La Lirica Del Duecento
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CAPITOLO I - LA LIRICA ITALIANA DEL DUECENTO
Introduzione
Il Duecento : secolo della « nascita » della letteratura italiana ?
Il Duecento venne considerato come il secolo della « nascita » della letteratura
italiana. Ma pur tuttavia, tale affermazione dev’essere riconsiderata perché la letteratura in
volgare italiano aveva già dato, come l’abbiamo visto nell’ambito dell’introduzione, i suoi
primi documenti. Possiamo dunque considerare il Duecento come il secolo che offre una
produzione letteraria in volgare che contrasta con il vuoto, o meglio con il « semivuoto » dei
secoli precendeti in cui la lingua volgare appariva per lo più legata a documenti giuridici e
soprattutto a testi del tutto estranei alle preoccupazioni artistiche.
Quali sono le ragioni del decollo della letteratura in volgare italiano ?
Dopo tale constatazione, sarebbe opportuno interrogarci sulle ragioni di un tale
sviluppo e specie sulle ragioni della rapidità di tale sviluppo. Infatti, perché la letteratura in
volgare italiano conobbe un vero e proprio decollo nel Duecento ?
Innanzitutto, va ricordato che la letteratura e la sua espressione linguistica in volgare è
sempre stata legata al contesto storico e politico e nel caso dell’Italia al suo frazionamento
politico in diverse regioni. Il decollo della letteratura in volgare nel Duecento va collegato al
decollo della civiltà italiana soprattutto nel Regno delle Due Sicilie che era sotto il governo
dell’imperatore Federico II di Hohenstaufen ed anche all’apogeo raggiunto dal mondo
comunale.
Un’altra ragione di tale decollo può essere individuata nel regresso generale che
conosce l’Europa e soprattutto il latino e le lingue d’oc e d’oïl.La produzione letteraria appare dunque sempre più connessa al policentrismo
economico, politico e culturale delle diverse regioni d’Italia.
La situazione politica e culturale delle principali regioni d’Italia
Il Nord è caratterizzato dalle corti feudali e dai liberi comuni. In seno a questi due ambienti
diversi nacquero due nuovi tipi di intellettuali : il poeta cortiggiano nell’ambito delle corti
feudali e il laico borghese nell’ambito dei comuni.
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Nel Sud, il regno è fortemente accentrato attorno alla figura di Federico II che tenterà invano
di unificare politicamente l’Italia.
Nel Centro siede la Chiesa in quanto istituzione universalistica sul piano culturale e politico.
Tale frazionamento politico va di pari passo col frazionamento linguistico e letterario che è
possibile rintracciare nei diversi centri.
1°) In Lombardia e nel Veneto, la letteratura è prevalentemente morale e didascalica e in
ciò corrisponde allo spirito pratico dei comuni. Nelle corti feudali ha il sopravvento la
letteratura cortese e cavalleresca di Francia.
2°) In Umbria, sotto l’impulso di San Francesco, la spiritualità conosce un profondo
rinnovamento. L’apparizione degli ordini mendicanti segna profondamente la vita sociale,
letteraria ed artistica. La poesia è prevalentemente religiosa, scritta in volgare umbro e si
manifesta sotto forma di laude liriche e drammatiche come quelle del famoso Jacopone da
Todi. Accanto a tali manifestazioni letterarie ci sono anche le sacre rappresentazioni che
hanno un carattere più popolareggiante.
3°) L’Italia meridionale è sotto l’influsso della corte di federico II nell’ambito della quale
nasce la poesia in volgare con intenti di raffinamento artistico. Tale poesia riprende le
tematiche e le forme della poesia in lingua d’oc « traducendole » in volgare siciliano.
4°) Alla metà del Duecento col venir meno della potenza sveva, l’eredità della poesia
siciliana passerà in Toscana dove i poeti trascrissero con diversi mutamenti linguistici i
canzonieri siciliani emulandoli. La lirica siculo-toscana instaurerà una tradizione tematico-
espressiva che verrà poi arricchita da Dante, Petrarca e Boccaccio e sarà poi eretta a modello
da altre regioni d’Italia. La Toscana duecentesca è quindi contrassegnata da una vasta
produzione poetica ma alcuni scrittori si dedicano anche alla prosa per via dei bisogni
culturali della nuova classe politica in prevalenza borghese. A tale periodo appartengono
scritti originali ma anche un certo moltiplicarsi di volgarizzamenti di trattati francesi e latini
che vertono sulle scienze, la filosofia morale e politica, la retorica.
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Per riassumere è possibile sostenere che la maggior parte delle opere letterarie del
Duecento italiano provengono da tre zone.
1°) La Sicilia, la Toscana e Bologna per quanto riguarda la poesia lirica 2°) Italia centro est e soprattutto l’Umbria nei confronti della letteratura religiosa
3°) Il Nord degli Apennini e il Po per la letteratura cavalleresca in lingua d’oïl e
più precisamente ancora la regione del Veneto ; la poesia cortese in lingua d’oc
soprattutto nelle corti feudali come quella di Genova. ; la letteratura morale e
didattica in Lombardia ed in Emilia.
Inoltre, va considerato che gli scrittori esitano ancora spesso tra diverse lingue. Il
trovatore Sordello (Sordel) scrive il lingua d’oc, Brunetto Latini (Brunet Latin) (che sarà il
maestro di Dante) scrive il suo trattato più importante, il Trésor , in lingua d’oïl proprio come
le memorie di viaggio di Marco Polo saranno scritte da Rustichello da Pisa in lingua d’oïl e
raccolte in un libro intitolato : Livre des merveilles du monde. Inoltre gli scrittori d’Italia
settentrionale esitano tra l’umbro, il toscano ed il siciliano. Finalmente il latino rimane la
lingua usata per un’importante produzione letteraria e più specificamente per le opere dell’alta
cultura ma anche per opere di divulgazione come le cronache oppure anche come le vite dei
santi.
Infatti, va ricordato che gli intellettuali conoscono e scrivono in latino. Dante per
esemipo scriverà parte della sua opera in latino. Basti ricordare la Monarchia, il De vulgari
eloquentia, le Ecloghe. I classici latini sono sempre più ritenuti come un alto modello
stilistico. Dante prenderà Virgilio come guida del suo viaggio escatologico e riconoscerà
l’ Eneide come alto modello di stile.
La tradizione classica diventa dunque sempre più un elemento unificatore
dell’esperienza letteraria italiana.
Per riassumere, il Duecento si presenta come un secolo ricco per la letteratura
italiana con l’apparire della poesia lirica tramite l’esperienza della « scuola » dei siciliani che
verrà poi ripresa dalla scuola toscana alla quale farà seguito il dolce stil nuovo. Ma anche
tramite la letteratura religiosa e le Laude di Jacopone da Todi e la letteratura in prosa con
Marco Polo e Brunetto Latini. Nell’ambito della lezione ci interesseremo soprattutto e quasi
esclusivamente alla poesia lirica.
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I – La scuola Siciliana
I.1 - Definizione e delineamento del contesto storico-politico
“I Siciliani” come li chiamerà il Petrarca nel Trionfo d’Amore furono i primitrovatori o poeti aulici in volgare di sì. Ricordiamo che gli iniziatori di questa forma di poesia
cortese erano stati i trovatori in senso stretto, cioè i trovatori operanti dunque in lingua d’oc :
l’antica lingua letteraria della Francia meridionale anche chiamata provenzale.
Cominciamo con una breve genealogia della poesia lirica. In origine legata al canto ed
alla musica come ne testimonia il suo nome, la poesia lirica nei secoli XII e XIII viene
considerata come la “grande” poesia, vale a dire come il genere che implica i sogetti ed i
livelli di lingua e di stile più alti. Fino alla metà del Duecento, la poesia lirica si esprime inlingua d’oc. Tovatori provenzali fanno soggiorno in Italia e portano con loro questa poesia.
Italiani cominciano a comporre poesie direttamente in lingua d’oc. Per via di conseguenza
liriche in lingua d’oc a poco a poco circolano nella penisola, vengono ricopiate ed imitate.
Intorno al 1230 quest’imitazione diretta viene progressivamente sostituita da un adattamento
in volgare italiano. Questo cambiamento avvenne sotto l’impulso dell’imperatore Federico II
di Hohenstaufen(1194-1250).
I.1.1 - La politica centrale di Federico II
Come l’abbiamo già detto parecchie volte, la letteratura italiana è legata alla situazione
politica e soprattutto al frazionamento politico che divide la penisola in diverse regioni. Con
Federico II di Hohenstaufen, il mondo conoscerà l’ultimo grande imperatore e soprattutto
l’ultimo grande interprete del sogno di un Impero universale. A 14 anni divenne re di Sicilia e
a 21 anni fu eletto imperatore per volontà del suo tutore papa Innocenzo III. Venne incoronato
nel 1220.
Federico II nutriva il progetto di un impero universale, assoluto, romano ma di un
impero che contemporaneamente si fondasse sui singoli regni ognuno dei quali sarebbe
dovuto essere robustamente organizzato.
Tentò anche di unificare politicamente l’Italia e soprattutto la Sicilia, e per ciò fare
rafforzò il potere monarchico nel regno di Sicilia. Imperatore germanico e re delle Due
Sicilie, creò una monarchia assoluta centralizzata ed identificata con la realtà nazionale della
Sicilia sulle basi del mecenato
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Insomma, Federico II esercitò un potere centrale. Abbiamo visto che organizzazione
politica ed espressione letteraria vanno di pari passo, non è dunque fatto sorprendente che
durante il regno centrale di Federico II, la cultura si accentrasse e si unificasse intorno a lui.
I.1.2 - La politica culturale di Federico II
Con Federico II il legame tra politica e cultura si rafforzò. Perché se era uomo politico, re di
Sicilia e Imperatore del Sacro Romano Impero, era anche un uomo colto che esercitava un
assolutismo illuminato anche nell’ambito culturale. Federico II si rivelò essere non solo un
sovrano capace di unificare il regno di Siclia ma anche un sovrano che diresse una vera e
propria politica culturale. Infatti se Federico II era re di Sicilia ed erede dell’impero romano,
la sua politica comportava anche un aspetto culturale : voleva creare una cultura che fosse la
cultura della corte di Palermo e per realizzare tale progetto si circondò di vari specialisti e
letterati. Lo stesso Federico II fu perfino un uomo di lettere, scrisse un trattato di falconeria, il
De arte venandi cum avibus, un trattato sull’arte di cacciare con uccelli di preda, trattato che
può anche, per via delle numerose conoscenze che divulga sul mondo aviario essere
considerato come un trattato ornitologico. Scrisse anche alcune poesie1. Appare poliglotto
nelle Cronache di Giovanni Villani che indica che « seppe la lingua latina e la nostra volgare,
tedesco e francesco, greco e saracinesco [arabo] ». Enciclopedico, illuminista, naturalista,
sperimentatore, Federico II è tutto nella presenza attiva e politica della cultura, « amò molto
delicato parlare » e attrasse alla sua corte « d’ogni maniera gente ». Per via di questo suo
carattere propenso alle lettere, intorno a lui si raccolsero poeti che a poco a poco diedero
forma al volgare petico italiano.
Va precisato che da imperatore illuminato che era, voleva opporsi alla Chiesa perfino
nell’ambito della cultura e creare una cultura depurata da tutti i legami con la Chiesa. Per
realizzare tale compito, si circondò di un’ « équipe » di dotti di varie lingue e culture tra i
quali l’astrologo scozzese Michele Scoto per esemipo. Accolse alla sua corte giuristi, filosofi
e scienziati e fece tradurre le opere di Aristotele. Scienze nuove vennero studiate anche quelle
ritenute a carattere magico-astrologico. La Magna Curia (come veniva chiamata la corte di
Palermo) porse un’attenzione particolare alla produzione letteraria varia per i generi adottati e
per i temi affrontati. Si inscriveva nel quadro di una cultura ricca e raffinata in cui confluivano
interessi molteplici (scientifici, letterari, giuridici, filosofici…) e tradizioni che andavano da
1 Cf. I primi due componimenti che aprono la raccolta di poesie del Duecento : De la mia disïanza e Misura, provedenzia e meritanza.
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quella araba a quella normanna, da quella tedesca a quella bizantina, richiamando così alla
corte intellettuali di grande prestigio provenienti da varie parti d’Italia e d’Europa. Insomma,
tutti gli intellettuali collaboravano allo sviluppo della cultura scientifica e filosofica in modo
libero e laico. II regno di Federico II permise un vero e proprio decollo della cultura e gli
intellettuali si misero a poco a poco al servizio della politica.
Federico II ricevette diversi giudizi. Venne considerato come un superuomo, come un
anticipatore del Rinascimento ma anche come un vero despota.
I.2 – La « scuola » siciliana
I.2.1 – La nascita della « scuola » siciliana
Comunque sia, vero è che alla sua corte fiorì la prima poesia lirica italiana con unintendimento artistico diversamente quindi da san Francesco d’Assisi che attraverso il Cantico
di frate sole nutriva uno scopo religioso. Fu verso la fine degli anni venti o più probabilmente
ancora all’inizio degli anni trenta del Duecento che la corte federiciana cominciò a coltivare, a
fianco delle scritture latine, anche la poesia in volgare. Federico stesso fu poeta come i suoi
figli Manfredi, Enzo2, Federico d’Antiochia. Poeti furono anche alcuni degli alti funzionari
della sua corte e fra i più famosi : Pier delle Vigne, Jacopo da Lentini, Guido delle
Colonne che era giudice oppure notaio ammirato da Dante che lo riteneva per uno dei più
grandi siciliani, Rinaldo d’Aquino ed altri.
Questi non erano dunque veri e propri letterati ma giuristi per la maggior parte d’essi.
Tuttavia, il fatto che uomini politici diventassero uomini di lettere non deve sorprendere
anche se si tratta di una cosa ignota al nostro mondo moderno. Nel Medioevo, politica e
letteratura non erano discipline così remote. Anzi, tutti gli studi di diritto presso le università
implicavano anche lo studio delle artes dictandi, cioè della retorica. Gli studenti dovevano
comporre raccolte di lettere in latino e grazie a tale formazione, Pier della Vigna per esempio
produrrà una raccolta di epistole in latino che diventerrà un modello di stile e
contemporaneamente scriverà il Liber augustalis anche conosciuto sotto la denominazione di
Liber constitutionum Regni Siciliae oppure sotto il nome di Costituzione di Melfi (1231), cioè
una legislazione unificata per tutto il regno di Sicilia.
Sarà propio tale raggruppamento di intellettuali intorno a Federico II a dare le luci alla
cosiddetta « scuola » siciliana. Ovviamente, il termine « scuola » non va inteso nel senso
2 Cf. La canzone Amor mi fa sovente.
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moderno, ma nel senso medievale di riunione di intellettuali mossi da una medesima passione
per la lirica ed i componimenti poetici ed appartenenti tutti all’ambiente della corte di
Palermo benché tutti non fossero originari di Sicilia. Il termine di « scuola siciliana » indica
dunque un gruppo di scrittori uniti da predilezioni di gusto, di stile, di contenuti tematici. La
sorte di tale scuola era del tutto legata alla fortuna della casa imperiale che aveva creato
l’ambiente, il costume e la cultura di cui era parte. Costituitasi non molto dopo
l’incoronazione imperiale di Federico II, negli anni 1230, si disolse alla morte del re Manfredi
(1266) che aveva successo al padre nel 1250. La « scuola siciliana » si disolse dunque quando
crollò la potenza della casa sveva in Italia.
I.2.2 – Le caratteristiche della lirica siciliana
Sotto l’impulso di Federico II nacque dunque la lirica italiana che si presentò per lo
più come l’imitazione della lirica provenzale in lingua d’oc e che consistette massimamente
nel suo adattamento in volgare italiano e più precisamente in volgare siciliano. Ma l’opera dei
siciliani presenta alcuni problemi perché per la maggior parte dei rapprensentanti non
abbiamo la redazione originale. Comunque sia è possibile sostenere che le liriche vennero
redatte in volgare meridionale, in un volagre depurato dal linguaggio curiale cioè dalla lingua
che veniva parlata nell’ambito della corte fino a creare un linguaggio nuovo adatto alle
esigenze politiche, un linguaggio diverso dalla lingua d’uso cioè dalla lingua quotidiana.
Il primo ad aver assunto il compito di trasporre una poesia cortese in italiano fu Jacopo da
Lentini riconosciuto da Dante come capofila della « scuola » siciliana e ritenuto come
l’inventore del sonetto.
Ma qual’erano le caratteristiche, i motivi fondamentali e tipici della lirica siciliana ?
Quello che possiamo definire come il suo aspetto saliente è un consapevole
convenzionalismo. I temi, il vocabolario, le immagini ricalcano il modello francese e
soprattutto quello provenzale talvolta in un rapporto di libera emulazione. Bisogna dunque
sapere in che cosa consistette la poesia provenzale. La lirica provenzale applicava all’amore
profano la dottrina cristiana dell’amore mistico ma era insieme poesia di corte che assimilava
il servizio amoroso al rapporto feudale. Il valore sostanziale dell’essere amato era totale,
quello dell’amante nullo. La passione si fondava dunque su una sproporzione essenziale. Per
il secondo aspetto la donna era come il signore a cui il vassallo doveva obbedienza e fedeltà
totali. Naturalmente questa metafisica così teologica come politica diventerà presto un
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semplice sistema di tropi e di metafore convenzionali. Ma sarà proprio su questo fondo di
cultura letteraria che andrà letta la poesia feudale del Duecento italiano. Infatti i poeti siciliani
assunsero a modello la poesia cortese francese in lingua d’oc e d’oïl che costituiva il modello
poetico per eccellenza dell’epoca. Federico II lo scelse come modello perché volle dare
all’Italia una poesia che avesse la stessa natura e la stessa grandezza. Ma imitatori della poesia
provenzale esistevano già da tempi, la novità consiste nel fatto che i poeti siciliani scrivono in
volgare italiano a differenza degli altri che componevano le loro poesie in provenzale od in
francese senza usare la propria lingua.
Pur tuttavia, una prima differenza distacca la lirica provenzale da quella siciliana.
Infatti, diversamente da quella provenzale che era di norma poesia per musica, così che di
solito uno era l’autore del testo e della melodia, la poesia siciliana è ormai semplice poesia per
la lettura. Ma nonostante questa differenza formale, la poesia siciliana appare fedelissima al
suo modello : la poesia cortese che era giunta ormai sul suo finire, una poesia incapace di
rinnovarsi, fissata in diverse formule che celebravano soprattuto l’amore virtuoso e la donna
come fonte di ogni virtù. Per via di conseguenza, la lirica siciliana svilupperà una temica più o
meno unica e centrale : l’amore per la donna. Si tratta di una poesia manierata che si sviluppa
sulla trama della fenomenologia amorosa complessa e convenzionale nella quale risulterebbe
vano cercare verità umane e un qualche riflesso della realtà siciliana dell’epoca. Si tratta di
una poesia fatta da funzionari della corte, una poesia che si voleva elegante ed innocua perché
non doveva urtare l’assolutismo di Federico II ma servirlo, e lo servì per via delle innovazioni
linguistiche capitali, per via delle numerose formule lessicali, grammaticali e stilistiche che
fonderanno la tradizione ed il codice poetico italiano.
L’arte poetica appare dunque del tutto connessa al costume della società elevata con
regole eleganti e rigorose, in altre parole alla società raffinata della corte federiciana.
I.2.3 – Le tematiche della lirica siciliana
Prima di tutto, si deve insistere sul fatto che il poeta deve ricercare non tanto la propria
originalità quanto la dignità di partecipare, di far parte della civiltà raffinata della corte. Non
si cerca dunque l’innovazione bensì si prova a rimanere fedeli ad una tradizione della quale è
ritenuto dignitoso far parte.
Le tematiche dunque non si evolvono rispetto alla lirica provenzale ma rimangono
quelle dell’amor cortese cioè dell’amore per la donna e del suo galateo.
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La Donna : La donna occuppa il posto centrale e principale della lirica ma si tratta di una
donna stereotipata fatta di caretteri tipici ed astratti. Non c’è posto per l’individualità, le
descrizioni, i dettagli fisici. La donna è definita senza lineamenti personali, è bella il che
significa che è bionda ed ha un viso chiaro. È spesso inaccessibile, è savia cioè ha una finezzadi educazione e di costume, è cortese e per via di conseguenza è capace di nobile amore.
Viene paragonata alla rosa profumata, alla stella luminosa. La donna è sempre superiore
all’amante che la canta. Si tratta spesso della donna del signore cioè di una donna che occuppa
un posto elevato nelle gerarchia sociale, posizione elevata che si riflette anche nelle sue
qualità, nelle sue doti personali superiori come la saviezza e l’intendimento.
L’Amante : L’amante intratiene con essa un rapporto di vassallaggio cavalleresco,nasconde il suo amore che deve rimanere segreto. Non si deve dimenticare che la donna è
spesso maritata e per via di conseguenza, la donna per lo più non viene mai nominata oppure
tramite l’uso di un senhal, cioè del nome di un’altra donna chiamata donna schermo o donna
dello schermo (dame écran). L’amore cantato dal poeta è nobile e casto e corrisponde alla
fin’amor provenzale. Le relazioni amorose vengono presentate e descritte sul modello del
sistema feodale. Vediamo che anche in questo caso la poesia riflette nel suo microcosmo il
mondo politico del tempo.
Le Lodi e l’amore nobile : La donna viene lodata per la sua bellezza, per le sue doti
intellettuali e questa lode è legata ad un altro motivo molto sviluppato nella lirica siciliana :
quello dell’amore considerato come nobilitamento, cioè si riteneva che l’amore rendesse il
poeta, l’amante più nobili e che tale amore si accompagnasse d’esaltazione e di gioia.
A poco a poco si profilano veri e propri « generi » lirici :
I lamenti per l’allontamento della donna amata, le sofferenze, il dolore d’amore,
l’amore lontano, l’amore infelice, le profferte d’amore e le lodi della donna, l’esaltazione
d’amore, le questioni sull’origine e la natura d’amore. Accanto a queste tematiche topiche e
provanzali, i poeti sviluppano sempre più considerazioni teoriche : il poeta si rende conto dei
cambiamenti che l’amore opera in lui, s’interroga sulla natura e l’origine di amore ma anche
sui propri sentimenti il che apre la via alla psicologia, all’analisi dei sentimenti talvolta
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contrari generati da Amore. Questa componente psicologica costituisce un aspetto importante
della lirica siciliana.
A poco a poco si viene così formando un repertorio limitato e fisso che permette di
delineare in forma esemplare gli aspetti psicologici della vicenda amorosa che non consiste
nel narrare una vicenda particolare bensì nel raccontare una vicenda esemplare.
Se la « scuola » siciliana non rinovella la materia dell’amore cortese che imita dalla
poesia provenzale, realizza pur tuttavia innovazioni linguistiche capitali. I poeti creano la
lingua della lirica a partire dal fondo della parlata siciliana cioè dal volgare del regno siciliano
ma epurato dai suoi particolarismi e nobilitato dalle riprese della lingua d’oc, d’oïl, dal latino
che danno il vocabolario tecnico dell’amor cortese.
La scuola siciliana ed i suoi diversi rappresentanti possono così essere considerati
come i fondatori della tradizione di lingua e di stile, come i creatori del codice poetico
italiano, come gli elaboratori di un linguaggio poetico che sarà ripreso e continuato per anni.
I.3 – I principali rappresentanti
I.3.1 - Giacomo da Lentini
Giacomo da Lentini fu notaio, funzionario della corte di Federico II e dunque uomopolitico. Viene chiamato per antonomasia il Notaro. Venne considerato da Dante come il
caposcuola, cioè come il rappresentante più insigne e, in certo modo come il « maestro » dei
poeti siciliani. Sembrerebbe aver scritto le sue liriche tra il 1233 ed il 1240. Considerato come
l’iniziatore, il capofila della « scuola » siciliana, si potrebbe dunque assegnare a questi anni
l’inizio della produzione della « scuola ». Si è anche soliti attribuirgli l’invenzione, la
paternità del sonetto, ma nonostante le molte ipotesi che sono state avanzate, la genesi di
questo genere metrico resta tuttora ancora assai misteriosa. Unico dato certo è che laconcisione e la leggerezza del sonetto ne fecero subito un componimento di rara efficacia per
la possibilità che offriva al poeta di concentrare in quattordici endecasillabi un vero e proprio
microcosmo lirico. La paternità di Giacomo è tutt’altro che sicura e va intesa come
convenzione acquisita. È un fatto peraltro che egli si dimostra, oltre che il più prolifico di
questi rimatori, anche la personalità senz’altro più cospicua sia sul piano dell’inventività sia
su quello propriamente tecnico. È l’autore di 14 canzoni, d’un discordo e di 24 sonetti,
produzione che lo colloca in posizione eminente all’interno del gruppo dei siciliani. Nessun
altro rimatore può infatti vantare un numero sì cospicuo di componimenti al proprio attivo.
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Alcuni fra i suoi componimenti sono la canzonetta di settenari Meravigliosamente, i sonetti
Amor è desio che ven da core, Io m’agio posto in core a Dio servire, Madonna dir vi
voglio…Inoltre va notata la ragnatela di rispondenze che lega i suoi testi ad alcuni degli altri
poeti il che dimostra che venne guardato come un maestro. La memorabilità di alcuni inizi di
canzone dovette anche contribuire al consolidarsi del suo primato. L’esperienza poetica di
Giacomo da Lentini si sviluppò a stretto contatto con la corte e con gli altri poeti di corte
come lascia intuire la sua corrispondenza in versi con il cancelliere Pier delle Vigne e con
Iacopo Mostacci identificato con un falconiere di Federico II. Federico e suo figlio Enzo
scrissero poesie vicine allo stile del Notaro così come la maggior parte degli altri rimatori
siciliani. I più prolifici furono Rinaldo d’Aquino con dieci canzoni ed un sonetto,
Giacomino Pugliese con sei canzoni ed un discordo, Mostacci con quattro canzoni, Stefano
Protonotaro e Guido delle colonne ciascuno con tre canzoni e lo stesso Pier delle Vigne con
due canzoni. Intorno a tali figure, appaiono anche autori di un testo solo come per esempio
Cielo d’Alcamo a cui spetta il merito di aver scritto l’unico componimento di carattere
parodico se non propriamente comico, il celebre contrasto fra uomo e donna.
I.3.2 - Guido delle Colonne
Notizie di lui sono pochissime. Sappiamo soltanto che fu messinese, giudice, cioè alto
funzionario e che nacque forse nel 1210. Tranne il fatto caratteristico dei poeti siciliani, cioè
che siano uomini di lettere ed allo stesso tempo uomini appartenenti alla sfera politica, non
sappiamo un gran che della sua vita. Dante lo riconosce come uno dei più grandi fra i siciliani
per via soprattutto della sua abilità tecnica. Di suo componimento è la canzone Gioiosamente
canto che dà libero sfogo al canto felice dell’amore corrisposto. Ma il suo capolavoro
menzionato appunto da Dante, ricco d’immagini di filosofia naturale che anticipano Guido
Guinizzelli, è la canzone Ancor che l’aigua per lo foco lassi.
I.3.3 - Giacomo Pugliese
Non abbiamo notizie sulla sua vita. Possiamo tuttavia precisare che la sua pesia ha
goduto grande fervore presso i critici del secolo scorso i quali videro, erroneamente in lui il
rappresentante di una poesia popolare, più viva e sincera, che veniva contrapposta a quellaaulica e stilizzata dei rimatori di corte. Ma la critica più recente ha dimostrato bene che
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Giacomino come gli altri, è poeta colto, ripete temi e motivi comuni alla « scuola » e ricerca
un’espressione limpida e raffinata anche se ha una sua vena dolce che piace forse di più al
lettore moderno. È l’autore della canzone Morte, perché m’hai fatta sì gran guerra che
corrisponde ad un compianto in morte della donna amata secondo lo schema del planctus dei
provenzali.
I.3.4 - Rinaldo d’Aquino
Anche lui è conosciuto soltanto per via del suo nome e delle sue liriche ma della sua
vita nulla si sa. Il suo canzoniere è assai breve, raccoglie soltanto una decina di
componimenti, la maggioranza dei quali appartengono al tono raffinatamente cortese. Alcuni
come la canzonetta Già mai non mi conforto, esprimono una situazione psicologica con
schiettezza e vivacità. Ma non si deve pensare che si tratti di una novità nel genere. Infatti,
anche in questo caso, non mancavano modelli nella letteratura francese e provenzale. I
« lamenti », i « contrasti » sono poesie in cui il poeta benché non parli in prima persona,
esprime situazioni oggettive. Nella canzonetta Già mai non mi conforto si tratta di una
fanciulletta che lamenta la partenza dell’amato per la crociata.
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II – La scuola toscana
Intorno alla metà del Duecento, col tramonto della potenza sveva in Italia, si dissolve
l’ambiente di raffinata cultura della corte siciliana. La Toscana divenne il nuovo centro
d’irradiazione della poesia in volgare.
II.1 – Dalla “scuola” siciliana alla “scuola” toscana
Innanzitutto abbiamo già sottolineato parecchie volte che la letteratura e la sua
diffusione erano legate alla vita politica e soprattutto per l’Italia al frazionamento politico
della penisola in diverse regioni. La creazione della “scuola” siciliana era stata favorizzatadalla politica accentrata di Federico II e dipendeva tutta dal suo assolutismo illuminato. Per
via di conseguenza, quando la dinastia sveva s’indebolì fino a scomparire dalla scena politica
italiana, l’ambiente che era stato propizio al diffondersi della lirica siciliana si dissolve
anch’esso. Ma pur tuttavia, tale dissoluzione non segnò la fine del volgare italiano
nell’espressione poetica ma soltanto il suo spostamento, la sua migrazione dalla Sicilia verso
la Toscana. Dopo il fallimento della politica svolta da Federico II, avvenne una certa
disseminazione, una certa migrazione della poesia che era quella della « scuola » siciliana.
Infatti, Federico II si era circondato da uomini colti di diverse culture e nazionalità.
Alla corte di Sicilia non c’erano soltanto siciliani ma uomini di origini diverse tra i quali
figuravano poeti e copisti toscani. Questi poeti e copisti toscani che avevano dimorato alla
corte di Federico II costituiscono un elemento decisivo, un fattore chiave nella diffusione
della lirica siciliana : servirono di legame tra la tradizione siciliana e la futura tradizione
toscana. Infatti, a poco a poco trascrissero e diffusero nella loro terra la poesia dei siciliani
permettendo così di salvaguardare il patrimonio letterario della « scuola » e di darlo in
retaggio ai poeti toscani. Furono dunque i poeti toscani a riprendere ed a continuare la lirica
siciliana data loro in retaggio e della quale ripresero la tecnica e parte della lingua e vennero
perciò chiamati « siculo-toscani ». In effetti, i nuovi poeti che operarono in Toscana durante la
seconda metà del Duecento ereditarono dai siciliani un linguaggio poetico elaborato, il gusto
per una tecnica raffinata, l’ammirazione per i poeti provenzali e francesi che d’altronde
imitarono più di quanto non avessero fatto i loro predecessori, e la tematica dell’amor cortese
alla quale, però, aggiunsero nuovi motivi morali e politici, riflettendo gli ideali, le lotte e le
passioni della vita comunale.
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II.2 – Le caratteristiche della lirica toscana
Il passaggio della lirica italiana dalla Sicilia alla Toscana è dunque segnato da una
ripresa cioè da una continuità ma anche da una certa rielaborazione che corrispondesoprattutto ad un adattamento della materia alla realtà della società che non è più quella della
corte imperiale di Federico II ma quella della società comunale. Il trasferimento della poesia
siciliana richiede un certo adattamento della materia alla realtà politico-sociale ma anche al
pubblico nuovo al quale è destinata. L’ambiente cortese di Palermo era del tutto retto
dall’aristocrazia. Invece, Italia del nord rappresenta il mondo feodale che sta scomparendo
accanto allo sviluppo, all’incremento dell’industria e del commercio due settori che
coinvolgono la popolazione che partecipa alla vita politica del comune, cioè alla classe
emergente della borghesia. Il pubblico, i destinatari della poesia toscana sono molto più
diversificati del pubblico siciliano che si poteva prevalentemente definire come un pubblico
curiale in opposizione al pubblico municipale che sarà quello della poesia toscana. La base di
ricezione della lirica divenne più ampia coinvolgendo ampi strati della borghesia mercantile. I
poeti toscani non vivono, infatti, in una corte, ma nei liberi comuni della loro terra
caratterizzati da una vita intensa, realistica, complicata da lotte talvolta sanguinose fra le
fazioni dei ghibellini e dei guelfi favorevoli rispettivamente all’impero e al papato nella
disputa per il potere temporale che si scontrano all’interno del comune e fra diverse città.
Inoltre, i rimatori toscani non erano più funzionari di corte come erano stati il Notaro e gli
altri siciliani e non si riuniscono intorno ad un unico centro di potere. I poeti toscani sono per
lo più notai, medici, giudici, banchieri spesso impegnati nella gestione della vita comunale. Il
diverso assetto politico non mancò di proiettare i propri riflessi sulla storia della poesia il che
implicò un’evoluzione della tematica ed un’apertura verso argomenti politici sull’esempio del
sirventese provenzale. I poeti toscani hanno ripreso la tradizione siciliana adattandola e
trasponendola ad un ambiente differente, alla realtà linguistica, sociale e politica della
Toscana.
Cambiando atmosfera politica, ambiente e pubblico, la poesia si adatta alla realtà
nuova che la circonda. I poeti toscani assumono la tematica amorosa tradizionale ma
approfondiscono allo stesso tempo il piano psicologico ed intelletuale con un ulteriore
processo di spiritualizzazione dell’amore che viene concepito come un incentivo alla
conquista della virtù non soltanto cavalleresca, ma morale in senso lato. Questo motivo,
attraverso Guittone d’Arezzo, Chiaro Davanzati, Monte Andrea e Bonagiunta da Lucca,
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prepara l’originale esperienza degli stilnovisti. Sul piano contenutistico la novità di maggior
rilievo consiste dunque nell’ingresso della tematica religiosa e spirituale nel repertorio della
lirica volgare
II.3 – I maggiori rappresentanti
II.3.1 - Guittone d’Arezzo
L’esperienza della poesia toscana è massimamente rapprensentata da Guittone
d’Arezzo considerato come il suo massimo esponente che ha fatto sue le tematiche
privilegiate della « scuola » siciliana introducendovi però alcune differenze dovute ad una
situazione politica e sociale diversa. Guittone d’Arezzo vissuto fra il 1230 e il 1294, è ilprincipale esponente letterario dell’agiata borghesia guelfa, anzi il fondatore, in quell’ambito,
della sua espressione volgare. Per l’oltranza del suo zelo formale, nutrito di cultura provenzale
non meno che latina, e spinto in qualche parte della sua produzione ad eccessi verbalistici,
non di rado enigmistici, molto di là dal punto raggiunto in alcuni sonetti del Notaio, Guittone
sembra trasferire alla sua regione ed alla sua classe e parte, ingigantendola, l’ambizione
retorica degli aristocratici siciliani. È l’autore di un ampio canzoniere che lascia trasparire una
forte personalità di uomo e di scrittore. Il canzoniere come la sua vita è diviso in due parti.
Nella prima parte prevale (domina) la poesia amorosa sul modello siciliano e soprattutto
provenzale al quale lo scrittore attinse (puisa) più direttamente. Descrive i momenti della vita
amorosa con l’alternarsi di gioia e dolore ed insiste su una tematica che appariva già presso i
siciliani : quella che considera la donna come fonte d’ogni valore, d’ogni virtù capace di
introdurle nel cuore degli uomini. La seconda è dominata dall’esperienza religiosa che spinse
l’autore e l’uomo ad abbandonare la vita mondana e cioè la vita del mondo, la moglie, i figli,
la vita di famiglia, di sposo e di padre, per ritirarsi nel mondo religioso ed entrare a far parte,
nel 1265, dell’ordine dei Cavalieri di Santa Maria, fondato nel 1261 a Bologna, e detto anche
ordine dei Frati Godenti, i cui ideali erano la salvaguardia della pace, l’accordo fra le opposte
fazioni, la difesa delle donne (ma fatto strano, Guittone non esitò ad abbandonare la sua per
salvare le altre), la difesa dei fanciulli ( !), dei poveri in nome della Vergine Maria.
Altro tratto saliente del canzoniere giuttoniano, tranne la divisione in due parti, è il
fatto che Guittone appare molto legato all’ambiente poetico del suo tempo come lo
sottolineano le frequentissime rime di corrispondenza che scambiava con i più noti rimatori
toscani dell’epoca. Questi scambi rivelano come Guittone almeno per un venticinque anni (dal
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1255 al 1280) esercitava una specie di dittatura (parola che viene dal verbo « dettare » e
dunque legata al mondo della scrittura come il francese « dicter ») intellettuale ed artistica su
tutta la Toscana. Guittone venne considerato ed ammirato come un maestro. Fu innanzitutto
maestro di stile ma anche di moralità e di umanità. Creò un modello di canzone d’amore
ampio nel ritmo e nello svolgimento concettuale. Diede i primi alti esempi di canzone
politico-civile. Segnò l’avvio alla moralizzazione e alla cristianizzazione del mito dell’amore.
Richiamò insomma, la poesia alla realtà immettendo in essa il rigore morale, la sua cultura e
la sua dottrina. Va anche notato che con Guittone, per la prima volta nella storia della lirica
italiana, appare l’aspirazione di un poeta a costruire un vero e proprio libro di versi.
Tramite questo ritratto di Guittone avvertiamo già un certo cambiamento rispetto ai
rappresentanti della « scuola » siciliana. Infatti essi legavano il mondo poetico al mondo
politico. Rispetto all’ambiente cortile delle poesia siciliana, la situazione si era evoluta.
Infatti, la volontà primiera di Federico II era quella di unificare l’Italia. La situazione della
Toscana è molto diversa. Questa regione è in preda a diversi conflitti che oppongo i guelfi ai
ghibellini tramite scontri feroci e numerosi in seno ai comuni e tra le diverse città. Tali
conflitti per via della loro importanza e frequenza non potevano essere ignorati dalla poesia
toscana perché facevano parte della vita sociale e politica, della vita quotidiana dei toscani..
Per via di conseguenza, la poesia amorosa si accompagna alla poesia politica e civile che
riflette i conflitti che lacerano la vita toscana.. La poesia provenzale aveva già lasciato spazio
accanto alla poesia cortese ai problemi politici, due tematiche che venivano talvolta legate in
seno ad un poema che trattava insieme di guerra e d’amore. Questo ravvicinamento è stato
facilitato dal topos della guerra d’amore. Ma con i poeti toscani e soprattutto con Guittone
d’Arezzo, la poesia sembra più vicina alla realtà politica ma insieme al mondo religioso.
Infatti, la vocazione primiera di Guittone non fu quella di poeta, ma tramite la poesia si eresse
in maestro e correttore di costumi, apparve come amatore e sollecitatore della virtù. Questo
carattere spiega il fatto che la poesia sia costantemente portata all’oratoria, al dialogo e noncadda mai nel convenzionalismo. Provò a dare all’arte poetica un fine utilitaristico, un fine
virtuoso per gli uomini. Prese l’impegno di piegare l’arte a tutte le esigenze del vivere sociale
e per ciò fare, dovette ricercare un’orditura complessa e sapiente che anticipa le canzoni di
« rettitudine », cioè le canzoni che esaltano la virtù e la diritta via che permette di ritrovarla,
in una parola, le canzoni di Dante.
Inoltre, la sua poesia contrasta con la lirica siciliana soprattutto nel modo di trattare la
materia. I siciliani trattavano certe immagini che erano elementi essenziali e permanenti dellapoesia come per esempio il topos della donna bionda dal viso chiaro. Guittone invece è molto
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più intellettuale e parla di amore tramite un ragionamento nel quale discuta e dimostra diversi
suoi aspetti. Gli sarà d’altronde rimproverato di essere troppo professolare il che conferisce un
lato pesantemente dimostrativo alle sue liriche perché sia apprezzato da tutti come per
esempio nel sonetto Dolente, triste e pien di smarrimento. Il marchio più evidente della sua
poesia è senz’altro la tendenza ad un discorso in versi prevalentemente ragionativo che
procede per antitesi e per ipotesi. Alfredo Schiaffini osservò che « la stessa poesia amorosa da
cortese si trasforma, nel Canzoniere guittoniano, in ragionante ».
Pur tuttavia Guittone non può essere considerato come un grande poeta per via dei
suoi componimenti, ma grande fu la sua importanza nella letteratura del Duecento. Infatti fu
proprio lui a rompere, a staccarsi un po’ dai modelli siciliani e provenzali per diventare
l’iniziatore, il precursore, un letterato sapiente che diede vita a nuove forme ed a nuovi schemi
che fossero atti ad accogliere e trascrivere la multiforme vita della coscienza umana. La sua
poesia esercitò fascino sui lettori e sugli altri rimatori per via della sua cultura poetica. Infatti,
oltre a conoscere i poeti siciliani, risulta esperto di lirica trobadorica più di chiunque altro
della sua epoca.
Per quanto riguarda la sua espressione poetica : il suo linguaggio è mescolato di
espressioni dialettali che Dante gli rimproverava acerbamente e ferocemente ed anche di
suggestioni colte, latine, siciliane, provenzali spesso in tono disarmonico. Spiace anche
generalmente al nostro gusto « moderno » l’abuso di certi procedimenti stilistici che
appesantiscono il ritmo come per esempio quello della replicacio, cioè della ripetizione delle
parole. Possono anche spiacere certi giochi di parole che sembrano essere attribuibili ad un
compiacimento di enigmista più che di scrittore. Facciamo un esempio. In una sua canzone
« amore » significa « a morte », cioè gioca sulla grafia quasi simile delle due parole per
insistere sul fatto che l’amore porti con sé tristi effetti morali che possono essere quelli della
passione amorosa. Ma di tale ricerca stilistica non può venire imputato Guittone perché era
legata al gusto del tempo che intendeva la poesia soprattutto come artificio stilistico e speciein accordo con la tradizione dei provenzali che erano addirittura giunti ad una sorta di
linguaggio ermetico chiamato « trobar clus » in opposizione alla poesia più semplice e
trasparente chiamata « trobar clar ». Guittone si iscrive nella linea dei poeti del « trobar clus »
che intende emulare.
Del suo ampio canzoniere, possimao ricordare i sonetti Tuttor ch’eo dirò “gioi’, gioiva
cosa il cui verso liminare lascia già intravedere lo stile guittoniano; Dolente, triste e pien di
smarrimento; la canzone Ahi lasso, or è stagion del doler tanto…
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II.3.2 - Bonagiunta Orbicciani
Nei principali centri di Toscana appaiono poeti nella scia di Guittone. Vennero
chiamati i siculo-toscani ed apparvero soprattutto nelle città di Lucca, Pisa, Pistoia e Firenze.Tra questi cosiddetti siculo-toscani possiamo fare il nome di Bonagiunta Orbicciani.
A differenza di Guittone d’Arezzo, si sa poco su di lui tranne il fatto che fosse lucchese e
probabilmente notaio, vissuto intorno alla metà del Duecento. I critici lo considerarono spesso
come un guittoniano, vale a dire come un seguace di Guittone d’Arezzo, ma ora si è piuttosto
inclini a considerarlo come « l’autentico trapiantatore dei modi siciliani in Toscana » come lo
sostiene il Contini. Bonagiunta da Lucca fungerebbe quindi da legame tra la materia
guittoniana ed il dolce stil novo che le farà seguito. In realtà non appare dunque come un
massiccio guittoniano ma piuttosto come un rimatore rimasto vicinissimo ai Siciliani e
particolarmente a Giacomo da Lentini come gli rimproverava l’autore, forse Chiaro
Davanzati, del sonetto Di penne di paone. Comunque sia, molto incline alla canzonetta ed alla
ballata, non sprovvisto di iniziative metriche, è il miglior ponte fra i Siciliani e gli stilnovisti
fiorentini, la cui produzione giovanile ne contiene precisi ricordi ; e polemizzò col
Guinizzelli, rimproverandogli un certo intellettualismo universitario. Certo è che lui appare
lontano dal trobar clus, cioè dallo stile arduo e spesso volutamente oscuro di Guittone e la
predilezione per i temi morali risale alla tradizione provenzale. Comunque sia appare più
vicino agli stilnovisti di cui anticipa certe cadenze e la predilezione per lo stile piano. È
l’autore del sonetto Voi, ch’avete mutata la mainera rivolto a Guinizzelli nel quale prende
posizione contro il dolce stil novo, al quale Bonagiunta, seguace del trobar leu, cioè di una
poesia più immediata e facile da capire, d’un poetare chiaro e piano, rimprovera la sottigliezza
intellettualistica che si traduce in stile oscuro e difficile.
II.3.3 – Chiaro Davanzati
È di gran lunga il più abbondante dei « siculo-toscani » oltre Guittone. Scrisse varie
decine di canzoni ed oltre un centinaio di sonetti. È quindi il più fecondo dei fiorentini. La sua
opera è un compendio di medie qualità trobadoriche ma non ebbe fortuna duratura. Non viene
mai nominato da Dante. Lo ricordiamo per il sonetto Di penne di paone che gli è stato
attribuito e nell’ambito del quale accusa Bonagiunta da Lucca di aver plagiato Giacomo da
Lentini.
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III – Il dolce stil novo
III.1 – Le origini del Dolce Stile e la definizione dantesca
Nel corso della storia, si sa, i mutamenti non avvengono di soprassalto, ma sono il
risultato di un processo lento e graduale. Così fu anche per la novità rapprensentata nella
Toscana dello scorcio del Duecento, dalla maniera poetica che si è soliti indicare con la
formula dantesca di « stil novo ». La generazione di rimatori fiorentini nata durante gli anni
sessanta o al principio del decennio successivo era cresciuta in un’aura intrisa di guittonismo.
Se alcuni non pensarono di affrancarsi da quella poetica, altri ne sentirono prepotentemente il
bisogno a partire almeno dagli anni ottanta. Fra gli ultimi decenni del Duecento ed i primi del
Trecento si sviluppa nella lirica d’arte italiana, il movimento che prenderà il nome di « dolce
stil novo ». A Bologna dove era pur penetrato l’esempio poetico di Guittone, un rimatore erariuscito a liberarsi da tale condizionamento come da quello cortese e sicilianeggiante. Tale
personaggio è Guido Guinizzelli che si è soliti identificare con un uomo di fede ghibellina.
Venne seguito da un gruppo di fiorentini tra i quali figuravano : Guido Cavancanti, Dante
Alighieri, Lapo Gianni, Gianni Alfani, Dino Frescobaldi e Cino da Pistoia.
Il nome di questo nuovo movimento poetico deriva dallo stesso Dante e più
precisamente ancora dal canto XXIV del Purgatorio nel quale l’Alighieri immagina
d’incontrare Bonagiunta Orbicciani tra i golosi del sesto girone.
« O frate, issa vegg’io, diss’elli, il nodoche ‘l Notaro, Guittone e me ritennedi qua dal dolce stil novo ch’i’ odo », Purgatorio XXIV, v.55-57
Interrogato da Bonagiunta se egli sia veramente l’autore della straordinaria canzone
Donne ch’avete intelletto d’amore, e per via di conseguenza l’inventore delle « nove rime »,
Dante finge di darsi ad una dichiarazione poetica secondo la quale l’originalità dei poeti del
dolce stile rispetto ai siculo-toscani consisterebbe nel fatto che essi scrivono seguendo ladiretta ispirazione d’Amore, ciò che egli « ditta dentro ». In altre parole, all’invito di
Bonagiunta, Dante replica con la dichiarazione poetica che lo vuole trascrittore dei dettami di
Amore :
« E io a lui : -I’ mi son un che, quandoAmor mi spira, noto, e a quel modoch’e’ ditta dentro vo significando », Purgatorio XXIV, v.52-54
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Tale concezione sarà ribaditi nei versi seguenti pronunciati dallo stesso Bonagiunta :
« Io veggio ben come le vostre pennedi retro al dittator sen vanno strette,che de le nostre certo non avvenne ;e qual più a guardar oltre si mette,non vede più da l’uno a l’altro stiloe, quasi contentato, si tacette », Purgatorio XXIV, v.55-63
Ma l’interpretazione del passo dantesco è molto più complessa e rivela in realtà che
l’Alighieri non è affatto discepolo di una poesia immediata. Insomma, con tale esposizione,
Dante non rivendica una maggiore immediatezza o spontaneità che sia, ma la capacità di
penetrare più a fondo il significato, l’essenza dell’esperienza amorosa, sia sul piano
psicologico sia sul piano intellettuale o conoscitivo e di rappresentarla con uno stile adeguatoall’oggetto : atto cioè ad esprimere la « dolcezza » del sentimento amoroso. Questo stile
nuovo viene qualificato di « dolce », vocabolo quasi tecnico ad indicare un ideale di fusione
melodica, e di « novo », cioè ispirato all’iniziativa che detta le « nove rime », all’intenzione
« di prendere per materia de lo mio parlare sempre mai quello che fosse loda di questa
gentilissima » come Dante dice nella Vita Nuova. Inoltre, va notato che la definizione
dantesca trasferisce nell’ambito della poesia profana una definizione dell’espressione
dell’amore mistico formulata circa il 1152 da frate Ivo, discepolo di san Bernardo che si trova
anche nel Tractatus de gradibus charitatis ossi Trattato dei diversi gradi della santissima
carità di Riccardo da San Vittore (Richard de saint Victor). Tale trasferimento indica quanto il
dolce stil novo sia ricco d’intenzioni culturali. La poesia diventa celebrazione d’amore, e
amore è conoscenza di « miracoli », vale a dire per analogia, degli enti e delle verità superiori,
ineffabili. Il linguaggio che ispira il Dolce stile è sempre più nettamente quello della
Scolastica, ma va subito precisato che la filosofia vi è presente soprattutto come fonte
linguistica e riserva d’immagini.
Va anche precisato che il « dolce stil novo » non può essere considerato come una
scuola in quanto i poeti non sono organizzati attorno ad una dottrina o ad un programma
comune ed uniforme ma si tratta invece di una riunione di poeti che condividono interessi
comuni, esperienze poetiche ed amorose simili che sono ravvicinati da una lingua ed uno stile
comuni. I poeti che ricevettero l’epiteto di stilnovisti si caratterizzano soprattutto da una
tonalità, associante freschezza melodica e carica concettuale e da una forma di visualizzazione
struggente e modulata. Il Dolce stile rappresenta differenze dottrinali soprattutto per quanto
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riguarda la concezione di amore, divergenze che possono lasciare pensare che certi poeti
fossero opposti ma pur tuttavia le tematiche comuni rimangono fondamentali.
III.2 – Le caratteristiche del Dolce StileIII.2.1 – La fedeltà alla tradizione anteriore
Benché si tratti di un movimento poetico che rivendica la novità e l’originalità, non
mancano tuttavia certe tematiche, certi motivi presi alla lirica « cortese » di cui riprendono i
motivi distintivi. La nobiltà d’Amore : Per esempio, gli stilnovisti accogliono il tema
dell’esaltazione di Amore come suprema forma di aristocrazia spirituale e affermano che la
vera nobiltà o « gentilezza », termine che torna spesso nelle loro poesie, risiede nell’animo
anziché nei diritti della nascita e del censo. La nobiltà passa dalla sfera del sangue a quella delcuore e dell’intelletto. Proveniente dal mondo borghese, il dolce stil novo celebra il cor gentil
(le noble cœur), topos che identifica nobiltà ed amore e rimette in causa il principio della
nobiltà di sangue a favore della nobiltà di cuore. La Donna Angelo : Inoltre, riprendono e
sviluppano la rappresentazione tipica degli ultimi provenzali che facevano della donna una
figura angelicata ispiratrice di un amore che corrisponde prima di tutto all’elevazione
spirituale. La donna appare dunque sotto i tratti della donna angelo (de la dame ange) che
permette di innalzare le virtù morali e spirituali degli uomini. Insomma gli stilnovistiriprendono numerosi altri spunti figurativi organizzando tuttavia queste suggestioni in una
ideologia più complessa.
III.2.2 – L’originialità del Dolce Stil Novo
Vediamo ora in che consiste la loro originalità. Un pubblico nuovo : Originale è, in
primo luogo, il loro definirsi come un pubblico nuovo di produttori e utenti della poesia,
legato da amicizia. Definiscono il loro gruppo come la libera accoglienza di « cori gentili »
capaci di vivere e di intendere una nobilitante esperienza d’amore. Gli stilnovisti si rivolgono
ad un pubblico ideale composto di donne e di uomini che « hanno intelletto d’amore ». Si
tratta di un gruppo di intellettuali che non coincide più con la corte ma che vive nella civiltà
cittadina e fonda il sentimento della propria aristocrazia prima di tutto sulla cultura percepita
come conquista individuale. Per via di conseguenza, la loro dottrina d’amore non si
accontenta del tradizionale galateo cortese (cioè del regole dell’amore cortese) ma s’ispira
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anche e soprattutto alla filosofia insegnata nell’Università : il « senno » che viene da Bologna
cioè dalla famosa università di Bologna, secondo il rimprovero ironico rivolto loro da
Bonagiunta Orbicciani nel sonetto Voi, ch’avete mutata la mainera.
Ma in che cosa consiste quella loro mainera nuova ?
La Psicologia dei sentimenti : Gli stilnovisti si interrogano principalmente
sull’origine e la natura di amore che intendono definire attraverso il loro fondamentale aspetto
psicologico. La poesia raggiunge sempre più un certo livello di coerenza e di logica tramite lo
sperimento della lingua poetica. I poeti desiderano dare una dottrina d’amore. Per via di
conseguenza i sentimenti antitetici cagionati da Amore : gioia e tormento amoroso, il
contrasto tra joy e dolor dei provenzali, la contemplazione entusiastica della bellezza e la
passione conturbante vengono ricondotti a quel complesso di rappresentazioni mentali che
generano il sentimento. L’analisi del sentimento amoroso coinvolge allora tutta la vita della
coscienza perché la psicologia medievale consisteva nella dottrina filosofica dell’anima. Gli
stilnovisti possono definirsi da una totale fedeltà all’ispirazione amorosa, sono attenti alla
singolarità di ogni esperienza intima d’amore. Coltivano una poesia d’introspezione e di
autobiografia interiore ma sono anche in cerca di oggettività che mira ad enunciare lo statuto
dell’amore e dell’amante nel linguaggio che era quello della metafisica e della psicologia del
Duecento.
La Filosofia : Si avverte così negli stilnovisti l’influsso della ricerca filosofica del
tempo dal nuovo aristotelismo alle correnti mistiche confluite nella filosofia di san
Bonaventura di Bagnoreggio, fra le quali particolare importanza riveste la cosiddetta
« metafisica della luce ». Secondo questa teoria, la luce sarebbe il principio dell’essere, della
vita ; lo splendore, in tutto il creato, della suprema mente creatrice, cioè di Dio, riflessa dalle
intelligenze angeliche motrici dei cieli e dalle creature umane più elevate che diventano un
vero incentivo a partecipare all’essere e alla verità. Questa teoria ispirò profondamente la
presentazione e l’esaltazione della donna e dell’amore. Pur tuttavia, questa come altri punti di
pensiero non sono svolti su di un piano filosofico sistematico ma tradotti in un sistema di
immagini poetiche che potrebbe essere sintetizzato così :
Sistema di immagini : La bellezza della donna (che si esprime attraverso metafore di
luce e di splendore) è manifestazione della perfezione dell’essere alla quale aspira l’anima e
l’amore corrisponde a quest’aspirazione. La bellezza viene così considerata come la
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rivelazione del bene e amore come l’esaltazione della nobiltà dello spirito, ma anche come
tensione spesso insoddisfatta e tormentosa.
Lo spiritualismo : La lode della donna ricoprirà con Dante un significato metafisico e
mistico. Al capitolo XIX della Vita Nuova (Vie Nouvelle) Dante identifica la lode della donnaall’esenza d’amore e della poesia d’amore : inaugurando così un lirismo che celebra un amore
puro, lodativo, disinteressato che si compiace delle lodi. Ma la lode della donna anche quando
questa viene « angelicata » rimane un semplice topos. Tale misticismo che colorisce la lode
della donna ricuopre due forme. Per certi come per Guido Guinizzelli, si tratta soltanto di un
ornamento di stile lessicale e tematico, una specie di gioco letterario, di metafora. Quando
Guinizzelli, nella sua canzone dottrinale Al cor gentil rempaira sempre amore, paragona la
sua donna ad un angelo si tratta soltanto di un’immagine topica. Altri invece s’ispirano
direttamente alla letteratura religiosa e mistica. Di quelli fanno parte Dante. La Vita Nuova,
può, sotto diversi aspetti essere considerata come la « leggenda di santa Beatrice », cioè come
un’opera realizzata sul modello dell’agiografia francescana.
Ma tale spiritualismo e miticismo ai quali il solo Guido Cavalcantoi farà eccezione
nella sua canzone Donna me prega, non possono far dimenticare che il dolce stil novo canta
un amore adultero o per lo meno un amore estraneo alle leggi del matrimonio e per via di
conseguenza che dovrebbe essere del tutto incompatibile con la mistica cristiana. Si tratta
dunque anche in questo caso di un’espressione poetica topica fatta di convenzioni letterarie
nell’ambito della quale sarebbe inutile cercare la traduzione immediata della realtà oggettiva.
III.2.3 – Lo stile
Ma più che nella tematica, la dimensione unitaria della « scuola » si avverte soprattutto
nell’ambito dello stile. Caratteristici degli stilnovisti sono il gusto per la drammatizzazione
degli eventi interiori, la donna come baleno di luce, di primavera e l’impegno stilistico
culmina nella ricerca di un linguaggio « dolce » adatto ad esprimere la soavità d’amore e le
immateriali sfumature della vicenda interiore. Il dolce stil novo è l’opera d’intellettuali laici e
borghesi profondamente legati alla vita dei Comuni. Si tratta di una poesia scritta da e per
l’« élite » intellettuale che si sta formando in seno al mondo comunale. Rialza il volgare
toscano al livello di lingua letteraria nobile e di modello linguistico supraregionale.
Il dolce stil novo rimase un’esperienza aristocratica fortemente selettiva nei confronti
del pubblico e anche negli argomenti in tal modo che riflette soltanto parzialmente la realtà
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complessa dell’epoca. Ma importante è il suo significato storico. Prima di tutto per il suo
perentorio richiamo all’interiorità, il suo impegno filosofico che attesta l’affermarsi di un’alta
cultura laica in volgare, la sua rifondazione del mito d’amore ricondotto alla vita della
coscienza delineando così una visione più complessa della psicologia umana. Questi motivi
tranne alcune astrattezze passeranno nella lirica del Petrarca e poi in quella posteriore.
III.3 – I maggiori rappresentanti
III.3.1 - Guido Guinizzelli
Guido Guinizzelli per primo cominciò questa poesia nuova. Venne d’altronde
considerato da Dante come il “padre” del dolce stil novo al canto XXVI del Purgatorio, cioècome il suo iniziatore e fondatore.
Guido Guinizzelli nacque a Bologna fra il 1230 e il 1240, parteggiò per la famiglia dei
Lambertazzi che erano ghibellini e fu per questo mandato in esilio a Monselice. Morì circa nel
1276. Ecco le poche indicazioni che abbiamo della sua vita. A parte questo, certi suoi
componimenti ci lasciano intravedere un apprendistato legato alla tradizione siciliana come
per esempio la canzone Donna, l’amor mi sforza e ossequioso dell’autorità di Guittone come
ne testimonia il sonetto O caro padre meo, de vostra laude. Scrisse infatti componimenti
ispirati al più intenso manierismo del tipo siculo-toscano. Altri tuttavia provocarono presto
reazioni più o meno violente da parte dei maestri toscani. Probabilmente verso
l’incondizionato elogio muliebre dei suoi sonetti Io vogl’ del ver la mia donna laudare e
Vedut’ho la lucente stella diana, Guittone stesso rivolse la reprimenda del proprio S’eo tale
fosse ch’eo potesse stare. Bonagiunta Orbicciani lo rimproverava nel sonetto Voi, ch’avete
mutata la mainera di aver stravolto i modi della lirica d’amore rinfacciandogli anche un
eccesso di sottigliezza. L’attacco si chiude con una dichiarazione di meraviglia in senso
negativo per la fattura di canzoni tanto dotte quanto astruse, composte con materiali prelevati
dalla letteratura dottrinale. L’accenno a tale testura dottrinale fa pensare che il bersaglio di
Bonagiunta fosse costituito dal testo più celebre del Guinizzelli ovvero dalla canzone
programmatica che fin dalla prima stanza poneva la nobiltà di cuore a fondamento del
sentimento e del discorso amoroso, vale a dire la canzone Al cor gentil rempaira sempre
amore. Insomma, Guido Guinizzelli, da buon fedele guittoniano che era stato, divenne
l’innovatore denunciato da Bonagiunta come soverchiato dall’intellettualismo.
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Dal suo canzoniere lo vediamo in effetti ripercorrere ed assimilare la tradizione
siciliana e toscana, chiamar Guittone suo maestro ma distaccarsi progressivamente da ogni
modello precedente per via della sua genialità inventiva. Il Guinizzelli comincia dunque col
riprendere la poesia ed i motivi che erano stati quelli di Guittone d’Arezzo per volgersi dopo
verso uno stile più « dolce » nella sua espressione ma pur tuttavia sommamente intellettuale.
Sarà effettivamente chiamato « il saggio » da Dante, naturalmente per la canzone Al cor
gentil, fin dal sonetto incluso nella Vita Nuova che comincia « Amor e ‘l cor gentil sono una
cosa, / sì come il saggio in suo dittare pone ». Certe sue immagini nuove saranno riprese e
sviluppate da altri stilnovisti. Per esempio, il motivo della donna angelo, del saluto che porta
beatitudine e salvazione all’animo liberandolo da ogni peccato e donandogli purezza e virtù,
del poeta piagato d’amore, che « porta morte » in sé, nel senso che l’amore pone l’anima in un
travaglio angoscioso.
Per quanto riguarda le tematiche ed i concetti, se non è nuova l’identificazione di
amore e virtù, di amore e nobiltà vera, che è prerogativa dell’anima e non dote ereditaria,
nuovo è l’entusiasmo con cui vengono espressi. Caratteristico del Guinizzelli è anche
l’atteggiamento di riflessione sui propri sentimenti, la passione intellettuale con cui definisce
il proprio animo e gli effetti che l’amore produce in esso. Amore per lui è trionfo di
spiritualità, di fervore e d’intima vita. Nella sua poesia la donna è quella che porta il
« saluto ». Il poeta si compiace dell’analogia tra « saluto » che indica il fatto di salutare
qualcuno e « salute » nel senso che la donna col suo saluto porta la salvezza dell’anima.
Inoltre, il valore della donna consiste nello « stupore » quando appare al poeta. Lo stupore
equivale più o meno al colpo di fulmine tramite il quale il poeta amante viene sbarazzato,
depurato da ogni cattivo pensiero, purificato dal valore della donna. Ma tale purificazione si
accompagna ad una paralisi di tutte le funzioni vitali dell’amante chiamate dalla medicina
medievale « spiriti ».
Al suo canzoniere appartengono la canzone Al cor gentil rempaira sempre amore cheviene considerata come il « manifesto » del dolce stil novo, cioè come l’esposizione, la
definizione dei principali temi di questo movimento poetico. Alla sua opera appartengono
anche numerosi sonetti come Io voglio del ver la mia donna laudare ; Lo vostro bel saluto e ‘l
gentil sguardo ; Vedut’ho la lucente stella diana ; Sì sono angostïoso e pien di doglia…
Ma nell’ultimo quarto del Duecento un problema in particolare s’imporrà
all’attenzione dei lirici in volgare quello di coniugare l’esperienza della lirica d’amore con la
società comunale e soprattutto con la spiritualità cristiana. Dante rimoverà in modoconcettuale l’ostacolo che si frapponeva tra il poeta e il suo canto d’amore instaurando lo stile
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della lode come lo spiega nella Vita Nuova XVIII : ovvero tratteggiando un nuovo tipo
d’innamorato che non si prefigge di ottenere ricompensa alcuna se non quella di tessere
l’elogio della propria donna. Su questo terreno si svilupperà la riforma stilnovistica
avvalendosi delle acquisizioni guinizzelliane.
III.3.2 - Guido Cavalcanti
Anche di lui abbiamo scarse notizie. Nacque da una nobile e potente famiglia
fiorentina fra il 1255 e il 1259. Fu guelfo di parte bianca e amico di Dante anzi il suo « primo
amico » come dirà lo stesso Dante nella Vita Nuova al quale dedica l’opera giovanile. Fu un
appassionato uomo di parte, fieramente avverso a Corso Donati, capo della fazione rivale cioè
dei guelfi Neri. Fu esiliato nel 1300 a Sarzana ma subito dopo riammesso a Firenze. Morì
poco dopo il ritorno in patria.
I cronisti dell’epoca, Dino Compagni e Giovanni Villani e, più tradi, il Boccaccio lo
rappresentarono come un uomo aristocratico nei modi e nel sentire : « uno giovane gentile,
figliuolo di messer Cavalcante Cavalcanti, nobile cavaliere, cortese e ardito ma sdegnoso e
solitario e intento allo studio » dice il Compagni ; filosofo di profonda dottrina : tutti e
soprattutto il Boccaccio insistono su questa concentrata vita interiore volta alla meditazione
delle ragioni dell’esistenza, meditazione che non sembra essersi placata nella certezza di una
fede rasserenatrice.
All’inizio della sua produzione lirica, si muoveva ancora nel solco dei siciliani e di
Bonagiunta come nella celebre ballata Fresca rosa novella composta probabilmente per una
festa di Calendimaggio. Poi diventerà fedele ai modi ed alla tecnica di Guido Guinizzelli in
componimenti come Chi è questa che vèn, ch’ogn’om la mira. Ma a poco a poco e già con la
canzone dottrinale Donna me prega, si allontana decisamente dalla poetica della dulcedo in
favore di un tessuto formale artificioso che riflette la densità e la durezza del raginamento. Al
centro del suo canzoniere sta l’esperienza dell’amore colta nel suo carattere di nobile
avventura dell’anima. Ma negli schemi tradizionali della poesia stilnovista, il Cavalcanti
esprime un tormento, una tristezza che lo distinguono sia dal Guinizzelli sia da Dante e
rivelano una visione conflittuale non solo dell’amore ma della vita in genere.
Anch’egli ha la sua canzone-manifesto, Donna me prega perch’eo voglio dire, una
canzone che si rivela difficile a capire per l’oscurità del frasario filosofico e la complessa
elaborazione stilistica. Ma pur tuttavia, la conclusione appare chiara : il poeta consepisce
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l’amore come passione propria della parte sensitiva dell’animo e quindi non come spinta al
perfezionamento delle virtù intelletuali e morali secondo le concezioni guinizzelliana e
dantesca, ma come sentimento violento e tormentoso, come sofferenza, e spesso come
distruzione d’ogni facoltà fisica e spirituale. Parimenti estranea all’ideologia stilnovistica è la
teoria dell’amore come passione dell’anima sensitiva che sovverte le facoltà dell’intelletto. Il
contenuto filosofico, di matrice averroistica ha poi le sue implicazioni sul piano del lessico
con i tecnicismi attinti alla terminologia della filosofia naturale.
Allo stesso modo, la donna non è più considerata come faro di luce e di spirituale
perfezione, ma creatura la cui bellezza sensibile è fonte per il poeta di entusiastica
contemplazione, senza però che questo sentimento si innalzi a un’idealità superiore. Amore è
dunque forza tirannica che affascina e al tempo stesso addolora. Di qui l’alternarsi nel canto
del poeta di immagini di luce e di tenebra, di gioia e d’angoscia.
La tonalità più specificamente stilnovistica della poesia del Cavalcanti consiste nel
fatto che questo dramma è colto e rappresentato in rarefatte immagini d’interiorità, in una
sorta di mitologia dell’animo e della passione.
Della sua composizione sono oltre la canzone-manifesto Donna me prega, i sonetti
Avete ‘n vo’ li fior’ e la verdura ; Chi è questa che vèn, ch’ogn’om’ la mira ;Voi che per li
occhi mi passaste ‘l core ;Tu m’hai sì piena di dolor la mente ; le ballate La forte e nova mia
disaventura ; Perch’i’ no spero di tornar giammai ; Era in penser d’amor quand’i’ trovai…
III.3.3 - Cino da Pistoia
Cino è il diminutivo di Guittoncino dei Sigibuldi. Nacque a Pistoia intorno al 1270 e vi
morì nel 1336 o 1337. Fu insigne giurista e scrisse importanti commenti ai codici. Prese parte
alle lotte politiche della sua città e sostenne per questo l’esilio. Fu amico di Dante la cui morte
pianse in una canzone e come lui appoggiò e sostenne la politica di Arrigo VII. La donna che
canta nelle sue poesie si chiama Selvaggia.
Tecnico di diritto, Cino fu anche un pregevole dilettante di poesia, molto vicino al
Dante della Vita Nuova. Più a lungo del Cavalcanti rimase fedele alla poetica stilnovista. Fu
l’autore di un vastissimo canzoniere, insieme uniforme di accento e disparato di temi che non
ha né la compattezza cavalcantiana né l’organica sperimentalità dantesca, ma è giunto
nell’elaborazione del medio gusto lirico italiano. Questo suo canzoniere godette fortuna
presso i posteri immediati mentre la critica moderna ha limitato il valore della sua poesia. Gli
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viene riconosciuto il merito di essere stato un mediatore tra il dolce stil novo fiorentino e la
poesia petrarchesca (del Petrarca). Meditando e rielaborando i modi stilnovistici, ne dissolve
l’atmosfera rarefatta ed estatica, svolgendoli in un discorso che tende alla rappresentazione di
sentimenti più quotidiani. Se il Cavancanti si astrae dalla realtà di tutti i giorni per farne
sostanza di simboli universali, Cino intende rappresentare la sua vicenda d’amore in termini
psicologici concreti con alternanza di speranza, desiderio, dolore e ricordo. Con Cino da
Pistoia, la poesia amorosa torna ad un’espressione meno intellettuale che esprime il
sentimento quotidiano in un linguaggio meno ricercato ed oscuro. Cino da Pistoia prese
l’opzione quasi esclusiva nei confronti dei temi amorosi e il disinteresse verso sottili
discettazioni filosofiche. In tono spesso elegiaco modulò molti motivi tipici dello stilnovismo:
dalla donna angelicata nella ballata Angel di Deo simiglia in ciascun atto, alla subitanea
apparizione del sonetto Una gentil piacevol giovenella, all’attesa della morte nella canzone
Degno son io di morte e al plazer del sonetto Una ricca rocca e forte manto.
Al suo canzoniere appartengono anche la canzone La dolce vista e ‘l bel guardo soave,
il sonetto Io fu’ ‘n su l’alto e ‘n sul beato monte, ma maggior successo di ogni altro riscosse il
testo della canzone che si apre con la stanza memorabile : La dolce vista e ‘l bel guardo
soave. Il longevo ed insigne giurista, addottoratosi a Bologna nel 1314 e divenuto poi lettore
nelle università di Siena, di Perugia e di Napoli, ebbe non solo modo di piangere la scomparsa
del grande amico Dante (avvenuta il 14 settembre 1321) nella canzone Su per la costa, Amor,
de l’alto monte, ma di continuare ancora per una quidicina di anni a far sentire la propria
presenza nel panorama poetico italiano, guadagnandosi all’atto della morte, nel 1336 o nel
1337 il compianto funebre scritto da Petrarca, il sonetto Piangete, donne, e con voi pianga
Amore, nel quale piange « ‘l nostro amoroso messer Cino ».
Ecco per quanto riguarda il panorama della lirica duecentesca che nasce con la lirica
siciliana, si sviluppa con la poesia toscana e finalmente con il Dolce Stile. Attraverso questosguardo complessivo abbiamo già fatto il nome di quelli che saranno considerati come i tre
maggiori poeti fiorentini del Duecento e perciò chiamati le « Tre corone », vale a dire Dante,
Petrarca e Boccaccio ai quali saranno dedicati i seguenti tre capitoli.
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