai l’orologio, se serve arrivano molto presto e non
glielo devi mai chiedere o ricordare, lo capiscono e lo fanno, restano
ben oltre l’orario concordato, e la mattina diventa l’intera giornata,
uno spuntino veloce in una delle
stanze dove si consuma una originale
pausa pranzo che diventa momento di
incontro, di scambio, di battuta e dove
ogni argomento diventa possibile e
familiare, dal lavoro alla famiglia allo
studio, dalle prospettive alle speranze,
dalle ambizioni alle relazioni affettive
che diventano amicizia tra loro e tra
loro e gli altri della Società.
Così, si insegna loro come muo-
versi nel mondo dello spettacolo e
della comunicazione sfruttando le
competenze e le conoscenze che
hanno maturato nel corso di laurea, e loro insegnano come si può
fare cultura parlando anche il linguaggio dei giovani, come mantenere
la freschezza dei principi, come fare comunicazione sfruttando le
tecniche più aggiornate e di più immediata efficacia.
Ci si diverte, ci si diverte molto anche quando non tutto fila liscio,
quando un errore sembra compromettere il lavoro di giorni, quando
un contrattempo rallenta l’urgenza di un compito da portare a ter-
mine, quando l’obbiettivo da raggiungere ti sfugge ancora una volta
di mano. Ci si diverte, ovviamente, quando Elena si rovescia il caffè
addosso e macchia irreparabilmente il documento che ha in mano,
quando una ordinazione al bar che deve alleggerire un pomeriggio
pesante diventa senza volere la parodia della consumazione al
ristorante del film “Harry ti presento Sally”, lì nella deliziosa interpre-
tazione di Meg Ryan, qui nell’altrettanto deliziosa e ancor più indi-
menticabile performance di Danilo, ci si diverte quando si arrabbiano
e litigano tra di loro come vecchie comari e si deve trovare il modo
di addolcire il viso contratto di Maica che sembra sempre intenta in
questioni di vitale importanza.
E forse è proprio questo a fare la differenza, il senso dell’impegno,
l’assunzione di responsabilità, l’imperativo nel voler far bene senza
scuciture, e non glielo devi insegnare, scopri che loro lo sanno già
naturalmente e semmai gli devi dire ora basta è ora di andare.
Sono entrati alla Riccitelli come stagisti, sono diventati suoi compagni
di viaggio, quasi figli da accompagnare con garbata discrezione e con
l’occhio benevolo del genitore saggio. Il futuro è aperto davanti a loro,
la ricerca, difficile del lavoro, di una dimensione sociale. Una famiglia,
forse, il trasferimento in altre città, forse. E, magari, con un pezzetto
di Riccitelli nel cuore. n
ott 2010
dallaRedazione
La Riccitelli e i “suoi” giovani
Gli leggi in faccia tutta l’intraprendenza dell’età, la voglia di
dimostrare quello in cui credono ma anche di credere in quello che vogliono dimostrare.
T ra i linguaggi settoriali, quello politico è
senza dubbio, il più difficile da compren-
dere, il più complesso, il più ricco di parole
e, se talvolta cerca di essere persuasivo
per convincere il pubblico a dare ragione a chi parla, quasi sempre si
rivolge ad un uditorio scelto e ben preparato nella politica. Per portare
qualche esempio, il linguaggio politico si serve di parole e locuzioni come
monocolore, tripartito, revisionismo, aperturismo, vertice, quadro, centro,
centrismo, centralismo, centralità, carrozzone ministeriale, governo
fantoccio, cane sciolto, spinte centrifughe, scavalcamento a sinistra,
governo balneare, governo d’attesa, semestre bianco ecc.
Nella pratica, ogni parola può avere un uso politico ma, per la formazione
del vocabolario politico, ci sono delle costanti che illustrerò brevemente!
- la suffissazione in –ismo di molte parole comuni: laburismo, centri-
smo, possibilismo, frontismo, verticismo, isolazionismo ecc…;
- l’oggettivazione derivata da nomi propri: statalista o statalismo,
fanfaniano, craxiano moroteo (da Moro) ecc;
- la formazione di verbi in –izzare: sindacalizzare, liberalizzare, neu-
tralizzare, fascistizzare ecc…;
- il ricorso ai prefissi anti – contro – extra – ultra – cripto – pseudo –
super – ecc…: antiliberale, controrivoluzionario, controriformista,
extraparlamentare, criptocomunista, pseudo liberale, supernaziona-
le, ecc…;
- il ricorso ad altri lessici speciali come il lessico della geometria o
della fisica da cui sono derivate parole e locuzioni come vertice
(incontro al vertice), arco (i partiti dell’arco costituzionale), equidi-
stanza (equidistanza dei partiti estremisti), dinamica (dinamica dei
partiti) e quello militare come “politica di accerchiamento”, stato
d’assedio, tregua, franco tiratore, contromanovra, aggiramento, fare
quadrato, rettificare il tiro ecc…
Nel linguaggio politico figurano anche numerose parole tratte dalla lin-
gua latina come “referendum” che viene dal verbo referre (rispondere)
e significa “da rispondersi”,: il referendum è, infatti, un invito a pronun-
ciarsi mediante votazione su questioni di interesse nazionale; plenum
(pieno) è la riunione plenaria di organi statali o di partito; ad interim
(frattanto, nel frattempo) significa il periodo di tempo che intercorre
fra il momento in cui un soggetto cessa dall’esercizio di determinate
funzioni e il momento in cui avviene l’assunzione delle funzioni stesse
da parte di un nuovo titolare, ecc… n
ott 2010
21Note linguistiche
a cura diMaria Gabriella Di Flaviano [email protected]
«Avvocà! Voglio la separazione
sessuale da mia moglie!»
CULTUR
A
Il linguaggio politico
«Gli italiani amano la danza, ma spesso non sono disposti ad
andare in teatro per vederla». Con queste parole Robert
North, uno dei maggiori coreografi viventi, intervenendo
due anni fa a un convegno a Teramo, sottolineava un punto
dolente dell’attuale situazione della danza in Italia. Più di recente, sulla
rivista “Danza è Cultura”, organo dell’Associazione Marchigiana Scuole di
Danza, il sovrintendente del teatro di Fano ha rivolto un lungo scon-
solato appello alle scuole di danza locali affinché seguano le iniziative
che il teatro, assieme ad altre istituzioni artistiche del territorio, cerca di
promuovere nel campo della danza. Non ci vuol molto, a uno sguardo
attento, per capire quanto i due fenomeni siano strettamente correlati.
Ma partiamo dal secondo caso.
Cosa sono, nella loro quasi totalità, le nostre attuali scuole di danza priva-
te? Sono, ormai da un quindicennio, associazioni sportivo-dilettantistiche
affiliate a una serie di organismi nazionali, per lo più del tutto estranei alla
danza come tale, ovvero come forma d’arte autonoma. Queste affiliazioni
garantiscono alle associazioni una notevole gamma di agevolazioni fiscali,
divenute nel frattempo sempre più necessarie
visto il prolificare di balzelli e l’aggravio dei
costi di gestione. Fenomeno non casuale,
dovuto sia a una politica di liberalizzazione
selvaggia che a un fenomeno diffuso di com-
mistione tra pubblico e privato. Ecco dunque
coniate terminologie finora impensabili, per lo
più senza senso, come “danza sportiva”, “dan-
za atletica” e via dicendo. La subordinazione
alla categoria delle attività agonistico-motorie,
l’esplicito riferimento al mondo della pratica
amatoriale, ha di fatto provocato un’assue-
fazione generalizzata all’abbinamento automatico fra danza e svago, e
il conseguente decadimento della danza ad attività ginnica, ricreativa e
ludica. Nulla di grave, in fondo, salvo che in questo modo l’arte sparisce.
La danza “d’arte”, come si intendeva una volta la danza della grande tradi-
zione occidentale, cede il passo alla moda, al conformismo, all’esteriorità,
all’incultura. È inoltre da tempo consolidata anche a Teramo la consuetu-
dine che, per l’intero mese di giugno, si svolga la rassegna dei saggi di fine
anno delle ormai numerosissime scuole di danza e di ballo, rassegna che
temo in città molti scambino per una sorta di festival del balletto. Fatto sta
che, coinvolgendo a vario titolo familiari e amici ed essendo per lo più a
ingresso libero, in quei casi il teatro è strapieno. Che si tratti di un interesse
sincero per la danza, naturalmente, è secondario. È un problema – a dirla
tutta – che nasce da lontano, e che risale quantomeno al provincialismo
italiano d’inizio secolo, allo stagnante manierismo di coreografi umbertini
Teramo culturaleCUL
TURA come Luigi Manzotti, all’ingerenza monopolistica dell’Accademia Naziona-
le di Roma, fortemente autoritaria e poco propensa al rinnovamento, alla
reazione drastica e libertaria degli anni Ottanta, sino ad arrivare alla totale
disapparizione di oggi. Non so quanti fra i lettori abbiano preso coscienza
che la danza d’arte è letteralmente
sparita dai palinsesti televisivi italiani
da almeno vent’anni, che nessun
quotidiano nazionale ne parla più,
che le sole produzioni di danza che
richiamano l’attenzione dei media
sono quasi esclusivamente musical e
talent-show, che il maggiore dei nostri
teatri di tradizione, La Scala di Milano,
programma in media sei spettacoli di
danza l’anno contro i circa venti dei
restanti teatri d’Europa. Purtroppo,
sembra davvero di essere tornati
indietro di cinquant’anni. Come ai
tempi bui della guerra e della forzata
omologazione sociale, il neoavanspet-
tacolo spopola e detta legge. Non c’è
da stupirsi, perciò, del fatto che i talenti espatrino, che le poche compagnie
di alto profilo annaspino, che le scuole di danza siano sempre meno luoghi
di formazione e di ricerca e sempre più vivai di esibizionismo approssimati-
vo e privo di sostanza, che il pubblico sia sempre più diseducato alla danza
d’autore. Quattro anni fa, dopo lunga gestazione, nasceva il progetto per
una stagione abruzzese di danza internazionale. Non avendo precedenti,
il progetto veniva baldanzosamente presentato dal sottoscritto a L’Aquila
e sottoposto al vaglio dei dirigenti delle massime stagioni di L’Aquila,
Pescara, Teramo e Sulmona. Lucida follia, sono pronto ad ammetterlo. Ep-
pure per qualche momento la cosa si rivelò possibile, in linea con quanto
accade in regioni come l’Emilia Romagna e le Marche, che da decenni
producono e programmano spettacolo in maniera consorziata. Restò in
gara solo Teramo e di questo in fondo mi rallegrai perché, come Annino Di
Giacinto una volta mi disse, «la vera danza in Abruzzo è nata a Teramo».
Le premesse c’erano tutte e, nel 2007, il progetto veniva convintamente
abbracciato da Maurizio Cocciolito e dalla Società Riccitelli. Prendeva il
nome di Serate Liliana Merlo, e si prefiggeva lo scopo di introdurre una
nuova forma di programmazione artistica, culturalmente di spessore,
saldamente ancorata alla storia del territorio cittadino. Ottenevo l’adesione
di Elisa Guzzo Vaccarino, la più autorevole studiosa di danza del nostro
paese, e un’esclusiva nazionale con l’Hungarian National Ballet, tra le più
antiche e prestigiose compagnie del mondo. E tuttavia sia allora che l’anno
seguente, con la compagnia del Krefeld Ballettensemble in un magnifico
trittico di North, la risposta da parte del pubblico è stata modesta, poco
reattiva, oserei dire “distratta”. Insufficiente visibilità? Poca promozione?
Forse sì, o forse non solo. È capitato poi il disastro del 2009, sanitopoli,
commissariamento, terremoto, e il progetto è stato accantonato – fino
a oggi – per lasciare posto ad altre priorità, che del resto pare esistano
sempre quando si parla di cultura.
E dunque perché una stagione di danza a Teramo? Che senso potrà mai
avere? C’è già dell’altro, c’è già di simile, e a costi decisamente più con-
tenuti. E allora perché? A che scopo cambiare? Io naturalmente, avendo
vissuto al fianco di una persona come Liliana Merlo per trentacinque anni,
ho un mio perché, ma rivolgo il quesito ai lettori. Perché? n
22diSilvioPaolini Merlo [email protected]
ott 2010
Serate Liliana Merlo 2007 (foto T. D’Ambrosio)
ROBERT NORTH «Gli italiani amano la danza, ma spesso non sono disposti ad andare in teatro
per vederla»
Perché una Stagione di Danza
ott 2010
C on l’approvazione del ddl sulla competitività agroalimentare da
parte dell’aula della Camera arriva per la prima volta anche lo
stop alle pratiche commerciali sleali nella presentazione degli
alimenti per quanto riguarda la reale origine geografi ca degli
ingredienti utilizzati. Il testo prevede che l’origine degli alimenti dovrà
essere prevista obbligatoriamente in etichetta e non potrà essere
omessa anche nella comunicazione commerciale, per non indurre in
errore il consumatore. Niente più pubblicità al succo di arancia con le
immagini della Sicilia se viene utilizzato quello proveniente dal Brasile,
come purtroppo spesso avviene. O ancora, niente pubblicità alle
mozzarelle con le immagini del Golfo di Napoli se provengono dalla
Germania come è successo per quella diventata blu. Una ulteriore
novità è rappresentata dall’obbligo di menzionare la provenienza geo-
grafi ca di tutti gli ingredienti di cui viene indicato in etichetta il nome o
l’immagine, dalle merendine alla fragola ai biscotti alle mandorle fi no
alle patatine all’olio di oliva.
La quasi totalità dei cittadini considera necessario che debba essere
sempre indicato in etichetta il luogo di origine della componente agri-
cola contenuta negli alimenti e di conseguenza colmare questo ritardo
è un risultato importante nell’interesse degli imprenditori agricoli e dei
consumatori. Per l’Italia signifi ca anche valorizzare il vero Made in Italy
in una situazione in cui sugli scaffali due prosciutti su tre provengono
da maiali allevati all’estero senza una adeguata informazione, tre
cartoni di latte a lunga conservazione su quattro venduti in Italia sono
stranieri mentre la metà delle mozzarelle sono fatte con latte o addi-
rittura cagliate provenienti dall’estero ma nessuno lo sa perché non è
obbligatorio indicarlo in etichetta. Negli ultimi anni con la mobilitazione
a favore della trasparenza dell’informazione, la Coldiretti è riuscita a ot-
tenere l’obbligo di indicare la provenienza per carne bovina, ortofrutta
fresca, uova, miele latte fresco, pollo, passata di pomodoro, extraver-
gine di oliva ma ancora molto resta da fare e l’etichetta resta anonima
per circa la metà della spesa dai formaggi ai salumi, dalla pasta ai
succhi di frutta. Il provvedimento che dovrà ora tornare all’esame del
Senato, dove ha già ottenuto una prima approvazione, risponde anche
ai nuovi indirizzi che vengono dall’Europa dove il Parlamento all’inizio
dell’estate ha votato a favore dell’obbligo di indicare il luogo di origine/
provenienza per carne, pollame, prodotti lattiero caseari, ortofrutticoli
freschi, tra i prodotti che si compongono di un unico ingrediente (che
oltre al prodotto agricolo prevedono solo degli eccipienti come acqua,
sale, zucchero) e per quelli trasformati che hanno come ingrediente
carne, pollame e pesce.
Evidenziamo al riguardo la notizia di alcuni giorni fa relativa al ritrova-
mento di tre mozzarelle colore rosa fi nite sulla tavola di una famiglia
teramana che le aveva acquistate in un supermercato. i latticini non
erano scaduti e provenivano dalla Puglia, almeno stando all’etichetta,
e in cui l’Istituto Zooprofi lattico ha confermato la presenza di germi
cromogeni che proliferano se viene interrotta la catena del freddo. Si
auspica, quindi, che anche tale caso serva a riportare l’attenzione sul
problema della trasparenza dell’origine dei prodotti di cui la Coldiretti si
fa portavoce da anni. n
23
Made in ItalyColdiretti informa
diRaffaelloBetti Direttore Coldiretti Teramo
Arriva stop a pubblicità slealesu origine cibi
Serenità di Luigi Pardo
“Io son sereno” dice l’arrestato “io son tranquillo” aff erma l’indagato. Ma il cittadino non è tranquillo aff atto parla da solo, quasi a dar di matto.
Ma è possibile che la serenità la dia la Giudiziaria Autorità? Due sono i casi in quest’alternativa: o la Magistratura è sì cattiva dall’inventare false imputazioni per danneggiare le reputazioni e, quindi, questi poveri innocenti sono tranquilli e quasi sorridenti. Oppure son talmente consapevoli che di grandi schifezze son colpevoli, da essere sereni come il peccatore dopo l’incontro con il confessore.
Delle due l’una: decidete voi. Ma fatemi un favore: d’ora in poi è molto meglio che siate un po’ agitati piuttosto che così rasserenati.
Teramo, fi ne settembre 2010
ECONOM
IA
F ranco Chionchio, da poco allenatore della nazionale italiana di
pallamano, ricorda i tempi eroici di questo sport a Teramo.
È uno sport strano. Di sicuro lo è. Anche l’attuale allenato-
re della nazionale italiana di pallamano, Franco Chionchio, ne era
convinto quando ogni domenica dalla sua parrocchia, il Sacro Cuore,
sconfi nava sans papier giù nel campetto d’asfalto della Gammarana
alle 11 in punto per scrutare lo spirito indomito di quei ragazzacci
che giocavano a fare i pionieri. La palla piccina lurida, nera, impeciata,
non possedeva la sacralità di un pallone da calcio. E come tutti gli
esploratori che si rispettino erano costretti ad ammantarsi di un’aura
sconosciuta che suscitava meraviglia, incredulità e rispetto, nei panta-
loncini così stretti degli anni ’70, dei Kempes e dei
Cruijff, che nello scivolare ingrossavano l’immagi-
nario e le favole. In poche parole, Da Rui, Di Basilio,
Montauti, Melasecca,
Paolucci, Pacinelli,
i Tulli, Cordoni, e gli
ombrelli che come
contraerea dardeg-
giavano sul piccolo
rettangolo della
Gammarana. Chion-
chio di quel sagrato
ricorda gli aspri refoli
di olio di canfora che
rendevano molli le gambe: i giocatori di allora come
squali in mattanza erano costretti a compiere tra
la gente cerchi concentrici sempre più piccoli e
rabbiosi prima di fare capolino nell’arena che pulsava di vita propria,
tra bestemmie, minacce e sputazzi.
Quella era senza dubbio la pallamano che uno poteva immaginare
che fosse. Quella che portava Chionchio e altri otto in un vecchio e
sbuffante pulmino Mercedes al trofeo Normandia a Parigi nel ‘77, con
qualcuno che per cimelio cercava di sgraffi gnare da un chiosco una
statuetta della Tour Eiffel. Peccato che era legata con uno spago ad
altre venti e il rovinare delle ceramiche fu lacerante come l’onta della
vergogna che assalì i diciottenni teramani. Fuggirono come puledri.
D’altronde erano i tempi dei pionieri, questi, quando nello spogliatoio
del palazzetto di Ski in Norvegia, case basse di mattoncini rossi, a
pochi km da Oslo, una bionda mozzafi ato fece irruzione nella doccia
PallamanoSPO
RT dei teramani nudi come mamma li ha fatti per offrire una
rosa: racconta Chionchio che i più imbarazzati erano loro.
Lì era abitudine, come da noi scambiarsi le casacche
a fi ne partita, omaggiare così l’ospite. Il borgomastro
a fi anco della vichinga sogghignava a veder tanto
impaccio latino, così arrogante invece dinanzi a
fanciulle vestite. Quella fu per il teramano la partita di
coppa persa per una palla impeciata che bloccava i tiri
ai nostri corazzieri. Tempi eroici. Anche per un allenatore
biancorosso, un certo Mratz che, per spiare la squadra lo-
cale di un paesino belga che stava provando gli schemi a porte
chiuse nel proprio palazzetto, si improvvisò imbianchino, salendo fi n
sul al soffi tto con pennello e cappellaccio bianco, mentre di sghembo
memorizzava le alchimie. Chionchio dice che quella partita di coppa
fu vinta di quattro. Si viaggiava spesso e le gitanate erano quotidiane.
A Courmayeur qualcuno, in una tabaccheria, riuscì a impadronirsi
di un intero orologio a cucù. Ci riuscì in un battibaleno ma dovette
bissare l’incursione perché una volta tornati al pulmino si accorse che
mancava la chiavetta per dare la corda al meccanismo. “Per 30 anni
ho girato i campi d’Europa” geme l’attuale trainer della nazionale. Il
vecchio Concetto Lo Bello, presidente di Federazione, l’additò come
nemico per molto tempo solo perché alla premiazione di una Coppa
Interamnia vinta nel 1980 contro gli slavi del Partizan di Gevgegljia,
qualcuno da dietro gliene disse di tutti i colori: il fi glio poche settima-
ne prima aveva concesso un rigore inesistente al Pescara, quando un
certo Rigotto, un tizio basso e grassottello, spense le speranze bian-
corosse. Solo il gesto sventurato o forse proditorio
di Giancarlo Puritani, allora presidente della Campo
del Re, che si buttò letteralmente sull’auto di Lo Bel-
lo in fuga da Teramo, scongiurò una sospensione ad
divinis. Il siciliano fu convinto dalla bontà del gesto
e tornò sui suoi passi. “Ma è stato sempre convinto
che fossi stato io a cantargliele quattro” rimurgina
ancora Chionchio. Per giocare la sua pallamano il
teramano barattò addirittura residenza con quella
riminese, dando retta ad un tizio che gli assicurò in
Romagna casa, scuola, e non si sa che altro: però
sarebbe dovuto stare fermo sei mesi, e lui che ne
aveva soltanto 19 di anni ed era nel giro della nazio-
nale grugnì malcontento. Tornò dunque a casa. Era
adesso il 1976 al campetto della Gammarana quan-
do, anche per l’accanimento ostinato di Montauti,
fu trascinato quasi di peso per una selezione che
il trainer nazionale Vinko De Karis stava operando su una cernita di
ragazzoni teramani: lui sull’asfalto non sapeva che pesci pigliare, poi
gli dissero di tirare che lui il tiro ce l’aveva, il fi sico pure, e fu azzurro
tutta una vita. Da allora in poi passò per società come Campo del Re,
Wampum, Siracusa, Quick, Tonini, Cx orologi, Chieti, Città S.Angelo.
Ha allenato Teramo e Sassari. Dal 2000 è consigliere federale e per
cinque anni ha svolto il ruolo di team manager. Ora da settembre è
allenatore della nazionale azzurra di handball. Ma c’è tanto lavoro da
fare. Franco Chionchio non immaginava che dal 18° posto del ranking
mondiale l’Italia potesse sprofondare al 35°.
Il campetto della Gammarana è lontano, però chissà la pallamano, la
vita, è uno sport strano. n
ott 2010
Il campetto della Gammarana è lontano,
però chissàla pallamano, la vita,è uno sport strano.
diMaurizioDi Biagio
Pece e vichinghe
Mondiali Handball 1984La promozione nel gruppo B
FrancoChionchio
A cqua e aria e terra e fuoco. Acqua è aria è terra è fuoco.
Congiunzione (che, a volte, è anche separazione) e poi equi-
valenza. Il cinema dell’indian-american M. Night Shyamalan
è tutto qui. Filosofico, in linea
con la legge cosmica platonico aristo-
telica. Le quattro radici dell’universo, gli
elementi primordiali di cui sopra, fanno
del mondo, dell’esistenza e dell’uomo
un essere vivente razionale. Ogni ele-
mento naturale vive dell’altro, nessuno
può essere scisso dall’altro. Dentro e
fuori di sé.
Signs, il suo capolavoro, era la visua-
lizzazione ad alto grado mistico di una
massima indiana: “Accendi il fuoco; ti
farò vedere una bella cosa: una grande
palla di neve!”. Dal fuoco della passione
(amore, ira, dolore) si scatenavano le
luci d’inverno interiori (il ghiaccio) che
portavano un sacerdote episcopale
a rinnegare Dio e sé stesso, fino a
materializzare creature aliene terribili e
incendiarie. Terra (mondo) e aria (vita)
in subbuglio. Ma per spegnere gli alieni
niente di più semplice che l’acqua,
quarta essenza “quintessenza”. Dopodi-
ché ricomposizione necessaria: ritorno
della fede, ghiaccio sciolto, fuoco (fami-
liare) ritrovato.
Si accorsero in pochi, all’uscita del film,
addirittura da molti stroncato, dell’infini-
ta tessitura simbolico-religiosa spalmata
su uno stile controllatissimo e magistrale, per niente mainstream.
Mentre ci fu quasi una unanimità per The Village, più in leggibile
linea nel mettere in luce, con furore, una certa tendenza mondia-
Il film del meseCIN
EMA
le post-11 settembre a chiudersi dentro, a non voler varcare un
confine tutto mentale, e per via di uno stile dimesso-spettacolare
(inconfondibile) che finiva per amplificare horror e metafora. Lì si
trattava di ri-dare aria e acqua a un terreno/territorio non più irriga-
to, limite estremo di condensazione. Scura opacità, in posizione di
separazione rispetto alla brillantezza
shining di fuoco e luce. L’America
ha in parte superato quel periodo
regressivo; l’Italia berluscopica ne
sta scontando adesso l’apoteosi
putrida. Arrivi al più presto, per farci
di nuovo respirare, un flusso d’aria-
acqua-terra-fuoco!
Che il regista non fosse del tutto
compreso in queste brillanti osser-
vazioni forse inconsce ma ispirate al
claustro-mondo monade che (non)
viviamo, fu confermato da Lady in the Water, opera geniale sul
narrare post-moderno bloccato e
ripiegato su sé stesso che, per virtù di irrigazione sociale, nel film
ricomincia a scorrere. L’acqua veniva mostrata come la sostanza
primordiale da cui tutto nasce e a cui tutto ritorna, simbolo cosmo-
gonico di purificazione e rigenerazione,
che era altresì metafora del cinema,
liquido di luce. Forse davvero l’icosae-
dro platonico che, decomposto, diven-
ta un tetraedro di fuoco e due ottaedri
d’aria. Lo ha sempre saputo James
Cameron, da tirare in ballo perché ne
L’ultimo dominatore dell’aria, si
riaffaccia il concetto, ormai stranoto,
oltre che straniato, dell’avatar. Un
concetto mi(s)tico, ancora, che sta a
quest’ultimo film come stava la signora
dell’acqua al film omonimo.
Il dodicenne Aang (Noah Ringer) è
the last airbender, unico superstite
dei Nomadi dell’Aria, unico capace di
dominare tutti e quattro gli elementi,
in un mondo caratterizzato da terribili
separazioni geo-politiche tra quattro
regni rispettivamente intitolati agli
stessi. Appare tra il ghiaccio, col fuoco,
facendo esplodere l’aria, mentre Kata-
ra (Nicola Peltz), dominatrice dell’ac-
qua, giocando un po’ troppo coi suoi
poteri, che la porta a sconfinare al-di-là
dei villaggi (anche mentali) consentiti,
lo fa emergere come il dio bambino
che è.
Il fratello Sokka (James Rathbone) la
rimprovera, ma tant’è. Nel gioco dicotomico yin yang, maschile
femminile, giocoso razionale, tutto tradotto in termini adolescen-
ziali, la ri-composizione non può che avvenire trasgredendo. I
26ott 2010
L’insostenibile leggerezza dell’aria
diLeonardoPersia [email protected]
Shyamalan ricapitola il suo cinema in un extra-film
Il plot affastellato non risulta proprio adatto a un
regista dal tocco incantato e contemplativo, grande quando
deve ruotare intorno a una sola (grande) idea.
Qui fa fatica a narrare in maniera piatta e lineare,
benché densa.
ott 2010
27
conservatori del mondo, se non fossero gli
imbecilli che sono, dovrebbero essere i pri-
mi a promuovere lo scatto ultra-normativo.
E invece. Per questo nel film il paesaggio
è quello di un mondo tutto scisso perché
mai sconfinato. Imperversa, dittatoriale, in
una stagione di anomia, il Fuoco. Ha ster-
minato i Nomadi dell’Aria, adesso avanza
come un siluro destrorso verso la Tribù
dell’Acqua per privatizzarla. Ognuno per sé
e Dio (sostituito dal Potere) contro tutti in
un mondo post-global in cui non è difficile
rispecchiare il nostro.
Aang è quindi lo sguardo baby, ragazzino
per tutte le stagioni di decadenza e caos,
terreno fertile per la riapparizione dell’ava-
tar/Gesù bambino, che incorpora nel suo
sguardo a 3(000) dimensioni (archetipi e
ancestrali incorporati), il sogno di una cosa
sublime. Riunire le parti, ricominciare il re-
gno dell’Aria, riavviare il mondo. Combat-
tere il nemico. Qui sintetizzato dal principe
Zuko, figlio scon-fesso del Re del Fuoco e
l’ammiraglio Zhao, cacciati dalla Nazione
disunita dittatoriale. Poveracci che, in linea
con le attuali tendenze mondiali, credono
di riconquistare gli onori perduti, sotto-
mettendosi a chi ha fatto loro del male e
mettendosi contro chi è a favore. Contro
un salvatore. Pensare, come si dice in una
battuta (del piccolo avatar rivolto a Zuko),
che si poteva (doveva) essere amici: Le
separazioni dei regni sono anche separa-
zioni tra vittime, focolai di guerre private al
diapason di frustrazioni represse.
Il soggetto proviene da una serie cartoon
americana assai in voga (autori Michael
Dante Di Martino e Bryan Konietzko) che
risulta già, nelle ibride forme, misto di ani-me e cartone domestico USA, Oriente e
Occidente, in linea coerente con il discorso
promoter della fusione dopo la confusione.
Film commissionato, film dove Shyamalan,
sempre sor-
prendentemen-
te veloce nel
suo stile lento
e fantasmatico,
conquistatore
degli applau-
si persino di
Jacques Rivette,
deve vedersela
con la velocità-
velocità. Risul-
tando statico.
Non monta come
va di moda, dilata
anche qui la te-
nitura dell’imma-
gine; e l’azione
è soprattutto
quella interiore,
essenzializzata
nei primi piani
(ma gli attori non
sono all’altezza).
Tuttavia: strepiti, stile Chaolin e Ba Gua
Zhang, per i combattimenti di Aang, a
inquadratura unica. Però, dinamismo e
grazia latitano. Il più ingessato dei wu-xiapian, fantasy d’Oriente, al confronto
fa un figurone. Considerati i brutti e
algidi fondali da computer grafica, con il
contorno non intonato di creature fantasy,
senza il touch realmente magico (perché
artigianale) di Nel paese delle crea-ture selvagge di Spike Jonze, che era
oltretutto viscerale nel descrivere l’essere
adulto dello status infantile. Qui Shyama-
lan rinuncia all’inquietudine. Sembra che
questo mondo da brivido non gli faccia più
di tanto paura, confidando troppo nell’ava-
tar risolutore e, di riflesso, nello spettatore
teen rassicurato. Il plot affastellato non
risulta proprio adatto a un regista dal
tocco incantato e contemplativo, grande
quando deve ruotare intorno a una sola
(grande) idea. Qui fa fatica a narrare in
maniera piatta e lineare, benché densa.
Come piace alla gente.
Le stroncature stavolta sono piovute
ancora più fitte e violente. Qualcuno,
affrettandosi, ha affermato perentorio che,
a 40 anni, il regista è ormai finito. Di sicuro
si tratta di un film non proprio memorabile.
Ma fondamentale come chiave di lettura
di tutto lo Shyamalan maggiore. Ove si
consideri che pure tale sconfinamento di
stili narrativi e di forme (non
certo di visione, come si è
visto sopra) risulta coerente
con un autore che, nelle sue
creazioni, esalta l’uscita da
sé come momento supremo
di riappropriazione di ciò
che al suo interno si è se-
parato. “Division” si leggeva
nella maglietta dell’inquieto
Mel Gibson di Signs.
E certo, abbiamo un film
molto intimo, una specie di
confessione esplicita dell’uomo Shyama-
lan. Travestito da film fin troppo corrente,
ai limiti dell’anonimo. L’autore non ha
saputo divincolarsi dalle trappole di blanda
narrazione. Non ha amato i personag-
gi (incarnati da attori antipatici), né il
paesaggio, nè l’intero assunto. Forse per
tema di scontentare i fans del cartone, non
ha insistito nello sprofondare nel fuoco
brillante e risplendente, simile all’Idea di
cui diceva Plotino. Non ha voluto rendere
arché un soggetto pre-esistente, sia pure
da lui riscritto.
“E’ nel cuore che si vincono tutte le
guerre” recita una battuta, pronunciata da
una nonna, lo sguardo saggio e arcaico di
cui necessita quello giovane e ri-fondante.
Una specie di giustificazione autoriale di
un cineasta che ha voluto spostare sul
proprio operato, dal vivo - autentico 3 D,
molto più del live motion del cartone
- ciò che finora compiva per interposto
personaggio.
Per questo, nonostante tutto, questo
atipico e malriuscito Otto e mezzo
risulta simpatico. Perché, oltrepassando lo
schermo e il plot, ricongiunge gli opposti.
Naturale conseguenza di un discorso che
dall’al-di-là dello schermo finisce al-di-qua
della vita (del suo autore). E divenendo
così un film diverso e uguale, futile e
necessario. n
...nonostante tutto, questo atipico e malriuscito “Otto e mezzo” risulta simpatico.
Perché, oltrepassando lo schermo e il plot,
ricongiunge gli opposti.
S e si tiene conto di quello che comunemente viene detto “chi ben
inizia è a metà dell’opera”, il Teramo è sulla buona strada per un
altro anno vincente. Partire bene è senz’altro il modo migliore per
ambire ad obiettivi alti. Le premesse, pertanto, ci sono tutte per
sperare di riacciuffare l’agognato traguardo del professionismo. Già dalle
prime battute con il Pescara, si era visto che le cose andavano per il ver-
so giusto. Era calcio d’agosto, pur sempre un confronto con una squadra
di serie B. Il pareggio e la rete di Gambino avevano acceso l’entusiasmo.
Lo scetticismo di qualcuno, non a torto, aveva steso un leggero velo di
giustificata prudenza. Altre amichevoli con formazioni di pari grado ed
altre conferme. L’esordio in Coppa Italia è stato il momento più atteso
perché solo in quella occasione si poteva saggiare la vera consistenza
del nuovo Teramo in gare ufficiali con i tre punti in palio. Anche la Coppa
ha detto quello che si era già visto. Curiosità, scetticismo e speranza,
Calcio
sensazioni serpeggianti qua e là nelle con-
versazioni dei bar ed in altri luoghi di ritrovo.
Poi tanta voglia di ricominciare sulle gradina-
te del comunale. L’esordio in Campionato ha
finalmente rotto il lungo digiuno. Poche gare
e tante conferme è quello che aveva propo-
sto l’inizio di stagione. Venne il giorno della
prima amara sconfitta e con essa il timore di
scoprire improvvisamente una realtà diversa
da quella che si era manifestata fino a quel
momento. Da Santarcangelo a Santegidio,
il percorso della riscossa e la certezza di
essere all’altezza della situazione. Il futuro
ci dirà se il Teramo è in grado di battere la
concorrenza di Rimini, Sambenedettese, Jesina ed altre ancora. Maggio è
ancora lontano e nulla può dirsi in concreto per l’esito del verdetto finale.
E’ importante aver riportato nel nostro stadio l’interesse per il confronto
con altre città di prestigio calcistico. Era bello andare per i nostri paesi
d’Abruzzo, ma solo per gustare la buona cucina, perché il confronto cal-
cistico non era alla pari, se non per il solo numero di giocatori in campo.
Rivaleggiare, e possibilmente vincere, con città di grossa tradizione è
quello che mancava. L’avvio è promettente e tutto sembra andar bene.
Disquisire se il Teramo gioca bene o male, se quel giocatore è più adatto
o meno dell’altro in un determinato ruolo e cosi via, è il succo del vivere
il calcio la domenica e la settimana seguente. Coreografie, striscioni, cori
e spalti affollati, anche se non pieni per le dimensioni dello stadio di Pia-
no D’Accio, e il confronto con le tifoserie avversarie assiepate nell’altra
parte, sono scene non più appartenenti al passato. n
28set 2010
Il punto sul Campionato
diAntonio Parnanzone [email protected]
con il vento in poppa
SPORT
È noto che le sentenze degli organi giurisdizionali sono pronunciate
“in nome del popolo italiano”. Tale dicitura, ovviamente, non cer-
tifica una sorta di investitura politica popolare bensì, da una parte,
per indicare che la sovranità non discende più dall’alto come nello Stato
monarchico, ma appartiene al popolo; e dall’altra parte, è lecito pensare
che l’espressione introduca un criterio ermeneutico cui i giudici devono
sottostare, allorquando debbano decidere una controversia che implica
considerazioni extra – giuridiche (ad es. il carattere di osceno lesivo
del comune senso del pudore). In tale ipotesi, il giudice non dovrebbe
decidere la questione sulla base delle sue personali convinzioni, ma
facendosi reale interprete del sentimento della collettività maggior-
mente nutrito in quel momento storico. Particolare interesse assume,
in tale ordine di idee, la questione sulla risarcibilità del danno morale al
proprietario per la perdita di un animale di affezione. E’ ovvio che su tale
questione, come su tante altre, i giudici italiani sono quanto mai divisi,
benché la Cassazione sia prevalentemente orientata ad escludere la det-
ta risarcibilità. A tal proposito, va ricordata la nota decisione sul danno
esistenziale pronunciata a sezioni Riunite l’undici novembre 2008 con cui
il Giudice nomofilattico ha detto basta “alle più fantasiose e a volte risibili
prospettazioni di pregiudizi suscettivi di alterare il modo di esistere delle
persone” negando il risarcimento nelle cause cosiddette bagatellari, e
ritenendo inconcepibile qualsiasi pregiudizio (non patrimoniale) sofferto
per la perdita di un animale. Sennonché la stessa Cassazione, a dimostra-
zione di quanto si diceva sopra, con la sentenza n. 4493 del 25 febbraio
2009, ignorando completamente il proprio autorevole precedente, ha
rinfocolato le speranze degli “animalisti” decidendo positivamente per la
risarcibilità di tale tipo di danno. Con tale sentenza la Corte ha respinto il
ricorso proposto da un ambulatorio veterinario che era stato condannato
da un giudice di pace a risarcire il danno morale ad un proprietario di un
gatto che era deceduto a causa di un errore di trasfusione di sangue. Per
quel che concerne i giudici del tribunale capitolino segnaliamo due de-
cisioni contrastanti la prima del 2002 che riconosce (sentenza 17 aprile
2002) il danno non patrimoniale da perdita da animale di affezione, e la
seconda del 21 marzo 2005 lo nega. Ebbene, poiché il sentimento di cui
si discute è suscettibile di diversa sensibilità si vorrebbe in questa sede,
“in nome del popolo teramano”, indire una sorta di sondaggio diretto ai
nostri gentili e cortesi lettori per sapere se sono d’accordo sulla sentenza
che nega la risarcibilità del danno morale per la perdita dell’animale di
affezione o per la sentenza che invece la riconosca.
Per depositare la vostra “sentenza” mandate una e-mail a:
Dura lex sed lexa cura di
Amilcare Lauria Elvio Fortuna
avvocati associatiIn nome del popolo...
È iniziato il Campionato Italiano di Pallacanestro serie A
2010/2011.
Il mese di settembre è trascorso velocemente anche per la
Banca Tercas Teramo, tra allenamenti intensi, amichevoli e tornei
che si sono succeduti settimana dopo settimana: la squadra rinnovata
dei 7/11, ha cercato di conoscersi meglio, trovare il giusto affiatamento,
rifinire le proprie individualità, provare e riprovare gli schemi di gioco
dettati da Andrea Capobianco e dal suo staff tecnico. Non da meno
sono stati i due preparatori atletici Claudio Mazzaufo e Domenico Fa-
ragalli che hanno “torchiato” a dovere
tutti i giocatori della rosa per tirarli a
lucido sotto la forma fisico-atletica e
farli arrivare, sufficientemente pronti,
ad affrontare un impegno difficile
come quello della prima giornata di
campionato. Non a caso per la squa-
dra, dopo le amichevoli di Lanciano
contro Scafati e di Teramo contro la
Lottomatica Roma, dopo la partecipa-
zione ai tornei di Lecce, Scafati e Porto
S. Elpidio, si era potuto notare un miglioramento progressivo tanto da
chiudere la propria preparazione precampionato con il successo al
torneo di Porto S.Giorgio. Superata in prima serata Varese e regolando
in finale, dopo una gara molto combattuta, i padroni di casa di Monte-
granaro che appena sette giorni prima si era imposta sui biancorossi
nella finale del torneo di Porto S.Elpidio, nonostante alcuni acciacchi ac-
cusati da Diener Fletcher e Shaw. In questo quadro di crescita di tutto
il gruppo si segnalano, oltre a Polonara e Martelli, anche altri giovani
BasketSPO
RT interessanti come Listwon, Di Giuseppe e Ricci che sono stati aggregati
agli allenamenti della squadra maggiore e che lo staff tecnico segue
con molta attenzione. Domenica 10 ottobre. è iniziata la nuova stagione
agonistica con l’aggiudicazione della Supercoppa Italiana tra la vincente
dello scudetto tricolore del campionato 2009/2010 Montepaschi Siena
e la vincente della Coppa Italia 2009/2010 Canadian Solar Bologna
”V“ nere. Siena, nonostante abbia rinnovato il suo gruppo sostituendo
giocatori del calibro di Mc Intere, Satò ed Eze ha trovato in McColebb,
Michelori, Aradori e Moss trascinati da un grande Stonerook ancora
la quadratura del suo cerchio, tanto da vincere l’ennesimo trofeo a
spese della squadra bolognese, anch’essa rinnovata e dove figurano i
due ex teramani Giuseppe Poeta e Valerio Amoroso. Proprio l’ex play
biancorosso è stato il protagonista principale tra le fila bolognesi nel
contrastare i senesi, coadiuvato parzialmente da Amoroso e Moraschi-
ni. Iniziativa lodevole verso i giovani del proprio settore, della Banca
Tercas Teramo Basket, lunedì 11 ottobre u.s. è partito il progetto GAT
istruire e far crescere allenatori teramani. Le lezioni sono tenute dall’al-
lenatore Andrea Capobianco e supervisore delle giovanili; Vincenzo Di
Meglio responsabile tecnico del Settore Giovanile, Marco D’Ascenzo
responsabile tecnico del minibasket e Domenico Faragalli, prepara-
tore atletico della squadra maggiore e del settore giovanile. Oramai è
tutto pronto per l’anticipo della 1ª giornata di campionato di sabato 16
ottobre 2010 al PalaScapriano con diramazione televisiva l’entusiasmo
di noi supporter biancorossi è
al punto giusto ed il riscontro si
è avuto, ancora una volta, dalla
campagna abbonamenti. L’esor-
dio contro l’Armani Jeans Milano
che appena 15 giorni fa ha fatto
soffrire, al Forum di Assago, da-
vanti a circa diecimila spettatori,
i Knicks di New York di Danilo
Gallinari e del suo allenatore ex
D’Antoni. I più in forma tra le
fila milanesi sono apparsi sia il
teramano Mordente sia il teatino
Mancinelli, poi l’esordiente nel
campionato italiano l’ucraino
Pecherov, micidiale il suo tiro.
La Banca Tercas Teramo dovrà
raddoppiare la propria concentra-
zione e la propria intensità.
Mike Hall l’ex di turno, Diener, Zoroski, Ahearn, Fletcher & compagni,
senz’altro faranno l’impossibile pur di tentare di contrastare la corazzata
milanese, siamo fiduciosi. La Banca Tercas è scesa sul parquet giocando
una gara bella, perfetta, contrastando adeguatamente una squadra com-
pleta, forte, dalla panchina lunga dove Bucchi e Valli potevano pescare a
loro piacimento. La lettura della gara è stata perfetta fino alla fine poi, nel
tempo supplementare, i nostri biancorossi sono andati in debito d’ossi-
geno, è mancata la lucidità necessaria per portare a termine un risultato
che sarebbe stato eclatante ma meritato. Nella Banca Tercas, oltre al
quintetto titolare, va segnalata l’ottima prova del giovane Polonara e di
Bosgagin, Nella squadra milanese l’abruzzese Mancinelli è stato inconte-
nibile e il vero artefice di un successo che ha fatto evitare una figuraccia
al suo allenatore Bucchi. Risultato Milano batte Teramo 89 a 83. n
30diBebèMartorelli [email protected]
ott 2010
Banca TercasTeramo Basket
La Banca Tercas è scesa sul parquet giocando una gara bella, perfetta, contrastando
adeguatamente una squadra completa, forte, dalla panchina lunga.
Foto di Michele Carrelli
Foto di Michele Carrelli