Karpòs Magazine - Alimentazione e stili di vita - n. 1 - Maggio 2012

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1 ALIMENTAZIONE FRAGOLE ITALIANE TUTTO L’ANNO STILI DI VITA HOLLYWOOD: IL TEMPO DELLE MELE AMBIENTE E PAESAGGIO CINA MERIDIONALE: GUANGXI OLTRE LA CRISI ALIMENTAZIONE E STILI DI VITA Anno I - N° 1 Maggio 2012 - Sped. in Abb. Post. - D.L. 353/2003 conv. L. 46/2004, art. 1, Comma 1, DCB Bologna Supplemento mensile da vendersi esclusivamente in abbinamento al numero odierno di - Poligrafici Editoriale SpA - Via Enrico Maei 106 - 40138 Bologna - Mensile € 2,90 + prezzo del quotidiano

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Mensile - n. 1 - Maggio 2012 - Supplemento a QN, Il Resto del Carlino, La Nazione e Il Giorno. Dall'editoriale "Con Karpòs vogliamo raccontare i buoni frutti della terra che funzionano da base per lo sviluppo della nostra società. Non ci interessa ripetere una delle tante museificazioni dell’agricoltura, oggi di moda, che sono quasi sempre per partito preso contro ogni modernizzazione, contro l’efficienza produttiva e spesso persino contro la scienza. Con Karpòs vogliamo raccontare la vera agricoltura, quella che produce per tutti, quella che dialoga con la società di mercato, quella che fa funzionare le Università e la Ricerca. Insomma l’Agricoltura che attraversa la nostra vita reale."

Transcript of Karpòs Magazine - Alimentazione e stili di vita - n. 1 - Maggio 2012

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alimentazionefragole italiane

tutto l’annostili di vita

hollywood: il tempo delle meleambiente e paesaggio

cina meridionale:guangxi

oltre la crisi

Karpòsalimentazione e stili di vita

Mille allevatori, 60mila mucche italiane.La passione per il latte la alleviamo ogni giorno.

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Lavoriamo per creare soluzioni concrete a supporto di un’agricoltura sostenibile. Rispondiamo a questa sfi da con l’innovazione: di prodotto, di processo, di servizio. E con un nuovo modo di pensare e di agire. Siamo orgogliosi di offrire all’agricoltore soluzioni globali, oltre la protezione in campo, per promuovere il successo dell’agricoltura di oggi e di domani.

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la profondità dei contenuti con un magazine finalmente all’altezza degli standard editoriali di una società che sta premiando il valore regolativo delle immagini e di un modo spettaco-lare di raccontare gli effetti del cibo nell’avventura umana che, ricordia-molo, è fatta anche di desideri, sogni e bellezza.

Per condividere mese dopo mese con i nostri lettori questa nuova idea

di agricoltura abbiamo raccolto in una rete d’intelligen-ze il meglio che cultura e ricerca del settore possano presentare in Italia. La qualità di una rivista la certifica-no soprattutto i contenuti, e i contenuti dipendono dalla serietà e dallo spessore di chi li crea.

Queste grandi personalità della nostra cultura alimentare verranno coadiuvate da giornalisti di vari set-tori che fungeranno da cerniera tra aspetti problematici, scenari settoriali e informazioni di prodotto del com-parto alimentare con gli aspetti del lifestyle che oggi fanno da sfondo ad ogni discorso che ambisca ad essere riconosciuto come pertinente all’interesse del lettore.

Con la collaborazione dei migliori esperti in circola-zione, con un linguaggio semplice ma non banale e con interventi di diversa tipologia vogliamo dunque comuni-care in modo innovativo la vera agricoltura italiana.

In tal modo pensiamo di colmare l’abisso esistente tra il lettore - consumatore e il mondo della ricerca e della produzione.

Oggi si parla tanto di sostenibilità economica, ambientale e sociale. Soprattutto il settore agroalimen-tare sembra implicato in contenuti problematici propri di questo concetto. Ma chi definisce cosa è sostenibile oppure no? Con che metro misura le proprie profezie? Quali sono le conoscenze di base per la consapevolezza delle decisioni che ogni singola persona può prendere? Come giudicare lo stato dell’informazione sui nostri prodotti alimentari? Come vengono prese le decisioni politiche sull’alimentazione della gente?

Karpòs intende mettere a fuoco informazioni, dati, ricerche, dibattiti, opinioni per innalzare lo standard dei saperi che dobbiamo orchestrare per il genere di decisioni che sappiamo essere il futuro di una società complessa.

01E d i t o r i a l ER e n z o a n g e l i n i

CONOSCERECOMUNICAREINNOVARERenzo AngeliniDirettore editoriale

EditorialEdDi ciò che mangiamo, dal punto di vista nutrizionale e sul come lo produciamo, tutti sappiamo qualcosa. Ma possiamo accontentarci di informazioni casuali o domi-nate dal pressappochismo, su uno degli aspetti decisivi della nostra vita e dell’economia? Negli ultimi anni sono aumentate le occasioni per informarsi praticamente su tutto. Questa ondata di informazioni ha coin-volto anche tutto ciò che normalmente ascriviamo al cibo. Ma la diffusione in gran quantità di piccoli, confusi pseudo saperi non ha mai risolto nessun pro-blema, non è mai stata di alcun aiuto al lettore e nemmeno ha fatto la fortuna delle aziende produttrici.

I buoni frutti della terra, il cibo, la nostra salute meritano più attenzioni e razionalità. Non ci sono solo i filosofi oggi, per ricordarci che noi siamo, in qualche modo, quello che mangiamo. Medici, sociolo-gi, esperti nutrizionisti, dietologi tutti reclamano la no-stra attenzione. Tuttavia è molto diffusa la percezione che non ne sappiamo abbastanza. Soprattutto manca nel consumatore una adeguata conoscenza della filiera produttiva e dell’integrazione delle conoscenze che trasformano i prodotti alimentari in cultura materiale ovvero in comportamenti coscienti e condivisi.

Infatti mediamente la gente ha una immagine distorta dell’agricoltura e non presta grande attenzio-ne alla qualità delle decisioni che vengono prese in ambito agroalimentare.

Noi riteniamo che questo dipenda da un modo di comunicare frammentario e troppo tecnico, incapace di creare valore in termini di attenzione e conoscenza diffusa presso il pubblico.

Con Karpòs vogliamo raccontare i buoni frutti della terra che funzionano da base per lo sviluppo della nostra società. Non ci interessa ripetere una delle tante museificazioni dell’agricoltura, oggi di moda, che sono quasi sempre per partito preso contro ogni mo-dernizzazione, contro l’efficienza produttiva e spesso persino contro la scienza.

Con Karpòs vogliamo raccontare la vera agricol-tura, quella che produce per tutti, quella che dialoga con la società di mercato, quella che fa funzionare le Università e la Ricerca. Insomma l’Agricoltura che attraversa la nostra vita reale.

Non ci interessa solo sottolinearne i valori eco-nomici e sociali. Vogliamo mostrarne la bellezza e

@diffusione onlineKarpòs Magazine viene

inviato a una community di oltre 110.000 stakeholder della filiera agroalimentare,

tra cui Università, istituzioni, industrie, fornitori di mezzi

tecnici e servizi, associazioni, produttori e tecnici.

1EditorialE

renzo angelini Conoscere, Comunicare, Innovare

38alimEntazionE E salutEmariangela rondanelliUn buon bicchiere di vino fa bene al cuore e non solo

12CostumE E stili di vita

lamberto CantoniRural Style un po’ gentlemen

campagnoli e un po’ pionieri

5soliloqui

antonio PascaleC’era una volta l’agricoltura bucolica...

42alimEntazionE E salutEmarialaura Bonaccio, Giovanni de GaetanoCrisi economica e dieta mediterranea

6stili di vita

marco spagnoliA Hollywood è il tempo delle mele

32alimEntazionE E salutEGiovanni BallariniCi sarà carne per tutti?

48alimEntazionE E salutE antonio PrimiceriPizza e vegetali: un matrimonio salutare

Karpòs Magazinen. 1 • Maggio 2012

21EConomia E Consumi

dario CasatiEconomia reale e agricoltura per uscire dal tunnel

stili di vitalorenzo Barbieri

Agricoltura 2.0 Un gioco da ragazzi?

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24informazionE & disinformazionE

roberto della CasaTanto clamore per nulla

53Cultura E soCiEtàroberta filippiBuon appetito: l’alimentazione in tutti i sensi

54aGriColtura oGGivitangelo magnificoPomodoro: dall’industria alla tavola... con la Cina al galoppo

62aGriColtura oGGiCarlo fideghelliPere: un record tutto italiano

direttore Editoriale Renzo Angelini

direttore responsabileGiancarlo Roversi

CondirettoreLamberto Cantoni

Testata in corsodi registrazione presso il Tribunale di Forlì

Data di deposito in Cancelleria 10/04/2012 Proprietario ed Editore

della testataKarpòs Srl

Via Zara 53 - 47042 Cesenatico (FC)

CF 04008690408 - REA 325872redazione

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in generale, quanto espresso dai singoli autori non comportano alcuna responsabilità da parte

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70aGriColtura oGGi

Walther faedi, Gianluca BaruzziFragole italiane tutto l’anno

78alimEntazionE E salutE

Giovanni lercker, silver Giorgini Freschi o surgelati? Qui non sta il dilemma

86Cultura E soCiEtà

attilio scienzaIl lungo percorso del vino

100amBiEntE ruralE E PaEsaGGio

davide PapottiLa bassa ferrarese: quando l’orizzonte

si fonde con la pianura

108amBiEntE ruralE E PaEsaGGiorenzo angeliniGuangxi, nella Cina meridionale un mosaico di campi, attività e rituali antichi

118amBiEntE E PaEsaGGiomichele PisanteDifendere il territorio per difendere la nostra vita

124artE E naturalamberto CantoniDi cielo e di terra. La grande pianura padana

136CalEidosCoPioCon i piedi per terra

137alimEntazionE oGGialberto marcomini, luca olivanElogio del formaggio

144CalEidosCoPio

CovEr story antonio Bramclet

Cavit il futuro del vino è adesso

Comitato sCiEntifiCogiovanni BallariniPresidente Accademia Italiana della CucinaPaolo BalsariDEIAFA, Università degli Studi di TorinoCav. Paolo Bruni Presidente Cogeca (Confederazione Cooperative Agroalimentari Europee)ettore Capri Istituto di Chimica Agraria ed Ambientale Università Cattolica del Sacro Cuore (PC)luigi CaricatoTeatro NaturaleDario Casati Prorettore Vicario Università degli Studi di MilanoFederico Castellucci Direttore Generale Organizzazione Internazionale della Vigna e del Vino (OIV)on. Paolo De Castro Presidente Commissione Agricoltura e Sviluppo Rurale del Parlamento EuropeoRoberto Della Casa Università degli Studi di Bologna, Polo di Forlìambrogio De Ponti Presidente UnaproaCarlo Fideghelli CRA - FRU (Centro di Ricerca per la Frutticoltura, Roma)Maurizio gardini Presidente Fedagri-ConfcooperativeMaria lodovica gullino Centro Agroinnova, Università degli Studi di Torinogiovanni lercker Dipartimento di Scienze degli Alimenti, Università degli Studi di BolognaVitangelo Magnifico Già Direttore Centro di Ricerca per l’Orticoltura, Pontecagnano (NA)alberto Marcomini Scrittore e Giornalistaornella MelogliIstituto Ricovero e Cura a Carattere Scientifico, San Raffaele, MilanoWalter PasiniDirettore Centro Travel Medicine and Global Healthantonio PascaleScrittoreMichele PisanteAgronomia e Coltivazioni Erbacee, Università degli Studi di Teramogianfranco Piva Università Cattolica del Sacro Cuore (PC)Francesco Salamini Fondazione Edmund Mach, San Michele all’Adige (TN )Mons. Prof. Marcelo Sànchez Sorondo Cancelliere Pontificia Accademia delle ScienzeSilviero Sansavini DCA – Dipartimento di Colture Arboree, Università degli Studi di Bolognaattilio Scienza Di.Pro.Ve. Dipartimento di Produzione Vegetale Università degli Studi di MilanoDaniele Tirelli IULM - Libera Università di Lingue e Comunicazione, Milanoluciano Trentini Vicepresidente AREFLH (Associazione delle Regioni Europee Ortofrutticole)

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142antEPrima Nel prossimo numero

uDa oltre 90 anni, i trattori del Gruppo Fiat cambiano in meglio l’agricoltura inItalia e nel mondo, mettendo nelle mani di chi lavora e ama la terra tecnologieefficaci e sempre innovative, grande solidità e affidabilità, vero valore. Dal Fiatmodello 702 del 1918 fino alle serie New Holland T7, T8 e T9 con motori Tier 4 ECOBlue™ SCR, la passione per la qualità di generazioni di progettisti,operai, concessionari e tecnici ha coinvolto e convinto milioni di fedeli clienti.E la storia continua.

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05S o l i l o q u ia n T o n i o Pa S C a l e

soliloquiuC’ERA UNA VOLTA L’AGRICOLTURA BUCOLICA...ANTONIO PASCALEScrittore

Una mattina, accompagnando i miei figli a scuola (11 e 13 anni),

ho notato che i ragazzi parlavano con estrema competenza dei

telefonini. Discettavano sulle nuove applicazioni e sapevano

effettuare comparazioni tra cellulari di ultima generazione e

quelli di appena un mese fa. in classe, invece, è capitato che una

dietologa tenesse una lezione sull’agricoltura e sull’alimentazione. la sua tesi era semplice: bisognava consumare solo prodotti biologici,

perché naturale è sano, artificiale è malsano, e per salvare il mondo, è necessario comprare prodotti a

chilometro zero. Fuori la classe, c’era la modernità, con il suo dinamismo e le sue contraddizioni, dentro la

scuola, vigeva l’immagine di un’agricoltura fortemente idealizzata. Come mai? Probabilmente

perché è cambiata molto e in breve tempo, così non ricordiamo com’era, solo 50,60 anni fa. abbiamo rimosso quel modo di fare agricoltura, forse perché ad essa erano legati troppi brutti e dolorosi ricordi.

ogni rimozione genera un’idealizzazione e per questo, oggi, l’agricoltura è raccontata

con immagini così semplici e ingenue: contadini felici che vivevano nella più completa armonia con la natura, contenti al tramonto sotto una quercia. in verità viviamo in una società complessa e l’agricoltura non sfugge a questa regola. Sarebbe bello se i miei figli parlassero di agricoltura con la stessa competenza con cui discettano di cellulari. Di sicuro avremmo opinioni più serie e riusciremo pertanto a compiere, nel futuro, scelte coraggiose, all’altezza dei tempi e dei problemi che ci aspettano. ◆

ieva Longoria protagonista

dello show aBC Disney ‘Desperate

Housewife’

Se Monica Bellucci ha interpretato il per-sonaggio che avrebbe ispirato i fratelli Grimm nell’omonimo e visionario film con il compianto He-ath Ledger e Matt Damon diretto da Terry Gilliam, anche Sigourney Weaver si era confrontata con lo stesso ruolo nell’horror fantasy Biancaneve e la foresta nera. La lista, però, continua: Miranda Ri-chardson, l’ex Bond Girl Diana Rigg e Dianne Wiest si sono tutte confrontate con un ruolo che è stato interpretato recentemente dall’attrice Lana Par-rilla nella serie televisiva C’era una volta prodotta anche questa dalla Disney e in televisione proprio nei primi mesi del 2012. Segno evidente anche que-sto di una “fiammata di ritorno” delle fiabe, seppu-re portate sullo schermo da autori di talento come Tarsem Singh, che scelgono la star del nuovo 90210 Lily Collins oppure la Kristen Stewart di twilight per quello di Biancaneve. Ma qual è il fascino di interpre-tare un personaggio come la regina cattiva che si tra-sforma in una maga nel ventunesimo secolo? Monica Bellucci insiste sul fatto che le attrici sentono come molto vicino il significato ultimo di questa fiaba “La

A Hollywoodè il tempo delle meleNella Mecca del cinema è tornato il tempo delle mele

cinematografiche: una stagione di raccolto che durerà dodici mesi e che si annuncia estremamente ricco e pieno di frutti,

nonché di piacevoli sorprese per il pubblico.

Stili di vitAMarco SpagnoliGiornalista e critico cinematografico

iIncendiati dal rosso della passione e della magia, i pomi sono i grandi protagonisti di una serie di pro-duzioni dal grande impatto sugli spettatori di tutto il mondo visto che Biancaneve, la celebre favola dei fratelli Grimm, sublimata nel 1937 dall’indimentica-bile cartone animato di Walt Disney torna sul grande schermo con un duplice confronto tra dive diver-sissime tra loro impegnate, però, a interpretare in maniera nuova la storia della mela stregata e della regina cattiva. Un personaggio indimenticabile e una donna estremamente affascinante interpretata in Biancaneve (Mirror, Mirror) da Julia Roberts e in snow White and the Huntsman da Charlize Theron.

Uno scontro di Star impreziosito da effetti spe-ciali in grado di raccontare al meglio il mondo fatato e rurale dei fratelli Grimm che gira intorno alle mele e in particolare a quella “mela stregata” che da oltre settanta anni affascina i bambini di tutte le età cresciuti con il capolavoro disneyano.

Del resto il ruolo della regina cattiva che si trasforma in strega è sempre stato di grande appeal per le attrici di tutti i tempi.

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strega di Biancaneve è una metafora perfetta per la donna di oggi che fa di tutto per restare giovane.” Spiega “Chi tiene così tanto alla propria immagine soffre tantissimo quando questa viene meno. Non c’è, infatti, più alcuna differenza tra l’apparenza e la persona. Quando la prima viene distrutta anche l’altra muore con lei. è un messaggio importante per tutti, ma soprattutto un avvertimento rilevante per noi che facciamo questo lavoro: le prime vere vittime della vanità. Quella di dare troppa impor-tanza alla nostra immagine è una trappola in cui possiamo cadere tutti quanti....“ Come nella Bibbia e nel mito di Adamo ed Eva, la mela rappresenta qualcosa di più di un semplice frutto.

Ed è così dunque che, in entrambi i film, come

nella serie televisiva, le mele fanno bella mostra di loro diventando protagoniste silenziose di una storia che il pubblico conosce bene. L’utilizzo delle mele, poi, trascende l’elemento strettamente cine-matografico. Per promuovere l’anteprima europea del pilot della serie C’era una volta, ad esempio, all’ultimo RomaFictionFest, Walt Disney Televi-sion Italia ha distribuito a tutti gli spettatori diversi cestini di mele con, al posto del bollino, il marchio del nuovo show che in America è già diventato un enorme successo. Non certamente un caso, visto la passione del pubblico per le fiabe, ma anche per un simbolo, come sapeva bene il fondatore di Apple, steve Jobs, di perfezione, bontà, semplicità e purezza che, per esigenze di marketing, può essere ‘ribaltato’ e

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Kirsten Stewart, sexy protagonista della saga “twilight” in due pose: l’attrice è Biancaneve nel film in uscita la prossima estate Snow White & the Huntsman. Felicity Huffman anche lei posa come ‘Casalinga disperata’ con tanto di frutto del peccato

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trasformato in un ‘icona di sensualità e desiderio come nel caso delle Casalinghe disperate, i cui più celebri manifesti di qualche anno fa, la settima, infatti, sarà la loro ultima stagione si erano fatte ritrarre con tanto di mele in mano per la loro più intrigante e riuscita campagna pubblicitaria. Mele e bellezza, un binomio che, come indicato da Monica Bellucci, si propone al pubblico in maniera nuova facendo, però, appello ad un sentimento ancestrale che da Adamo ed Eva passando per Paride e il pomo da consegnare alla dea più bella fino ad arrivare ai fratelli Grimm ha ancora un’enorme presa sul pubblico. Hollywood lo sa ed è, dunque, normale il suo scegliere “dee mortali” ovvero sex symbol come Charlize Theron, Julia Roberts ed

Eva Longoria per conquistare le sale cinematografi-che di tutto il modo.

Sensualità e bellezza, però, non sono le uniche qualità che Hollywood associa alle mele stregate o meno che siano. In una notte all’opera i Fratelli Marx, che per anni avevano girato gli Stati Uniti con i loro spettacoli e avevano un rapporto ‘viscerale’ con gli spettatori, avevano immesso una delle loro battute preferite nella sceneggiatura. Quando, infatti, il tenore Lassparri si lamenta perché qualcuno gli ha tirato addosso un torso di mela durante la sua non riuscita esibizione, Groucho Marx risponde “Beh, i cocomeri sono fuori stagione…” Come dire? Le mele a Hollywo-od sono sempre ‘in agguato’…

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Charlize theron e Monica Bellucci hanno entrambe dato la mela stregata a Biancaneve in due film molto diversi tra loro. le due attrici fanno ripensare al personaggio della strega cattiva in maniera molto meno ‘ostile’ che in passato.

dl’evoluzione e il successo

dell’abbigliamento in qualche modo collegato

alle attività lavorative e ricreative en plein air,

negli ultimi anni ha lasciato al palo

di partenza il look formale dell’elegantone.

Anche se il dandy e la trasgressiva eleganza metropolitana rimangono

i più fotografati e gossipati, il mercato sta premiando i look nati dall’evoluzione

degli abiti creati per la vita campagnola e sportiva. Solo una conseguenza

della stagnante crisi economica o un mutamento

di lunga durata legato ad un diverso concetto

di eleganza?

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Contaminazioni Con lo sPortWEarVerso la metà degli anni trenta cominciò ad imporsi

negli Stati Uniti lo sportswear. A partire da quegli anni, la mitizzazione dell’eroe sportivo, la diffusione popolare delle attività sportive e la loro spettacolarizzazione televisiva, produsse per l’abbigliamento e le calzature per lo sport un accumulo di valore simbolico di gran lunga superiore al loro valore d’uso: la Fred Perry o la Lacoste, solo per fare un esempio, nate come magliette per giocare a tennis, divennero negli anni settanta ogget-ti d’abbigliamento da indossare in tante altre occasioni. In breve, la loro significazione cambiò e prese la strada dello stile di vita. Se in origine il tempo da dedicare allo sport era un lusso così come era un privilegio aristocra-tico avere un guardaroba ad hoc per questo genere di attività, gli appelli ad una vita sana dell’ordine medico e il radicamento dello sport a livello di educazione di massa, trasformarono l’abbigliamento sportivo in una sezione del guardaroba presente in tutti gli strati sociali. Era nella logica della situazione che il rural style e il country style, nei modi a volte bizzarri imposti dalla logica fuzzy della moda, finissero col familiarizzare più con l’abbiglia-mento sportivo che con i glissement dell’abito formale, glamour, di tendenza.

Rispetto al country e al rural style, la moda sportiva portò nel settore dell’abbigliamento della gente, innova-zioni sostanziali sia a livello di design e sia soprattutto a livello dei materiali. Grazie alle contaminazioni con lo sportswear il country/rural style prese le distanze dal rischio di divenire folklore demodè o fenomeno di costu-me (e non di moda).

il CasualPosizionato tra il rural/country style e lo sportswear,

a partire dagli anni sessanta, si diffuse tra i giovani il concetto di moda casual che all’inizio stava a significare

13S t i l i d i v i tal a M B e R T o C a n T o n i

Stili di vitAlamberto Cantoni

RURAL STYLEDa quando possiamo ragionevolmente parlare di moda come dispositivo regolatore del mutamento del gusto tra pubblici eterogenei e in competizione estetica tra loro, ad uno stile metropolitano fortemente ancorato alle tendenze del momento viene contrapposto uno stile rurale caratterizzato da mutamenti molto meno accentuati. Nella percezione della gente il primo aveva la freccia del tempo orientata al futuro mentre il secondo la rivolgeva preferibilmente verso il passato. Insomma il rural style visto dall’elegantone/a metropolitano/a era irrimediabilmente compromesso con un’assiologia campagnola. Per contro, i fautori dell’abito da campagna consideravano inutili bizzarie le spettacolari mutazio-ni dei look metropolitani. La contrapposizione tra le due forme di moda non poteva che riverberarsi in ogni dimensione delle apparenze. I colori preferiti del rural style erano ovviamente quelli dei paesaggi naturali: marrone, beige, blu, verde… Gli abiti di tendenza delle città, avevano preferibilmente i colori aggressivi dei paesaggi urbani: varie tonalità di grigio, il nero “cattivo” soprattutto, accompagnati da accostamenti innaturali. I tessuti degli abiti del gentleman di campagna erano di solito morbidi e soffici come il tweed e il velluto a coste. L’eleganza cittadina invece obbligava l’uomo a scegliere tessuti duri e lucidi che tenessero la piega, mentre la donna indulgeva in tessuti sensuali e raffinati.

Le forme del rural style più radicate nell’immaginario della moda per un lungo periodo discendevano dalla tradizionale eleganza campagnola inglese e scozzese. Dopo la metà del novecento anche in Europa cominciò a diffondersi lo stile dei pionieri americani con tanto di je-ans e stivali da cow boy. In quest’ultimo caso oggi si parla comunemente di country style. In generale oggi il rural style cita quasi sempre qualche tratto del folklore della vasta semantica dell’abito da lavoro di tutto il mondo (work dress style).

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UN PO’ GENTLEMEN CAMPAGNOLI E UN PO’ PIONIERI

14S t i l i d i v i tal a M B e R T o C a n T o n i

aA partire dagli anni novanta sotto la spinta di creativi come Helmut lang, Prada, Giorgio Armani (dell’Emporio Armani) lo sportswear e il country style hanno conquistato gli spazi simbolici primari della moda.

il mixaggio di capi diversi tra loro (in contrapposizio-ne al proverbiale “completo”, che per l’uomo fino alla fine degli anni sessanta aveva ancora il valore di vera e propria divisa da lavoro). La moda casual suggeriva al consumatore atteggiamenti proattivi nei riguardi della composizione delle frasi moda. Questa libertà espressiva aumentava le probabilità di contamina-zioni tra capi di abbigliamento dalla semantica di base differenziata. Gli abiti da pastorella verginale di Laura Ashley verso la fine degli anni sessanta e la fusione tra stile rurale/country ed eleganza chic di Ralph Lauren negli anni settanta sono un esempio di quanto l’abbigliamento avesse imparato a fingere di significare ciò che non poteva più essere in modo autentico. Gli incroci tra diversi stili divennero la norma rispetto le codifiche lineari dall’alto. Quando il casual divenne una vera e propria tendenza, tra i trendsetter metropolitani si diffuse il concetto di street style: la giacca a vento di piumino, le scarpe da vela o da jogging si diffusero in modo trasversale come il blue jeans e tutti i derivati in denim negli anni ottanta (giubbotti, giacche, gonne).

A partire dagli anni novanta sotto la spinta di creativi come Helmut Lang, Prada, Giorgio Armani (dell’Emporio Armani) e di marche come Diesel, Re-play e Marlboro Classics, il dress work, lo sportswear e il country style conquistarono gli spazi simbolici sempre più significativi. Nelle sfilate strategiche per la diffusione dei nuovi look dei grandi marchi della moda, la presenza di capi platealmente ispirati agli stili sopraccitati, elaborati con raffinatezza nei volu-mi e nelle forme, conquista via via sempre più spazio. C’è da dire che il mercato suggellerà con la ferrea logica dei numeri che contano le scelte espressive delle grandi marche. Per ogni abito formale acqui-stato oggi si contano numerosi look di ascendenza rural/country o sportwear venduti ad un consumato-re sempre più trasversale nelle sue scelte. I numeri dicono che l’abbigliamento informale negli ultimi drammatici anni fortemente segnati dalla crisi, è sempre stato in crescita rispetto un formalwear sempre più in affanno (per il primo il 2011 si chiuderà con un incremento dei fatturati a due cifre: + 12,8%

Diesel, collezione primavera - estate 2012

Replay, collezione primavera - estate 2012

iIn queste pagine, alcune immagini di backstage della campagna pubblicitaria S/S 2012 di MCS Marlboro Classics(Concept by Kitchen Stories, foto by Pierluca De Carlo e Ben Wolfinshon)

nei primi sei mesi, destinati secondo gli esperti ad un incremento per via del maggiore valore in per-centuale degli acquisti autunnali e invernali).

il farmEr ComE tEndEnza Il ridimensionamento del formal dress rappre-

senta lo scoppio della bolla dell’eleganza vistosa dovuta alla crisi o una nuova dimensione della bellezza?

Nell’ultima decade anche grazie alla fusione con l’abito sportivo, gli idioletti di stile che abbia-mo visto discendere dalle forme rural/country/sportwear hanno guadagnato molte posizioni nella classifica dei look modaioli metropolitani. L’Husky, in origine un indumento molto amato da chi andava a cavallo, oggi viene normalmente utilizzato in ogni occasione della vita quotidiana. Se attualmente il loden (cappotto sportivo) non va più di moda, al suo posto troviamo il Barbour, tipica giacca incerata da caccia e da pesca, oggetto negli anni novanta di una vera e propria mania, oggi riproposta in svariate forme e tessuti. I calzoni a quadri di tradizionale motivo scozzese, un tempo rigorosamente usate sui campi da golf, possono essere portati da chiunque e a tutte le ore. I gilet trapuntati o quelli da pesca con tantissime tasche vengono normalmente accostati a giacche per niente sportive. Belfast ha trapiantato il look da motociclista nella vita di tutti i giorni. Per

non parlare dei jeans vissuti, degli stivali e stivaletti, giacconi di pelle, polo, t-shirt etc. Pensate all’in-credibile successo della traduzione del work dress operata dalla Diesel, con contaminazioni country, rock, street style, divenuta oggi il marchio di mag-giore visibilità tra uomini di età compresa tra i 25 e i 45 anni!

Insomma uno dei caratteri tipici della post modernità, la fusione degli stili e dei look come conseguenza della perdita di autorevolezza delle procedure tradizionali, ha sbriciolato l’antica po-larizzazione asimmetrica tra abiti formali (abiti di solito cittadini, considerati eleganti) e abiti cam-pagnoli (dal valore essenzialmente pratico). I primi hanno perso il privilegio esclusivo di rappresentare il soggetto della moda, i secondi, dopo la rivoluzione portata dal successo del look sportivo, si sono tro-vati in una posizione privilegiata per interpretare il concetto di bellezza pratica, dinamica e portabile in ogni occasione, vincente tra la classe di persone che amano la vita en plein air, in qualche modo legata ad una immagine della natura totalmente ridisegnata dalla cultura popolare.

L’abbigliamento rigorosamente formale, un tempo attribuito all’elegantone e l’abbigliamento genuinamente folk che in qualche modo gli si con-trapponeva, interpretati come se fossero un vange-lo estetico non interessano più a nessuno.

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iil rural/country style ha cambiato pelle e attraverso mutazioni continue, ibridandosi con lo sport, con la divisa dei boscaioli, con i look da esploratore o da montanaro supertecnologico è divenuto uno dei motori del cambiamento programmato dalle mode.

Replay, collezione primavera - estate 2012

trE aziEndE modEllo

Le immagini che illustrano l’articolo presentano look di 3 dei maggiori protagonisti dell’ampio segmento di mercato presupposto dalle categorie rural/cauntry/casual style. Replay è una azienda italiana fondata nel 1978, famosa in tutto il mondo sia per i suoi prodotti basic e sia per i suoi jeans e camicie della collezione di punta, molto più studiata, che strizza l’occhio al pubblico fashion. Marlboro Classics è una marca d’abbigliamento casual fondata nel 1984 che in ogni collezione cita il country western di volta in volta contaminato da altre tipologie di guardaroba: sporwear, divise militari, dress work da carpentieri, operai agresti, pompieri…Diesel è il celeberrimo marchio creato da Renzo Rosso nel 1978, divenuto oggi la marca di abbigliamento casual a più alta riconoscibilità tra il pubblico maschile. L’interpretazione del dress work di Diesel ha la forza seduttiva e la creatività paragonabile a quella delle marche più di tendenza.

Il rural/country style dunque ha cambiato pelle e attraverso mutazioni continue, ibridandosi di volta in volta con lo sport, con la divisa dei boscaioli (pen-sate al successo travolgente del grunge all’epoca dei Nirvana), con i look da esploratore o da monta-naro evoluto e supertecnologico…è divenuto uno dei motori fondamentali del cambiamento program-mato dalle mode.

E’ chiaro quindi che oggi per stile rural/country dobbiamo intendere qualcosa di profondamente diverso dalle immagini della storia del costume. Queste categorie rese liquide dalla post modernità alludono a citazioni e imitazioni di forme dell’abito appartenenti a pratiche e a mondi spesso distanti dalla nostra realtà quotidiana, mondi che eccitano la fantasia, incapsulati in formule d’abbigliamento che privilegiano l’informalità, la trasversalità degli elementi del guardaroba, la praticità. Il tutto incorni-ciato da idee sull’eleganza ad assetto variabile.

Eppure, se ci pensate bene, la semantica di base non è poi cambiata tantissimo rispetto all’opposi-zione tra abito metropolitano e abito campagnolo dalla quale sono partito.

In definitiva si tratta sempre di contrapporre forme che alludono ad un ritorno alla naturalezza ad altre che fanno pensare ad un eccesso di artificiosi-tà narcisistica. Anche se i contorni di entrambi que-sti orientamenti dell’apparire diventano di giorno in giorno sempre più sfumati, la loro capacitazione a raccontare storie eccitanti per la fantasia non si è affatto dissipata. Ecco allora il rural/country style, in una nicchia ecologica e semiologica dominata da estenuanti appelli alla sostenibilità, divenire un abbigliamento etico e di tendenza.Non è certo per caso se Lindewij Edelkoort, da molti definita la trendsetter più famosa al mondo, recen-temente ha stupito tutti sostenendo che saranno gli agricoltori gli attori più importanti del prossimo scenario mondiale: “Quella che ho scherzosamente

chiamato la lobby dei farmers diverrà potentissi-ma. Saranno loro a decidere cosa mangiare e cosa invece no, avranno nelle loro mani la nostra salute…Il cibo e i prodotti naturali saranno l’orto del futuro. Perché cibo è confort, amicizia, creatività, felicità. E’ la nostra benzina” (cit. tratta da un bel articolo di Aldo Gianfrate in Progress on line). Non so dirvi da dove vengano le certezze di Lindewij Edelkoort, ma trovo significativo che si rafforzino enormemente quando personaggi del calibro di Bill Gates mondializzano di-chiarazioni come “Dobbiamo investire sull’agricoltu-ra, solo così battiamo povertà e malattie” (intervista a la Repubblica del 24 febbraio 2012). Ovviamente, Ca va sans dire, nel linguaggio di chi studia le ten-denze le affermazioni della Edelkoort e di Bill Gates significano che tutta l’agricoltura sarà sempre più cool, compresi gli abbigliamenti e i look in un modo o nell’altro verranno ad essa attribuiti.

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Bill Gates in una conferenza a sostegno delle sue

politiche umanitarie

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ECONOMIA REALE E AGRICOLTURA PER USCIRE DAL TUNNEL LA CRISI HA COLPITO TUTTI I SETTORI E I CONSUMI SI SONO RIDOTTI. QUELLI ALIMENTARI, ESSENZIALI PER LA SOPRAVVIVENZA, RISENTONO TUTTAVIA MENO DELLA CONGIUNTURA, SI MOSTRANO ANTICICLICI E NON SMETTONO DI CRESCERE O, SE CALANO, LO FANNO IN MISURA MINORE

Nel complicato labirinto della crisi economica di oggi si smarriscono vecchie certezze, mentre ancora non si fanno strada nuove indicazioni che diano sicurezza. La crisi è nata come il drammatico sbocco di politiche finanziarie eccessivamente di-sinvolte sviluppatesi negli Usa, ma poi si è estesa a macchia d’olio a tutta l’economia e persino ai debiti pubblici di un consistente numero di paesi. In questi anni sono stati colpiti tutti i settori dell’economia, compresa quella reale, cioè quella come l’agricol-tura che produce nuova ricchezza e non si limita a compravendere prodotti finanziari o titoli. Però la vita prosegue, i settori produttivi continuano a ope-rare, i consumatori a richiedere prodotti: il mondo ansima, ma non si ferma. L’unico elemento certo per la ripresa è l’aggancio con l’economia reale, con la vita di tutti i giorni, a fronte del complesso e spesso

effimero mondo delle speculazioni finanziarie.L’esempio migliore è il microcosmo del settore

agricolo e alimentare. La produzione agricola non si è arrestata, ha subito forti scossoni per le due on-date al rialzo e poi al ribasso dei prezzi: la prima, in breve finita con un crollo, indusse a parlare di “Crisi alimentare mondiale”, la seconda, dopo due anni e mezzo, sembra in via di esaurimento. Il collega-mento fra crisi mondiale e agricoltura non si ferma ai prezzi delle materie prime. La contrazione dei redditi ha prodotto contraccolpi facilmente intuibili. I consumi si sono ridotti anche se quelli alimen-tari, essenziali per la sopravvivenza degli esseri umani, risentono meno degli altri delle crisi. Si dice che hanno un comportamento anticiclico perché non smettono di crescere o, se calano, lo fanno in misura minore. è quanto sta avvenendo anche ora,

21E c o n o m i a E c o n S u m iD a R i o C a S aT i

ECoNoMiA E CoNSuMidario CasatiProrettore Vicario Università degli Studi di MilanoDipartimento di Economia e Politica Agraria,Agro-alimentare e Ambientale

ma con modalità in parte nuove. Premesso che non si possono trattare insieme i problemi dei paesi colpiti dalla tragedia della fame con quelli dei paesi sviluppati come il nostro, ci soffermeremo su questi e in particolare sull’Italia.

Nel corso del 2011 la produzione agricola è salita leggermente rispetto all’anno precedente, con un incremento di un paio di punti percentuali, con ciò contribuendo a migliorare il risultato complessivo del Paese che registra nel 2011 un incremento dello 0,5%, con una previsione negativa per il 2012. In questo quadro spicca l’industria alimentare che, rispetto al resto dell’industria, è il comparto che ha perso meno produzione. Allo stesso tempo, nei primi nove mesi del 2011 le esportazioni alimen-tari hanno messo a segno un incremento del 10%, mentre le importazioni sono circa inalterate, con ciò migliorando la bilancia commerciale.

Anche la contrazione dei consumi alimentari è stata modesta e inferiore a quella dell’insieme dei

consumi. è quanto ci si attendeva, ma emergono importanti novità. Negli anni della crisi alcuni settori continuano a crescere, come quello dei prodotti dell’elettronica. Sale la spesa per traffico telefonico mobile, ormai pari a circa un sesto della spesa alimentare, un dato impres-

sionante che però rientra nelle logiche che descrivono il comportamento del consumatore.

Gli italiani Hanno modElli di Consumo di un PaEsE riCCo

L’alimentazione, nonostante il persistente, forte ed immediato richiamo emotivo, oggi non è sentita come un problema prioritario. La spesa relativa assorbe in media il 16% di quella totale, ben lontana da quella dei paesi della fame che si avvicina all’80% o semplicemente a quella degli anni ’50 che era a circa il 40%. Accanto alle esigenze quantitati-ve, ormai soddisfatte, ne appaiono di nuove di tipo salutistico, relative alla sicurezza, legate a modelli di consumo caratterizzati da scelte “ideologiche” o semplicemente edonistiche.

Il consumatore nel cibo cerca altri contenuti, ma sempre con un occhio attento ai prezzi, specie quando la crisi morde davvero come ora. Chi mette in vendita i prodotti alimentari come la distribu-zione si accorge dell’importanza di mantenere l’offerta variata e abbondante, ma deve sostenerla con un continuo succedersi di promozioni, prodotti venduti come “sottocosto”, e ogni altra diavoleria suggerita dal marketing.

Ma il problema è più vasto, risale le filiere coin-volgendo la produzione agricola. Torniamo allora

22E c o n o m i a E c o n S u m iD a R i o C a S aT i

all’economia reale per accorgerci che il nostro Paese rimane deficitario di prodotti agricoli e alimentari. La produzione agricola non perde terreno rispetto al volume dei consumi, ma non ne guadagna nemmeno, perché da almeno un decennio i rendimenti produttivi non aumenta-no. Ci stiamo incamminando con un eccesso di fiducia su una strada che non considera l’esi-genza di incrementare la produzione agricola perché preferiamo privilegiare altre valenze di questa attività in funzione ambientale, di svago, di turismo. In sostanza diamo per scontato che qualcuno, altrove nel mondo, produrrà per noi gli alimenti e le materie prime per ottenere i grandi prodotti della nostra agricoltura per poi vender-celi, magari a prezzo più basso.

L’aLimentazione, nonostante iL persistente, forte e immediato richiamo emotivo, oggi non è sentita come un probLema prioritario. La spesa reLativa assorbe in media iL 16% di queLLa totaLe, ben Lontana da queLLa dei paesi deLLa fame che si avvicina aLL’80%

149E c o n o m i a E c o n S u m iD a R i o C a S aT i

Proprio gli effetti della crisi sull’agricoltu-ra, in un contesto in cui cresce la popolazione mondiale e salgono i consumi individuali nei paesi emergenti che coprono i quattro quin-ti dell’umanità, indicano che il futuro non è rassicurante. Occorre una riflessione attenta sul ruolo dell’agricoltura nei paesi ricchi e sulla loro responsabilità negli equilibri mondiali. Non possiamo pensare solo ai prodotti di altissima qualità in un mondo in cui i convitati a tavola sono sempre più numerosi ed esigenti. Ecco perché serve aumentare l’offerta agricola a co-sti competitivi stimolando la ricerca, il progres-so scientifico e tecnologico e la sua diffusione anche in agricoltura, contando sul potenziale effetto leva sull’economia che ciò può determi-nare. Come per tutta l’economia, la ricetta per uscire dalla crisi è l’aumento della produttività. ◆

25i n f o r m a z i o n E & d i S i n f o r m a z i o n ER o B e R T o D e l l a C a S a

iNFoRMAzioNE & diSiNFoRMAzioNERoberto della CasaUniversità degli Studi di Bologna, Polo di Forlì

Tanto clamore per nulla

hla riduzione di produzione

di zucchine con il fiore,

in corrispondenza di periodi di freddo,

porta ogni anno alla ribalta

lo “scandalo”. Ma una

soluzione c’è...

Ho atteso, invano, che qualcuno su un giornale, una rivista, un talk show – anche da Maria De Filippi sarebbe andato bene – spiegas-se a quella “casta” di cronisti da strapazzo che imperversa sui mezzi di comunicazione nazio-nale che è del tutto normale che le zucchine – soprattutto quelle con il fiore - abbiano prezzi elevati dopo dieci giorni di gelo e che non c’è nessun “aggiotaggio” della zucchina quando fa freddo, come qualche blasonato opinionista - er-roneamente – già da tempo sostiene. Il problema è che quando la temperatura esterna scende sotto zero, in assenza di riscaldamento nelle serre (e chi se lo può permettere il riscaldamen-to con l’attuale costo del gasolio?), la produzione si riduce anche del 75% rispetto a quella media del periodo. Alcuni amici che hanno serre a Fondi, infatti, mi hanno confermato che durante le nevicate dello scorso febbraio hanno raccolto meno del 30% della media stagionale di zucchi-ne con il fiore. Se la domanda rimane costante – ma in realtà aumenta perché con il freddo le preferenze passano dalle verdure crude a quelle da cuocere – già il prezzo alla produzio-

m

ne dovrebbe triplicare, anzi più che triplicare, per l’effetto psicologico generato dalla volati-lità dell’offerta nel mercato dei freschi. Quindi non c’è nessun effetto speculazione – nel senso negativo del termine – ma semplice regolazione di domanda e offerta. E’ quando il petrolio sul mercato internazionale scende e non vi sono effetti alla pompa che vi è quel tipo di specu-lazione! Su altre produzioni – ad esempio per le zucchine senza fiore che hanno un areale di produzione più ampio - l’effetto è più contenu-to, sulle produzioni già nei frigoriferi dovrebbe essere nullo, ma rimangono i problemi logistici delle consegne.

Quindi, a mio avviso, occorrerebbe più rispetto per chi lavora nei campi, nei mercati e nei negozi di frutta e verdura con le difficili condizioni atmosferiche dello scorso inverno e gli organi di stampa potrebbero dedicarsi a qualcosa di più utile e, soprattutto, reale. Ci sarebbe persino di più a favore del comparto: le zucchine, infatti, rappresentano meno del 6% dei consumi domestici a valore di verdure e ortaggi, e possono facilmente essere sostituite nella dieta. Eppure sono il simbolo del popolo affamato dal freddo.

Come se non bastasse, per un’intera settima-na dopo l’emergenza neve i telegiornali hanno

Mister Prezzi ha convocato un tavolo della filiera per capire cosa stava succedendo - e alla fine ci è stato detto che non era successo nulla di tutto quello che era stato detto, anzi i prezzi di frutta e verdura nel periodo erano stati più bassi di un anno prima.m

aperto con le speculazioni sull’ortofrutta, mettendo in guardia i consumatori sui rincari ingiustificati dei fruttivendoli e sulla studiata mancanza di offerta, tanto che, Mister Prezzi, ha convocato un tavolo della filiera per capire cosa stava succedendo - e alla fine ci è stato detto che non era successo nulla di tutto quello che era stato detto, anzi i prezzi di frutta e verdura nel periodo erano stati più bassi di un anno prima.

Non ho letto una riga di scusa o, almeno, di rettifica per il macroscopico errore commesso ma solo “che si continuerà a vigilare”! Più gra-ve è che non ho nemmeno visto un commento indignato all’ennesima mistificazione della realtà a danno dell’ortofrutta. Scusatemi ma devo allora dire che il comparto ha quello che si merita: ci prendono in giro ma noi li lascia-mo fare. Ci si rende conto che vi è stato un danno a carico del settore pesantissimo: vale almeno dieci campagne di sensibilizzazione dei consumi. Il messaggio passato dai me-dia, infatti, è che l’ortofrutta è indebitamente cara e che gli operatori del settore pur di fare profitti ingiustificati sono disposti ad affamare il popolo durante le emergenze. Se non ci cre-dete sareste dovuti venire Voi a spiegare a mia mamma che si era trattato di un errore. Io non ne sono stato capace.

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MastriVernacoli-Karpos210x297_ctm.indd 1 23/01/12 11:47

AGRICOLTURA 2.0:un gioco da ragazzi ?nNel corso dei secoli lo sviluppo di ogni grande

nazione è passato attraverso l’agricoltura. Un dato. Dalla prima rivoluzione agricola alla necessità, prima olandese e poi inglese, di seminare diversi tipi di piante foraggiere oculatamente scelte affinché la loro alternanza mantenesse elevato il livello di azoto del terreno, l’agricoltura ha sempre rappresentato la porta di accesso per lo sviluppo economico, quello vero, che nulla ha a che spartire con la finanza.

Nel 1700 si presero decisioni importanti in terra inglese, decidendo di disincentivare il binomio agricol-tura e pascolo e quella di chiudere i campi aperti con le enclosures generarono, infatti, tutta una serie di cambiamenti socio-demografici che fecero crescere lo sviluppo del commercio inglese facendolo passare, dai 10 milioni di sterline in 80 anni (1700-1780) ai 40 mi-lioni in soli 20. Certo questo risultato non può essere appannaggio esclusivo dell’agricoltura; però tutto è partito da lì, dalla scelta tra trifoglio o colza.

Altro dato. Il grande riformatore, Camillo Ben-so conte di Cavour fu chiamato nel 1850 dal nuovo presidente del Consiglio, Massimo D’Azeglio, proprio in veste di Ministro dell’Agricoltura. Da lì, dalle riforme agricole, partì il processo di ricrescita che Cavour, at-tuò per l’Italia. Queste premesse ci aiutano ad entrare nel tema del perché oggi, più che mai, c’è bisogno di un’agricoltura giovane e intraprendente.

Il settore agroalimentare muove il 15% del PIL e può facilmente ripartire essendo diversificato e maggior-mente tipizzato, specie con le Nostre punte di qualità ed eccellenza invidiabili da tutto il mondo.

Proprio tutto il mondo, però, ci sta lentamente sfi-lando anche quei bravi imprenditori, specie se molto

Stili di vitAlorenzo BarbieriRicercatore

le giovani generazioni riscoprono

nella vita dei campi il proprio sviluppo

e quello del Paese 29

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giovani, che credono e investono, sul loro futuro agricolo.è il caso dell’Australia, nuova “terra promessa” per chi

fa dell’impresa rupestre la sua ragion d’essere. Eppure in Italia le possibilità ci sono, i giovani ci credono e qualcosa, anche a livello istituzionale (ancora troppo poco in verità) si sta muovendo. Partiamo da un presupposto innegabile: per competere sul mercato al giorno d’oggi anche e soprattutto l’agricoltura deve essere competitiva.

La competizione, per un’azienda italiana, non può basar-si sull’estensione, ma più che altro deve riuscire a concen-trarsi sull’eccellenza, sulla qualità, sull’ottimizzazione della gestione. Se avete in mente il contadino nello stereotipo bucolico, dimenticatelo. Oggi chi vuole fare agricoltura è un manager, a tutti gli effetti.

Chi si cimenta nel lavoro d’azienda attuale si trova a contatto con software di gestione, grafici sulla produttività aziendale ed è in competizione per evitare lo spreco di risorse.Non è una questione di Politica agricola Comune (PaC), o meglio non esclusivamente, perché la road map per il successo passa necessariamente dal capire l’importanza strategica del ruolo imprenditoriale nell’agricoltura.

Alcune istituzioni lo stanno già facendo, il Ministero per le Politiche agricole ha istituito il fondo per l’imprenditoria giovanile che vantava, nel quadriennio 2007 -2011, dieci milioni di euro.

Anche il Ministero dell’istruzione si sta spendendo per la causa: oltre ai numerosi corsi di farm management che stanno nascendo, si sta sperimentando, proprio in Emilia

Romagna, la possibilità di far nascere il primo polo agroalimentare nella scuola superiore.

Uno sbocco importante per l’eccellenza in un set-tore che porta a fatturare i singoli imprenditori anche nell’ordine di cinque o sei zeri.

Di queste bellezze però, da noi, ce ne sono ancora poche e la conferma arriva anche dall’Eurostat che ci fotografa al palo con un 2,9% di imprese agricole con-dotte da under 35 mentre la Francia è a 7,3 e la “locomo-tiva teutonica” a 7,5.

Gran parte della responsabilità è del detto “tuo padre è contadino e tu farai il contadino” che condanna all’accesso al mercato tramite il canale ereditario il 93% dei casi.

Il piacere della sfidaQuel 7% di imprese ex novo, invece, tirano un set-

tore pesantemente recalcitrante ad accettare sfide importanti. Dall’orientamento al mercato alle strategie di sviluppo, dall’innovazione ad un business plan con prospettive di crescita.

L’investimento efficace, per fare per approdare nel 2.0 anche l’agricoltura, è sicuramente quello sulla formazione dei nuovi imprenditori e molte aspet-tative vengono dal mondo scolastico e accademico, per passare dalla tradizione all’innovazione, dalla produzione al processo produttivo, riscoprendo nella managerialità dell’azienda il ruolo chiave della terra, avvicinando il colletto bianco a “dove tutto nasce”.

Il processo di filiera è molto complicato e non è solo nella “prima base” che si compiono passaggi chiave per ristabilire equità, dignità e valore, umano e commerciale, ad un settore spesso bistrattato e piegato a logiche di grande distribuzione.

La voglia di cambiamento però è innata, specie tra i giovani; e molti, anche tra i corridoi della SMEA (l’alta scuola di specializzazione in economia agro-alimen-tare) piuttosto che alla facoltà di agraria di Bologna chiacchierano su questi temi, facendo respirare questa frizzante emozione del “sì, posso farcela” che stimola il processo virtuoso della crescita.

All’agricoltura però serve l’aiuto delle istituzioni per incrociare alti livelli di investimento tecnologico con capacità organizzative e gestionali, così da garantire l’innovazione in modo continuo e favorire l’ingresso delle giovani generazioni all’interno di un processo virtuoso che riparta da là, dal campo!

L’appello è stato lanciato, la risposta ci sarà anche quando il settore creditizio riterrà opportuno finanzia-re queste imprese, sempre più start up agricole.

Fotografie per gentile concessione di CIA e Coldiretti

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Anziana donna Bai, nel tradizionale costume colorato, sceglie con attenzione la carne nel mercato di Kunming in Cina

In inglese esistono due diverse parole per la sicurezza alimentare. Con safety s’intende che il cibo deve essere sano e non fare male, anzi bene. Con se-curity s’intende la disponibilità di sufficienti quantità di cibo, sua accessibilità economica e sociale, stabi-lità di rifornimenti degli alimenti e loro utilizzabilità per una nutrizione adeguata e adatta alla cultura. Se in questi ultimi tempi ci siamo preoccupati soprat-tutto della safety delle carni, non dimentichiamo il problema della security. In un mondo che vede un grande incremento della popolazione, che si ritiene arriverà a superare i nove miliardi di persone, vi sarà carne per tutti? Una domanda non inutile, poiché i paesi emergenti, la Cina in testa, a mano a mano che migliorano il loro reddito e innalzano il loro tenore di vita, aumentano i consumi di carne. Perché si possa tutti mangiare carne, i paesi industrializzati dovranno ridurre i loro consumi o, per lo meno, non aumentarli ulteriormente? Ma vi é poi necessità di mangiare carne? Quali carni? Tutte domande difficili alle quali si può dare solo risposte schematiche.

É necessario mangiare carne? Il fatto incontro-vertibile che quando in una famiglia o in una società

Ci saràcarne per tutti?

AliMENtAzioNE E SAlutEGiovanni BallariniProfessore Emerito dell’Università degli Studi di Parma

idi fronte ai limiti di una popolazione mondiale destinata

a toccare prima della metà del secolo

i nove miliardi riflettiamo su un uso sostenibile delle risorse agricole

33a l i m E n ta z i o n E E S a l u t Eg i o Va n n i B a l l a R i n i

aumenta il reddito immediatamente crescono i con-sumi di carne conferma la realtà antropologica che la carnivorità é una componente importante dell’ali-mentazione umana. Questo non esclude che vi possa essere una scelta culturale vegetariana, ma sempre una scelta individuale o sociale, e come tale messa spesso in forte evidenza. In modo analogo é per la scelta delle carni che possono essere mangiate: ogni cultura ha le sue carni “permesse”, “giuste”, “pure”, in contrasto a quelle “vietate”, “ingiuste”, “impure”. Ele-menti antropologici dei quali dovremo tenere conto anche nelle previsioni sui consumi di carne.

La FAO (Food and Agriculture Organization delle Nazioni Unite) nel recente studio Livestock in Food Security (2011) ritiene che se le proteine di origine animale sono quasi a livello ottimale rispetto ai consumi “sicuri”, nelle Americhe ed in Europa (78% - 82%), sono molto basse in Asia (29%) e soprattutto in Africa (17%). Una “fame proteica”, soprattutto di “carne”, che giustifica i recenti aumenti asiatici, Cina soprattutto, e le previsioni della stessa FAO. Mentre per il consumo mondiale é previsto un aumento del 173%, nei paesi in via di sviluppo l’aumento previsto

é del 209%. Secondo queste previsioni, sempre nei paesi in via di sviluppo, i maggiori aumenti si avran-no per le carni avicole e ovine, meno per quelle suine e questo anche per le regole alimentari islamiche.

Come sarà possibile produrre più carne e so-prattutto a quali costi, economici e ambientali? Per quanto riguarda l’economia sarà necessario rivolgere l’attenzione alla utilizzazione dei terreni cosiddetti marginali, senza aumentare la deforestazione, ma soprattutto rivedere l’alimentazione degli animali per renderla sempre meno competitiva con quella umana. Questo é possibile per animali che come i ruminanti e gli avicoli si possono nutrire di quello che non alimenta l’uomo, ed é questa una della condizioni per cui sono stati tra i primi animali addomesticati ed allevati dalla nostra specie. “Allo stato attuale – afferma però il rapporto della FAO - non esistono alternative tecnicamente o economicamente fattibili alla produzione intensiva per realizzare l’offerta di prodotti alimentari zootecnici necessaria a soddisfa-re i bisogni delle città in espansione”.

Nell’allevamento futuro bisognerà ripensare all’uso dei sottoprodotti alimentari, con un loro

sSostenibile é un’alimentazione con una quota carnea non solo contenuta, ma ben equilibrata con gli altri alimenti d’origine animale (uova e latte), proteici non carnei (leguminose) ed energetici (farinacei e grassi).

34a l i m E n ta z i o n E E S a l u t Eg i o Va n n i B a l l a R i n i

L’alimentazione carnea va ben equilibrata con gli alimenti proteici non carnei (leguminose)

uA livello mondiale non bisogna sottovalutare l’uso di carni “non convenzionali” come gli insetti e gli artropodi, peraltro già presenti nelle cucine asiatiche e non solo

riciclo virtuoso, salvaguardando la sicurezza e senza cadere in incidenti come quelli della BSE. Sarà poi necessario contenere la produzione di gas serra, anche se l’allevamento del bestiame ha un’importanza minoritaria (2% circa) e può essere regolato con opportuni interventi, soprattutto delle loro deiezioni. Tutte condizioni per le quali siamo in possesso di conoscenze scientifiche, ma che dovranno essere aumentate.

Se tutti vogliono mangiare carne, di fronte agli indubbi limiti posti da una popolazione umana che nei prossimi quaranta anni, forse meno, raggiungerà i nove miliardi d’individui, bisogna pensare ad un “risparmio” della carne, che può essere ottenuto in diversi modi. Un primo modo di risparmio é di non sprecare la carne, utilizzandola completamente. Un tempo del maiale, e lo stesso degli altri animali, si diceva che “tutto era buono” e non vi era niente da buttare; su questa linea ritornare al passato sarà un progresso. Allo stesso tempo, in cucina, bisognerà meglio utilizzare le intersupplementazioni nutri-zionali tra le carni e gli altri alimenti, recuperando ed aggiornando molte ricette tradizionali. Il valore nutrizionale proteico di un piatto costituito da vegetali

uun tempo, del maiale si utilizzava la carne completamente. in futuro i maggiori aumenti si avranno per le carni avicole e ovine. da non sottovalutare l’uso di “carni non convenzionali” come gli insetti.

é, infatti, aumentato in modo rilevante dall’aggiunta di piccole quantità di carne (e di altri alimenti d’origine animale). Una condizione, questa che si riscontrava nei modelli alimentari dei paesi che si affacciano sul mar Mediterraneo e che sono stati assunti dalla dieta mediterranea. Non bisogna, infine, soprattutto a livello mondiale, sottovalutare l’uso di “carni non convenzionali” quali potrebbero essere gli insetti e gli artropodi, peral-tro già presenti nelle cucine asiatiche (e non solo).

Nel quadro brevemente tracciato una “occidentaliz-zazione” e soprattutto una “americanizzazione” alimen-tare con elevati consumi di carni bovine e suine non pare sostenibile a livello mondiale. Sostenibile é invece un’alimentazione con una quota carnea non solo conte-nuta, ma ben equilibrata con gli altri alimenti d’origine animale (uova e latte), proteici non carnei (leguminose) ed energetici (farinacei e grassi). In quest’orientamento molto possono insegnare le tradizioni alimentari di tutti i popoli e le cucine regionali italiane possono dare un valido contributo.

Carne per tutti ci sarà, quindi, ma dovremo imparare a contenere i consumi e soprattutto recuperare antichi saperi e sapori. Solo in questo modo e mangiando meno carne, ci sarà carne per tutti.

37a l i m E n ta z i o n E E S a l u t Eg i o Va n n i B a l l a R i n i

uN BuoN BiCCHiERE di viNo FA BENE

Al CuoRE E NoN Solo

Questo messaggio è legato a molti studi scientifici ed osservazioni epidemiologiche sugli effetti benefici del consumo abituale e moderato di vino. Il vino è stato studiato sia come bevanda che mediante analisi dettagliata dei molti composti bioattivi ivi contenuti.

Fra i vari principi attivi identificati nel vino, quel-lo più noto è il resveratrolo. Questa sostanza è un antiossidante presente soprattutto nel vino rosso, che avrebbe la capacità di migliorare l’efficienza cellulare attraverso il potenziamento dell’attività mitocondriale, la “centralina” energetica delle cellule. Alcune ricerche sugli animali sembrano di-mostrare che il resveratrolo favorisca la longevità, migliori il controllo del diabete, ritardi la comparsa del morbo di Alzheimer e produca un effetto protet-tivo su cuore e circolazione.

Sul tema dell’invecchiamento, grande scalpo-re fece la pubblicazione di un importante studio realizzato nel 1995 a Copenhagen. Questa ricerca, conosciuta come “studio danese”, è stata effettuata su più di 6000 maschi e 7000 femmine in età adulta ed ha dimostrato che il rischio di morire si abbassa fra chi consumava vino con moderazione, rispetto agli astemi e ai forti bevitori. Ma ciò che è altrettanto importante è che questo vantaggio non si verifica fra chi consumava birra o superalcolici.

Che il bere un buon bicchiere di vino sia

un piacere, tutti sono d’accordo. Per contro,

pochi sanno che bere vino con moderazione

non solo non fa male, ma addirittura allunga

la vita e riduce il rischio di sviluppare varie malattie. Quindi

bere vino in modo corretto e consapevole

rappresenta un vantaggio salutistico

rispetto all’essere astemi.

q

AliMENtAzioNE E SAlutEMariangela RondanelliScienze e tecniche dietetiche applicateFacoltà di Medicina e Chirurgia Università degli Studi Pavia

39a l i m E n ta z i o n E E S a l u t EM a R i a n g e l a R o n D a n e l l i

PolifenoliLa ricchezza del vino in polifenoli, dotati di spiccata azione antiossidante (ovvero della capacità di bloccare i radicali liberi nocivi che si formano nell’organismo), costituisce un’importante barriera di difesa nei confronti dei danni cardiovascolari. Gli effetti sono rappresentati innanzitutto dalla riduzione della formazione di placche arteriosclerotiche nelle arterie e di conseguenza minor rischio di malattia delle coronarie e infarto cardiaco. Fra i vari polifenoli sono le procianidine i primattori presenti nel vino. Il loro effetto è talmente significativo che questi composti sono oggi utilizzati dalla industria farmaceutica per la preparazione di

farmaci attivi nelle malattie vascolari , sia venose che arteriose.

l

nazionale sul consumo consapevole di vino”, il quale è rivolto a comunicare e divulgare le pro-prietà salutistiche del vino, nella consapevolezza che alla qualità del vino debba essere associato un consumatore attento che non solo apprezza il prodotto, ma è informato e documentato sugli effetti benefici per l’organismo derivanti da un corretto consumo del vino di qualità.

alimEntazionE E vino i cinque punti per uno stile di vita salutare

Il comitato scientifico, coordinato dal Prof. A. Giacosa e composto da Prof. M. Rondanelli, Prof. C. La Vecchia, Dott. E. Negri, Prof V. Gerbi, Prof L. Bavaresco, Prof R. Barale, Prof M. Pezzotti, insieme ai rappresentati dello ”European Cancer Prevention”, sotto l’egida dell’Università di Pavia, nel novembre 2011 ha riassunto in un documento dal titolo “La dieta Mediterranea e la prevenzione dei tumori: Alimentazione e Vino per uno Stile di Vita Salutare” le qualità salutistiche del vino.

1 La dieta mediterranea é caratterizzata dall’uso abituale di olio d’oliva, da un consumo frequente di frutta e verdura, pesce, legumi e cereali integrali, frutta secca, spezie ed aromi, da un’assunzione moderata di vino ai pasti e da un consumo limitato di prodotti lattiero-caseari e carni rosse.

2 La dieta mediterranea riduce il rischio di malattie cardiovascolari e di tumori.

3 Se tutti gli europei adottassero la dieta

mediterranea, si potrebbe ridurre del 10% il rischio complessivo di tumori e fino al 25% i tumori dell’intestino e di altri organi dell’apparato digerente.

4 La prevenzione dei tumori conseguente alla dieta mediterranea è legata alla sua equilibrata composizione in acidi grassi (rapporto fra omega 6 ed omega 3), ad un elevato apporto di fibre ed alla ricchezza in composti antiossidanti e polifenoli presenti in frutta e verdura, nell’olio di oliva e nel vino.

5 La dieta Mediterranea include anche “il bere

Mediterraneo”, ovvero la consuetudine di bere vino con regolarità, in quantità moderata e prevalentemente ai pasti (un bicchiere al dì per le donne e due per gli uomini). Questa modalità di consumo del vino favorisce la longevità, riduce il rischio di malattie cardiovascolari e non influenza significativamente il rischio di tumore.

A questo risultato benefico partecipa anche l’aumento della produzione di ossido nitrico osservata in chi beve abitualmente vino. L’ossi-do nitrico riduce l’aggregazione delle piastrine, rendendo difficile la formazione di trombi e l’“occlusione” delle arterie. Il vino poi aumenta la formazione di colesterolo buono (HDL) e ridu-ce la presenza e la attività del colesterolo LDL (quello “cattivo”), con innegabili effetti benefici in campo cardiovascolare.

Effetti Neurologici Un’altra area di grande interesse è rappresen-

tata dalle problematiche neurologiche. Il consumo corretto e abituale di vino appare statisticamente correlato ad una riduzione del rischio di svilup-pare ictus, cioè infarto cerebrale, e TIA (episodi di ischemia cerebrale transitoria, con perdita per tempo molto breve di alcune funzioni motorie o della capacità di parlare correttamente). Altri interessanti dati in corso di analisi sono quelli legati alla possibilità di ridurre il rischio di gravi degenerazioni cerebrali (morbo di Alzheimer, demenza senile). Numerose ricerche documentano che il regolare consumo di vino ha effetti favorevoli sia sulla frequenza con cui il morbo di alzheimer si manifesta, sia sull’età di insorgenza ,che viene ritardata di almeno tre anni.

Il vino, quindi, non per curare le malattie, ma per prevenire e ridurre il rischio di sviluppare molti gravi disturbi cardiovascolari e neurologici.

Resta il problema della giusta dose di vino, vol-ta a garantire gli effetti ora menzionati. A questo riguardo i ricercatori impegnati nel settore hanno identificato in due bicchieri al giorno la quantità ottimale per la popolazione di sesso maschile. Il vino, coniugato al femminile, prevede invece una dose leggermente inferiore (un bicchiere), in virtù di differenze metaboliche ed epidemiologiche .

Il vino dunque, non solo come bevanda ricca di gusto e piacere, ma anche come fonte di salute e di potenzialità preventiva.

Per diffondere questi messaggi è nato presso il Castello di Grinzane Cavour “l’osservatorio

41a l i m E n ta z i o n E E S a l u t EM a R i a n g e l a R o n D a n e l l i

lla ricerca scientifica sui componenti del vino ha portato alla scoperta delle virtù preventive legate ad una sua assunzione nelle modalità previste dalla dieta mediterranea.

CRISI ECONOMICAE DIETA MEDITERRANEA

Nonostante siano stati spesi fiumi di inchiostro sugli effetti benefici della dieta mediterranea, la gente continua a starne alla larga. E questo non avviene negli Stati Uniti o nel nord Europa, dove la cosa non sorprenderebbe più di tanto, visto che la loro tavola è stata sempre molto discutibile.

L’allontanamento si sta verificando proprio in Italia e negli altri Paesi del bacino mediterraneo, nei posti in cui il modello alimentare salvavita ebbe origine in un tempo indefinito arrivando più o meno intatto sino a noi. Perché italiani, greci e spagnoli stanno abbandonando la dieta mediterranea? C’è forse qualcosa che non va nella piramide alimenta-re? No, la piramide sta bene e regge alle insidie del tempo. Sono le persone che hanno qualche proble-ma. O meglio, le loro finanze.

La crisi economica oggi è senza dubbio il nemico numero uno della dieta mediterranea e della buona salute. La dieta mediterranea, “scoperta” dal me-

n

AliMENtAzioNE E SAlutEMarialaura Bonaccio Giovanni de GaetanoFondazione di Ricerca e Cura “Giovanni Paolo II”, Campobasso

43a l i m E n ta z i o n E E S a l u t EM a R i a l a U R a B o n a C C i og i o Va n n i D e g a e Ta n o

Mangiare sano non è solo una questione

di tradizione o di buona volontà. le famiglie oggi

devono fare i conti con prodotti troppo cari

e finiscono per mettere a rischio la propria salute

dico americano Ancel Keys durante i suoi ripetuti soggiorni a Napoli e dintorni, iniziati ai tempi della seconda guerra mondiale, continua a perdere ter-reno là dove fino a qualche decennio fa tutti erano custodi di un modello alimentare salvavita.

lA PANdEMiA dEl XXi SEColoI dati attuali sull’obesità sono disarmanti, e lo

sono soprattutto nelle aree a tradizione mediterra-nea, dove si registrano i tassi più alti di sovrappeso. Particolarmente preoccupanti sono quelli che riguardano i bambini, con l’Italia del Sud triste-mente capofila di una generazione condannata ad avere seri problemi di salute proprio per via di un peso eccessivo.

Paradossalmente, i bambini più a rischio sono quelli delle regioni che di fatto hanno consacrato il modello alimentare mediterraneo recentemen-te riconosciuto dall’Unesco patrimonio mondiale dell’umanità. l’obesità, un tempo cruccio esclusivo di americani e popoli nord europei, sta quindi inte-ressando anche zone probabilmente impreparate a gestire un’epidemia di grosse dimensioni.

Ma il sovrappeso, unito ad abitudini malsane, non ultimo lo scarso livello di attività fisica della maggior parte delle persone, hanno prodotto gene-razioni ad alto rischio cardiovascolare.

Ipertensione, ipercolesterolemia e diabete sono solo alcuni esempi della lunga serie di condizioni patologiche che scaturiscono da stili di vita dannosi.

uN Nuovo NEMiCo Negli ultimi anni la dieta mediterranea ha

un nuovo nemico. Tra le cause di abbandono del modello alimentare, infatti, molti sospetti ricadono proprio sulla crisi economica che sembra avere un effetto negativo sulle sane abitudini alimentari di un tempo. Come dimostrato da alcune recenti ricerche, la dieta mediterranea o comunque regimi alimentari di buona qualità sono generalmente seguiti da per-sone con livello socio-economico più alto, mentre i meno abbienti ripiegano sempre più su prodotti a basso costo e ad alta densità energetica, che li

lla dieta Mediterranea si fonda su un modello nutrizionale costante nel tempo, costituito principalmente da olio di oliva, cereali, frutta fresca o secca e verdure, una moderata quantità di pesce, latticini e carne, e molti condimenti e spezie, il tutto accompagnato da vino o infusi.

44a l i m E n ta z i o n E E S a l u t EM a R i a l a U R a B o n a C C i og i o Va n n i D e g a e Ta n o

pongono ad un più alto rischio in termini non solo di obesità ma anche per quanto riguarda le malattie cardiovascolari.

Uno studio condotto recentemente in Spagna ha dimostrato che per mangiare sano non basta solo la buona volontà ma serve anche un portafoglio in salute. Stando ai risultati, chi mangia “mediterraneo” spende più denaro di chi invece opta per cibi che rientrano nel modello alimentare occidentale. A conclusioni simili sono arrivati anche ricercatori di Barcellona secondo cui chi segue la dieta mediterranea spende di più ma ha anche una minore prevalenza di obesità e sovrappeso rispetto invece a chi riesce a risparmiare qualche euro sulla spesa.

Anche il progetto Moli-sani, condotto nella regione Molise su 25mila persone, ha evidenziato che il modello mediterraneo è seguito maggiormente da persone più anziane e con reddito più alto.

NESSuNo ESCluSo È chiaro quindi che per un ritorno da protagonista

della dieta mediterranea nella vita di noi tutti non basta accumulare prove sui suoi effetti benefici per la salute. La strada è molto più in salita di quanto possia-mo immaginare e richiede un coinvolgimento totale

dell’intera società civile, ad ogni livello. Rendere più accessibili e fruibili i prodotti che fanno parte della piramide mediterranea è il primo passo per un recupero di un modello non solo alimentare ma che anche investa ogni singolo aspetto della nostra vita. Perché se è vero che siamo quello che mangia-mo, è altrettanto vero che è l’insieme dei compor-tamenti che mettiamo in atto quotidianamente a segnare in qualche modo la salute che verrà. E allora non basta seguire la piramide, ma serve anche abbandonare quelle cattive abitudini che ciascuno di noi si porta dietro, quasi inconsapevol-mente. Fare più attività fisica, anche solo salire le scale (invece che prendere ogni volta l’ascensore) con la busta della spesa o prendere l’autobus alla fermata più lontana da casa possono realmente apportare benefici a lungo termine. Anche questo significa vivere secondo la lezione mediterranea. E prima lo capiremo, prima potremo gettare le basi per un’inversione di marcia e lasciarci alle spalle una pandemia che rischia di mettere in ginocchio non solo il mondo occidentale, ma anche i Paesi in via di sviluppo, ai quali il fascino di cibi ad alta densità energetica e a buon mercato sta facendo imboccare un vicolo cieco.

lla dieta Mediterranea è stata riconosciuta nel 2009 dall’unesco un patrimonio immateriale da salvaguardare.

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PIZZA E VEGETALI:UN MATRIMONIO SALUTARE

l’inserimento sempre più frequente

di ortaggi e frutta in uno degli alimenti

simbolo dell’italia risponde agli stili

nutritivi della dieta Mediterranea

sSe il tema è parlare di pizza vegetariana, significa che la propria salute ci sta a cuore, che siamo attenti alla qualità e al valore dei cibi, protagonisti primari nella nostra dieta quotidiana.

Documentarsi sugli alimenti, seguire un modello alimentare, povero di acidi grassi saturi e di proteine animali ma ricco di carboidrati, fibre e antiossidanti naturali, universalmente riconosciuto come “dieta me-diterranea”, è il sistema più appropriato nella preven-zione dell’obesità e di patologie cardiovascolari, ma anche di malattie legate al metabolismo in generale.

Altro aspetto caratteristico della dieta mediterra-nea è legato alle molteplici combinazioni possibili fra gli alimenti, creandosi interessanti piatti unici ricchi sia di zuccheri che di proteine.

Il piatto unico ha poi la valenza, se fatto in casa, di essere altresì comodo e veloce, nondimeno economi-co e gustoso. Stiamo parlando di piatti come pasta e fagioli, spezzatini con le patate, pasta con le verdure, zuppe di pesce con pasta o crostini, minestrone di cereali alla contadina, carni in umido con le verdure, ma soprattutto la pizza. Per prima cosa teniamo in alta considerazione che la pasta della pizza è pasta di pane, ovviamente con una operazione di doppia lievita-zione per ottenere le palline lievitate, ma la sostanza

AliMENtAzioNE E SAlutEAntonio PrimiceriPresidente Associazione Pizzaioli Italiani

49a l i m E n ta z i o n E E S a l u t Ea n T o n i o P R i M i C e R i

è quella: acqua, farina, sale e lievito. Nella versione familiare è consentito l’uso di olio di oliva per rendere più morbido l’impasto che ha bisogno di un maggior tempo di cottura nei classici forni di casa.

In commercio oggi abbiamo, soprattutto per il settore professionale della panificazione e della pizzeria, mix di farine selezionatissime, con aggiunta di soia, farro, cereali maltati, grano tenero 00 e semola rimacinata di grano duro: bisogna sapere che la sola farina 00 non è possibile sia classificata come farina per pizza, non è consentito, anche se la sua presenza è comunque superiore in percentuale alle altre.

La farina di grano tenero a seconda della maci-nazione che subisce viene definita “integrale”, quindi ricca di crusca (cellulosa), sali minerali e vitamine; le farine di tipo 1 e 2 sono più bianche, di grana sottile e contengono meno crusca, amidi e proteine, il tipo 0 è di grana ancora più sottile, viene usata per pane e pizza mentre la più diffusa e universale e il tipo doppio 00, finissima, priva di crusca , risultato della

macinazione della sola parte interna del seme, quin-di povera di sali minerali, vitamine e fibre. Oltre che per la produzione di pasta, pizza e dolci si usa anche come addensante.

Detto questo se si sceglie di gustarsi una pizza vegetariana in pizzeria le versioni potrebbero essere infinite, soprattutto oggi che molti clienti hanno scelto questa dieta sia in assoluto che per motivi di salute. E le pizzerie si sono adeguate nel lungo elenco di varianti in menu.

Ma scegliere vegetale non vuol dire necessaria-mente trovarsi di fronte ad un cibo più digeribile, di-pende sia dal tipo di verdura come pure dal suo modo di preparazione, perché a cuocere direttamente sulla pizza si mette ben poco, solo il pomodorino fresco. In pizzeria il forno viaggia a non meno di 350 gradi, la cot-tura è veloce ma le verdure se non trattate bruciano.

Ecco allora che il pizzaiolo, ma il consiglio vale anche per chi la pizza la sa preparare anche a casa, le verdure le prepara prima, in genere grigliate e condite

50a l i m E n ta z i o n E E S a l u t Ea n T o n i o P R i M i C e R i

con olio e sale: peperoni, melanzane, zucchine, insalata trevigiana, cipolle a rondelle. Una certa considerazione la godono anche i funghi, distribuiti a fette a metà cottura piuttosto che preparati trifolati se non sono porcini o sono poveri di sapore. Ottime le pizze anche con cime di rapa passate con aglio e olio. Ma ci sono pizze vegetali più elaborate, per esempio con una far-citura di caponata, in genere piuttosto ricca di grassi, piuttosto che una trifolatura fatta con troppo aglio che rendono difficili la digestione agli stomaci delicati.

Attenzione anche al peperone che va cotto dopo aver eliminato la buccia esterna e i semi, avendo l’accortezza di scegliere le varietà meno piccanti. E’ comunque un’ottima fonte di vitamina C e betacaro-tene, interessante il suo basso contenuto calorico simile alla lattuga.

Sulla pizza che si vuole vegetariana si stende un leggero strato di passata di pomodoro, poca ma uniforme mozzarella fior di latte tagliata con il coltello a dadini: questa procedura serve ad aiutare la pasta ad

accogliere meglio la successiva farcitura. Si procede così con le verdure che si sono scelte in base ai gusti e alle necessità dietetiche ma se un discorso sulla pizza vegetariana si vuol considerare completo non bisogna dimenticare che esistono anche pizza alla frutta, meglio definibili come pizze dolci o dessert.

Sulla base in questo caso si distribuisce della crema chantilly piuttosto che del mascarpone lavorato con la panna, si dà una prima cottura in forno e poi si distribuisce sulla superficie a raggera mele, pere, kiwi, pesche, albicocche, fragole, ananas, arance, frutti di bosco, uva, fichi, quasi fosse una crostata di frutta.

Si cosparge di zucchero vanigliato e si spruzza qualche goccia di liquore dolce e si ripassa in forno un attimo, il tempo varia a seconda che la frutta sia più o meno acquosa. Eventuale frutta secca va sbriciolata e aggiunta alla fine. Questa pizza è molto divertente ma anche molto calorica, ovviamente non si può mangiar-ne una intera, andrà servita a fette come fosse un vero e proprio dolce.

51a l i m E n ta z i o n E E S a l u t Ea n T o n i o P R i M i C e R i

i• Bronzea , rustica, scura

• Frutto della ricerca italiana

• Si conserva a lungo in cucina e negli scaffali

del supermercato

• Ottima per: frittate, insalate, soffritti,

onion rings, al forno.

Non chiamatemi dorata!

ElENka f1

BUON APPETITO: L’ALIMENTAZIONE IN TUTTI I SENSI

relazione tra metabolismo di base di ognuno e il dispendio energetico per favorire lo sviluppo di uno stile alimentare equilibrato non sarà mai stato così divertente. anche indagare su come cambia la percezione della cucina, della gastronomia e il gusto in diversi Paesi del mondo è uno degli obiettivi che gli organizzatori si sono dati per rendere sempre più interessante ed educativa la visita alla mostra.

ROBERTA FILIPPIGiornalista

53

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Cultura E soCiEtàiin piedi, seduti, da soli o in gruppo. Tranquillamente, di fretta e talvolta anche camminando. Senso di piacere o disgusto, appagamento erotico, addirittura sacro. Servito caldo o freddo, speziato o aromatizzato, cotto o crudo. lo mangiamo in tutti i modi o meglio, lasciatemelo dire, in tutte le salse. Sono poi le calorie, i disturbi alimentari, le frustrazioni, le voglie e le colpe ad attanagliarci. ogni giorno apparecchiamo la tavola, tagliamo, frulliamo, soffriggiamo, mescoliamo, scoliamo, rosoliamo… azioni quotidiane, a volte quasi scontate, ma che in realtà intrecciano percezioni culturali, aspetti sociali e sanitari, abitudini e stili di vita.

a Milano, presso il Museo della Scienza e della Tecnica, la mostra “Buon appetito. l’alimentazione in tutti i sensi”, spiega a ragazzi e famiglie attraverso exhibit interattivi, quiz, filmati e focus di approfondimento come sia possibile scoprire il cibo. ognuno di noi dovrebbe tener ben presente tre regole fondamentali del “mangiar bene”: la salute, il piacere e la convivialità. Ma deve anche imparare a conoscere i cibi e a sceglierli nell’ambito di un’offerta sempre più ampia. È importante, quando si va al supermercato, essere informati su ciò che si mangia e, quindi, leggere con attenzione le etichette dei prodotti per poter acquistare al meglio. attraverso percorsi tematici, è possibile esplorare la filiera produttiva di alcuni cibi, i principi nutritivi che contengono, fino ai fattori che intervengono nella percezione del cibo e nella scelta di un prodotto. analizzare la

informazioniaperta al pubblico fino alla fine di giugno, la

mostra interattiva per ragazzi e famiglie “Buon appetito. l’alimentazione in tutti i sensi” è stata realizzata grazie alla mainsponsorship di nestlé, gruppo Sanpell egrino, nestlé Cereali, nestlé Motta, Perugina, Buitoni, nesquik, Purina e alla sponsorhip di electrolux e Coop. “Buon appetito. l’alimentazione in tutti i sensi” è una coproduzione internazionale tra il Museo nazionale della Scienza e della Tecnologia leonardo da Vinci, Universcience (Cité des Sciences et de l’industrie) di Parigi, Heureka (Finlandia) e Technopolis (Belgio). Per il suo valore e la sua efficacia educativa, la mostra ha ricevuto il contributo del Ministro della gioventù, dell’agenzia nazionale per i giovani, di Regione lombardia assessorato alla Cultura e di Camera di Commercio di Milano.

museo nazionale della scienza e della tecnologia “leonardo da vinci”Via San Vittore 21, Milano www.museoscienza.org/buon-appetito

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Pomodoro

l pomodoro è la specie or-ticola più importante al mondo coltivata in oltre 170 Paesi. Annualmente vengono coltivati nel mondo oltre 4,5 milioni di ettari con una produzione di circa 126 milioni di tonnellate. Nell’ultimo quinquennio, questi valori appaiono restare stabili dopo un incremento di oltre un terzo nel decennio precedente, quasi esclusivamente dovuto al miglioramento delle tecniche colturali compresa l’adozione di cultivar selezionate nelle agricolture meno progredite.

Nell’ultimo decennio, la graduatoria delle Nazioni ha subito mol-ti sconvolgimenti per l’espansione mondiale della coltivazione del pomodoro che ha seguito l’incremento quasi generalizzato degli ortaggi dovuto alla maggiore richiesta di prodotti più salutistici. L’esempio più evidente è quello della Cina, il cui volume annuo di pomodori è praticamente raddoppiato negli ultimi dieci anni rag-giungendo 34 milioni di tonnellate su oltre 1,5 milioni di ettari.

Della grande quantità di pomodori prodotti, circa un quarto della produzione mondiale finisce all’industria di trasformazione con quote variabili che possono raggiungere percentuali elevate come l’italia e la California dove la tradizione della trasformazio-ne e della esportazione di pomodoro è consolidata da tempo.

Attualmente l’offerta mondiale di pomodoro trasformato si ag-girerebbe intorno a 30,5 milioni di tonnellate, con una preponde-

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DALL’INDUSTRIA ALLA TAVOLA...CON LA CINA AL GALOPPO

AgricolturA oggi

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Vitangelo magnificogià Direttore dell’istituto Sperimentale

per l’orticoltura di Salerno

Quasi un quarto della produzione mondiale viene trasformato anche in quantità elevate come avviene in italia e California, dove la sua lavorazione ha alle spalle una lunga esperienza.

Ma è la Cina a registrare l’incremento maggiore con un volume raddoppiato negli ultimi dieci anni raggiungendo

34 milioni di tonnellate su oltre 1,5 milioni di ettari

Raccolta del “pomodoro da industria” in Capitanata (FG)

Raccolta del “pomodoro da industria”

ranza dei Paesi dell’emisfero settentrionale pari al 90%.

L’area del Bacino del mediterraneo, stori-ca leader mondiale, resta al primo posto con una offerta di 13,5 milioni di tonnellate, dove l’Italia ancora resta in testa alla classifica con oltre 4,5 milioni di tonnellate malgrado le tante minacce di Turchia, Spagna ed Iran che producono, ognuno circa la metà della quota italiana. Nell’America del Nord, la California, con 10,3 milioni di tonnellate, è la tradizionale produttrice; il Canada offre solo poco più di 0,6 milioni di tonnellate. Nell’America del Sud la graduatoria è: Brasile (1,2 milioni di tonnel-late), Cile (0,6) e Argentina (0,3).

Il fenomeno più interessante è quello della Cina che in poco più di un decennio ha portato la sua produzione di pomodoro trasformato ad oltre 6 milioni di tonnellate, superando l’Italia con un trend ancora in aumento.

lE arEE di ProduzionE in italia: sul Podio Emilia-romaGna E PuGlia

In Italia, la produzione del pomodoro da in-dustria sembra essersi stabilizzata intorno a 5,5 milioni di tonnellate ottenuta su circa 100 mila ettari e con una distribuzione che vede due grandi poli in Puglia (33,5 %) ed Emilia romagna (30%) e tante altre piccole aree di produzione regionali delle quali la più grande è rappresentata dalla Lombardia con poco più del 7,5% come risultato sia del contin-gentamento voluto dall’Unione Europea

In Italia, la produzione del pomodoro da industria sembra essersi stabilizzata intorno a 5,5 milioni di tonnellate ottenuta su circa 100 mila ettari

57a g r i c o lt u r a o g g iV i Ta n g e lo M a g n i F i C o

riPartizionE rEGionalE dElla ProduzionE dEl Pomodoro da industria in italia

regione Produzione (x1.000 t) (%)

Puglia 1852,2 33,7Emilia romagna 1637,8 29,8

lombardia 428,7 7,8Campania 318,8 5,8sicilia 225,3 4,1Basilicata 225,3 4,1toscana 164,9 3,0lazio 153,9 2,8Calabria 137,4 2,5

veneto 87,9 1,6Piemonte 71,9 1,2umbria 55,0 1,0abruzzo 49,5 0,9molise 44,0 0,8marche 27,5 0,5sardegna 22,0 0,4

italia 5502,1 100,0

L’industria di trasformazione produce un’ampia gamma di derivati ottenuti dal frutto fresco di pomodoro: succo da bere, cubettati, pelati, concentrato e passata

che dall’attacco di parassiti (virus e funghi, in particolare) che hanno drasticamente ridot-to, rispettivamente, la produzione nelle aree di nuova espansione come la Calabria ed in quelle di grande tradizione come la Cam-pania. La concentrazione delle produzioni nei due poli ha fortemente differenziato la destinazione del prodotto che vede quello pugliese maggiormente orientato verso la produzione del pomodoro pelato mentre quello emiliano romagnolo è orientato quasi esclusivamente verso il concentrato, il cubet-tato, il succo e i sughi pronti. Altra caratteri-stica è il mantenimento della prevalenza del-le industrie di trasformazione del pomodoro nell’area napoli-salerno (con la produzione quasi del 90% di pelati) malgrado il drasti-

co declino della produzione nella medesima area. La coltivazione del pomodoro da indu-stria in Italia, già da qualche decennio è il mo-dello da copiare sia per le tecniche di produ-zione che le tipologie impiegate che mirano a rese elevate di materia prima di altissima qualità. l’uso di ibridi di ultima genera-

La produzione in Italia vede due grandi poli in Puglia (33,5 %) ed Emilia Romagna (30%) e tante altre piccole aree di produzione regionali delle quali la più grande è rappresentata dalla Lombardia con poco più del 7,5%

quotE di mErCato dEl Pomodoro trasformato

35%

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9% 3%

2%

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13%6%italia

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Paesi Bassi

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Portogallogermania

grecia - Belgio - Canada Cile - Francia

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59a g r i c o lt u r a o g g iV i Ta n g e lo M a g n i F i C o

zione con piantine da vivai specializzati e accreditati per la certificazione della

sanità rispetto ai parassiti più te-muti (virus, funghi, nematodi,

ecc.), l’uso quasi generalizza-to della fertirrigazione, la difesa impostata secondo i criteri della coltivazione integrata, l’impiego di er-bicidi altamente selettivi

consentono materia prima di altissimo livello per quali-

tà ed uniformità delle bacche, spesso con rese altissime (che

possono superare anche le 100 t/ha) ideali per la raccolta meccanica, ormai ge-

neralizzata, anche per le tipologie da pelati. Non è un caso, quindi, se la dicitura Pomodoro san marzano a livello internazionale, si iden-tifica con il pomodoro trasformato, spesso, purtroppo, utilizzata impropriamente per definire e reclamizzare prodotto ottenuto altrove e non sul territorio italiano. Mal-grado tutto ciò, la concorrenza spietata e i minori costi di produzione realizzabili altrove, potrebbero ulteriormente impo-verire il settore italiano senza adeguati interventi in ambito comunitario. E’ in-negabile che la grande tradizione italiana

nella trasformazione del pomodoro non può reggere a lungo senza un deciso in-tervento dell’innovazione e le politiche di supporto. In questo caso verrebbe anche meno lo spirito di chi produsse il primo sugo, di chi provò a riprodurre a livello in-dustriale i sughi preparati dalle massaie italiane e di chi inserì in un contenitore i primi pomodori pelati a mano. Verrebbe tradita, in definitiva, la scelta del pomodo-ro di eleggere l’Italia a Patria di elezione consentendogli di compiere, nel giro di pochi secoli, tutto il cammino che lo ha portato all’apprezzamento universale e a componente base della Dieta Mediterra-nea, pur avendo origine lontane dal Mare nostrum.

Il contingentamento voluto dall’Unione Europea e l’attacco di parassiti (virus e funghi, in particolare) hanno drasticamente ridotto la produzione di pomodoro nelle aree di nuova espansione come la Calabria ed in quelle di grande tradizione come la Campania

60a g r i c o lt u r a o g g iV i Ta n g e lo M a g n i F i C o

PrinCiPali stati trasformatori di Pomodoro

California 10,3 Cina

5,1

Italia4,6

Iran2,0

Brasile1,2

Turchia1,9Spagna

1,7

Portogallo1,0

Grecia0,7

Canada0,6

Cile0,6

Tunisia0,6

Argentina0,3

Tailandia0,3

Algeria0,2

Australia0,2

Israele0,2

Polonia0,2

Le OP aderenti ad UNAPA

Unione Nazionaletra le Associazioni deiproduttori di Patate

UNAPA

Società Consortilea responsabilità limitata

Via Ticino 14 00198 RomaTel. 06 8841563-8 Fax 06 88415851www.unapa.it

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numero soci: 95

William è la seconda varietà in Italia. Il suo mutante William Rossa è del tutto simile, tranne per il colore della buccia

Le pere che noi troviamo sui banchi dei fruttiven-doli e dei supermercati appartengono alla specie bo-tanica Pyrus communis (o pero europeo), originaria di un’area che comprende i Balcani, il Caucaso, la Turchia e i paesi medio-orientali limitrofi.

In alcuni mercati è possibile trovare anche varietà di pero appartenenti alla specie Pyrus pyrifolia, originaria e diffusa in Cina, Giappone e Korea, chiama-te anche pero-mela per la forma simile a quella delle mele o nashi. I nashi, in Italia e in Europa, costituiscono poco più di una curiosità e i mercati sono dominati dalle varietà europee.

La produzione mondiale di pere è di oltre 221 mi-lioni di quintali, di cui circa il 30% costituito da varietà europee e il 70% da varietà asiatiche. Il 44% della produzione mondiale di pere di tipo europeo viene dai paesi europei (nell’ordine: Italia, Spagna, Olanda, Bel-gio, Portogallo, Francia, Ukraina, …), seguiti dall’Asia (17,4%) (Turchia, India, Iran, Uzbekistan, …), dal Sud America (14,2%) (Argentina, Cile, …), dal Nord America (11,8%) (Stati Uniti, …), dall’Africa (10,2%) (Sud

PERE: UN RECORD

TUTTO ITALIANO

AGRiColtuRA oGGiCarlo FideghelliCRA-FRU, Centro di Ricerca per la Frutticoltura, Roma

63A G R I C O LT U R A O G G IC a R lo F i D e g H e l l i

ll’italia, con circa 8 milioni di quintali, è il primo paese

produttore mondiale di pere di tipo europeo.

Gli Stati uniti e l’Argentina seguono

a ruota. il nostro Paese ne esporta circa 1.350.000 q

all’anno per un valore di circa 160-170 milioni

di Euro, collocandosi al terzo posto in Europa,

dopo olanda e Belgio. vantiamo anche il più elevato

consumo pro-capite, circa 11 kg, doppio della media dei

paesi comunitari.

Africa, Algeria, Egitto, …), e dall’Oceania (2,4%) (Australia).

L’Italia, con circa 8 milioni di quintali, è il primo paese produttore mondiale di pere di tipo europeo precedendo di poco Stati Uniti e Argentina. Il nostro Paese esporta ogni anno circa 1.350.000 q per un valore di circa 160-170 milioni di Euro, collocan-dosi al terzo posto in Europa, dopo Olanda e Belgio.

L’Italia ha anche il più elevato consumo pro-capite di pere, pari a circa 11 kg, doppio della media dei paesi comunitari che, nel loro insieme, hanno visto diminuire il consumo medio di circa l’11% nell’ultimo decennio. Nello stesso periodo il consumo italiano è diminuito del 13%.

Nel secondo dopoguerra, con l’abbandono delle colture promiscue e l’affermarsi della frutticoltura specializzata, la coltivazione del pero si è sempre più concentrata nella Pianura Padana, in un’area compresa tra le province di Ferrara, Bologna, Modena e Mantova, che copre oltre il 65% della produzione nazionale. Il pero trova, in questa area del Paese, le condizioni idea-li per la massima espressione produttiva e qualitativa; il clima favorisce una certa “rugginosità” della buccia che, analogamente a quanto avviene per le mele, aumenta la dolcezza della polpa e l’apprezzamento dei consumatori.

La rimanente produzione è suddivisa tra il Veneto (12-13%) e il Piemonte (4,9%) al Nord e due regioni meridionali: Sicilia (9%) e Campania (2,4%). L’Emilia Romagna, da qualche anno, ha ottenuto il riconoscimen-to del marchio iGP (indicazione Geografica Protetta) “Pere dell’Emilia romagna” dall’Unione Europea.

Uno dei punti di forza della pericoltura italiana, rispetto a quella degli altri paesi europei, è sempre stata la maggiore differenziazione varietale che, negli ultimi anni, è andata diminuendo per una crescente

concentrazione delle nuove piantagioni sulla cultivar Abate Fétèl che ha ormai raggiunto il 35-40% della produzione nazionale.

Le altre cultivar importanti sono la William (19-20%) e il suo mutante a buccia rossa Max Red Barlett (1,5-2%), la Conference (12-13%), che è anche la pera più coltivata in Europa, la Kaiser, la Decana del Comizio e la Coscia (tutte intorno al 6,0%). Tra le pere estive, oltre la Coscia (al Centro-Sud), si segnala la Santa Maria (al Centro-Nord). Pochissime sono le varietà co-stituite dal miglioramento genetico recente capaci di inserirsi in un calendario varietale che si rifà a varietà selezionate nel ‘700 e ‘800; tra le poche eccezioni si possono citare la precoce Carmen, costituita a Forlì dall’Istituto Sperimentale per la Frutticoltura e l’autun-nale Angelys, costituita in Francia.

Dal punto di vista varietale, il pero, tra le piante da frutto, è un caso più unico che raro considerando che le sei cultivar più importanti, che coprono il 90% della produzione nazionale, sono state tutte selezionate nel XVIII e XIX secolo, e solo la Coscia è di origine italiana. Per questa ragione le pere sono riconosciute dalla maggioranza dei consumatori che possono scegliere la varietà preferita con facilità, a differenza di quanto

Giovani impianti intensivi.

La Decana del Comizio,grazie alla sua polpa succosa,dolce e profumata, è una delle migliori pere per qualità

64A G R I C O LT U R A O G G IC a R lo F i D e g H e l l i

avviene per la maggior parte dell’altra frutta. Il motivo di una tale immutabilità varietale sta nel fatto che già 2-3 secoli fa i selezionatori avevano raggiunto il massimo della espressione qualitativa presente nella specie.

uN NoME tANtE lE vARiEtàabate fétèl. Prende il nome dall’abate che l’ha in-

dividuata in Savoia (Francia) nel 1866. Il frutto è grosso, di forma tipica, molto allungata; la buccia è sottile, di colore verde chiaro-giallo chiaro, leggermente ruggino-sa. La polpa è bianca, fondente, semi-fine, mediamente succosa, zuccherina, leggermente aromatica.

William (nota negli Stati Uniti come Bartlett). Individuata in Inghilterra alla fine del 1700, prende il nome dal vivaista che l’ha inizialmente propagata. Il frutto è medio-grosso, cidonifome (la forma della mela cotogna); la buccia è liscia, giallo chiaro, a volte leggermente arrossata sulla guancia, cosparsa di lenticelle brune. La polpa è bianca, fine, succosa, dolce e aromatica. La mutazione a buccia rossa Max Red Bartlett, o più comunemente William Rossa, è del tutto simile alla varietà di origine, a parte il colore della buccia. E’ la varietà più diffusa al mondo e, oltre che per il consumo fresco, è la più utilizzata per la trasfor-mazione in sciroppati.

Nel quadrilatero tra Bologna, Ferrara, Modena e Mantova si producono le pere d’eccellenza per qualità e quantità; qui siconcentra oltre il 65% della produzione italiana

Inizio della fioritura

riPartizionE rEGionalE dElla ProduzionE di PErE in italia

area Produttiva quantità

ferrara - Bologna 65 %modena - mantova veneto 12%sicilia 9%Piemonte 4,9%Campania 2,4%altri 6,7%

Bo

fEmo

mn

la ClassifiCa dEllE variEtà di PErE

ll’italia, con circa 8 milioni di quintali, è il primo paese produttore mondiale di pere di tipo europeo precedendo di poco Stati uniti e Argentina. il nostro Paese esporta ogni anno circa 1.350.000 q per un valore di circa 160-170 milioni di Euro, collocandosi al terzo posto in Europa, dopo olanda e Belgio.

66A G R I C O LT U R A O G G IC a R lo F i D e g H e l l i

abate fetel 35-40%

William 19-20%

Conference 12-13%

Kaiser 6%

decana del comizio 6%

Coscia 6%

liscia e sottile, gialla a completa maturazione, verde chiaro alla raccolta. La polpa è bianco-crema, deli-quescente, zuccherina, leggermente profumata. E’ senz’altro la migliore varietà precoce, diffusa in tutto il Mediterraneo.

Sui mercati italiani sarà sempre più presente una nuova varietà estiva, Carmen, contemporanea a Coscia, ma rispetto a questa con frutto più grande, pi-riforme, di ottima qualità gustativa e di aspetto molto attraente per la estesa e viva colorazione rossa.

il RECuPERo dEllE PERE dEi NoStRi NoNNi

Negli ultimi 10-15 anni è stato fatto un importante lavoro di recupero di antiche varietà locali, alcune delle quali sono ancora molto apprezzate ed alimentano mercati di nicchia molto interessanti, ancora suscetti-bili di crescita.

Si citano alcune delle più significative di queste varietà autoctone che fanno parte di una tradizione e di una cultura locale ancora ben radicate in alcuni territori del paese, utilizzate sia come consumo fresco che come pere da cuocere o da trasformare.

Conference. Ottenuta in Inghilterra nel 1884 è, oggi, la varietà più coltivata in Europa. Il frutto è medio, piriforme allungato (assomiglia ad Abate Fétèl); buccia verde chiaro-giallastro, cosparsa di lenticelle, con estesa rugginosità. La polpa è bianco-crema, fonden-te, succosa, dolce.

Kaiser. Selezionata in Francia tra il 1830 e il 1835 e “battezzata” con il nome di Beurré Bosc, si è diffusa in Italia con il nome di Kaiser Alexander. Il frutto è grosso o medio-grosso, piriforme; la buccia è ruvida, totalmente rugginosa, molto tipica. La polpa è bianco-crema, fondente, leggermente granulosa, decisamen-te zuccherina.

decana del Comizio. Altra importante cultivar di origine francese (vallata della Loira), descritta a metà del 1800. Il frutto è grosso, piriforme-tondeggiante; la buccia è liscia e sottile, di colore verde chiaro-gialla-stra, arrossata all’insolazione. La polpa è biancastra, fine, fondente, succosa, dolce e profumata. Il frutto è più delicato delle altre cultivar autunnali, ma è uno dei migliori per qualità.

Coscia. L’origine è incerta e si fa risalire al 1700-1800, in Toscana. Il frutto è medio, piriforme; buccia

Abate Fétèl è la varietà di pera più coltivata in Italia. Si fa apprezzare per la sua polpa bianca,

fondente, zuccherina e leggermente aromatica

varietà autunno-invernali, prevalentemente utilizzate come pere da cuocere:

Martin Sec e Madernassa (Piemonte, Liguria, Lom-bardia, Veneto, dove la Madernassa è conosciuta anche come Cannellino), Cedrata Romana (Piemonte), Spina Carpi (Piemonte, Veneto, Italia centro-meridionale), Lauro (Piacenza), Volpina, Mora, Cocomerina o Briaca (Romagna), Angelica (Marche), Ucciardona (Sicilia, Ca-labria). Anche la Curato, che è però di origine francese,

68 A G R I C O LT U R A O G G IC a R lo F i D e g H e l l i

PrinCiPali arEE dElla ProduzionE di PErE nEl mondo

Europa44 % asia

17,4 %

sud america14,2 %

nord america11,8 %

sud africa 12,2 % australia

2,4 %

è ancora presente in molte regioni italiane, da Nord a Sud, ed apprezzata come pera da cuocere.

varietà estive. Producono, in generale, frutti molto delicati, soggetti ad un rapido ammezzimento interno e per questa ragione adatti solamente ad essere consu-mati entro pochi giorni dalla raccolta sui mercati locali. Tra le più precoci si ricordano le pere di San Giovanni (Marche, Abruzzo e Molise, Puglia, Sicilia) e di S. Pietro (Ragusa e Gargano) che maturano a fine giugno in corri-spondenza delle festività dei due Santi.

Anche il gruppo delle Moscatelle, conosciuto in Sicilia anche come Garofala, è ancora apprezzato per la precocità e il gusto moscato, da Nord a Sud (Bolzano, Veneto, Marche, Umbria, Campania, Sicilia).

Le Spadane (Spadona estiva, Spadoncina, Spa-doncina precoce) costituiscono un gruppo di cultivar presenti soprattutto nell’Italia centro-meridionale, ma anche in Liguria trovano ancora apprezzamento. La Gentile è apprezzata in particolare in Toscana, come la Lardaia (Pisa), la Butirra Bianca d’Autunno (Limoncina d’Estate, Sommerzitrone) in Alto Adige, la Butirna dell’Assunta in Veneto (Padova), il Fico di Udine in Friuli, Mastrantuono all’interno della Campania, Orecchia Fal-sa e Ciccantonio in Puglia (rispettivamente a Taranto e sul Gargano), Pero della Signora in Basilicata (Matera), le Camusine in Sardegna..

La pera Kaiser si distingue per la sua buccia completamente rugginosa, per la polpa bianco-crema fondente, leggermente granulosa, decisamente zuccherina

CSO_ann_pera_IGP_210x297 5-03-2012 9:15 Pagina 1

Colori compositi

C M Y CM MY CY CMY K

Frutti perfetti di Candonga®Sabrosa

In Italia la coltura della fragola, dopo i vistosi aumenti delle superfici registrati nel corso degli anni ‘60 e ’70, fino a raggiungere un massimo di cir-ca 15.000 ettari agli inizi degli anni ‘80, si è costan-temente ridimensionata in tutte le aree produttive. Nel 2011 risultano essere coltivati a fragola 3.553 ettari, senza variazioni rispetto all’anno precedente.

In Italia sono presenti numerose aree produttive piuttosto differenziate per caratteristiche pedo-climatiche ma che si possono distinguere in due grandi macro-aree: ambienti meridionali (Marsala in Sicilia, Lamezia Terme in Calabria, Piana del Sele e Agro-Aversano in Campania e Metapontino in Basilicata) e settentrionali (cesenate, veronese, cuneese e Trentino Alto-Adige). Il trend negativo delle superfici investite è stato particolarmente accentuato nelle aree settentrionali (-83% dal 1980) rispetto a quelle meridionali (-61%): ciò ha portato la fragolicoltura ad essere sempre più concentrata nelle regioni del sud rispetto al nord.

L’evoluzione delle superfici e i miglioramenti varietali e della tecnica colturale, hanno determina-to rispetto al passato un significativo cambiamento del flusso della produzione nazionale. Attualmente è possibile in italia produrre fragole per 12 mesi all’anno. Rispetto allo standard produttivo che si registrava negli anni ’80 è diminuita la concentra-

iFragole

italiane tutto l’anno

le condizioni pedoclimatiche

del territorio italiano, varietà sempre più

innovative, tecniche di coltivazione diverse

e sempre più specializzate consentono di avere

prodotto fresco italiano in tutte

le stagioni.

AGRiColtuRA oGGiWalther Faedi Gianluca BaruzziCRA-FRF, Unità di Ricerca per la Frutticoltura, Forlì

71a g r i c o lt u r a o g g iWa lT H e R Fa e D ig i a n l U C a B a R U z z i

zione di prodotto nei mesi di aprile e maggio, men-tre è aumentata l’offerta nei mesi invernali ed estivi. La tendenza attuale è di accentuare ulteriormente questo trend, allungando il periodo di produzione dei principali areali fragolicoli, sia con l’impiego di adeguate tecniche di coltivazione finalizzate sem-pre più alla “destagionalizzazione” della coltura, sia attraverso l’impiego di cultivar rifiorenti, che pre-sentano la capacità di rifiorire e quindi di produrre continuamente anche se con intensità diverse.

lE AREE MERidioNAliNelle colture protette di questi ambienti si

possono ottenere calendari di produzione molto ampi: da fine novembre fino a giugno dell’anno successivo. Ciò è in gran parte dovuto all’impiego di “piante fresche”, che rispetto alle piante frigocon-servate molto più utilizzate in passato, consentono un più lungo periodo di raccolta evitando picchi di produzione, permettendo una migliore gestione della manodopera aziendale e maggiori caratteri-stiche qualitative del prodotto più remunerato dal mercato.

Le piante fresche utilizzate in Italia sono prin-cipalmente prodotte in vivai di altura (700-800 m) localizzati nel centro della Spagna dove all’inizio dell’autunno si ha – in genere - un numero non

molto elevato di ore di freddo (circa 200) prima di iniziare la loro estirpazione. Spesso per raggiun-gere questo quantitativo di freddo viene ritardata l’estirpazione delle piante dai vivai con conseguen-ze negative sulla loro produzione nei fragoleti. Un notevole quantitativo di piante fresche utilizzate nel Sud dell’Italia proviene anche da vivai localizzati in Polonia, che con maggiore differenza di latitudine e un andamento climatico più freddo consentono di anticipare l’estirpazione e quindi la messa a dimora delle piante in campo, anche di 15 giorni rispetto alle piante spagnole. Per il successo di questo tipo di pianta è indispensabile infatti non ritardare la piantagione oltre la prima decade di ottobre e utilizzare piante mature con un buon sviluppo sia vegetativo che radicale. Le piante nei vivai iniziano la differenziazione delle gemme a fiore che viene in-terrotta durante le operazioni di trapianto e che poi prosegue nei campi di coltivazione fino a quando le condizioni di termoperiodo lo consentono.

Attualmente nel Sud italia si sta affermando anche un altro tipo di pianta fresca chiamata “cima radicata”: viene prodotta in 25-30 giorni grazie alla notevole capacità di radicazione delle cime di stolone su substrato di torba e in condizioni controllate (altissima umidità attraverso interventi di nebulizzazione, temperature costanti, ecc.). Le

73a g r i c o lt u r a o g g iWa lT H e R Fa e D ig i a n l U C a B a R U z z i

Fragoleto a Boves (CN) in parte in coltura di pieno campo e in parte in coltura protetta con tunnel “a cupolino” finalizzato alla protezione dalle piogge

cime vengono raccolte nei vivai provviste di abbozzi radicali. L’interesse verso questo tipo di pianta fresca è principalmente legato alla brevità del ciclo moltiplicativo e soprattutto al maggior anticipo di maturazione che offre rispetto alla pianta fresca a radice nuda. Non tutti i genotipi si adattano a questa tecnica: sembrano più favoriti i genotipi dotati di elevata e precoce capacità rizogena.

L’area fragolicola di Marsala, principale bacino produttivo siciliano, è la zona più precoce a livello nazionale ed è principalmente preposta ad una produzione nel periodo invernale. L’assetto varietale si è radicalmente modificato nell’ultimo biennio: è stata abbandonata la vecchia varietà spa-gnola Tudla®Milsei, rimpiazzata da Florida Fortuna, varietà a bassissimo fabbisogno di freddo inver-nale e quindi molto precoce. Altre varietà come Candonga®Sabrosa e Naiad®Civl35 completano lo standard di questa zona. In questa area in cui è di particolare interesse la precocità, si è assistito ad un sempre maggior impiego delle piante fresche “cime radicate” che consentono produzioni extra-precoci, già a partire dal periodo pre-natalizio, soprattutto se vengono adottati tunnel multipli. Questa modalità di protezione delle coltivazioni è in aumento rispetto alle tradizionali strutture caratterizzate da tunnel singoli.

Nella Piana di lamezia terme, dove si concen-

tra quasi tutta la fragolicoltura calabrese, si sta assi-stendo al declino della varietà storica di origine ca-liforniana Camarosa. La varietà Candonga®Sabrosa non sembra soddisfare pienamente le esigenze dei produttori calabresi a causa della sua epoca di maturazione medio-tardiva e i livelli produttivi non sempre soddisfacenti; alcune nuove varietà come Rania, Nabila e Kilo rappresentano ancora una pic-cola quota dello standard varietale di questa zona. Le coltivazioni protette vengono costituite grazie all’impiego di tunnel di grandi dimensioni in grado di assicurare una maggiore precocità di maturazio-ne dei frutti. In questa zona è pressoché scomparsa la coltura di pieno campo, un tempo dominante.

Anche nella Piana del Sele in Campania, Camarosa rappresenta ancora la varietà domi-nante, ma è in corso una notevole ridimensiona-mento delle superfici a favore principalmente di Candonga®Sabrosa particolarmente apprezzata dai consumatori per gli elevati standard qualitativi dei frutti. Da segnalare in Campania l’interesse verso nuove cultivar spagnole come Sabrina (soprattutto nell’Agro-Aversano) e Amiga.

Il metapontino è l’area fragolicola della Basi-licata caratterizzata da condizioni climatiche più fredde rispetto agli altri ambienti meridionali su indicati. Le piante fresche, che da una parte consen-tono una precoce entrata in produzione, dall’altra

Fragoleto a Pergine (TN) in coltura “fuori suolo”

74a g r i c o lt u r a o g g iWa lT H e R Fa e D ig i a n l U C a B a R U z z i

l

luna particolare tecnica di coltivazione autunnale-primaverile, nota come “coltura autunnale vero-nese”. Dallo stesso impianto si ha un doppio ciclo di fruttificazione, in autunno e nella primavera successiva grazie all’impiego di piante frigocon-servate di grosse dimensioni (A+), per la maggior parte prodotte in vivai localizzati nel veronese, nelle vicinanze delle aree produttive stesse. Non tutte le varietà si adattano a questa tecnica e attualmente lo standard varietale è dominato da Eva, selezionata nell’ambito di un programma di breeding pubblico-privato condotto nel veronese. Eva deve il suo successo anche alla capacità di emettere un secondo flusso di fioritura dopo quello principale, consen-tendo un significativo prolungamento del periodo produttivo. Per questo motivo è interessante anche il comportamento di Irma, varietà rifiorente in grado di estendere il flusso produttivo per tutto il periodo estivo. Nel veronese si è affermata anche Roxana grazie alla sua notevole produttività nel periodo autunnale, anche se nel periodo primave-rile appare un po’ troppo tardiva e con frutti di non elevata qualità.

In Piemonte la fragola è concentrata princi-palmente nelle aree del cuneese a quote comprese tra i 550 ed i 1.100 m di altitudine ed è finalizzata a periodi di raccolta più tardivi (le cultivar unifere si raccolgono da fine maggio a luglio) rispetto a quelli della Pianura Padana. La fragolicoltura piemontese ha fatto registrare negli ultimi anni un considerevo-le calo di superfici, il più accentuato di tutte le aree di produzione nazionali, principalmente a causa della forte concorrenza che il prodotto incontra sui mercati con conseguenti cadute del prezzo. Sono diffuse sia varietà unifere (Alba, Arosa, Clery) sia ri-fiorenti (Evie 2, San Andreas, Portola) in grado, con piante poste a dimora in aprile, di fornire un flusso produttivo da luglio fino ad ottobre.

In trentino la coltura è da tempo finalizzata alla produzione di fragole nel periodo estivo, grazie alle colture programmate principalmente fuori

rendono la coltura più soggetta ai rischi dovuti agli abbassamenti termici che si possono registrare a fine inverno-inizio primavera. Lo standard varietale di quest’area è quasi completamente dominato dalla varietà di origine spagnola Candonga®Sabrosa.

lE AREE SEttENtRioNAli

Negli ambienti settentrionali la fragola è coltiva-ta sia in valle Padana sia negli ambienti di monta-gna alpini, con due principali bacini di produzione localizzati nel cuneese e in trentino-Alto Adige. Queste aree fragolicole presentano flussi produtti-vi concentrati in differenti periodi: aprile-maggio per le aree di pianura a cui si aggiunge ottobre-novembre per il veronese; tutto il periodo estivo fino all’autunno per le aree di montagna.

Nell’area cesenate si concentra circa l’80% della fragola emiliano-romagnola, in gran parte ancora coltivata in pieno campo (70%), anche se è da tempo in atto anche in quest’area la tendenza alla copertura dei fragoleti con tunnelloni più finalizzati alla protezione della coltura dalle piogge durante il periodo fioritura-raccolta che ad anticipare la precocità delle produzioni. Va comunque eviden-ziata l’incidenza significativa del tradizionale tunnel cesenate (circa 15% del totale) posto in opera a fine gennaio e finalizzato ad anticipare la maturazione dei frutti di circa un mese rispetto al pieno campo. In questa area si è pienamente affermata la varietà a maturazione precoce Alba, seguita da Roxana, Tecla e Clery, quest’ultima caratterizzata da un buon sapore del frutto. Nel cesenate è importante il ruolo ricoperto dalle coltivazioni biologiche (15% del totale) ottenute in coltura protetta.

Il veronese è ormai da tempo il principale baci-no di produzione degli ambienti settentrionali ed è secondo, a livello nazionale, solo all’area della Piana del Sele (Campania). La fragolicoltura veronese è l’unica ad aver mantenuto nel tempo le proprie superfici e addirittura in alcuni anni le ha legger-mente aumentate. Alla base di questo successo c’è

l’evoluzione delle superfici e i miglioramenti varietali e della tecnica colturale, hanno determinato rispetto al passato un significativo cambiamento del flusso della produzione nazionale.

75a g r i c o lt u r a o g g iWa lT H e R Fa e D ig i a n l U C a B a R U z z i

suolo della varietà Elsanta. Questa interessante tecnica di coltivazione prevede l’utilizzo di piante “ingrossate” come le Tray Plant ottenute da piante fresche “cime radicate” fatte sviluppare in apposi-ti contenitori alveolati. In pieno riposo invernale vengono frigoconservate a -2°C fino al momento della loro messa a dimora che può essere effettuata da aprile fino a luglio a seconda di quando si intende programmare la raccolta (mediamente inizia 40-50 giorni dopo la piantagione). In genere, le piante che fruttificano durante i mesi estivi, vengono mantenu-te per un secondo ciclo produttivo nella primavera successiva (maggio-giugno in base all’altitudine di coltivazione). Si sta sempre più diffondendo l’accor-gimento tecnico di spostare le piante durante la fase di “ingrossamento” in alveolo a diverse altitudini, o addirittura in altri areali come quello veronese, al fine di prolungare il periodo di differenziazione delle gemme e quindi di consentire un incremento del loro livello produttivo. Negli areali trentini si stanno diffondendo anche alcune varietà rifioren-ti come Evie 2, che consentono un prolungato e regolare flusso produttivo estivo. In genere le piante frigoconservate di tipo A vengono messe a dimo-ra in aprile e quindi non sono soggette al costoso ingrossamento delle piante in alveolo, come invece avviene per le cultivar unifere.

In Alto Adige, la fragolicoltura è principalmente concentrata in val Martello a diverse altitudini che possono arrivare fino a 1.700 m. Viene adotta-ta, unico caso in Italia, una tecnica di coltivazione che prevede il mantenimento dei fragoleti fino a 3 anni. L’impianto viene eseguito verso la fine della primavera, generalmente utilizzando piante ingrossate (A+ o TP) in grado di fornire un primo flusso produttivo nel corso dell’estate. In genere il fragoleto viene mantenuto per altri 2 anni fornendo produzioni concentrate in periodi variabili a secon-da dell’altitudine (da fine giugno a metà agosto). La tecnica colturale, a differenza di quella adottata in tutti gli altri areali italiani, è simile a quella di alcuni

ambienti Nord americani; prevede un rinnovo delle piante in quanto vengono fatti radicare stoloni presenti nell’interfila durante il periodo estivo. La fragolicoltura di questi ambienti, piuttosto difficili per le particolari e fredde condizioni climatiche (temperature molto rigide invernali, spesso senza copertura nevosa, abbassamenti termici primave-rili), attualmente si basa su varietà come Elsanta, Marmolada®Onebor e Record in quanto più di altre si sono adattate a queste condizioni.

CoNSidERAzioNi CoNCluSivELa fragola nel territorio italiano così diver-

sificato per condizioni pedo-climatiche, svolge un ruolo ancora molto importante. Con i diversi standard varietali, con tecniche anch’esse diverse, ma sempre più specializzate che necessitano sempre più operatori altamente qualificati, si è in grado di avere un continuo flusso di prodotto “italiano” che copre la richiesta del mercato per l’intera annata. Infatti il consumatore apprezza gustare fragole in tutte le stagioni. Si lamenta la mancanza di una efficace politica commerciale del “sistema Italia” che valorizzi e tuteli queste produ-zioni, che favorisca rapidamente lo sviluppo delle sole varietà di qualità riconosciuta, che veicoli una corretta informazione al consumatore sull’origine esatta del prodotto, indicando le varietà, le tecniche di coltivazione, le caratteristiche qualitative e le proprietà nutraceutiche dei frutti. In pratica tutto quello che oggi manca in quanto il consumatore al momento dell’acquisto è messo in condizione di conoscere bene solo l’elemento prezzo. Ciò pone spesso il prodotto italiano, caratterizzato da alti costi di produzione, non più in grado di competere con altre realtà, fragolicole europee o nord africane. Si corre il grande rischio che la grande biodiversità del settore fragolico italiano tenda a scomparire, perdendo quindi un patrimonio di conoscenza e di professionalità che fino a pochi anni fa era invidiato da tanti operatori di molti Paesi esteri.

sSi lamenta la mancanza di una corretta informazione al consumatore sull’origine esatta del prodotto, indicando le varietà, le tecniche di coltivazione, le caratteristiche qualitative e le proprietà nutraceutiche dei frutti.

76a l i m E n ta z i o n E E c o n S u m iWa lT H e R Fa e D ig i a n l U C a B a R U z z i

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AliMENtAzioNE E SAlutEGiovanni lerckerAlma Mater Studiorum-Università di Bologna

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Il consumo di alimenti conservati allo stato surgelato è attualmente molto diffuso, a causa dei cambiamenti degli stili di vita e delle abitudini alimentari, ma non è stato così nel recente passa-to. I nostri genitori, o i nostri nonni, hanno avuto nei confronti dei prodotti congelati un’avversione tota-le. Questo atteggiamento negativo si è instaurato in quanto questo tipo di alimenti commercializzati non avevano avuto una continuità della “catena del freddo” per mancanza di apparecchiature adegua-te, soprattutto quelle a livello casalingo. Infatti, alla fine della seconda guerra mondiale, con la lenta diffusione dei primi frigoriferi, basati sul freddo prodotto da una stecca di ghiaccio in un contenito-re chiuso, molti alimenti hanno avuto sì un prolun-gamento della conservazione a livello di refrigera-to, ma non nelle condizioni di prodotto congelato. Questo aveva generato numerosi problemi di qualità microbiologica e gustativa dei prodotti congelati una volta scongelati dal consumatore (o al momento della vendita), talmente invasivi da allontanare il possibile acquisto e consumo.

Alcune decine di anni dopo i frigoriferi dome-stici che avevano già una zona freezer iniziarono a diffondersi e con essi la ripresa della fiducia per i prodotti congelati.

Ancora oggi è rimasta una certa diffidenza sulla qualità di alcuni alimenti congelati, come ad esem-pio i pesci, limitata però solo alla qualità edonistica ritenuta inferiore a quella dei freschi corrispon-

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FRESChI O SURGELATIQui non sta il dilemma

lo sapevate che il prodotto surgelato

spesso è molto più “fresco” di quello non

surgelato e migliore dal punto di vista nutritivo?

impariamo a conoscere i principi di una buona conservazione dei cibi.

denti. Oggi, con le più attuali attrezzature disponi-bili per la pesca e per la lavorazione del pesce sulla nave “fattoria”, il pesce surgelato è molto spesso più fresco di quello non surgelato e migliore dal punto di vista sensoriale.

Come agisce la congelazione e la surgelazione

Il freddo, a qualsiasi valore della temperatura lo si utilizzi, è in grado di prolungare la conservazione di un alimento: più bassa è la temperature più lungo è il tempo, che raddoppia ogni abbassamento di circa 10 °C. Se la temperatura è portata al di sotto degli 0 °C l’acqua nell’alimento inizia a cristallizzare solidificando: a temperature molto basse lo fa più velocemente, ma la formazione di uno strato di ghiaccio –perfetto coibente naturale- che avanza dall’esterno verso l’interno dell’alimento rallenta la velocità di congelamento. Per questo effetto, la migliore scelta per ottenere un rapido congelamen-to, non è quella di trattare l’alimento a temperature molto più basse dei -20 °C basse, ma di scegliere o preparare alimenti da congelare che abbiano uno spessore minore possibile. Ad esempio la fettina di carne congela meglio della bistecca alla fiorentina, per lo spessore più favorevole alla velocità di con-gelamento. Operando su una pezzatura di spessori

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ridotti, come troviamo in molti prodotti vegetali congelati (“cubettati”) in busta nei supermercati, la velocità a basse temperature può superare i 4 centimetri di spessore ogni ora: queste condizioni sono richieste per i prodotti surgelati.

Ma perché gli alimenti surgelati sono migliori di quelli congelati? Si tratta della migrazione dell’ac-qua che avviene in tutti i trattamenti termici, sia quelli che raffreddano che quelli che riscaldano. Nel caso della congelazione la superficie che via via avanza dall’esterno verso l’interno, durante il procedimento, tende a richiamare dalle zone circo-stanti acqua: questa allo stato liquido migra, con i suoi soluti (sali, zuccheri, ecc.) e va a cristallizzare allo stato puro sulla superficie congelata lascian-do le sostanze trascinate con sé nella zona dove ha cristallizzato. Tale effetto, tanto più vistoso quanto più lenta è la cristallizzazione (durante il congelamento) e quanto maggiore è lo spessore dell’alimento, si completa con la produzione di un alimento un po’ differente al suo interno per una maggiore disomogeneità di composizione rispetto a quella di partenza.

Quando decideremo di scongelare, dopo una conservazione più o meno prolungata per ottenere l’alimento da cucinare o da consumare diretta-mente, la scelta migliore è quella di operare più

pPer un consumo ideale il prodotto conserva le sue caratteristiche ottimali se utilizzato entro la data riportata sul fianco della confezione. una volta scongelato, il prodotto non deve essere ricongelato e può essere conservato in frigorifero. Alimento da consumarsi previa cottura.

ConGElazionE: surGElazionE

formazione di macro-cristalli di ghiaccio formazione di micro cristalli di ghiaccio

1. Cristalli di ghiaccio - 2. Cellule - 3. Pareti cellulari 1. Cristalli di ghiaccio - 2. Cellule - 3. Pareti cellulari

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aPProfondimEnto 1: la CatEna dEl frEddo

Il percorso che un alimento surgelato compie per arrivare integro alla tavola del cliente si chiama “ca-tena del freddo”.La legge regola tutti i passaggi dei prodotti surgelati dalla produzione fino al banco di vendita, che rappre-senta l’ultimo anello della catena.Ogni fase è programmata per mantenere regolare la temperatura dell’alimento surgelato e, di conse-guenza, alta la sua qualità. Il produttore, da parte sua, deveporre ogni attenzione affinché ciascun anello della catena sia efficiente, avendo come obiettivo quello di offrire all’utilizzatore prodotti di assoluta qualità.Anche il cliente, però, deve adottare alcune semplici precauzioni:• Comprare i surgelati per ultimi durante la spesa e,

specialmente nella stagione calda o se il tragitto è lungo;

• Riporre i surgelati in un apposito contenitore (es. busta, cassa in polistirolo, congelatore portatile), che ne rallenta l’innalzamento della temperatura durante il trasporto fino al congelatore dell’eser-cizio;

• Utilizzare i prodotti secondo la data di durabilità (da consumarsi preferibilmente entro il) indicata su ogni confezione, consumando prima quelli con la data più vicina (sistema FIFO: First In First Out) e seguire le istruzioni indicate in etichetta per il corretto utilizzo, evitando di ricongelare i prodotti già scongelati.

ConsErvazionE domEstiCa

nel congelatore

o vedi data consigliata sul lato della confezione

(-12°C) 1 mese

(-6°C) 1 settimana

nello scomparto del ghiaccio

(-18°C)

3 giorni

il ProCEsso Produttivo

Produzione vegetali

al naturale

Ricevimentomateria prima

lavaggio

Preparazione

Scottatura Cernita

Surgelazione iQF

Stoccaggio in cella a bassatemperatura

Conservazione industriale

alimentazionee preparazione

prodotti miscelati

Spedizione

Cernita Cernita

Cernitagrigliatura inforno

Preparazione PreparazionePrefrittura

lavaggio lavaggioinfarinatura pastellatura

Ricevimentomateria prima

Ricevimentomateria prima

alimentazione e semilavorato

Produzione frutta

Produzione vegetali

pastellati

Produzione vegetali grigliati

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lentamente possibile: dalla zona freezer a quella frigorifera fino al giorno seguente prima di consi-derare scongelato l’alimento.

Quindi le condizioni operative migliori sono: tempi più lunghi possibili di scongelamento a fronte di congelamenti più rapidi possibili. Questo perché lo spostamento dell’acqua deve avvenire anche in fase di scongelamento e più lentamente avviene più tempo viene concesso alla ricostituzio-ne delle composizioni originali.

Le carni congelate o scongelate male, ad esempio, saranno stoppose e tigliose anche dopo la cottura e non gradevoli al consumo. Inoltre la formazione, lenta, di cristalli di ghiaccio di una certa dimensione produrrà rotture meccaniche delle strutture cellulari, con fuoriuscita di liquidi cellulari che in fase di scongelamento (anche se lento) faranno separare liquidi associati a compo-nenti nutritivi.

Gli alimenti vegetali allo stato congelato sono

presenti da pochi anni sul mercato e sono nella maggior parte cotti e congelati. Quei pochi vege-tali non cotti sono stati comunque “scottati” per evitare la formazione di colorazioni scure, causate da azioni enzimatiche (polifenolossidasi) durante la conservazione. La pezzatura dei vegetali non è mai molto grande per avere una certa struttura allo stato di scongelato, e lo spessore dei pezzi è sem-pre modesto: dadi di 1-1,5 centimetri e fette di circa 0,5 centimetri. Queste dimensioni sono scelte per avere un rapido congelamento (surgelazione) e una migliore omogeneità del singolo pezzo di prodotto una volta scongelato.

In virtù delle loro dimensioni ottimali i piselli sono stati fra i primi prodotti vegetali congelati in busta, subito seguiti dalla patate a stick (chiamate anche french fries). Queste ultime, in relazione alla scottatura necessaria al mantenimento del colore durante la conservazione in freezer, prima di tale trattamento sono private delle sostanze

lo scongelamento richiede il rispetto dei tempi ottimali: un cattivo scongelamento danneggia le proprietà nutritive del cibo

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solubili superficiali (zuccheri) che inevitabilmente imbrunirebbero con la conservazione, in seguito del trattamento termico di scottatura. Le patate congelate in busta per effetto delle tecnologie che stabilizzano le loro caratteristiche, hanno anche una migliore qualità per gli aspetti salutistici, di quelle che potremmo cuocere a livello casalingo a partire dalle patate fresche.

Dal punto di vista tecnologico, è possibile che un alimento appena raccolto o macellato oppure pescato, se immediatamente surgelato risulti più fresco al consumo dello stesso alimento che viene commercializzato come prodotto fresco, inevi-tabilmente in commercio dopo qualche giorno di vita (da 1 a 3 giorni, in relazione al tipo di alimento). Questo è dovuto al mantenimento delle quantità di sostanze caratteristiche del prodotto fresco: vitamine, antiossidanti, aromi, ecc..

è necessario ricordare che la conservazione delle carni in freezer allo stato di congelato o di surgelato, non è infinita, ma è condizionata da modificazioni fisico-meccaniche ed organolettiche non positive. Infatti esiste un meccanismo di tipo fisico che porta in tempi lunghissimi ad una ristrut-turazione dei componenti cristallizzati ad aggrega-zioni di maggiore dimensione, soprattutto a carico

lla conservazione delle carni in freezer non è infinita. Se protratta nel tempo può comportare una modificazione dei componenti cristallizzati, con conseguenti effetti negativi

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dell’acqua, con conseguenti effetti negativi, già considerati nel caso di una lenta congelazione, nel prodotto che andremo a consumare.

Anche se il congelamento, a parità di tutti gli altri parametri scelti, darebbe risultati migliori impiegando carni più ricche di grassi (marez-zatura) –quelli di infiltrazione dei tessuti, non sempre vistosi- la loro presenza però condiziona lo sviluppo di odori sgradevoli di rancido in tempi di conservazione non molto lunghi, dell’ordine dei 9-15 mesi in relazione al livello di insaturazione dei grassi stessi (cavallo>tacchino>pollo>maiale>bovino, > = maggiore).

Dopo lo scongelamento tutti i tipi di carne riprendono a degradarsi in conseguenza delle pos-sibili reazioni chimiche e per via dello sviluppo dei microrganismi, con una velocità maggiore di quella che avevano al momento della congelazione e a par-tire dal livello raggiunto dal corrispondente sviluppo microbico. Questo comportamento comune a tutti gli alimenti, indicato come “effetto primavera”, fa si che una volta scongelato un prodotto alimentare non si possa più sottoporre a congelamento, proprio per evitare al successivo futuro scongelamento una degradazione troppo rapida e quantitativamente inaccettabile per gli aspetti igienici.

Fotografie per gentile concessione di Orogel

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Scrive Erri De Luca che la forma a stivale dell’Italia non è servita in passato per dare un calcio ai popoli che in tutti i tempi si sono avvicinati a lei, ma in virtù della sua posizione in mezzo al Mediterraneo, per accoglierli e dare loro la possibi-lità di interagire con le popola-zioni originarie, nello sviluppo delle attività commerciali, agri-cole e culturali. Questo incontro tra uomini, siano essi mercanti o emigranti, ha creato nel nostro Paese infiniti limes, intesi come confini culturali dove sono nate le infinite espressioni del calei-doscopio agro-alimentare che tutto il mondo ci invidia.

Ogni volta che un popolo entra in un territorio di un’altra popolazione si crea una frontie-ra e di norma, si verificano due circostanze: una di contrappo-sizione che porta al manteni-mento pressoché stabile delle

culture che si confrontano ed un’altra di

integrazione del-le due culture, dove

la più forte detta le condizioni della fusione .

I confini sono notoriamen-

IL LUNGO PERCORSO DEL VINOs te luoghi di crisi, di tensioni

etniche, di contrapposizioni ma anche di scambio, di regolazio-ne di sistemi diversi,di innova-zione. Gli antropologi chiamano queste espressioni culturali edge effect, effetto bordo. Un confine è infatti, un parados-so culturale che può essere contemporaneamente luogo di separazione (di creazione di quelle che vengono definite le cosiddette culture parallele) e di incontro e fusione (o delle convergenze).

uN CRoGiuolo di CultuRE

L’Italia con la sua posizio-ne tra occidente ed oriente,su percorsi e rotte di popolazioni che l’hanno attraversata in ogni tempo, con le innumerevo-li manifestazioni culturali e produttive della sua viticol-tura, è la testimonianza più efficace del risultato che si è ottenuto dall’incontro di più culture. Sono innumerevoli gli elementi che definiscono un confine. Oltre ai confini spaziali, rappresentati da ostacoli alla circolazione degli uomini quali i mari, le catene di montagne, i deserti, i fiumi, di più difficile superamento sono confini cul-turali, religiosi e linguistici. In viticoltura si ricordano i confini segnati dalle entità terminolo-giche (es il termine karax, palo da vite messaliota, che separa la viticoltura di impostazione

I Greci sono stati i primi a introdurre il culto del vino nella Magna Grecia e da bevanda per ricchi patrizi diventa inseparabile nutrimento ma anche piacere per la massa.

CultuRA E SoCiEtàAttilio scienzaDipartimento di Produzione Vegetale, Università degli Studi di Milano

Prima partela grande storia

del vino é stata scritta dai Romani

ed esportata poi nel resto d’ Europa.

i Greci sono stati i primi a introdurre il

culto del vino nella Magna Grecia.

la larga diffusione del vinum induce ben presto commercianti

e imprenditori romani ad esportare

la bevanda attraverso le legioni dislocate

nei vari territori dell’impero.

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IL LUNGO PERCORSO DEL VINO

greca da quella della antica Liguria), dalla diffusione delle varie tipologie di strumenti per la coltivazione della vite e la vinificazione come il castello e la nave per il trasporto dell’uva e del vino in ambito padano, le tipologie di torchio e di roncola per la potatura. Così i riti funerari (incenerimento o inumazione) che prevedevano l’uso di recipienti sacrificali ed il consumo di vini dalle caratte-ristiche particolari, dividevano popolazioni di origine molto diversa. Anche la dicotomia del paesaggio segnata da forme di allevamento ad alberello o ad alberata, ha consentito di evidenziare i tratti distintivi delle tipologie viticole (vitigni, caratteri dei vini) dei popoli che erano venuti a contatto. Ancora oggi l’occhio attento dell’osservatore erudito coglie nelle tipologie dei muri dei terrazzamenti, dei ricoveri dei vigneti, nei materiali e nelle forme che caratterizzano le cantine il segno delle antiche origini, soprattutto nei luoghi dove le due culture sono venute a contatto.

L’Italia è ricca di questi limes: basti pensare solo a titolo esemplificativo, ai confini na-scosti che separano la viticoltura latina da quella greca nell’isola d’Ischia o quella dell’enclave etrusca di Capua riconoscibi-le dall’Asprinio, vitigno dalle origini comuni ai lambruschi e dalla forma d’allevamento ad alberata, circondata dai territori degli eritresi, o la viticoltura di ispirazione longobarda ad ovest di Bologna da quella bizantina fino al mare.

“ le anfore romane sono vasi di terracotta a due manici, di forma affusolata, utilizzate

nell’ antichità per il trasporto di derrate

alimentari liquide come il vino e l’ olio.

il contributo dell’espansionismo romano in Europa nella formazione della viticoltura antica.

De nobis fabula narratur: questa storia parla anche di noi. Con questa frase F. Bourne, un autorevole storico americano, apriva e concludeva le sue lezioni universitarie sul mondo latino.

Circa 1800 anni fa, un soldato romano, un commerciante o un esattore delle imposte del III sec d.C. aveva 85.000 km di strade lastricate con cui viaggiare dal deserto africano alle brughiere scozzesi e poteva scambiare con 50 milioni di persone la stessa valuta, il denarius.

Ci si chiede spesso perché i romani dominarono il mon-do occidentale. Per alcuni fu la forza militare, per altri il bisogno di grano, schiavi, metalli. Non fu piuttosto la loro capacità di governo, come scriveva Virgilio nell’Eneide: “governare i popoli con ferme leggi”? Forse il segreto sta nel fatto che i romani a diffe-renza di altri popoli non vedeva- ›

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no negli stranieri sudditi da do-minare, ma concittadini con cui collaborare. Non a caso gli ameri-cani esprimono questo concetto con un motto latino e pluribus unum. In questo atteggiamento collaborativo si può ascrivere l’origine di molti vitigni, coltivati anche oggi in molte regioni del mondo. Roma si può considerare il paradigma di quella situazione, la imperial oversretch ovvero la sovraespressione imperiale, evento che ebbe inizio attorno al III sec d.C. e che curiosamente coincide con i primi processi di formazione delle varietà di vite, in un’area molto lontana dall’ager campanus, allora considerato la culla della migliore viticoltura italica, in quella dei limes dell’Im-pero minacciati dai barbari, sulle sponde del Reno e Danubio.

La delocalizzazione della vi-ticoltura nel corso della storia di Roma è una costante che teneva

conto delle mutate condizioni economiche e sociali dei luoghi dove era praticata. Da una viticol-tura dell’Urbe e dei Colli attorno alla città, si passa alla produzione di vino nel territorio compreso tra la Campania ed il Lazio, per soddisfare il fabbisogno di vino dell’aristocrazia romana e degli “arricchiti”, che avevano trasferi-to in quei luoghi le loro residenze e dei frequentatori di Pompei ed Ercolano. Lo spostamento dei centri di controllo dell’Impero da Roma, a Ravenna e Lione ed in seguito a Treviri per la Gallia, unitamente alla necessità di difendere i confini orientali con il trasferimento della gran parte delle legioni, aveva reso neces-saria la creazione di una viticol-tura di prossimità nei luoghi di consumo. Non va dimenticato un aspetto molto importante rappresentato dalla rarefazione della manodopera a basso costo rappresentata dagli schiavi, fortemente ridotti dalla crescente diffusione del Cristianesimo.

Quando si toccano temi

effetto dell’incontro dei legionari con le popolazioni locali. Appare comunque legittima una doman-da: come mai nella viticoltura creata dai romani in ambienti freschi ed umidi come erano le rive dei grandi fiumi europei non è stata adottata la forma d’alleva-mento costituita dalle alberate, allora la prevalente nei territori a clima temperato?

Dal IV sec.a.C. i greci focesi avevano iniziato la Massaglia (l’attuale Marsiglia) a com-mercializzare lungo il Rodano ed il Reno i vini portati dalla Grecia e quelli prodotti in loco. Questi vini, molto lontani dal modello romano, alcoli-ci, aromatici e dolci, avevano conquistato gli abitanti della Gallia interiore che avevano identificato nella viticoltura gre-

ca, rappresentata dall’alberello, l’unica capace di produrre vini di qualità. Anche le condizioni termiche poco favorevoli della fase climatica dei primi secoli dopo Cristo, avevano costretto i gallo-romani a scegliere forme di allevamento che tenevano le viti vicino a terra, per poterle facil-mente interrare prima dell’in-verno e per utilizzare il calore che forniva il suolo.

Questa forma d’allevamento molto originale che richiama una pergola molto bassa a tetto orizzontale, chiamata Kam-mertbau o vigna camerata, venne utilizzata anche durante la “piccola glaciazione” soprat-tutto in Svevia ed Alsazia.

Ma esisteva in Gallia una viticoltura precedente a quella che i romani avevano creato in

connessi alla storia dell’econo-mia romana, il percorso si mo-stra irto di insidie. Non mancano certo gli spunti per descrivere le condizioni materiali della società e degli ambienti o per proporre riflessioni suggestive sulle condizioni della viticoltura, ma l’assenza del punto di vista che rintracciava nell’economia lo schema di un sistema unitario, quel contatto tra natura e lavoro umano organizzato, crea una specie di zona morta dell’inci-vilimento umano, costituito dal lavoro schiavistico. Da questa dannazione del lavoro materiale si salvava solo la fatica personale del contadino libero che viveva coltivando la propria terra. In questa forse stava la differenza tra la viticoltura della Gallia e quella dell’Italia dopo la seconda guerra punica, con la riconquista da parte di Roma delle regioni padane e dell’Italia meridiona-le. L’enorme massa di schiavi, risultato dalle guerre venne utilizzata nelle nuove proprietà terriere. Sono necessarie due considerazioni.

La prima riguarda il model-lo viticolo adottato dai romani nell’Italia meridionale che non è quello etrusco o paleo ligure diffuso dai Galli Cenomani nelle regioni padane ma ricalca quel-lo trovato nella Magna Grecia, anche se rimaneggiato in alcune caratteristiche strutturali (l’ado-zione del palo secco) e che sarà adottato anche nella nuova vi-ticoltura sui confini, la seconda è che in una condizione servile, anche se gli schiavi provengono da luoghi molto lontani, non ci poteva essere innovazione gene-tica e quindi la nascita di nuovi vitigni come invece è avvenuto nell’Europa continentale per

AFoRiSMi Sul viNoVino pazzo che suole spingere anche l’uomo molto

saggio a intonare una canzone, e a ridere di gusto, e lo manda su a danzare, e lascia sfuggire qualche parola

che era meglio tacere. (Omero)

Cenai con un piccolo pezzo di focaccia, ma bevvi avi-damente un’anfora di vino; ora l’amata cetra tocco con

dolcezza e canto amore alla mia tenera fanciulla.(Anacreonte, circa 570 a.C. – circa 485 a.C.)

Il bronzo è lo specchio del volto, il vino quello della mente. (Eschilo, 525 a.C. – 456 a.C.)

Il vino eleva l’anima e i pensieri, e le inquietudini si allontanano dal cuore dell’uomo.

(Pindaro, 518 a.C. circa – 438 a.C. circa)

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Provenza? Cesare (55 a.C.) e Tacito (100 a.C.) affermavano che in Germania non esisteva nessuna espressione di viticoltu-ra e che l’unica bevanda alcolica conosciuta era la birra, ottenuta dalla fermentazione di cereali. Il vino era comunque consumato (..proximi ripae et vinum merca-tur) ma era prodotto altrove.(1 - Continua)

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gni qual volta raggiungo il Trentino, non posso esimermi dal chiedermi se il sentimento di bel-lezza che provo dipenda più dallo skyline delle immense Dolomiti o dall’armoniosa configurazione dei paesaggi punteggiati dalla geo-metria delle viti che, per un centinaio di kilometri, mi accompagnano dal lago di Garda fino alle montagne.

Non voglio certo sottovalutare la grandiosità e l’originale disegno di rilievi montuosi celebri in tutto il mondo.

Tuttavia, appena superati i confini del grande lago, a partire da cir-ca 70 metri dal livello del suolo, prendendo la direzione che porta

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L’AZIENDA TRENTINA, UNO DEI MAGGIORI PLAyERS ITALIANI

NEL SETTORE VINICOLO DI qUALITà, BASA IL SUO

SUCCESSO SULLA PERFETTA CONOSCENZA DEL TERRITORIO

E SULLE VIRTUOSITà DEL RAPPORTO TRA TRADIZIONE E TECNOLOGIE D’AVANGUARDIA.

antonio Bramclet

cover Story

Il fuTuro delVIno è Adesso

a Nord, fino all’altezza di circa 800 metri, si attraversa un territorio coltivato con somma cura a vite. La musicalità di questi paesaggi mossi, perfetta fusione tra una natura generosa e un’umanità ope-rosa, è indimenticabile quasi quanto l’incanto delle Alpi.

Devo aggiungere che in questo caso la bellezza percepita del ter-ritorio possiede una singolare corrispondenza con i suoi karpos (ov-vero con i buoni frutti della sua terra).

In Trentino, infatti, grazie alla straordinaria variazione di microcli-mi e alla differenziazione della struttura dei terreni, troviamo una grande varietà di vitigni che restituiscono uve qualitative con le qua-li si produce la massima concentrazione di vini doc del nostro Pa-ese e forse del mondo. Per chi ama la ferrea logica dei numeri posso ricordare che a fronte di una media nazionale del 30% di Doc sul totale della produzione vinicola, il Trentino può esibire un incredibile 80% di produzione Doc.

Cavit ovvEro la virtuosità dEllE rEtE Produttiva

La stragrande maggioranza dei vini di qualità che ho ricordato sono prodotti da una rete di consorzi che si sono uniti per confi-gurare un dispositivo economico potente, efficiente e supercom-petitivo, conosciuto da tutti gli appassionati della cultura del vino con la marca Cavit.

Questo consorzio che potremmo definire di secondo livello, nel senso che rappresenta un consorzio di 11 Cantine, sta diffondendo nel mondo vini considerati dagli intenditori al top della loro categoria.

Il primo raggruppamento di cantine avvenne negli anni cinquan-ta. In quei giorni decisivi per lo sviluppo della produzione vinicola trentina, la missione del Consorzio fu di assistere i viticultori per quanto riguarda la loro “formazione” intesa in senso lato, e sugge-rire le tecniche di coltivazione e di vinificazione per migliorare il prodotto finale. Il successo fu immediato e la crescita qualitati-va dei vini trentini fu strabiliante. Nel 1957, per far corrispondere all’aumento qualitativo del prodotto la crescita dei fatturati ne-cessari per modernizzare l’agricoltura del territorio, fu affidata a Cavit la responsabilità della commercializzazione dei vini prodotti dalle cantine dei soci. Applicando le tecniche marketing operative nei settori di punta dell’economia, a quel tempo poco conosciute dalla base del comparto agricolo, il Consorzio riuscì a far conosce-re e a vendere gli straordinari vini della regione in tutta Italia e per tappe successive, riuscì ad imporli nei mercati internazionali più interessati alla cultura del vino.

Sempre per soddisfare gli appassionati dei grandi numeri, ›

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posso aggiungere che oggi a fronte di un fatturato complessivo ol-tre i 150 milioni di euro, la quota esportata raggiunge un incredibile 75%. Negli Stati Uniti, forse il mercato più importante per il vino di qualità, Cavit è il primo marchio italiano.

Sono numeri eccezionali, non ci sono dubbi. Ma sarebbe sbagliato ritagliare per Cavit il solo ruolo di ottimizzatore delle fasi produttiva e commerciale. In realtà oggi, Cavit è in grado di intervenire ad ogni livello della filiera produttiva compresa la ricerca e le comunicazio-ne di immagine di prodotti che assumono su di sé la responsabilità di rappresentare una delle regioni italiane d’avanguardia.

I suoi vini vincono regolarmente premi prestigiosi nei più quotati concorsi internazionali. Linee di prodotti come altemasi riserva Graal, il millesimato e il rosè, i masi trentini, il marzemino del maso roccioni, i teroldego rotaliano doc maso Cervara, i mastri vernacoli, sono conosciuti e apprezzati dai trendsetter del settore.

aldilà dEl Prodotto, la visionE dEl futuro

L’integrazione virtuosa dei consorzi che si riconoscono in Cavit, oltre ad aver prodotto una non comune alleanza tra la dimensione artigianale della cultura del vino e la sua estensione tecnologica, innovativa, necessaria per competere a livello mondiale, ha per-messo di investire ingenti risorse nella ricerca e nella tutela del territorio della vite. In breve Cavit significa anche un forte investi-mento nel futuro da parte dei produttori trentini.

Da un lato quindi abbiamo il dato confortante di un Consorzio che dai 5500 ettari di superficie viticola lavorati da 4500 picco-le aziende, trae vini di qualità che esporta in ragione di un 80%; dall’altro lato, in nessuna parte d’Italia l’attenzione alla sostenibi-lità del territorio viene curata come se fosse parte integrante del business, come succede da queste parti.

Dagli head quarter Cavit in Maso Toresella non si gestiscono solo le politiche di marketing pianificate per presidiare i mercati internazionali, ma si progettano gli interventi virtuosi di tutela del territorio che favoriscono una sinergia con il mondo del turismo, altra risorsa fondamentale della regione.

Appare dunque chiaro il piano etico che con molta superficialità spesso il consumatore frettoloso dimentica, anteponendo ad una visione complessiva che dovrebbe avere di una azienda simbolo di una forma di civiltà e di cultura, la sola percezione dei suoi pur eccellenti prodotti. Non è affatto secondario ricordare che, aldilà degli eccezionali spumanti che tutti noi immagino abbiamo scia-bolato nelle migliori enoteche, la filosofia di Cavit parte dall’am-biente, dalla sua tutela, in funzione di una viticoltura che sa guar-dare al futuro; ambiente e viticultura virtuosi diventano quindi ›

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una risorsa per il turismo in generale e del turismo del vino/sapori in particolare; questo turismo che mi piace definire amante della consapevolezza diventa a sua volta uno dei fattori di sviluppo e valorizzazione dell’agricoltura e dei suoi prodotti.

La visione innovativa e futuristica di Cavit dunque, poggia su due pilastri. Il primo possiamo definirlo il pilastro del rispetto ambien-tale a sua volta basato sul paradigma della sostenibilità e nella applicazione puntuale dei suoi fondamenti: gestione ottimale del territorio, tecniche agricole d’avanguardia, riduzione dei consumi di acqua, risparmio energetico.

Il secondo è il pilastro della ricerca d’avanguardia. A tal riguar-do posso citare il Progetto Maso iniziato nel 1988: 185 ettari de-dicati alla creazione delle condizioni materiali e intellettuali per creare vini eccezionali. Ma soprattutto devo ricordare il progetto PICA (Piattaforma Integrata Cartografica Vinicola), basato sulla fecondità della conoscenza minuziosa del territorio e dei pro-cessi di maturazione quando le informazioni emergenti entra-no in un circuito di feedback continui con gli operatori (enologi, agronomi, agricoltori).

Probabilmente l’eccezionale resa dei Chardonnay, dei Cabernet, dei Pinot, dei Teroldego e dei Marzemino sparsi su tutto il territo-rio che si riconosce nel modello di gestione Cavit dipende anche dalla ricaduta prodotta dalle ricerche, dai progetti e dalle speri-mentazioni effettuate in situazioni particolari, sulla cultura vitico-la e vinicola di ogni singolo socio.

In tal modo Cavit, come conseguenza inintenzionale delle serie virtuose che ho tentato di descrivere, finisce col proporre un nuo-vo modello di valorizzazione che può funzionare come paradigma per il resto del Paese, ovvero, l’artigianalità, la couture del vino che procede insieme all’industrializzazione dei suoi prodotti in una lo-gica di crescita qualitativa di rispetto del paesaggio agricolo.

Quali sono i vini che meglio rappresentano lo spirito Cavit che ho cercato di raccontarvi?

Le più importanti produzioni le ho già ricordate. Vorrei conge-darmi raccomandandovi due etichette che possono evocare l’iden-tità dell’azienda. Il muller di Cavit non è certo il migliore spumante prodotto dall’azienda ma il suo gusto morbido, vagamente profu-mato promette di interagire benissimo con giovani di entrambi i sessi. A suo modo è un prodotto innovativo e intelligente. L’altra etichetta che voglio citare è l’arèle vin santo, prodotto con uve Nosiola seguendo metodi antichi. Entrambi propongono quel con-nubio tra innovazione e tradizione che mi è parso essere la strada stretta lungo la quale l’azienda trentina sta costruendo il futuro della viticoltura della regione. ◆

Vista aerea dell’abbazia di Pomposa, centro monastico di fondazione benedettina tra i più insigni della cultura medievale italiana, e della via Romea

I paesaggi della pianura sono dominati dalla dimen-sione orizzontale. Innervati nella piana morfologia dei terreni, offrono una visione molto ampia in quanto ad apertura visuale, ma limitata nella profondità. Qualun-que elemento presente sul territorio – una siepe, un muro, un edificio, un filare – costituisce una sorta di “quinta” teatrale che impedisce allo sguardo di andare oltre. Ciò che si guadagna nel respiro visuale di un giro d’orizzonte, lo si perde infatti nella distanza alla quale si riesce ad osservare. I paesaggi della pianura, dun-que, sono paesaggi “aperti” da un lato, ma “ridotti” nella possibilità di arrivare a guardare lontani orizzonti. La prospettiva di osservazione rimane molto “terrestre”, ancorata alla superficie del suolo, vicina alla concreta materialità del terreno. Ben definisce questa dimen-sione orizzontale uno dei più attenti narratori novecen-teschi di queste aree, la cui famiglia è proprio di origini ferraresi, Gianni Celati: “La nostra regione è una conca della terra con una scarsa pendenza verso il mare, e con pianure così piatte che la linea d’orizzonte non arriva mai molto lontano, poche decine di chilometri.

LA BASSA FERRARESE:

QUANDO L’ORIZZONTE SI FONDE CON LA PIANURA

la possibilità di osservare immagini aeree dei paesaggi

della pianura rappresenta una preziosa opportunità

per fermarsi a riflettere sulle ragioni che hanno portato

alla formazione dei terreni agricoli nel loro aspetto

contemporaneo, e al contempo

per osservarne le trame e le ricorrenze.

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AMBiENtE RuRAlE E PAESAGGiodavide Papotti Dipartimento di Scienze della Formazione e del Territorio - Università degli Studi di Parma

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Viaggiando nelle campagne del Po e la via Emilia ci si sente sempre piantati nel rasoterra, e se mai vedete qualche rialzo del terreno in lontananza potete star sicuri che è l’argine di un corso d’acqua, oppure un contro-argine che spesso delimita una zona di pioppe-ti. Ogni tanto un campanile spunta nelle zone aperte, e quello è l’unico segno di elevazione che potete vedere per chilometri e chilometri” (“Ultimi contemplatori”, originalmente pubblicato nel n. 3, 1997 della rivista dell’Istituto Beni Culturali dell’Emilia-Romagna).

Per questa ragione, la possibilità di osservare im-magini aeree dei paesaggi della pianura – così come accade in queste pagine – costituisce una preziosa opportunità per fermarsi a riflettere sulle ragioni che hanno portato alla formazione dei paesaggi agricoli nel loro aspetto contemporaneo, ed al contempo per osservarne le trame e le ricorrenze. Accade raramente di poter osservare “a volo d’uccello”, come avveniva nella cartografia prospettica e nella vedutistica cinquecentesca, i terreni della pianura; non più dunque, con “l’alzo zero” tipico dell’osservazione ad altezza d’uomo, né con l’astratta asetticità dello sguardo satellitare. Piuttosto, con una via di mezzo fra le due: uno sguardo che, affettivamente inclinato in un angolo acuto sul terreno, ne riesce ad osservare le trame

compositive (che è difficile scorgere da terra), senza però abbandonare una visione sensorialmente vicina, impregnata ancora degli odori, dei suoni, dei sapori del suolo. Usando ancora le parole di Gianni Celati: “Qui in ogni direzione vedrete campi di grano e d’altre colture a perdita d’occhio, di solito squadrati ad angoli retti e con superfici pressoché uguali. […] Gli stradelli che delimitano gli appezzamenti sono tutti dritti e intersecati ad angoli retti, e costeggiano un fossato che chiude il fronte dei campi, dove si scarica l’acqua piovana o quella delle irrigazioni”.

Terreni... sottomariniI paesaggi della campagna ferrarese sono paesag-

gi di pianura per eccellenza. Il territorio della provincia si estende esclusivamente in aree pianeggianti, che, in alcuni casi, si trovano addirittura ad un’altezza inferiore a quella del livello del mare. Basti pensare che il punto più alto di tutta la provincia è di venti metri sul livello del mare. Molti dei fertili terreni agricoli che oggi caratterizzano la pianura ferrarese, soprattutto nella parte settentrionale e orientale della provincia, sono stati strappati alla presenza delle acque dal lavoro di bonifica portato avanti nel corso della storia dalle comunità insediatesi nell’area. I paesaggi della

l’alternanza delle colture, il loro avvicendamento stagionale ed il variare dei colori delle foglie e dei frutti a seconda dei mesi dell’anno garantiscono una sorta di “calendario cromatico” delle pianure, che cambia a seconda delle infinite gradazioni e combinazioni possibili.

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lComacchio Castello di Mesola

pianura della bonifica si caratterizzano per l’assenza di ostacoli, per un aspetto omogeneo, continuo, aperto. La disponibilità di terreni di pianura privi di ostacoli morfologici ha permesso, sia nelle aree di bonifica, sia nelle aree della bassa pianura, una strutturazione generalmente estensiva dei paesaggi agricoli, caratte-rizzati da vaste superfici messe a coltura con strutture di coltivazione regolari.

Quattro sono le principali tipologie di paesaggio agricolo presenti nella provincia: quella delle colture arboree (soprattutto da frutta: pere, mele, nettarine, pesche, susine, albicocche, cui si può aggiungere la coltura vitivinicola), quella delle colture orticole (aglio, asparago, carota, cocomero, fragola, melone, patata, pomodoro, radicchio, zucca, pisello, fagiolo fresco, fagiolino, spinacio), quella delle colture estensive (barbabietole da zucchero, grano – di gran lunga la coltura più estesa, con circa 60.000 ha suddivisi fra

grano tenero e grano duro – mais, soia, sorgo) ed infine quello delle risaie.

La scacchiera degli appezzamenti dedicati alle colture agricole, che costruiscono una maglia ortogonale di campi, dà vita a un paesaggio in cui la regolarità è dominante, fin quasi ossessiva. Il “ritmo” di questi paesaggi è estremamente geometrico, cadenzato, strutturato.

Nel caso dei paesaggi delle colture arboree, a do-minare la scansione prospettica dei campi sono i filari di alberi, allineati regolarmente lungo una direzione che diviene obbligata direttrice organizzativa degli sguardi di osservazione. La coerente apparizione, nelle campagne della zona, di file di alberi da frutta, con diverse declinazioni visuali a seconda della foggia della chioma caratteristica della specie, connota una vasta percentuale dei terreni agricoli della provincia.

Anche nelle colture orticole i filari delle piantine

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qQuattro sono le principali tipologie di paesaggio agricolo presenti nel Ferrarese: colture arboree (soprattutto da frutta, ma anche vitivinicola), colture orticole (aglio, asparago, carota, cocomero, fragola, melone, patata, pomodoro, radicchio, zucca, pisello, fagiolo fresco, fagiolino, spinacio), colture estensive (barbabietole da zucchero, grano, mais, soia, sorgo) ed infine risaie.

Mais e campi arati

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a sicurezza alimentare è un tema sempre più importante e dibattuto. E nel contesto di una agricoltura moderna e di qualità, l’industria agrochimica si impegna a fornire strumenti il cui

uso sia sicuro e sostenibile, contribuendo all’incremento della disponibilità di frutta e verdura fresche. I formulati Chimiberg rispettano le rigorose normative del settore per garantire al consumatore finale cibo sano e sicuro, nel pieno rispetto della salute dell’uomo e dell’ambiente. Affinché Biancaneve possa mangiare la mela, senza più paura della Strega.

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iRisaie nel Delta del Po

riproducono per regolarità le medesime trame percet-tive dei filari di alberi: ma permettono anche, vista la più limitata altezza (di sole poche decine di centime-tri), di recuperare quella prospettiva visuale allargata che caratterizza così distintamente i paesaggi agricoli della pianura. Nel caso delle colture seminative, la re-golarità è preservata dalla forma degli appezzamenti, e dalla conseguente strutturazione delle reti stradale ed idrografica.

Un calendario cromaticoL’alternanza delle colture, il loro avvicendamento

stagionale ed il variare dei colori delle foglie e dei frutti a seconda dei mesi dell’anno garantiscono poi una sorta di “calendario cromatico” delle pianure, che cambia a seconda delle infinite gradazioni e combina-zioni possibili.

i paesaggi della risaia, infine: questa coltura rap-presenta un comparto produttivo tradizionalmente radicato nell’area a partire dal tardo Rinascimento. La coltivazione di questo cereale, che richiede, per ragioni di stabilizzazione termica e di irrigazione, la sommer-sione in acqua della piantina, porta i paesaggi al “grado estremo” della piattezza. La necessità di calcolare e controllare l’esatta altezza dello strato d’acqua (che non deve essere né troppo alto né troppo basso, a cau-

sa delle esigenze della pianta) porta infatti, soprattut-to oggi, in virtù delle raffinate tecnologie disponibili, ad una programmazione al centimetro delle pendenze e dei livelli dei terreni. Allo stesso tempo, per favorire al meglio le operazioni di afflusso e di deflusso delle acque, le “camere” (così vengono chiamati i singoli appezzamenti coltivati a riso, delimitati dai piccoli arginelli e dai canaletti di irrigazione) vengono poste a livelli differenziati, anche solo di pochi centimetri. Il paesaggio delle risaie, che raggiunge elevatissimi livel-li di geometrizzazione e di regolarizzazione, è il frutto di un’attenta e dettagliata progettazione. A movimen-tare la percezione, ed a moltiplicare il gioco di specchi percettivi, ci pensa però la pratica della sommersione: durante i mesi primaverili-estivi le distese di risaie diventano una costellazione quasi continua di acque, ricamate solamente dalle strade di collegamento e dai terrapieni di contenimento. La contiguità territo-riale fra pianure e mare è ben incarnata dalla coltura risicola, che non solo in una parte dell’anno “sembra” un mare (di “mare a quadretti” parlava Cesare Pavese a proposito delle risaie piemontesi), ma che esprime, attraverso le caratteristiche alofile della pianta (che ne hanno fatto una coltura tipica dei delta fluviali), la commistione fra acque dolci ed acque salate caratte-ristica dell’area.

107a m b i E n t E r u r a l E E pa E S a g g i oD aV i D e Pa P o T T i

ii paesaggi della campagna ferrarese sono paesaggi di pianura per eccellenza. il territorio della provincia si estende esclusivamente in aree pianeggianti, che, in alcuni casi, si trovano addirittura ad un’altezza inferiore a quella del livello del mare. Basti pensare che il punto più alto di tutta la provincia è di venti metri sul livello del mare.

Vista aerea della vallata del fiume Li

GuAnGxI

iamo nella regione auto-noma della Cina meridionale di 230.000 kmq e con 21 milioni di abitanti, con la più alta rappresentanza della minoranza etnica Zhuang. Limitata a sud dal Mar Cinese Meridionale è tuttora tra le regioni meno sviluppate della Cina. La città di Guilin è fa-

mosa per la crociera lungo il fiume Li che si svolge attra-verso un meraviglioso paesaggio carsico e termina a

Yangshuo. La pianura che li separa è una foresta di pinnacoli caratterizzati da speroni roc-

ciosi, quasi verticali, che vanno da 30 a oltre 300 m di altezza e dominano un paesaggio intensamente coltivato dalle

famiglie contadine dei villaggi, che vivono su fazzoletti di terra della grandezza di un

Mu (670 mq). La roccia calcarea creata dai sedimenti di mari preistorici fossilizzati e ripor-

tati in superficie dai movimenti geologici, è stata in seguito erosa da piogge acide di origine naturale, cre-

ando la “foresta di pietra”. Lo sgocciolamento dell’acqua e i fiumi sotterranei hanno scavato lunghe grotte tra loro

collegate. Nella campagna il lavoro viene fatto a mano e vi partecipano tutti i membri della famiglia. Le donne sono spesso chiamate a fare i lavori più pesanti come

l’irrigazione, con secchi portati due alla volta in spalla a mò di bilancia, la mietitura con il falcetto, il trasporto

della paglia per gli animali o per fare le coperture dei tet-ti. Il riso è la coltura più diffusa, su terreni pianeggianti e

sNELLA CINA MERIDIONALE UN MOSAICO DI CAMPI,

ATTIVITà E RITUALI ANTIChI renzo angelini

Ambiente rurAle e pAeSAggio

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GuanGXi

Terrazzamenti a Longsheng, dopo la mietitura del riso

contornati da arginelli, in modo da trattenere l’acqua di pioggia oppure quella derivata da piccoli corsi d’ acqua provenienti dal fiume Li.

L’impianto della coltura avviene principalmente mediante trapianto e solo raramente con semina diretta e non vi sono le condizioni per l’applicazione di moderne e costose tecnologie. La trebbiatura viene fatta con macchine rudimentali, dove un motore a scoppio aziona due tamburi rotanti in mezzo ai quali vengono fatti pas-sare i mazzi di riso, per separare la granella dalla paglia, e fatto essiccare sulle aie o sui tetti piatti delle case. Il mais si alterna alle colture da orto (peperoni, cavoli, patate dolci, aglio, arachidi). I semi di arachide,

Ripide colline alte 1000 metri, dette Longji Titian (terrazze sul dorso del drago), le cui propaggini più basse sono state terrazzate dagli Zhuang oltre 700 anni fa per la coltivazione del riso

prodotti sulle radici, sono utilizzati per il consumo alimentare umano e animale. Si ricava soprattutto l’olio di arachide, che tro-va ampio uso in cucina, grazie ad un punto di fumo alto e secondo solo all’olio di oliva, oppure i semi vengono ridotti in pasta per produrre il burro di arachide. Avvicinan-doci a Yangshuo, le coltivazioni erbacee lasciano spazio agli agrumeti e, nelle zone collinari, al tè. La Cina è la culla del tè ed il suo uso risale al III secolo, presso le prime comunità monastiche buddhiste e poi diffuso in tutta la società. I Portoghesi lo importarono nel XVI secolo dal Giappone, attraverso la Compagnia Olandese delle Indie Orientali. In Europa ebbe immediato successo: divenne dapprima popolare in Francia, dopo una opposizione non meno viva di quella che ebbe il caffè, ed in Olanda, poi in Gran Bretagna. Le foglie di tè, una volta raccolte, vengono stipate in grandi gerle e sottoposte a una serie di tratta-menti che le trasformano in tè nero, verde oppure oolong. A bordo di una mongolfiera sorvoliamo la vallata del fiume Li , fino a ›

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Antiche attività agricole lungo il fiume Li

sfiorare i monoliti carsici che richiamano gli acquerelli cinesi. è un angolo leggen-dario della Cina, un mosaico di campi dove brulicano le attività, seguendo rituali antichi di secoli, e animano il paesaggio, i villaggi ed il fiume. Il viaggio si conclude nella regione di longsheng, spettaco-lare per le risaie a terrazzamenti che si estendono per oltre 60 kmq di vallate. La loro costruzione risale a circa 700 anni fa, ad opera della etnia Zhuang, seguendo le curve di livello. Le abitazioni sono ancora quelle tradizionali in legno, con i balconi ornati con i prodotti della terra messi a essiccare. Tutto sembra profondamente contrastare con l’ultimo Piano Quinquen-

nale presentato dal Comitato Centrale del Partito Comunista Cinese (PCC) il cui obiettivo è sviluppare la società in modo armonioso. La preoccupazione del PCC è infatti quello di equilibrare il processo di modernizzazione improntato al modello economico di mercato e trainato dalle forme della concorrenza, con l’esigenza di mantenere uno sviluppo equilibrato all’interno del Paese e che garantisca la giustizia sociale. è pertanto percepita la necessità di mettere a punto un sistema di “governance” pubblica, che scongiuri la formazione di centri di interesse capaci di mettere a rischio il mantenimento di un percorso di crescita equilibrato all’interno del Paese. Il tema dell’equilibrio e dello sviluppo “armonioso” continua pertanto ad essere oggetto di grande attenzione da parte dell’ establishment, anche per effetto delle periodiche rilevazioni che evidenziano la sperequazione tra le diverse fasce della popolazione rispetto al reddito, all’acces- ›

Lungo il fiume Li è la stagione della raccolta del riso e tutti i membri della famiglia partecipano a questo rituale

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Mietitura e trebbiatura del riso

so ai servizi sanitari, all’istruzione ecc... No-nostante gli sforzi compiuti fino ad oggi, la distanza tra i diversi gruppi sociali, a co-minciare dalla popolazione urbana e rurale, non ha fatto che aumentare, tenendo viva la preoccupazione che possono sfociare, se dovesse aggravarsi ulteriormente, in disordini sociali. Tra le misure allo studio figurano esenzioni fiscali a vantaggio degli

agricoltori, la costituzione di un sistema di protezione sociale per le classi rurali, il prolungamento dell’obbligo scolastico, la riforma dei meccanismi di re-distribuzione del reddito. La Cina, consapevole della rilevanza del ruolo che il settore svolge nel contesto della sua economia, inten-de dedicare la massima attenzione allo sviluppo delle condizioni dell’agricoltura, delle aree rurali e dei contadini, perché soltanto in questo modo potrà svilupparsi nel suo complesso e in modo armonioso. Inoltre, lo sviluppo delle aree rurali ha come conseguenza l’espansione della domanda domestica. In confronto alla popolazione residente nelle aree urbane, la capacità di consumo dei contadini è molto debole. Per innalzare il loro reddito e creare domanda ›

Il riso mietuto con il falcetto viene sgranato con rudimentali trebbiatrici azionate da un motore a petrolio. La paglia servirà come alimento del bestiame o per la copertura dei tetti dei fabbricati agricoli

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Coltivazioni di tè a Yangshuo

effettiva, è necessario che il governo adotti provvedimenti decisivi. Tuttavia esistono difficoltà nella realizzazione di questo pro-getto, in particolare per quanto riguarda l’aumento di reddito della popolazione rurale. Infatti, in questi ultimi anni, il prezzo dei beni capitali necessari alla produzione agricola è aumentato, mentre quello dei cereali è rimasto stabile e su valori piutto-sto bassi. Il governo centrale ha deciso forti stanziamenti per supportare l’agricoltura e le aree rurali. La protezione dei terreni col-tivati, la stabilizzazione delle aree a grano e

riso, l’incremento della capacità produttiva totale, il supporto al processo di ristruttu-razione agricola e soprattutto lo sviluppo di industrie del settore secondario e terziario, specialmente per la trasformazione dei prodotti agricoli, sono i temi fondamentali individuati al fine di aumentare il rafforza-mento dell’ economia rurale e l’aumento di reddito dei contadini. L’agricoltura moder-na, cioè trasformare l’agricoltura tradizio-nale con attrezzature, tecnologie e tecniche moderne, diventerà un aspetto chiave nella costruzione della campagna socialista in Cina. I concetti di alta produttività, alta qualità, alta efficienza, ecologia e sicurezza dovrebbero essere fattori importanti per l’agricoltura moderna. Attualmente la Cina è ancora nella fase di transizione dalla agri-coltura tradizionale all’agricoltura moderna e la strada da fare è lunga. ◆

Sulle colline di yangshuo la coltivazione più importante è il tè di cui la Cina è la culla ed il suo uso risale al III secolo

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Vista aerea del gruppo Ortles Cevedale, all’ inizio della Val Martello (BZ)

L’Agricoltura del nostro Paese è articolata e complessa; si differenzia per sistemi colturali molto eterogenei, con gravi ed irrisolti problemi di sostenibi-lità e di competitività, nonostante gli sforzi da tempo profusi per incrementare la produttività, affinché i consumatori potessero contare su approvvigiona-menti stabili di alimenti a prezzi accessibili. Non solo, ha dovuto anche fronteggiare l’aumento delle preoc-cupazioni dei consumatori dovendo quindi garantire la sicurezza alimentare, ma anche la qualità e, più recentemente, soddisfare la crescente richiesta di un’alimentazione più sana.

Se la disponibilità di prodotti alimentari a prezzi ragionevoli rimane un fattore cruciale, la riforma delle politica agricola comunitaria ha introdotto il collega-mento con lo sviluppo sostenibile, spezzando il nesso tra sostegno pubblico e produzione, introducendo la condizionalità per quanto riguarda i metodi di produ-zione agricola. Questa impostazione ha finito con l’alli-neare l’orientamento al mercato alle norme ambientali ed anche ad altre norme di produzione, determinanti

DIFENDERE IL TERRITORIO

PER DIFENDERELA NOSTRA VITA

Gli interventi e le direttive di carattere politico hanno

acquisito, per lo sviluppo del settore primario, un peso

mai conosciuto nel passato, ponendo le premesse per una

nuova rivoluzione del rapporto agricoltura-ambiente.

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AMBiENtE E PAESAGGioMichele PisanteProfessore Ordinario di Agronomia e Coltivazioni Erbacee, Università degli Studi di Teramo

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lTerre rosse di Siena

per la sostenibilità futura del settore agricolo italiano. Gli interventi e le direttive di carattere politico hanno acquisito, per lo sviluppo del settore primario, un peso mai conosciuto nel passato, ponendo le premesse per una nuova rivoluzione del rapporto agricoltura-ambiente, diventando di gran lunga più incisivi rispetto a quelli di carattere fisico-naturale. Oggi, infatti, dai primi dipendono non soltanto i mercati, le scelte e le riconversioni colturali, ma anche l’organizzazione funzionale delle unità produttive, il rimodellamento dei paesaggi e lo sviluppo degli spazi rurali.

Queste problematiche seppur affrontate da diver-so tempo - e nonostante le informazioni sulle cause siano ancora del tutto incomplete - individuano nella revisione dei sistemi di produzione attraverso l’ado-zione di adeguate pratiche agronomiche, l’approccio integrato per la gestione sostenibile e la salvaguardia del suolo agrario, della nostra Terra.

Riguardo alla sostenibilità, certamente l’erosione del suolo, che in molti casi interessa anche il sistema urbano e periurbano, rappresenta un problema diffu-so, ma ciò nonostante è veramente difficile convincere gli operatori e gli amministratori locali ad una maggio-re attenzione dell’Agricoltura nei riguardi del territorio, attraverso idonee politiche che favoriscano adeguate

azioni di protezione. In tale contesto, mentre la protezione dell’acqua, dell’aria e della biodiversità hanno rappresentato il fulcro delle iniziative a favore dell’ambiente, la salvaguardia del suolo agrario - la nostra Terra - è diventata solo di recente una priorità, seppur la qualità del suolo è vitale per la produttivi-tà delle attività agricole. Infatti, il normale tasso di formazione del suolo agrario è considerato nell’ordine di una tonnellata per ettaro ogni anno, di conseguenza sarebbero necessari più di 100 anni per poter costi-tuire un centimetro di nuovo soprassuolo; tutto ciò implica che il suolo deve essere - a maggior ragione - considerato come una risorsa naturale non rinnovabi-le. Similmente, l’acqua pura, non inquinata, è essenzia-le per la vita degli organismi e la sua quantità e qualità sono sottoposte ad una pressione crescente da parte dei diversi settori produttivi. La sfida a cui è chiamata l’Agricoltura, quella italiana in particolare, è produrre i beni necessari nel massimo rispetto dell’ambiente. Questo obiettivo può essere perseguito individuando un insieme di strumenti, un sistema integrato che per-metta di conservare, migliorare e rendere più efficien-te l’uso delle risorse naturali, combinando la gestione del suolo, l’acqua e la sostenibilità delle stesse, come reali nuove opportunità per l’Agricoltura italiana. Ma,

la protezione dell’acqua, dell’aria e della biodiversità hanno rappresentato il fulcro delle iniziative a favore dell’ambiente. la salvaguardia del suolo agrario - la nostra terra - è diventata di recente una priorità.l

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Valle dell’Adige e vista di Bolzano sullo sfondo

nVigneti a pergola in Trentino

considerato il contesto dinamico in cui operiamo, il tempo è una variabile importante e prioritariamente un comparto della nostra Agricoltura che potrebbe beneficiare delle innovazioni che la ricerca scienti-fica mette a disposizione è quello delle cosiddette commodities (cereali, leguminose, ecc…), cioè beni per i quali c’è domanda ma che sono offerti senza differenze qualitative sul mercato e sono fungibili, cioè il prodotto è lo stesso, indipendentemente da chi lo produce. Queste produzioni, con le dovute differenze per importanti ed insostituibili filiere agroalimentari di qualità, svolgono un ruolo centrale per l’Agricoltura italiana, sia in termini di consumi alimentari, trasformazioni industriali e sia per quanto riguarda il fabbisogno dell’industria mangimistica.

Ma l’Agricoltura e gli Agricoltori - i veri custodi della coesione territoriale - consapevolmente e responsa-bilmente fanno ancora di più mantenendo e raffor-zando la vitalità delle aree rurali, forniscono beni pubblici supplementari. Questa nuova dimensione della multi-produttività dell’agricoltura italiana, universalmente riconosciuta con i valori addizionali dei servizi ecosistemici erogati, può contribuire, nel medio periodo, all’adattamento al cambiamento climatico e potenzialmente contribuire a ridurre le proprie emissioni di gas ad effetto serra con costi mi-nori rispetto ad altri settori produttivi, ad aumentare il sequestro del carbonio atmosferico, consentendo di mitigare il rapido cambiamento climatico in atto a beneficio di tutta la collettività.

Nuova dimensione della multi-produttività dell’Agricoltura italiana, universalmente riconosciuta con i valori addizionali dei servizi ecosistemici erogati.n

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Valle dell’ Adige e, sulla sinistra,

ingresso alla Val di Non

DI CIELO E DI TERRA.

LA GRANDE PIANURA PADANA

Gianluca Corona e Nicola Nannini, milanese il primo, bolognese l’altro, sono amici e condividono una singolare reverenza per la pianura padana. Ogni volta che possono fanno della loro nicchia ecologica, la materia significante dalla quale distillare i simboli pittorici con i quali celebrano epifanie estetiche provviste di una doppia significanza: i segni della terra alludono all’ancoraggio del loro atto pittorico nel luo-go che gli autori evidentemente considerano l’origine dell’immaginario che sostiene il loro essere artisti; a ciò si aggiunge una presa di posizione sul senso attuale attribuibile alle figure del luogo delle origini, di quadro in quadro sviluppate.

Non è certo casuale se le nature morte di Corona, aldilà dello stupore prodotto dalla sua maestria nell’in-gannare l’occhio, rivelano ad un secondo scanning un fascio di percezioni/emozioni più sottile e complesso dalla primaria giubilazione dello sguardo. E anche i pa-esaggi di Nannini quasi sempre ai bordi di un abitare

ARtE E NAtuRAlamberto Cantoni

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Gianluca Corona e Nicola Nannini, due artisti innamorati

della loro terra, si sono coalizzati per celebrare con

i canoni dell’arte la struggente bellezza della terra nella quale

sono nati, vivono e lavorano. Attraverso l’interpretazione

artistica dei due pittori i buoni frutti della Padania e i suoi

paesaggi divengono allegorie e metafore dei valori interiori che

plasmano una forma di vita.

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125

problematico, contengono elementi di riflessione critica che dà spessore alla loro bellezza lineare.

Dal punto di vista artistico i due pittori presenta-no numerose convergenze. La loro pratica artistica privilegia la ripresa dal vero; entrambi parteggiano per un realismo pittorico senza cedimenti e padroneggia-no le tecniche che ne consentono una mimesi capace di restituirci, del soggetto prescelto, un significato immediato facilmente afferrabile, anche se, presi nel dispositivo pittorico da essi allestito, fatalmente ci troviamo proiettati lungo gli assi della metafora e delle metonimie visive, che conferiscono alle loro opere un senso “altro” dalla semplice verosimiglianza.

I paesaggi di Nannini anche se al primo sguardo potremmo classificarli come la poetica documen-

127a r t E E n at u r al a M B e R T o C a n T o n i

nicola nanniniPag. 125Pianura nel cielo e caseOlio su tavola cm 93x156

Pag. 126terra e cieloOlio su tela cm 93x126

Pag. 127fuori bianco pianuraOlio su tela cm 93x126

tazione di uno scorcio della pianura padana, in realtà alludono ad una teoria del luogo delle origini che di colpo, trasporta la pittura dell’autore aldilà di ogni territorialismo provinciale: alludono cioè a qualcosa di universale che trascende le significazioni specifiche del soggetto del quadro, ovvero ci fanno pensare alle campagne, ovunque esse fossero, come luogo dell’infanzia della nostra cultura metropolitana, un luogo che ci è familiare e al tempo stesso perturbante, dal momento che lo sentiamo come presente in noi ma anche perduto.

Corona attiva le significazioni universali che abbia-mo evocato nell’interpretazione di Nannini partendo da un soggetto pittorico diverso dal paesaggio. Si tratta di soggetti di natura che convenzionalmente definiamo ‘morti’. Tuttavia grazie ad una luce calda,

129a r t E E n at u r al a M B e R T o C a n T o n i

nicola nanniniPag. 128Pianura e caseOlio su tela cm 93x126

Pag. 129Pianura interno esternoOlio su tela cm 93x126

romantica le sue composizioni sembrano tutt’altro dal-la descrizione iperrealista di cose della natura ridotte (o elevate) ad oggetto del fare artistico. L’atto pittorico di Corona è senz’altro magistrale, ma lo è anche la scelta di come illuminare il soggetto. Grazie ad un lux e un lumen indovinati, le sue nature appaiono animate da un sorprendete soffio vitale. In alcune tele la luminosità voluta dall’artista crea l’illusione della recita teatrale: mortadella, radicchio e pancetta irrompono sulla scena e in modo sfacciato, denudandosi senza pudore sembrano declamare un recit dal valore universale: la loro oscena nudità non rappresenta forse l’essenza della vita? Perché i frutti della terra non potrebbero raccontarci qualcosa sulla gente che è vissuta insieme al loro addomesticamen-to e coltivazione? Si dice che gli antichi cacciatori si identificassero con gli animali che uccidevano e per

131a r t E E n at u r al a M B e R T o C a n T o n i

Gianluca CoronaPag. 130i was a pigOlio su tavola cm 18x20

Pag. 131settembreOlio su tavola cm 50x50

espiazione li raffigurassero sulle pareti delle caverne nelle quali presero forma i primi riti. In tal modo il cadavere dell’animale si trasforma in una sostanza incorporea che l’innalzava al di sopra delle umane vicissitudini. In qualche modo Corona si riconnette a questi miti e fa dei suoi frutti i sembianti dell’umanità che troppo spesso li consuma senza pensarli nella loro essenza. Questo sonnambulismo nei confronti delle cose grazie alle quali viviamo, per l’artista, lo abbiamo suggerito, equivale all’errore di non pensare alla nostra stessa essenza.

L’arte a volte mostra questi significati e congetture nella forma di allegorie mitiche. Le nature morte di Corona hanno carattere, personalità, sono quindi facil-mente traducibili in un senso secondo (immaginando che il senso primario coincida con lo stupore della mimesi perfetta) che le trasforma in un dispositivo che produce una significanza errante sul significato ultimo delle cose tra le quali viviamo.

133a r t E E n at u r al a M B e R T o C a n T o n i

Gianluca CoronaPag. 132EmiliaOlio su tavola cm 30x30

Pag. 133radicchio rossoOlio su tavola cm 25x20

135a r t E E n at u r al a M B e R T o C a n T o n i

Gianluca CoronaPag. 134seguimiOlio su tavola cm 20x30

Pag. 135vettaOlio su tavola cm 30x30

nicola nannini nasce a Bologna nel 1972. Vive e lavora a Cento (Ferrara).Diplomatosi all’Accademia di Belle Arti di Bologna dà ben presto inizio alla propria attività espositiva, dedicandosi quasi interamente alla pittura: ad essa affianca l’insegnamento, come docente di disegno e figura alla Scuola di Artigianato Artistico di Cento e ai corsi liberi dell’Accademia di Belle Arti di Verona.

Gianluca Corona nasce nel 1969 a Milano, dove vive e lavora. Dopo aver conseguito la maturità artistica nel 1991 si diploma in Pittura all’Accademia di Brera di Milano. Dal 1994 al ’96 frequenta lo studio dell’artista Mario Donizetti. Successivamente si distingue nel panorama artistico nazionale come esponente della giovane figurazione italiana nei generi della natura morta e del ritratto. Le sue opere sono presenti in collezioni pubbliche e private, italiane e straniere.

Il progetto Di cielo e di terraè stato di recente esposto al pubblico presso la Galleria Forni di Bologna.

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900 puntate, per 1500 ore di programmazione televisiva nei due format (quello regionale e quello nazionale),15.000 ospiti intervistati, 3000 aziende agricole visitate, 500 eventi documentati, 20 premi vinti.

Con i PiEdi PEr tErra da 18 anni ogni settimana presenta l’agricoltura italiana, quella vera, raccontata direttamente dai protagonisti, sul campo, senza soste, senza repliche, senza censure, programma di riferimento sia per gli operatori del settore che per i consumatori, a partire dall’emilia Romagna in cui è nata, per poi allargarsi a tutte le regioni italiane, dal Friuli alla Sardegna. il grande realismo del programma, lo ha eletto ben presto a riferimento del mondo produttivo agricolo, ma anche importante orientamento per i consumatori. Questo ha avviato una linea editoriale più completa: il tabloid di informazione ”agrinEWs”, il sito internet diventato ben presto quotidiano on line dell’agroalimentare (www.conipiediperterra.com), con tutte le notizie, da fonti dirette, minuto per minuto, con approfondimenti, video in streaming e possibilità di intervenire da parte degli utenti con commenti ed opinioni.

e in questo 2012… Finalmente antEnna vErdE, il primo canale televisivo tematico che si occupa di

Con i PiEdi PEr tErra: la voce della campagna, l’agricoltura italiana che cambia, l’enogastronomia di qualità

agricoltura, nutrizione e territorio, sul canale 656 del digitale terrestre dell’emilia Romagna e in Veneto. Come dire, dopo il seme nasce l’albero: “Benvenuta antenna Verde – ha detto l’assessore all’agricoltura dell’Emilia-romagna tiberio rabboni – un canale h24 può aiutare il mondo agricolo ad uscire da una zona d’ombra in cui è stato ingiustamente tenuto in questi anni. l’agricoltura è un grande motore di sviluppo, e questo mondo ha bisogno di comunicare con il mercato, con i consumatori e con le istituzioni, soprattutto in un momento come questo in cui l’Unione europea sta ridefinendo le sue strategie”. ogni mattina l’informazione arriva puntuale con il telegiornale “agRinews” accompagnato da rubriche quali “l’agricoltore della settimana”, “il tecnico consiglia”, “Climagri”, “Scaffale Verde”, ”lune e cieli”, ”Sapori d’italia” ,”la spesa della settimana” e l’approfondimento sull’attualità “Bene a sapersi”. altri sipari dal biologico all’agriturismo, dal paesaggio agli istituti agrari, sempre in un legame stretto tra produzione e consumatori, in un confronto anche tra ieri e oggi attraverso il ricco archivio storico. il format videografico, con più bande scriventi, consente più informazioni simultanee, attraverso lo schermo Tv suddiviso in quattro aree: notizie tecniche, news giornalistiche, spazio eventi e filmati.

Con i PiEdi PEr tErra e’ in onda su telesanterno in prima visione, al sabato ore 12.30 e martedì in prima serata alle ore 21E in tutte le regioni italiane sul circuito nazionale odEon tv ogni lunedì ore 20.30 e in contemporanea su satellite sky al canale 914

l’aGriColtura full timE e’ su antEnna vErdE sul 656 dell’Emilia romagna

ELOGIO DEL FORMAGGIO

AliMENtAzioNE oGGiAlberto Marcominiluca olivanFotografie: Simone Manzato

137a l i m E n ta z i o n E o g g ia l B e R T o M a R C o M i n il U C a o l i Va n

pPochi prodotti come il formaggio possono mettere in luce la stupefacente gradation di sapori che caratte-rizza le oltre 400 varietà create dalle mani sapienti dei tantissimi artigiani italiani.

Praticamente ogni fetta del territorio del nostro Paese ha visto nascere da tempo immemorabile tipo-logie di formaggio diversificate per gusto, complessità produttiva e valore di mercato.

Pochi altri cibi possono, come il formaggio, evocare tradizioni alimentari che hanno una storia secolare. Non crediamo di esagerare se sottolineiamo che nessun cibo più del formaggio può riflettere le spirito produttivo del nostro Paese: buono, ben fatto, di grande tradizione.

Eppure, se ci pensate bene, il formaggio riesce a tro-vare posto nella nostra dieta ordinaria solo di tanto in tanto. Nel menu di tantissimi ristoranti è letteralmente scomparso. Insomma abbiamo un alimento con il quale conquistare il mondo e siamo i primi a mostrare nei suoi confronti una indecifrabile noncuranza.

A dire il vero sappiamo fare anche peggio. Qualche mese fa è esploso lo scandalo di una società a parteci-pazione statale che fa produrre all’estero formaggi, sa-lumi, pomodori, olio extra vergine d’oliva e pasta per poi venderli in tutto il mondo spacciandoli come se fossero 100% Made in Italy. Insomma con i soldi dei contribuenti si fa concorrenza sleale alle aziende italiane che produ-cendo formaggio nel rispetto della qualità e sottoposte all’alta tassazione imposta dai Governi, si trovano a dover competere con prodotti di bassa qualità rivestiti col tricolore.

in italia centinaia di piccoli produttori hanno creato nel

corso dei secoli una incredibile varietà di formaggi che nessun

altro Paese al mondo può contrastare. tuttavia oggi

questo eccellente prodotto alimentare stenta ad avere le

attenzioni che merita. Cosa dobbiamo fare per creare per il

formaggio il posto che merita nella nostra cucina?

l

Un deficit di comunicazioneIl mondo dei formaggi italiani è caratterizzato

dalla piccola dimensione di gran parte delle unità produttive. In molti casi ci troviamo di fronte a ciò che potremmo definire un livello artigianale delle produzioni. Le virtù che discendono a cascata dalla piccola dimensione di gran parte delle aziende non sono da sottovalutare: maestria, tradizione, eccel-lenza produttiva e amore per questo prodotto sono facilmente percepibili a livello gustativo.

Tuttavia bisogna aggiungere che probabilmente il mondo del formaggio così configurato non ha saputo comunicare efficacemente con una società che velocemente ha cambiato le regole del gioco.

Un prodotto eccellente non è sufficiente per conquistare i mercati. Anche la qualità deve piegarsi alle regole della società dello spettacolo, che richiedono affinché arrivi il successo economico, una attenzione a livelli di immaterialità sempre più sofisticati. Come si comunica l’eccezionalità dei nostri prodotti? Come valorizzare l’etica produttiva delle nostre eccellenze?

A nostro avviso la prima comunicazione capace di far uscire il formaggio dal suo attuale isolamento deve essere orientata a stabilire le naturali alleanze

che producono automaticamente la sua valorizza-zione gastronomica. Niente più del formaggio può farci gustare un grande vino. Il nostro Paese è pieno di piccolo produttori di confetture che si sposano benissimo con centinaia di varietà di formaggio. Ancora il formaggio va a nozze con dolci e pane fatti come Dio comanda. Come dice spesso il nostro amico teo musso, persino la birra si inchina quando incontra il formaggio giusto.

Quindi per ridare al formaggio il posto che merita dobbiamo imparare a comunicarlo secondo i modi che ne valorizzano la cultura e l’etica produtti-va, in un contesto allargato nel quale trovano posto altri alimenti. In altre parole, il formaggio deve ritor-nare ad essere un ospite fisso nel menu ufficiale dei ristoranti e delle famiglie.

Eventi per la cultura del formaggio: l’esempio di Formaggio in Villa

Due parole ancora sul come comunicare il pro-dotto che ci sta a cuore. Siamo sempre più incap-sulati in una società che vive e premia gli eventi. In altre parole la comunicazione efficace si attiva là dove cominciano a riscaldarsi le emozioni, l’entu-siasmo, la partecipazione. Tuttavia l’evento che

139a l i m E n ta z i o n E o g g ia l B e R T o M a R C o M i n il U C a o l i Va n

le aziende che producono formaggi di qualità si caratterizzano per la loro piccola dimensione. Ma oltre le indubbie virtù, il carattere small ha causato ritardi nel marketing e nella comunicazione.l

trasforma la partecipazione di una azienda in una esperienza condivisa con il suo pubblico ha delle regole di cui bisogna tenere conto. Per esempio un eccesso di grandiosità può soffocarne l’efficacia, ovvero può trasformarlo in uno sterile (per il busi-ness) spettacolo.

Da queste considerazioni generali è nata l’idea di formaggio in villa: un evento che in alternativa alle fiere burocratizzate si propone di accogliere le aziende produttrici di formaggi ed altro, in un contesto dal volto umano.

La nostra idea è che bisogna offrire al pubblico delle aziende un mix di sapere, sampling e infotain-ment (informazioni + spettacolo) per attivarne un in-teresse partecipativo. In questo modo si trasforma una fiera da catalogo di merci esibite in esperienza di cultura materiale sperimentata.

Di tutti i comparti merceologici che conosciamo, il formaggio è senz’altro il mondo produttivo che più ha da guadagnare nel cercare strade nuove per diffondere il propri vangeli gastronomici.

Come abbiamo detto all’inizio, malgrado il nostro Paese sia una specie di Paradiso della produzione di specie, generi e varietà di formaggi, la nostra cucina negli ultimi decenni non ha valorizzato la stupefacente base produttiva che abbiamo ere-ditato. L’evento che abbiamo ideato e realizzato a Villa Braida, aldilà del momento di incontro tra pro-duttori e pubblico, ha rappresentato un incitamento

a chi ama il formaggio ad assumersi la responsabili-tà di difendere questo patrimonio e di far conoscere agli opinion leader le eccellenze dei nostri migliori produttori. E per quanto ci riguarda non esiste mi-gliore comunicazione e difesa dalla noncuranza, della sperimentazione diretta del prodotto in un contesto che ne valorizzi l’autenticità e il valore umanistico. Possiamo dunque considerare l’austero ma efficace bancone da assaggio, il simbolo della comunicazione diretta tra produttore e i partecipanti alla manife-stazione e l’emblema della democrazia del gusto che abbiamo inteso promuovere. La grande parte-cipazione del pubblico che abbiamo riscontrato e il successo delle degustazioni incrociate, formaggio vino, formaggio birra… ci suggeriscono che questa è la strada giusta per ridare al formaggio il posto che gli spetta per tradizione e cultura.

140a l i m E n ta z i o n E o g g ia l B e R T o M a R C o M i n il U C a o l i Va n

formaGGi in villa 2012

Le immagini dell’articolo ci riportano alla seconda edizione di Formaggio in Villa, organizzata dagli autori dell’articolo a Villa Braida (TV) nel mese di marzo: tre intese giornate dedicate all’incontro tra i migliori formaggi italiano con vini d’eccellenza, birre artigianali, confetture, olio extravergine, aceto balsamico e grandi chef. L’evento dei formaggi italiani è stato richiesto da altre località. Nel mese di maggio l’evento è previsto a San Pietroburgo, porta d’accesso del grande mercato russo.

KarpòsaliMenTazione e STili Di ViTa

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per un agroalimentare realista ed efficace

oltre le bioillusioni

luigi CaricatoalimEntazionE oGGiViaggio nell’Italia degli olii

Giancarlo roversiitinErari GustosiSicilia, l’isola dei sapori intensi

Carlo fideghelliaGriColtura oGGi

Ciliegie

a. del Prete, a. federico, C. loguercioalimEntazionE E salutEIl nostro fegato ingrassa:mettiamolo a dieta marco spagnolistili di vitaIl vigneto e il regista alessandro BertaccininutrizionE E salutELe proprietà del licopene

lamberto CantoniCostumE E stili di vita

La natura è di tendenza

renzo angeliniamBiEntE ruralE E PaEsaGGioSudafrica

tommaso maggioreaGriColtura oGGiIl mais nei suoi diversi usi

Carlo CorinoalimEntazionE oGGiIl maiale: un animale di contraddizione

CalEidosCoPio

neBBiolo PRiMa oPen Degustare in compagnia dei produttori l’anteprima

dei tre grandi vini piemontesi: Barolo, Barbaresco e Roero. È questa l’opportunità offerta da nebbiolo Prima open agli amanti del vino. la manifestazione si terrà sabato 19 maggio, dalle 14 alle 19, presso le antiche Cantine della luigi Calissano ad alba. Un ampio banco d’assaggio permetterà di scoprire le migliori produzioni di questo splendido angolo del Piemonte. alle 21, andrà in scena lo spettacolo gratuito “lo spirito del vino” curato dalla banda musicale “g. gabetti” di la Morra dal testo di Vincenzo zappalà e la regia di Stefania Borgogno.

a nebbiolo Prima open si presenteranno al pubblico tutti i produttori per regalare un viaggio all’insegna dell’enologia di uno dei territori più belli d’italia. l’evento “open” è un’anticipazione dedicata al pubblico di nebbiolo Prima, manifestazione internazionale riservata a buyers e giornalisti. info: www.gheusis.com

BolliCine Senza FRonTieRe Raggiungere il successo internazionale significa

perdere l’identità territoriale? Falso! a dimostrarlo è Conegliano Valdobbiadene, protagonista di vino in villa, festival internazionale del Prosecco superiore. la manifestazione, (che si terrà dal 19 al 21 maggio al Castello di San Salvatore di Susegana), farà sposare le bollicine più amate d’italia con culture e sapori diversi: dalla cucina giapponese a quella russa. Sapori che il pubblico potrà abbinare ad oltre 300 etichette del Conegliano valdobbiadene Prosecco superiore. ospite speciale sarà la cucina danese, grazie allo chef klaus Styrbæk del ristorante kvægtorvet di odense (Fiona). le cucine del mondo saranno coordinate dal giornalista gastronomade Vittorio Castellani (Chef kumalè), massimo esperto di world food in italia. Info: www.prosecco.it

PaRMigiano-Reggiano: +18% le QUoTazioni 2011

Sono stati necessari otto anni segnati da una pesante crisi e da una lenta ripresa, ma nel 2011 il Parmigiano-Reggiano è riuscito a superare le quotazioni medie toccate nel 2003, l’annata migliore del decennio 2000-2010. i prezzi all’origine si sono infatti attestati, lo scorso anno, sulla media di 10,76 euro/kg (nel 2003 si collocarono a 9,25 euro/kg), con un incremento di poco al di sotto del 18% rispetto al 2010: “in questo modo – sottolinea il Presidente del Consorzio del Parmigiano-reggiano, Giuseppe alai – i produttori sono tornati a quella redditività e quella possibilità di investimento che è mancata per molti anni”.

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Per la prima volta le imprese ortofrutticole italiane si uniscono per rivolgersi ai consumatori e raccontare i valori dell’ ortofrutta. È nato per questo il Progetto ortofrutta d’italia, coordinato dal Centro servizi ortofrutticoli e finanziato da 16 aziende leader del settore che hanno deciso di unire le forze per comunicare cosa c’è dietro una semplice insalata o una pera Made in italy, prodotti che rappresentano un grande valore per la nostra economia, per il territorio e anche per la nostra salute. Produciamo “molto”, e lo facciamo anche “bene”: il nostro Paese si colloca al primo posto in europa per i prodotti a qualità certificata come le DoP e le igP e il biologico.

“C’è stato in questi anni un drammatico calo dei consumi in italia - dichiara Paolo Bruni - Presidente di Cso -. Proporrei agli italiani, di ritornare ad apprezzare il valore straordinario dei nostri prodotti, raddoppiando gli acquisti quotidiani per famiglia e garantendosi così, più benessere e salute”.

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Lavoriamo per creare soluzioni concrete a supporto di un’agricoltura sostenibile. Rispondiamo a questa sfi da con l’innovazione: di prodotto, di processo, di servizio. E con un nuovo modo di pensare e di agire. Siamo orgogliosi di offrire all’agricoltore soluzioni globali, oltre la protezione in campo, per promuovere il successo dell’agricoltura di oggi e di domani.

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