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L' arcobaleno Perché in certe regioni del cielo appaiono degli archi colorati quando la luce del Sole viene diffusa dalle gocce di pioggia? La risposta ha richiesto tutte le risorse della fisica matematica di H. Moysés Nussenzveig L 'arcobaleno è un ponte tra le due cul- ture: sia i poeti sia gli scienziati sono stati a lungo sfidati a descri- verlo. Si afferma spesso che la descrizio- ne scientifica è un semplice problema di ottica geometrica, risolto molto tempo fa e interessante oggi solo come esercizio storico. Non è così; una teoria quantita- tiva soddisfacente dell'arcobaleno è stata sviluppata solo negli ultimi anni. Inoltre questa teoria non coinvolge solo l'ottica geometrica, ma chiama in causa tutto quello che sappiamo sulla natura della luce. Bisogna tenere conto delle proprie- tà ondulatorie come l'interferenza, la dif- frazione e la polarizzazione, e delle pro- prietà corpuscolari come la quantità di moto trasportata da un raggio di luce. Alcuni degli strumenti più potenti del- la fisica matematica furono inventati e- splicitamente per trattare il problema del- l'arcobaleno e problemi strettamente cor- relati. In realtà, l'arcobaleno è servito come pietra di paragone per verificare teorie di ottica. Con la più riuscita di queste teorie è ora possibile descrivere l'arcobaleno matematicamente, ossia prevedere la distribuzione della luce nel cielo. Gli stessi metodi possono essere applicati anche a fenomeni analoghi, co- me l'anello luminoso di colore detto au- reola, e perfino ad altri tipi di arcobale- no, come quelli atomici o nucleari. Non sempre l'indagine scientifica è stata accolta senza riserve. Goethe scris- se che l'analisi dei colori dell'arcobaleno fatta da Newton avrebbe «paralizzato il cuore della natura». Un'opinione simile fu espressa da Charles Lamb e da John Keats; a una cena, nel 1817, proposero questo brindisi: «Salute a Newton, e con- fusione alla matematica.» Eppure gli scienziati che hanno contribuito alla teo- ria dell'arcobaleno non sono stati affatto insensibili alla sua bellezza. Nelle parole di Cartesio: «L'arcobaleno è una mera- viglia della natura così straordinaria... che difficilmente potrei scegliere un e- sempio più adatto per l'applicazione del mio metodo.» 11 singolo arco luminoso che si vede dopo uno scroscio di pioggia o nello spruzzo di una cascata è l'arcobaleno primario. La caratteristica certamente più manifesta è la varietà di colori. Que- sti sono di luminosità e nitore variabile, ma seguono sempre la stessa sequenza: il violetto è all'interno e si mescola gra- dualmente con tonalità di blu, verde, giallo e arancio, con il rosso all'esterno. Le altre caratteristiche dell'arcobaleno passano più frequentemente inosservate e, comunque, non sono sempre presenti. Più in alto nel cielo rispetto all'arco pri- mario vi è l'arco secondario, nel quale i colori appaiono in ordine rovesciato, con il rosso all'interno e il violetto all'ester- no. Un'attenta osservazione rivela che la regione tra i due archi è notevolmente più scura del cielo circostante. Anche quando l'arco secondario non è visibile, si possono distinguere nell'arco primario un «lato luminoso» e un «lato scuro». Alla regione scura è stato dato il nome di banda scura di Alessandro, dal filosofo greco Alessandro di Afrodisiade che per primo la descrisse intorno al 200 d.C. Un'altra caratteristica che si osserva solo talvolta è una serie di bande deboli, di solito alternativamente rosa e verdi, nel lato interno dell'arco primario. (An- cor più raramente possono apparire nel lato esterno dell'arco secondario.) Questi «archi soprannumerari» si vedono di so- lito più chiaramente vicino alla sommità dell'arco. Sono tutt'altro che evidenti, ma hanno avuto una influenza impor- tante sullo sviluppo delle teorie dell'ar- cobaleno. 1 primo tentativo di spiegare razionai- mente l'apparizione dell'arcobaleno fu probabilmente quello di Aristotele. Egli suggerì che l'arcobaleno fosse un in- solito tipo di riflessione della luce del Sole da parte delle nubi. La luce viene riflessa secondo un angolo fisso, dando luogo a un cono circolare di «raggi di arcobaleno». Aristotele spiegò dunque correttamente la forma circolare dell'ar- co e capì che non si trattava di un ogget- to materiale con una precisa collocazione nel cielo, ma piuttosto di un insieme di direzioni lungo le quali la luce viene for- temente diffusa verso gli occhi dell'os- servatore. L'angolo formato dai raggi dell'arco- baleno e dalla luce del Sole incidente fu misurato per la prima volta nel 1266 da Ruggero Bacone. Egli misurò un angolo di circa 42 gradi; l'arco secondario è più alto nel cielo di circa otto gradi. Oggi questi angoli si misurano abitualmente dalla direzione opposta, così che noi mi- suriamo la variazione totale nella dire- zione dei raggi solari. L'angolo dell'arco primario è quindi 180 meno 42, ossia 138 gradi; questo angolo si dice «angolo di arcobaleno». L'angolo dell'arco secon- dario è di 130 gradi. Dopo la congettura di Aristotele sono passati circa 17 secoli prima che si faces- se un ulteriore progresso significativo nella teoria dell'arcobaleno. Nel 1304 il monaco tedesco Teodorico di Freiberg respinse l'ipotesi di Aristotele che l'arco- baleno risulti da una riflessione collettiva da parte delle gocce d'acqua di una nu- be. Suggerì invece che ogni goccia fosse individualmente capace di produrre un arcobaleno. Inoltre provò questa ipotesi in esperimenti con una goccia di pioggia ingrandita: una boccia sferica piena di acqua. Fu in grado di tracciare il cammi- no seguito dai raggi di luce che danno luogo all'arcobaleno. Le scoperte di Teodorico rimasero sco- nosciute per tre secoli fino a che Cartesio raggiunse indipendentemente gli stessi ri- sultati, usando lo stesso metodo. Entram- bi dimostrarono che l'arcobaleno è costi- tuito da raggi che entrano in una goccia e vengono riflessi una volta dalla super- ficie interna. L'arco secondario consiste L'arcobaleno doppio è stato fotografato al Johnstone Strait nella Columbia Britannica. La luminosa fascia interna è l'arco primario che è separato dall'arco secondario, più debo- le, da una regione chiamata banda scura di Alessandro, visibilmente più scura del cielo circostante. Le deboli strisce rosa e verdi sotto l'arco primario sono archi soprannume- rari. La teoria deve dare una spiegazione quantitativa a ognuna di queste caratteristiche. 88

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  • L' arcobaleno

    Perché in certe regioni del cielo appaiono degli archi coloratiquando la luce del Sole viene diffusa dalle gocce di pioggia?La risposta ha richiesto tutte le risorse della fisica matematica

    di H. Moysés Nussenzveig

    L

    'arcobaleno è un ponte tra le due cul-ture: sia i poeti sia gli scienziatisono stati a lungo sfidati a descri-

    verlo. Si afferma spesso che la descrizio-ne scientifica è un semplice problema diottica geometrica, risolto molto tempofa e interessante oggi solo come eserciziostorico. Non è così; una teoria quantita-tiva soddisfacente dell'arcobaleno è statasviluppata solo negli ultimi anni. Inoltrequesta teoria non coinvolge solo l'otticageometrica, ma chiama in causa tuttoquello che sappiamo sulla natura dellaluce. Bisogna tenere conto delle proprie-tà ondulatorie come l'interferenza, la dif-frazione e la polarizzazione, e delle pro-prietà corpuscolari come la quantità dimoto trasportata da un raggio di luce.

    Alcuni degli strumenti più potenti del-la fisica matematica furono inventati e-splicitamente per trattare il problema del-l'arcobaleno e problemi strettamente cor-relati. In realtà, l'arcobaleno è servitocome pietra di paragone per verificareteorie di ottica. Con la più riuscita diqueste teorie è ora possibile descriverel'arcobaleno matematicamente, ossiaprevedere la distribuzione della luce nelcielo. Gli stessi metodi possono essereapplicati anche a fenomeni analoghi, co-me l'anello luminoso di colore detto au-reola, e perfino ad altri tipi di arcobale-no, come quelli atomici o nucleari.

    Non sempre l'indagine scientifica èstata accolta senza riserve. Goethe scris-se che l'analisi dei colori dell'arcobalenofatta da Newton avrebbe «paralizzato ilcuore della natura». Un'opinione similefu espressa da Charles Lamb e da JohnKeats; a una cena, nel 1817, proposeroquesto brindisi: «Salute a Newton, e con-fusione alla matematica.» Eppure gliscienziati che hanno contribuito alla teo-ria dell'arcobaleno non sono stati affattoinsensibili alla sua bellezza. Nelle paroledi Cartesio: «L'arcobaleno è una mera-viglia della natura così straordinaria...che difficilmente potrei scegliere un e-sempio più adatto per l'applicazione delmio metodo.»

    11 singolo arco luminoso che si vededopo uno scroscio di pioggia o nello

    spruzzo di una cascata è l'arcobalenoprimario. La caratteristica certamentepiù manifesta è la varietà di colori. Que-sti sono di luminosità e nitore variabile,ma seguono sempre la stessa sequenza: ilvioletto è all'interno e si mescola gra-dualmente con tonalità di blu, verde,giallo e arancio, con il rosso all'esterno.

    Le altre caratteristiche dell'arcobalenopassano più frequentemente inosservatee, comunque, non sono sempre presenti.Più in alto nel cielo rispetto all'arco pri-mario vi è l'arco secondario, nel quale icolori appaiono in ordine rovesciato, conil rosso all'interno e il violetto all'ester-no. Un'attenta osservazione rivela che laregione tra i due archi è notevolmentepiù scura del cielo circostante. Anchequando l'arco secondario non è visibile,si possono distinguere nell'arco primarioun «lato luminoso» e un «lato scuro».Alla regione scura è stato dato il nome dibanda scura di Alessandro, dal filosofogreco Alessandro di Afrodisiade che perprimo la descrisse intorno al 200 d.C.

    Un'altra caratteristica che si osservasolo talvolta è una serie di bande deboli,di solito alternativamente rosa e verdi,nel lato interno dell'arco primario. (An-cor più raramente possono apparire nellato esterno dell'arco secondario.) Questi«archi soprannumerari» si vedono di so-lito più chiaramente vicino alla sommitàdell'arco. Sono tutt'altro che evidenti,ma hanno avuto una influenza impor-tante sullo sviluppo delle teorie dell'ar-cobaleno.

    1 primo tentativo di spiegare razionai-mente l'apparizione dell'arcobaleno

    fu probabilmente quello di Aristotele.Egli suggerì che l'arcobaleno fosse un in-solito tipo di riflessione della luce delSole da parte delle nubi. La luce vieneriflessa secondo un angolo fisso, dandoluogo a un cono circolare di «raggi diarcobaleno». Aristotele spiegò dunquecorrettamente la forma circolare dell'ar-co e capì che non si trattava di un ogget-to materiale con una precisa collocazionenel cielo, ma piuttosto di un insieme didirezioni lungo le quali la luce viene for-

    temente diffusa verso gli occhi dell'os-servatore.

    L'angolo formato dai raggi dell'arco-baleno e dalla luce del Sole incidente fumisurato per la prima volta nel 1266 daRuggero Bacone. Egli misurò un angolodi circa 42 gradi; l'arco secondario è piùalto nel cielo di circa otto gradi. Oggiquesti angoli si misurano abitualmentedalla direzione opposta, così che noi mi-suriamo la variazione totale nella dire-zione dei raggi solari. L'angolo dell'arcoprimario è quindi 180 meno 42, ossia 138gradi; questo angolo si dice «angolo diarcobaleno». L'angolo dell'arco secon-dario è di 130 gradi.

    Dopo la congettura di Aristotele sonopassati circa 17 secoli prima che si faces-se un ulteriore progresso significativonella teoria dell'arcobaleno. Nel 1304 ilmonaco tedesco Teodorico di Freibergrespinse l'ipotesi di Aristotele che l'arco-baleno risulti da una riflessione collettivada parte delle gocce d'acqua di una nu-be. Suggerì invece che ogni goccia fosseindividualmente capace di produrre unarcobaleno. Inoltre provò questa ipotesiin esperimenti con una goccia di pioggiaingrandita: una boccia sferica piena diacqua. Fu in grado di tracciare il cammi-no seguito dai raggi di luce che dannoluogo all'arcobaleno.

    Le scoperte di Teodorico rimasero sco-nosciute per tre secoli fino a che Cartesioraggiunse indipendentemente gli stessi ri-sultati, usando lo stesso metodo. Entram-bi dimostrarono che l'arcobaleno è costi-tuito da raggi che entrano in una gocciae vengono riflessi una volta dalla super-ficie interna. L'arco secondario consiste

    L'arcobaleno doppio è stato fotografato alJohnstone Strait nella Columbia Britannica.La luminosa fascia interna è l'arco primarioche è separato dall'arco secondario, più debo-le, da una regione chiamata banda scura diAlessandro, visibilmente più scura del cielocircostante. Le deboli strisce rosa e verdisotto l'arco primario sono archi soprannume-rari. La teoria deve dare una spiegazionequantitativa a ognuna di queste caratteristiche.

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  • LATOILLUMINATO

    PIOGGIA

    OSSERVATORE

    ARCOBALENOSECONDARIO

    BANDA SCURADI ALESSANDRO

    ARCOBALENOPRIMARIO

    ARCHISOPRANNUMERARI

    LATO138' ILLUMINATO

    La geometria dell'arcobaleno è determinata dall'angolo di diffusione, ossia l'angolo di cui unraggio di luce solare viene deflesso nel passare attraverso una goccia di pioggia. 1 raggi vengonofortemente diffusi secondo angoli di 138 e 130 gradi, dando luogo rispettivamente agli arcobale-ni primari e secondari. Secondo gli angoli intermedi viene deflessa pochissima luce: questa è lazona della banda scura di Alessandro. Gli angoli ottimali sono leggermente differenti per ognilunghezza d'onda della luce, e da ciò risulta la dispersione dei colori; si noti che la sequenza deicolori nell'arco secondario è rovesciata rispetto all'arco primario. Non esiste un unico piano sulquale giace l'arcobaleno, che è l'insieme di direzioni lungo le quali la luce viene diffusa.

    RAGGIOINCIDENTE

    60 60° RAGGIO

    40)ARIA RIFLESSOACQUA

    PERPENDICOLARE

    40 38RAGGIO

    RIFRATTO

    La riflessione e la rifrazione della luce al confine tra aria e acqua sono gli eventi principali nellacreazione dell'arcobaleno. Nella riflessione l'angolo di incidenza è uguale a quello di riflessione.Nella rifrazione l'angolo del raggio trasmesso è determinato dalle proprietà del mezzo, caratte-rizzate dal suo indice di rifrazione. La luce che entra in un mezzo con indice di rifrazione piùalto viene deflessa verso la perpendicolare. La luce di differenti lunghezze d'onda viene rifrattasecondo angoli leggermente diversi; questa dipendenza dell'indice di rifrazione dal colore èchiamata dispersione. Le teorie spesso trattano separatamente ogni componente monocromatica.

    CLASSE 3(ARCOBALENOPRIMARIO)

    CLASSE 2

    PARAMETRODI IMPATTO

    RAGGIOINCIDENTE

    GOCCIA D'ACQUA

    sione, apparivano a uno a uno gli altricolori dello spettro. Teodorico e Carte-sio conclusero che ognuno dei colori del-l'arcobaleno arriva all'occhio da un in-sieme differente di gocce d'acqua.

    Come si resero conto Teodorico e Car-tesio, tutte le caratteristiche principalidell'arcobaleno possono essere compreseconsiderando la luce che passa attraversouna singola goccia. I principi fondamen-tali che determinano la natura dell'arcosono quelli che governano l'interazionedella luce con i mezzi trasparenti, ossiala riflessione e la rifrazione.

    La legge della riflessione è il principiofamiliare e intuitivamente ovvio che l'an-golo di riflessione deve essere identicoall'angolo di incidenza. La legge della ri-frazione è un po' più complicata. Mentreil cammino di un raggio riflesso è deter-minato interamente dalla geometria, larifrazione coinvolge anche la proprietàdella luce e quelle del mezzo.

    La velocità della luce nel vuoto nonvaria: è una delle costanti fondamentalidella natura. La velocità della luce in unmezzo materiale è invece determinata dal-le proprietà del mezzo. Il rapporto tra lavelocità della luce nel vuoto e la velocitàin una sostanza si chiama indice di rifra-zione della sostanza. Per l'aria l'indice dirifrazione è solo di poco superiore a uno;per l'acqua è circa 1,33.

    Un raggio di luce che passa dall'ariaall'acqua viene ritardato alla superficiedi separazione; se colpisce la superficieobliquamente la variazione di velocità dàluogo a una variazione di direzione. Iseni degli angoli di incidenza e di rifra-zione sono sempre in rapporto costante eil rapporto è uguale a quello esistente tragli indici di rifrazione dei due materiali.Questa uguaglianza si dice legge di Snellda Willebrord Snell che la formulò nel1621.

    Sipuò fare un'analisi preliminare del-l'arcobaleno applicando le leggi del-

    la riflessione e della rifrazione al cammi-no di un raggio che attraversa una goc-cia. Poiché si assume che la goccia siasferica, tutte le direzioni sono equiva-lenti e c'è una sola variabile significati-va: lo spostamento del raggio incidenterispetto a un asse passante attraverso ilcentro della goccia. Questo spostamentoè detto parametro di impatto e variada zero, quando il raggio coincide conl'asse centrale, al raggio della goccia,quando il raggio è tangenziale.

    Alla superficie della goccia il raggioincidente viene parzialmente riflesso, e i-dentificheremo questa luce parzialmenteriflessa con i raggi diffusi di Classe 1. Laluce rimanente viene trasmessa dentro lagoccia (con un cambiamento di direzionecausato dalla rifrazione) e alla superficiesuccessiva viene di nuovo parzialmentetrasmessa (raggi di Classe 2) e parzial-mente riflessa. Alla successiva superficiedi separazione il raggio riflesso si dividedi nuovo in una componente riflessa e inuna trasmessa e il processo continua in-definitamente. Così la goccia dà originea una serie di raggi diffusi che hanno di

    solito intensità rapidamente decrescente.I raggi di Classe I rappresentano la ri-flessione diretta da parte della goccia equelli di Classe 2 sono direttamente tra-smessi attraverso la goccia. I raggi diClasse 3 sono quelli che escono dallagoccia dopo una riflessione interna e dan-no luogo all'arcobaleno primario. I raggidi Classe 4, che hanno subito due rifles-sioni interne, danno luogo all'arco se-condario. Gli arcobaleni di ordine piùelevato hanno origine da raggi che fannopassaggi più complicati, ma di solito nonsi vedono.

    Per ogni classe di raggi diffusi l'ango-lo di diffusione varia su un grande inter-vallo di valori in funzione del parametrodi impatto. Poiché nella luce del Sole lagoccia viene illuminata simultaneamentea tutti i parametri di impatto, la luce èdiffusa praticamente in tutte le direzioni.Non è difficile trovare cammini di luceattraverso la goccia che contribuiscanoall'arcobaleno, ma vi sono infiniti altripercorsi che dirigono la luce altrove. Per-ché, allora, l'intensità diffusa è maggiorein vicinanza dell'angolo di arcobaleno?È una domanda che Teodorico non sipose; la prima risposta la fornì Cartesio.

    Applicando le leggi della riflessione edella rifrazione a ogni punto in cui unraggio colpisce una superficie di separa-zione aria-acqua, Cartesio calcolò co-scienziosamente i cammini di molti raggiincidenti secondo molti parametri di im-patto. I raggi di Classe 3 sono di impor-tanza predominante. Quando il parame-tro di impatto è zero, questi raggi sonodiffusi a un angolo di 180 gradi, cioèvengono diffusi indietro verso il Sole,dopo essere passati attraverso il centrodella goccia ed essere stati riflessi dallaparete opposta. Quando il parametro diimpatto cresce, e i raggi incidenti si spo-stano rispetto al centro della goccia, loangolo di diffusione decresce. Cartesiotrovò comunque che questa tendenza noncontinua con l'aumentare del parametrodi impatto verso il suo valore massimo,al quale il raggio incidente tocca la goc-cia tangenzialmente alla sua superficie.

    L'angolo di diffusione passa inveceper un minimo quando il valore del pa-rametro di impatto è circa sette ottavidel raggio della goccia, e poi aumenta dinuovo. L'angolo di diffusione nel mini-mo è di 138 gradi.

    Per raggi di Classe 4 l'angolo di diffu-sione è zero quando il parametro di im-patto è zero; in altre parole il raggiocentrale viene riflesso due volte e quindicontinua nella sua direzione originale.Quando il parametro di impatto cresce,cresce anche l'angolo di diffusione, maanche qui l'andamento si inverte a uncerto punto, questa volta a 130 gradi. Iraggi di Classe 4 hanno un angolo massi-mo di diffusione di 130 gradi e, quandoil parametro di impatto aumenta ulte-riormente, si piegano di nuovo all'indie-tro verso la direzione di diffusione inavanti.

    Poiché una goccia nella luce solareè illuminata uniformemente, i parame-tri di impatto dei raggi incidenti sono

    uniformemente distribuiti. Ci si aspettaquindi che la concentrazione della lucediffusa sia maggiore nella zona in cuil'angolo di diffusione varia più lenta-mente con le variazioni del parametro diimpatto. In altre parole la luce diffusa èpiù luminosa nelle zone in cui si concen-trano i raggi incidenti provenienti dal piùvasto intervallo di parametri di impatto.Le regioni di variazione minima sonoquelle intorno al massimo e al minimoangolo di diffusione e così si spiegano gliangoli dell'arcobaleno primario e di quel-lo secondario. Inoltre, poiché nessun rag-gio di Classe 3 o di Classe 4 viene diffusonella regione angolare tra 130 e 138 gradi,si spiega la banda scura di Alessandro.

    La teoria di Cartesio appare più chiarase si considera una popolazione immagi-naria di gocce dalle quali la luce viene inqualche modo diffusa con uguale inten-sità in tutte le direzioni. Un cielo pienodi tali gocce sarebbe uniformemente lu-minoso osservato sotto qualsiasi angolo.In un cielo pieno di gocce d'acqua realisi ha a disposizione la stessa illuminazio-ne totale, ma ridistribuita. Gran partedel cielo è più scura di quanto sarebbecon diffusione uniforme, ma in vicinan-za dell'angolo di arcobaleno vi è un arcoluminoso che si assottiglia gradualmentenella parte chiara e più velocemente nella

    CLASSE 4(ARCOBALENOSECONDARIO)

    parte scura. L'arco secondario è una zo-na di massima luce di intensità analoga,salvo che è più stretta e tutte le sue carat-teristiche sono più deboli. Nella teoriacartesiana la regione tra gli archi è sensi-bilmente più scura del cielo circostante:se, però, esistessero solo raggi di Classe3 e di Classe 4 questa regione sarebbe deltutto nera.

    L'arcobaleno cartesiano è un fenome-no particolarmente semplice. La lumino-sità è una funzione della velocità allaquale varia l'angolo di diffusione. L'an-golo stesso è determinato da due soli fat-tori: l'indice di rifrazione, che si assumecostante, e il parametro di impatto, chesi assume uniformemente distribuito. Unfattore che non influisce affatto sull'an-golo di arcobaleno è la dimensione: lageometria di diffusione è la stessa per legoccioline di una nube o per le grossesfere d'acqua usate da Teodorico e daCartesio.

    Fino a questo punto abbiamo ignorato

    I. una delle caratteristiche più evidentidell'arcobaleno: i colori. Questi furonospiegati da Newton, nei suoi esperimenticon i prismi del 1666. Tali esperimentidimostrarono non solo che la luce biancaè una miscela di colori, ma anche chel'indice di rifrazione è differente per ogni

    di raggi che hanno subito due riflessioniinterne. Con ogni riflessione si perde unpo' di luce, e questa è la ragione princi-pale per la quale l'arco secondario è piùdebole dell'arco primario. Teodorico eCartesio notarono anche che lungo ogni

    direzione all'interno dell'intervallo ango-lare corrispondente all'arcobaleno si po-teva vedere, nella luce diffusa dal globo,un solo colore alla volta. Quando l'oc-chio si muoveva in un'altra posizione, inmodo da esplorare altri angoli di diffu-

    CLASSE 1

    Il cammino della luce attraverso una goccia si può determinare applicando le leggi dell'otticageometrica. Ogni volta che il fascio colpisce la superficie, parte della luce viene riflessa e parterifratta. I raggi riflessi direttamente dalla superficie, sono classificati come raggi di Classe 1;quelli trasmessi direttamente attraverso la goccia sono detti di Classe 2. 1 raggi di Classe 3emergono dopo una riflessione interna e danno luogo all'arcobaleno primario. L'arco seconda-rio è costituito dai raggi di Classe 4, che hanno subito due riflessioni interne. Un solo fattoredetermina il valore dell'angolo di diffusione per i raggi di ogni classe, il parametro di impatto,ossia lo spostamento del raggio incidente rispetto all'asse passante per il centro della goccia.

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  • RAGGIO DI ARCOBALENO

    FRONTE D'ONDA INIZIALEDELLA TEORIA DI AIRY

    RAGGIO DI ARCOBALENO

    La confluenza dei raggi diffusi da una goccia dà origine a caustiche (una caustica è l'inviluppodi un sistema di raggi). Particolarmente interessante è la caustica di raggi di Classe 3, dotata didue rami, uno reale e uno «virtuale»; quest'ultimo si ottiene estendendo all'indietro i raggi.Quando il raggio di arcobaleno è prodotto in entrambe le direzioni si avvicina ai rami di questacaustica. Airy ha sviluppato una teoria basata sull'analisi di una caustica di questo tipo. Sceltoun fronte d'onda iniziale, ossia una superficie perpendicolare in ogni punto ai raggi di Classe 3,Airy è riuscito a determinare la distribuzione di ampiezza nelle onde successive. Un puntodebole di questa teoria è la necessità di stimare il valore dell'ampiezza delle onde iniziali.

    < 120 —

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    • 60 CLASSE 4

    RAGGIO DIARCOBALENOSECONDARIO

    /CLASSE 3160 —

    180

    40

    20

    RAGGIO DIARCOBALENOPRIMARIO

    140 —

    BANDA SCURA DI ALESSANDRO

    PARAMETRO DI IMPATTO --> RAGGIO DELLA GOCCIA—i

    ANGOLODI DIFFUSIONE

    DI ARCOBALENORAGGIO

    > A

    > B

    PARAMETRODI IMPATTO •

    t t t

    C

    Si può capire il significato particolare dell'angolo di arcobaleno se siconsidera l'angolo di diffusione come una funzione del parametro diimpatto. Quando il parametro di impatto è zero, l'angolo di diffusio-ne per un raggio di Classe 3 è di 180 gradi; il raggio passa attraverso ilcentro della goccia e viene riflesso dalla superficie opposta diretta-mente indietro verso il Sole. Col crescere del parametro di impattodecresce l'angolo di diffusione, ma si raggiunge infine un angolominimo. Questo raggio di deflessione minima è il raggio di arcobalenonello schema a sinistra; i raggi che hanno parametro di impatto ai duelati di quel valore sono diffusi secondo angoli maggiori. La deflessio-ne minima è di circa 138 gradi, e la più grossa concentrazione di raggidiffusi si trova in prossimità di questo angolo. La crescita di intensitàdella luce diffusa che ne risulta è percepita come arcobaleno primario.L'arco secondario si forma in modo simile, eccetto che l'angolo didiffusione per i raggi di Classe 4 che lo compongono cresce fino ad unmassimo invece di decrescere a un minimo. Il massimo si trova acirca 130 gradi. Nessun raggio di Classe 3 o Classe 4 può raggiungereangoli compresi tra i 130 e i 138 gradi, e così si spiega l'origine dellabanda scura di Alessandro. A sinistra due raggi di Classe 3, con para-metri di impatto dalle due parti del valore di arcobaleno, emergonosecondo lo stesso angolo di diffusione. t nell'interferenza tra raggi diquesto tipo che è stata individuata l'origine degli archi soprannumerari.

    colore, per un effetto detto dispersione.Ne consegue che ogni colore o lunghezzad'onda di luce deve avere il suo angolodi arcobaleno; quello che osserviamo innatura è un insieme di arcobaleni mono-cromatici, ognuno leggermente spostatorispetto al precedente.

    A partire dalle sue misure sull'indicedi rifrazione Newton calcolò che l'ango-lo di arcobaleno è di 137 gradi e 58primi per la luce rossa e di 139 gradi e43 primi per la luce violetta. La diffe-renza tra questi angoli è di un grado e 45primi, che sarebbe la larghezza dell'ar-cobaleno se i raggi della luce solare in-cidente fossero esattamente paralleli. As-sumendo un mezzo grado per il diametroapparente del Sole, Newton ottenne unalarghezza totale di due gradi e 15 primiper l'arco primario. Le sue osservazionisi accordavano con questo risultato.

    Cartesio e Newton furono in grado dispiegare le caratteristiche più appariscen-ti dell'arcobaleno. Spiegarono l'esistenzadi arcobaleni primari e secondari e labanda scura che li separa. Calcolarono leposizioni angolari di queste configura-zioni e descrissero la dispersione dellaluce diffusa in uno spettro. Tutto questofu ottenuto con la sola ottica geometri-ca. La loro teoria aveva però un grandedifetto: non era in grado di spiegare gliarchi soprannumerari. La comprensionedi queste caratteristiche apparentementeminori richiede un'analisi più sofisticatasulla natura della luce.

    Gli archi soprannumerari appaiono nellato interno, o luminoso, dell'arco pri-mario. In questa regione angolare dueraggi diffusi della Classe 3 emergononella stessa direzione; provengono da rag-gi incidenti che hanno parametri di im-

    patto ai due lati del valore di arcobaleno.Così in ogni angolo leggermente più gran-de di quello di arcobaleno la luce diffusainclude raggi che hanno seguito due cam-mini diversi attraverso la goccia. I raggiemergono sulla superficie della goccia inposizioni differenti, ma procedono poinella stessa direzione.

    Ai tempi di Cartesio e di Newton que-sti due contributi alla intensità diffusapotevano essere trattati solo con unasemplice addizione. Ne risulta che l'in-tensità calcolata diminuisce lentamentecon la deviazione dall'angolo di arcoba-leno, senza traccia di archi soprannume-rari. In effetti le intensità dei due ragginon possono essere sommate poiché nonsono sorgenti indipendenti di radiazione.

    L'effetto ottico che determina gli archisoprannumerari fu scoperto nel 1803 daThomas Young, il quale mostrò che la

    luce può dare interferenza, fenomeno cheera già familiare dallo studio delle ondedell'acqua. In qualsiasi mezzo la sovrap-posizione di onde può portare o a unrafforzamento (cresta su cresta) o a unacancellazione (cresta su valle dell'onda).Young dimostrò l'interferenza delle ondeluminose facendo passare un singolo fa-scio di luce monocromatica attraversodue forellini e osservando le «frange»alternativamente chiare e scure che veni-vano prodotte. Fu Young stesso a mette-re in rilievo la pertinenza della sua sco-perta con gli archi soprannumerari del-l'arcobaleno. I due raggi diffusi nellastessa direzione da una goccia di pioggiasono strettamente analoghi alla luce chepassa attraverso i forellini nell'esperimen-to di Young. Ad angoli molto viciniall'angolo di arcobaleno i due camminiattraverso la goccia differiscono legger-mente, e interferiscono così costruttiva-mente. Al crescere dell'angolo i due rag-gi seguono cammini di lunghezza sostan-zialmente differente. Quando la differen-za è uguale a metà lunghezza d'onda,l'interferenza è completamente distrutti-va; ad angoli ancora maggiori i raggitornano a rinforzarsi. Il risultato è unavariazione periodica dell'intensità dellaluce diffusa, ossia una serie di bandealternativamente chiare e scure.

    Poiché gli angoli di diffusione ai qualil'interferenza è costruttiva sono deter-minati dalla differenza tra due lunghezzedi cammino, questi angoli sono influen-zati dal raggio della goccia. La configu-razione degli archi soprannumerari (adifferenza dell'angolo di arcobaleno) di-pende quindi dalla dimensione della goc-cia. La differenza di lunghezza del cam-mino cresce molto più velocemente con ilparametro di impatto nelle gocce grandipiuttosto che nelle piccole. Ne segue chepiù grandi sono le gocce più piccola è laseparazione angolare tra gli archi sopran-numerari. Gli archi si possono distingue-re raramente se le gocce hanno un dia-metro superiore al millimetro. La sovrap-posizione dei colori tende a cancellare gliarchi. La dipendenza degli archi sopran-numerari dalla dimensione spiega perchésono più facili da vedere vicino alla som-mità dell'arco: le gocce di pioggia tendo-no a ingrossarsi mentre cadono.

    Con la teoria dell'interferenza di Youngsi potrebbero spiegare tutte le carat-

    teristiche principali dell'arcobaleno alme-no in modo qualitativo e approssimato.Mancava invece una teoria matematicaquantitativa, capace di prevedere l'inten-sità della luce diffusa in funzione delladimensione della goccia e dell'angolo didiffusione.

    La spiegazione di Young degli archisoprannumerari era basata sulla teoriaondulatoria della luce. Paradossalmentele sue previsioni per l'altra parte dell'ar-cobaleno, la regione della banda scura diAlessandro, non erano coerenti con taleteoria. La teoria dell'interferenza, comele teorie di Cartesio e di Newton, preve-deva in questa regione l'oscurità totale,almeno quando si consideravano solo i

    raggi di Classe 3 e Classe 4. Una transi-zione così brusca, tuttavia, non è possi-bile perché la teoria ondulatoria dellaluce richiede che i confini netti tra luce eombra siano attenuati dalla diffrazione.La manifestazione più familiare della dif-frazione è l'apparente deviazione dellaluce o del suono sul bordo di un ostacoloopaco. Nell'arcobaleno non vi è un osta-colo reale, ma il confine tra l'arco pri-mario e la banda scura dovrebbe mostra-re ugualmente un effetto di diffrazione.Il trattamento della diffrazione è un pro-blema della fisica matematica sottile e didifficile risoluzione e lo sviluppo a cuiandò incontro successivamente la teoriadell'arcobaleno fu stimolato in primoluogo dagli sforzi per risolverlo.

    Nel 1835 Richard Potter dell'Universi-tà di Cambridge mise in rilievo che l'in-crociarsi di vari insiemi di raggi di lucein una goccia dà origine a curve causti-che. Una caustica rappresenta l'invilup-

    po di un sistema di raggi e si associasempre a una zona di massima luce. Unacaustica familiare è la brillante curva aforma di cuspide che si forma in unatazza quando la luce del Sole viene rifles-sa dalle sue pareti interne. Le caustiche,come l'arcobaleno, hanno generalmenteuna parte illuminata e una parte scura;l'intensità aumenta in modo continuofino alla caustica per cadere quindi bru-scamente.

    Potter dimostrò che il raggio dell'ar-cobaleno di Cartesio - il raggio di Classe3 con angolo di diffusione minimo -,può essere considerato come una causti-ca. Tutti gli altri raggi di Classe 3 tra-smessi, quando vengono prolungati al-l'infinito, si avvicinano al raggio di Car-tesio proveniente dalla parte illuminata;non ci sono raggi di questa classe nellaparte scura. Trovare l'intensità della lucediffusa in un arcobaleno è, quindi, unproblema simile a quello di determinare

    9392

  • ARCO PRIMARIO

    ANGOLO DI DIFFUSIONE —>

    BANDA SCURA PRIMO SOPRANNUMERARIO

    In questa figura è comparata per tre teorie dell'arcobaleno l'intensità prevista in funzionedell'angolo di diffusione. Nell'analisi geometrica di Cartesio l'intensità all'angolo di arcobalenoè infinita; decresce lentamente (senza archi soprannumerari) nella pane luminosa, e cade bru-scamente a zero nella parte scura. La teoria di Thomas Young, basata sull'interferenza di ondeluminose, prevede archi soprannumerari ma non elimina la ripida transizione dell'intensità dainfinito a zero. La teoria di Airy situa i picchi nella curva di intensità e per la prima volta dà unaspiegazione (per mezzo della diffrazione) del graduale dissolversi dell'arcobaleno nell'ombra.

    PIANO DI RIFLESSIONE —PERPENDICOLARE

    ACQUA PARALLELA

    ONDAEVANESCENTE

    100RIFLESSIONE TOTALE INTERNA

    90

    80

    70

    60

    50

    40

    PARALLELA30

    20 —

    10PERPENDICOLARE

    10 20 30 40 50 60

    70 80 90ANGOLO DI INCIDENZA (GRADI)

    La polarizzazione dell'arcobaleno risulta dalla riflessione differenziale. Un raggio incidente puòrisolversi in due componenti polarizzate rispettivamente in direzione parallela e in direzioneperpendicolare al piano di riflessione. Per un raggio che si avvicina a un confine aria-acquadall'interno di una goccia, la riflettività della superficie dipende dall'angolo di incidenza. Al dilà di un angolo critico sia la componente perpendicolare che quella parallela sono totalmente ri-flesse, sebbene un po' di luce continui a viaggiare parallelamente alla superificie come «ondaevanescente». Ad angoli minori la componente perpendicolare è riflessa più efficacemente diquella parallela e, a un angolo particolare, l'angolo di Brewster, la luce polarizzata parallelamenteè trasmessa completamente. L'angolo di riflessione interna per il raggio di arcobaleno è vicinoall'angolo di Brewster. La luce dell'arcobaleno ha quindi una forte polarizzazione perpendicolare.

    la distribuzione di intensità nelle vicinan-ze di una caustica.

    Nel 1838 George B. Airy, collega diPotter a Cambridge, tentò di determina-re questa distribuzione. Il suo ragiona-mento era basato su un principio dellapropagazione delle onde formulato nelXVIII secolo da Christiaan Huygens edelaborato in seguito da Augustin JeanFresnel. Secondo questo principio ognipunto di un fronte d'onda è una sorgen-te di onde sferiche secondarie; le ondesecondarie definiscono un nuovo fronted'onda e descrivono di lì in poi la pro-pagazione dell'onda. Ne segue che se siconoscessero le ampiezze delle onde suogni fronte d'onda completo sarebbepossibile ricostruire la distribuzione diampiezza in ogni altro punto. L'interoarcobaleno potrebbe essere descritto ri-gorosamente se conoscessimo la distribu-zione di ampiezza lungo un fronte d'on-da di una singola goccia. Purtroppo soloraramente è possibile determinare la di-stribuzione di ampiezza; tutto quello chedi solito si può fare è una ragionevolestima per un fronte d'onda scelto, nellasperanza che porti a una buona appros-simazione.

    Il fronte d'onda iniziale scelto da Airyè una superficie interna alla goccia, per-pendicolare a tutti i raggi di Classe 3 econ un punto di flesso (un cambiamentonel verso di curvatura) nel punto in cuiinterseca il raggio di arcobaleno di Car-

    tesio. Le ampiezze d'onda lungo questofronte furono stimate attraverso assun-zioni standard della teoria della diffra-zione. Airy fu allora in grado di espri-mere l'intensità della luce diffusa nellaregione dell'arcobaleno in termini di unanuova funzione matematica, conosciutaallora come integrale di arcobaleno, echiamata oggi funzione di Airy. Non ciinteressiamo in questa sede della formamatematica della funzione di Airy; cioccuperemo invece del suo significatofisico.

    La distribuzione di intensità previstadalla funzione di Airy è analoga allafigura di diffrazione che appare nell'om-bra di un bordo diritto. Nella parte lu-minosa dell'arco primario ci sono oscil-lazioni di intensità che corrispondonoagli archi soprannumerari; le posizioni ele ampiezze di questi picchi differisconomolto da quelle previste dalla teoria del-l'interferenza di Young. Un altro puntosignificativo della teoria di Airy è che ilmassimo di intensità dell'arcobaleno ca-de a un angolo un po' maggiore dell'an-golo minimo di diffusione di Cartesio.Le teorie di Cartesio e di Young preve-dono una intensità infinita a questo an-golo (a causa della caustica). Nella teoriadi Airy non si raggiunge in un alcunluogo una intensità infinita e al raggio diarcobaleno di Cartesio l'intensità previ-sta è inferiore a metà del massimo. Infi-ne, nella parte scura dell'arcobaleno ap-

    paiono effetti di diffrazione: l'intensitàsi attenua a poco a poco all'interno dellabanda scura di Alessandro, invece di sva-nire bruscamente.

    I calcoli si riferivano a un arcobalenomonocromatico. Per applicare il suo me-todo a un arcobaleno prodotto dalla lucedel Sole bisogna sovrapporre i modelli diAiry generati dalle varie componenti mo-nocromatiche. Per procedere oltre a de-scrivere l'immagine che si percepisce del-l'arcobaleno è necessaria una teoria dellavisione dei colori.

    La purezza dei colori dell'arcobaleno èdeterminata dall'intensità della sovrap-posizione degli arcobaleni monocromati-ci componenti: questa a sua volta è de-terminata dalla dimensione della goccia.Gocce uniformemente grandi (con dia-metro dell'ordine di pochi millimetri)danno luogo generalmente ad arcobalenibrillanti con colori puri; con gocce moltopiccole (diametro dell'ordine di 0,01 mil-limetri) la sovrapposizione dei colori ècosì grande che la luce risultante apparequasi bianca.

    una proprietà importante della luce,che fino a questo punto abbiamo

    ignorato, è il suo stato di polarizzazione.La luce è un'onda trasversale, ossia unaonda nella quale le oscillazioni sono per-pendicolari alla direzione di propagazio-ne. (Il suono al contrario è una vibrazio-ne longitudinale.) L'orientamento dell'o-scillazione trasversale si può scomporrelungo due assi tra loro perpendicolari.Ogni raggio di luce può essere descrittoin termini di questi due stati indipendentidi polarizzazione lineare. La luce del So-le, che è una miscela incoerente dei duestati in uguali proporzioni, si dice di so-lito polarizzata in modo casuale, o sem-plicemente non polarizzata. La riflessio-ne può alterare il suo stato di polarizza-zione e in questo fatto sta l'importanzadella polarizzazione nei confronti dell'a-nalisi dell'arcobaleno.

    Consideriamo la riflessione di un rag-gio di luce che viaggia all'interno di unagoccia di acqua quando raggiunge la su-perficie della goccia. Il piano di riflessio-ne, ossia il piano che contiene il raggioriflesso e quello incidente, offre un rife-rimento geometrico adeguato. Gli statidi polarizzazione della luce incidente pos-sono essere definiti come paralleli a que-sto piano e perpendicolari a esso. Perentrambi i tipi di polarizzazione la riflet-tività della superficie è bassa ad angoli diincidenza vicini alla perpendicolare e cre-sce molto rapidamente vicino a un ango-lo critico il cui valore è determinato dal-l'indice di rifrazione. Oltre questo ango-lo critico il raggio viene totalmente ri-flesso, indipendentemente dalla polariz-zazione. Ad angoli intermedi, però, la ri-flettività dipende dalla polarizzazione.Quando l'angolo di incidenza decresce,viene riflessa una porzione sempre mag-giore della componente polarizzata per-pendicolarmente. Per la componente pa-rallela, d'altra parte, la riflettività dimi-nuisce prima di incominciare ad aumen-tare. A un angolo in particolare la riflet-

    tività per l'onda polarizzata parallela-mente si annulla del tutto e l'onda vienetotalmente trasmessa. Così, per la lucedel Sole che incide secondo questo ango-lo, il raggio riflesso internamente è com-pletamente polarizzato in direzione per-pendicolare al piano di riflessione. L'an-golo è detto angolo di Brewster, da Da-vid Brewster che ne studiò il significatonel 1815.

    La luce dell'arcobaleno è quasi com-pletamente polarizzata, come si può ve-dere guardando attraverso occhiali Pola-roid e ruotando le lenti intorno alla lineavisuale. La forte polarizzazione derivada una coincidenza notevole: l'angolointerno di incidenza per il raggio di arco-baleno è molto vicino all'angolo di Brew-ster. Gran parte della componente paral-lela sfugge nei raggi trasmessi di Classe2, lasciando nell'arcobaleno una prepon-deranza di raggi perpendicolari.

    T a comprensione del fatto che materiae radiazione possono entrambe com-

    portarsi come onde ha fatto sì che siestendesse la sfera di applicazione dellateoria dell'arcobaleno. Questa teoria com-prende ora nuovi invisibili arcobaleniche si producono nella diffusione atomi-ca e nucleare.

    Un'analogia tra l'ottica geometrica ela meccanica classica delle particelle eragià stata percepita nel 1831 dal matema-tico irlandese William Rowan Hamilton.L'analogo dei raggi di luce nell'otticageometrica sono le traiettorie delle parti-celle, e il flettersi di un raggio di lucenell'entrare in un mezzo con un indice dirifrazione differente corrisponde alla de-flessioné di una particella in movimentosotto l'azione di una forza. Situazionianaloghe alla diffusione di particelle esi-stono in ottica per molti effetti, inclusol'arcobaleno.

    Si consideri una collisione fra due ato-mi di un gas. Quando gli atomi si avvi-cinano da una separazione iniziale gran-de, sono dapprima soggetti a un'attra-zione che cresce in modo costante. Auna distanza minore, tuttavia, i guscielettronici degli atomi cominciano a in-tersecarsi tra loro e la forza attrattiva di-minuisce. A una distanza molto ravvici-nata tale forza diventa una repulsionecon intensità crescente.

    Come nell'esperimento ottico, la dif-fusione atomica può essere analizzatatracciando le traiettorie degli atomi infunzione del parametro di impatto. Poi-ché le forze variano gradualmente e inmodo continuo, gli atomi seguono traiet-torie curve invece di cambiare direzionebruscamente, come al confine fra mezzidi differente indice di rifrazione. Anchese alcune delle traiettorie sono abbastan-za complicate, ogni parametro di impat-to corrisponde a un singolo angolo dideflessione; inoltre esiste una traiettoriache rappresenta un massimo locale delladeflessione angolare. La traiettoria risul-ta essere quella che sfrutta più efficace-mente la forza attrattiva fra gli atomi.Vicino a questo angolo ci si aspetta unaforte concentrazione di particelle diffuse;

    si tratta dell'angolo di arcobaleno per gliatomi interagenti.

    Una trattazione degli arcobaleni ato-mici e nucleari dal punto di vista dellameccanica ondulatoria fu dato nel 1959da Kenneth W. Ford della Brandeis Uni-versity e da John A. Wheeler della Prin-ceton University. L'interferenza di traiet-torie che emergono nella stessa direzionedà luogo a picchi di intensità soprannu-

    merari. Si è anche trovato una teoriadella diffusione delle particelle analoga aquella di Airy.

    Un arcobaleno atomico fu osservatoper la prima volta nel 1964 da E. Hund-hausen e H. Pauly dell'Università di Bonn,nella diffusione di atomi di sodio da par-te di atomi di mercurio. Fu rivelato ilpicco principale dell'arcobaleno e duepicchi soprannumerari; in esperimenti più

    9697

  • La diffusione di atomi da parte di altri atomi crea un arcobaleno particolare. Il ruolo che nelladiffusione ottica è giocato dall'indice di rifrazione spetta in questo caso alle forze interatomiche.La differenza principale è che ora le forze variano lentamente e continuamente, cosicché gliatomi seguono traiettorie curve. Quando un atomo si avvicina a un altro la forza tra i due è daprincipio una forza d'attrazione crescente in modo continuo (ombreggiatura colorata), ma a unadistanza minore diviene una forza fortemente repulsiva (ombreggiatura grigia). Un mas-simo locale nell'angolo di diffusione corrisponde all'angolo ottico di arcobaleno. Si trattadell'angolo della traiettoria che utilizza in modo più efficiente la parte attrattiva del potenziale.

    5

    10 15 20 25

    30

    35ANGOLO DI DIFFUSIONE (GRADI)

    L'arcobaleno atomico fu rivelato da E. Hundhausen e H. Pauly dell'Università di Bonn nelladiffusione di atomi di sodio da parte di atomi di mercurio. Le oscillazioni nel numero di atomidiffusi corrispondono all'arcobaleno primario e a due picchi soprannumerari. Un arcobaleno diquesto tipo fornisce informazioni sulla intensità e sul raggio di azione delle forze interatomiche.

    TRAIETTORIADI ARCOBALENO

    ANGOLODI ARCOBALENO

    ONDADI SUPERFICIERAGGIO INCIDENTE

    A

    RAGGIOTANGENTE

    PARAMETRODI IMPATTOUGUALEAL RAGGIODELLA GOCCIA

    ONDADI SUPERFICIE

    La teoria del momento angolare complesso inizia con l'osservare che un fotone incidente su unagoccia con un certo parametro di impatto (che non si può definire esattamente) trasportaun momento angolare. In questa teoria le componenti del momento angolare assumonoanche valori complessi, ossia valori contenenti la radice quadrata di —1. Si possono illustrare leconseguenze di questa procedura con un raggio che colpisce una goccia tangenzialmente. Il rag-gio stimola onde di superficie che viaggiano intorno alla goccia ed emettono continuamente ra-diazione. Il raggio può anche penetrare nella goccia secondo l'angolo critico per la riflessioneinterna totale, emergendo per formare un'altra onda superficiale o per ripetere la scorciatoia.

    recenti sono state osservate oscillazioniin scala ancora più piccola. Gli arcobale-ni misurati in questi esperimenti dannoinformazioni sulle forze interatomiche.Proprio come l'angolo di arcobaleno ot-tico dipende solamente dall'indice di ri-frazione, l'angolo di arcobaleno atomicoè determinato dalla forza della parte at-trattiva dell'interazione. Similmente leposizioni dei picchi soprannumerari di-pendono dalla dimensione, e fornisconoinformazioni sul campo d'interazione.Osservazioni dello stesso tipo sono orastate fatte per i fenomeni di diffusione dinuclei atomici.

    T a teoria dell'arcobaleno di Airy haavuto molti successi ma contiene un

    elemento fastidioso: la necessità di fareipotesi sulla distribuzione di ampiezzalungo un fronte d'onda iniziale prestabi-lito. Le assunzioni impiegate in questacongettura sono plausibili solo per goccedi pioggia piuttosto grosse. In questocontesto la dimensione si può esprimeremeglio in termini di «parametro di misu-ra» definito come il rapporto fra la cir-conferenza della goccia e la lunghezzad'onda della luce. Il parametro di misuravaria da circa 100 nella nebbia e nellapioggia leggera fino ad alcune centinaiaper grosse gocce di pioggia. L'approssi-mazione di Airy è plausibile solo pergocce con un parametro di misura mag-giore di 5000 circa.

    È singolare il fatto che un problemadifficile come quello dell'arcobaleno ab-bia in effetti una soluzione esatta e co-nosciuta da molti anni. Quando circacento anni fa la teoria elettromagneticadella luce fu proposta da James ClerkMaxwell, divenne possibile dare una for-mulazione matematica precisa al proble-ma ottico dell'arcobaleno. Si trattava dicalcolare la diffusione di un'onda pianaelettromagnetica da parte di una sferaomogenea. La soluzione di un problemasimile, solo leggermente più facile, ossiala diffusione di onde sonore da parte diuna sfera, era stata discussa da diversiricercatori, in particolare da Lord Ray-leigh, nel XIX secolo. La soluzione cheottennero consisteva in una serie infinitadi termini, detti onde parziali. Una solu-zione della stessa forma fu trovata per ilproblema elettromagnetico da Gustav Miee Peter J.W. Debye nel 1908.

    Supposta l'esistenza di una soluzioneesatta al problema della diffusione, puòsembrare facile compito il determinaretutte le sue caratteristiche, incluso il ca-rattere specifico dell'arcobaleno. Il pro-blema, ovviamente, è di sommare la se-rie di onde parziali, ogni termine dellaquale è una funzione piuttosto complica-ta. Per avere una soluzione approssimatasi può interrompere la serie, ma questoprocedimento è utile solo in certi casi. Ilnumero di termini che bisogna conserva-re è dello stesso ordine di grandezza delparametro di misura. La serie di ondeparziali è perciò particolarmente adattaal trattamento della diffusione di Ray-leigh, che è responsabile del colore bludel cielo; in questo caso le particelle

    diffuse sono molecole e sono molto piùpiccole della lunghezza d'onda, cosicchéè sufficiente un solo termine della serie.Per il problema dell'arcobaleno bisognaprendere in considerazione parametri dimisura che arrivano a molte migliaia.Una buona approssimazione alla soluzio-ne con il metodo delle onde parziali ri-chiederebbe la valutazione della sommadi parecchie migliaia di termini compli-cati. A questo scopo sono stati adoperatii calcolatori, ma i risultati sono funzionirapidamente variabili del parametro dimisura e dell'angolo di diffusione, cosic-ché i costi e il lavoro finiscono per div-ventare proibitivi. Inoltre un calcolatorepuò solo calcolare soluzioni numeriche;non è in grado di aiutare a comprenderela fisica dell'arcobaleno. Siamo quindinella situazione imbarazzante di conosce-re una forma della soluzione esatta e diessere però incapaci di estrarre da questaun modo per comprendere i fenomeniche descrive.

    primi passi verso la soluzione di que-sto paradosso furono fatti nei primi

    anni del XX secolo dai matematici Hen-ry Poincaré e G.N. Watson. Essi trova-rono un metodo per trasformare la seriedi onde parziali, che converge solo moltolentamente a un valore stabile, in una e-spressione rapidamente convergente. Latecnica è conosciuta come trasformazio-ne di Watson o come metodo del mo-mento angolare complesso. Non è diffi-cile capire perché il momento angolareabbia a che fare con il problema dell'ar-cobaleno, anche se è meno ovvio perchésia necessario considerare valori «com-plessi» del momento angolare. La spie-gazione è più semplice nella teoria cor-puscolare della luce, nella quale un rag-gio di luce è considerato un fascio diparticelle dette fotoni. Pur non avendomassa, il fotone trasporta energia e mo-mento inversamente proporzionali allalunghezza d'onda della corrispondenteonda di luce. Un fotone che colpisce unagoccia d'acqua con un parametro di im-patto maggiore di zero trasporta un mo-mento angolare uguale al prodotto delsuo momento lineare e del parametro diimpatto. Poiché il fotone subisce unaserie di riflessioni interne, descrive inpratica un'orbita intorno al centro dellagoccia. La meccanica quantistica ponedelle condizioni restrittive a questo pro-cesso. Da un lato richiede che il momen-to angolare assuma solo determinati va-lori discreti, dall'altro nega che il pa-rametro di impatto possa essere esatta-mente determinato. Ogni valore discretodel momento angolare corrisponde a untermine della serie di onde parziali.

    Per operare la trasformazione di Wat-son bisogna introdurre dei valori del mo-mento angolare che di solito sono consi-derati come «non fisici». Per prima cosabisogna far variare il momento angolarein modo continuo, invece che per unitàquantizzate; più importante è però chepossa variare su un intervallo di valoricomplessi: quelli che includono una com-ponente reale e una immaginaria, che

    contiene cioè multipli della radice qua-drata di —1. Il piano definito da questedue componenti è detto piano del mo-mento angolare complesso.

    Dalle astrazioni matematiche del meto-do del momento angolare complesso siricavano molti vantaggi. In particolare,dopo il passaggio al piano del momentoangolare complesso attraverso la trasfor-mazione di Watson, i contributi alla seriedi onde parziali possono essere ridistri-buiti. Invece che con molti termini si puòlavorare con pochi punti soltanto, dettipoli e punti di sella nel piano del momen-to angolare complesso. Negli ultimi annii poli sono stati al centro di un grandeinteresse teorico nella fisica delle parti-celle elementari. In questo contesto sonousualmente chiamati poli di Regge, dalnome del fisico italiano Tullio Regge.

    sia i poli che i punti di sella hanno

    interpretazioni fisiche nel problemadell'arcobaleno. Contributi dei punti disella reali sono associati con i normaliraggi di luce reali che abbiamo conside-rato nel corso di questo articolo. Cosaavviene con i punti di sella complessi?Numeri immaginari o complessi sono disolito considerati soluzioni non fisicheper una equazione, ma non sono solu-zioni prive di significato. Quando si de-scrive la propagazione delle onde, di so-lito si associano delle componenti imma-ginarie allo smorzamento dell'ampiezzadell'onda. Ad esempio, nella riflessioneinterna totale di un raggio di luce a unconfine acqua-aria, un'onda di luce pas-

    sa effettivamente «attraverso lo spec-chio». La sua ampiezza si smorza peròrapidamente, cosicché l'intensità diventatrascurabile entro una profondità dell'or-dine di una singola lunghezza d'onda.Una tale onda non si propaga nell'aria;si appoggia invece all'interfaccia tra ac-qua e aria viaggiando lungo la superficie,ed è detta onda evanescente. La descri-zione matematica dell'onda evanescenteinclude le componenti immaginarie diuna soluzione. L'effetto tunnel, nel qua-le una particella passa attraverso unabarriera di potenziale senza risalirla, hauna base matematica simile. I «raggicomplessi» appaiono anche nella parte diombra di una caustica, dove descrivonol'ampiezza smorzata delle onde luminosediffratte.

    I contributi dei poli di Regge alla seriedi onde parziali trasformate sono asso-ciati con onde superficiali di un altrotipo. Queste onde sono eccitate da raggiincidenti che colpiscono la sfera tangen-zialmente. Quando un'onda di questotipo prende avvio, viaggia intorno allasfera ma è continuamente smorzata poi-ché diffonde radiazione tangenzialmente,come un innaffiatoio. A ogni punto lun-go il cammino circonferenziale penetraanche nella sfera secondo l'angolo criti-co per la riflessione interna totale, rie-mergendo come onda di superficie dopoaver preso una o più di queste scorcia-toie. È interessante notare che GiovanniKeplero nel 1584 fece l'ipotesi che raggidi questo tipo potessero essere alla basedell'arcobaleno, ma abbandonò l'idea

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