la domenica - download.repubblica.itdownload.repubblica.it/pdf/domenica/2014/31082014.pdf · nato a...

14
la domenica DI REPUBBLICA DOMENICA 31 AGOSTO 2014 NUMERO 495 Cult La copertina. Se l’arte va in tournée Straparlando. Ruggero Savinio: “Amo lo scuro” La poesia del mondo. I cani di D’Annunzio GUIDO ANDRUETTO CASTEL FIRMIANO (BOLZANO) RA CHE STO INVECCHIANDO, e dopo cinquant’anni di salite, mi sta bene andare anche un po’ in discesa. Con l’età l’unica cosa che aumenta è la ricerca di un po’ di comodità». Alla vigilia dei suoi settant’anni, li compirà il prossimo 17 set- tembre, Reinhold Messner non sembra affatto turbato dal- la prospettiva di invecchiare, sebbene la sua vita sia sempre stata consacrata al- le sfide più avventurose e alle ascensioni più impegnative. SEGUE CON UN’INTERVISTA NELLE PAGINE SUCCESSIVE REINHOLD MESSNER ICORDO UNESCURSIONE nel bosco con i miei genitori. Io e Helmut, il mio fratello maggiore. Fintanto che erano davanti a noi non avevo alcun timore. Era tardi, e il tratto di bosco che mia madre aveva appena ere- ditato, e che i miei volevano visitare per farsi un’idea, era ancora trop- po lontano perché potessero raggiungerlo con noi bambini. Così ci la- sciarono ad aspettarli sotto un abete. Io e Helmut ci sedemmo l’uno accanto al- l’altro e osservammo papà scomparire nel nel bosco. Mamma gli era alle spalle. SEGUE NELLE PAGINE SUCCESSIVE L’attualità. Io e Madiba parla la segretaria (bianca) di Mandela Spettacoli. Io e Nemo, intervista a Mr. Pixar Next. Mai più senza, le invenzioni tutte da inventare Ora scendo Messner ESTATE 1945, TORRI FERMEDA: LA SIGNORA MESSNER INSEGNA A SUO FIGLIO REINHOLD DI UN ANNO A CAMMINARE/© ARCHIV REINHOLD MESSNER «O R Scala montagne da quando era bambino e adesso che sta per compiere settant’anni il grande alpinista torna sui suoi passi. E si racconta

Transcript of la domenica - download.repubblica.itdownload.repubblica.it/pdf/domenica/2014/31082014.pdf · nato a...

la domenicaDI REPUBBLICADOMENICA 31 AGOSTO 2014 NUMERO 495

Cult La copertina. Se l’arte va in tournéeStraparlando. Ruggero Savinio: “Amo lo scuro”La poesia del mondo. I cani di D’Annunzio

GUIDO ANDRUETTO

CASTEL FIRMIANO (BOLZANO)

RA CHE STO INVECCHIANDO, e dopo cinquant’anni di salite, mista bene andare anche un po’ in discesa. Con l’età l’unicacosa che aumenta è la ricerca di un po’ di comodità». Allavigilia dei suoi settant’anni, li compirà il prossimo 17 set-tembre, Reinhold Messner non sembra affatto turbato dal-

la prospettiva di invecchiare, sebbene la sua vita sia sempre stata consacrata al-le sfide più avventurose e alle ascensioni più impegnative.

SEGUE CON UN’INTERVISTA NELLE PAGINE SUCCESSIVE

REINHOLD MESSNER

ICORDO UN’ESCURSIONE nel bosco con i miei genitori. Io e Helmut, il miofratello maggiore. Fintanto che erano davanti a noi non avevo alcuntimore. Era tardi, e il tratto di bosco che mia madre aveva appena ere-ditato, e che i miei volevano visitare per farsi un’idea, era ancora trop-po lontano perché potessero raggiungerlo con noi bambini. Così ci la-

sciarono ad aspettarli sotto un abete. Io e Helmut ci sedemmo l’uno accanto al-l’altro e osservammo papà scomparire nel nel bosco. Mamma gli era alle spalle.

SEGUE NELLE PAGINE SUCCESSIVE

L’attualità. Io e Madibaparla la segretaria(bianca) di MandelaSpettacoli. Io e Nemo,intervista a Mr. PixarNext. Mai più senza,le invenzioni tutte da inventare

Ora scendoMessner

ESTA

TE 1

945,

TO

RR

I FER

MED

A: L

A S

IGN

OR

A M

ESS

NER

INS

EGN

A A

SU

O F

IGLI

O R

EIN

HO

LD D

I UN

AN

NO

A C

AM

MIN

AR

E/©

AR

CH

IV R

EIN

HO

LD M

ESS

NER

«O R

Scala montagne da quando era bambinoe adesso che sta per compiere settant’anniil grande alpinista torna sui suoi passi. Esi racconta

la Repubblica

DOMENICA 31 AGOSTO 2014 32LA DOMENICA

<SEGUE DALLA COPERTINA

GUIDO ANDRUETTO

RIMO uomo al mondo a scalare tutti i quattordici Ottomila, e il pri-mo a salire sull’Everest in solitaria e senza ossigeno, l’alpinistasudtirolese, uno dei più grandi di tutti i tempi, ha realizzato tre-milacinquecento imprese di cui cento prime ascensioni, oltre adavere attraversato a piedi il Tibet, l’Antartide, la Groenlandia e ideserti del Gobi e di Taklamakan. Ora, davanti a sé, vede il rifu-gio dei suoi settant’anni, un nuovo punto di arrivo che lo ha spro-nato a fare un bilancio della propria esistenza in un libro intitola-to La vita secondo me(Corbaccio): settanta capitoli, uno per cia-scun valore o sensazione che la montagna gli ha insegnato o tra-smesso. Ce ne parla dal suo Castel Firmiano, sopra Bolzano, dovenel cortile di uno dei sei musei dedicati alla montagna che com-

pongono l’itinerario del Messner Mountain Museum, si è appena raccontato intorno al fuo-co in una bella serata.

Sono in tanti a dirlo: lei settant’anni non li dimostra affatto.«E io dico che questi tanti si sbagliano. È da quando ho cinque anni che scalo montagne. I

miei genitori mi hanno portato per la prima volta a fare un’ascensione che ero piccolissimo.Raggiungemmo la cima del Sass Rigais nelle Odle. E avevo cinque anni quando Bonatti, a di-ciannove, realizzava la sua ascensione dello sperone Walker alle Grandes Jorasses o dellaparete ovest dell’Aiguille Noire de Peuterey. Quello che voglio dire è che ho fatto tanto nel-la mia vita. I miei settant’anni me li sento tutti. La montagna è stata la mia seconda casa finda quando ho imparato a stare in piedi. Non è stata la scuola o la chiesa a formarmi. I mieicampanili sono state le torri di roccia e le cime delle montagne».

A proposito di Bonatti, qual è il segno più profondo che secondo lei ha lasciato? «La sua prima solitaria invernale lungo una via diretta, sulla parete nord del Cervino, ha

sancito la fine dell’alpinismo classico. Dopo il suo esempio la montagna ha rappresentato lapossibilità di fare innumerevoli prime esperienze. E quelle esperienze hanno formato ancheil mio sapere. Oggi le trasmetto agli altri».

Il suo ultimo museo sul Plan de Corones è un omaggio all’alpinismo tradizionale. «Al mio, a quello di Bonatti, di Cassin. Sì, è un bagaglio di valori ed esperienze che si sta

perdendo. Per questo ho ritenuto importante mettere in rilievo il potenziale dell’esperien-za dell’ultima realtà della natura e così custodire una parte della natura selvaggia della mon-tagna. L’avventura in alta quota presuppone ancora uno spazio libero del pericolo».

Dopo una vita tanto avventurosa ha davvero deciso di deporre le armi?«Sono salito fin dove mi è stato possibile. Più in alto e più lontano sinceramente non pote-

vo andare. Adesso non si tratta di non fare nulla perché ho già fatto tutto, ma di dare un sen-so nuovo alla mia vita nella vecchiaia».

<SEGUE DALLA COPERTINA

REINHOLD MESSNER

ENTREi loro passi si perdevanoin lontananza, calò il buio in-torno a noi. Non era ancoranotte, ma quella luce velatarendeva il mondo che ci cir-

condava più angusto, misterioso e pericolo-so a un tempo: ogni scricchiolio, ogni stridiodelle ghiandaie sui cembri, persino il bruli-chio delle formiche ci induceva a stringercisempre più l’uno all’altro. Aspettammo. Iltempo sembrava non passare mai, e quandosi fece notte, i pericoli sembrarono ancorapiù imminenti. La paura cresceva. Quel chedi giorno aveva soddisfatto la nostra curio-sità — il vento tra gli alberi sotto la cui chio-ma ci eravamo seduti, le corse nel bosco, unoscoiattolo — cedeva man mano il posto a unprepotente senso di impazienza. Come sedentro di noi vivessero due entità: una che sisvegliava di notte e una che viveva di giorno.Che fosse capitato qualcosa ai nostri genito-ri? Ma allora perché non tornavano? Sarem-mo riusciti a trovare la strada da soli? Di not-te, e senza ricordarci affatto il dedalo di sen-tieri che invece i nostri genitori avevano per-corso a occhi chiusi?

Non avemmo il tempo per parlare dellenostre paure ai nostri genitori. Quando ri-tornarono all’albero dove ci avevano lascia-to a riposare, riprendemmo subito la disce-sa; mio padre avanti con una torcia tascabi-le, noi bambini alle sue spalle, e per ultima lamamma. Mi sembrava di percorrere unastrada completamente diversa. In quell’oc-casione avvertii, solo inconsapevolmenteforse, che l’orientamento ha a che fare con il“fai da te”. Sapevo già che quando seguiamo

gli altri, il senso d’orientamento ci manca: omeglio, ho cominciato a fare attenzione mil-le volte a quello che non conoscevo, dopo cheuna volta ho commesso l’errore madornaledi non tenere conto di un pericolo. Quandosiamo in azione, noi uomini non parliamoquasi per niente. Solo dopo, quando il peri-colo è passato, ci torna la parlantina — comeuna sorta di rinascita. È sciocco colui che nelbosco non fa attenzione alle tracce. Coloroche non si fidano dei segni cui non sono ingrado di dare una spiegazione naturale nonsono fifoni, bensì persone esperte. Dunquela mia paura, un tipo di “paranoia costrutti-va”, non era stata altro che la reazione natu-rale di un bambino prudente. Se non l’aves-si sviluppata presto, non sarei sopravvissu-to. Sono rimasto colpito dalla grande pru-denza di molti alpinisti. Questo fatto non de-ve però far pensare che le persone previden-ti si blocchino di fronte all’azione. Chi cipensa due volte prima di osare, non può fareesperienza. Ci sono uomini d’avventura pru-denti e meno prudenti. L’uomo prudentesoppesa tutti i rischi e agisce di conseguen-za. Sa che è rischioso quel che fa, e lo fa co-munque. Sempre e con sempre più pruden-za. Ma chi non osa, non può neanche fallire.Il rischio di morire rimane sempre.

CERCANDO GÜNTHER La tragedia sul Nanga Parbat ha portato a

una svolta nella mia vita. Da allora non sonostato più lo stesso. La disperata discesa lun-go la parete Diamir, la morte di mio fratello,l’incontro con gli indigeni — sono attimi im-posti dal destino, profondamente impressinella mia memoria più di tutte le esperienzedel passato. E ho dovuto imparare a viverecon quel ricordo, che gli altri hanno usato

contro di me. E anche a trovare una stradaper il futuro. I miei genitori, i miei fratelli e imiei amici volevano che io abbandonassil’alpinismo; il capo spedizione aveva profe-tizzato già in Pakistan che a causa dell’assi-deramento non avrei più potuto arrampica-re; qualche “amico” si allontanò da me. Quelperiodo di crisi mi ha insegnato che il carat-tere di un uomo viene fuori più chiaramentequando chi ti sta di fronte è al tappeto.

Solo nel novembre nel 1971, quando tor-nai sul Nanga Parbat per cercare mio fratel-lo, fui consapevole che avrei cominciato unanuova vita. Con una donna forte al mio fian-co — Uschi Demeter — riuscii a vivere sen-za rimuovere la responsabilità di avere per-so mio fratello e concedendomi di provaredolore quando mi ritrovavo lì dove avevamocondiviso le nostre grandi avventure. Quan-do ci ritrovammo a passeggiare tra i ban-chetti del Rajah Bazaar di Gilgit, quella pic-cola città nel nord del Pakistan mi incantòcon la stessa magia che aveva incantato mee Günther quando l’avevamo visitata primadell’ascensione del Nanga Parbat. Avevol’impressione che lui fosse con me.

Cominciai con la ricerca del corpo di miofratello e con la salita di altri ottomila. En-trambe le cose mi valsero un mare di criti-che. Poiché a molti sedicenti idealisti nonpiacque che una persona gravata dalla re-sponsabilità per il proprio fratello conti-nuasse a dedicarsi alle sue passioni.

Intraprendemmo in due una spedizionenella valle del Diamir. Con una Jeep scen-demmo lungo il fiume da Gilgit attraverso lavalle dell’Indo fino a Gonar. Da lì prose-guimmo a piedi. Durante il pomeriggio, conquattro giovani indigeni attraversammo ladeserta valle Bunar. A sera giungemmo inun piccolo villaggio all’inizio della valle delDiamir: con i suoi alberi di albicocco ricoper-ti delle autunnali foglie ingiallite e i campi digrano maturi appariva come un’oasi doratain quel deserto di pietra color ruggine. Sottodi noi, gorgogliava un fiume glaciale. Sul ver-sante destro della gola, roccioso, un ripidosentiero saliva costantemente superandolastroni di roccia e costeggiando precipizi.Nel tardo pomeriggio giungemmo a Djel, unvillaggio abbarbicato a mo’ di terrazza inmezzo alla valle di Diamir, fatto di casupolein pietra tenute insieme da argilla e letame,i tetti piatti fatti di rami, assi e terra com-pattati. Era tutto molto povero. Ogni casaera costituita da una sola stanza senza fine-stre con un focolare. Le donne del villaggio ciportarono latte acido, chapati e uova. Per co-lazione tè con latte e pane roti. Nei giorni se-guenti, raggiungemmo l’alpe Nagaton doveci sistemammo per la notte in casupole checadevano a pezzi sotto alte betulle. Alle-stimmo il nostro minuscolo campo base a ungiorno di marcia da lì, al margine del ghiac-ciaio fossile. Ci trovavamo accanto a unagrossa roccia, subito sotto il Nanga Parbat.

La paura? Un bosco di notte. Il dolore? Il Nanga Parbat. La gioia? Arrivare in cimaPer il Re degli Ottomila l’ultima fatica è un’autobiografia lunga settant’anni

Piùsunon potevo

ADESSO NON SI TRATTA DI NON FARE NULLAPERCHÉ HO GIÀ FATTOTUTTO. MA DI DARE UN NUOVO SENSO ALLA MIA VITA NELLA VECCHIAIAI MIEI ANNI ME LI SENTOADDOSSO TUTTI

ALBUM

IN SENSO ORARIO: I NOVE FRATELLIMESSNER,LUI È IL SECONDO DA DESTRA; DA RAGAZZO IN ARRAMPICATA; SUL CAMMELLOCOL FIGLIO SIMON;DURANTE UNASPEDIZIONE; CON BONATTIALL’ERMITAGEDI COURMAYEUR

IL LIBRO

“LA VITA SECONDOME” DI REINHOLDMESSNER(CORBACCIO, 336 PAGINE, 6,90 EURO) SARÀ IN LIBRERIA DAL 4 SETTEMBRE.L’AUTORE LO PRESENTERÀ AL FESTIVAL DELLALETTERATURA DI MANTOVAVENERDÌ 5 ALLE 16IN PIAZZACASTELLO

La copertina. Reinhold Messner

© RIPRODUZIONE RISERVATA

P

M

la Repubblica

DOMENICA 31 AGOSTO 2014 33

Sopra di noi, si ergeva enorme la montagnacon le sue cascate di ghiaccio e in sottofondosi udiva il rombo delle slavine: la fine delmondo. Il tempo si mantenne buono, e io po-tetti cercare mio fratello, senza però trovar-ne la minima traccia. Partivo all’alba e tor-navo a notte inoltrata, al chiarore della luna.Dai piedi della parete, dal passo Mazeno chemi aiutava con l’orientamento. All’inizio erostanco e depresso, in seguito consapevoledel fatto che il ghiacciaio su cui si erano ab-battute altre slavine, avrebbe restituito isuoi morti solo dopo molti anni. Alla primaneve lasciammo il campo base.

Adesso sapevo che avrei potuto ricomin-ciare a vivere la mia vita selvaggia. Forse per-sino dovuto. Se fosse sopravvissuto insiemea me, Günther sarebbe stato d’accordo. Ri-nunciare alle mie avventure non avrebbe ri-portato in vita mio fratello — il dolore per lasua perdita sarebbe stato solo un rimprove-ro fatto a me stesso che mi avrebbe accom-pagnato per tutta la vita. Se invece io avessirealizzato i nostri sogni comuni, avrei potu-to essere di nuovo felice e condividere con luila mia responsabilità. Io e Günther rimarre-mo per sempre una cordata indivisibile. Luimi ha dato la forza per affrontare gli altri pe-ricoli in cui mi sono imbattuto. E mi soster-rebbe, se fosse necessario difendere il nostroentusiasmo per l’avventura in montagnacontro qualunque idealista che specula sul-la nostra tragedia sul Nanga Parbat. Da allo-ra non credo più a chi proclama i valori tantoabusati di “morale”, “cameratismo” e “ve-rità”, per me e Günther la responsabilità l’u-no verso l’altro era naturale.

© Piper Verlag GmbH, Munchen 2014.© 2014 Garzanti libri s.r.l. Milano

salire

1949

A CINQUE ANNI COL PADRE PRIMA ASCENSIONESULLE DOLOMITI(3000 METRI)

1966

ASCENSIONE ALLA PUNTA WALKERDELLE GRANDESJORASSES PER LA VIA CASSIN (MONTE BIANCO)

1968

PILASTRO DI MEZZODEL SASS D’LA CRUSC,PRIMO 7° IN LIBERA

1970

HIMALAYA, VERSANTERUPAL DEL NANGAPARBAT (8125 MT.):SUO FRATELLOGÜNTHER MUORESOTTO UNA VALANGA

1973

DOLOMITI: MONTEPELMO, PARETENORDOVESTMARMOLADA(SPIGOLO OVEST) EFURCHETTA (PARETEOVEST)

1978

CIMA EVEREST (8848)SENZA OSSIGENO. NANGA PARBAT(PARETE DIAMIR)

1979 - 1985

1979: K2 (8611)1980: EVEREST (8848) 1982: KANGCHENJUNGA (8598)GASHERBRUM II (8035) BROAD PEAK (8048) 1985: ANNAPURNA (8091)

© RIPRODUZIONE RISERVATA © A

RC

HIV

REI

NH

OLD

MES

SN

ER

la RepubblicaDOMENICA 31 AGOSTO 2014 34LA DOMENICA

ENRICO FRANCESCHINI

LONDRA

UNA RAGAZZA STAVA facendo i tuffi nella piscina di casa, a Johanne-sburg, quando suo padre le annunciò preoccupato: «Hanno li-berato dalla prigione il terrorista. Saranno guai». Era il febbraio1990. Il “terrorista” era Nelson Mandela. La ragazzina che face-va il bagno si chiamava Zelda la Grange. Non aveva le idee chia-re sui motivi per cui quell’uomo dalla pelle nera fosse rimasto alungo in carcere, né sul significato della sua liberazione. Sapevasolo che i blacks erano una specie inferiore, anche quelli gentilicome la sua domestica — per questo in casa non lasciavano chetoccasse le posate. Passò un po’ di tempo. In Sudafrica vennero,dal punto di vista dei bianchi, i previsti “guai”: finì l’apartheid.Mandela diventò il primo presidente nero nella storia del suo

paese. E un bel giorno Zelda si ritrovò a fare la dattilografa proprio nell’ufficio del presidente.Aveva ventitré anni. Bianca, bionda e razzista, oltre che piuttosto carina, non pensava che fos-se esattamente il lavoro per lei. Ancora meno si sarebbe aspettata di diventare la segretariapersonale di Mandela. Molto più di una segretaria: praticamente nessuno, nei vent’anni suc-cessivi, ha trascorso così tanto tempo a stretto contatto con uno dei più grandi personaggi del-la storia contemporanea, il leader che ha vinto il premio Nobel per la pace, che ha riconciliatobianchi e neri, che è diventato un simbolo per l’Africa e per il mondo. È stata il suo aiutante dicampo, portavoce, confidente, accompagnatore, sergente di ferro, perenne sostegno. La «ni-

pote onoraria», come la definiva lui (quandonon le si rivolgeva con il diminutivo di Zeldina),a cui lei rispondeva con l’appellattivo di «non-no». Per due decenni gli è stata vicina diciottoore al giorno, durante viaggi, riunioni, incontricon capi di governo e di stato, sovrani e princi-pesse, artisti e vip, rinunciando ad avere una vi-ta privata, un marito o compagno, dei figli. Sinoalla fine, o meglio sin quasi alla fine, perché la li-tigiosa e complicata famiglia di Mandela, quan-do si è ammalato, l’ha messa al bando per gelo-sia, vietandole di vederlo e tenendola a distan-za perfino al funerale.

Adesso la razzista redenta ha scritto un librodi memorie, Good morning, Mr Mandela, in cuiracconta il suo rapporto con Madiba, come lochiamano tutti in Sudafrica. Si dice che nessunuomo sia grande secondo il proprio maggior-domo, ma Zelda fa un’eccezione: «Se sono cam-

biata io grazie a Madiba significa che tutti pos-sono cambiare», ci dice davanti a una tazza dicappuccino in un caffè italiano di Londra, dovela Penguin, sua casa editrice, l’ha portata perpubblicizzare l’autobiografia. «La prima voltache l’ho incontrato, nell’ufficio della presiden-za, non sapevo cosa aspettarmi», racconta.«Non sapevo se, vedendo questa ragazza bian-ca alle sue dipendenze, mi avrebbe licenziata oumiliata. La prima cosa che mi venne in mentefu: “ho mandato quest’uomo in prigione, la miagente lo ha chiuso in galera, gli abbiamo porta-to via una gran parte della sua vita”. Di colposcoppiai a piangere. E allora lui mi prese la ma-no tra le sue sue, cominciò a parlarmi in afrika-ner (la lingua dei sudafricani bianchi, che Man-dela aveva imparato in carcere, ndr), poi mi ab-bracciò e disse “non è necessario, non reagirecosì, è esagerato”. Quindi cominciò a farmi do-mande, dov’ero cresciuta, che lavoro facevanoi miei. Tutto durò cinque minuti ma fu unoshock, come se avessi avuto una visione». Ci vol-le qualche mese prima che Zelda fosse promos-sa da anonima dattilografa a collaboratrice del-lo staff del presidente e infine a sua segretariapersonale (al posto della nera che si vede nelfilm Invictus di Clint Eastwood). Impiegò al-

meno due anni a percorrere dentro di sé la tra-sformazione da razzista — «no, non per intima,ragionata convinzione, ma perché accettarel’apartheid per noi bianchi era la norma, nien-te di assurdo o vergognoso, era la nostra vita»— a convinta paladina del nuovo Sudafrica de-mocratico e multirazziale. Ripensa alla deci-sione di Madiba di volerla con lui senza alcunaingenuità: «Era un grande stratega. Sapevache era importante mostrare all’interno, al po-polo sudafricano, e all’esterno, al resto del mon-do, che il suo Sudafrica abbracciava tutte le cul-ture e le razze, che era un paese arcobaleno eche dunque c’erano dei bianchi anche attornoa lui». Eppure l’affetto, l’amicizia tra l’anzianopresidente (all’epoca settantacinquenne) e lagiovane segretaria dai capelli biondi sboccia-rono genuini. «All’inizio mi sentivo colpevole,mi era stato insegnato a temere quest’uomoche ora si dimostrava con me gentile, genero-so, attento. Provavo orrore per me stessa. Maproprio Madiba mi aiutò a vincerlo, spiegando-mi che è ammesso sbagliare, anche fare coseterribili, se poi si cerca di ripararle. Diceva sem-pre che gli uomini non sono mai del tutto buonio del tutto cattivi, che in ognuno di noi c’è unaparte di bene e di male».

Era la filosofia che lo guidava anche politica-mente, come la sua ex-segretaria ricorda nel li-bro. «Qualcuno gli rimproverava, per esempio,le sue relazioni con Gheddafi: come poteva undemocratico andare d’accordo con un tiranno?Ma Mandela cercava di dimostrare rispetto pertutti, diceva che se rispetti il tuo nemico, anchela persona peggiore può tirare fuori qualcosa dibuono. Di Gheddafi diceva che si era impegna-to con lui a consegnare i responsabili dell’at-tentato di Lockerbie, a dare segnali di dialogocon l’Occidente, e lo aveva fatto. Il rispetto eraservito, aveva funzionato». Le chiedo degli al-tri incontri a cui ha assistito, degli altri grandidella storia che ha visto da vicino. Fidel Castro?«C’era grande calore fra loro. Castro aveva ap-poggiato la lotta di Mandela contro l’apartheide Madiba non lo dimenticava. Si abbracciaronocome fratelli». Arafat? «Un colloquio cortesema non calorosissimo. Da Mandela il leader pa-lestinese si aspettava forse un sostegno incon-dizionato, invece Madiba gli fece anche criti-che per i metodi con cui governava e con cui cer-cava di ottenere uno Stato». I leader israeliani?«Anche con loro ci fu una certa freddezza. EhudBarak, l’allora primo ministro, trattava Man-dela con impazienza. Probabilmente lo consi-

FOTORICORDO

ZELDA LA GRANGE (OGGI HA 44 ANNI)CON NELSON MANDELA (1918 - 2013).

DAL 1996 FINO ALLA MORTEDEL PRESIDENTE SUDAFRICANO

È STATA LA SUA SEGRETARIA PERSONALE.IN BASSO: MANDELA CON GE0RGE W. BUSH

E CON LA REGINA ELISABETTA

Madiba

L’attualità. Strane coppie

Io&

FOTO

© R

EUTE

RS

SIP

HIW

E S

IBEK

O

Zelda la Grangeera una ragazza bianca,bionda e razzista quando il presidenteMandela la volle come sua segretariaIn un libro, e in questa intervista, si confessa“Se sono cambiata io, possono farlo tutti”

la RepubblicaDOMENICA 31 AGOSTO 2014 35

derava troppo filo-palestinese. Ricordo che Ma-diba fu molto impressionato dal museo dell’O-locausto. Ma poi disse che non si potevano sca-ricare sui tedeschi di oggi le colpe dei loro padrio nonni. Il suo messaggio era sempre lo stesso,riconciliazione e perdono». E i presidenti ame-ricani? «George W. Bush mi fece quasi arrab-biare, Mandela era già molto anziano quandosi incontrarono, parlava lentamente, ripetevaqualche frase e Bush gli faceva fretta, non lo la-sciava finire, diceva “okay, okay basta, andia-mo a fare la conferenza stampa”». Clinton? «Ungrande amico. Si adoravano a vicenda, e si ve-deva. Clinton cercava di essere sempre con luiper il suo compleanno». Obama, il primo neroalla Casa Bianca? «Si incontrarono brevemen-te quando Obama era ancora senatore, non cifu tempo per un rapporto più profondo». La re-gina Elisabetta? «Oh, legarono moltissimo, for-se si intendevano anche per la vicinanza di età,Madiba andava d’accordissimo con le personedella sua generazione, per quanto anche con ibambini, forse aveva più difficoltà con quelli dimezzo. Le posò una mano su una spalla, poi cispiegarono che il protocollo non permette ditoccare la regina, ma lei non si risentì per nulla.Madiba la coprì di complimenti, le disse che gli

sembrava dimagrita, in gran forma, e a SuaMaestà fece piacere».

L’ultima volta che Zelda lo ha visto, era inospedale, Mandela ormai non era più in gradodi parlare: «Ma quando ha sentito la mia voceha aperto gli occhi e ha sorriso». Non prova ran-core per i membri della sua famiglia che alla fi-ne l’hanno allontanata? «Ho sofferto. E mi è di-spiaciuto per come le autorità sudafricanehanno organizzato il funerale, Madiba avreb-be meritato di meglio. Ora però mi è passataanche la rabbia. Sono piccole cose, rispetto aquello che noi bianchi abbiamo fatto ai neri. Lalezione di Madiba è che bisogna perdonare eguardare avanti».

E a cosa guarda lei ora? Cosa c’è nel suo fu-turo senza “nonno” Mandela? «Magari vorreiun compagno, un uomo, quelli che mi cercava-no finché c’era lui erano solo attirati dalla pos-sibilità di conoscere Madiba attraverso di me.E poi voglio dei fiori, tanti fiori. Sa che le dico?Vorrei aprire un negozio di fiori». La razzistabianca diventata segretaria dell’uomo che hasconfitto l’apartheid, un negozio di fiori e unnuovo amore: scommettiamo che questo librodiventerà un film?

© RIPRODUZIONE RISERVATA

FOTO

© A

LET

VAN

HU

YS

STE

EN A

ND

TH

E N

ELS

ON

MA

ND

ELA

FO

UN

DA

TIO

N

ERA ANZIANO, EGEORGE W. BUSH NON LO FACEVAMAI FINIRE DI PARLAREDICEVA: OKAY, OKAY,MA ADESSO VEDIAMODI ANDAREALLA CONFERENZA STAMPA

CON LA REGINA ELISABETTAINVECE LEGÒ MOLTISSIMO.LUI LA COPRIVADI COMPLIMENTI, ANDANDOANCHE OLTREIL CERIMONIALE,LEI ERAFELICE DI SENTIRSELI FARE

la Repubblica

DOMENICA 31 AGOSTO 2014 36LA DOMENICA

PANTONE

United *Colorsof

Quale rosso? Quale blu? Esiste una sola lingua dei coloriparlata in tutto il mondo. La inventò Lawrence HerbertMezzo secolo fa nella sua tipografia nel New Jerseydecise che, per non sbagliare, a ogni sfumatura dovessecorrispondere un numero. Per la gioia di aziende, stilistie designer. E con buona pace di filosofi, artisti e poeti

MICHELE SMARGIASSI

NTRAMONTABILE tricolore!» esclamò lo speaker del cinegiornale Incom, ma sul podio Gino Bartaliguardava perplesso la sua maglia tricolore di campione d’Italia 1952, borbottando ai giornali-sti: «Il verde è diventato più chiaro...». Aveva ragione. Quello era squillante, mentre sul suo pri-mo trofeo, nel 1935, era grigiastro. Ma che importa? Bianco rosso e verde, no? Ma quale rosso,quale bianco, quale verde? L’occhio umano percepisce migliaia di sfumature. Una vale l’altra?Poteva l’eroico Bravehart immolarsi per una bandiera d’un blu qualsiasi? Mai, infatti nel 2003il parlamento scozzese attribuì per legge, alla sua croce di sant’Andrea, una tonalità precisa. Og-gi l’orgogliosa Scozia si commuove solo se sull’asta garrisce il Blu Pantone PMS300. I colori, perKandinskij «linguaggio universale dell’anima», per secoli hanno sfidato il vocabolario. Come siparlano i colori? Mallarmé li identificava con le vocali, A nera, E bianca, I rossa... Per gli artisti,ogni nuance aveva un passaporto, un certificato Doc: blu di Prussia, terra di Siena, rosso pom-peiano... Poi, mezzo secolo fa, qualcuno disse basta con le approssimazioni analogiche. Niente

poesia: numeri. Precisi, inconfondibili, ordinabili in righe e colonne. Ora si dice 2767C, 7607C, 1805C. L’uomo che mise i colori sulla griglia è Lawrence Herbert, nel 1962 comprò la tipografia in cui lavorava part-time da sei

anni, la Pantone (nome di fantasia vagamente grecizzante) nel New Jersey, e subito si buttò alla ricerca della soluzione delproblema di tutti i tipografi: i clienti che non sono mai soddisfatti dei colori. «Non è il giallo che volevo!». E quale giallo vole-va scusi? «Più caldo». Ma quanto più caldo? Un rompicapo, mettersi d’accordo così, a spanne.

Ma conta così tanto una sfumatura? Eccome: chiedete alla Kodak, che fece del suo giallo un marchio di fabbrica, pur-troppo ogni tipografia glielo stampava diverso, e i clienti non compravano le scatoline più scure pensando fossero più vec-chie. Il colore è un investimento, poche storie. Il viola Cad-bury, il verde Tiffany, la suola rossa Loubotin sono colori-brand esclusivi grazie al sistema Pantone. Se puoi battez-zare con precisione un colore, puoi anche brevettarlo: cosìalla fine decise una sentenza della Corte suprema Usa, nel‘95. Puoi impadronirti di un colore, se puoi definirlo con as-soluta precisione.

Bene, Herbert l’aveva capito. Tempo un anno e sfornò lasua prima anagrafe dei colori: allora era un libretto con po-che centinaia di tinte numerate. Ciascun numero identifi-cava una precisa miscela dei colori base. Impossibile sba-gliare: da allora, i colori si scelgono sul catalogo. Con i volu-metti Pantone in mano, la tinta di una copertina di libro o diuna tappezzeria si può ordinare anche al telefono, sicuri chesul prodotto finale sarà proprio quella. Era nato il PantoneColor Matching System, il più diffuso sistema per intender-si sui colori, che sbaragliò tutte le altre precedenti e parzia-li classificazioni, ed ora è utilizzato come lingua cromaticafranca dal mondo della moda, del design, dell’editoria.

Oggi la tavolozza Pantone elenca 1757 tinte diverse macontinua ad espandersi, annettendosi i colori digitali, me-tallici, fluorescenti. “Colori senza compromessi”, è lo slo-gan. Acquisita dalla multinazionale X-Rite, Pantone si con-sidera «il leader del colore», ci spiega cortesemente Leatri-ce Eiseman, direttore del Pantone Color Institute: «Noi con-sentiamo a un’infinità di persone, designer, artisti, clienti,imprenditori, stampatori, di dialogare fra loro in una lingua

precisa e accurata». Di più: nelle sue iridescenti pubblica-zioni Pantone rilegge la storia dell’arte come successione ditavolozze numerate che «definiscono i colori di un’epoca»,e da un quindicennio proclama il «colore dell’anno» come«espressione dei bisogni della società» (se volete saperlo, lamiss Colore 2014 è Radiant Orchid, orchidea raggiante, nu-mero 18-3224, che qualcuno di noi, con imperdonabilesciatteria, chiamerebbe magari “lilla”).

Contrariamente a quanto molti credono, Pantone nonproduce vernici, inchiostri o pastelli (anche se concede ilmarchio a chi lo fa). Vende solo una tassonomia, un ordinementale. In forma di dizionari, cartacei e elettronici, pienidi rettangolini colorati e numerati. Il suo core businessè sor-retto da una convinzione: che i colori siano individui, cia-scuno con un distinto carattere, inconfondibili uno con l’al-tro, identificabili e “comunicabili” con assoluta precisione.

Ma secoli di pensiero filosofico ne hanno dubitato. Il ros-so che vedo io è quello che vedi tu? Da Poincaré a Cartesio aGoethe la teoria dei colori è stata il banco di prova della do-manda epistemologica per eccellenza: la conoscenza cheabbiamo del mondo è oggettiva o soggettiva? La risposta diLeatrice Eiseman salta a piè pari il problema: «Il colore è laprima cosa che noti, l’ultima che dimentichi. Produce emo-zioni e business, e noi lavoriamo per entrambi».

© RIPRODUZIONE RISERVATA

La storia. Punti di vista

®

«I

I COLORI DELLA SCRITTA PANTONE®: “P” 229-2C. “A” 86-1C. “N” 36-1C. “T” 18-3224C. “O” 279-1C.“N” 145-2C. “E” 287-4C

la Repubblica

DOMENICA 31 AGOSTO 2014 37

Michel Pastoureau.“Ma è assurdo voler ingabbiareuna magia in un campionario”

FABIO GAMBARO

PARIGI

«ICOLORI SONO RIBELLI, difficili da definire. Per questo la classificazione diPantone si illude inutilmente d’ingabbiare la natura». Per MichelPastoureau, il grande specialista della storia sociale dei colori, lanomenclatura inventata mezzo secolo fa dall’azienda americana è solouna tra le tante possibili e non può avere pretesa di verità assoluta. «Dato

che sfrutta una dimensione scientifica, vale a dire lo spettro dei colori che compongono laluce, la classificazione di Pantone tende a presentarsi come una certezza universale. Manon è così. Anche perché le pratiche sociali del colore funzionano molto diversamente», cidice lo studioso francese che ha da poco pubblicato Verde. Storia di un colore (Ponte alleGrazie). «Certo, i suoi codici possono essere utili dal punto di vista pratico, perchéconsentono d’intendersi a distanza sulla stessa sfumatura di colore. Da qui il suo successo.Ma non ha senso pretendere di definire esattamente le frontiere tra una tonalità e l’altra. Ilcolore è un continuum. Inoltre, è assurdo proporre mille e settecento diverse tonalità,giacché l’occhio umano non può distinguerne più di trecento e le lingue non hanno ivocaboli necessari per nominarle. Senza dimenticare che i colori cambiano a seconda delleore, della luce e di chi li guarda. Insomma, la classificazione di Pantone è un’illusione, èl’espressione di una forma di scientismo che da Newton arriva fino ai giorni nostri. È solouna convenzione per provare a definire e classificare i colori».

Altri tentativi di classificazione?«In Europa, almeno fino al XVII, abbiamo utilizzato la classificazione di Aristotele che èradicalmente diversa da quella di Pantone, anche perché, a differenza dell’aziendaamericana, considera il bianco e il nero come due colori a tutti gli effetti. La storia dell’artefino al Rinascimento deve essere considerata tenendo conto di questa classificazione. Ipittori partivano da Aristotele e non dallo spettro dei colori della fisica, che non conoscono.Un altro esempio riguarda alcune culture africane che, per classificare i colori, siappoggiano sulla materialità più che sulle tonalità cromatiche, insistendo su caratteresecco o umido, liscio o ruvido, duro o morbido di un colore, mentre è indifferente che uncolore si avvicini di più al rosso o al giallo. Ma si pensi anche alla convenzione per cui noi oggiconsideriamo il blu un colore freddo e il giallo un colore caldo, mentre ancora all’inizio delXIX secolo, nella sua Teoria dei colori, Goethe considerava il blu un colore caldo e nelMedioevo il giallo era considerato piuttosto freddo».

Da dove vengono i nomi dei colori? «Per quelli fondamentali — rosso, blu, giallo, verde, bianco o nero — non possiamo dirlo conprecisione, anche perché i loro nomi non rimandano ad alcun elemento del reale. Altriinvece si rifanno ad aspetti della realtà come fiori, frutti, minerali: rosa, arancio, viola omarrone nascono così».

Chi definisce e nomina i colori?«Storicamente, i tintori e i mercanti di stoffe. I pittori lo hanno fatto solo in alcuni casi peralcune tonalità particolari. Ciò si spiega col fatto che nell’antichità il mondo della pittura eraassai ristretto, mentre l’artigianato riguardava una parte più vasta della società.L’economia viene prima dell’arte. Non a caso tra i latini il vocabolario dei colori dei tintori èmolto più ricco di quello dei pittori».

Sono nominati diversamente anche secondo il contesto...«Gli esempi non mancano. A differenza di quanto avviene da noi, in Africa si riconoscono moltediverse sfumature di marrone, tutte definite da una diversa parola. E in Giappone si distinguonodiversi tipi di bianco o di rosa con altrettanti vocaboli. Alcune società utilizzano la stessa parola peril verde e il blu, mentre per noi sono due colori diversi. In francese, a differenza dell’italiano, c’è unasola parola per indicare il blu e l’azzurro. Da queste differenze nascono evidentemente moltissimi

problemi di traduzione. Tutte le teorie dei colori si sono sempre rivelate inadeguate. Motivoper cui oggi prevale un certo relativismo culturale, che alle teorie generali preferisce unasomma di convenzioni legate a contesti specifici. Così, per definire il colore si fa appello divolta in volta a criteri diversi, alla materia, alla luce, alla percezione, alla linguistica, ecc.,anche se alla fine, più semplicemente, i colori dovrebbero essere considerati solo deiconcetti che servono all’uomo per ordinare e classificare il reale. Insomma, nei colori c’èsempre qualcosa d’imprendibile e sfuggente, ma questo è proprio il motivo del loro fascinoe della loro magia».

*

© RIPRODUZIONE RISERVATA

COLORE DELL’ANNO

IL “PANTONE 18-3224 RADIANT ORCHID” È IL COLORE DEL 2014 A INSINDACABILE GIUDIZIODELL’AZIENDA AMERICANA. IN QUESTE PAGINE ALCUNI DEI 1757 COLORI DEL CATALOGO PANTONE

la Repubblica

DOMENICA 31 AGOSTO 2014 38LA DOMENICA

FRANCESCO FASIOLO

ETTIAMOLA così: senza di lui il pesciolino Nemo, Saetta Mc-Queen o i giocattoli di Toy Story sarebbero rimasti solodelle bellissime idee. Ed Catmull ha passato una vita in-tera a studiare come realizzarle. Ha fondato la Pixar conSteve Jobs e John Lasseter, ha sviluppato RenderMan, ilsoftware utilizzato nei film dei creatori de Gli Incredibilie di Up. E ora ha scritto tutta questa storia in un libro, Ver-so la creatività e oltre (Sperling&Kupfer), che è insiemeun manuale su come gestire una fabbrica dell’immagi-nario, una miniera di aneddoti per gli appassionati, e an-che un modo per capire perché sulla doppia poltrona dipresidente della Walt Disney Animation e della Pixar sie-

da un signore laureato in fisica e informatica. «I miei due idoli da bambino erano Walt Di-sney e Albert Einstein. Sono cresciuto negli anni Cinquanta nello Utah, quando la faccia diDisney e i suoi personaggi comparivano regolarmente sui primi televisori. E c’era questa im-magine di Einstein, l’icona del genio. Da ragazzo il mio sogno era diventare un disegnatore,ma mi sono reso conto che non avrei mai raggiunto certi livelli, e così al college cominciai astudiare fisica. Può sembrare incoerente, ma per me arte e scienza hanno molto in comune:sono entrambe basate sull’osservazione».

Presto infatti avrebbe utilizzato le sue co-noscenze nel cinema, incontrando Geor-ge Lucas in piena era Star Wars.«Dopo la laurea mi sono dedicato alla com-

puter grafica, era un campo emergente. L’u-nica persona nell’industria cinematografi-ca che davvero voleva puntarci, sul finire de-gli anni Settanta, era proprio George. Sonostato assunto nel ‘79 alla Lucasfilm, dovel’informatica era usata come un mezzo perraggiungere qualcosa di assolutamentenuovo nella storia del cinema. Avevano svi-luppato un effetto di sfocatura dell’immagi-ne che rendeva i movimenti delle astronavi

più realistici all’occhio dello spettatore».È lì che comincia a nascere la Pixar, divi-sione della Lucasfilm che si occupava dicomputer grafica. Finché non fu acqui-stata da Steve Jobs, nel 1986.«Steve nella sua vita è passato attraverso

il classico “viaggio dell’eroe”, dalla caduta altrionfo. Era stato messo da parte dalla Applequando comprò la Pixar e cominciammo a la-vorare insieme. Poi tornò alla Apple da vin-citore, ma mi dispiace che negli anni si siacontinuato a scrivere del suo carattere diffi-cile: pochi sanno che era profondamentecambiato. Le prime volte che lo incontrai sicomportava proprio come veniva dipintonella sua immagine pubblica, a volte nega-tiva. Ma la sua intelligenza lo ha portato a di-ventare sempre più pronto al dialogo, all’a-scolto e se all’inizio voleva sempre vincere,ha poi imparato cosa vuol dire essere davve-ro dei partner. Parte del suo successo è do-vuta a questo».

Nel 1995 arriva Toy Story: il primo film dianimazione interamente realizzato incomputer grafica. Eravate consapevoliche stavate inventando un nuovo lin-guaggio?«Non del tutto: eravamo troppo concen-

trati nella realizzazione del film. Sapevamoche riuscirci avrebbe cambiato l’industriadei cartoon, anche se non era chiaro quantoprofondamente. Ad esempio non avrei mai

pensato che l’animazione al computeravrebbe quasi interamente soppiantatoquella a mano: io amavo entrambe».

Woody il cowboy e Buzz Lightyear ebberoun grande successo. Quali sono stati i per-sonaggi o le sequenze più difficili da rea-lizzare?«Se oggi andiamo a guardare le figure de-

gli umani in Toy Story dobbiamo ammette-re che non sembrano molto realistiche. Al-l’epoca non avevamo computer abbastanzapotenti o le conoscenze tecniche per farli me-glio di così. E infatti decidemmo che i prota-gonisti della storia sarebbero stati dei gio-cattoli: per noi erano più facili da realizzare.Con il secondo film, A Bug’s Life (1998) af-frontammo una sfida ancora più grande:creare tutta quella fitta vegetazione in cui simuovevano i personaggi. E in Alla ricerca diNemo (2003) i pesci e gli effetti nell’acquaerano davvero perfetti. Ma provate a guar-dare le persone all’interno dello studio den-tistico: non erano altrettanto efficaci. Co-nunque ogni errore o limite è stato utile: a uncerto punto ci siamo detti, okay, adesso dob-biamo fare bene gli umani. E ci siamo con-centrati su quel problema».

Il suo libro è anche una guida sulla gestio-ne di gruppi di lavoro: il campus Pixar inCalifornia è da molti considerato un esem-pio: campo da calcio, volley, piscina e ogni

Spettacoli. Incredibili

RTV-LA EFFE

DOMANI SU RNEWS (CANALE 50DIGITALE TERRESTRE E 139 SKY)ALLE 13,45 IL SERVIZIO VIDEO DI FRANCESCO FASIOLO

MSenza di lui capolavori come “Toy Story”, “Nemo”, “Ratatouille” e “Cars”non sarebbero nati

Ed Catmull.“Il segreto di Pixar?Mischiare Disney con Einstein”

Sono

cartoonunoscienziato

PRESIDENTEEDWIN "ED" CATMULL

HA FONDATO LA PIXARCON STEVE JOBS

E JOHN LASSETERE NE È ATTUALMENTE

IL PRESIDENTE

da

1

la Repubblica

DOMENICA 31 AGOSTO 2014 39

dipendente è incoraggiato a personaliz-zare la sua postazione. Crede sia un mo-dello esportabile anche ad aziende chehanno meno a che fare con la creatività?«Io ho un concetto di creatività molto va-

sto. Naturalmente so che non tutti hanno lospazio o la possibilità di costruire un campoda calcio sotto l’ufficio, ma credo che a un di-pendente che lavora duro bisogna mandareil messaggio: prenditi cura di te stesso. AllaPixar incoraggiamo anche chi magari hacomportamenti inusuali a non limitarsi. Quici sono persone che fanno cose strane».

Quanto strane?«Beh per esempio il regista di Ribelle —

The Brave(2006), Mark Andrews, la matti-na prima di iniziare il lavoro portava i ragaz-zi della troupe sul prato qui davanti e gli in-segnava a combattere con la spada. La cosami divertiva molto, non so perché ma cerca-va sempre di coinvolgere tutti».

Lei e John Lasseter credete molto nel-l’importanza della ricerca sul campo.«Fondamentale. Tanti sanno costruire

una sceneggiatura per un film ma serve poila ricerca per realizzarla in modo credibile,fresco, nuovo. Durante la lavorazione di Ra-tatouille (2007) abbiamo mandato i mem-bri della troupe a Parigi: hanno cenato neimigliori ristoranti della città e hanno visita-

E alla Pixar su cosa state lavorando ora?«Su Inside Out, uscirà l’anno prossimo, è

un film ambientato all’interno della testadel protagonista. A volte siamo nel mondoesterno, ma per buona parte abbiamo a chefare con dei personaggi che rappresentanole emozioni che prova una ragazza dentro lasua testa, dalla paura alla gioia. Una sfida im-pegnativa, ma il materiale prodotto finora cista piacendo molto, sono ottimista».

Ha un personaggio o un film preferito traquelli che avete realizzato?«Voi vedete dei personaggi, io vedo lavo-

ro, persone, fatica, dubbi, problemi risolti.Però se proprio devo scegliere, amo molto ildiscorso finale in Ratatouille, perché il pub-blico rimane sinceramente sorpreso. E la co-sa più bella che puoi fare è sorprendere dav-vero la gente». Per la cronaca, il discorso èquello di Anton Ego, severissimo critico ga-stronomico francese: dopo aver scopertoche a cucinare la sua deliziosa cena è stato unpiccolo topo, deve ammettere che “un gran-de artista può celarsi in chiunque”.

to le cucine per vedere come si lavora in que-gli ambienti e poterne poi ricreare le atmo-sfere nel film. Certo, avrebbero potuto ve-dere i programmi di cucina su qualche cana-le tematico, ma non sarebbe stata la stessacosa. Per lo stesso motivo molti ragazzi chelavoravano a Nemo presero il brevetto dasub. E un nostro gruppo ha visitato un im-pianto per il trattamento delle acque di sca-rico a San Francisco: la sceneggiatura pre-vedeva che il pesciolino finisse in una fognae avevamo bisogno di sapere se effettiva-mente un pesce può sopravvivere a un viag-gio dal lavandino fino al mare».

Nel 2006 la Disney, che veniva da un pe-riodo poco brillante, acquisisce la Pixar elei e Lasseter cominciate a gestire en-trambe le realtà. Oggi abbiamo di nuovosuccessi come Frozen. Che tipo di proble-mi avete dovuto risolvere?«Parecchi. In Disney i registi non avevano

il pieno controllo dei loro film. Chi gestiva lostudio era molto più concentrato sui proces-si di lavorazione che non sulle storie. C’era-no molte persone di talento, ma non sape-vano su chi puntare. Abbiamo cominciatocon il riunire tutti quelli che lavoravano sustorie e sceneggiature per fare in modo chesi aiutassero e stimolassero a vicenda».

© RIPRODUZIONE RISERVATA

CON TOY STORY SAPEVAMOCHE AVREMMO CAMBIATOL’INDUSTRIA DELL’ANIMAZIONE

ANCHE SE NON ERA CHIARO QUANTOPROFONDAMENTE. PER ESEMPIO NON AVREI MAI PENSATO CHE IL COMPUTER AVREBBEQUASI INTERAMENTE SOPPIANTATOLA MANO: IO AMAVO ENTRAMBI

STEVE JOBS LE PRIME VOLTE SI COMPORTAVA PROPRIOCOME VENIVA DIPINTO

NELLA SUA IMMAGINE PUBBLICANEGATIVA. MA LA SUA INTELLIGENZALO HA PORTATO AD ACCETTARE IL DIALOGO. E SE ALL’INIZIO VOLEVASEMPRE VINCERE, POI HA IMPARATOCOSA VUOL DIRE ESSERE PARTNER

Intervista al creatore del software che ha realizzato i personaggi della casa di Emeryville

I FILMIL LIBRO

“VERSO LA CREATIVITÀ E OLTRE:LA LEZIONE DELLA FABBRICA

DEI SOGNI” DI ED CATMULL È IN LIBRERIA

PER SPERLING & KUPFER(18 EURO, 384 PAGINE,

TRADUZIONE DI PAOLO LUCCA)L’AUTORE SARÀ PRESENTE

IL 4 OTTOBRE A FERRARA (ORE 19)AL FESTIVAL DI GIORNALISMO

DI “INTERNAZIONALE”

1. TOY STORY (1995) 2. A BUG’SLIFE (1998) 3. TOY STORY 2 (1999)4. MONSTERS & CO (2001) 5. ALLA RICERCA DI NEMO (2003)6. GLI INCREDIBILI (2004) 7. CARS(2006) 8. RATATOUILLE (2007) 9. WALL-E (2008) 10. UP (2009)11. TOY STORY 3 (2010)12. CARS 2 (2011) 13. RIBELLE(2012) 14. MONSTERS UNIVERSITY (2013)

2

3

4

5

10

11

12

14

13

6

7

8

9

la Repubblica

DOMENICA 31 AGOSTO 2014 40LA DOMENICA

Next. Scherzi a parte

BRUCE STERLING

I CHIAMA Near Future Laboratory(“Laboratorio del futuro prossimo”).È un gruppo di esperti di progetta-zione industriale che sperimentanovisioni del futuro. Il loro esponentepiù famoso, il professor JulianBleecker, è l’ingegnere e accademicocaliforniano che ha inventato il ter-mine “design fiction” (fantaproget-tazione). Di tanto in tanto questo la-

boratorio multinazionale sforna un nuovo prodotto ufficiale.L’ultimo sforzo è il nuovo catalogo dei prodotti del Near Futu-re Laboratory: tutti rigorosamente fittizi. L’iniziativa è im-portante per due ragioni: perché gli ingegneri del Near Futu-re Laboratory sono persone che la progettazione industrialela conoscono davvero, e perché conoscono bene anche il “fu-turismo” (inteso come studio del futuro). Il risultato sono pro-dotti immaginari estremamente acuti e divertenti.

Il Tbd Catalog(Tbd sta per “to be designed”, ancora da pro-gettare) è un compendio di idee moderne e di tendenza dal-l’aria quanto mai esotica ed eccitante: criptovalute, ingegne-ria genetica, social media, stampa 3D, crowdfunding e così via.Il Near Future Laboratory ha moltissimi amici nelle professio-ni più varie, quindi è ben aggiornato su tutte queste materie.

Nella visione del futuro contenuta nel catalogo, tutte questenovità sono state rese comuni, democratiche e pienamente ac-cessibili. Sono diventate cose normali, parte della vita di tuttii giorni. Costano perfino poco, nella maggior parte dei casi.

Il Near Future Laboratory è consapevole del ruolo della pro-gettazione industriale, via di collegamento fra i miracoli da la-boratorio e i prodotti di uso quotidiano. Quando i suoi inge-gneri inventano un «fantaprodotto», è fantascienza con tuttoil rigore del vero design industriale.

I progettisti sono anche consapevoli che gli oggetti devonoessere redditizi, desiderabili e producibili in serie. Gli oggettidel mondo reale devono superare ostacoli importanti: la nor-mativa legale, la pirateria, i capricci dei consumatori, l’ambi-zione dei capitalisti. I beni di consumo progettati hanno formeaccattivanti e gamme di colori invitanti.

Insomma, quando il Near Future Laboratory progetta unprodotto immaginario, non è incredibile: è incredibilmenteplausibile. Generalmente, ogni volta che pubblicano uno diquesti cataloghi, devono affannarsi a ripetere che queste cosenon sono reali. Che genere di mondo potrebbe fabbricare e usa-re una cosa come questa? Semplicemente il nostro mondo,questo mondo, in un altro stato d’animo, in un altro tempo.

E ora sfogliate il catalogo e buon divertimento.

Mai più senza

Densimetro nutrizionale

S© RIPRODUZIONE RISERVATA

Dall’app che vi dice ciò che state mangiandoal drone che controlla vostro figlio. Oggettitecnologicamente demenziali ma del tuttoplausibili.Che non esistono. Ma potrebberoSi diverte a raccontarli un guru della futurologia

Sfoglia anche tu il catalogo delle invenzioni inventate

Il nostro apparecchio usa le tecnologie di cloud e crowd computing più avanzate per analizzare il ciboche state mangiando, perfino mentre lo state mangiando. Basterà fare una foto, il più chiara possibile, diquello che mangiate e caricarla attraverso la nostra applicazione. Il vostro pasto sarà valutato, recensito evotato secondo una serie di parametri: caratteristiche nutritive, appropriatezza, desiderabilità, colore,valore, sapidità, dilettevolezza, agliosità, composizione, quoziente di rotondità, pollici su, pollici giù emolto altro. Il modo semplice e veloce per capire che cosa state mangiando e perché. Basta inserire unaporzione, grande quanto uno stuzzichino, del vostro cibo nella vaschetta-campione del nutriziometro!

Prodotto # NUT.871.577$99.......................................................... fabbricato in Ucraina$79.......................................................... fabbricato in Brasile$69.......................................................... fabbricato in Corea del Nord (la versione nordcoreana è disponibile solo in Grigio Lunare, Blu Zaffiro, Grigio Orientale e Nero Oceano)

La macchina da scriveredel futuro è modernae ad azionamento meccanico .Fatta su misura, funzionacon il delizioso sistema qwertydi una Olivetti UnderwoodLettera 32.

Prodotto # TYP.305.766

$199,00

Create direttamente i vostri bitcoin grazie al produttore più affidabiledi hardware per il Bitcoin mining, l’unità di elaborazione PixAx, progettatadal nostro team di ingegneri per diventare l’interfaccia più affidabileper l’economia Bitcoin. La RiVETS Hardware è famosa per produrrehardware di altissima qualità dedicato specificamente al mondo delBitcoin. Garantiamo il prodotto, protetto mediante algoritmi da attacchi ehash incontrollati, al 99,999. Espansioni hardware opzionali e break-outzones consentono modifiche fai da te. Oppure andate sul nostro negozioRiVETS Hard Goods™ e date un’occhiata alle migliaia di estensionipersonalizzate per i servizi di Bitcoin mining che desiderate.

Prodotto # RIV.290.551$899............... GHz/processore fino a un massimo di 32 GHz/32 processori

Local radio

Typewriter

È una radio che mette insieme notizie locali, feed(per esempio gli aggiornamenti del vostro Comune)ed eventi, e costruisce algoritmicamente unnotiziario pronunciato da una voce incantevole.Trovate tutti i vostri feed di dati digitali non vocali diservizi locali, squadre di emergenza ecc.e ascoltateli su un apparecchio radio elegantissimo,come un notiziario di quelli di una volta!

Prodotto # LOC.552.257$89+ $1,99 .................. mese per

tassa servizi locali

Processore Bit-Coin

la Repubblica

DOMENICA 31 AGOSTO 2014 41

Valigie senza rotelle Mee wee monitor

ELECTRIX - il vintage moderno

Abbinati a un monitoraggio del ritmo delsonno, i nostri vaporizzatori spargonoeffluvi controllati e inodori che vi mantengonoin perfetto stato di sonno per tutta la notte.Basta con la violenta intrusione delle sveglie!

Prodotto # SOP.678.262$23. ................................................/due dosaggi

Se veniste a sapere che vostro figlio o vostra figlia è coinvolto in qualcosa chepotrebbe rovinare il suo futuro, non fareste tutto quello che è in vostro potereper salvarlo? Il Child Follow Flying AV vi permetterà di avere le risposte che vo-lete, e che è giusto che abbiate. Il Child Follow Flying AV è un veicolo autonomovolante con caratteristiche avanzate, in grado di monitorare tutte le attività divostro figlio e fornire, se lo desiderate, aggiornamenti video in tempo reale. Po-tete scaricare, installare e cominciare a usare il Child Follow AV Software in po-chi minuti. Proteggete e controllate i vostri figli 24 ore su 24, anche quando nonsono in casa.

Prodotto # FIS.291.575

$899,00 ......................................................................con batteria chimica$699,00 ......................................................................con alimentatore Kink-Spring

Monitoraggio biologico continuo di campionidi urina per fornire una valutazione dello statocorrente, dai livelli di alcol ai quozienti ormo-nali, colore, pH, nitrati, glucosio, nitriti, cheto-ni, emoglobine, eritrociti, leucociti, proteine,minerali. I risultati vengono poi caricati sul vo-stro profilo dati online, per condividerli con pa-renti e amici o con algoritmi di valutazione bre-vettati. Collegamento a Facebook, Foursqua-re, Twitter, Tumblr e molti altri!Negli Stati Uniti e in Africa, potete aver dirittoall’assistenza del programma Medicaid.

Prodotto # MEW.712.525

$25. ......................................... ognuno$80. ......................................... pacchetto famiglia

Una linea completa dei marchi delle valigie più po-polari e completamente senza rotelle! Queste me-ravigliose valigie in stile vintage sono solo edesclusivamente da sollevare! Potenziate la vostraresistenza e forza fisica! Ricordate i meravigliositempi celebrati anche dai film del famoso registaWes Anderson! Sollevate le vostre valigie, non fate i delicatini!

Prodotto # LUG.364.603

$99 - $6.999 per pezzo.

Controllate il nostro inventario su internet per leultime offerte. Spese di spedizione non incluse,supplementi a seconda della regione.

L’Animatronic Garden ScareGnome individuai passettini di moleste creature da giardino co-me scoiattoli e conigli, gira la testa e si toglie ilcappello per scacciarli via. Il modulo vocale glifa bofonchiare parole dissuasive che sicura-mente spingeranno quei pestiferi animaletti apensarci due volte prima di pensare che nes-suno li guarda. Potete scegliere fra il formatostandard (15 cm) o maxi (38 cm). Fabbricati inZambia, Sudafrica o Capo Verde.

Prodotto # GAR.829.576

$89,00 ..........................................creatura 15 cm$179,00 ........................................creatura 38 cm

Sconto 10% sugli gnomi fabbricatiin Sudafrica

Dire «Mi piace» non è mai stato così facile. Prima c’era la Social Alarm Clock. Ora la Electrix™presenta una sveglia da comodino che quando la spegnete clicca «Mi piace» a ogni cosache la vostra rete di contatti ha fatto durante la notte. Potrete svegliarvi con la fresca sensazionedi aver fatto tutto quello che potevate fare per quel giorno, ancora prima di scendere dalletto. Non sentirete più alcun rimorso a girarvi dall’altra parte e continuare a dormire!

Con il meccanismo «Like» (brevetto in corso di registrazione), non farete mai la figura del cattivoamico. Tutto quello che i vostri amici hanno postato da quando siete andati a dormire riceveràun MiPiace, un Solletichino, un SaltoPettoControPetto, un CinqueAPugno,un MassimoRispetto o un CuoreDoppio a seconda del social network.

Facilmente integrabile con tutti i moderni servizi di social media, come Facebook, GerDardin,MoCard, Instagram, Douban, Tencent, Flickr, Yahoo! Pakes, Vine, Twitter, Tumblr, Ghost, Medium,BaiBai, NixNova, Sina Weibo, Renren e altri ancora. E siamo sempre aggiornatissimi! Aggiungia-mo in media sei nuovi servizi social di tendenza ogni giorno.

Electrix™. Portiamo il sociale nella retecon l’estetica vintage neomoderna di tutti i giorni.

Soporific

Drone di sorveglianza per bambini

CO

PY

RIG

HT

JULI

AN

BLE

EC

KE

R, P

H.D

.TB

D C

ATA

LOG

: HTT

P:/

/SH

OP

.NE

AR

FUTU

RE

LAB

OR

ATO

RY

.CO

M/P

RO

DU

CTS

/TB

D-C

ATA

LOG

Gnomo da giardinoallarmato

È fantastico poter vedere più spesso i miei nipotini e nipotine, anche ora che facciofatica a camminare e non posso più portarli ascuola o al parco. Mi sembra di stare con loroanche quando sono a letto.E anche loro si sentono più sicuri.

R. Kwang, Maracaibo, Venezuela

la Repubblica

DOMENICA 31 AGOSTO 2014 42LA DOMENICA

LICIA GRANELLO

PRI, o canora Musa, i boschi di Elicona,/ E la tua cetra cingad’alloro una corona./ Non or d’Eroi tu devi, o degli Dei can-tare,/ Ma solo la Minestra d’ingiurie caricare./ Ora tu sei, Mi-nestra, de’ versi miei l’oggetto,/ E dir di abbominarti mi ap-porta un gran diletto./ Ah se potessi escluderti da tutti i re-gni interi;/ Sì certo lo farei contento, e volentieri.…”.

Ha appena undici anni Giacomo Leopardi quando scriveContro la minestra, dando nobiltà letteraria alla campio-nessa delle idiosincrasie culinarie dei bambini di tutto ilmondo. Antipatia rimasta immutata fino al giorno della di-partita, quando, ormai morente, al posto del brodo che lasuora vuole fargli sorbire per ammortizzare i due cartocci di

confetti di Sulmona divorati qualche ora prima, pretende (a testimoniarlo è l’amico fraterno An-tonio Ranieri) “una limonea gelata che qui chiamano granita, sorbita con la consueta avidità”.

Una morte da ribelle goloso, che poco s’attaglia con la figura pallida e disperata dell’agiografiaufficiale, ma in linea con l’affezione al buon cibo sviluppata negli ultimi anni di vita, complice lapermanenza nella Campania Felix, tra Napoli,Capodimonte e Torre del Greco (nel quartiereche in suo onore verrà battezzato Contrada Leo-pardi). Non ha certo un’adolescenza da candi-dato gourmet, il poeta raccontato ne Il giovanefavolosoin concorso domani al festival del cine-ma di Venezia, sovrastato dagli studi “matti edisperatissimi” e dalle avvisaglie della tuberco-losi ossea, prima delle malattie che ne mine-ranno inesorabilmente la salute. Da lì in poi, ilcibo viene associato soprattutto alle ritualità fa-

miliari, che gli mancano nel peregrinare tra Bo-logna, Firenze e Roma. Ma quando Ranieri rie-sce a portare il trentacinquenne Leopardi a Na-poli, l’approccio al cibo cambia in modo radica-le. Gran parte del merito va a Pasquale Ignarra,finissimo monsù (ovvero monsieur, il cuoco dicasa della corte napoleonica), pronto a soddi-sfare ogni desiderio e bizzarria dell’ospite, chespesso scambia il giorno per la notte, mangia l’e-satto contrario di quanto prescrivono i medici,

si modera poco o nulla quando un cibo gli ag-grada particolarmente. In nome delle buonepratiche salutari (“...dalla buona digestione di-pende in massima parte il ben essere, il buonostato corporale, e quindi anche mentale e mo-rale dell’uomo”), Leopardi assaggia, sperimen-ta, gode dei manicaretti che Ignarra gli prepa-ra in mille modi, dagli ziti spezzati col ragù den-so alle linguine allo scammaro (sugo magro dipesce). Si appassiona di gelateria, “…grand’ar-te onde barone è Vito”, pasticcere a Largo Ca-rità. E poi il vino, che occhieggia tra le righe co-me arma di seduzione: “Dicono e suggerisconoche volendo ottener dalle donne quei favori chesi desiderano, giova prima il ber vino, ad ogget-to di rendersi coraggioso, non curante, pensarpoco alle conseguenze e se non altro brillare nel-la compagnia coi vantaggi della disinvoltura”.

Così entusiasta da stilare l’elenco dei piattiche più gli piacciono. Ben prima del lavoro di si-stematizzazione culinaria di Pellegrino Artusi,la mappa gourmand di Leopardi fissa 49 piattiimperdibili, che attraversano buona parte d’I-talia, con una sfacciata preferenza per i fritti: ali-bi straordinario per tutti gli appassionati di let-teratura col colesterolo border line.

Il bistròIspirato dalla misconosciuta

passione di Leopardi per la tavola, lo chef marchigiano

Moreno Cedroni ha dedicato al poeta il menù estivo del bistrò

“Clandestino” sulla spiaggia di Portonovo: tra i piatti, frittelle

di acciughe, gelato al miele, ma anche “L’ermo colle”

e “Odio alla minestra”

Gli aneddotiSi intitola “Leopardi

a Tavola”(Fausto Lupetti editore,2008) il libro di Domenico

Pasquariello e Antonio Tubelli(nella foto), che svela il rapporto

goloso tra il poeta e la cucina:aneddoti, ricordi, cronache

di buon mangiare e le ricette dei suoi piatti preferiti, elencati

nella sua lista autografa

Il libroIn “Sette anni di sodalizio

con Giacomo Leopardi”, AntonioRanieri racconta: “...perseverava

i più incredibili eccessi: il caffè,sciroppo di caffè; la limonea,

sciroppo di limone; il cioccolatte,sciroppo di cioccolatte (e non

senza le vainiglie, rigorosamentevietategli); e così via”

Sapori. Infiniti

MENTRE IL NUOVO FILM

DI MARIOMARTONE

VIENEPRESENTATO AL FESTIVAL

DI VENEZIAVIAGGIO

TRA LE PASSIONICULINARIEDEL POETA

DI RECANATICON TANTO

DI LISTADEI PIATTIPREFERITI

© RIPRODUZIONE RISERVATA

‘‘A

Chez Leopardi.Dolci,fritti, maccheroni e ragùquando il cibo è una poesia

31.Paste frolleal burroo strutto

Frolla classica a foderare

gli stampiniimburrati,

poi in fornoPer il ripieno,

zabaione di tuorli battuti

con zucchero e succo di limoni

d’Amalfi, mescolatoa panna fresca

GIACOMO LEOPARDI

LI antichi però

avevano ragione,

perché essi non

conversavano

insieme a tavola, se

non dopo mangiato, e nel

tempo del simposio

propriamente detto, cioè della

comessazione, ossia di una

compotazione, usata da loro

dopo il mangiare, come oggi

dagl’inglesi, e accompagnata al

piú da uno spilluzzicare di

qualche poco di cibo per destar

la voglia del bere. Quello è il

tempo in cui si avrebbe piú

allegria, piú brio, piú spirito, piú

buon umore, e piú voglia di

conversare e di ciarlare. Ma nel

tempo delle vivande tacevano, o

parlavano assai poco.

Noi abbiamo dismesso l’uso

naturalissimo e allegrissimo

della compotazione, e parliamo

mangiando. Ora io non posso

mettermi nella testa che

quell’unica ora del giorno in cui

si ha la bocca impedita, in cui gli

organi esteriori della favella

hanno un’altra occupazione

(occupazione

interessantissima, e la quale

importa moltissimo che sia

fatta bene, perché dalla buona

digestione dipende in massima

parte il ben essere, il buono

stato corporale, e quindi anche

mentale e morale dell’uomo, e

la digestione non può esser

buona se non è ben cominciata

nella bocca, secondo il noto

proverbio o aforismo medico),

abbia da esser quell’ora

appunto in cui piú che mai si

debba favellare; giacché molti si

trovano, che dando allo studio o

al ritiro per qualunque causa

tutto il resto del giorno, non

conversano che a tavola, e

sarebbero bien fachés di

trovarsi soli e di tacere in

quell’ora. Ma io che ho a cuore la

buona digestione, non credo di

essere inumano se in quell’ora

voglio parlare meno che mai, e

se però pranzo solo. Tanto piú

che voglio potere smaltire il mio

cibo in bocca secondo il mio

bisogno, e non secondo quello

degli altri, che spesso divorano

e non fanno altro che imboccare

e ingoiare. Del che se il loro

stomaco si contenta, non segue

che il mio se ne debba

contentare, come pur

bisognerebbe, mangiando in

compagnia, per non fare

aspettare, e per osservar le

bienséances che gli antichi non

credo curassero troppo in

questo caso; altra ragione per

cui essi facevano molto bene a

mangiare in compagnia, come

io credo fare ottimamente a

mangiar da me.

da Zibaldone di pensieri

6 luglio 1826

Il pranzosolitariodel teneroGiacomo

la Repubblica

DOMENICA 31 AGOSTO 2014 43

INGREDIENTI

260 G.DI MIELE DI CORBEZZOLO

500 ML. DI LATTE INTERO FRESCO

400 ML. DI PANNA FRESCA

ersare il latte in un pentolino e scaldarloa fuoco basso. Aggiungere la panna, gi-rando col cucchiaio lungo. Tenere da par-te. Scaldare anche il miele lentamente,

per renderlo liquido. Se si vuole un gusto più ca-ramellato, portarlo a ebollizione mescolandocontinuamente.Togliere dal fuoco e aggiungere latte e panna cal-di, lavorando con una frusta. Lasciar riposare atemperatura ambiente. Una volta raffreddata lapreparazione, mantecare in gelatiera (ai tempidi Leopardi, il contenitore veniva calato in un ma-stello pieno di ghiaccio e sale, staccando man ma-no il composto che si ghiacciava sulle pareti conuna spatola di legno).

V

10piatti firmati

8. Riso al burroScalogno e sedanoinsaporiti nel burro, poi vino biancoFar evaporare e tostare

il riso. Tirare a cottura con brodo di pesce, aggiungendo a metà i filetti di triglie di scoglio

11

Un favolosogelato al miele

La ricetta

. Frittelledi borragineLe foglie di boragoofficinalis (sbollentate,

raffreddate, asciugate e infarinate)si tuffano in una pastella di farina,lievito, pecorino grattugiato e acqua, per poi friggerle

16. Bignésdi patateBurro sciolto in acquabollente salata, farina

e tuorli. Formare delle palline,infornare, farcire gli choux con puré di patate e formaggio,imburrare e infine gratinare

22. SelleriZuppetta di sedanotagliato a tocchetti,sbianchito in acqua

salata, aggiunto a un soffritto di carote, cipolla e cotenna Cottura con acqua Alla fine, cacio grattugiato

24. RavaiuoliPer farcire i ravioli,cipolla ammorbidita nel burro, macinato

di carne, vino bianco e saleA freddo, ricotta vaccina, Parmigiano Reggiano e tuorliCondire con sugo di pomodoro

25. Bodindi ricottaRicotta di bufalasetacciata, lavorata

con zucchero a velo e rossi d’uovo(uno alla volta), rum, maraschino,scorzette candite e gherigli di noceFar riposare in frigo

42. ProsciuttoPer la spumetta,prosciutto cotto a dadini schiacciati

con la forchetta, poi Marsala secco e crema di latte. Alla fine, profumo di noce moscata Servire con pane abbrustolito

45. Pasticcinidi maccheroniFrolla di farina, tuorli,zucchero, strutto e sale

Ripieno di linguine cotte al dente,spadellate in soffritto di olive,capperi, acciughe, aglio, cozze e prezzemolo, poi in forno

47. Zuccheo insalate concarnePolpa di vitello cotta al forno, tagliata

a striscioline insieme a olive di Gaeta snocciolate, fettine di carciofi, menta, emulsione d’olio, limone, pepe e sale

LO CHEF

GIACOMO LEOPARDI(1798 - 1837)È L’AUTOREDELLA RICETTAQUI RIPENSATAPER I LETTORI DI “REPUBBLICA”.LA LISTA DEI 49 PIATTIPREFERITI DAL POETA (A DESTRA) È CONSERVATAPRESSOLA BIBLIOTECANAZIONALE DI NAPOLI

G

GIACOMO LEOPARDI

LI antichi però

avevano ragione,

perché essi non

conversavano

insieme a tavola, se

non dopo mangiato, e nel

tempo del simposio

propriamente detto, cioè della

comessazione, ossia di una

compotazione, usata da loro

dopo il mangiare, come oggi

dagl’inglesi, e accompagnata al

piú da uno spilluzzicare di

qualche poco di cibo per destar

la voglia del bere. Quello è il

tempo in cui si avrebbe piú

allegria, piú brio, piú spirito, piú

buon umore, e piú voglia di

conversare e di ciarlare. Ma nel

tempo delle vivande tacevano, o

parlavano assai poco.

Noi abbiamo dismesso l’uso

naturalissimo e allegrissimo

della compotazione, e parliamo

mangiando. Ora io non posso

mettermi nella testa che

quell’unica ora del giorno in cui

si ha la bocca impedita, in cui gli

organi esteriori della favella

hanno un’altra occupazione

(occupazione

interessantissima, e la quale

importa moltissimo che sia

fatta bene, perché dalla buona

digestione dipende in massima

parte il ben essere, il buono

stato corporale, e quindi anche

mentale e morale dell’uomo, e

la digestione non può esser

buona se non è ben cominciata

nella bocca, secondo il noto

proverbio o aforismo medico),

abbia da esser quell’ora

appunto in cui piú che mai si

debba favellare; giacché molti si

trovano, che dando allo studio o

al ritiro per qualunque causa

tutto il resto del giorno, non

conversano che a tavola, e

sarebbero bien fachés di

trovarsi soli e di tacere in

quell’ora. Ma io che ho a cuore la

buona digestione, non credo di

essere inumano se in quell’ora

voglio parlare meno che mai, e

se però pranzo solo. Tanto piú

che voglio potere smaltire il mio

cibo in bocca secondo il mio

bisogno, e non secondo quello

degli altri, che spesso divorano

e non fanno altro che imboccare

e ingoiare. Del che se il loro

stomaco si contenta, non segue

che il mio se ne debba

contentare, come pur

bisognerebbe, mangiando in

compagnia, per non fare

aspettare, e per osservar le

bienséances che gli antichi non

credo curassero troppo in

questo caso; altra ragione per

cui essi facevano molto bene a

mangiare in compagnia, come

io credo fare ottimamente a

mangiar da me.

da Zibaldone di pensieri

6 luglio 1826

Il pranzosolitariodel teneroGiacomo

la Repubblica

DOMENICA 31 AGOSTO 2014 43

INGREDIENTI

260 G.DI MIELE DI CORBEZZOLO

500 ML. DI LATTE INTERO FRESCO

400 ML. DI PANNA FRESCA

ersare il latte in un pentolino e scaldarloa fuoco basso. Aggiungere la panna, gi-rando col cucchiaio lungo. Tenere da par-te. Scaldare anche il miele lentamente,

per renderlo liquido. Se si vuole un gusto più ca-ramellato, portarlo a ebollizione mescolandocontinuamente.Togliere dal fuoco e aggiungere latte e panna cal-di, lavorando con una frusta. Lasciar riposare atemperatura ambiente. Una volta raffreddata lapreparazione, mantecare in gelatiera (ai tempidi Leopardi, il contenitore veniva calato in un ma-stello pieno di ghiaccio e sale, staccando man ma-no il composto che si ghiacciava sulle pareti conuna spatola di legno).

V

10piatti firmati

8. Riso al burroScalogno e sedanoinsaporiti nel burro, poi vino biancoFar evaporare e tostare

il riso. Tirare a cottura con brodo di pesce, aggiungendo a metà i filetti di triglie di scoglio

11

Un favolosogelato al miele

La ricetta

. Frittelledi borragineLe foglie di boragoofficinalis (sbollentate,

raffreddate, asciugate e infarinate)si tuffano in una pastella di farina,lievito, pecorino grattugiato e acqua, per poi friggerle

16. Bignésdi patateBurro sciolto in acquabollente salata, farina

e tuorli. Formare delle palline,infornare, farcire gli choux con puré di patate e formaggio,imburrare e infine gratinare

22. SelleriZuppetta di sedanotagliato a tocchetti,sbianchito in acqua

salata, aggiunto a un soffritto di carote, cipolla e cotenna Cottura con acqua Alla fine, cacio grattugiato

24. RavaiuoliPer farcire i ravioli,cipolla ammorbidita nel burro, macinato

di carne, vino bianco e saleA freddo, ricotta vaccina, Parmigiano Reggiano e tuorliCondire con sugo di pomodoro

25. Bodindi ricottaRicotta di bufalasetacciata, lavorata

con zucchero a velo e rossi d’uovo(uno alla volta), rum, maraschino,scorzette candite e gherigli di noceFar riposare in frigo

42. ProsciuttoPer la spumetta,prosciutto cotto a dadini schiacciati

con la forchetta, poi Marsala secco e crema di latte. Alla fine, profumo di noce moscata Servire con pane abbrustolito

45. Pasticcinidi maccheroniFrolla di farina, tuorli,zucchero, strutto e sale

Ripieno di linguine cotte al dente,spadellate in soffritto di olive,capperi, acciughe, aglio, cozze e prezzemolo, poi in forno

47. Zuccheo insalate concarnePolpa di vitello cotta al forno, tagliata

a striscioline insieme a olive di Gaeta snocciolate, fettine di carciofi, menta, emulsione d’olio, limone, pepe e sale

LO CHEF

GIACOMO LEOPARDI(1798 - 1837)È L’AUTOREDELLA RICETTAQUI RIPENSATAPER I LETTORI DI “REPUBBLICA”.LA LISTA DEI 49 PIATTIPREFERITI DAL POETA (A DESTRA) È CONSERVATAPRESSOLA BIBLIOTECANAZIONALE DI NAPOLI

G

la Repubblica

DOMENICA 31 AGOSTO 2014 44LA DOMENICA

Un’infanzia come una folle corsa da un angolo all’altro del pianeta,

con un padre ogni volta diverso e una madre costumista che lo intro-

duce da giovanissimo al mestiere dell’attore: «Trascorrevo ore e ore

negli studi di registrazione. Mi ricordo il folclore delle regine del

country rock. Mi ero abituato alle stranezze, tutto m’appariva nor-

male». Ruoli importanti in film che fanno epoca, da Il Piccolo

Buddha a Matrix: «Il cinema mi

affascina anche per le magie tec-

nologiche che lo rendono possi-

bile». Tra due giorni compirà cin-

quant’anni: «Crisi di mezza età?

Quale età?».

KeanuReeves

MARIO SERENELLINI

PARIGI

LA SUA INFANZIA è stata una folle corsa, come l’autobus in fuga dalla mi-naccia d’esplosione in Speed, il film che vent’anni fa lo rese definitiva-mente popolare: un viavai a perdifiato da un angolo all’altro del pia-neta e cambi choc non solo d’abitazione ma d’equilibri domestici, conun “padre” ogni volta diverso. Nato nel 1964 a Beirut da madre bri-

tannica e padre sino-hawayano, Keanu Reeves nei primi anni di vita è stato sbal-lottato tra Libano, Australia, America fino a stabilizzarsi a sette anni, per unabriciola di calendario, a Toronto, con la madre, divorziata da quando lui avevatre anni e da allora in totale turbinio di nuovi mariti: «Vi abbiamo vissuto fino altrasloco a Hollywood dove ancora ragazzo ho cominciato a fare l’attore. Intan-to, mia madre era diventata costumista e io trascorrevo ore e ore negli studi diregistrazione. Mi ricordo il folclore delle regine del country rock, Dolly Parton,Emmylou Harris e di Alice Cooper, alle prese con Welcome to My Nightmare:mi ero abituato alle stranezze, tutto mi appariva normale».

Reeves, barba e capelli nerissimi, elastico e leggero nell’abbinamento t-shirt e giacca Armani, compirà cinquant’anni il due settembre («Crisi dimezza età? Quale età?»). Già star a poco più di vent’anni — Point Break diKathryn Bygelow, My Own Private Idaho di Gus Van Sant, il Draculadi Fran-cis Ford Coppola e Il Piccolo Buddha di Bernardo Bertolucci — l’attore ame-ricano tenacemente abbarbicato alla nazionalità canadese, divenuto fan-ta-icona con la saga di Matrix, è oggi regista di Man of Tai Chi, thrillerarabescato di kung-fu, e produttore di Side by Side, inchiesta sul-l’epocale cinetrapasso dalla pellicola al digitale dove, da inattesocinefilo, intervista maestri del grande schermo, da Lynch a Scor-sese, Lucas, Von Trier, Boyle, Cameron: «Il cinema mi affascinaanche per le magie tecnologiche che lo rendono possibile. Sono

stato un bambino curioso: smontavo i giocattoli, chiedevo sem-pre “perché ?”. Così mi sono divertito a mettere il naso dentromacchinari e processi digitali di riprese e proiezioni. Una curio-sità già estesa ai motori, altra mia passione fin da ragazzo: sonoun motociclista spericolato, fan delle Norton, la moto per eccel-lenza, e adesso anche costruttore dilettante di cilindrate. Sonofiero di poterle anticipare che presto l’Arch Motorcycle Companysvelerà un mio prototipo».

Ospite d’onore del festival Champs-Elysées di Sophie Dulac, traun incontro e l’altro con le platee di teen adoranti, Reeves si rilassa

sulla terrazza panoramica di Publicis Cinémas, giro d’orizzonte mozzafiato sul-l’intera città. Ma lui sceglie la sedia che dà le spalle a Parigi: «Preferisco l’om-bra». Parla calmo, e lento. Si gratta la gamba destra scoprendo un’ampia cica-trice ricurva: incidente in moto nel ‘96, dopo quello d’anni prima sul TopangaCanyon Boulevard, tra la Los Angeles Valley e il Pacifico, che gli ha lasciato un’al-tra “firma” lunga fino allo stomaco. «Il mio uncino di pirata — ironizza, andan-doci sopra con l’indice — o il mio punto interrogativo. Tutti e due, forse: dipen-de da come lo si guarda». Tra i suoi soprassalti atletici, c’è stato anche l’hockeysu ghiaccio: «Avevo cominciato molto presto, quand’ero a Toronto: giocavo inporta, non malaccio, tanto che progettavano di passarmi professionista per leOlimpiadi. Mi chiamavano “the Wall”, il muro. Ma è finita con un brutto inci-dente alle ginocchia, che tra l’altro m’impedisce da allora di praticare il surf.Però non tutti i sogni di ragazzo si sono infranti: mi è rimasto quello di andarenello Spazio. Non dispero un giorno di realizzarlo». E la musica ? «È storia pa-rallela al cinema. A ventitré anni mi ero comprato una chitarra sul Sunset Bou-levard. Volevo imparare. M’incantava Peter Hook, bassista dei Joy Division,specie in pezzi come Love Will Tear Us Apart,Ceremony, Atmosphere. Qualchetempo dopo scopro un vicino con la maglietta da hockey. Anche lui è attore, Ro-bert Mailhouse. Siamo diventati fratelli di hockey e di musica». Dopo i primi al-bum, Our Little Visionary del ‘96 e il successivo Happy Ending, che posto ha lamusica nelle sue giornate? «Casa mia è una sauna sonora: Archers of Loaf, Builtto Spill, Hüsker Dü, Elvis Costello, Dean Martin, Bobby Darin, Dinosaur Jr, Stra-vinsky, Sonic Youth…». È rimasta solo un hobby ? «Sono stato bassista di bandcome i Dogstar o i Becky e ho contribuito al repertorio con le mie “ditties”, can-zonette. Abbiamo inciso dischi. Ce la spassiamo. Questo è hobby? Non so. Ci fac-ciamo pagare: questo è professionismo ? Okay, diciamo che è un hobby pro-fessionistico».

Torniamo all’altro “hobby professionistico”, il cinema: come mai ha sempresnobbato uno dei suoi maggiori successi, Speed, e ha rifiutato dieci milioni didollari per Speed 2, preferendo raggiungere Al Pacino ne L’avvocato del dia-volo ? Con Reeves, talvolta, dopo una domanda si aspetta. Anche per settanta-due secondi. Questa è una di quelle volte. Lui riflette («Voglio trovare la rispo-sta precisa»). Nel frattempo, nello Spazio, i pianeti si scontrano, le stelle esplo-dono in supernova, sulla Terra sparisce la foresta amazzonica e, lì sotto, l’Arcde Triomphe fa da ombelico a un’immobile giostra d’auto come in un film di Ta-ti. Ripensiamo con pena solidale ai troppi strappi di un’aurea carriera — il pa-dre in prigione per traffico d’eroina, la morte dell’amico River Phoenix, della fi-glia appena nata, nel ‘99 e, poco dopo, della giovane compagna Jennifer Syme— smarrita poi tra flirt da rotocalco: Winona Ryder, Cameron Diaz, CharlizeTheron, Parker Posey… Ma ecco: «Speed! Pensi che avevo detto no anche la pri-ma volta, minimizzando: una bomba su un bus, e allora? E anche mentre lo in-terpretavo avevo la testa altrove. Pensavo all’Amleto. Ne conosco a memoriasonetti e soliloqui, in viaggio ne ho sempre una copia con me, mi piace recitar-ne i passaggi a voce alta quando sono in camera da solo». Dopo gli Shakespearegiovanili Reeves ha interpretato Tanto rumore per nulla di Kenneth Branaghe, nel ‘95, in teatro a Winnipeg, priorio Amleto. «Ormai ho capito che per quan-to lontano si possa andare, Amleto ci segue e ci giudica. Meraviglioso e terrifi-

cante». Ha a che fare anche con le sue vicende familiari ? Madrerisposata, padre fantasma… «Vero. Quel che ho scoperto nel re-citare Amleto è che si è fatto carico per me di tutta la rabbia chesentivo nei confronti di mia madre. Ne sono stato sorpreso: era

già tutto lì dentro e non me ne ero mai accorto». E come si passada Shakespeare ai Wachowski di Matrix? «Mi è piaciuto subito il

personaggio: e l’interrogativo “Quale verità ?”. E poi sonoda sempre un cultore di graphic novels (di Frank Mil-

ler in particolare). Senza parlare delle arti marziali! Ifilm di kung-fu io me li studio. Mi divertono troppo icombattimenti finti». Nella sua fitta filmografia c’èanche un po’ d’Italia: «Bertolucci è il migliore di tut-ti, il regista da cui ho imparato di più come attoree, spero, adesso, come regista. Con Il PiccoloBuddha mi ha fatto per la prima volta entrare nel-la spiritualità dell’Oriente, percepire il divino che ènell’uomo». E Monica Bellucci: il divino che è nelladonna? «Una presenza unica, fantastica. Purtrop-po sacrificata in mini-ruoli come in The Private Li-ves of Pippa Lee di Rebecca Miller e nel Dracula diCoppola».

Negli Usa lo aspettano due film, il thriller KnockKnockdi Eli Roth e The Whole Truthdi Courtney Lo-ve, sulla fine misteriosa di Kurt Cobain. Poi? Si lan-

cerà di nuovo sulle due ruote? «Inforco la moto appe-na posso, in ogni scampolo di tempo libero, quandone ho abbastanza del cinema, della chitarra e persinodi Amleto. Di giorno, di notte, prendo e, in un ruggito,

via dalla città. Assaggi di catarsi, tutto alle spalle». Chepiacere prova nell’andare troppo forte? «Una libera-

zione». Da che cosa? «Dall’andare troppo piano?».

© RIPRODUZIONE RISERVATA

CASA MIA È UNA SAUNA SONORA: ARCHERS OF LOAF,HÜSKER DÜ, ELVIS COSTELLO, STRAVINSKY,SONIC YOUTH. SONO STATO BASSISTA DEI DOGSTARE DEI BECKY E HO SCRITTO CANZONETTE. ABBIAMOANCHE INCISO DISCHI. CE LA SBROGLIAMO

QUEL CHE HO SCOPERTO NEL RECITAREAMLETO È CHE S’È FATTO CARICO PER MEDI TUTTA LA RABBIA CHE MI SENTIVODENTRO NEI CONFRONTI DI MIA MADRE:ERA LÌ E NON ME NE ERO MAI ACCORTO

SONOUN MOTOCICLISTA

SPERICOLATOCOSA PROVO

NELL’ANDARETROPPO FORTE?

UNA LIBERAZIONE.DA COSA?

DALL’ANDARETROPPO PIANO

L’incontro. Forever young