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I RAGGI X
LA LEZIONE
LA NATURA DEI RAGGI RÖNTGEN
A cavallo tra l’Ottocento e il Novecento la fisica dei raggi aprì strade inesplorate nella medicina con le applicazioni radiologiche. L’importanza della scoperta dei raggi X del
1895 fu sancita nel 1901 con il primo premio Nobel per la fisica a Wilhelm Conrad
Röntgen. Il fisico tedesco aveva perfezionato il tubo ad alto vuoto per la produzione
dei nuovi raggi e studiato alcune delle caratteristiche fisiche. Solo però con
l’identificazione dei raggi catodici come particelle leggere dotate di massa e carica
negativa portò a ipotizzare che l’emissione dei raggi X fosse un disturbo elettromagnetico dovuto agli urti dei corpuscoli sull’anticatodo o sulle pareti del tubo.
Un impulso dell’etere, il mezzo caratteristico che si pensava trasportasse le onde
elettromagnetiche. I raggi X erano dunque considerati da molti ricercatori un insieme
di impulsi emessi casualmente dalla materia.
fig.1 Una delle prime immagini ottenute in Italia con i raggi X dal fisico Augusto Righi;
fig.2 Un’illustrazione degli inizi del Novecento dei raggi X come impulsi secondo
l’inglese Stokes (A. Authier, Early days of X-rays cristallography, Oxford University
Press, 2013)
“tra il 1898 e il 1912- scrive B. Wheaton- la maggioranza dei fisici pensava che i raggi X fossero impulsi […]. Solo il loro numero, estremamente grande, dava l’impressione
di continuità. Sebbene questa ipotesi fosse compatibile con la teoria elettromagnetica
ondulatoria della luce, essa ne rappresentava un caso speciale. […] Un impulso collide,
non entra in risonanza con un atomo.” B. R. Wheaton, The tiger and the shark,
Empirical roots of wave-particle dualism, Cambridge University Press, 1983, pag. 15.
Il decano dei fisici inglese George Gabriel Stokes fu uno dei padri fondatori di una
teoria (ether pulse) capace di spiegare molti dei fenomeni conosciuti e di postulare la
difficoltà o l’impossibilità di rilevare la loro diffrazione. A livello continentale, alla fine
dell’Ottocento, un giovane Privatdozent come Arnold Sommerfeld poteva mostrare
come la teoria degli impulsi rappresentasse uno dei settori più avanzati della fisica
matematica. Nello stesso periodo due fisici sperimentali olandesi presentarono
fotografie ottenute osservando raggi X che attraversavano fessure cuneiformi aventi dimensioni prossime al micron, valutando la lunghezza d’onda dei raggi X dell’ordine
di 10-8 cm. La “prova” sperimentale era un confuso e leggero allargamento
dell’immagine su una lastra fotografica. Sommerfeld nel dicembre 1899 prese in
considerazione impulsi elettromagnetici e raggiunse la conclusione che la diffrazione di
questi attraverso una fenditura non avrebbe portato a frange d’interferenza, ma solo a
una variazione di intensità dei raggi X al di là della fenditura. Le sue ricerche gli
valsero nel 1906 la cattedra di fisica teorica all’Università Ludwing Maximilian di Monaco, dove Röntgen era titolare della cattedra di fisica sperimentale.
fig.3 Primi tentativi della misura della
lunghezza d’onda dei raggi X
fig.4 Raffigurazione degli impulsi secondo
Arnold Sommerfeld in lavori di inizio secolo
Un anno prima un giovane fisico sconosciuto
Albert Einstein aveva pubblicato importanti lavori sul moto delle particelle in sospensione, sull’elettrodinamica dei corpi in movimento e aveva presentato, in un
terzo articolo, un punto di vista euristico relativo alla generalizzazione e alla
trasformazione della luce. L’idea radicale di Einstein della luce composta da quanti
localizzati di energia fu considerata da altri teorici come Max Planck un passo non
necessario ed ebbe inizialmente pochissimi estimatori, tra questi si distinse Johannes
Stark. Un altro oppositore alla teoria impulsiva dei raggi X fu William Henry Bragg. Il professore di fisica dell’Università di Leeds nel 1907 ipotizzò i raggi X composti da
coppie di particelle cariche di segno opposto. Come spiega Heilbron: “un corpuscolo
espulso da un atomo dai raggi X poteva possedere un’energia cinetica quasi pari a
quella della particella del raggio catodico che aveva prodotto quei raggi X. Questo
fenomeno impressionò particolarmente William Henry Bragg, […], che con la tipica
abilità britannica per le analogie meccaniche, lo paragonò a una situazione in cui un sasso, cadendo in un lago, genera un’onda che si propaga nell’acqua, e quando una
porrzione del fronte d’onda colpisce un sasso identico al primo, l’onda concentra su di
esso tutta la sua energia scagliando il secondo sasso alla stessa altezza da cui era
caduto il primo.”
La polemica tra Bragg e Charles Glover Barkla, lo scopritore della polarizzazione dei
raggi X, nell’interpretazione dei fenomeni caratteristici dei raggi X si protrasse fino al
1912 ed ebbe un corrispettivo continentale tra Stark e Sommerfeld.
fig.5 Articolo di Johannes Stark del 1907 sull’interpretazione corpuscolare della
radiazione Röntgen
Il sostenitore dei quanti di luce, in una lettera a Nature del 1908 scriveva: “Nella sua
teoria […] Planck ha trovato la semplice legge ε=hν=hc/λ, dove ε è un elemento di
energia, h = 6,55 10-27 una costante, ε la frequenza, λ la lunghezza d’onda del
risonatore elettromagnetico, c la velocità della luce; in accordo a questa legge
elementare, l’energia del risonatore elettromagnetico cambia durante un periodo di un
multiplo di ε. Applicando la legge all’emissione dei raggi Röntgen […] poniamo
eV=mv2/2 per l’energia del raggio catodico, e la sua carica elettrica, V la differenza di
potenziale. L’energia cinetica totale può essere, attraverso il frenamento, trasformata
in energia di radiazione. La più piccola lunghezza d’onda della radiazione Röntgen
emessa è allora λ0=2hc/eV, per una differenza di 60.000 V [tra catodo e anticatodo] in un tubo Röntgen λ0=6 10-9 cm, Haga e Wind hanno trovato con un esperimento di
diffrazione per la lunghezza d’onda dei raggi λ utilizzati il valore 5 10-9 cm. È chiaro
che la trasformazione inversa da raggi Röntgen in energia cinetica dei raggi catodici
dà l’emissione dei raggi catodici secondari, di raggi Röntgen, e più genericamente
luce.” J. Stark, The wave-lenght of Röntgen rays, Nature, 1908.
LA RADIAZIONE DI FRENAMENTO
Barkla fu il primo a investigare sulla polarizzazione dei raggi X e la terminologia
moderna per molti anni fu debitrice delle ricerche del fisico inglese. Egli dimostrò che i
raggi X, parzialmente polarizzati piani, nell’attraversare un materiale, producevano
due tipi di fasci secondari: il primo, indicato con il termine diffuso, polarizzato e con le
stesse caratteristiche del primario; il secondo, chiamato radiazione fluorescente, in analogia alla luce fluorescente di Stokes, dipendeva dal materiale utilizzato. Infine nel
1910, analizzando gli elementi pesanti distinse nella radiazione fluorescente una parte
più penetrante, indicata con la lettera K, e un’altra meno penetrante, distinta con la
lettera L.
fig.6 Picchi di assorbimento della radiazione secondaria
(fluorescenza) dei raggi X a
una particolare lunghezza
d’onda
Nel 1909 Einstein,
analizzando le fluttuazioni
del corpo nero, aveva ottenuto nella radiazione due
componenti: la prima
ondulatoria che
corrispondeva alla forma
dell’equipartizione
dell’energia della statistica classica (equazione di Rayleigh-Jeans), la seconda corpuscolare, tipica della regione
ad alte frequenze dove la legge di Planck era quasi coincidente con quella di Wien. In
una degli incontri tra fisici dove Einstein presentò queste idee, a Salisburgo, trovò il
solo Stark come attento uditore. Nel corso dello stesso anno Stark, professore ad
Aachen, studiò l’asimmetria angolare delle intensità della distribuzione dei raggi X
diffusi che non poteva essere spiegata, secondo le sue considerazioni, con una teoria ondulatoria. I quanti di luce einsteiniani avevano ora non solo un’energia, ma anche
una quantità di moto relativistica pari a: hν/c. La risposta al lavoro di Stark non si
fece attendere e Sommerfeld elaborò una teoria della radiazione di frenamento che
potesse giustificare la distribuzione dei raggi X polarizzati secondo una trattazione
ondulatoria, riuscendo ancora una volta a mostrare che la matematica degli impulsi
poteva giungere a risultati non intuitivi.
fig.7 Distribuzione dell’intensità della radiazione X secondo Sommerfeld;
fig.8 Modello di Sommerfeld del 1911 per la spiegazione della disuniformità della
distribuzione della radiazione Röntgen
Nel dicembre 1909, Sommerfeld scriveva a Stark, rivendicando la possibilità di
spiegare il fenomeno misurato dal professore di Aachen attraverso la teoria del frenamento dei raggi X, senza avere la necessità di impiegare l’ipotetica e incerta
teoria dei quanti di luce. Ciò non deve far pensare a un’avversione di Sommerfeld
verso la teoria dei quanti di Planck, tant’è che appena qualche mese dopo Sommerfeld
introdusse la sua regola di quantizzazione per sistemi non solo periodici. La polemica
tra i due fisici tedeschi non fu mai del tutto ricomposta. Per molti anni, Stark fu uno
dei pochi autori a cimentarsi in fantasiosi ed elementari calcoli sui quanti di luce.
Sommerfeld a sua volta stava approfondendo la sua conoscenza, anche sperimentale, dei raggi X e gamma, per applicare la sua interpretazione della costante h. Nel primo
Congresso Solvay del 1911 il fisico teorico di Monaco presentò le sue idee sul quanto
di azione applicandole a tre campi: i raggi X, i raggi gamma, l’effetto fotoelettrico. Nel
paragrafo dedicato alla radiazione Röntgen ricordava la sua interpretazione della loro
natura come pulsazioni elettromagnetiche provocate dall’arresto delle particelle
catodiche. L’elettrone con velocità v passava, in un tempo infinitesimo τ e seguendo una traiettoria rettilinea di lunghezza inferiore alle dimensioni atomiche, dall’energia
cinetica relativistica m0c2(1-β2)-1/2, con β uguale al rapporto v/c, al valore: m0c2.
Facendo riferimento a una figura asimmetrica di due circonferenze (proiezione di due
sfere su un piano) la prima di raggio ct e la seconda di raggio c(t-τ) spiegava: “La
pulsazione elettromagnetica emessa durante l’arresto si trova per ogni t entro le due
sfere […]. L’impulso compreso tra le due sfere ha uno spessore variabile da un punto a un altro; lo spessore medio λ= cτ corrisponde all’emissione nella direzione normale
(perpendicolare alla direzione dei raggi catodici e non al piano dell’anticatodo); gli
spessori minimo e massimo si trovano nelle direzioni φ=0 e φ=π. Così la durata dei
raggi Röntgen deve essere considerata come variabile in senso inverso dello spessore
dell’impulso, conformemente all’esperienza essa aumenta quando φ diminuisce.” P.
Langevin, M. de Broglie, La théorie du rayonnement et les quanta, rapports et
discussions de la reunion tenue à Bruxelles, du 30 octobre au 3 novembre 1911, sous les auspices de M.E. Solvay, 1912.
A sostegno delle sue affermazioni citava le osservazioni del signor Friedrich realizzate
per la dissertazione sotto la direzione del professor Röntgen e basate sulla
ionizzazione provocata dai raggi X. L’imposizione della condizione generale di
quantizzazione: Eτ=h e il confronto con misure sperimentali lo portava a valutare la
velocità relativa degli elettroni pari a 0,4 volte la velocità della luce, la lunghezza
d’onda uguale a 1,5 10-9 cm, il cammino percorso durante il frenamento: l=3 10-10
cm, inferiore alle dimensioni molecolari poste uguali a 10-8 cm. Sui raggi γ il professore di fisica teorica discusse l’espulsione di elettroni (radiazione beta)
accelerati su brevi distanze in un intervallo di tempo infinitesimo. La radiazione era
allora concentrata in lobi e doveva seguire una relazione precisa collegata a costanti
elementari tutte conosciute ad eccezione della velocità degli elettroni.
fig.9 Radiazione
dipendente dalla velocità degli
elettroni secondo
Sommerfeld
fig.10 Lettera del 1911 sull’ipotesi h di Sommerfeld
Planck nell’aprile del 1911 scriveva a Sommerfeld di essere favorevolmente impressionato dall’uso della costante h nei sistemi non periodici. La verifica
sperimentale della nuova teoria della radiazione elaborata da Sommerfeld era uno
degli obiettivi di ricerca dell’Università di Monaco.
LA DIFFRAZIONE DELLA RADIAZIONE RÖNTGEN
All’inizio del 1912, nell’Istituto di Monaco, a fianco di Sommerfeld, lavoravano Peter
Debye, Max von Laue, esperto di ottica, e il nuovo assistente, esperto di raggi X, Walther Friedrich. Tra i suoi studenti, nel febbraio 1912 Peter Paul Elwald terminò una
tesi di dottorato sulle proprietà ottiche di una disposizione non isotropa di risonatori,
tema che si ricollegava alla teoria della dispersione.
fig.11 Frontespizio della dissertazione di Paul
Ewald del febbraio 1912
Il giovane nel mese di marzo ne discusse il
contenuto al cospetto di una commissione di
eccellenze: Sommerfeld, Röntgen, Pringsheim e
il professore di mineralogia Paul Groth, autore di
trattati di cristallografia. I risultati di Elwald oggi
possono essere ottenuti utilizzando la
trasformata di Fourier e presuppongono l’ipotesi che il cristallo sia costituito da un insieme
ordinato di dipoli equidistanti in un reticolo,
un’immagine all’epoca non usuale. Elwald
discusse aspetti della sua tesi sia con von Laue
che con Debye. Secondo le testimonianze dei
protagonisti fu Max von Laue che ipotizzò la possibilità di ottenere la diffrazione dei raggi X
utilizzando dei cristalli. L’apparato sperimentale
non necessitava di strumentazione diversa da
quella reperibile nei principali laboratori di fisica
dei raggi X. Eppure le discussioni con
Sommerfeld non portarono immediatamente il direttore a concedere il materiale del
suo Istituto. Il suo scetticismo, basato anche sulla conoscenza dei tentativi infruttuosi di Röntgen, si univa alla volontà di non distogliere Friedrich dal suo programma
principale di ricerca: lo studio delle intensità della radiazione X e gamma diffuse.
Elwald, Friedrich e von Laue, trovarono in Paul Knipping (studente di Röntgen che
lavorava sui raggi X) un aiuto per intraprendere l’impresa. Il primo tentativo
infruttuoso fu realizzato con Sommerfeld lontano dall’Istituto. La modifica della
disposizione della lastra portò alla prima figura di interferenza datata aprile 1912.
fig.12 Apparato e prima foto della diffrazione dei raggi X ottenuta a Monaco nel 1912
Dopo il primo successo Sommerfeld rivide la sua posizione, concentrando il lavoro di
Friedrich sui cristalli e favorendo il miglioramento dell’apparato sperimentale. Röntgen
fu tra i primi a vedere la foto e fu profondamente impressionato. L’interpretazione
della figura di diffrazione era ancora lontana, inoltre Max von Laue era convinto che la
radiazione fluorescente dei raggi X fosse la responsabile del fenomeno. Solo nel 1913
si allineò alla posizione del giovane William Lawrence Bragg che interpretò la diffrazione come effetto del cristallo che selezionava la radiazione diffusa continua
polarizzata dei raggi X. Già nel mese di maggio 1912 Sommerfeld realizzò un
documento per assicurare la priorità della scoperta a Laue, Knipping e Friedrich e
nell’estate furono pubblicati due distinti articoli sull’argomento, quello teorico era ad
opera del solo Max von Laue.
fig.13 Documento redatto a Monaco nel 1912 per certificare la scoperta della
diffrazione dei raggi X
fig.14 Apparato per lo
studio della diffrazione dei raggi X a Monaco
Le immagini delle lastre
fotografiche sembravano
sollevare gli ultimi dubbi
sulla natura dei raggi X e
sulla simmetria interna
dei cristalli. Laue interpretò la regolarità
sviluppando una teoria
della diffrazione basata su
un numero limitato di
lunghezze d’onda dei
raggi X. La pubblicazione diede immediatamente
impulso alle discussioni.
Stark ribadì la sua posizione, dando nell’estate un’interpretazione corpuscolare del
fenomeno. Nel mondo anglosassone William Lawrence Bragg riprese gli esperimenti
dei fisici tedeschi e costruì le “immagini” dei cristalli a partire da una legge della
riflessione dei piani del reticolo cristallino secondo la nota: nλ=2d senθ.
fig.15 Una delle prime “immagini” di un cristallo ottenute con radiazione Röntgen;
fig.16 L’interpretazione corpuscolare delle esperienze di Monaco fornita da Stark
Lo spettro dei raggi X che irradiava il cristallo era continuo, ma solo le lunghezze
d’onda che soddisfacevano la legge poi chiamata di Bragg formavano interferenza costruttiva. La formula ripresa da esperienze analoghe di ottica gli permetteva di
iniziare un’analisi approfondita delle strutture cristalline dopo aver fissato la distanza
interplanare, uguale a 2,8 10-8 cm, del cristallo a struttura cubica a facce centrate del
cloruro di sodio, grazie a considerazioni che utilizzavano il numero di Avogadro, il peso
molecolare, la densità e il volume della celletta elementare.
fig.17 L’interpretazione dei fenomeni di diffrazione dei
raggi X da parte di William
Lawrence Bragg
Nel dicembre dello stesso
anno Willie ottenne la
riflessione speculare dei raggi X dalla mica. Il padre, William
Henry Bragg, ormai convinto
della natura ondulatoria dei
raggi, nel 1913 iniziò una
collaborazione con il figlio che
portò alla realizzazione di uno
degli strumenti base per l’analisi della spettroscopia dei raggi X (lo spettrografo di Bragg con camera di ionizzazione) e all’analisi sistematica di moltissime strutture
cristalline. Nel 1913 il secondo Congresso Solvay fu dedicato alla struttura della
materia. Max von Laue discusse i fenomeni d’interferenza dei raggi Röntgen; William
Henry Bragg presentò lo spettrometro a raggi X; William Barlow e William Jackson
Pope parlarono della struttura cristallina; Marcel Brillouin fece alcune considerazioni
sulla struttura dei cristalli e l’anisotropia delle molecole. Nel 1914 Max von Laue fu
insignito del premio Nobel e l’anno successivo toccò ai Bragg.
fig.18 Foto di diffrazione dei raggi X e stereogramma realizzato da Bragg
dell’immagine di un cristallo; fig.19 Spettrometro Bragg
LA SPETTROSCOPIA DEI RAGGI X
La legge di Bragg segnò la nascita della spettroscopia di precisione per la radiazione
caratteristica (fluorescente) dei raggi X, Barkla fu insignito del Nobel per la fisica nel
1917 per le sue ricerche pioneristiche in tale campo.
fig.20 Prime indicazioni sugli spettri caratteristici di un elemento; fig.21 Diversi
assorbimenti per la radiazione K e L di un elemento
Nel 1913 e 1914 diversi autori, tra cui Maurice de Broglie e Henry Moseley,
realizzarono metodi fotografici per gli spettri dei raggi X caratteristici degli elementi.
fig.22 Francobollo
commemorativo delle ricerche pioneristiche di
Maurice de Broglie sugli
spettri dei raggi X degli
elementi realizzati con
cristalli rotanti
Quest’ultimo migliorò la
misura della distanza interplanare del reticolo
NaCl utilizzando il valore
2,814 10-8 cm e anche
grazie a una legge empirica che collegava la radice quadrata della frequenza al
numero atomico dell’elemento riuscì a produrre spettri di moltissimi atomi.
fig.23 Linee K degli spettri caratteristici di elementi; fig.24 Classificazione di Henry Moseley del 1913 degli elementi realizzata in base alle misure spettroscopiche delle
frequenze delle serie K
La sua legge fu in seguito impiegata per individuare elementi mancanti nella tavola
periodica (l’afnio e il renio). La semplicità degli spettri caratteristici dei raggi X degli
elementi, se confrontati con quelli della luce visibile, fu affrontata con modelli che
facevano riferimento alla teoria atomica di Bohr.
fig.25 Righe spettrali della serie K degli elementi dal rodio all’arsenico;
fig.26 Righe spettrali della serie L dall’oro al bismuto
Fu Walther Kossel, dell’Università di Monaco, che per primo propose
un’interpretazione, poi sviluppata dallo stesso Sommerfeld.
fig.27 Interpretazione atomiche delle linee spettrali dei raggi X caratteristici;
fig.28 Lo spettro continuo diffuso detto anche fluorescente dei raggi X
La spiegazione qualitativa degli spettri caratteristici era affidata ai seguenti
ragionamenti: “un atomo con molti elettroni può, comunque, essere eccitato molto più violentemente […] nel caso in cui un elettrone che si muove molto velocemente (un
raggio catodico o una particella beta del radio) espella un elettrone della regione più
interna. Una tale invasione produce un serio disturbo nella stabilità del sistema […] e
uno degli elettroni più esterni, più debolmente vincolati, prende il [suo] posto vacante.
Valori abbastanza grandi di energia sono emessi. La radiazione ha quindi una
frequenza molto elevata, raggi X monocromatici sono così emessi. Poiché questi
hanno origine in processi che avvengono all’interno dell’atomo, si può comprendere che i vari elementi hanno differenti spettri di raggi X caratteristici capaci di fornire
preziose informazioni sulla struttura del sistema di elettroni.” H. A. Kramers, The
atom and the Bohr theory of its structure, 1923, pp. 160-161.
Dunque era chiaro, agli inizi del 1920, che colpendo un bersaglio costituito da un
elemento con elettroni energetici o raggi X si producevano raggi X secondari il cui
spettro, con il miglioramento della capacità di analisi dell’intensità della radiazione,
poteva essere scomposto in due parti: una continua, indipendente dall’elemento; e
l’altra discreta, riconducibile a modelli atomici della teoria dei quanti. La prima aveva avuto come modello le teorie diffusive della radiazione di frenamento, mentre la
seconda era affrontata con l’utilizzo di livelli energetici caratterizzati dalle lettere K, L,
M. Nel 1924 allo svedese Karl Manne George Siegbahn fu assegnato il premio Nobel
per le sue ricerche su nuove serie caratteristiche degli spettri di raggi X.
La strana commistione tra continuo e discreto dei raggi X, che ne aveva caratterizzato
gli inizi, continuava anche in questo periodo e anche la parte classica della radiazione
X aveva portato l’americano William Duane e molti altri a proporre, già dal 1915, un metodo per la determinazione di precisione di h a partire dalle frequenze limite dello
spettro continuo che richiamavano espressioni analoghe a quelle utilizzate da Millikan
nell’effetto fotoelettrico. I quanti di luce rimanevano però ancora ai margini della
trattazione teorica del fenomeno.
fig.29 Determinazione della costante di Planck attraverso misure spettroscopiche dei
raggi X