La questione sociale 14a

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La questione sociale selezione testi a cura di Vincenzo Estremo 14a conversazioni con Errico Malatesta

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La questione sociale 14 una rivista anarchica

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Laquestionesociale

selezione testi a cura di

Vincenzo Estremo

14a conversazioni con Errico Malatesta

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Queste conversazioni sono incomplete e parziali, sono un appendice allo studio della produzione letteraria di Errico Malatesta.

sezione teorica per una pratica della pratica sociale

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Giulio

sono da sempre stato fascista, la rovina di questa terra è la camorrabasta una telefonata e la cifra si abbassa

l’agricoltura resta una spesa, non si mangia con la terranel 1973 volevano darmi 130 mila lire al mese, io li guadagnavo in un giorno

tu non sei il padrone, qui ci sto io e fa conto che il padrone sono iose voglio posso parlare tutto il giorno, senza il padrone che mi dice di lavorare

due schiaffi e la testa gli rimbalzava sullo sterzo della sua auto

lo stato non mi ha mai dato nulla, ma io penso di dover avere ancora moltoil cane abbaia perchè non ti conosce

le San marzano sono scomparse, questi sono degli ibridi

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Negli anni in cui leggevo Bakunin sottolineavo alcune cose che pensavo essere interessanti. Ne la miseria, ne la fame, bastano a provocare la rivoluzione, non è l’oppressione che scatena le forze sociali, il popolo italiano e quello spagnolo sono sull’orlo di una rivoluzione sociale, ma la loro rivoluzione sociale, diceva Bakunin, è assoggettata alla capacità di questi popoli, di continuare a coltivare e sviluppare un ideale comune.

Giulio ha 62 anni, ha da poco preso in gestione dei terreni, prima erano incolti ora lui ci semina pomodori, melanzane, zuc-chine e fagiolini, dice di aver sempre fatto politica, ma della politica conosce bene solo i meccanismi. Coltiva quattro appez-zamenti di terreno disparsi nell’agro aversano, nessuno di questi terreni è di sua proprietà, Giulio non è un uomo povero, nella sua vita è stato muratore, operaio, agricoltore, bracciante, ha avuto a che fare con i guappi e con la brava gente, gli hanno sparato in un occhio ed ha una protesi di vetro.

I terreni sono quasi tutti al centro di zone urbane, nella maggior parte dei casi è stata la città a crescerci intorno, sono delle zone agricole residuali. In quegli specchi di terra nera Giulio coltiva ortaggi da spedire ai mercati, la sua attività agricola non è tracciabile, la vendita dei suoi prodotto non documentabile. Non gli è mai sfiorata l’idea di non considerare quello che fa un lavoro per il sostentamento della sua famiglia, non ha mai pensato alla campagna come un hobby. Una vita meccanica, utilitaristica. Sono le 12:00 e la sirena del vecchio pastificio Chirico suona.

Il figlio è in esercito, ha deciso di essere indipendente e quando torna a casa non riesce a sopportare l’indolenza della sorella. Una volta ha strappato la tessera del partito dell’Unione di Centro sul volto di un consigliere regionale, urlando: “non ci hai mai pagato una bolletta, non hai mai pensato alle nostre cose, riprenditi la tua tessera” Giulio è sempre rimasto un fascista, ed è sicuro che per governare bastino quattro persone. Non si scandalizza delle pastette elettorali. I lavoratori devono guardare in faccia la questione. Una concezione della tattica politica ed elettorale non esclude, per niente la... pastetta. Chi può fare la pastetta può vincere, ma sopratutto può impedire agli altri di farlo.

Il cane ha appena due metri di catena, la sua cuccia è al centro di un deposito di materiale edile accatastato. Il sole batte sul tetto in eternith della casetta e la bestia si rifugia con la testa sotto i tredici centimetri d’ombra della fessura tra il suolo e il pavimento.

Parlando con la gente mi capita, sempre più spesso, di es-sere contraddetto su una certa marginalità che può avere l’autorganizazione. Molti lamentano una irragionevolezza di fondo delle mie azioni, ma le persone sono cece, accecate dalla paura di esprimere la loro volontà e dal terrore di ve-nire a conoscenza della verità. La conoscenza li spaventa e quello che loro chiamano estremo, io definisco verità. Nes-suno vuole realmente vedere che l’insieme delle macchina-zioni liberiste ha spinto il nostro grado di sopportazione a livelli inumani, nessuno vuole ammettere a se stesso che le case in cui si chiudono sono dei serragli per la loro umanità. Tutti i progetti di una nuova organizzazione sociale hanno il medesimo difetto, ossia, essere alternativi rispetto ad una società liberista, ma non rispetto alla società stessa. En-trambi accettano l’idea di una società improba e non pari-taria. Il comunismo fallisce poiché volendo rendere comune le esperienze individuali in una società alternativa a quella vigente, contravviene alle libertà dell’uomo promettendo un astratto bene comune. Il liberismo impone alla comunità la finta logica dell’economia, con futili promesse di arricchi-mento. La società vera tiene conto delle scelte individuali proprio perché cerca di ingabbiarle in un modello burocrati-co imponendo, allo stesso tempo, un egemonia economica alla società.

L’essenziale è che si sviluppi nei sin-goli lo spirito d’organizzazione, il senso della solidarietà, la convinzione della necessità di cooperazione fraterna.

A parte la credenza religiosa, che non penso mi si voglia attribuire, e considerando il cristianesimo quale ispiratore di sentimenti etici e regola di condotta pratica, molti e vari Sono i modi d’intendere la qualità dì cristiano. Io conosco nella storia passata e nella vita contemporanea tanti animi nobili e dolci che si dicono cristiani, come so di fieri ribelli che sotto il labaro del Cristo combatterono per la libertà e la giustizia. Ma so pure che si dissero cristiani Simone di Mon-forte, Ignazio di Lojola, Torquemada Lutero, Calvino; come

cristiani si dicono la più gran parte dei moderni oppressori e mi domando se, riferendomi a costoro e a tutte le perse-cuzioni e le stragi perpetrate in nome di Cristo, non potrei a mia volta e con maggior ragione dar del cristiano ai truci predicatori di odio, vendetta e terrore.

Ma perché richiamarsi a Cristo e alla storia dei suoi set-tatori, quando sarebbe così semplice, e ben più sicuro, il giudicare le idee e i propositi di un uomo da quello che egli stesso dice e fa?... almeno quando si tratta di uno che dice chiaramente quello che pensa e ha sempre agito in con-formità di quello che dice!Io penso, e l’ho ripetuto mille volte, che il non resistere al male «attivamente» cioè in tutti i modi possibili e adeguati, in teoria è assurdo, perché in contraddizione collo scopo dì evitare e distruggere il male, e in pratica è immorale perché rinnega la solidarietà umana e il dovere che ne consegue di difendere i deboli e gli oppressi. Io penso che un regime nato dalla violenza e che con la violenza si sostiene non può essere abbattuto che da una violenza corrispondente e proporzionata, e che perciò è una sciocchezza o un in-ganno il fidare nella legalità che gli oppressori stessi fog-giano a loro difesa. Ma penso che per noi che miriamo alla pace fra gli uomini, alla giustizia e alla libertà di tutti, la vio-lenza è una dura necessità che deve cessare, a liberazione conseguita, là dove cessa la necessità della difesa e della sicurezza, sotto pena di diventare un delitto contro l’umanità e di menare a nuove oppressione e a nuove ingiustizie. Comprendo gli scoppi irrefrenabìlì della vendetta popolare e la loro funzione storica; ma non dobbiamo, noi, incoraggiare i sentimenti cattivi che l’oppressione suscita nell’animo degli oppressi. Pur lasciando che il torrente straripi e spazzi via il triste passato, noi dobbiamo sforzarci di conservare alla lot-ta il carattere di lotta per l’intera redenzione umana, ispiran-doci sempre all’amore per gli uomini, per tutti gli uomini, e respingendo dall’animo nostro e per quanto è possibile da quello degli altri, i torbidi propositi che la tirannia ispira e il desiderio di vendetta alimenta.

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ad ogni costo la questione sociale

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Non v’è dubbio, secondo me, che la peggiore delle demo crazie è sempre preferibile, non fosse che dal punto di vista educativo, alla migliore delle dittature. Certo La democrazia, il cosiddetto governo di popolo, è una menzogna, ma Ia menzogna lega sempre un po’ il mentitore e ne limita l’arbitrio; certo il «popolo sovrano» è un sovrano da commedia, uno schiavo con corona e scettro di cartapesta, ma il credersi libero anche senza esserlo Val sempre meglio che i sa-persi schiavo e accettare la schiavitù come cosa giusta inevitabile.La democrazia è menzogna, è oppressione, è in realtà oligarchia, cioè governo di pochi a benefizio di una classe privilegiata; ma possiamo combatterla noi in nome della libertà e dell’uguaglianza, e non già coloro che vi han costi, tutti o vogliono sostituirvi qualche cosa di peggio.Noi non siamo democratici, fra le altre ragioni perché es sa presto o tardi conduce alla guerra e alla dittatura, come non siamo dittatoriali, fra l’altro, perché la dittatura fa desi derare la democrazia, ne provoca il ritorno e così tende a perpetuare quest’oscillare delle società umane dalla franca e brutale tirannia a una pretesa libertà falsa e bugiarda. Dunque guerra alla dit-tatura e guerra alla democrazia.

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demo craziedittaturedemocraziademocraziadittaturadittaturademocraziadittaturademocrazia

peggioremiglioreliberogiustainevitabilelibera falsabugiarda

educativomenzognamenzognalimitasovranoschiavoschiavoschiavitù

menzognaoppressione oligarchiauguaglianzaguerradittaturatiranniaguerra

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il costo della questione sociale

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Nicola

mi dai una sigaretta?delle damigiane da sessantaquattro litri

l’ho ucciso, graffiandoloè inutile che torni a scuola, hai la testa di legno

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Non bisogna credere che, assecondando le tendenze autodistruttive, marginalizzanti e liminali, si possa fare qualcosa di diverso da un lacché alla produzione imperante ripiegando in un attivismo nichilista. E’ necessario cogliere le opportunità of-ferte dalla disgregazione attuale è il tempo di sviluppare azioni spontanee, in grado di dare rispondere ad un’esigenza reale di libertà. Comprendere quali possano essere valide forme di lotta, valide voci critiche, mettere in discussione i principi di autorità. Una politica del divenire, chiara, basata su azioni dirette e sull’autogestione. Un radicalismo latente, sempre pre-sente, quotidiano.

Nicola 82 anni ex braccinate agricolo.

Scopo della ricerca scientifica è di studiare la natura, di scoprire il fatto e le «leggi» che la governano, cioè le condizioni nelle quali il fatto necessariamente avviene e necessariamente si riproduce. Una scienza è costi-tuita quando può prevedere ciò che avverrà, non importa se sappia o no dirne il perché; se la previsione non si avvera, vuol dire che vi era errore e non c’è che da procedere a più ampia e più profonda indagine. Il caso, l’arbitrio, il capriccio, sono concetti estranei alla scienza, la quale ricerca perciò che è fatale, ciò che non può essere diversamente, ciò che è necessario.Questa necessità che collega tra loro nel tempo e nello spazio tutti i fatti naturali e che è compito della scienza ricercare e scoprire, abbraccia essa tutto ciò che avviene nell’universo compresi i fatti psichici e sociali?I meccanicisti dicono di sì, e pensano che tutto è sottoposto alla stessa legge, meccanica, tutto è predeter-minato dagli antecedenti fisico-chimici: così il corso degli astri, come lo sbocciare di un fiore, come il palpito di un’amante, come lo svolgersi della storia umana. E il sistema, ne convengo volentieri, appare bello e grandioso, meno assurdo, meno incomprensibile dei sistemi metafisici e, se potesse esser dimostrato vero, soddisferebbe completamente lo spirito. Ma allora, malgrado tutti gli sforzi pseudo-logici dei deterministi per conciliare il sistema con la vita e con il sentimento morale, non vi resta posto, nè piccolo né grande, né con-dizionato né incondizionato, per la volontà e per la libertà. La vita nostra e quella delle società umane sarebbe tutta predestinata e prevedibile, ab eterno e per l’eternità, in tutti i minimi particolari al pari di ogni fatto mec-canico, e la nostra volontà sarebbe una semplice illusione come quella della pietra di cui parla Spinoza, che, cadendo avesse coscienza della sua caduta e credesse che cade perché vuol cadere.Ammesso questo, che meccanicisti e deterministi non possono non ammettere senza contraddirsi, diventa assurdo il voler regolare la propria vita, il volere educarsi ed educare, il volere riformare in un senso o nell’altro l’organizzazione sociale. Tutto questo affaccendarsi degli uomini per preparare un miglior avvenire non sareb-be che l’inutile frutto di una illusione, e non potrebbe durare dopo che si è scoperto che è una illusione. È vero che anche l’illusione, anche l’assurdo sarebbero prodotti fatali delle funzioni meccaniche del cervello e come tali rientrerebbero nel sistema, ma, ancora una volta, quale posto resta alla volontà, alla libertà, all’efficacia dell’opera umana sulla vita e sui destini dell’uomo?Perché gli uomini abbiano la fiducia, o almeno la speranza, di poter fare opera utile, bisogna ammettere una forza creativa, una causa prima, o delle cause prime, indipendenti dal mondo fisico e dalle leggi meccaniche, e questa forza è quella che chiamiamo volontà.Certamente, ammettere questa forza significa negare l’applicazione generale del principio di causalità e di ragion sufficiente, e la nostra logica si trova imbarazzata. Ma non è sempre così, quando vogliamo rimontare alla origine delle cose? Noi non sappiamo che cosa è la volontà; ma sappiamo forse che cosa è la materia, che cosa è l’energia? Noi conosciamo i fatti, ma non la ragione dei fatti e, comunque ci sforziamo, arriviamo sem-pre a un effetto senza causa, a una causa prima — e se per spiegarci i fatti abbiamo bisogno di cause prime sempre presenti e sempre attive, ne accetteremo l’esistenza come una ipotesi necessaria, o almeno comoda.Considerate così le cose, compito della scienza è quello di scoprire ciò che è fatale (leggi naturali) e sta-bilire i limiti dove finisce la necessità e comincia la libertà; e la grande sua utilità consiste nel liberare l’uomo dall’illusione di poter fare tutto quello che vuole e allargare sempre più la sua libertà effettiva. Quando non si conosceva la fatalità che sottopone tutti i corpi alle leggi di gravitazione, l’uomo poteva credere di poter volare a suo piacere, ma restava a terra; quando la scienza ha scoperto le condizioni necessarie per sostenersi e muoversi nell’aria, l’uomo ha acquistato la libertà di volare realmente.In conclusione, tutto ciò che sostengo è che l’esistenza di una volontà capace di produrre effetti nuovi, indip-endenti dalle leggi meccaniche della natura, è un presupposto necessario per chi sostiene la possibilità di riformare la società.È sulla necessità o meno di questo presupposto che possono discutere, se vogliono, P. Garahino e altri miei contraddittori. Gli inni alla bellezza della scienza non colgono nel segno.

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lo statosociale

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Conosciamo ab-bastanza le con-

dizioni strazianti ma-teriali e morali in cui si

trova il proletariato, per spiegarci gli atti di odio,

di vendetta, ed anche di ferocia che potranno pro-

dursi…

Comprendiamo come possa accadere che, nella febbre della

battaglia, nature originariamente generose ma non preparate da una

lunga ginnastica morale, molto dif-ficile nelle condizioni presenti, per-

dano di vista lo scopo da conseguirsi, prendano la violenza come fine a se

stessa e si lascino trascinare ad atti sel-vaggi.

Ma altro è comprendere e perdonare certi fatti, altro è rivendicarli e rendersene soli-

dali. Non sono quelli gli atti che noi possiamo accettare, incoraggiare ed imitare… In una pa-

rola dobbiamo essere ispirati dal sentimento dell’amore per gli uomini, per tutti gli uomini…

L’odio non produce amore, e con l’odio non si rinnova il mondo; e la rivoluzione dell’odio, o fal-

lirebbe completamente, oppure farebbe capo ad una nuova oppressione.

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FOR SALE

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