La Pentola d'Oro Giugno 2012
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Ripartire dal locale per sconfi ggere la crisi globale
EDITORIALE
a cura di Angelo Agnelli
Non se ne può più. Tasse, prezzi del carburante alle stelle, banche in fallimento: uguale consumi sotto zero e economia allo sbando. In più ci si mette anche il terremoto che oltre essere una tragedia immane, lascia danni fisici e materiali indelebili a chi lo
ha vissuto. Per trovare una risoluzione ai mille problemi che ci attanagliano ci sarebbe bisogno di un governo che pensi e agisca un po’ più come gli italiani che ambisce a governare, invece che all’italiana, con le regole di un’Europa che di sto passo non sarà mai gli Stati Uniti d’Europa. La solidarietà umana, i sacrifici, e la pazienza, sembrano ormai l’unica fonte di salvezza per tutti i problemi che attanagliano il nostro Paese. E invece secondo me si dovrebbe riuscire a ripensare un po’ più al locale per sconfiggere questa crisi globale. Faccio un esempio: abbiamo pagato l’Imu. L’ennesima tassa locale che non serve a nulla se non per rimpolpare le casse dello stato che prende a tutti: invece le tasse dovrebbero servire a pagare i servizi che lo stato o i comuni offrono ai cittadini e gli stessi dovrebbero essere ben felici di assolvere al debito. L’Imu è una tassa sugli immobili che non ha rispetto né per i proprietari, né per gli immobili stessi, tant’è che i soldi che se ne ricavano devono solamente soddisfare la voragine di debiti accumulati. Allora io dico: se l’Imu fosse calcolata, invece che sui metri quadri, senza alcuna regola se non quella dell’ampiezza, sullo stato di manutenzione del patrimonio immobiliare? Privato e pubblico che sia? Potremmo guadagnare di più tutti? Credo di si. Intanto chiamandola Tassa sul Decoro Urbano. Cosa sarebbe? Una tassa che pagherebbero coloro i quali non hanno rispetto per il proprio bene e quindi neanche per quello altrui. Esempio: sei proprietario di uno scheletro di casa, o di una casa che non hai mai finito di imbiancare i muri esterni, o hai un grondaia che perde come un colabrodo, oppure le inferriate arrugginite, o il giardino che sembra una groviglio, o il tuo pezzo di terra che sembra una giungla...? Ebbene, o ti metti in regola, o paghi la Tassa sul Decoro Urbano. A metterti in regola ti aiuto io Comune o Stato. Ti offro la possibilità di realizzare i lavori di manutenzione ordinaria e straordinaria, avvalendoti di professionisti e artigiani del territorio convenzionati col Comune o lo Stato. Il Comune o lo Stato, ti mette a disposizione quindi gli
artigiani locali, muratori, decoratori, contadini, fabbri, lattonieri, idraulici, vivaisti, (si anche loro non solo per il lavoro di rimessa in ordine dei giardini ma anche per la vendita di fiori da balcone)... che ti offrono la loro professionalità o beni, praticandoti delle tariffe scontate: diciamo per esempio del 30%. Di questo il 20% va a favore del committente dei lavori che a sua volta “scarica” dalle tasse l’intera somma sostenuta, producendo pratica autocertificata. Il 10% va a favore del Comune o Stato che li userà per la manutenzione dei beni comunali o statali. Chi non rimette a posto quello che non lo è con questa convenzione, ha due strade: o esegue lui stesso i lavori certificando il tutto con immagini e spese del materiale di consumo, o paga la Tassa sul Decoro Urbano. Salatissima.
All’artigiano o professionista viene riconosciuto un benefit di X% da scalare sui fatturati per la sua disponibilità. Così facendo, oltre che rimettere in moto un’economia che dal locale si allargherebbe al globale - (basti pensare al materiale di consumo per svolgere i lavori che è prodotto nel mondo e non sotto casa) - ci farebbe vivere tutti in un ambiente più pulito, organizzato, decoroso, umano. In più, le nuove generazioni che vivono sulla pelle il sacrificio sostenuto per mantenere il decoro della propria casa, crescerebbe con una mentalità più vicina al rispetto della cosa propria e anche di quella altrui. Un classico esempio di educazione civica. Che gli arriverebbe a 360° dalla famiglia, dal Comune, dallo Stato. Il decoro già. Gran bella cosa. Che bisognerebbe praticare un po’ dappertutto però. Andando in giro per la Pentola d’Oro, che mi porta ad entrare nelle cucine di molti ristoranti, noto sempre con gran dolore,
proprio perché ritengo il decoro e la pulizia fondamentali per se stessi e per gli altri, che le pentole che si usano per cucinare sono veramente indecorose. Lerce, a volte putride (ve ne accorgete anche dai servizi televisivi dedicati alle esterne nelle cucine dei ristoranti), anche salutisticamente indegne. La scusa che offrono gli chef al mio appunto?: “sai, sono abituato a quella padella e con una nuova non so se sarebbe lo stesso”. La mia replica: “pensi che un campione di calcio abituato a calpestare i campi di tutto il mondo con le sue belle scarpette, appena ne rompe la punta o si consumano i tacchetti non le cambi perché se no con quelle nuove non sarebbe capace di calciare allo stesso modo?” A voi l’ardua sentenza.
Il decoro e la pulizia sono fondamentali per se stessi e per gli altri
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Roma: i sapori della città eterna
SOMMARIO
Testi e foto di Maurizio Di Dio
Garante per la radiodiffusione e l’editoria Registro Nazionale della stampa N. 5386 del 23/10/96.
Rivista uffi ciale della SAPS.Centro ricerche per lo studio dei materiali e forme degli strumenti di cottura.
Periodico trimestraleAnno VIII, n. IIAprile, maggio, giugno 2012
Registrazione al Tribunale:nr. 1 del 7/1/2005Spedizione Postale:Poste Italiane Spa Spedizione in Abbonamento Postale 70% Lo/BgCasa editrice: SPEB s.r.l.Presidente: Marino LazzariniDirettore Responsabile:Paolo AgnelliDirettore Editoriale:Maurizio Di Diocell. +39 340 12 00 187Comitato Direttivo:Baldassare Agnelli, Angelo AgnelliMaurizio Di Dio, Massimiliano PezzoniTesti e foto:Maurizio Di DioHa collaborato:Claudia BaraleRedazione:Via S. Giorgio, 6 - 24122 BergamoProgetto grafi co:L’Azzurro - Tel. 035 315 347Pubblicità & advertising:uffi [email protected]. +39 348 25 50 502Stampa:Quadrifolio S.p.A. 24052 Azzano S. Paolovia Emilia, 17 (BG)
È vietata ogni riproduzionedi testi e fotografi e.
Itinerario tra le ricchezze d’arte gastronomica della capitale pag. 6
La Rosetta di Roma pag. 10
Di Rienzo pag. 13
Enoteca Ristorante Achilli “Al Parlamento” pag. 15
Annalisa Minghini e Pentole Agnelli pag. 18
Ristorante Il San Lorenzo pag. 20
Forno Campo dei Fiori pag. 22
Enoteca Ferrara pag. 24
Beppe e i suoi formaggi pag. 28
Trattoria “Gli Amici” pag. 30
Il Forno del Ghetto Boccioni pag. 34
Giggetto al Portico d’Ottavia pag. 35
Enoteca Chirra pag. 37
Ristorante Pipero al Rex pag. 38
Federazione Italiana Cuochi pag. 40
Ristorante Agata e Romeo pag. 42
Salumeria Ciavatta pag. 46
Ristorante Le Tamerici pag. 47
Macelleria Annibale pag. 50
Trattoria Monte Caruso pag. 52
Trattoria Lo Scopettaro pag. 54
Pizzarium pag. 55
La nostra forza rimane La Tradizione pag. 56
Ristorante Giuda Ballerino pag. 57
Leggere di Gusto pag. 60
Ristorante Il Convivio di Troiani pag. 62
Ristorante Roof Garden dell’Hotel La Minerve pag. 66
Ristorante Oliver Glowig pag. 69
Ristorante Filippo La Mantia pag. 72
Osteria di Monteverde pag. 75
UOMINI E MESTIERI
I 30 anni di CIFA pag. 77
EVENTI
Elba Drink: “Divertitevi in sicurezza” pag. 80
Pentole Agnelli e “Festa a Vico”: alleanza consolidata dedicata agli chef e alla ristorazione pag. 81
SAPS sale in cattedra pag. 86
STRUMENTI DI COTTURA
Dal 1932 la storica Collezione di Baldassare Agnelli pag. 88
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Roma
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Roma: i sapori della città eternaItinerario tra le ricchezze d’arte gastronomica della capitale
C aput mundi, il capo del
mondo, è il termine latino
per indicare l’importanza
di Roma nella storia del
mondo. Ne sono a conferma
gli innumerevoli monumenti
storici e i gioielli architettonici di cui è ricca che
continuano a sfoderare grande fascino e attrazione
per i milioni di turisti che ogni anno visitano la
Città eterna. Ma la capitale italiana in materia di arte
gastronomica la dice anche lunga. Mangiare bene a
Roma infatti è una regola con poche eccezioni e la
costante crescita qualitativa dei suoi ristoranti negli
ultimi anni, ne è la riprova chiara. Basta sfogliare le
pagine delle maggiori guide, tabloid e magazine di
settore per accorgersi di questa crescita collettiva e
dell’exploit dei ristoranti capitolini, recensiti, talvolta,
con valutazioni d’eccellenza. Roma è ricca quindi
di proposte variegate di ristorazione, basta pensare
ai ristoranti di cucina regionale d’Italia che si sono
insediai da secoli nel mercato romano: una folta
schiera di locali che hanno fatto della loro regionalità,
la formula vincente del successo di pubblico e di
Da sinistra verso destra:. Agate Parisella - Ristorante Agata e Romeo. Agli Amici. Andrea Fusco. Angelo Troiani - Ristorante Il Convivio. Antonio Falco - Ristorante Roof del Minerva. Beppe Giovale con i suoi formaggi
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critica. Come alla stessa cucina romana della
tradizione che ha ritrovato la propria forma
migliore grazie ad un’offerta più ampia e di
livello qualitativo superiore. O i ristoranti degli
alberghi, soprattutto quelli di lusso che ormai
propongono cucine di altissimo livello.
Roma è dunque ricca di tavole importanti che
prosperano: dalla trattoria periferica al ristorante
classico fino alle grandi cucine d’ hotel. Questo
numero della rivista de La Pentola d’Oro
l’abbiamo dedicato a loro.
Per far stare in 100 pagine tutto quanto di buono
si trova a Roma in questi termini avremmo
dovuto realizzare una “guida telefonica” come
anche per le nicchie del gusto che offrono le
eccellenze agro-alimentari di qualità.
Abbiamo perciò dovuto contenerci e redigere
così un numero de La Pentola d’Oro che
raccogliesse alcuni spunti di tutto ciò offrendovi
delle storie di umanità e professionalità che
secondo noi sono di indubbio interesse.
Come quelle de Il Ristorante Il Convivio dei
Fratelli Troiani, del Ristorante Enoteca Achilli al
Parlamento, del Ristorante Cicilardone Monte Caruso della
Famiglia Lucia, del Ristorante Le Tamerici di Giovanni
Cappelli, del Roof Garden dell’Hotel La Minerve,
del Ristorante Agata e Romeo dei coniugi Agata
Parisella e Romeo Caraccio, del Ristorante Pipero al
Rex di Alessandro Pipero, della Trattoria Gli Amici della
Comunità di Sant’Egidio, dell’Enoteca Ristorante Ferrara
delle sorelle Paolillo, del Ristorante Gigetto al Portico
d’Ottavia della famiglia Ceccarelli, della Trattoria
Lo Scopettaro della famiglia Trombini, del Ristorante Il
San Lorenzo di Enricio Pierri, dell’Osteria di Monteverde
di Roberto Campitelli e Fabio Tellerini, della Pizzeria
Pizzarium di Gabriele Bonci, del Ristorante Oliver
Glowig all’Hotel Aldovrandi, del Ristorante Giuda
Ballerino di Andrea Fusco, del Ristorante Filippo la
Mantia al Majestic Hotel, del Ristorante La Rosetta
di Massimo Riccioli. A completare il numero le
intriganti proposte di: Caffetteria Di Rienzo, il nuovo
negozio monomarca “Pentole Agnelli”, la Salumeria
Ciavatta, l’enoteca Chirra, il Forno Boccione, Beppe
e i suoi Formaggi, la Macelleria Annibale, la Gastronomia
La Tradizione, il Forno di Campo de’ Fiori.
In alto da sinistra verso destra:. Forno Boccione. Francesco Praticò e Rosario Schifi liti - Ristorante La Tradizione. Gabriele Bonci. Goffredo Chirra - Enoteca Chirra. Luciano Monosilio - Ristorante Pipero al Rex. Macelleria Annibale Mastroddi
In basso da sinistra verso destra:. Massimo Riccioli - Ristorante La Rosetta. Massimo Rietti - Salumeria Ciavatta. Oliver Glowig. Paola Trombini - chef Trattoria Lo Scopettaro. Pietro Valoso - chef Il San Lorenzo. Roberto Campitelli - Osteria di Monteverde
In alto:. Rosa Lucia CiciLardone - Ristorante Monte Caruso. Simone Curti - Ristorante Le Tamerici
In basso da sinistra verso destra:. Claudio Ceccarelli e mamma - Trattoria Da Giggetto al portico D’Ottavia. Di rienzo. Enoteca Ferrara. Enoteca Ristorante Achilli Al Parlamento. Fabrizio Roscioli Forno di Campo de’Fiori. Filippo La Mantia
Mangiare bene a Roma è una regola con poche eccezioni
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Il motore della mia. vita è
l’insoddisfazione. Ho bisogno che nella
mia vita ci siano sempre nuovi giochi,
nuovi stimoli, nuovi entusiasmi da portare avanti.
La cucina per me è creazione ritmo e amore con un
rinnovo continuo di queste emozioni”. Esordisce
così Massimo Riccioli chef patron del
Ristorante La Rosetta.
Figlio di Romana Coltella, casalinga e di
Carmelo Riccioli fotografo siciliano, entrambi,
appassionati di cucina marinara e amanti
dell’arte del convivio, che rilevarono un’antica
osteria per dare il via nel 1966 all’avventura del
ristorante La Rosetta: solo cucina di pesce.
Dal 1982 il timone è in mano al figlio Massimo
coadiuvato dalla sorella Stefania e dalla nipote
Francesca. Massimo Riccioli, oltre che lo chef è
anche l’anima del ristorante: uno spirito libero,
ma rispettoso delle tradizioni e del suo lavoro
che ama moltissimo.
Grande conoscitore di sapori, si fa forte di
un’educazione gastronomica le cui origini
si riscontrano nella tradizione della cucina
siciliana, con un continuo desiderio di ricerca.
Da sempre la sua cucina è all’insegna del giusto
compromesso fra tradizione ed innovazione. La passione
di Massimo non si limita all’elaborazione dei gusti del
territorio italiano, producendo gustosi piatti, ma va
oltre.
La sua origine isolana lo porta alla continua ricerca
di qualcosa di nuovo. Attraverso i viaggi che compie
intorno al mondo, (sua grande passione), cerca di
apprendere le origini delle diverse culture, non solo
gastronomiche, per interpretarle in progetti culturali
importanti di cui si fa portavoce.
“Nasco - racconta Riccioli - come operatore cinematografico.
Giravo film insieme a Carlo di Palma, Pasqualino de Santis,
Vittorio Storaro, Dante Spinotti e con diversi importanti
direttori della fotografia... l’ho fatto per nove anni, poi ho
ripreso il ristorante e ho applicato ì concetti di velocità e
precisione che sono richiesti nel mondo del cinema.
Quello dello chef era un lavoro che mi offriva l’opportunità dì
girare il mondo, di conoscere altre cucine, altri pensieri.
Quando per lavoro andavo in giro per il mondo visitavo i
ristoranti, i locali, il mercato, frequentavo la gente del posto...
In Giappone, per esempio, ho imparato tanto. Lì c’è una
precisione quasi maniacale delle tecniche di cucina.
Lì, tanto per dirne una, non basta sapere se il pesce è fresco;
lì si guarda anche se è femmina, se ha dentro di sé le uova, il
periodo ed il luogo in cui è stato pescato e la tecnica di pesca
La Rosetta di Roma
Pesce con un colpo alla tradizione e un colpo all’innovazione
La sua origine isolana lo porta alla continua ricerca di qualcosa di nuovo
Ristorante La RosettaVia della Rosetta, 8 00186 RomaTel. 06 68.61.002Tel. 06 68.30.88.41
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usata... Sono culture molto più profonde delle nostre. Ma noi abbiamo
il vantaggio di avere una grande materia prima che è imbattibile e
sappiamo cucinare con metodi tradizionali che lasciano emozioni di
gusto impareggiabili”.
Ma la sua maturazione in cucina arriva dall’esperienza di
famiglia: “i miei hanno aperto 45 anni fa un ristorante di solo
pesce e, per quei tempi, - dice - era abbastanza “particolare” che
un ristorante su Roma proponesse pesce fresco tutti i giorni della
settimana, quando per cultura italiana il pesce si mangiava solo
il venerdì. Era normale quindi che io proseguissi sulle loro orme,
tenendo sempre ben presente gli insegnamenti di mio padre, profondo
conoscitore di pesce, e quelli mia madre assidua e precisa cuciniera:
faceva pochi piatti, ma erano strepitosi. C’era, insomma, quando il
ristorante era governato dai mie, una cultura del pesce radicata ben
forte e quindi ho pensato che proprio partendo da queste esperienze,
con la ricerca e la sperimentazione, potevo solo migliorare.
Pur continuando a fare ristorazione di qualità sull’esempio dei miei
genitori ho comunque sempre cercato una mia identità in cucina: per
esempio, il marinato lo propongo con condimenti diversi, che vanno dal
limone all’aceto balsamico, dai pomodorini acidi, alla mostarda fino al
lime, cercando di mantenere sempre vivo il sapore dei pesce”.
Riccioli seleziona il pesce fresco che arriva da Anzio,
Civitavecchia, Fiumicino e Terracina: materie prime, elaborate
con una cucina immediata e fresca capace di mantenere la
fragranza dei gusti veri e la digeribilità dei piatti.
L’italianità e il Made in Italy
stanno alla base della filosofia
della famiglia Di Rienzo che
proprio nel cuore storico e
culturale di Roma, ha realizzato
e dato vita ad una serie di locali
che spaziano dal Bar all’Enoteca, dalla Pasticceria al
Ristorante, dalla Moda al Design fino all’ospitalità di
Charme. In 60 anni di attività la famiglia Di Rienzo,
un perfetto esempio di organizzazione di locali, si
è distinta per serietà e professionalità,
mantenendo alti i servizi offerti.
Ma andiamo per ordine. Nel 1952
Michele Di Rienzo, gelatiere con
esperienza dietro i banconi di bar, rileva
e trasforma una delle latterie più antiche
di Roma, già esistente dal 1848 in piazza
della Rotonda - al numero civico 9, l’unico dell’epoca
- oggi riconosciuta come la Piazza del Pantheon.
Proprio dove lì adesso si trova il cuore dell’attività della
famiglia di Rienzo, uno dei locali più prestigiosi del
centro storico che guarda il Pantheon e la sua piazza:
tra le più affascinanti e fotografate di Roma.
L’attività di questo primo locale si è imposta
inizialmente alla clientela romana con la gelateria-
bar, poi con il trascorrere degli anni con l’offerta
di piatti caldi da ristorazione, grazie anche
all’ampliamento dei locali.
Oggi qui, in piazza del Pantheon, nei locali storici di
famiglia, i Di Rienzo producono anche tutto ciò che
è gastronomia e cucina.
Poco più in là ha anche aperto un laboratorio di
pasticceria e gelateria dove si produce
dal pane ai croissant dalle torte ai gelati
per i diversi locali di proprietà. Nel
locale che è un po’ pasticceria, un po’
gelateria, un po’ caffè e un po’ ristorante,
incorniciato nella suggestiva piazza del
Pantheon, c’è la possibilità di trascorrere piacevoli
momenti degustando i deliziosi prodotti della sua
rinomata pasticceria e gelateria, o semplicemente
assaporando la tipica cucina italiana, respirando la
storica atmosfera della città eterna. In questa impresa
Di RienzoUna famiglia in servizio permanente
Abbiamo il vantaggio di avere una grande materia prima che è imbattibile e sappiamo cucinare con metodi tradizionali che lasciano emozioni di gusto impareggiabili
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A due passi dal Pantheon, in un contesto unico di storia e di cultura, dove i monumenti, le piazze e i luoghi d’arte sono in mostra permanente, si trovano gli appartamenti, del Residence Di Rienzo. Curati nei minimi particolari ed arredati in stile antico, gli appartamenti Di Rienzo uniscono antiquariato e tecnologia disponendo di tutti i comfort. In un’atmosfera suggestiva e speciale gli appartamenti di lusso sono inseriti in palazzi d’epoca di alto livello e i servizi offerti sono paragonabili con quelli di alberghi di categoria elevata. Per le vacanze a Roma nel pieno centro storico della città eterna qui c’è la possibilità di soggiornare serviti con professionalità e cordialità. Gli appartamenti Di Rienzo rappresentano il “fi ore all’occhiello” del Residence che offre, nell’ottimo rapporto tra qualità e prezzi, un’ospitalità familiare unica.
“Residence Di Rienzo”: il luogo ideale per un soggiorno a Roma, rilassante e confortevole
Residence Di RienzoPiazza della Rotonda, 9 - Tel. 06.6869097
sono coinvolti i fondatori, Michele
Di Rienzo con la moglie Adua,
ancora tutti e due attivi nei due turni,
e due dei loro quattro figli, Gabriele
e Marianna, oltre che i nipoti.
Cinzia e Tiziana, le altre due figlie,
invece, si occupano dei locali di Salita
De Crescenzio acquisiti nel 1981.
Questi, dapprima trasformati in sale
da the della zona, quando l’unica era
quella di Giolitti in via Uffici del
Vicario, dal 1999 ospitano una piccola
tabaccheria di proprietà, che all’epoca
aveva ampliato la gamma di accessori
e articoli per fumatori e inserendo
anche un bar-desk di cortesia per
assaporarsi un buon caffè ed inoltre
anche un negozio che offre alcuni gadgets ed accessori
di note firme made in Italy. Una storia di laboriosità
imprenditoriale quella dei Di Rienzo,
una famiglia in servizio permanente
e tutta impegnata nella gestione delle
diverse attività. L’ultima nata, solo
per questioni di tempo, è “Residence
Di Rienzo”, una serie di splendidi
appartamenti destinati ai soggiorni
di relax per chi cerca oltre il riposo
un’accoglienza ricercata e “viziata”:
tutti arredati con cura e stile, offrono
spaziose ed eleganti camere da letto
completi di cucina e soggiorno,
attrezzati anche dei più moderni
comfort. La bellezza delle loro
posizioni, unite all’eleganza e agli spazi
importanti e ben distribuiti, fanno
delle strutture “Residence Di Rienzo”
posti dove il relax e l’armonia rendono ineguagliabile
un soggiorno nel pieno centro di Roma.
In via dei Prefetti al civico
15, si trova l’Enoteca
Achilli, conosciuta come
l’Enoteca Al Parlamento:
un’istituzione nel
comparto dei vini, con
le migliori etichette nazionali ed estere selezionate,
compreso un ampio assortimento di Champagne
e Spumanti delle aziende più esclusive del mondo,
Whisky invecchiati delle migliori annate ed etichette,
Cognac ed Armagnac di annate a partire dal 1800 e
un ricercatissimo reparto gastronomia con cioccolato,
aceto balsamico, conserve, paste, sott’oli, sott’aceti...
Qui raffinatezza e tradizione sono arricchite da
cortesia e professionalità del patron Daniele
Tagliaferri, genero dell’Achilli che fu il primo
proprietario, e del figlio Alessio che da quando ha
finito gli studi si è insediato qui in forma fissa e coltiva
l’ interesse per le “tartine” che realizza con infinita
passione come faceva suo nonno materno.
Delle tartine
del signor
Gianfranco
Achilli, nonno
di Alessio, se ne ha anche traccia nel volumetto
che scrisse nel ’95 dal titolo “le mie prime 61
tartine”: delle minuscole preparazioni di cibo che
vengono ancora oggi servite, rinnovate, con un
buon bicchiere di vino. L’ allora sessantunenne,
come le sue 61 tartine, nello stesso libretto
racconta anche la sua storia: di quando era ragazzo di
bottega in un bar dei Parioli e lavava tazze aiutandosi
con una pedana di legno per arrivare al lavello, della
sua giovinezza del dopoguerra con la scelta di fare
il barista, e poi della maturità quando ne diventa
Enoteca Ristorante Achilli “Al Parlamento” Delizie per il palato
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Una cucina da “ristorante biologico” dove semplicità e digeribilità dei cibivanno di pari passo
il proprietario. Una storia di impegno e dedizione verso
questo mestiere di duro lavoro senza mai riposo, ripagato
dalla soddisfazione del successo raggiunto negli anni.
Grazie all’impegno, ma anche all’ingegno. Quello di riuscire
trovare sempre un escamotage per offrire sempre i migliori
prodotti, le novità, il miglior servizio, ai propri clienti.
Le Tartine di Achilli oggi qui rivivono una nuova stagione
di passione e impegno, interpretate dalle mani del nipote
Alessio: cubetti di pane a cassetta farciti con crema di tartufo e
sottili fettine d’arancia, mezzi panini all’olio con sopra una crema
di formaggi, tartufata e con cappello di composta di fichi o di mele
cotogne, tanto per citarne alcuni.
Ma se l’Enoteca Achilli al Parlamento è particolarmente
apprezzata per la selezione dei suoi prodotti e per la
peculiarità del suo ambiente che lo rende affascinante e
unico come le sue cantine, da qualche tempo si è trasformata
anche in vero e proprio ristorante, anche se dai posti limitati,
con proposte di cibo realizzate dallo chef Davide Mazzoni,
milanese d’origine ma integrato pienamente a Roma.
La sua è una cucina da “ristorante biologico” dove
semplicità e digeribilità dei cibi vanno di pari passo con un
menù a impostazione classica, legato alla tradizione culinaria
romana. E il vino a farla da padrone.
Tanto e buono. Con verticali che fanno venire i brividi
tanto sono profonde e pregiate: qui al Ristorante Enoteca
Achilli “Al Parlamento” ve lo servono e ve lo fanno pagare
come se ve lo portaste a casa.
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Annalisa Minghini e Pentole Agnelli Di origini bergamasche ha aperto a Roma il suo negozio marchiato Pentole Agnelli
Annalisa Minghini ama la
cucina semplice, sana, del
piacere. E ama cucinare. Ha
origini bergamasche e il suo
incontro con Pentole Agnelli
si intreccia con la sua storia
personale vissuta fino a 10 anni fa a Bergamo, la città
che ha visto anche nascere, nel 1907, la Baldassare
Agnelli specializzata nella produzione di pentole.
Lei la pensa come Levi-Strauss: la cucina è un
prezioso elemento della civiltà, dalle innumerevoli
ramificazioni. Che prosegue naturalmente nei luoghi,
nelle maniere, nell’immaginazione. Per Annalisa in
più la cucina è un sapere che serve al piacere.
Per esprimere meglio tra i fornelli, in privato, questa
sua filosofia, ha scelto da subito Pentole Agnelli.
“Non solo perché l’azienda che le produce fosse “vicina” di
casa, ma perché quando sono andata alla ricerca di pentole
che fossero in grado di farmi svolgere al meglio la mia
funzione di cuoca provetta, ho trovato nelle Pentole Agnelli
la giusta corrispondenza in termini di qualità, affidabilità,
maneggevolezza, costo.” Annalisa Minghini oggi vive
a Roma con la sua bella famiglia ed ha aperto il suo
negozio di Pentole in via Basento 52, una parallela
di Viale Po, a Roma in zona Parioli. La cosa curiosa,
e che lo rende un negozio veramente unico, è che
tratta solo Pentole Agnelli. Nel suo negozio “Pentole
Agnelli”, Annalisa Minghini propone strumenti
di cottura dalle forme e dai materiali differenti e
fornisce alla clientela informazioni e risposte su temi
delle cotture, della manutenzione e delle regole che
permettono un corretto utilizzo.
“Insieme a mio marito Francesco (Santilli n.d.r.) abbiamo
investito in questo negozio che abbiamo voluto fortemente
marchiato Pentole Agnelli - e per questo ringrazio la
disponibilità e la concessione ricevuta dalla famiglia Agnelli
che ha da subito creduto nel nostro progetto - per portare su
Roma un pezzo della mia Bergamo, per fare cultura sulla
materia pentole ed offrire un servizio di qualità a quegli
appassionati che come me quotidianamente sono bombardati
da messaggi forvianti sia per quanto riguarda i materiali
degli strumenti di cottura che dei rivestimenti. Vediamo come
va a Roma - continua Annalisa - ma il nostro obbiettivo,
Agnelli permettendo, è di aprirne altri nelle più importanti
città italiane”.
Quello di Annalisa è un negozio unico perché tratta solamente strumenti di cottura “Pentole Agnelli”
Pentole Agnelli Via Basento, 52RomaTel. 06 8552446
Aprile, Maggio, Giugno 2012
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Ristorante Il San LorenzoIl pesce nel cuore
Il Ristorante San Lorenzo,
nell’omonimo quartiere
di Roma sorge sulle
fondamenta del teatro di
Pompeo. Oggi gli ambienti
dallo stile architettonico
moderno, come l’arredamento, sono curati
e il bel bancone con vista sulla cucina invita
a sostare nelle sale luminose, confortevoli
ed eleganti. A dirigerlo è Enrico Pierri, 35
anni napoletano che quando lo incontro ha il
classico stile dell’uomo d’affari: aspetto curato,
completo scuro, camicia bianca, cravatta
annodata alla perfezione. Mi racconta che ha
quasi dismesso la giacca da chef per indossare
quelli del manager di questo locale, ma che
la sua è un’esperienza di cucina partita da
lontano. Da quando aveva 14 anni: “provengo
da una famiglia modesta e per mantenermi agli
studi ho cominciato a lavorare in alcuni locali sul
mare della mia città”. L’Esperienza che lo segna
è quella alla Cantinella di Napoli.
E poi anche a quella di Capri. A 22 anni parte per la
Francia, in Provenza dove rimane per circa 6 mesi in un
famoso stellato della zona. Poi Londra e infine in Italia a
Ponza all’Acquapazza. Nel 2002 apre Vinarium, “per fare
palestra nel mercato romano” - mi dice - e nel 2005 rileva
questo locale che prima ospitava una pizzeria. Comincia i
lavori di risistemazione con i vincoli dalle belle arti che gli
allungano notevolmente i tempi per trasformarlo in quel
che è adesso e proporre una cucina del pescato.
Dei sapori e dei profumi che si porta dietro da sempre.
Oggi Enrico Pierri imposta i piatti con i suoi collaboratori
fedeli che li eseguono secondo le sue linee guida: Pietro
Valoso e Anish, un ragazzo egiziano con lui da 12 anni.
Il contatto con l’Isola di Ponza, è sempre forte e intenso
- “ci abito per quattro mesi all’anno” - mi dice. Questo gli
permette di avere il miglior pesce fresco che da lì arriva
due o tre volte al giorno. Sommato a quello che arriva
dalle aste che si fanno ad Anzio e Civitavecchia, riesce
a proporre ai suoi clienti una cucina di pesce “accessibile
nei costi per essere a Roma”. Solo pesce del nostro mare
e di stagione lavorato al minimo attraverso cotture
delicate e uso enorme di erbe aromatiche. Piatti dai gusti
riconoscibili dai profumi del mare buono. Quelli che
appartengono al Dna di Enrico Pierri che ama le cotture
semplici, espresse, e senza manipolazioni invadenti.
Enrico ha dismesso la giacca da chef per indossare quella da manager, ma la sua è un’esperienza di cucina partita da lontano
Ristorante Il San Lorenzo Via dei Chiavari 4/5Roma Tel. +39 06 68 65 097
Aprile, Maggio, Giugno 2012
Roma
22 Aprile, Maggio, Giugno 2012
Roma
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P iazza di “Campo de’ Fiori” deve
la sua fama all’episodio che vide il
filosofo Giordano Bruno arso sul
rogo dall’Inquisizione cattolica per
l’accusa di eresia nel 1600 d.C.
L’esecuzione è ricordata da una
statua eretta nel 1889 d.C. e posta nel suo centro.
Il nome sembra risalga invece al fatto che fino al
quattrocento la piazza non esisteva in quanto tale, e
al suo posto vi era un prato fiorito con alcuni orti
coltivati. Secondo una leggenda più “glamour”, la
piazza dovrebbe invece il suo nome a Flora, donna
amata da Pompeo il quale aveva costruito nei pressi il
suo teatro. Oggi Campo dei Fiori, rappresenta uno dei
luoghi dove Roma manifesta con maggior trasparenza
il suo carattere più autentico dalla prima mattina
con il mercato all’aperto, fino a notte inoltrata con
l’intrattenimento offerto dai bar, ristoranti e trattorie
della zona. Proprio qui, dove la storia si confonde in
modo assolutamente armonico e magico con l’età
moderna si trova il “Forno” Campo de’ Fiori che
abbia pare origini fin dal 1600.
Dal 1971 il “Forno Campo de’ Fiori”, appartiene
alla famiglia Roscioli, terza generazione di panificatori,
da sempre un simbolo e un punto di riferimento
per la produzione di prodotti da forno a Roma.
Successivamente i Roscioli hanno formato un team
di esperti panificatori che ogni giorno produce
e propone lo stesso pane, la stessa pizza e le stesse
specialità che deliziano i palati di vecchi e nuovi
avventori. Qui la tradizione non ha mai ceduto il
passo: ingredienti altamente selezionati, passione,
serietà, oltre che le mani sapiente di chi questo lavoro
lo ama e lo rispetta, rendono
il Forno Campo de’ Fiori una
garanzia di qualità.
Da non perdere è la pizza bianca:
un prodotto semplice, buono ed
estremamente leggero e delicato,
fatto con farina, acqua, e granelli di
sale, lievito, ed olio extra vergine
di oliva; è una delizia mangiata
semplice ma può essere farcito
anche con una infinita gamma di
ripieni.
Forno Campo de’ Fiori Piazza Campo De’ Fiori, 22 00186 Roma Tel. 06 68806662
Forno Campo dei Fiori La tradizione
non cede il passo
Aprile, Maggio, Giugno 2012
Roma
24 Aprile, Maggio, Giugno 2012
Roma
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Solo ventiquattro anni fa’, (ma
sembra un secolo), la maggior
parte di ciò che veniva propinato
all’insegna del tipico, del
caratteristico, del paesano, del
casalingo, era quasi sempre kitsch
alimentare, paccottiglia, rigatteria cucinaria,
che trovava slancio e fortuna nella nostalgia del
consumatore orfano del passato.
Così come anche il vino. Lo si cercava
ritenendolo solo buono quello del contadino,
quello che puzzava anche un po’, desiderio
dei più, che ci vedevano, per ciò, un prodotto
“genuino”. In questo periodo, due giovani donne,
sorelle, Lina e Maria Rosaria Paolillo, alias
Mary, decidono di aprire un’enoteca con mescita
e cucina in un minuscolo spazio all’Arco di San
Callisto. L’idea era quella di scardinare questo
tipo di “cultura”, trasformando la domanda del
passato in una nobile proposta che comprendesse
vino e cucina. Lina, la sorella “liquida” sommelier
vocata ai vini di cui è “pasionaria” da cui parte
l’idea, convince Mary, la sorella “solida” architetto
secchiona, ad occuparsi della cucina (solo per
poco tempo poi si sarebbe arrangiata).
Le due iniziano da subito un percorso che le
vede impegnate duramente nella ricerca e nello
studio. Lina a caccia dei suoi vini che seleziona
e stipa in numero considerevole a 25 km di
Enoteca FerraraAudacia per il gusto
Trasformare la domanda del passato in una nobile proposta culturale di vino e cucina
Enoteca FerraraPiazza Trilussa, 41 00153 RomaTel. 06 5833 3920
Aprile, Maggio, Giugno 2012
Roma
26 Aprile, Maggio, Giugno 2012
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distanza dal locale, (obbligata tanto era piccolo il
locale); Mary a ricercare e studiare la cucina romana
del passato, (ebraico-romanesca, l’unica vera secondo
Mary), quella delle campagne, delle mense contadine,
delle tavole dei borghesi, con le loro diverse liturgie e
dimensioni simboliche culturali. E proporla, da cuoca
autodidatta, all’attuale.
Il nome che scelgono per il locale è “Enoteca
Ferrara”: quello di un posto in cui Lina aveva lavorato
a New York mentre studiava. Una pasticceria, niente
di che, ma con una storia particolare per Lina che l’ha
scelto. Per oltre sei anni rimangono chiuse in questi
25 metri quadri stipati all’inverosimile, ma il loro
impegno e per i loro sacrifici vengono ripagati nel
2003, quando la critica gli appioppa il riconoscimento
di “Migliore Enoteca d’Italia”.
La scelta di spostarsi in uno spazio migliore che
consentisse di esprimere al meglio il loro lavoro è
naturale dopo 6 anni di restrizioni. Sono passati 24
anni da allora e oggi l’Enoteca Ferrara è un’azienda
con le sorelle Paolillo, animate dalla stessa passione e
volontà, sono manager che gestiscono 26 dipendenti.
Il locale, su 6 sale disposte su quattro livelli differenti
è uno spazio architettonico del ‘400 di assoluto
prestigio con soffitto in legno, archi con mattoni a
vista e cantina sottostante visibile da una grata in ferro
battuto (appositamente “regalata” da Mary a Lina,
quando le promise che la nuova cantina l’avrebbe
potuta vedere anche da sotto i piedi), ed un piccolo
de hors. È un indirizzo cult per gli amanti del cibo e
del vino, un posto radical-chic per un aperitivo nel
cuore della movida trasteverina: un po’ negozio di vini
e ricercatezze gastronomiche, un po’ wine bar, un po’
ristorante.
Sono passati 24 anni da allora e oggi l’enoteca Ferrara è una vera propria azienda
Aprile, Maggio, Giugno 2012
Roma
28 Aprile, Maggio, Giugno 2012
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da Beppe e i suoi Formaggi trovano finalmente le
giuste soddisfazioni. Tutt’intorno, inoltre, sono stipati
scaffali di prelibatezze che fanno scattare la fantasia per
prelibate preparazioni culinarie e curiosi abbinamenti.
Mentre in una saletta attigua è possibile invece sedersi
e godere tranquillamente degli ottimi formaggi e di
spettacolari salumi accompagnati da ottimi vini, anche
qui la maggior parte piemontesi.
La forte inclinazione piemontese del locale ha
da subito suscitato l’orgoglio dell’associazione
“piemontesi di Roma” che ebbe tra i primi
rappresentanti alcune importanti personalità come
Luigi Einaudi, Giuseppe Pella, Renzo Gandolfo,
che hanno insignito Beppe Giovale, e il suo locale
dell’onorificenza di Socio “ad Honorem”.Immagino il sussulto di felicità di Beppe
Giovale, di Giaveno, in Val di Susa quando
in un giorno del 2007, a caccia di qualcosa
di meglio che un panino anonimo dei soliti
bar d’areoporto da mettere in pancia prima
del viaggio aereo di ritorno su Torino,
incontra in un gate di Fiumicino il punto ristoro wine
bar di Anacleto Bleve...
Beppe Giovale produce con la sua famiglia formaggi
da latte di capra, mucca, di pecora da oltre tre
generazione: tutti animali allevati esclusivamente
in campo aperto nel rispetto dei principi della bio
diversità. Lui, in Francia, nel 2008, è stato anche
insignito della più alta onorificenza per la produzione
di prodotti caseari. Anacleto Bleve pugliese trasferitosi
a Roma sostenitore ante-litteram della contemporanea
“cultura del vino”, nel 1982 ha aperto la ‘Bottega del
Vino’ in via Santa Maria del Pianto in pieno ghetto
di Roma, e poi Casa Bleve, dove offriva degustazioni
di altissimo livello accompagnate da prodotti tipici per
palati raffinati. L’incontro fra i due, animati da passioni
e saperi comuni, segna la nascita del locale “Beppe e i
suoi formaggi”: nei locali che furono della Bottega del
Vino di Anacleto Bleve.
Nel 2010 diventa una boutique di prodotti caseari
con un bancone infinito di formaggi di ogni sorta,
in cui il valore aggiunto è la produzione piemontese
dei Giovale e la garanzia di qualità e raffinatezza in
ambito enogastronomico di Bleve. Un locale con
bancone frigo infinito in cui sono esposti i migliori
formaggi pronti per l’assaggio e l’asporto, come quelli
nella vetrina-armadio a muro che contiene i “pezzi”
più preziosi. Dal burro alla Toma, dal formaggio
latticino a quello di capra, passando per quello di
pecora, qui trionfano anche i migliori formaggi
Beppe e i suoi formaggi
Infi nite Suggestioni
Una boutique di prodotti caseari in cui il valore aggiunto è la produzione piemontese
d’oltralpe. Una parte dell’esposizione è dedicata al
pane col progetto “Panedieri”: un sistema distributivo
creato dell’Associazione Pani Tradizionali, riservato
esclusivamente alla valorizzazione di pane prodotto
secondo metodi tradizionali. Al sistema, possono
aderire esclusivamente i soci dell’Associazione
Pani Tradizionali appartenenti alle categorie della
panificazione, della distribuzione commerciale, della
ristorazione. Panedieri, contrazione delle parole
“pane-di-ieri”, indica esplicitamente sia l’adesione ai
principi della panificazione storica, sia i principi della
stabilizzazione e della giusta conservabilità del pane
(il miglior pane, dà il meglio
di sé ad almeno 24 ore
dalla produzione e dura
almeno una settimana).
Grazie a Panedieri,
i piccoli produttori
di grandi pani, qui
Beppe e i suoi formaggiVia Santa Maria del Pianto, 9/a-11RomaTel. +39 06.68192210
Aprile, Maggio, Giugno 2012
Roma
30 Aprile, Maggio, Giugno 2012
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Diversamente Buona
LaTrattoria Gli Amici
è un ristorante di
Trastevere gestito
dalla Cooperativa
Pulcinella della
Comunità di
Sant’Egidio formata da persone, disabili e non, della
Comunità stessa. Oltre ciò è un’esperienza di vita
e di lavoro. Un esempio di inserimento lavorativo
di successo che riesce a valorizzare le capacità delle
persone con disabilità, in una realtà imprenditoriale,
come quella di un ristorante, non sempre facile da
gestire sotto tutti i punti di vista.
Una risposta bella e concreta all’inserimento lavorativo
delle persone disabili, che dovrebbe essere presa
d’esempio e replicata. È nata più di vent’anni fa:
un’avventura partita come paninoteca circolo privato e
trasformatasi nel 2006 in un vero e proprio ristorante
dove lavorano una quindicina di ragazzi disabili e
alcuni “Amici” che volontariamente sostengono
questo progetto nel quale si può degustare la tipica
cucina romana. Non è difficile rendersi conto delle
ragioni del successo de La Trattoria Gli Amici, se
ti siedi ad uno dei suoi tavoli allestiti nelle salette
accoglienti che raccolgono alle pareti alcuni dipinti
dei ragazzi della stessa Comunità: vere e proprie opere
d’arte che parlano di queste persone, della loro ampia
libertà e capacità di espressione, nonostante tutto.
L’atmosfera che regna qui è una miscela di cose belle,
che ti mettono subito a tuo agio.
Il valore aggiunto della trattoria forse sono proprio
loro, questi ragazzi disabili. Una presenza che si
riverbera nel clima, nell’atmosfera, nel modo di stare
insieme, e nell’accoglienza dei clienti con il gusto
della buona tavola. Non bisogna avere una sensibilità
fine per accorgerti che qui tutto, i lavoratori disabili, i
clienti, il cibo, l’ambiente, crea un’atmosfera positiva,
unica: di leggerezza e di grande semplicità.
Quel qualcosa di diverso non viene addirittura notato
subito, molti clienti infatti comprendono il valore
aggiunto del ristorante solo verso la fine del pasto,
e questo dimostra la naturalezza dell’inserimento
lavorativo dei ragazzi della Comunità di Sant’Egidio.
Trattoria “Gli Amici”
Un esempio di inserimento lavorativo di successo che riesce a valorizzare le capacità delle persone con disabilità
Aprile, Maggio, Giugno 2012
Roma
32 Aprile, Maggio, Giugno 2012
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Alla trattoria “Gli Amici” lavorano,
stanno in amicizia, si divertono,
guadagnano. Tutti insieme. C’è chi è
addetto al servizio in sala, chi cucina,
chi apparecchia e sprepara i tavoli,
chi fa le pulizie e chi fa i conti.
Ciascuno responsabile del proprio
ruolo e felice di partecipare ad
un’impresa speciale.
Così, la cucina de’ “Gli Amici” si
è guadagnata per le sue proposte
di gusto, anche la segnalazione
delle più importanti guide del
settore. Così come la carta dei vini,
che a “Gli Amici” è composta da
piccoli e grandi produttori che
sostengono WINE FOR LIFE, un
progetto di solidarietà che coinvolge il vino italiano
di qualità nel sostegno al programma DREAM della
Comunità di Sant’Egidio per la prevenzione e la cura
gratuita dell’Aids in Africa.
Qui tutto crea un’atmosfera positiva, unica, di leggerezza e grande semplicità
Trattoria Gli AmiciPiazza Sant’Egidio, 600153 RomaTel. 06.5806033
Roma
Aprile, Maggio, Giugno 2012
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Ritorno alla terra Ritorno alla terra e al Solidore al Solidor
IlGhetto di Roma è una città dentro
la città e di cose da conoscere ce
ne sono davvero tante, con soste
che a volte diventano irrinunciabili.
Chi preferisce i dolci non può
fare a meno di fermarsi al Forno
Boccioni (del Ghetto), conduzione tutta al femminile
forte del monumentale e
matriarcale passato dolciario
della famiglia Limentani. Le cose
che colpiscono del Forno del
Ghetto Boccioni sono diverse.
Innanzitutto la collocazione: una
bottega anonima, senza insegna,
che però tutti sanno che esiste
tanta è la coda che si affaccia
ogni giorno, escluso il sabato
giorno di chiusura, in trepida
attesa davanti al suo ingresso con
una porta a vetrina spartana che
espone i prodotti appena sfornati.
Poi le donne: qui ce ne sono una
quantità che sembra infinita (ma
quante sono?), che si muovono
dietro il bancone con sapiente
destrezza in uno spazio davvero
minimo. E ancora il grande
bancone a vetro che raccoglie tutte le
leccornie sfornate in questo luogo.
Il piccolo laboratorio nel
retrobottega sforna, a
ritmi da catena di
montaggio,
le delizie
tipiche
della tradizione giudaico
romanesca e rigorosamente
kosher. Come la torta di visciole,
dal peso specifico elevatissimo
per un dolce caratteristico
fatto di strati di ricotta, pasta
appositamente non del tutto
cotta e, appunto, visciole. Ne
esiste anche un’altra versione di
questa torta, al cioccolato, dove
il peso specifico aumenta ancora
di più. Da provare anche la
Pizza di Berrida o Pizza Ebraica,
solidissimo dolce fatta di pasta
friabile e farcita con frutta secca,
canditi e pinoli.
Tra le tante altre leccornie
che preparano qui: i mostaccioli, bruscolini caldi
sfornati in gigantesche teglie i biscotti alla cannella, le
ciambellette dal sapore delicato, i ginetti dall’aspetto
duro e dal cuore morbido; i tortolicchi fatti con
miele, farina e mandorle. Non c’è spazio per l’estetica
al forno Boccioni. Qui trionfano i gusti e i profumi
delle ricette custodite gelosamente e tramandate di
generazione in generazione.
Il Forno del Ghetto BoccioniVia del Portico d’Ottavia, 2RomaTel. +39 06 6878637
Il Portico d’Ottavia è sinonimo di
“ghetto” ma in realtà, oltre alla
funzione di segnare i confini della
zona da cui gli Ebrei non potevano
uscire durante la notte, i resti di
questo antico monumento che
l’imperatore Augusto fece costruire per sua sorella
Ottavia, rappresentano anche il luogo in cui, fino al
secolo scorso, veniva effettuata una singolare vendita di
pesce “all’asta” denominata “cottio”, a cui partecipava
l’intera popolazione romana. Ci sono locali che per
la loro storia rappresentano quindi anche la storia di
un luogo. Qui nel cuore di
Roma proprio accanto all’antico
portico d’Ottavia, e vicino al teatro
Marcello, si trova il Ristorante da Giggetto
al Portico d’Ottavia, un ristorante che nel tempo è
stato punto di riferimento della cucina tradizionale
romana-ebraica. La cucina ebraica romana, molto
povera di ingredienti ma allo stesso modo molto ricca
di sapori, nasce dalle mani amorose delle massaie
romane, che elaboravano piatti con accuratezza tale
da renderli appetitosi. Da tre generazioni Giggetto al
Portico d’Ottavia è gestito dalla famiglia Ceccarelli:
Giggetto al Portico d’Ottavia Dedicato ai turisti
Punto di riferimento dei turisti per la cucina romano-ebraica;una cucina molto povera di ingredienti ma allo stesso modo molto ricca di sapori
Aprile, Maggio, Giugno 201234
Il Forno del Ghetto Boccioni
Aprile, Maggio, Giugno 2012
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Roma
La storia di “Giggetto al Portico
D’Ottavia” inizia quando Luigi
Ceccarelli detto “Giggetto”,
reduce dalla prima guerra
mondiale, e la sua consorte Ines
acquistarono una vecchia osteria
che sin dal 1923 fu famosa per il
buon vino di Frascati.
Al vino si aggiunsero quindi le
buone pietanze accuratamente
preparate dalla “Sora Ines”, una
fra tutte, gli insuperabili “carciofi
alla giudia” che rimangono
ancora una delle specialità del
locale.
oggi lo porta avanti Claudio, il nipote di chi ha
voluto fortemente tenere viva la realtà di questa
s“osteria romana”. Il locale è ospitato in una struttura
antica con un susseguirsi di stanze da pranzo: la sala
Sant’ Angelo che si affaccia nell’omonima via, la sala
Portico, la più antica e dalle ampie vetrate che si
affacciano sul Portico D’Ottavia, la sala Marcello con
stessa vista, la sala Ottavia, al centro del ristorante che
si affaccia sulla piazzetta di San’Angelo in Pescheria e
infine la più piccola, la sala Tiberina.
Il locale è ospitato in una struttura antica
Giggetto Al Portico d’OttaviaVia del Portico d’Ottavia, 21 00186 RomaTel. 06 686 1105
L’Enoteca Chirra, a
due passi dal Teatro
dell’Opera, aderisce
all’Associazione
Vinattieri ed è
una delle più note
enoteche della capitale. Il locale nasce nel
lontano 1945 come bar drogheria. Goffredo
Chirra classe 1935, l’attuale proprietario, in
questo locale ci ha passato la vita percorrendo
tutte le tappe professionali: prima barista-
ragazzo di bottega, poi direttore, e poi
ancora gestore. Fino al ’79, anno in cui
ne diviene proprietario rilevandolo dalla
vecchia società. Dal fascino mitteleuropeo
con la trama ottocentesca col pavimento
in marmo variegato, l’Enoteca Chirra oggi,
grazie all’accorpamento di due locali, uno
destinato a Bar-caffè, l’altro all’Enoteca, pone
in maggiore evidenza i tratti professionali di
cui si fregia. Nello spazio dedicato al Bar Caffè
la solidità del bancone realizzato dalla mano
di provetti ebanisti si incastona in uno spazio
architettonico di grande respiro offrendo
una dimensione calda, informale, tipica di
un caffè storico, ma sensibile alle esigenze
contemporanee.
Dall’altra parte, le volte alte che si coniugano
con le scaffalature dell’enoteca cariche di
una selezionatissima varietà di prodotti
enogastronomici, è una manna per veri
intenditori.
Un grande locale di tradizione reso famoso
dalla passione di Goffredo Chirra verso le cose
buone e punto di riferimento per tutti coloro
che cercano prodotti esclusivi: dalle riserve di
whiskey invecchiato alle più famose etichette
di vino italiane e francesi, dal cioccolato al fois
gras, passando per la pasta di Gragnano fino al
caviale.
Enoteca ChirraVia Torino, 133 00184 RomaTel. 06 485659
Enoteca ChirraSegni di passione e professionalità
Aprile, Maggio, Giugno 2012 37
Roma
Aprile, Maggio, Giugno 2012
Roma
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Alessandro Pipero innanzitutto
è un buon comunicatore: non
perché abbia un linguaggio
articolato o sfoderi un lessico
erudito e raffinato. Anzi.
Ma il suo parlare, che
è comunicare, è convincente. Sa bene che la
comunicazione è il nodo fondamentale di tutte le
relazioni e che un imprenditore è tale perché ha delle
relazioni convincenti sia con il mondo esterno alla sua
azienda, clienti, fornitori, partner, media, sia con quello
interno, soci, collaboratori e dipendenti.
E sa anche bene che comunicare oggi vuol dire
conoscere ed usare, i sistemi avanzati dell’agorà via etere:
internet, face book, twitter, you tube.
Alessandro Pipero oltre ciò, però, è soprattutto un uomo
di sala! E non è poco se inteso come maitre sommelier
professionista: un mestiere che nella ristorazione italiana
trova sempre più difficile riconoscimento ad personam.
Cresciuto professionalmente grazie alla sua passione e alla
sua risolutezza, Alessandro Pipero, è al fianco di Antonello
Colonna in quel di Labico che trova anche i successi
che lo legittimano nel ruolo che calza a pennello: con i
riconoscimenti da parte della critica del settore che da lì
in poi gli piovono addosso, compreso quello di “miglior
sommelier d’Italia”. Maitre Patron, potremmo dire, uomo
di sala, imprenditore, talent scout di cuochi e produttori
di vino e cibo, che osa chiamare il locale col proprio.
Un uomo che lavora sempre col
piacere di farlo: “quando mi
accorgo che si tratta di semplice
lavoro smetto” - mi dice.
Così Alessandro Pipero,
dopo l’esperienza di
Albano Laziale, ha aperto
Ristorante Pipero al RexUn po’ classico, un po’ moderno, un po’ territorialista
Una cucina che punta ai sapori netti, riconoscibili, calibrati, decisi e teneri. Anche fresca, che sia pesce, che sia verdura, che sia carne
Ristorante Pipero al RexVia Torino, 149 00184 RomaTel. 06 4815702
a Roma, da 6 mesi circa, Pipero al Rex. Un locale che
si identifica per metà col suo cognome Pipero e per
metà col luogo che lo ospita: Hotel Rex, vicino a Via
Nazionale, a due passi dal Teatro dell’Opera.
Un ristorante che gli sta cucito addosso come un abito:
una stanza dal soffitto alto a cassettoni, una manciata di
tavoli, un camino che fa da nicchia per i superalcolici,
comode poltrone in pelle e il bancone che fa da invito al
cubo di vetro che contiene la cucina.
“In una città finalmente, e che Città…., i coperti che facciamo
qui in una settimana li facevamo ad Albano Laziale in 6
mesi” - mi dice. Se è lui che guida con consumata
professionalità e indubbia competenza gli ospiti verso
l’approccio con i menu del Pipero al Rex, è lo chef
Luciano Monosilio, 28 anni appena, - l’ennesimo
talento da lui scovato - “aziendalista ed amico” - aggiunge
Pipero, da cui fuoriescono prelibati manicaretti.
Luciano Monosilio è cresciuto professionalmente con
Roscioli, Pierangelini, Uliassi…., ma è Enrico Crippa
che gli ha lasciato il segno più evidente. La sua è una
cucina che punta ai sapori netti, riconoscibili, calibrati,
decisi e teneri. Anche fresca, che sia pesce, che sia
verdura, che sia carne. Dalle forme e dai gusti sublimi: un
po’ classica, un po’ creativa, un po’ territorialista.
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Roma
40 Aprile, Maggio, Giugno 2012
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Federazione Italiana Cuochi
La Federazione Italiana
Cuochi (F.I.C.) è l’Ente
più rappresentativo
delle berrette bianche
in Italia e vanta il
riconoscimento
giuridico dal 2001. È costituita da 120 Associazioni
Provinciali, 20 Unioni Regionali e numerose
Associazioni e Delegazioni Estere. Ogni anno
associa, attraverso le Associazioni e Delegazioni, circa
20.000 iscritti. Costituita nel 1978 da Associazioni
aderenti (alcune delle quali avevano superato i 200
anni di fondazione ed erano nate in passato come
confraternite, corporazioni o società di mutuo
soccorso di “cucinieri”) rappresenta tutti coloro
che si dedicano all’attività culinaria professionale,
sostenendone lo sviluppo, la promozione e la
formazione. La F.I.C., inoltre, è l’unica Associazione
Cuochi in Italia a rappresentare di diritto la “World
Association of Cooks Societies” (WACS), alla quale
aderiscono oltre 70 Federazioni
Nazionali dei cinque continenti.
Questi ed altri riconoscimenti
consentono alla Federazione la
presenza attiva nei più importanti
saloni culinari del mondo come ad
esempio: i “Campionati del Mondo
di Lussemburgo”; le “Olimpiadi
Culinarie di Erfurt”; lo “European
Culinary Challege di Basilea” e
nelle altre iniziative delle nazioni
aderenti alla Wacs.
La collaborazione con enti governativi italiani o altre
istituzioni le permette, inoltre, di avere una propria
rappresentanza all’interno della “Commissione
Enogastronomia del Ministero del Turismo” e di
cooperare attivamente a molte iniziative istituzionali
del Ministero della Salute e dell’Istruzione.
In Italia, oltre al Congresso Nazionale - momento
di confronto dell’intera categoria sulle più attuali
tematiche del settore - essa
organizza importanti manifestazioni
gastronomiche e concorsi come: gli
“Internazionali d’Italia” e il “Grand
Junior Cooking Contest” a Massa
Carrara; “Artistica” a Rimini; il
“Concorso Nazionale di Erba”;
il premio “Taittinger”; il “Global
Chef Junior”; “L’Agorà dei Giovani”
ecc. L’assidua collaborazione con
amministrazioni territoriali, istituti
alberghieri, enti e confederazioni
Tra questi ricordiamo: I Maestri di Cucina ed
Executive Chef, La Nazionale Italiana Cuochi (NIC),
L’Ateneo della Cucina Italiana, il Compartimento
Giovani e Le Lady Chef.
Sotto il profilo della comunicazione la FIC edita il
bimestrale “Il Cuoco”, con una tiratura di 20.000
copie per numero. La rivista costituisce uno strumento
cardine d’informazione sulle proprie attività, nonché
di collegamento fra tutti gli Associati e per i numerosi
cuochi italiani o stranieri abbonati. Attraverso questa,
come anche attraverso differenti pubblicazioni e
numerosi video o Cd-Rom, la F.I.C. si impegna a
divulgare per i propri lettori contenuti tecnici o di
attualità, nonché di aggiornamento del settore.
di settore, nonché la sinergia con molte aziende
di spicco, permette poi alle proprie Associazioni e
Unioni Regionali di organizzare sui territori di loro
competenza una media di 500 eventi o manifestazioni
ogni anno. La Federazione Italiana Cuochi ha la
propria sede operativa, di proprietà, a Roma. Per oltre
due decenni questa è stata allocata a Milano.
Da Roma opera la Segreteria e gli Organismi Direttivi
Nazionali. La F.I.C. programma la propria attività
in compartimenti e dipartimenti con specifiche
aree di competenza che vanno dall’aggiornamento
professionale alla formazione, dalla ricerca di
settore ai convegni specialistici e alle competizioni
internazionali.
La Federazione Italiana Cuochi (F.I.C.) è l’unico ente professionale di categoria giuridicamente riconosciuto e rappresenta la Wacs (Società Mondiale dei Cuochi) sul territorio nazionale. Nell’intento di tutelare e legittimare la rispondenza qualitativa dei prodotti commerciali nei settori di propria competenza, la F.I.C. nel ????? ha promosso l’istituzione del marchio “APPROVATO DALLA F.I.C.”: un riconoscimento importante e un logo per valorizzare ulteriormente la professionalità del cuoco italiano e delle aziende che operano con qualità in Italia e all’estero.Il marchio “APPROVATO DALLA F.I.C.” è riservato esclusivamente ai produttori di derrate alimentari, di attrezzature e di utensili di qualità per la ristorazione ed è concesso solo dopo che il prodotto o una linea di prodotti, hanno superato le analisi e i controlli da parte di un’apposita Commissione. La concessione impegna formalmente l’azienda a produrre nel pieno rispetto delle norme stabilite nel momento del rilascio del marchio “Approvato F.I.C.”.“Il marchio “APPROVATO DALLA F.I.C” è concesso dalla nostra Associazione - dice il Presidente Paolo Caldana - solo a quelle realtà produttive del settore ristorazione a cui abbiamo riconosciuto il valore, nonché la funzione e il riconoscimento in termini qualitativi, dei loro prodotti”. La scelta di un prodotto da parte della Federazione Italiana Cuochi è guidata da un insieme di “test”. A fronte di questa esigenza nello scenario attuale del settore “pentole in Alluminio”, per esempio, il marchio “APPROVATO DALLA F.I.C.” è riportato sugli strumenti di cottura con caratteristiche rispondenti ai requisiti di sicurezza igienica e prodotti con “Alluminio per Alimenti puro al 99% minimo” - in linea con i regolamenti dettati dal Ministero della Salute e stabiliti in un apposito Decreto Legge del 18 aprile 2007 recante la disciplina igienica dei materiali e degli oggetti di alluminio e di leghe di alluminio destinati a venire a contatto con gli alimenti pubblicato dal Ministero della Salute. Gli altri requisiti che devono inoltre avere le pentole in Alluminio col marchio “APPROVATO DALLA F.I.C.” sono versatili, si adattano cioè a diverse tecniche di cottura, poi lo spessore che non deve essere inferiore ai 3mm per avere un’ottima conduttività di calore costante su tutta la sua superfi cie. Per il resto le pentole in Alluminio hanno qualità intrinseche che le fanno rimanere fondamentali ed uniche per l’uso costante e quotidiano che ne fanno i cuochi: la maneggevolezza (l’alluminio è un metallo leggero), la resistenza (agli urti, agli chock termici, alle abrasioni, alla corrosione), il facile mantenimento, e, non per ultimo, assai importante, anche il fatto che è riciclabile al 100%.
F.I.C. e il “marchio di approvazione”
Unico organismo in Italia affi liato WACS a tutela e promozione della professione
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pittoriche, “dedicate”, del noto artista americano
Mark Kostabi, e dalla collezione di teiere antiche
che occupano tutta una parete del locale, il ristorante
Agata e Romeo - una trentina di coperti in totale - ti
accoglie con cura e ti invita fin da subito a gustare
tutto in santa pace.
L’ambiente curato svela anche il carattere delicato
e sincero di Agata Parisella, romana doc e quello
più sanguigno di Romeo Caraccio, originario del
Sannio che si incontrano da giovanissimi e insieme
percorrono passo dopo passo tutte le tappe che li
portano al successo.
Sì, perché Agata e Romeo è, e rimane, uno dei
simboli e capisaldi della ristorazione e dell’accoglienza
di qualità italiana, riconosciuto dalla clientela, oltre che
dalla critica locale, nazionale ed internazionale.
Agata Parisella ha respirato la cucina da sempre, come
anche il mercato e le materie prime.
In 5 tra fratelli e sorelle aiutavano i genitori quando
ne avevano di bisogno:“erano altri tempi e il ristorante era
come una casa, non si usciva mai - mi dice - ci si riposava
anche qui tra un servizio e l’altro e le ferie non
esistevano”. Per questo motivo quindi
Agata sognava una vita diversa: lei
amava i viaggi, voleva di diventare
hostess e in età scolastica aveva
rifiutato la proposta del padre di
iscriversi alla scuola alberghiera di
Ristorante Agata e RomeoTesoro gourmet
L’insegna Hostaria all’ingresso
del Ristorante Agata e Romeo
rimarca che questo è un
posto dove si consumano cibi
all’insegna della convivialità
vera. L’omaggio alla memoria
degli antenati di Agata Parisella, proprio qui
ristoratori sin dalla fine dell’800, quindi, rassicura.
Come anche la bandiera italiana che sventola fiera
dal pennone a fianco dell’insegna del locale di via
Carlo Alberto - vicino all’Esquilino, ormai “quartiere
cinese” - ribadisce anche che Agata e Romeo, terza
generazione di ristoratori insediatasi qui, sono tra i
pochi “sopravvissuti” nel rione alla colonizzazione
imperante degli occhi a mandorla.
Ambiente elegante e curato, impreziosito dalle opere
Stresa, preferendo gli studi alla scuola tecnica di turismo.
Nell’82, messa alle strette dai suoi genitori sul da farsi, visto
che loro per raggiunta età dovevano lasciare, Agata ripiega in
modo dolce e naturale verso quel mestiere che sotto, sotto,
inconsciamente, ha sempre amato. Così decide di rilevare il locale
con Romeo, allora suo fidanzato, che nel frattempo lascia gli
studi di medicina. I ruoli sono chiari da subito: lei in cucina lui
in sala. Le vicende biografiche dei due si rileggono in trasparenza
nell’amore che mettono subito nel portare avanti “questo grande
e meraviglioso lavoro” come lo definiscono oggi. Agata parte per la
Francia alla scoperta di cose nuove, per capire, per affinarsi, lui si
prepara da sommelier, frequentando uno dei primi corsi quando
ancora l’associazione di bacco contava pochi iscritti.
Uno dei simboli e capisaldi della ristorazione italiana di qualità
Ristorante Agata e RomeoVia Carlo Alberto, 45 00185 RomaTel. 06 4466115
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Step-line s.r.l. - Via Archimede, 21/A - S. Martino Buon Albergo - Verona - Tel. 045 99 49 35 - Fax 045 97 86 902 - [email protected]
Cercavano una libertà,
un’autonomia, delle
forme di esperienze
variate, indispensabili
per il loro nuovo
progetto di ristorante
che avevano in mente. Quello di una cucina
della tradizione squisitamente romanesca,
rinnovata, raffinata, ingentilita: più vicino ai
viaggi di Agata e alle sue nuove esperienze
che al suo passato.
Enfatizzata, inoltre, da una incredibile cantina
di grandi vini che Romeo stava mettendo
in piedi. Fra queste luminose certezze, e
con i piedi ben saldi a terra Agata e Romeo
diventa anche un ristorante del circuito
Jeunes Restaurateurs d’Europe. Anche se
i manicaretti di Agata e Romeo però ci
mettono un po’ a conquistare il pubblico
romano che considerava più la cucina dei
pasti abbondanti e vedevano l’elaborazione
dei piatti di Agata come una novità estrema,
difficile da capire. Meno fatica faceva invece
il pubblico di fuori che da Agata e Romeo
ci trovava una rappresentazione della cucina
tradizionale, giovane e audace, una delizia per
il palato. “Gli Anni ‘80
e inizio ’90 sono stati
duri” - mi dice Agata.
Anche se aumentavano
i riconoscimenti delle
guide specializzate,
con anche la cantina pluripremiata e la
prima stella Michelin. Ma Agata lavora per
essere una cuoca sempre più completa, come
Romeo un Sommelier sempre più preparato e
aggiornato. “Amo la cucina regionale, tradizionale.
È dal passato che io ricavo il nuovo - mi dice
Agata - Massima attenzione alla qualità della
materie prime, creatività e innovazione, ma con le
radici territoriali ben evidenziate e salde”. Cucina
lussureggiante, nel senso di lussuria degli
ingredienti, verdure, pesce, olio extravergine,
carne, spezie: e con questo lessico che Agata
dispiega il suo genio creativo in cucina.
Per questo lei viene sempre più spesso scelta
per preparare pranzi e cene istituzionali in
Italia a Palazzo Chigi, a Villa Madama, a
Villa Doria Pamphili, per capi di stato e
ambasciatori esteri in visita nel nostro Paese,
e anche all’estero per occasioni speciali in
cui si deve rappresentare al meglio il nostro
Paese. L’evoluzione gastronomica romana che
interpreta oggi Agata è anche frutto dei suoi
numerosi viaggi gastronomici e di lavoro: dall’Europa,
agli Stati Uniti all’Asia da cui ha attinto molto.
Sia come tecnica di cucina, che come ingredienti.
Nessuna nota modaiola quindi nei suoi piatti. Ma
una sana tradizione rivisitata e attenta alla leggerezza.
Il futuro, tenuto conto che Agata e Romeo sono
diventati da poco nonni e che le due figlie Carla e
Maria Antonietta hanno preso altri lidi, è segnato dalle
origini di Romeo e dallo strepitoso olio extavergine
d’oliva che producono nella loro tenuta nel Sannio.
Che presto sarà un posto che ospiterà delle
stanze con una cucina in cui la campagna
si concede all’uomo prima ancora
che l’uomo chieda e in cui
Agata e Romeo coccoleranno
i propri ospiti.
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Salumeria Ciavatta
Trent’anni fa Roma stava già
cambiando e oggi in alcune sue
parti forse non la si riconosce
più. Anche per la scomparsa
delle botteghe artigianali che
disseminate lungo le vie del
centro esprimevano una schietta natura borghigiana.
Le botteghe del centro invitavano ai piaceri, ai saluti,
alle battute di spirito ai discorsi sulla vita. Erano i
megafoni, gli echi non chiassosi e quasi musicali di
un’antica maestria individuale
che si consumava dentro
le diverse mura delle realtà
artigianali. Erano l’anima della città, il volto di una
convivenza civile più stretta, spontanea, colloquiale.
E adesso? Via, via sconfitte dal diffondersi dei
supermercati, e dei negozi di souvneirs o cineserie,
resistono a stento. Il loro numero si è fatto raro, le
poche sopravvissute son diventate negozi con le
vetrine e il di-din del campanello quando si entra,
per il peso dell’età i “vecchi” hanno ceduto le armi e
non ci sono più i giovani con la voglia di prenderne
il posto. Una bottega che continua a resistere
nonostante tutto, riconosciuta tra
le botteghe storiche di Roma, è la
fornitissima Salumeria Ciavatta.
Nata nel 1956 per opera della
famiglia Ciavatta, come bottega
specializzata nella selezione e nella
vendita di salumi di qualità di tutta
Italia, oggi la Salumeria Ciavatta è
una gastronomia gestita da Massimo
Rietti, marito di Patrizia Ciavatta,
al servizio qui dal 1987. Passione e
professionalità non gli mancano se
sopravvive all’assalto della mediocrità
delle proposte che gli sono attorno.
Da lui i raffinati gourmet o i semplici
golosi hanno solo l’imbarazzo della
scelta tra il banco del fresco, carico
di salumi artigianali e formaggi tipici
(italiani e francesi, ma imperdibile
è la mozzarella di bufala campana), e gli scaffali pieni
di ricercatezze gastronomiche. A pochi passi da lì
Massimo Rietti ha anche aperto da poco un’enoteca
con mescita “Il Tino di Vino”, con lo scopo di
abbinare vini ricercati, alla ricca selezioni di formaggi,
salumi e dolcezze, che vende nella storica bottega.
Una bottega che non molla Ristorante Le TamericiMateria prima di qualità e originalità del prodotto
La Capitale italiana,
crocevia di culture,
densa di rumori, colori
e profumi, luogo di
storia e di monumenti
che ne aumentano
la suggestione, propone un’infinità di ristoranti
concentrati nella maggior parte nel suo centro più
affollato dai turisti.
A due passi da Fontana di Trevi, uno dei luoghi
più visitati e alta frequentazione turistica, sorge da
dieci anni il Ristorante Le Tamerici: un ristorante
fuori dal contesto, diverso da quelli vicini che ti
tirano per la giacca proponendoti menu “turistici”
a prezzo fisso. Le Tamerici invece è un piccolo
gioiello con salette ben curate, dove legno e arte
ti avvolgono in un abbraccio confortante come le
luci soffuse e la cura dell’arredamento minimalista
dai toni chiari ed estremamente sobrio. La cucina
semplice, fatta con materia prima di qualità e senza
tante elaborazioni.
Se è pur vero, che qui la clientela è fatta in
buona parte da turisti, si tratta di turisti
sapienti, che vogliono mangiar bene,
che apprezzano una mise en place
curata, cibi sempre all’altezza
della situazione e un servizio
attento e competente.
Giovanni Cappelli, 34 anni
originario di Lamezia Terme
(Cz) è il patron del Ristorante Le Tamerici.
La sua è una storia di emigrante colto che nel 96, a
soli 18 anni, si trasferisce a Roma per fare l’attore: con
il gusto per la cucina e per le cose buone che lo ha
sempre accompagnato. E sono proprio la ricerca e la
soddisfazione del gusto verso l’eno-gastronomia che
un bel giorno gli fanno incontrare la sua compagna:
“ero entrato in un locale che
avevo scelto per consumare
un buon bicchiere di vino e
ho trovato anche l’amore”
- mi dice. Lei è Daniela
Cavicchia ed è la
Cucina semplice, materia prima di qualità senza tante elaborazioni di prodotto
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proprietaria del Ristorante Il Chianti
proprio a fianco, di quello che adesso
è il suo, Le Tamerici.
Il passo da attore a “ristorattore”
come ama definirsi Giovanni
Cappelli, per il suo modo di
rappresentare anche i piatti ai suoi
commensali, è breve. Il progetto del
ristorante Le Tamerici nasce quindi
quasi spontaneo.
A seguirlo in questa “impresa”,
oltre la spinta della compagna che
di ristorazione ne sa, è Gianni De
Bellis, pugliese, di Putignano (Ba),
valente sommelier che diventa la
figura di riferimento fondamentale
per il locale.
Gianni De Bellis infatti in passato
ha consumato importanti esperienze
nel comparto: da giovanissimo come
barman presso le Grotte di Castellana,
dopo l’Istituto alberghiero e una
serie di esperienze in costa adriatica,
soprattutto Rimini e Riccione e
poi la Svizzera. Quindi di nuovo
Puglia, la sua terra, dove apre un
winebar “perché nel frattempo mi ero
appassionato al vino, che rimane uno dei
miei grandi amori” - mi dice. Siamo a
cavallo degli anni Novanta, quando
gli propongono di spostarsi a Roma
per occuparsi della Taverna Antonina,
un ristorante di Roma specializzato
in cucina pugliese. Arriva nella
Capitale, lavora qui e anche in
diversi locali, offrendo consulenze
professionali, fino a quando conosce
Giovanni Cappelli da cui gli arriva
la proposta di occuparsi de Le
Tamerici. L’obiettivo è ben chiaro:
cucina semplice, materia prima di
qualità senza tante elaborazioni
che mantengano l’originalità del prodotto, e
poi grandi e bei vini. Lo staff oltre i due oggi è
arricchito di giovani professionisti come Simone
Curti, lo chef, e Riccardo Mattoni, il suo
“secondo”. Simone Curti, 35 enne, nonostante
la giovane età arriva da esperienze di cucina tra
cui quella consumata al ristorante Da Pascucci
al Porticciolo, a Fiumicino, che gli ha segnato la
mano nella trasformazione dei piatti di pesce.
Qui tutti sono impegnati quindi nella ricerca
dell’originalità del prodotto fresco e buono,
soprattutto pesce, si è detto, quello pugliese che
arriva quotidianamente e che si mette in bella
mostra all’ingresso del locale. Oggi oltre che a Le
Tamerici, Giovanni Cappelli, è impegnato anche
nel locale di fronte “Spirito e Forno” dove la
proposta dei cibi è più “stile osteria”.
Due locali contenitori ideali del nuovo progetto
del manager Cappelli: “La Bottega del Gusto”
che vuole promuovere materie prime di assoluta
qualità da esportare in giro per il mondo.
Tutti sono impegnati nella ricerca dell’originalità del prodotto fresco e buono, soprattutto pesce, quello pugliese che arriva quotidianamente
Ristorante Le TamericiVicolo Scavolino, 79 00187 RomaTel. 066 9200700
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Antica Macelleria Annibale Via di Ripetta 236/237RomaTel. 06 3612269
Una bella targa in ottone
fuori dalla bottega recita
“Antica Macelleria
Annibale - Negozio
d’Epoca”. Si trova in via
Ripetta, a pochi passi da
Piazza del Popolo. Qui, dal 1888, ci si rifornisce di
carne di qualità. Appena si entra il bancone in marmo
d’epoca sembra un altare tanto è bello e prezioso e dal
sorriso di chi gli sta dietro si capisce che quel titolo se
lo merita tutto.
Dalla strada una vetrina coi tagli appena preparati
espone delle corna di “Kobe” falcate come manubri di
motocicletta quasi ad esprimere la forza culturale che
sta dietro a questo locale.
La Macelleria Annibale è una di quelle rare e preziose
realtà commerciali italiane che resistono nonostante
tutto. Il suo patron anfitrione è Annibale Mastroddi,
macellaio in Roma, arrivato a bottega negli anni 60
“co´ i carzoni corti” che alla carne gli vuole bene
come ad un figlio. Un ometto temperato, camice
bianco logato, dalla faccia ironica e bonaria.
Una vita tra le celle frigorifere e i marmi del negozio
lo hanno gasato ancora di più: “so´ frollato per bene
come le mie carni” - mi dice col suo modo simpatico
Annibale. Lui è un vero e proprio vulcano di sapienza
nella scelta e nella macellazione della carne: solo di
prima qualità. Qui da Annibale si impara la geografia
della carne buona. Lui è il vecchio macellaio che si
alza alla mattina presto, prepara i tagli di cui conosce
tutto, apre bottega, consiglia i clienti, regala saporite
ricette e procedimenti per preparare al meglio la carne
che vende.
Ma prima di ciò Annibale seleziona con cura e
comprat le migliori mezzene di Fassona piemontese
o di Chianina, i capretti allevati come una volta, i
capponi da terra, la cinta senese, il manzo danese...
Bisognerebbe contraccambiare meglio chi
ci regala autentici gioielli come
fa Annibale! Viva Annibale!
Macelleria AnnibaleSaggezza della carne di qualità
Un vulcano di sapienza nella scelta e nella macellazione della carne
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Ricette della tradizione, semplici, come i modi della famiglia Lucia
ARoma dell’infinità di ristoranti che offre la
città, molti appartengono alla tradizione di
cucine italiane di territori diversi, praticata
da gente arrivata qui per lavorare e trovare
fortuna. Così è capitato anche alla famiglia
Lucia, dal 1974 impegnata nella gestione
della trattoria Ciccilardone-Monte Caruso. L’origine del nome
Cicilardone deriva dall’appellativo della famiglia del padre: Cici
sta come diminutivo del nome Lucia e lardone dal simbolo di
ricchezza, di opulenza oppure di robustezza, dell’antenato.
Monte Caruso invece è la terra da dove proviene la famiglia Lucia,
che ha voluto così rendere onore alle sue origini. Lucani Doc, la
famiglia Lucia rappresenta quella fascia di emigranti pionieri, che
arrivano da terre di miseria, terre di dolorose emigrazione, che per
sfamarsi cominciano a sfamare gli altri, puntando sulla Capitale
crocevia di genti e attività.
Per questo a parer mio Roma è da considerarsi un “centro” di culture
gastronomiche interessante, capace di raccogliere e rappresentare
infinite tradizioni di cucina di ogni parte del bel Paese e anche oltre.
“La Trattoria Cicilardone-Monte Caruso la aprono mio padre Domenico e
mia mamma Latorraca Rosa il 21 aprile del 1974 in via Merulana” – mi
dice Emanuele Lucia, 38 anni, seconda generazione, che si occupa
della sala e ogni tanto dà una mano alla mamma in cucina per
l’impasto della pasta e nella preparazioni dei dolci.
Mamma Rosa e Papà Domenico si occupavano d’altro, non sono
arrivati a Roma come professionisti della ristorazione. Lo sono
diventati sul posto, spinti dalla voglia di lavorare e favoriti dalla
clientela che sempre di più apprezzava i cibi da loro proposti.
Sapori e profumi della Basilicata, in primis, ricette della tradizione
semplici, come i modi della famiglia Lucia, asciutti e schietti.
Nel 1996 i due coniugi, insieme ai tre figli, Emanuele, Elena e
si spostano nell’attuale locale di Via Farini: ambiente ben curato e
ospitale, dove singolari mattonelle in terra cotta, che espongono
messaggi e pensieri dei clienti approdati qui, trovano posto su alcune
pareti come fossero opere d’arte. Sostanzialmente invece la cucina
qui è rimasta intatta come lo era all’ora, quando la aprirono. Non si è
“romanizzata” se non per alcuni piatti che appartengono alla cultura
romana, ma chissà quali origine lontane hanno. La pasta è sempre
fatta in casa: orecchiette, ciabatte, ravioli, spaghetti, con la ricotta o al
cacio e pepe. “A quei tempi cacio e pepe non lo faceva quasi nessuno” - mi
dice Rosa, la mamma di Emanuele. E poi, per mantenere sempre alti i
sapori della cucina tradizionale, selezione di formaggi e salumi lucani,
secondi a base di carne e baccalà cucinati alle maniere lucane.
Trattoria Monte CarusoA Roma le antiche ricette lucane
Trattoria Cicilardone Monte Caruso Via Farini, 1200185 Roma Tel. 06 483549
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Trattoria Lo ScopettaroTradizione culinaria romana
Per gli abitanti della Capitale
Testaccio è semplicemente
“er core de Roma”.
Qui si respirano ancora atmosfere
altrove perdute e, anche dal punto
di vista gastronomico, si possono
vivere esperienze interessanti e appaganti.
Tra i locali da non perdere va annoverato certamente
“Lo Scopettaro”, collocato tra Piazza dell’Emporio
e il Tevere. Nato nel secolo scorso come negozio di
scope - da cui il nome - questo tipico ristorante riesce
a proporre i sapori e i profumi di
quella cucina testaccina che rimane
uno dei capisaldi della tradizione
culinaria romana. Gran parte del
merito va alla famiglia Trombini
che ha rilevato il locale nel 2006,
riportandolo agli antichi fasti. Con
mamma Paola, autodidatta, che
in cucina mostra mano sapiente
e palato raffinato. Papà Roberto,
poi, rappresenta la memoria storica
non solo del locale ma anche di una certa Roma
spesso dimenticata. In sala i due figli, Alessandro e
Gabriele, che guidano e consigliano la clientela con
fare sicuro e il sorriso sulle labbra, palesando uno
stile decisamente romano ma non disgiunto da una
professionalità che è frutto di una vera passione per
il proprio lavoro. Il resto lo fa un menu ben studiato,
un’ottima scelta per quello che concerne la materia
prima e l’estro di mamma Paola. Assolutamente
imperdibili i primi, dai classici come cacio e pepe,
matriciana, carbonara, puttanesca e gricia, a quelli
più difficili da trovare come rigatoni con la pajata o
tagliatelle cicoria e pecorino. Per i secondi polpette
al sugo, l’abbacchio in tutte le sue
varianti, il pollo con i peperoni,
la coratella, la trippa e la coda alla
vaccinara (tanto per non dimenticare
che l’antico mattatoio di Roma
sorgeva a poche centinaia di metri da
qui e che proprio per questo motivo
Testaccio è considerato il quartiere
del quinto quarto).
Per contorno un evergreen come
la cicoria ripassata in padella, o le
puntarelle con battuto di aglio e alici fatte con tutti i
crismi o ancora carciofo alla romana.
Professionalità che è frutto di una vera passione per il proprio lavoro
Pizzarium
Iltema della buona pizza oggi torna con golosa e popolare
insistenza grazie a Gabriele Bonci, un ragazzone classe
1977 romano, con mamma di origine venete e papà
marchigiano, che nella Capitale, nel 2003 dopo gli studi
alberghieri, apre Pizzarium: una ristrettissima pizzeria al
taglio vicino a Piazzale degli Eroi; praticamente all’uscita
della fermata Cipro della linea A della metropolitana. L’opera di Gabriele
Bonci, che preferisce prendere le similitudini dall’opera campagnola contadina
e il più vicino alla loro mentalità, lega subito il suo nome in modo viscerale
alla pizza e anche al pane. E lui e il suo locale diventano in poco tempo i
simboli legati alla buona pizza italiana. Col suo fare agitato e diretto, da romano
buono, ma “materiale”, Bonci mi parla di tutt’altro che di pizza mentre lo
intervisto. E mette subito l’elmo di Scipio in testa ai produttori artigianali
di farina, di ortaggi, di prosciutti, di mozzarelle, e di quant’altro la terra del
nostro amato Paese è ricca. “Prima c’è la filosofia - mi dice - la materia prima
buona è una conseguenza della filosofia”. La sua filosfia è: “il cibo la fa il contadino,
quindi il contadino sopra tutto..., io guardo gli occhi del contadino e mi parlano di
terra, mi dicono che il grano si nutre di sole, mi ispirano”. Bonci sa anche che l’altro
elemento fondamentale è la comunicazione, intesa cioè che chi sa comunicare
bene va avanti meglio. È la buona comunicazione quindi, è l’altro elemento
fondamentale di Bonci, per far passare alcune tesi a lui care sulla pizza buona.
Così è ospite fisso settimanale alla Prova del Cuoco della Clerici, diventando
meritatamente il re della pizza o il “Michelangelo della Pizza”, secondo l’ormai
nota definizione di Vogue. Dentro il suo “buco” di Pizzarium il pittore delle
farine dipinge la Pizza con lo stesso modello ispiratore, quello che cambia è
la concezione creativa. Da ogni “altoparlante” che gli si avvicina lui esorta e
predica ai disinvolti amanti della pizza di mangiarla più consapevolmente e di
chiederla buona a chi la fa. La pizza è un cibo di strada e Gabriele Bonci, si
considera un artista di strada. Lee Marshall, esperto di cultura italiana, raccoglie
anch’egli queste sue parabole sulla pizza, tant’è che lo posiziona online nel
supplemento Travel del The Guardian: il video fa subito il giro del mondo e
diventa il più visitato nelle 24 ore successive.
Accostamenti creativi e ingredienti ricercati e di qualità il successo delle pizze
di Bonci: pizza bianca farcita con la mortadella, con la crema di porri, con le
patate, con i funghi porcini, con bufala e basilico, con broccoletti e salsiccia, con
speck e provola, pachino, porcini e prezzemolo, con carciofi e gorgonzola, con
crema di zucca, provola e pancetta... Meditate pizzaioli, meditate!
Tutte le grazie della pizza
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La nostra forza rimane La Tradizione
Prima c’erano Renzo e
Valentino a condurre “La
Tradizione”: intrapresero
la loro attività nel
1959 quando, appena
tredicenni approdarono
a Roma, lasciando i loro piccoli paesi natii
dell’Umbria e nel 1980, decisero di rilevare
una vecchia salumeria. I due si impegnarono
anima e corpo, nella trasformazione di
questo locale, facendolo diventare uno dei
punti di riferimento per i buongustai di
Roma e non solo.
Da allora la crescita di questo locale è stata
lenta ma costante grazie al lavoro realizzato
da Renzo e Valentino, che qui hanno messo,
sotto la lente di ingrandimento, i migliori
prodotti gastronomici di ogni parte d’Italia
in particolare formaggi e salumi.
A gennaio del 2012 La Tradizione ha
cambiato mano: Renzo e Valentino hanno
lasciato ai due baldi ragazzi calabresi,
Francesco Praticò e Rosario Schifiliti
originari dello stesso paese, che per 15
anni li hanno coadiuvati nella conduzione
di questo splendido negozio di chicche
alimentari. Carichi dello stesso entusiasmo
dei predecessori ex datori di lavoro, Praticò
e Schifilliti, hanno anche ereditato la grande
passione che sta dietro alla valorizzazione di
prodotti agro-alimentari di qualità per poter
continuare a proporre ai propri clienti la
qualità migliore possibile se non addirittura
certe volte anche più esclusiva.
Nel loro bel negozio carico di gusti e sapori,
continuano ad aumentare le prelibatezze
che si possono trovare: tra le altre cose,
500 tipi di formaggi più
di 15 prosciutti crudi
artigianali tagliati a mano,
una variegata proposta di
prelibata gastronomia fredda,
diversi formati di pasta fresca
fatta a mano, interessanti
etichette di vino… La
grande passione, sostenuta
da esperienze e conoscenze
maturate da parte dei due
giovani calabresi, ormai
romani d’adozione, fa si che
nel loro negozio si possono
riscoprire i piaceri del gusto ed emozionarsi
davanti a cotanta meraviglia.
Bravi! Ben vengano giovani armati di
così alta passione, entusiasmo e voglia
di salvaguardare e promuovere il nostro
grande patrimonio di tradizioni e cultura
enogastronomica.
Ristorante Giuda BallerinoLa via culinaria della perseveranza
Andrea Fusco, 40 anni è chef patron del ristorante Giuda
Ballerino. Uomo tenace, intende la cucina come un fatto culturale
in cui le esperienze personali giocano fisicamente nelle scelte,
anche le più insidiose. È sposato con Mariana Alverdi argentina
di Buenos Aires che, oltre accompagnarlo nel suo travagliato
percorso professionale, gli ha dato un figlio da poco. Andrea Fusco
quando lo intervisto capisco che sono di fronte a chi ha vissuto il ristorante dalla trincea:
i suoi occhi sono attenti ad ogni movimento e le orecchie le ha ben tese ad ascoltare
me e anche a cosa succede più in là in cucina. H frequentato la scuola alberghiera dopo
aver mollato al primo anno ragioneria che gli aveva imposto il padre: “a ragioneria segavo
sempre così lasciai e scelsi l’alberghiero solo perché si trovava una fermata d’autobus dopo - mi
dice - convinto anche che forse avanzare qui nello studio fosse meno faticoso. Al di là di
tutto qui invece il ragazzo dimostra impegno e si sente in qualche maniera anche dotato per la materia. Soprattutto
nella pratica, Andrea Fusco è talmente bravo che, sia nei mesi estivi di vacanza, sia appena terminati gli studi
all’alberghiero, i suoi docenti lo piazzano subito al lavoro. Il primo approccio vero di Andrea Fusco con il mestiere
però, non è quello di amore a prima vista: “periodo non facile, ero molto deluso dalle prime esperienze presso le cucine
d’albergo, anche dalla cucina di quegli anni, dalle gestioni” - mi dice. “Meditavo di lasciare e continuare a studiare iscrivendomi
a Scienze dell’Educazione”. Conciliare studio universitario e cucina era difficilissimo, i soldi ed il tempo erano sempre
pochi, così diventa cameriere. Anche in questo ruolo Andrea dimostra di saperci fare scalando posizioni di rilievo
fino a diventare cameriere fisso presso un cinque stelle extra lusso di Roma.
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Aprile, Maggio, Giugno 2012
Roma
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Roma
Capacità, perseveranza, sacrifi cio, lavoro, rinunce, qualità a tutti i costi, ed il gioco è fatto
Da cameriere a direttore di un catering il passaggio
è breve grazie alla sua dote di adattamento e alla sua
forza di volontà. La sua determinazione ad emergere lo
portano poco dopo a scegliere di aprire al Tuscolano,
insieme alla moglie ed una coppia di amici, il primo
Giuda Ballerino: nome che ricava dall’esclamazione
ricorrente del personaggio principale del fumetto
Dylan Dog che rivela la passione dello Chef per
questo eroe di carta. Il posto che Andrea Fusco va ad
occupare in questa nuova “impresa” è quello che sta
più in alto agli investimenti economici a bilancio e
così rimette i panni da chef. “Pagarne uno sarebbe stata
un’azienda che partiva già in deficit” - dichiara. Moglie e
soci invece si vanno ad occupare della sala. Il successo
del “Giuda Ballerino e soci” non tarda ad arrivare,
anzi. Nonostante l’ambiente spartano e il tran, tran dei
piatti, sempre gli stessi, che alla fine però stufano chi
li fa. Come anche le liti con i suoi soci che facevano
orecchie da mercante alle richieste di Andrea per
rinnovare e migliore tutta la gestione: soprattutto
quella qualitativa delle materie prime. La forza di
continuare comunque il suo percorso in cucina dove
Andrea Fusco si sente ormai a suo agio, gli fa vincere
un concorso in cui per premio c’era uno stage da
Vissani. Si parla della fine degli anni ’90 - inizio
2000. Lui a Baschi, dal “Maestro” ci va con quaderno
e penna e ritorna a Roma con un’enciclopedia
di appunti scritti: materie prime, fornitori, ricette,
preparazioni, metodi di cottura, costruzione e disegno
del piatto… Ancora più carico di entusiasmo, e più
sicuro di ciò che vuole veramente fare, lascia i soci e
fonda il suo Giuda Ballerino rimanendo al Tuscolano.
Capacità, perseveranza, sacrificio, lavoro, rinunce,
qualità a tutti i costi, ed il gioco è fatto. Sembra facile
detto così, ma il carico delle parole che pesavano sulla
pelle di Andrea e famiglia in quel tempo non è lo
stesso dell’inchiostro che le scrive…
Andrea al suo Giuda Ballerino azzarda ancora di più,
animato da spirito ingegnoso e sicurezza acquisita,
mettendo in pista un locale gourmet. I suoi nuovi
giochi culinari, basati sullo studio dei piatti classici
del territorio rielaborati in chiave moderna, fanno
uso della sua buona tecnica acquisita atta ad esaltare
la materia prima. I suoi piatti stupiscono per fantasia,
lucidità, semplicità e leggerezza offrendo piacere ed
emozione all’ospite. Creazioni d’avanguardia gourmet
che sollecitano man mano, oltre che i clienti, anche
i critici gastronomici. Che piazzano Giuda Ballrino
ai primi posti delle guide, sollevando non poco il
suo patron dall’immane peso di aver visto per troppo
tempo il locale sempre semivuoto!
Oggi Giuda Ballerino è un locale polifunzionale,
sdoppiato sia nella proposta gastronomica che nei
locali: uno gourmet e uno osteria, ma anche un
po’ lounge bar aperto fino alle 2 di notte, dove
imperversano marcatamente, sia nell’arredo che sui
tavoli, le effigi degli eroi dei fumetti: oltre Dylan Dog,
Diabolik, Corto Maltese, Cattivik, Valentina...
Andrea Fusco oltre che al Giuda Ballerino è
impegnato anche, nel ruolo di manager/consulente,
presso altri ristoranti di Roma rimettendo in gioco
la sua perseveranza e la serietà professionale che
lo distinguono, oltre quella di alcuni suoi fedeli
collaboratori-soci.
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Ristorante Giuda Ballerino Largo Appio Claudio, 346 00174 RomaTel. 06 7158 4807
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Aprile, Maggio, Giugno 201260 Aprile, Maggio, Giugno 2012 61
LEGGERE DI GUSTOLEGGERE DI GUSTO
Non è detto che un “luogo comune”, per il semplice fatto di essere tale, sia sbagliato. Ce ne sono alcuni che hanno robuste ragioni d’essere. E sicuramente lo è quello che vuole i romani ormai assuefatti alle meraviglie millenarie della loro città, tanto da sfi orarle continuamente, ormai quasi del tutto indiffe-renti. “Capita davvero spesso, a noi romani, di sfi orare, con lo sguardo e magari anche con il tatto, testimonianze di storia, arte e cultura che consideriamo scontate. Che errore! Basta rimettere in moto la curiosità, basta non più guardare ma osservare per rimette in moto un processo virtuoso che darà come premio suggestioni ed emozioni sempre nuove e
sempre maggiori” Questa considerazione è di Paolo Di Giannantonio, noto giornalista televi-sivo, inviato di guerra e autorevole “mezzobu-sto” del Tg1, autore del volume “Sapori Colti”: una raccolta e un racconto delle tracce che alcuni personaggi importanti hanno lasciato in osterie, taverne e ristoranti. “L’idea mi è venuta un po’ per volta, - dice Di Giannantonio - a cominciare dalla sera di una decina di fa, quando in una nota pizzeria chiesero a me - giornalista televisivo - di scrivere un pensiero a ricordo del mio passaggio, su una paletta di legno di quelle utilizzate, appunto, per servire le pizze a tavola. Era un clima rilassato, da serata in pizzeria, e l’unica mia preoccupazio-ne era di non risultare troppo banale. Poi mi chiesi come si erano comportati coloro che mi
avevano preceduto. E andai a vedere. Anzi ad osservare: c’erano anche pensieri e disegni gustosi, stimolanti, divertenti”. In un altro ristorante, per caso gi raccontarono quanto lì fosse assiduo Federico Fellini. Era diventato un amico, che addirittura aveva disegnato pupazzi per la fi glia del proprietario. Ce li ave-vano ancora, e glieli mostrarono, insieme con il libro degli ospiti. “Lo sfogliai attentamente e trovai, tra le tante cose, anche un bel disegno di Dario Fo, un disegno di Giacomo Manzù ed uno di Renato Guttuso. Che meraviglie! E quanto erano interessanti, divertenti, spiritosi i racconti di quei momenti, fatti dai protago-nisti: l’ottuagenario proprietario del locale ed i suoi familiari. Narravano dei personaggi, dei loro gusti a tavola, delle loro manie, delle grandezze e anche… delle debolezze”.Dopo altre ricerche e approfondimenti la conferma in lui che ristoranti, trattorie ed osterie di Roma erano dei veri e propri musei “inconsapevoli”: in certi casi di vere e proprie opere d’arte, in altri di oggetti, fotografi e, rime, dediche, disegni e schizzi che comunque portavano in sé tracce di storia, arte, saperi, società. Mettere insieme il valore storico di queste testimonianze che attraversano oltre un secolo di vita italiana gli è sembrato un atto culturale importante da compiere. Così in questo bel volume si ritrova-no i “sapori” e le atmosfere della Roma capitale di una Italia che usciva dalla Grande Guerra piena di acciacchi ma anche di speranze, gli anni della “dolce vita”, quelli dei divi ameri-cani che vengono in riva al Tevere, quelli del Cinema che la fa da padrone nella costruzione dell’immaginario italiano, quelli della televi-sione con cantanti, attori, comici, soubrettes, conduttori, opinionisti, tronisti, calciatori e anche politici presenzialisti.
La cucina è uno di quei posti dove meno si pensa di trovare un riscontro scien-tifi co fatto di regole e di numeri, fatta eccezione forse per qualche dato nelle ricette: “quattro uova, due cucchiai di farina, 1/5 litro d’acqua... cuocere per 30 minuti... cuocere in forno a 220°, lasciare raffreddare... Al di là di questo sembrerebbe che la scienza, in cucina, non ha diritto di cittadinanza: la cucina è il luogo dei profumi e dei sapori, e non c’è posto per numeri o formule. Ma a guardare me-glio, dietro le tecniche di cottura come l’arrostitura, la mantecatura, le fritture, le affoga ture, ecc.ecc., emergono altri meccanismi che un occhio esercitato riesce a cogliere e a portare alla luce. Meccanismi che regolano il funziona-mento e la struttura degli strumenti di cottura che usiamo quotidianamente e che celano al loro interno una grande quantità di scienza spesso tutt’altro che elementare. A svelare tutto ciò, e rispondere inoltre all’infi nità di domande e ai tanti perché in cucina, è nato circa 12 anni fa il Ma-nuale Strumenti di Cottura del Centro di Ricerca e Formazione Saps - nato in seno alle aziende Baldassare Agnelli e Fasa, a Lallio. Oggi il Manuale Stru-menti di Cottura Saps, diventato nel tempo la dispensa culturale più im-portante dei corsi e dei seminari delle tecniche di cottura, è pronto nella sua terza edizione, fresco di stampa, aggiornato e più ricco di argomenti grazie alla stretta collaborazione tra Saps, alcuni cuochi professionisti e studiosi universitari. Il nuovo Manuale Strumenti di Cottura Saps con questa terza edizione riesce ancora meglio e in maniera più ap-profondita a far emergere i mecca-nismi che regolano il sistema che ruota attorno al funzionamento delle pentole e il loro corretto uso in cucina. All’interno, di questo vero e proprio vademecum degli strumenti di cottura, sono trattati i diversi temi, in maniera semplice e comprensibile, che svelano una grande quantità di scienza spesso tutt’altro che
elementare. Sul Manuale Strumenti di Cottura Saps si possono approfondire in maniera esaustiva tutti i quesiti e le curiosità legate agli strumenti di cottura. 100 pagine che trattano l’argomento “pentole” a 360°: dalle fasi di produ-zione di una pentola, ai materiali e alla capacità di condurre il calore, dalle leggi di riferimento dei materiali a contatto con gli alimenti alla sicurezza igienica, passando alle forme e impieghi in cuci-na fi no alle schede tecniche in cui sono prese in considerazione le differenze e le peculiarità di ciascuno strumento di cottura.
Potete richiedere copia del Nuovo Manuale Strumenti di Cottura Saps, scrivendo a: uffi [email protected]
L’Atlante Qualivita 2012
L’Atlante Qualivita 2012 è un lavoro unico per complessità e per completezza in cui mondi del migliore Made in Italy, quello agroalimentare e quello vitivinicolo, sono, inseime, radiografi ati e raccontati in un’opera emozionante che parla di qualità del nostro Paese. Wine & Food vanno a braccetto in questo Atlante italiano dei prodotti e vini di qualità: 2 volumi, 243 prodotti agroalimentari Dop, Igp e Stg, 521 vini Docg, Doc e Igt accom-pagnati da 764 schede e 1200 fotografi e e una sezione dedicata al bio. I 2 volumi sono frutto di un lavoro di ricerca e catalogazio-ne che ha visto il patrocinio del Ministero delle Politiche Agricole Alimentari e Forestali. Ogni singola scheda è completata da una cartografi a, per dare al lettore l’idea esatta dei vari luoghi di produzione. Una sezione è anche dedicata all’intro-duzione delle principali metodologie di produzione del mondo biologico. Una guida completa ed aggiornatissima per rendere l’utente un po’ più esperto e per soddisfare la voglia di quanto vogliano conoscere me-glio la produzione agro-alimentare italiana. L’autore per la parte riguardante il food è Mauro Rosati, Segretario Generale Fon-dazione Qualivita mentre il coordinatore per la sezione dedicata al wine è Stefano Carboni di Mg Logos. Per chi volesse maggiori informazioni: [email protected]
Sapori ColtiPassaggi di Cultura tra Osterie, Ristoranti e Trattorie di Roma
Manuale Strumenti di Cottura Saps: terza edizioneUn vero e proprio vademecum in cui sono trattati i temi che regolano il funzionamento delle pentole e il loro corretto uso in cucina
Sapori ColtiAutore Paolo Di Giannantonio144 PagineAcquistabile soprattutto in rete e nelle migliori librerie
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anche politici presenz
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oltre erché Ma-ntro to in elliu-uel -elle
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Angelo Troiani è chef patron
del Ristorante Il Convivio nel
cuore del centro storico di
Roma, alle spalle di palazzo
Altemps, a pochi passi da Piazza
Navona.
D’origine marchigiana, dopo il diploma alla Scuola
alberghiera di San Benedetto del Tronto, matura le
prime esperienze alla Capannina di Aurelio Damiani
a Porto San Giorgio, poi al seguito di Igles Corelli
e infine, nel 1989, all’Hotel Lord Byron di Roma al
fianco del cuoco Antonio Sciullo.
Nel 1990 apre, insieme ai fratelli Massimo e
Giuseppe, il ristorante Il Convivio Troiani, che
diventa subito uno dei punti di riferimento dell’alta
ristorazione capitolina. Contemporaneamente,
insieme ad altri giovani chef, fonda la sezione italiana
dell’Associazione Jeunes Restaurateurs d’Europe, di
Ristorante Il Convivio di Troiani Stagionalità e prodotti locali
Il Convivio di Troiani Vicolo dei Soldati, 3100186 RomaTel. 06 686 9432
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64 Aprile, Maggio, Giugno 2012
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cui oggi è ancora parte
- ultimo della vecchia
guardia - e diventa anche
uno dei primi docenti dei
corsi di formazione della
Città del Gusto Gambero
Rosso. Nel suo Convivio
Angelo Troiani all’inizio
produceva una cucina
ispirata alle influenze
ricevute durante le sue
esperienze, ma affinata e
personalizzata secondo
il suo gusto personale. Un inizio scoppiettante, con un
popò di carta vini di oltre 700 etichette, con qualche
Convinto della cucina a KM0 in sintonia con le stagioni e il territorio
interessante sperimentazione e marcata riconoscibilità dei
sapori che lo mette subito agli onori della critica. La stessa
che gli appioppa punteggi importanti con riconoscimenti
nazionali e internazionali compresa anche la Stella
Michelin che si aggiudica nel 1993. Nel suo percorso fino
ad oggi, di strada ne ha fatta Angelo Troiani e di idee sulla
cucina ne ha sperimentate parecchie. Oggi è pienamente
convinto della cucina a “km0” intesa come reperibilità
della materia prima locale, per una buona cucina, senza
tanti orpelli e fuochi d’artificio, con ingredienti di qualità.
Soprattutto di chi conosce
personalmente che li produce.
“In tutti questi anni - mi dice -
ho avuto modo attraverso le mie
esperienze professionali, di conoscere
meglio e bene la campagna romana
ed essere a contatto con la produzione
contadina di questo territorio.
Territori di bellezza, cultura, storia,
tradizione e giacimenti enogastronomici infiniti”. Oggi, la
sua cucina raccoglie e riflette questo patrimonio di
tradizioni e sapori rielaborandoli e proiettandoli nel
tempo presente. Una filosofia che coniuga tradizione,
modernità e naturalezza, fondata su ingredienti
genuini, che seleziona personalmente con passione
e attenzione grazie al contatto
diretto con i produttori e la
frequentazione di mercati dei
contadini locali.
Il risultato è uno stile personale
di cucina, armoniosa, genuina
e meditata, in sintonia con le
stagioni e il territorio.
Da giugno Angelo Troiani è
anche impegnato, assieme a suoi autorevoli colleghi
soprattutto “romani”, presso “Coquis” la sua scuola
di cucina: uno spazio multifunzionale realizzato per
accogliere tutti gli appassionati e anche esperti, che
vogliono approfondire, attraverso i suoi insegnamenti,
l’ arte del cucinare.
La cucina rifl ette il patrimonio di tradizioni e sapori rielaborandoli e proiettandoli nel tempo presente
Aprile, Maggio, Giugno 2012
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Ristorante Roof Garden dell’Hotel La MinerveSovranità del luogo
Ilposto del Minerva Roof
Garden è di grande
impatto. La meravigliosa
terrazza con vista a 360°
su Roma, che durante
tutto l’anno ospita il
Ristorante e il Bar è unica: un loggione
affascinante dal quale godere appieno dei
tramonti e delle serate romane, assaporando
i piatti tipici della cucina locale firmati dallo
chef Antonio Falco. Napoletano di nascita,
Antonio Falco ha intrapreso l’ attività di
cuoco sin da giovane. Il momento che gli ha
fatto decidere questa strada è stato quando,
da studente, durante un viaggio di piacere
ha avuto modo di incontrare uno chef dal
quale rimase molto affascinato dalla divisa
e dall’importanza che questa gli conferiva.
Falco nel suo percorso di crescita ha avuto
la fortuna di lavorare con persone umili e al
tempo stesso di grande esperienza in alberghi
5 stelle extra lusso, che gli hanno permesso
di alimentare la sua grande sensibilità umana
e culinaria. Si è intrattenuto a lungo nella
sua regione d’origine dove ha avuto inizio
la sua formazione nel ristorante “l’Incontro”
di Pozzuoli e il “Don Alfonso 1890” di
Sant’Agata dei Due Golfi, ma si è affinato
anche all’estero presso il Ristorante di Alain
Ducasse a Montecarlo. A Napoli, invece ha
lavorato anche presso il Grand Hotel Parker’S
e all’Holiday Inn per circa dieci anni dov’è
stato Consigliere dell’Associazione provinciale
di Napoli nonché membro dell’Unione
Regionale Cuochi Campani. Si sente
discepolo del famoso Auguste Escoffier e in
cucina segue i principi del grande Maestro
che sosteneva che l’arte culinaria dovesse
essere praticata con semplicità, valorizzando
al meglio sapore e nutrimento dei cibi.
Campione nella cucina artistica e della
cucina di carne e pesce di cui fregia titoli
d’oro e argento, il tipo di cucina che più lo
rappresenta è quindi quella artistica - senza
La cucina che più lo rappresenta è quella artistica, senza perdere d’occhio la cucina contemporanea
Ristorante Roof Garden Hotel dell’Hotel La MinervePiazza della Minerva, 69/A 00186 Roma - Tel. 06.695201
Aprile, Maggio, Giugno 201266 Aprile, Maggio, Giugno 2012 67
Roma Roma
Il Grand Hotel de La Minerve è un gioiello incastonato nel cuore di Roma, un palazzo ricco di storia e valore artistico, un hotel di lusso capace di regalare emozioni davvero coinvolgenti. A pochi passi dal Pantheon, Piazza Navona, Fontana di Trevi e Piazza di Spagna questa raffi nata struttura, ad oggi una delle più prestigiose della Capitale, nasce nel 1600 come dimora dell’aristocratica famiglia portoghese dei Fonseca. L’intero palazzo, con tutti gli edifi ci circostanti, venne trasformato in albergo all’inizio dell’800, affermandosi ben presto come punto di incontro di personaggi del mondo politico, ecclesiastico, culturale e fi nanziario a livello nazionale ed internazionale. Nel 1990 è stato ristrutturato con la volontà di regalare ai propri ospiti il piacere di vivere la città da una posizione particolarmente scenica quale Piazza della Minerva che trae il suo nome dal “Pulcin della Minerva”, scultura di Gian Lorenzo Bernini formata da un piccolo obelisco che sovrasta un elefante di dimensioni ridotte, mirabile fusione di arte egizia e stile barocco. Strategico ed affascinante, il Grand Hotel de la Minerve, membro di WorldHotels, dispone di 135 camere tra Superior, Deluxe, Junior Suite e Suite, tutte concepite per soggiorni all’insegna del comfort più lussuoso ed esclusivo. Arte, cultura e storia permeano questo luogo e caratterizzano l’identità dell’hotel, scelto in passato da numerosi artisti, aristocratici, uomini di Chiesa, intellettuali e politici come residenza e luogo di incontri. Da Stendhal e George Sand a Pio IX, da Renato Dulbecco ai tre tenori Placido Domingo, Luciano Pavarotti e Josè Carreras. Recentemente hanno soggiornato Cristina, la infanta di Spagna, Riccardo Muti e i reali del Belgio.
Grand Hotel De La MinerveI pregi dell’Ospitalità
perdere d’occhio la cucina contemporanea
con metodi classici rivisitati e personalizzati.
I suoi piatti sono ispirati ad una cucina
dove la sua “napoletanità” è forte e ben
visibile e la si recepisce proprio nella scelta
di privilegiare i prodotti della sua terra,
esaltandone i sapori e confezionando così
piatti particolarmente “solari”. Nel suo
attuale menù sono previsti anche assaggi
tipici romani, considerati da Falco stesso
particolarità vicine alle prelibatezze campane,
e altri in grado di soddisfare le esigenze e i
gusti di una clientela variegata, soprattutto
internazionale.
Cucina contemporanea con metodi classici rivisitati e personalizzati
Il mediterraneo con charme
Dietro lo chef Oliver Glowig, immerso da poco più di un anno nell’atmosfera positivistica,
del bel mondo dorato e tiepido di Roma, c’è la tradizione campano-caprese, nonostante lui
sia tedesco di Düsseldorf con esperienze in giro qua e là, soprattutto in Francia e nella sua
stessa terra di origine.
Oliver Glowig infatti, all’interno dell’Aldrovandi Palace, storico luxury hotel nel
cuore dei Parioli, continua a vivere ed esprimere il legame incessante
con il passato recente, a cui è legato, e che lo ha portato ad esplorare i meravigliosi
e stupendi effetti della sua natura in modo naturale, semplice con logica
conseguenza. Perché profondamente attaccato alla terra che gli ha dato
l’amore, ha infatti sposato una caprese, e l’onore di essere considerato
un grande chef pluristellato quand’era al Capri Palace.
Così alla radice del metodo di cucina “glowigano”, oggi a Roma,
rimane l’impronta del mediterraneo
coi gusti e profumi di altissime
cognizioni e conseguenze certe.
A 42 anni, per il cuoco di
Germania essersi rimesso in
gioco nella Capitale non
dev’essere stato semplice
dopo le due stelle
Rimane il Mediterraneo con i gusti e profumi
di altissime cognizioni e conseguenze certe
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Ristorante Oliver Glowig
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Michelin all’Olivo del Capri Palace e una piccola
parentesi al Poggio Antico di Montalcino.
La continuità con il recente passato, nello stile di
cucina, però è ancora garantita. Come la serietà
nell’affrontare la nuova sfida, guidato da una
forte passione e grande professionalità. Acquisita,
quest’ultima, non di recente, ma da una vita
consumata fra i fornelli: prima presso la scuola
alberghiera di Düsseldorf, poi coll’imprinting francese
classico, di seguito con l’affinamento da Marchesi
e la consacrazione del suo confermato legame con
la cucina italiana conseguendo, una stella Michelin
da Mario Gamba dell’Acquarello a Monaco di
Baviera e infine con le due stelle all’Olivo del Capri
Palace in coppia con il direttore Ermanno Zanini
con cui ha condiviso per otto anni l’importante
esperienza isolana. Brillanti esercizi coronati anche
qui all’Aldovrandi Palace con le due stelle Michelin
in un locale di una cinquantina di coperti in tutto,
elegante, classico, arricchito da un magnifico e fresco
giardino fiorito per le cene estive. E proprio qui dove
lo incontro mi racconta che la sua è stata una scelta
innanzitutto di vita: “l’ho fatto soprattutto per le mie figlie
Aurora e Gloria, di 4 e 10 anni, (a cui sono dedicati i due
menù degustazione n.d.r.), perché Roma è un posto capace
di offrire molto in termini di crescita..., ma l’ho fatto anche
perché sentivo il bisogno di lavorare in un posto in cui il
cliente non fosse prevalentemente legato ad un Hotel e ad un
luogo turistico, sebbene di lusso. Mi mancava la continuità
di interagire con clienti abituali, di avere un rapporto più
costante con loro con l’obiettivo di creare nel tempo una
clientela fidelizzata e registrare il loro attaccamento alla
mia cucina”. Una cucina mediterranea che guarda alla
tradizione. Alleggerita, resa più accorta, senza però
tecnicismi esasperati.
I suoi fornitori delle materie prime sono rimasti quasi tutti
quelli che aveva quand’era al Capri Palace come anche la
sua squadra in cucina con il fedele Domenico Iavarone - “il
figlio maschio che non ho” - mi dice.
Se prima di lui l’arte della cucina romana è stata conquistata
dall’altro famoso chef tedesco, alla guida di un altrettanto
celebre ristorante d’albergo della Capitale, Oliver Glowig
oggi si sente pronto a condividerne gi onori.
Così per strizzare l’occhio e fare breccia nel cuore dei
romani, ha già messo in carta prelibate preparazioni
culinarie in omaggio alla città che lo ospita.
Come i tortelli ripieni di coda vaccina alle spezie in salsa di
liquirizia, o la fantasia di vitello da latte con purea di patate:
animelle croccanti alla cannella, fegato in pancetta, testina
fritta con capperi, coda glassata, rognone alla senape rustica
ed aceto di Barolo.
Guidato da una forte passione e grande professionalità
Ristorante Oliver Glowigvia Ulisse Aldrovandi, 15 RomaTel. 06 3216126
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Filippo La Mantia, 52 anni è siciliano, anzi, palermitano, e a
Roma ha deciso di fare lo chef trasferendo i suoi ricordi delle
origini, le sue passioni, il suo modo di muoversi e anche di
parlare.
Della sua vita ha vissuto intensamente ogni momento e
ha viaggiato anche molto per il mondo svolgendo svariati
lavori: il musicista, il motociclista, l’artista, e per 10 anni anche il fotoreporter,
raccontando con le immagini la guerra di mafia in Sicilia.
A lui si sono ispirati romanzieri, e sceneggiatori di film.
Oggi è chef del ristorante che porta il suo nome all’Hotel Majestic di Via
Veneto, ed è considerato uno degli ambasciatori che fa meglio da mangiare
siciliano: “nel mio ristorante siciliano all’interno dell’Hotel Majestic - esordisce
- la cucina che offro è quella siciliana-
palermitana che, grazie alle innumerevoli
contaminazioni del passato, ritengo sia la
più ricca di sapori e profumi che la rendono
unica e grandiosa”.
Cucina da quando aveva 13 anni,
Filippo La Mantia: “i miei amici mi
dicono che del gruppo ero sempre quello che
andava a fare la spesa e cucinava per tutti”.
Nel 2002, dieci anni fa, ha deciso: “da
oggi faccio il cuoco, il mestiere della mia
maturità”. Nessun maestro, nessuna
scuola, la sua arte la interpreta per
come è lui.
Col carattere energico che lo
distingue, come una persona che si
muove con la passione per fare ciò
che ama fare, con il bagaglio culturale
che ha assorbito nelle precedenti
esperienze. D’altronde il cibo per lui è
stato il comun denominatore che lo ha
accompagnato sempre.
“Sono nato in una regione, in una
provincia, in una città in cui il cibo ha un
valore enorme..., mia mamma cucina cantando, mia nonna
mi cucinava il pollo alla pizzaiola, mio nonno mi portava
al mercato della Vucciria in carrozza, mio papà era un
ottimo cuoco e questo mi è rimasto”. Quello di mettersi a
fare lo chef non è un progetto calcolato, ma una cosa che
gli è venuta da dentro: “il cibo è energia pura è un mezzo di
scambio, la chiave di lettura e lingua universale”.
Il suo motto è: “ogni giorno è il primo giorno”.
“Quel giorno mi sono comprato una giacca bianca ad un mercatino e
mi sono messo a fare il cuoco” - mi dice.
Oggi al Ristorante Filippo La Mantia all’Hotel Majestic
si fanno circa 60.000 coperti all’anno. Dentro un
albergo! In cucina lui non usa aglio e cipolla perché
non gli piace e non perché non piace ai Vips come
alcune male lingue amano dire. Niente aglio quindi
né cipolla e niente soffritti, ma bensì pesti a crudo a
base di agrumi per insaporire ed inebriare le pietanze che
traggono ispirazione dalle più antiche ricette siciliane.
“Sono fermamente convinto che l’aglio e la cipolla coprano i sapori
mentre il gusto di una pietanza deve essere esaltato e il palato
deve riconoscerne ogni singolo elemento. L’uso degli agrumi, invece,
Ristorante Filippo La Mantia
Ogni giorno è il primo giorno
Ristorante Filippo La MantiaVia Liguria, 1 - RomaTel. 06 42144715
Nessun maestro, nessuna scuola, la sua arte la interpreta per come è lui
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permette di armonizzare i sapori e creare
un’alimentazione nutriente”.
La sua cucina è semplice e lui si considera
un “Oste-Cuoco”, come ama presentarsi anche tra le
pagine del suo sito internet. “I proprietari dell’Hotel
Majestic hanno creduto in me e nella filosofia della mia
cucina che attinge e rivisita i gusti e i profumi dell’antica
tradizione siciliana. Ci siamo incontrati nella mia precedente
attività in Costa Smeralda e mi hanno proposto di venire
qui a Roma: ho trovato subito
meraviglioso questo posto e me
ne sono innamorato accettando
di trasferirmi”. “Roma è
unica” - continua. “Una
città che raccoglie l’arte, la
cultura, i profumi, i sapori, i
riti, le tradizioni e la gente
di tutto il mondo. Roma è
una piazza strepitosa. Non
ho fatto altro che portare
la mia Palermo che amo a
Roma”. Ovviamente nel
suo ristorante utilizza per la
maggior parte ingredienti
che arrivano direttamente dalla sua Isola: dagli ortaggi
al pesce, dai vini alla frutta, tutto nel suo ristorante
parla strettamente siciliano. Ed è proprio per questa
sua opulenta sicilianità che nel 2010 è stato anche
insignito del titolo “Miglior Ambasciatore Siciliano del
gusto nel mondo”.
Roma è una piazza strepitosa: non ho fatto altro che portarci la mia Palermo che amo
Osteria di Monteverde
Tradizionale contemporaneo
Varcando la porta che introduce all’Osteria
di Monteverde, si avverte subito che
questo è un locale che ti vuol far sentire
come a casa. Una trentina di coperti in
tutto con una cucina che parla in modo
sapiente, facendosi capir bene e non solo
dai romani, affidata alla passione e alla capacità di Roberto
Campitelli 30enne. In sala il socio Fabio Tellerini che guida gli
ospiti alla scelta dei vini e dei piatti. Fabio e Roberto Campitelli
s’erano conosciuti 10 anni fa in un locale di Campo dei Fiori
dove lavoravano assieme. Nel cuore di Monteverde circa 1 anno
e mezzo fa hanno coronato il loro sogno, aprendo l’Osteria di
Monteverde. Nonostante le proposte per entrambi di approdare
a lidi della ristorazione importanti, che a quel tempo erano
all’ordine del giorno. Roberto Campitelli ha frequentato la suola
alberghiera a Roma: “l’avevo scelta per la mia passione per i viaggi e
quindi per poter lavorare come cuoco e conoscere i posti del mondo che più
mi attraevano..., poi ci ho preso gusto” - mi dice.
Una cucina che parla in modo sapiente, facendosi capir bene non solo dai romani
Roma
Appena diplomato i primi
viaggi e le rispettive esperienze
da cuoco sono in Italia. Poi in
Belgio, quindi New York.
Il rientro a Roma è collegato
al fatto che con il socio
Fabio Tellerini si era sempre parlato di voler aprire
insieme un ristorante e quindi non si poteva perdere
l’occasione che si stava prospettando: rilevare il locale
di una vecchia insegna a Monteverde.
Nel cambio di gestione gli ambienti si sono fatti più
sobri, l’arredo rispecchia lo stile dell’osteria vera con
tavoli di legno, sedie impagliate e tovagliette di carta.
La cucina di Roberto Campitelli - uno che sul braccio
ha tatuato Chef South Park, un personaggio dei
Cartoon - è stagionale.
Il menù cambia ogni due mesi al massimo: prodotti
del territorio, molto tradizionale sul contemporaneo
e quindi non mancano le proposte tipiche romane
rivisitate, come animelle, coda, carbonara, gricia
e amatriciane, ma anche pesce, sempre fresco del
Tirreno, a cui Campitelli dedica un’attenzione
particolare. Materie prime freschissime e di alta qualità,
ben esaltati dagli abbinamenti con vini ricercati, non
i soliti, selezionati e curati dal socio Fabio Tellerini.
Quello che ne viene fuori è un locale che fin dal
primo giorno di apertura ha avuto un susseguirsi di
clienti, con numeri importanti, sia a pranzo che a cena.
Questo è il modello che si respira qui all’Osteria di
Monteverde dove il rapporto qualità prezzo, molto
interessante, è anche lo standard del successo.
Menù di materie prime freschissime di qualità molto tradizional-contemporanea.Non mancano le proposte
tipiche romane rivisitate
Osteria di MonteverdeVia Pietro Cartoni 163/165 00152 RomaTel. 06 53273887
I 30 anni di CIFA Emblema di passione e specializzazione
IlCentro Italiano Forniture Alberghiere (CIFA), di
Lomazzo (Como) compie 30 anni.
CIFA è la storia personale e professionale di Vittorio
Fanfarillo, 60 enne, ciociaro di nascita e comasco d’adozione
- con la passione per i viaggi e la fotografia - da tempo
impegnato anche nel sociale a far bene per le popolazioni
d’Africa. Nel 1982, appena trentenne, decide di fondare CIFA, la sua
impresa, mettendosi in proprio dopo aver fatto esperienza in un’azienda
concorrente. “Ho lasciato la mia terra d’origine a 16 anni per trasferirmi
a Milano lavorando sodo” - mi dice - e qui ho trovato terreno fertile per
esprimere la mia voglia di fare”. Oggi ricorrono non solo i 30 anni
della sua azienda, ma anche i 60 anni della sua vita fatta di 36 anni di
matrimonio, due figli e due nipoti. Traguardi importanti raggiunti attraverso
sacrifici e l’impegno meticoloso e costante per specializzarsi sempre di più in un
settore che necessità di idee, innovazione, organizzazione professionale e serietà
- sempre più definiti - per stare sul mercato.
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UOMINI E MESTIERI
Aprile, Maggio, Giugno 201278 Aprile, Maggio, Giugno 2012 79
UOMINI E MESTIERIUOMINI E MESTIERI
Valori e concetti condivisi con la famiglia e i suoi
collaboratori incentivati, da un clima imprenditoriale-
famigliare, a svolgere sempre meglio il proprio
lavoro. A coordinare la gran mole di lavoro di CIFA
oggi al suo fianco ci sono
anche i giovani figli Silvia ed
Angelo. Proprio quest’ultimo
vicepresidente della società, mi
dice: “se all’inizio erano solo 150
mq di superficie in cui convivevano
show room, magazzino e uffici, oggi
la CIFA occupa 8.000 mq, ha 30
maestranze alle dipendenze, un
portafoglio di più di 2000 clienti
e 15.000 articoli in catalogo”.
Numeri e specializzazioni che
la proiettano al vertice delle
aziende leader in Italia per
la fornitura di prodotti per il
mondo della ristorazione e
dell’hotellerie.
“CIFA opera soprattutto in Italia,
ma anche all’estero, attraverso agenti
plurimandatari che si propongono
Prodotti di assoluta qualità e la serietà di un marchio che vanta 30 anni d’esperienza nel settore
Numeri che la proiettano al vertice delle aziende leader in Italia per la fornitura di prodotti per la ristorazione e dell’hotellerie
CIFA Centro Italiano Forniture AlberghiereVia Della Traversa, 122074 Lomazzo (CO)Tel. 02 96779084
ad una clientela variegata, dalla
commerciale moderna alla collettiva
- continua - come per esempio
Autogrill, Chef Express, Gruppo
Elior, Mc Donald’s, Cremonini,
Compass Group, Pellegrini e
tanti altri, partendo dai bar di
tendenza e soddisfacendo anche
la richiesta della ristorazione d’elite
dove in portafoglio abbiamo importanti e
blasonati ristoranti, pluripremiati dalle guide
di settore”.
La forza di CIFA è questa: la sua trasversalità e un
catalogo prodotti infinito. I tre
marchi qualificanti di CIFA
sono le porcellane inglesi
Dudson: “sono stati i primi 30
anni fa a credere in noi a dispetto
della nostra iniziale dimensione
aziendale e ancor oggi dopo tanto
tempo siamo i loro referenti per il
mercato italiano - gli fa eco il papà
Vittorio - e poi Eternum per le posate e
Royale per le porcellane da forno e da buffet”.
CIFA è l’esempio di azienda specializzata
nella fornitura di attrezzature per i professionisti
dell’accoglienza, capace di interpretare le esigenze di
ogni singola richiesta da parte della clientela,
personalizzandone l’offerta, percependone gli
imput, rimanendo sempre attenta al trend di
mercato. A garanzia di ciò, prodotti di assoluta
qualità e la serietà di un marchio come CIFA
che quest’anno compie 30 anni d’esperienza
nel settore.
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EVENTI EVENTI
Pentole Agnelli e “Festa a Vico”: alleanza consolidata dedicata agli chef e alla ristorazioneLa nona edizione della kermesse gastronomica ideata da Gennaro Esposito si è svolta come sempre a Vico Equense
LaFesta a Vico ha
archiviato la sua nona
edizione tra chef, noti e
non, giovani e meno, che
si sono misurati per due
giorni in una kermesse
piena di cucina, amicizia, confronti e piacere edonistico.
La Festa a Vico che si consuma in quel di Vico Equense,
sul litorale della penisola Sorrentina, ha anche sempre
qualcosa da dire dal punto di vista didattico-culturale.
Infatti erano anche presenti noti gastronomi, gastrosofi,
operatori enoici, professori di palato, liberi docenti
dell’olfatto, più un variopinto plotone di giornalisti
e di consumatori sempre accampati alla confluenza
gastronomia-cultura-piacere.
Il tema svolto quest’anno riguardava “quale piatto
alla fine del mondo?”. Il linguaggio della cucina che
ne è uscito prima che finisca il mondo, è quello della
tradizione, dell’innovazione, della sperimentazione e
dell’audacia anche. Ma soprattutto del piacere.
Elba Drink: “Divertitevi in sicurezza” È il messaggio ai giovani della manifestazione “bere bene consapevole”
Elba Drink nasce da un’idea
di Bruno Liconti e del
Presidente degli Albergatori
dell’Isola d’Elba, Massimo
De Ferrari: giunto ormai
alla sua diciassettesima
edizione si prefigge lo scopo di insegnare ai
giovani come bere consapevolmente senza lo
“sballo”. L’Evento, la cui edizione 2012 si è svolta
il 18 maggio all’ isola d’Elba, consiste in una
gara fra barman proveniente
da ogni regione d’Italia che
preparano i migliori cocktail
a “prova di palloncino”, con
tasso alcolico cioè inferiore ai
12 gradi. La manifestazione,
promossa dall’Associazione
Italiana Barmen e Sostenitori
(AIBES), a cui ha partecipato
anche la Polizia di Stato, ha
ottenuto il patrocinio del
Ministero delle Politiche
Agricole Alimentari e
Forestali e quello del
Ministero degli Interni.
Inoltre è stato realizzato
in collaborazione con la
ASL e la Croce Rossa. Alla
manifestazione, presentata
dal noto giornalista televisivo
mezzobusto del Tg1, Attilio
Romita, sono intervenute
varie personalità del mondo
del giornalismo, dello sport,
della televisione, del mondo
del turismo e della cultura,
che hanno evidenziato
l’importanza di un bere
consapevole, soprattutto
da parte dei giovani, e del
nobile scopo che si prefigge la
manifestazione.
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Pentole Agnelli come ogni anno ha ribadito la sua
partecipazione all’iniziativa di Gennaro Esposito
nella convinzione che impulsi del genere, fanno
sempre bene al mondo della Ristorazione.
L’alleanza tra “Festa a Vico” e Pentole Agnelli, forte
fin dalla prima edizione, infatti rappresenta un
rapporto consolidato atto a rafforzare, promuovere ed
incentivare, sempre di più, l’eccellenza gastronomica
italiana attraverso l’incontro e il confronto fra i cuochi.
Un appuntamento annuale significativo per
Pentole Agnelli a rimarcare il suo impegno verso
la promozione, a tutti i livelli, del lavoro in cucina.
L’esperienza di Baldassare Agnelli, è anche sinonimo di
garanzia per la “Festa a Vico” e quindi per gli chef più
esigenti. Un marchio di qualità e un azienda del made
in Italy qualificante, impegnata ancor più e sempre a
fianco degli chef, affinché, congiuntura faccia sempre
più rima con Cultura.
Pentole Agnelli ha ribadito la sua partecipazione all’iniziativa di Gennaro Esposito nella convinzione che impulsi del genere, fanno sempre bene al mondo della Ristorazione
Un appuntamento annuale signifi cativo per Pentole Agnelli a rimarcare il suo impegno verso la promozione, a tutti i livelli, del lavoro in cucina
EVENTIEVENTI
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EVENTIEVENTI
Pentole Agnelli e “Festa a Vico” si sono ritrovati
insieme anche quest’anno quindi per vivere un
momento di piacere, ma anche per esprimere una
feconda attività a suggello e legittimazione del
comparto della ristorazione italiana. E per potenziare
l’immagine culturale della stessa, in uno dei periodi di
maggiore tormento: per l’economia italiana e per i noti
disastri del terremoto che ha colpito l’Emilia.
Se volete vedere
la rassegna fotografica
della Festa a Vico
potete cliccare su:
www.pentoleagnelli.it
Pentole Agnelli e “Festa a Vico” si sono ritrovati insieme per esprimere una feconda attività del comparto della ristorazione italiana
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delle pentole in cucina: diventato
il vademecum indispensabile per
chiunque voglia approfondire
questa scienza. I temi trattati
durante il seminario Saps presso
l’Unisg di Pollenzo quindi sono
stati molteplici e carichi di
interesse per il folto numero di
studenti partecipanti: dal capire
perché una pentola è più adatta
rispetto ad un’altra a cuocere,
alla rappresentazione dei valori di conduzione dei
vari materiali in cui sono prodotti gli strumenti di
cottura, agli argomenti di eco- sostenibilità di alcuni
metalli rispetto agli altri (come l’alluminio con cui
si producono le pentole Agnelli che, oltre ad essere
riciclabile al 100% e ad avere un peso molto inferiore
rispetto per esempio all’acciaio - quindi anche più
maneggevole - consuma meno energia sia per essere
prodotto che per cucinare).
Fino anche ai temi che possono sembrare banali
come per esempio le forme delle pentole che devono
avere una forma cilindrica per essere valide complici
in cucina perché riesce a trattenere
meglio e di più il calore, (infatti,
maggiore è la superficie di un
corpo rispetto al volume,
minore è la dispersione
termica), o a quelli di
carattere legislativo in
riferimento alle regole
approvate dal Ministero
della Salute dei metalli al
contatto con gli alimenti. Se è
vero che dietro qualsiasi attività
umana c’è la scienza, anche per
cuocere quindi vale questa regola.
È come lo scheletro per una persona:
non si vede, ma è necessario. Danilo
Amigoni durante il suo intervento
ha spiegato che sembrerebbe
che la scienza, in cucina, non
ha diritto di cittadinanza, la
cucina è il luogo dei profumi
e dei sapori, e non c’è posto per
numeri o formule, ma a guardare
meglio, dietro l’arrostitura, la
mantecatura e le fritture emergono
altri meccanismi, che un occhio
esercitato riesce a cogliere e a
portare alla luce.
Meccanismi che regolano il
funzionamento e la struttura degli
strumenti di cottura che usiamo
quotidianamente, e che celano al
loro interno una grande quantità di scienza spesso
tutt’altro che elementare. Come per esempio lo
spessore delle pentole che è fondamentale per la
cottura. Gli studenti dell’Università delle Scienze
Gastronomiche intervenuti hanno anche avuto la
possibilità di apprendere, attraverso un video, i diversi
processi produttivi di una pentola Agnelli, dallo
stampaggio al fissaggio degli antiaderenti, respirando
così la cultura produttiva made in Italy insieme alla
tradizione trasmessa dallo Museo della Pentola di
Lallio. Arricchendo così il loro percorso formativo con
notizie teoriche e pratiche e aspetti concreti, che li
aiuteranno nel loro futuro percorso lavorativo.
EVENTIEVENTI
SAPS sale in cattedra
A fine maggio si è svolto, presso
l’Università di Scienze
Gastronomiche di Pollenzo
(Cn), il seminario “Forme e
materiali degli strumenti di
cottura” organizzato dall’Ateneo
che fa riferimento a Slow Food, in collaborazione
con il Centro di Ricerca e Formazione Saps
fondato dalle aziende di pentole Baldassare Agnelli
e Fasa. Il seminario, tenutosi presso l’Ateneo
pollentino, era rivolto agli studenti Unisg dell’ultimo
anno ed è stato presieduto dall’architetto Antonio
Montanari, professore presso l’Università di Scienze
Gastronomiche di Pollenzo dove tiene il corso di
“Sistemi di Ristorazione”.
A condurlo è stato da Danilo Amigoni, esperto
responsabile di Saps. L’architetto Antonio Montanari,
specializzato nel settore della ristorazione e
dell’alberghiero dove ha progettato e diretto lavori
per sistemi di ristorazione universitaria, ospedaliera,
mense aziendali, centri cottura comunali e nel settore
commerciale, turistico e alberghiero con significative
esperienze anche all’estero, ben conosce il valore dei
temi trattati da oltre 10 anni dal centro di Ricerca
e Formazione Saps. Così ha chiamato Saps a tenere
questa lezione presso l’Unisg: in primis perché il
Centro di Lallio (Bg), fondato dalla famiglia Agnelli,
si è distinto negli anni per essere il principale punto
di riferimento della cultura sugli strumenti di cottura
professionali in Italia, ma il motivo è anche perché
Saps è l’artefice del Manuale Strumenti di Cottura
che svela i sotterranei scientifici del corretto uso
All’Università di Scienze Gastronomiche di Pollenzo la lezione sulle forme e materiali degli strumenti di cottura
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STRUMENTI DI COTTURASTRUMENTI DI COTTURA
Dal 1932 la storica Collezione di Baldassare Agnelli
Lo stile in cucina è un linguaggio fatto da un lessico pieno di ingredienti e da una sintassi che ne intreccia le regole.
Chi manovra le pentole non può prescindere da questi due elementi e chi gode della tavola sa che i buoni piatti
non provengono mai da ostentazione di destrezza e di originalità estrema.
Così per consacrare il rito del cucinare e del mangiare bene Pentole
Agnelli ha riprodotto, in chiave moderna,
una collezione di strumenti di cottura in
Per cucinare, per servire con stile gli ospiti, per regalare, per contenere, per arredare…
Baldassare Agnelli1932 recupera il valore della buona cucina e l’arte della tavola
alluminio e alluminio antiaderente per cucinare e
per servire nata nel 1932. La nuova linea Baldassare
Agnelli 1932, recupera il valore della buona cucina e
l’arte della tavola nel suo metallo più nobile, leggero,
multifunzionale e avveniristico come l’alluminio.
Il corretto dimensionamento sia delle forme che
degli spessori e le più raffinate finiture, rendono le
pentole della Collezione Baldassare Agnelli 1932
oggetti unici in cui la preparazione è servita nello
strumento di cottura, in porzione singola. Due le belle
finiture disponibili: in puro alluminio alimentare con
spessore professionale di 3 mm la prima, nello speciale
e resistessimo antiaderente Withford, colore bianco
ceramico, la seconda.
Le dimensioni contenute vanno da 10 cm di diametro
a 16 massimo, solo per alcune referenze.
Naturalmente con le Baldassare Agnelli 1932 si può
cucinare o “rifinire” la cottura di qualsiasi cibo.
Puro alluminio alimentare 3 mm, nello speciale e resistessimo antiaderente Withford
Puro alluminio alimentare 3 mm
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