LA FIGURA DI ULISSE NEL TEATRO SPAGNOLO DEL … · (ed. orig. inglese Penguin: Harmondsworth 1974...

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Estéban Calderón Dorda Universidad de Murcia LA FIGURA DI ULISSE NEL TEATRO SPAGNOLO DEL DOPOGUERRA in Ulisse per sempre Atti del Convegno Internazionale Trieste-Ljubljana 4-5 settembre 2012 Traduzione in italiano di Diana de Paco Serrano

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Estéban Calderón Dorda

Universidad de Murcia

LA FIGURA DI ULISSE

NEL TEATRO SPAGNOLO DEL DOPOGUERRA

in

Ulisse per sempre

Atti del Convegno Internazionale Trieste-Ljubljana 4-5 settembre 2012

Traduzione in italiano di Diana de Paco Serrano

* Vorrei dedicare questo mio intervento a mio nonno Estéban e ai suoi fratelli, ed a tutta una generazione di marinai repubblicani i quali hanno vissuto in esilio perché «amavano la libertà come si ama il primo amore», come disse uno di loro.

La letteratura greca, senza alcun dubbio, offre un tipo di miti che sono diventati

archetipi, i quali si riflettono, soprattutto nella tragedia greca, come una perfetta

«literaturización»1; in tal modo il mito è configurato dalla sua storia letteraria. Allo

stesso modo, sia gli argomenti storici che quelli leggendari acquisiscono con il

passare degli anni una valenza poetica e simbolica che permette loro di essere

ancora situati in qualche modo nella sfera del mito2.

Si potrebbe affermare che i miti appartengono alla memoria collettiva3. Si tratta,

infatti, di argomenti profondi ed evocativi, proclivi in ogni momento a nuove

interpretazioni4. Cosí è stato inteso dal teatro greco, e cosí è stato inteso nei secoli

successivi.

Nel teatro greco esisteva un elemento fondamentale per creare e mettere in

moto l’azione: il conflitto. Come si sa, il conflitto rappresentato dalla guerra di

Troia costituisce un motivo centrale nelle opere di Eschilo, Sofocle ed Euripide, i

quali ne approfittarono per presentare davanti al pubblico greco una riflessione

sulle conseguenze che da quei conflitti derivavano, in forma di drammi piú o

meno personali. Nel conflitto compare sempre una colpa che imprime il suo segno,

e conduce verso la fatalità, che porta l’essere umano a affrontare situazioni che in

qualche modo si possono estendere a tutti i mortali. In questo senso, non c’è

1 [Si potrebbe tradurre: «letteraturizzazione», cioè un passaggio attraverso un medium letterario, in questo caso teatrale; Nt. della Trad.] 2 Cfr. G. S. KIRK, La naturaleza de los mitos griegos, Barcelona, 1984, p. 49 s. (ed. orig. inglese Penguin: Harmondsworth 1974, trad. it. Laterza: Roma - Bari 1977). 3 C. GARCÍA GUAL, Los mitos griegos en la literatura de nuestro tiempo, Salamanca, 1997, p. 9. 4 Cfr. J. S. LASSO DE LA VEGA, Helenismo y literatura contemporánea, Madrid, 1967, pp. 162-178.

dubbio che il teatro spagnolo del ventesimo secolo è stato segnato da un conflitto,

la Guerra Civile, che come una particolare Guerra di Troia genera anche eroismi,

tradimenti, sacrifici, criminalità, frustrazione, e sopratutto, lascia un’impronta

incancellabile e onnipresente sulla scena. Tutti questi fattori fanno parte di un fase

oscura della storia del teatro, opera di una generazione che ha finito per chiamarsi

«perduta». Si può dire che la guerra di Troia sia stata «la guerra» per eccellenza, e

il dopoguerra nel suo insieme è diventato un’Odissea. Il paradigma delle

conseguenze della guerra di Troia è Ecuba, madre di 50 figli, tutti morti in una

guerra che lei non avrebbe mai desiderato.

Tra il 1939 e la decade degli anni settanta, il teatro spagnolo sviluppa una sorta

di genere, in cui la guerra di Troia è il pretesto ideale per dibattere sulla scena tutto

quello che in altro modo non sarebbe stato possibile dibattere in una società di

censura. Non farò riferimento, quindi, alle opere teatrali dell’ultimo quarto del

ventesimo secolo o già appartenenti al ventunesimo secolo, come ad esempio El

último desembarco (1987), di Fernando Savater, Penélope (de 1971, pubblicata solo nel

1995), di Domingo Miras, Las voces de Penélope (1996), di Itziar Pascual, Soy Ulises,

estoy llegando (2007), di Ainhoa Amestoy, o Polifonía (2009), della nostra Diana de

Paco5.

Il ritorno piú noto da Troia è senza dubbio quello di Ulisse. Penelope, intanto, è

diventata la sposa fedele che attende il ritorno dell’eroe dalla guerra. Nel 1946

Gonzalo Torrente Ballester pubblica El retorno de Ulises (Il ritorno di Ulisse). Ulisse

ritorna vinto e senza onore a casa, dove troverà una Penelope anch’essa sconfitta.

La sua attesa è stata inutile.

El retorno de Ulises è la prima opera teatrale che nel dopoguerra impiega un

argomento della tragedia greca per offrire a questa vicenda e alle sue conseguenze

una sfumatura critica, e corrisponde ad un periodo in cui l’autore opera una

5 Un elenco di opere su questo tema si può trovare in F. GARCÍA ROMERO, «El mito de Ulises en el teatro español del siglo XX», Cuad. Filol. Clás. 9, 1999, pp. 281-303, e si può vedere anche il recente articolo di Juan Antonio LÓPEZ FÉREZ, «Influencias de la Odisea en dos autores de la literatura española del siglo veinte: Gonzalo Torrente Ballester y Antonio Buero Vallejo», in NICOSIA

Salvatore (cur.), Ulisse nel tempo. La metafora infinita, Marsilio: Venezia 2003, pp. 445-468.

revisione dei fondamenti della sua ideologia. Attorno alla «demitificazione»

dell’eroe di guerra e della guerra stessa, ruota una piú ampia meditazione sul

potere.

Con uno stratagemma, Penelope accenna alla possibilità di un matrimonio con

uno dei proci, per fare in modo che un’astuzia le permetta di stabilire un nuovo

termine di cinque anni. Intanto Telemaco andrà in cerca di suo padre,

accompagnato da Mentore, il quale cerca di educarlo nell’idea che assomigli a

Ulisse. A questo punto, partendo dalle descrizioni di Penelope, comincia il

processo di «demitificazione» di Ulisse e della guerra di Troia: «Ulisse non aveva

niente di speciale, ma era un seduttore adorabile, e il migliore tra gli uomini» (p.

47)6. L’immagine di Ulisse, vera o falsa che sia, si impadronisce di tutta la scena.

Penelope vive immersa nei ricordi.

Ulisse, con le sue vicende, è riuscito a fare di Itaca un luogo di interesse

turistico, e cosí ha risolto i suoi problema economici: il popolo non vuole piú un

nuovo re, e rifiuta le proposte dei proci, ciò che allude a un rifiuto dell’idea di una

restaurazione della monarchia. Nel primo atto si trovano diverse allusioni riferite

alla politica, alla volontà popolare e alla garanzia delle istituzioni politiche

democratiche (p. 75).

Contra la voluntad de los dioses surge una peligrosa novedad que llaman democracia y también libertad popular. Consiste en que los pueblos, cansados de sus antiguos mitos, los crean por su cuenta, convirtiéndolos en alcahuetes de su propia voluntad. Ítaca ha deificado a Ulises, erigiéndole templos y estatuas, y hacia él se dirigen todas las devociones (pp. 76-77)7.

Questo brano sembra costituire il messaggio politico e ideologico dell’autore: in

esso la figura di Ulisse diviene un simbolo del suo atteggiamento nel 1946 nei

confronti del generale Franco.

Alla fine del primo atto, sono già passati venti anni. Nel secondo atto è nata e

comincia a crescere la delusione. Telemaco non crede piú a Ulisse:

6 G. TORRENTE BALLESTER, El retorno de Ulyses, Madrid 1946, edizione dalla quale cito. 7 «Contro la volontà degli dèi si leva una pericolosa novità, che chiamano democrazia, ed anche libertà popolare. Essa consiste nel fatto che due popoli, stanchi dei loro antichi miti, li creano per conto loro, trasformandoli in garanzie della loro stessa volontà. Itaca ha divinizzato Ulisse, elevandogli templi e statue, ed a lui sono rivolte tutte le preghiere».

Ulises no ha existido jamás (p. 130). Era un mito sobrehumano que excedía el firmamento, y yo su sombra viajera por encima de los mares (p. 132)8.

E poi dice a Penelope:

«No existió ése que has pintado, sino un oscuro guerrero, bastante astuto, perdido hoy para siempre en cualquier rincón de los mares» (p. 136)9.

I proci, come nell’Odissea, non superano la prova dell’arco. Il popolo inneggia a

Ulisse, ma Telemaco pretenderà da suo padre che superi la prova di colpire una

mela sulla testa di Penelope. Ulisse prende l’arco, ma alla fine rilascia la corda e lo

getta via, gridando: «Sono un impostore!» «¡Soy un impostor!» (p. 166). A questo

punto, Ulisse continuerà a viaggiare, come fece fin qui, ma senza fama e senza

speranza («va a caminar como hasta aquí, pero sin nombre y sin esperanza», p.

167). Penelope se ne andrà con lui. Il suo destino è quello della sposa fedele che

incarna il suo mito: amare per sempre Ulisse, nella gloria e nella decadenza. E cosí

si conclude l’opera, con la sensazione che la menzogna è a volte piú verosimile

della stessa verità, e con l’idea che la gloria esiste soltanto quando è finta.

In «La tejedora de sueños» («La tessitrice di sogni», 1952) Antonio Buero Vallejo

presenta invece una Penelope che si mostra come un personaggio forte, in grado di

sognare ancora, Regina di una Itaca (metafora della Spagna), smembrata e

miserabile, devastata dall’ambizione e dal potere. In ogni caso, sia in Torrente

Ballester che in Buero Vallejo, Penelope rappresenta il volto della fedeltà.

L’Ulisse di Buero si inserisce nella tradizione anti-omerica, che lo presenta come un

uomo freddo, calcolatore e egoista. La guerra di Troia aveva come scopo il bottino,

e la sua conseguenza è stata la degradazione dell’uomo e il depauperamento e la

miseria del regno. Ulisse non è l’uomo al quale la guerra ha conferito nobiltà, ma

l’uomo distrutto dalla guerra e perciò privato della sua umanità, l’uomo che ormai

sa soltanto continuare a distruggere, salvare le apparenze, salvare il suo prestigio

8 «Ulisse non è mai esistito (p. 130)». «Era un mito sovrumano che andava oltre il firmamento, e la sua ombra viaggiava di là dai mari» (p. 132). 9 «Questo che hai rappresentato non è mai esistito, era solo un oscuro guerriero, abbastanza astuto, che oggi è perduto per sempre in qualche angolo remoto dei mari» (p. 136).

inventando una menzogna, un falso mito da presentare come esemplare alla

posterità.

La Tejedora de sueños

Edwin Rojas

Nel palazzo di Itaca Penelope tesse e disfà per interi anni le sue speranze, i suoi

amori e le sue indecisioni. L’attesa di Penelope, la minaccia dei proci, l’amore che

comincia a nascere verso il fedele Anfinoo… Tutto ciò si svolge mentre si attende il

ritorno di Ulisse, il quale alla fine arriverà travestito da mendicante, per capire in

segreto quello che è successo durante la sua assenza. Durante la strage dei proci

l’Ulisse di Buero non ha un atteggiamento molto diverso dall’Ulisse omerico.

Tuttavia egli ha vinto, sí, ma solo in apparenza, perché in realtà, il vero sconfitto è

lui: «Y le amas, bien lo veo… Todo está perdido» [«E lo ami, lo vedo bene ... Tutto è

perduto» (p. 203)] quando si rende conto del vero amore di Penelope verso il

giovane Anfinoo: «Y ahora, a vivir … muriendo» [«E ora, a vivere ... morendo»] (p.

206) sono le ultime parole di Ulisse.

Ma per Buero, come per Eschilo, il tragico porta implicito in sé il concetto di

tragedia, e addirittura quello di speranza, perfino quando i protagonisti finiscono

sconfitti. Ulisse ha distrutto tutti i sogni di Penelope con il suo ritorno. L’incontro,

dopo venti anni di assenza, rivela tutta la mancanza di comunicazione, tutto

l’immenso vuoto che li divide. La guerra li ha distaccati fisicamente, ma sopratutto

ideologicamente. Ulisse è il passato, Penelope il futuro. Sul sogno si è costruita una

menzogna. Non resta che la speranza. Ma la menzogna l’aveva fabbricata Ulisse,

mentre il sogno lo aveva tessuto Penelope. «Dichosos los muertos» («I morti sono

beati)»] (p. 207) sono le sue ultime parole.

Nel 1975, l’ultimo anno del generale Franco, Antonio Gala rappresenta la sua

opera ¿Por qué corres, Ulises?10. Il ruolo di Ulisse fu interpretato dal grande attore

ispano-argentino Alberto Closas, mentre quello di Nausicaa fu interpretato

dall’attrice Victoria Vera, e fu la prima rappresentazione di un corpo nudo sulla

scena spagnola, con il conseguente turbamento e le dure critiche della stampa

conservatrice, che in fin dei conti era ancora dominante su scala nazionale,

praticamente quasi la totalità.

In ¿Por qué corres, Ulises? Si ritrovano due argomenti: Da un lato la frustrazione

dell’eroe stanco e l’inutilità del ritorno e dell’attesa. Gala ci racconta che qualunque

Odissea è il racconto di un ritorno, di una disperata attesa, è il recupero della

memoria che un dopoguerra naufrago riuscí a diluire e a far scomparire. Tutti

siamo Ulisse o Nausicaa o Penelope, afferma Gala:

«Todos hemos sufrido las consecuencias de una lejana guerra, cuyas causas se nos han olvidado. Todos esperábamos llegar alguna vez donde nunca llegamos. Todos hemos perdido demasiado tiempo y culpado de nuestras tonterías al destino y a los dioses, todos vagamos de una a otra isla, desterrados de donde fuimos reyes ignorantes; y es terrible volver. Todos tenemos un alma dividida y es terrible elegir»11.

L’argomento per Gala è la guerra, che provoca soltanto vittime inutili, dato che

una volta finita si dimenticano le cause che l’avevano provocata; e poi il ritorno alla

situazione precedente non è mai possibile. Diventa inutile affrettarsi a ritornare:

Todos tenemos nuestra odisea. La odisea no es ir de isla en isla, camino de la nuestra, sino de persona en persona, camino de nosotros… Si, en el fondo, sabes que siempre se acaba donde se empezó, ¿por qué corres, Ulises? (p. 148)12.

10 A. GALA, Perché corri, Ulisse?, 1975, prima scenica a Madrid, 16 ottobre 1974. 11 «Tutti abbiamo sofferto le conseguenze di una guerra lontana, della quale abbiamo dimenticato le cause. Tutti abbiamo sperato di tornare un giorno dove non siamo mai arrivati. Tutti abbiamo perduto troppo tempo, incolpando il destino e gli dèi delle nostre stoltezze, tutti vaghiamo da un’isola a un’altra, privati della terra dalla quale siamo partiti, re ignoranti, ed è cosa terribile ritornare. Tutti abbiamo un’anima divisa, ed è terribile dover scegliere». 12 «Tutti abbiamo la nostra odissea. L’odissea non è andare di isola in isola, che è il percorso della nostra, ma è andare di persona in persona, che è il percorso di noi stessi... Se, in fondo, sai che sempre si arriva là da dove si è cominciato, perché corri, Ulisse?» A. GALA, Las cítaras colgadas de los árboles. ¿Por qué corres, Ulises?, Madrid 1975, edizione dalla quale cito.

Ulisse sogna con la giovane e bella Nausícaa, ma rimane con Penelope. Una

Penelope fedele e immobile che sa maneggiare Ulisse come vuole, lusingando la

sua vanità per comandare lei la sua casa, in quella Itaca che è rimasta l’ultimo

rifugio per Ulisse, quando non può aspettarsi altro che il disdegno delle sue

Nausichee. «Eres mi última isla. De aquí me iré a la mía… se me ha acabado el

mar» (p. 137) [Sei la mia ultima isola. Da qui me ne andrò alla mia... Ho finito il

mare (p. 137)].. Ulisse e Penelope hanno bisogno l’ uno dell’ altro perché, sottolinea

Gala, «el amor termina y a solas es más duro envejecer» (p. 211) [... l’amore

fihnisce, e da sole è piú duro invecchiare (p. 211)].

Vicina nel tempo è l’opera creata nel 1973 da Carmen Resino, Ulises no vuelve

(Ulisse non ritorna), anche se è piú conosciuta in versioni posteriori13. Neppure

adesso è un personaggio simpatico quello che mostra Resino in un’opera che è un

ritratto di conflitti che in una famiglia qualsiasi provoca la assenza del padre,

Ulisse, il cui glorioso ritorno dalla guerra aspettano tutti e che, in realtà, rimane

nascosto da sua moglie, Penelope, nella mansarda della casa, da dove non vuole

scendere, per non far scoprire che non è altro che un codardo disertore. Solo alla

fine, quando non c’è piú altro da fare, Ulisse riappare … per venire a sapere che la

guerra di Troia è scoppiata. Il nonno (Laertes) gli dice: «¿Lo ves? Van a darte otra

oportunidad» [Vedi? ti daranno un’altra possibilità], e il sipario scende mentre

entrambi ridono e fanno un brindisi, davanti allo sguardo impotente di Telemaco e

di Penelope, i quali, invece, non avranno un’altra opportunità di recuperare la loro

gioventú e la loro giovinezza. Il messaggio di Resino è che la guerra non fa eroi: li

distrugge.

Ma l’opera che mi interessa di piú analizzare è quella di Salvador Monzó, scritta

nel 1958 Ulises o el retorno equivocado (Ulisse o il ritorno equivocato), opera che

racconta il ritorno dell’eroe dalla guerra; ma non si tratta questa volta di un eroe

nel senso convenzionale, anzi, in realtà, egli persegue una gloria fugace con la

quale vuole fuggire dalla mediocrità, e la guerra diventa il mezzo per raggiungere

13 C. RESINO, Ulises no vuelve, Madrid 1983, da cui cito.

tale scopo. Monzó definisce la sua opera «como la crisis de un ideal llevado a sus

últimos extremos»14 e la situa nella Spagna franchista degli anni cinquanta.

Il protagonista dell’opera è, come si è già detto, l’eroe che ritorna dall’esilio una

volta finita la guerra civile; a casa aspettano sua moglie e il figlio ventenne, che

appena ricordano il suo volto, dopo tanti anni trascorsi. A differenza dell’Ulisse del

mito greco, Juan ritorna sconfitto, non ha saputo scegliere la parte giusta e ha

dovuto pagarne le conseguenze. Nonostante ciò, a casa sua vige una grande

prosperità, grazie al lavoro della fabbrica di famiglia, anche se si è lavorato per

quelli che hanno imprigionato e torturato Juan per tanto tempo. Juan è Ulisse, e in

un certo qual modo è anche Nessuno, visto che non compare mai sulla scena. Il

vero Juan si è perso con la guerra, e quello che ritorna vive solo di ricordi. L’Ulisse

che ritorna è un uomo vecchio, carico della triste realtà della vita, un uomo che non

può distaccarsi dell’intima illusione del ricordo di una giovane Penelope; in certo

modo, Juan ricorda l’Ulisse della Tejedora de sueños di Buero Vallejo. Il pensiero di

Juan è rappresentato da un amico e compagno dei campi di concentramento, un

uomo dal cognome straniero, che si chiama appunto Anatolio.

Pablo, un amico di famiglia, è stato come un padre per Antón e Sofia, i figli di

Juan. Il primo di essi assomiglia piú a Oreste che a Telemaco, vive la crisi di

identità propria dei figli della generazione che ha perduto la guerra, e afferma,

contestatario: «Yo no creo en nada, ni estoy de acuerdo en nada tampoco» (p. 22)

[Io non credo in niente, e non sono d’accordo su niente]. Sofia è l’immagine di

Ismene o Crisotemi, e nasconde la macchia di essere stata vittima di abusi sessuali

da parte della soldataglia dei vincitori; questa macchia ha trasformato la sua

esistenza in una spregevole peregrinazione, che la riempie di vergogna. Sofía

acquista dunque anche una doppia caratterizzazione, cosí che si può riconoscere in

essa Elettra, dato che si innamora di Pablo e cerca rifugio nell’affetto di suo fratello

Antón (Oreste), difensore, a sua volta, del padre. Il personaggio di Pablo può

essere messo a confronto con quello di Egisto, ma anche con i proci; in fondo lui ha

sempre amato Maria (Penelope) e quando ha luogo il processo di Juan per

l’omicidio di sua moglie, cerca di far sí che sia condannato a morte per soddisfare il

14 «Come la crisi di un ideale portata ai suoi limiti estremi»: S. S. MONZÓ, Ulises o el retorno equivocado, Valencia, 1958, p. 12 (dalla quale cito).

suo desiderio di vendetta. Durante l’assenza di Juan aveva nutrito la speranza di

riuscire a possedere Maria, ed è per questo motivo che in certo modo simboleggia

la presenza dei proci. Per questa ragione Antón (Telémaco), che conosce alla

perfezione le intenzioni di Pablo, detesta il protettore della sua famiglia, fino al

punto di affermare: «Hay algo que no le hemos podido dar al nuevo Ulises,

¿sabes? La matanza de los pretendientes» (p. 82)15.

In tutta questa vicenda è chiaro che Maria incarna il personaggio di Penelope, una Penelope che ha vissuto per lunghi anni di ricordi, con la fiducia e la speranza nel ritorno di Ulisse. Gli stessi figli di Maria riconoscono in Penelope la loro madre, e in Ulisse il loro padre:

ANATOLIO: Por eso tengo ganas de conocer a la madre de ustedes. Su padre decía que ella se parecía a Penélope, la esposa de Ulises, y que sabía que le esperaría hasta la muerte. SOFÍA: Sí, él se ha comparado a Ulises. No sé por qué. ANTÓN: Yo sí que lo veo. Ha sido todo igual. Lo único que ha faltado ha sido la matanza de los pretendientes. ANATOLIO: No sé, ¿no hablará usted en serio? SOFÍA: No, no habla en serio, mi hermano habla pocas veces en serio. Creo que aquí ha sido lo contrario en muchas cosas. Mi madre sí que ha sido Penélope, pero nadie ha dilapidado los caudales de mi padre, ni ha injuriado su memoria, antes al contrario, se le ha aumentado su hacienda. No ha habido pretendientes sino un gran amigo que ha velado por todos nosotros. Su ausencia ha sido guardada maravillosamente. Sí, puede compararse a Ulises en algo, en otras cosas, no. (p. 65)16.

È ovvio che Sofia pronuncia queste parole quando ancora non si è svelata la

verità.

D’altra parte, il ritorno di Juan è segnato dalla malattia che lo ha immobilizzato

durante gli ultimi anni. Per tutto questo periodo egli aveva immaginato in Olga, la

infermiera che si prendeva cura di lui, una Penelope ideale: 15 «C’è qualcosa che non abbiamo potuto offrire al nuovo Ulisse, sai? La strage dei pretendenti!». 16 «ANAT. Per questo ho voglia di conoscere la vostra madre. Suo padre diceva che somigliava a Penelope, la sposa di Ulisse, e che sapeva che lo avrebbe aspettato fino alla morte. SOFÍA: Sí, si è paragonato a Ulisse. Non so perché. ANTÓN: Io sí, che lo vedo. Tutto è stato uguale. La sola cosa che è mancata è stata la strage dei pretendenti. ANAT.: Non so, non starete parlando sul serio! SOFÍA: No, non parla sul serio. Mio fratello parla di rado sul serio. Qui è stato il contrario per molte cose. Mia madre sí, che è stata Penelope, ma nessuno ha dilapidato le rendite di mio padre, né ha ingiuriato la sua memoria, piuttosto il contrario, la sua azienda è stata accresciuta. Non ha avuto pretendenti, ma solo un amico che è stato una garanzia per tutti noi. Il suo patrimonio è stato custodito meravigliosamente. Sí, può paragonarsi a Ulisse in qualcosa, in altre cose, no».

«Cuando se está ausente mucho tiempo, todo el mundo se parece a los seres queridos. Cubrimos la realidad con el recuerdo» (p. 64)17.

afferma Anatolio per giustificarsi. Esiste una contrapposizione tra la realtà e la

finzione, tra la Penelope reale e la Penelope sognata, come succederà con la

Penelope di ¿Por qué corres, Ulises?, di Antonio Gala. E Juan (Ulises) finalmente

ucciderà la Penelope reale per continuare a sognare. Il ricordo idealizzato di Maria

finisce per distruggere la donna ideale. Olga è diventata un fantasma e, come dice

Sofía, «no se puede luchar con un fantasma» (p. 91) [non si può lottare con un

fantasma]. Quindi: «Olga era la Circe del nuovo Ulisse. Una maga terrible «que ha

podido con Penélope, la buena Penélope que le aguardó siempre» (p. 124) [Che

l’ha avuta vinta su Penelope, la buona Penelope che lo ha aspettato sempre]. Alla

fine dell’opera, Olga non era mai esistita se non nella febbrile immaginazione di

Juan (Ulisse), un sogno folle che aveva superato la stessa realtà. Penelope è

diventata la sua stessa rivale.

Ulisse ritorna vinto, ma Troia, la guerra civile, hanno cambiato le cose e hanno

disgregato la famiglia. Ulisse è ritornato alla sua Itaca, ma è stato un ritorno

sbagliato, perchè la sua Itaca non esiste piú.

Non viene messa in scena, come avviene nel mito e in altre versioni, la vendetta

dei figli contro l’usurpatore. Manca anche un elemento basilare nella tragedia

greca, come l’abbandono del protagonista di fronte alle forze superiori, contro le

quali qualunque opposizione diventa inutile. Monzó preferisce definire Ulises o el

retorno equivocado come un dramma, anzi, come un’azione drammatica, nel senso

piú vago del termine, per quanto essa non si possa includere con chiarezza né nella

cornice che definisce la tragedia, né in quella che definisce la commedia, e

nemmeno la tragicommedia18.

Dalla famosa «apertura» del franchismo, cominciata all’inizio degli anni

settanta, l’intenzionalità di questo tipo di opere di teatro vive il suo ultimo periodo

d’oro: l’avvento della democrazia nel 1977 provocherà un inevitabile declino. Si re- 17 «Quando si resta assenti per molto tempo, tutto il mondo rassomiglia alle persone amate. Copriamo la realtà con il ricordo». 18 S. S. MONZÓ, op. cit., p. 10.

interpretano alcuni miti in modo rivendicativo, come quello di Fedra, ma i grandi

miti, le grandi saghe che avevano costituito il motivo principale di questo teatro

politico, dimostrano col tempo una presenza sempre piú scarsa.

Tutte le guerre sono Troia e tutti gli esilî un’Odissea, il cui desiderio finale

consiste nel ritorno ad Itaca. Troia fu ed è il pretesto che dà voce al teatro politico,

al teatro della resistenza, al teatro clandestino, a quello che cerca la democrazia, e

che quando questa è ormai arrivata, se ne dimentica. È il teatro che sorge nella

Spagna rinascente dalla Guerra Civile. La guerra di Troia e i suoi ritorni (nóstoi)

sarà il soggetto della maggioranza delle opere di teatro politico nel dopoguerra. Mi

sono riferito al ritorno di Ulisse, alle sue peripezie, all’accoglienza da parte di

Nausícaa, alla seduzione di Circe, all’attesa della sua sposa Penelope, la fedele

Penelope che nel nostro teatro è stata la regina di un’Itaca devastata dalla miseria

del dopoguerra. Penelope è un personaggio, ad eccezione dell’opera di Gala, molto

attraente e nobile, di fronte a un Ulisse pieno di incrinature. Lei è una donna che

ancora mantiene parte della sua bellezza e della sua gioventú, come in La tejedora

de sueños de Buero, en Ulises no vuelve de Resino o en Ulises o el retorno equivocado de

Monzó.

Per concludere, si potrebbe affermare che il nóstos di Ulisse è finalmente

terminato, e che, dopo un lungo dopoguerra, nel 1977 l’eroe ha trovato in Spagna

la sua particolare Itaca. Ulisse è un reale, genuino «sopravvissuto», come lo furono

molti nella Guerra Civile, sia tra i vincitori che tra i vinti, ma si deve pur dire che,

se c’è qualcuno che merita appieno questa qualifica, questi sono gli esuli

repubblicani.

Esteban Calderón Dorda

Universidad de Murcia