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Italo Calvino, Identità, 1977
(«Civiltà delle macchine», XXV, 5-6, settembre-dicembre 1977, pp. 43-44)
Dell'identità si parla molto oggi come d'un valore che deve essere continuamente affermato,
garantito contro la minaccia di perderlo, sia in senso individuale che in senso di gruppo: identità
personale o identità nazionale etnica linguistica ecc. Cominciamo a stabilire bene il significato di
questa parola. Per prima cosa la mia identità è fondata su qualcosa che non cambia nella mia vita.
Certo potrei anche essere un vagabondo che vive ogni giorno in un paese diverso, incontra persone
diverse, linguaggi diversi, potrei venir chiamato ogni giorno con un nome diverso, adattarmi ogni
giorno a un mestiere diverso per guadagnarmi cibi sempre diversi. Potrei dire d'avere ancora
un'identità? Certamente sì, perché resterebbero i miei ricordi, la continuità del mio passato. Se però
fossi affetto da amnesia e non ricordassi niente da un giorno all'altro? Ebbene resterebbero sul mio
corpo delle cicatrici, lividi dí bastonate, morsi di cani, carie dentarie, tic nervosi, allergie, che mi
persuaderebbero d'esser sempre io, purché da una volta all'altra non mi dimentichi d'averli. Certo se
io non mi ricordo d'essere io e quelli che s'incontrano sono sempre degli altri, che mi vedono una
volta sola e mai più, allora la mia identità si perde. Diciamo dunque che le condizioni necessarie
dell'identità sono due: prima, che io sia in grado di ripetere un'esperienza, sapendo di ripeterla, per
esempio riconoscermi guardandomi allo specchio; seconda, che gli altri siano in grado di capire da
una volta all'altra che io sono sempre io. Perché c'è anche la possibilità che io da un giorno all'altro
cambi talmente, sia un giorno grasso un giorno magro, oggi tranquillo domani agitato, oggi
balbuziente domani di fluente loquela, da risultare agli altri irriconoscibile, e in questo caso la mia
identità è difficile sostenere che esista. Poi c'è ancora una condizione, ed è che io sia uno, e non resti
sempre il dubbio che invece di me si tratti del mio gemello omozigote indistinguibile da me, che
una sera ritorno a casa io e una sera ritorna lui e mia moglie non sa mai quale dei due è in casa.
Oppure che io non sia certe sere il rispettabile Dr. Jekyll e certe altre l'abominevole Mr. Hyde, nel
qual caso avrei due identità invece di una. Oppure se avessi un mio fratello siamese
indissolubilmente saldato al mio fianco per cui non potessimo far niente separati, allora l'identità
non riguarderebbe più me bensì noi. *** A pensarci bene, nei lunghi anni di guerre pestilenze
cataclismi che ho vissuto, ho visto tante cose cambiare, molte volte ho dovuto cambiare le mie
abitudini, le mie opinioni, i miei gusti, il mio vocabolario: sarò veramente sempre la stessa persona?
La carta d'identità dovrebbe provarlo, ma adesso che sono diventato calvo, che mi sono fatto
crescere una folta barba bianca, adesso che porto gli occhiali, la dentiera e il cornetto acustico, la
carta d'identità non è più valida. Poi, come è noto io non sono soltanto io ma insieme all'io devo
considerare la presenza d'un super-io e d'un inconscio che vanno per conto loro: adesso per esempio
questa pagina non si sa fino a che punto la sto scrivendo io e fino a che punto non è il mio super-io o
il mio inconscio a scriverla, e l'inconscio poi può anche essere non mio ma un inconscio collettivo
bello e buono. A proposito di collettivo, queste cose che sto scrivendo sono in gran parte il prodotto
d'una cultura non mia individuale che mette in circolazione le idee di cui io mi servo, perché è
chiaro che ciò che sto esprimendo è già stato elaborato masticato digerito dalla nostra epoca nel suo
complesso. Credo d'usare uno stile tanto personale, invece è un linguaggio elaborato da tutti quelli
che parlano e scrivono in italiano e le possibilità di scelta che mi si offrono all'interno di questo
sistema linguistico sono limitate e anche quelle sottoposte a vari condizionamenti che vanno al di là
della mia identità individuale. Per esempio sono io che scrivo, d'accordo, ma c'è anche la classe
borghese cui appartengo anima e corpo che s'esprime attraverso di me proprio quando io più me ne
dimentico o più m'illudo d'essere qualcosa di diverso da un borghese, per esempio un feudatario
junker o un monaco trappista.
A scrivere sono io, certo, ma in questo io bisogna riconoscere la parte che ha il fatto che sono un
bianco eurocentrico consumista petrolifago e alfabetifero, perché se appartenessi a un altro tipo di
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cultura, con o senza scrittura, con ordinamento tribale o di clan, praticante culto vegetale o animale
o degli antenati patrilineari o matrilineari, allora quello che scrivo dell'identità sarebbe com-
pletamente differente. Così come in ciò che scrivo gratta gratta puoi sempre riconoscere il sesso
maschile fallocratico patriarcale, a meno che non sia in atto in me un cambiamento di sesso perché
in fondo la mia identità è sempre in balia d'un equilibrio ormonale e basta un'oscillazione statistica
da un momento all'altro per rimettere tutto in gioco. Aggiungi che la mia identità ha le sue
fondamenta in una colonia di cromosomi che abitano le mie cellule e se la sociobiologia dice il vero
i cromosomi affini d'individui diversi sentono una solidarietà e comunanza tra loro mentre un
rapporto d'aggressività esiste tra cromosomi avversi: ebbene la mia identità individuale è
attraversata dalla continuità genetica che si frantuma e si mescola in individui apparentemente sepa-
rati. Insomma l'identità più affermata e sicura di sé, non è altro che una specie di sacco o di tubo in
cui vorticano materiali eterogenei cui si può attribuire un'identità separata e a loro volta questi
frammenti d'identità sono parte d'identità d'ordine superiore via via sempre più vaste. *** E se
questo è vero per gli individui figuriamoci per le identità di gruppo. Detto questo non voglio
naturalmente scoraggiare nessuno. Lo strumento più raffinato per definire l'identità mi sembra il
sistema dei Samo, popolazione africana dell'Alto Volta, che nella persona umana distinguono nove
componenti: 1) il corpo, che si riceve dalla madre, 2) il sangue, che si riceve dal padre, 3) l'ombra
che il corpo proietta, 4) calore e sudore, 5) il respiro, 6) la vita, o meglio una particella della vita,
che è un'entità in cui tutti gli esseri viventi sono immersi, 7) il pensiero, suddiviso in intendimento e
coscienza, 8) il doppio, che è la parte immortale, che può compiere e subire le stregonerie (si stacca
dal corpo ogni notte per vagare nei sogni, e poi definitivamente qualche anno prima della morte per
andare nel villaggio dei morti dove avrà altre due vite e altre due morti da morto, e finalmente
s'incarnerà in un albero), 9) il destino individuale. A questi nove elementi s'aggiungono quattro
attributi: il nome, l'omonimo soprannaturale, il segno dell'eredità che indica che una componente
d'un antenato s'è incarnata nel neonato, e la presenza d'una coppia di geni, della brousse o domestici,
ostili o benefici. Così gli elementi in gioco diventano tredici e anche quattordici, e collegano
l'individuo all'universo (dio trascendente e geni della brousse) e all'umanità (antenati e genitori).
L'identità è dunque un fascio di linee divergenti che trovano nell'individuo il punto d'intersezione.
(…)
Italo Calvino, Intervista a F. Camon, 1973
Sono un tecnico del materiale verbale e immaginativo e mi occupo degli appetiti di parole scritte, di
storie raccontate, di figure mitologiche: tutta roba non meno essenziale del cibo, com'è noto.
Vittorio Spinazzola, La lettura letteraria, 1991
Se io mi accingo a leggere un libro, ovviamente è perché penso mi convenga farlo: me ne attendo
qualche sorta di gratificazione. Quel dato libro mi pare interessante, nel senso che mi fa provare
interesse all'idea di leggerlo. I motivi per cui sono stato spinto a sceglierlo possono essere dei tipi
più diversi, ma comunque si fondano sull'esigenza di colmare una lacuna, soddisfare un bisogno,
insomma arricchire, illuminare, compensare con l'esperienza mentale della lettura la mia esperienza
pratica di vita.
Certo, alla decisione di prendere in mano proprio la tale opera invece di un'altra può aver concorso
una pluralità di motivazioni, consapevoli e inconsapevoli. C'è sempre però un'istanza specifica di
desiderio che assolve una funzione catalizzatrice, nel determinare la scelta del testo ritenuto più
vantaggioso e assieme del modo di leggerlo ritenuto più conveniente al proprio stato psichico. L'atti-
vità del lettore si svolge dunque sempre sulla base di un'intenzione di lettura, più o meno
limpidamente strutturata ma comunque tale da prefigurarne gli orientamenti operativi.
La particolarità dell'intenzione di lettura letteraria consiste nel rispondere al progetto di appagare
uno stato di bisogno dell'immaginazione estetica, con il ricorso a un prodotto creativo elaborato
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organicamente, in coerenza di linguaggio, appunto a tale scopo. Questa ragione di interesse può
cercare adempimento applicandosi a testi di una letterarietà già convenzionalmente riconosciuta, op-
pure invece a opere che non danno una previa garanzia di affidabilità adeguata. D'altronde,
l'intenzione di fruire letterariamente il prodotto può anche insorgere nel corso della lettura,
sormontando altri precedenti propositi. In ogni caso però il calcolo da cui sono mosso nel leggere è
il medesimo: effettuare l'acquisto di un bene
che mi sia psichicamente utile, in quanto adatto a colmare le richieste di esteticità cui ha dato luogo
la mia esistenza interiore.
Viene così posta in essere la situazione di scambio tipica di tutti i processi di lettura, che mettono in
rapporto due parti contraenti: il lettore, il quale rappresenta la domanda, e lo scrittore, che im-
persona l'offerta; oggetto della contrattazione è il testo, nella sua materialità libraria. Come qualsiasi
evento di compravendita, anche questo può rivelarsi più o meno vantaggioso per l'acquirente.
Quando chi legge si sente accontentato nelle sue attese, remunera l'autore con una attribuzione di
merito che concorre ad assicurargli successo e fama. Al contrario, l'esito verrà considerato falli-
mentare quando il lettore si giudichi deluso dal testo cui si è accostato, e si persuada di aver fatto un
cattivo affare.
Nella sua brutalità, il linguaggio economico pone in rilievo un dato fondamentale: la lettura richiede
un dispendio di tempo ed energie, che costituiscono il prezzo da pagare per fruire del prodotto
scritto, assimilandone mentalmente i pregi. E questo prezzo potrà apparire equo oppure
sproporzionato, agli occhi di chi ne abbia effettuato l'esborso, secondo l'utilità che gli paia di aver
conseguito. Nel caso della lettura letteraria, l'utilità sí commisura in termini di piacere estetico.
Dal punto di vista del lettore, l'impresa di leggere si risolve alla fine in un raffronto fra costi e ricavi:
quanto mi ha reso la lettura di quel testo, rispetto all'impegno che ho dovuto profondere per ap-
propriarmene? Se si tratta di una lettura letteraria, l'interrogativo suona: quale ricchezza e intensità
di godimento dell'immaginazione mi ha procurato? La risposta evidentemente dipende da una valu-
tazione degli effetti estetici percepiti nell'opera di cui si è appena fruito. Il bilancio conclusivo
dell'esperienza di lettura implica dunque immancabilmente la formulazione di un giudizio, ossia
l'attribuzione di un segno di valore o disvalore al testo in causa. Se il saldo è all'attivo, quel testo
valeva la pena di leggerlo: il rischio affrontato quando lo si è prescelto è stato superato
positivamente; il tempo e le energie psichiche consumate sono stati spesi bene; il prodotto appare
degno di venir annesso al patrimonio di letture gratificanti depositato nella memoria del lettore.
Martha Nussbaum, Il giudizio del poeta. Immaginazione letteraria e vita civile, 1995
Perché i romanzi e non le opere storiche o le biografie? L'oggetto principale delle mie riflessioni è la
capacità di immaginare come sarebbe vivere la vita di una persona che potrebbe essere, fatti i debiti
mutamenti, un altro se stesso o uno dei propri cari. Così, la mia risposta all'interrogativo sulla storia
proviene direttamente da Aristotele.
La narrativa, egli affermava, è "attività teoretica e più elevata della storia", perché la storia ci mostra
soltanto "gli eventi reali", mentre le opere di narrativa ci mostrano "quali fatti possono avvenire" in
una vita umana. In altri termini, la storia registra semplicemente ciò che è accaduto nei fatti, sia che
questo rappresenti o no una possibilità generale per le vite umane. La letteratura mette a fuoco il
possibile, sollecitando i suoi lettori a interrogarsi su se stessi. Aristotele ha ragione. Diversamente
dalla maggior parte delle opere storiche, quelle letterarie si caratterizzano per il fatto di sollecitare i
loro lettori a mettersi al posto di persone di vario tipo, assimilandone le esperienze. Proprio per il
modo in cui si rivolgono al loro lettore ipotetico, esse comunicano la sensazione che esistano dei
legami possibili, almeno a un livello molto generale, tra i personaggi e il lettore. Ciò innesca nel
lettore una fervida attività emozionale e immaginativa, ed è proprio la natura di questa attività, e la
sua rilevanza per il pensare pubblico, che mi interessa qui.
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Le opere di carattere storico e biografico ci forniscono le informazioni empiriche essenziali per
compiere buone scelte. In realtà, possono anche determinare le forme rilevanti di attività
immaginativa, se sono scritte in uno stile narrativo efficace. Ma in quanto spingono il lettore
all'identificazione e alla partecipazione, esse assomigliano alle opere letterarie. Ciò vale in
particolare nel caso in cui descrivano gli effetti che le diverse situazioni esercitano sulle emozioni e
sul mondo interiore: una parte saliente del contributo offerto dalle opere letterarie, come dimostrerò.
Un altro modo di porre la questione è affermare che la buona letteratura provoca un genere di
turbamento da cui i lettori di storia e di scienze sociali sono spesso immuni. Poiché suscita forte
emozioni, essa disorienta e confonde. Induce a diffidare delle forme convenzionali di pietà ed esige
un confronto spesso doloroso con le proprie opinioni e i propri disegni.
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Molteplicità testuale e libraria. Immagini
2. Maria Helena Vieira da Silva, Bibliothèque, 1949
3. Vincent Van Gogh, Nature morte. Romans parisiens, 1888
4. Henri Matisse, Liseuse sur fond noir, 1939
5. Federico Faruffini, La lettrice, 1864-1865
6. Bruno Caruso, Il giornalaio, 1952
7. Giuseppe Migneco, L’uomo che legge il giornale, 1940
8. Philip-Lorca diCorcia, Street Works. Mexico City, 1998
9. Pietro Longhi, Lezione di geografia, Venezia, 1752 c.
10. Joshua Reynolds, Ritratto di Giuseppe Baretti, 1773
11. Domenico Induno, Scena familiare, 1855 c
12. Almanacco Bompiani 1937
13. Giovanni Giovannetti, Giovanni Testori
14. Giovanni Giovannetti, Nuto Revelli con il suo diario della Campagna di Russia 15. Bruno Bozzetto, Furbo chi legge, disegno realizzato nel 1988 per la campagna di promozione del gruppo Piccoli editori
Italo Calvino, Il libro, i libri, conferenza tenuta alla Feria del Libro di Buenos Aires, 1984
Voglio cercare di analizzare le sensazioni che provo ogni volta che visito una grande esposizione
del libro: una specie di vertigine nel perdermi in questo mare di carta stampata, in questo
firmamento sterminato di copertine colorate, in questo pulviscolo di caratteri tipografici; l'apertura
di spazi senza fine come una successione di specchi che moltiplicano il mondo; l'attesa d'una sor-
presa che può venirmi incontro da un nuovo titolo che m'incuriosisce; l'improvviso desiderio di
veder ristampato un vecchio libro introvabile; lo sgomento e insieme il sollievo di pensare che gli
anni della mia vita basteranno appena a leggere o rileggere un numero limitato dei volumi che si
stendono sotto i miei occhi.
Sono sensazioni diverse, si badi bene, da quelle che dà una grande biblioteca: nelle biblioteche si
deposita il passato come in strati geologici di parole silenziose; in una fiera del libro è il
rinnovamento della vegetazione scritta che si perpetua, è il flusso delle frasi appena stampate che
cerca d'incanalarsi verso i lettori futuri, che preme per riversarsi nei loro circuiti mentali. (…)
I libri sono fatti per essere in tanti, un libro singolo ha senso solo in quanto s'affianca ad altri libri, in
quanto segue e precede altri libri. Così è stato fin da quando i libri erano rotoli di papiro che
s'allineavano sugli scaffali delle biblioteche schierando i loro cilindri verticali come canne d'organo,
ognuno con la sua voce grave o delicata, baldanzosa o melanconica. La nostra civiltà si basa sulla
molteplicità dei libri; la verità si trova solo inseguendola dalle pagine d'un volume a quelle d'un
altro volume, come una farfalla dalle ali variegate che si nutre di linguaggi diversi, di confronti, di
contraddizioni.
Italo Calvino, Se una notte d’inverno un viaggiatore, 1979, I capitolo
Dunque, hai visto su un giornale che è uscito Se una notte d'inverno un viaggiatore, nuovo libro di
Italo Calvino, che non ne pubblicava da vari anni. Sei passato in libreria e hai comprato il volume.
Hai fatto bene.
Già nella vetrina della libreria hai individuato la copertina col titolo che cercavi. Seguendo questa
traccia visiva ti sei fatto largo nel negozio attraverso il fitto sbarramento dei Libri Che Non Hai
Letto che ti guardavano accigliati dai banchi e dagli scaffali cercando d'intimidirti. Ma tu sai che
non devi lasciarti mettere in soggezione, che tra loro s'estendono per ettari ed ettari i Libri Che Puoi
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Fare A Meno Di Leggere, i Libri Fatti Per Altri Usi Che La Lettura, i Libri Già Letti Senza
Nemmeno Bisogno D'Aprirli In Quanto Appartenenti Alla Categoria Del Già Letto Prima Ancora
D'Essere Stato Scritto. E così superi la prima cinta dei baluardi e ti piomba addosso la fanteria dei
Libri Che Se Tu Avessi Più Vite Da Vivere Certamente Anche Questi Li Leggeresti Volentieri Ma
Purtroppo I Giorni Che Hai Da Vivere Sono Quelli Che Sono. Con rapida mossa li scavalchi e ti
porti in mezzo alle falangi dei Libri Che Hai Intenzione Di Leggere Ma Prima Ne Dovresti Leggere
Degli Altri, dei Libri Troppo Cari Che Potresti Aspettare A Comprarli Quando Saranno Rivenduti A
Metà Prezzo, dei Libri Idem Come Sopra Quando Verranno Ristampati Nei Tascabili, dei Libri Che
Potresti Domandare A Qualcuno Se Te Li Presta, dei Libri Che Tutti Hanno Letto Dunque è Quasi
Come Se Li Avessi Letti Anche Tu. Sventando questi assalti, ti porti sotto le torri del fortilizio, dove
fanno resistenza
i Libri Che Da Tanto Tempo Hai In Programma Di Leggere,
i Libri Che Da Anni Cercavi Senza Trovarli,
i Libri Che Riguardano Qualcosa Di Cui Ti Occupi In Questo Momento,
i Libri Che Vuoi Avere Per Tenerli A Portata Di Mano In Ogni Evenienza,
i Libri Che Potresti Mettere Da Parte Per Leggerli Magari Quest'Estate,
i Libri Che Ti Mancano Per Affiancarli Ad Altri Libri Nel Tuo Scaffale,
i Libri Che Ti Ispirano Una Curiosità Improvvisa, Frenetica E Non Chiaramente Giustificabile.
Ecco che ti è stato possibile ridurre il numero illimitato di forze in campo a un insieme certo molto
grande ma comunque calcolabile in un numero finito, anche se questo relativo sollievo ti viene
insidiato dalle imboscate dei Libri Letti Tanto Tempo Fa Che Sarebbe Ora Di Rileggerli e dei Libri
Che Hai Sempre Fatto Finta D'Averli Letti Mentre Sarebbe Ora Ti Decidessi A Leggerli Davvero.
Ti liberi con rapidi zig zag e penetri d'un balzo nella cittadella delle Novità Il Cui Autore O
Argomento Ti Attrae. Anche all'interno di questa roccaforte puoi praticare delle brecce tra le schiere
dei difensori dividendole in Novità D'Autori O Argomenti Non Nuovi (per te o in assoluto) e Novità
D'Autori O Argomenti Completamente Sconosciuti (almeno a te) e definire l'attrattiva che esse
esercitano su di te in base ai tuoi desideri e bisogni di nuovo e di non nuovo (del nuovo che cerchi
nel non nuovo e del non nuovo che cerchi nel nuovo).
Tutto questo per dire che, percorsi rapidamente con lo sguardo i titoli dei volumi esposti nella
libreria, hai diretto i tuoi passi verso una pila di Se una notte d'inverno un viaggiatore freschi di
stampa, ne hai afferrato una copia e l'hai portata alla cassa perché venisse stabilito il tuo diritto di
proprietà su di essa.
Hai gettato ancora un'occhiata smarrita ai libri intorno (o meglio: erano i libri che ti guardavano con
l'aria smarrita dei cani che dalle gabbie del canile municipale vedono un loro ex compagno
allontanarsi al guinzaglio del padrone venuto a riscattarlo), e sei uscito.
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Renato Serra, Le lettere, Roma, Bontempelli, agosto 1914
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ETA’ DI RIVOLUZIONI
William Wordsworth, Prefazione, in W. Wordsworth – S. Coleridge, Ballate liriche, II edizione
1800
(…) bisognerebbe svolgere un‘ampia analisi dello stato presente del gusto del pubblico in questo
nostro paese e determinare fino a che punto è sano o corrotto: ciò che a sua volta non potrebbe
determinarsi senza delineare in qual modo il linguaggio e la mente umana agiscono e reagiscono
l‘uno sull‘altra e senza rifarsi alle rivoluzioni che si sono avute non solo nella letteratura, ma anche
nella stessa società.
(…) La mente umana è capace di eccitarsi senza l‘applicazione di grossolani e violenti stimolanti
(…) Dico questo perché una moltitudine di cause precedentemente ignote sembrano ora alleate per
smorzare le capacità di discernimento della mente e per renderla inabile a qualsiasi esercizio
volontario e ridurla così a uno stato di torpore quasi primitivo. Le più potenti fra queste sono i
grandi avvenimenti nazionali che giornalmente si verificano, e il crescere a dismisura della
popolazione nelle città, dove l‘uniformità dei mestieri genera il desiderio di avvenimenti eccezionali
che il rapido scambio delle informazioni via via soddisfa.
CRESCITA DEMOGRAFICA E CRESCITA URBANA
In GRAN BRETAGNA
--- nel 1850, oltre a Londra, altri 5 centri superano le 200.000 unità: BIRMINGHAM, GLASGOW,
LIVERPOOL, MANCHESTER
--- nel 1750 nessuna di queste città superava i 30.000 abitanti, LONDRA era già a 860.000
In ITALIA nel primo Ottocento c‘è un solo grande centro: NAPOLI
Ma, più che altrove, è nutrito il drapello di città mediograndi. Attorno al 1850 sono dieci: GENOVA,
MILANO, VENEZIA, BOLOGNA, FIRENZE, ROMA, PALERMO, MESSINA, CATANIA
Parità percentuale tra popolazione rurale e popolazione urbana (ab. in centri superiori a 20.000 unità):
GRAN BRETAGNA 1850
GERMANIA 1900
FRANCIA 1930
ITALIA 1950
NUOVE CITTA’ E NUOVE VISIONI DELLA CITTA’
Alessandro Verri, Lettera da Parigi, 1766
Se Parigi è grande, Londra è immensa. Io non ne ho veduta fin'ora che una porzione, ma ne giudico
da questo solo fatto ed è che questa città è illuminata di notte sei miglia all'intorno. Arrivando ieri
notte, quando vidi delle contrade ben illuminate dissi: eccoci a Londra. Ciò mi ha veramente
sorpreso. Ma è così. I sobborghi di questa città cominciano a sei miglia dal suo centro. Essa è poi
illuminata, come non ve n'è altra in Europa. (...) Io qui me la passo di meglio in ottimo. Trovo
Londra la città, a preferenza di ogni altra, degna di esser scelta per vivervi
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Giuseppe Baretti, Lettera da Londra (da Lettere familiari ai suoi tre fratelli 1760-1763)
―Sappiate, padroni miei, che in Londra sola v‘è poveraglia due volte più che non vi sono persone in
Milano‖; è un luogo dove ―l‘onesto e bisognoso plebeo [deve lavorare] come uno schiavo da galea‖;
i poveri sono ―i più poveri, i più viziosi e i più brutti poveri d‘Europa‖
Jean-Jacques Rousseau, Giulia o La Nuova Eloisa. Lettere di due amanti di una cittadina ai
piedi delle Alpi, Rey, Amsterdam 1761 (Parte II, lettera XVI) Entro con un segreto orrore in questo vasto deserto del mondo. E‘ un caos che
non mi offre che un‘orrenda solitudine, dove regna un cupo silenzio. La mia anima angustiata cerca
di espandersi dappertutto ed è oppressa. Non sono mai meno solo di quando son solo, diceva un
antico; io non sono solo che nella folla, dove non posso appartenere né a te, né agli altri. Il mio
cuore vorrebbe parlare, ma sente che nessuno l‘ascolta; vorrebbe rispondere, ma non ode niente che
possa giungere fino a lui. Non capisco la lingua del paese, e qui nessuno capisce la mia.
Non già che non mi facciano festose accoglienze, e carezze, e cortesie, e che mille premure non
paiano corrermi incontro. (…) La cortese sollecitudine umana, la semplice e commovente effusione
d‘un anima schietta hanno un linguaggio ben diverso dalle false esibizioni della cortesia e dalle
ingannevoli apparenze volute dal costume sociale
(Parte II, lettera XVII) Eccomi finalmente travolto dal torrente. Terminata la raccolta, ho
cominciato a frequentare spettacoli e cene. Trascorro l‘intera mia giornata tra la gente, sono
tutt‘occhi e tutt‘orecchi, ma non trovando cosa che ti valga mi raccolgo in mezzo al rumore e
segretamente converso con te. Non che questa vita chiassosa e tumultuosa non abbia le sue
attrattive, e che la prodigiosa varietà degli oggetti non offra qualche piacere a colui che è appena
sbarcato; ma per provarli bisognerebbe avere il cuore vuoto e lo spirito frivolo; l‘amore e la ragion
paiono allearsi per disgustarmente: poiché tutto non è altro che vana apparenza e muta
continuamente, non ho il tempo di gustare, né quelo di esaminare cosa alcuna.
Comincio cioè ad avvedermi delle difficoltà che lo studio del mondo presenta, e non so nemmeno
che posto bisogna occupare per conoscerlo bene. Il filosofo è troppo lontano, l‘uomo di mondo è
troppo vicino. Questo vede troppo per poter riflettere, quello troppo poco per poter giudicare
dell‘intero complesso.
G. Lukács, La storia come «esperienza vissuta dalle masse» (Il romanzo storico, 1957)
Solo la Rivoluzione francese, le guerre della Rivoluzione, l'ascesa e la caduta dí Napoleone
hanno fatto della storia un'esperienza vissuta dalle masse, e su scala europea. Negli anni
trascorsi tra il 1789 e il 1814 ogni popolo d'Europa visse piú trasformazioni di quante ne avesse
avute nei secoli precedenti. E íI rapído avvicendarsi conferisce a queste trasformazioni un
particolare carattere qualitativo: viene meno per le masse l'impressione che si tratti di «eventi
naturali» e il carattere storico di tali trasformazioni appare piú visibile di quanto avvenga di
solito nei singoli casi isolati. Si leggano – per citare un solo esempio – i ricordi giovanili dí Heine
nel Libro Le Grand (nei Reisebilder [Impressioni di viaggio]), dove si descrive in modo molto vivo
l'impressione suscitata in Heine fanciullo dal rapido mutare dei governi. Ora, se tali esperienze
vissute si collegano con la consapevolezza che cambiamenti analoghi si compiono ovunque nel
mondo intero, ciò rafforzerà straordinariamente la sensazione che vi è una storía, che questa
storia è un processo ininterrotto di trasformazioni e infine che essa agisce direttamente sulla
vita di ogni singolo individuo.
Questa intensificazione quantitativa, che si converte in qualitativa, si manifesta anche nella
differenza che tali guerre presentano rispetto a tutte le precedenti. Le guerre degli stati assoluti nel
periodo anteriore alla Rivoluzione erano state combattute da piccoli eserciti di mestiere. La
condotta della guerra tendeva a isolare il píú possibile l'esercito dalla popolazione civile.
(Vettovagliamento mediante magazzini, timore della diserzione ecc.). Non senza ragione Federico
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di Prussia diceva che la guerra deve essere condotta in modo che la popolazione civile non se ne
accorga. «Mantenersi tranquilli è il primo dovere dei cittadini» era il motto delle guerre
dell'assolutismo.
Questo stato dí cose cambia all'improvviso per opera della Rivoluzione francese. Nella sua lotta
di difesa contro la coalizione delle monarchie assolute la repubblica francese fu costretta a creare
eserciti di massa. La differenza fra eserciti mercenari ed eserciti di massa è però una differenza
qualitativa proprio per quanto concerne il rapporto con le masse della popolazione. Siccome
non si tratta piú di reclutare per un esercito di mestiere piccoli contingenti d'individui declassati,
bensì di creare un esercito di massa, il significato e lo scopo della guerra debbono essere spiegati
alle masse per mezzo della propaganda. Ciò avviene non solo in Francia al tempo della guerra dí
difesa della Rivoluzione e delle successive guerre di aggressione. Anche gli altri Stati, quando
cominciano a costituire eserciti di massa, sono costretti ad adottare questo mezzo. (Si pensi alla
parte sostenuta dalla letteratura e dalla filosofia tedesca in questa propaganda dopo la battaglia di
Jena). E‘ impossibile però che tale propaganda si limiti a una singola guerra isolata. Essa è costretta
a scoprire il significato totale, i presupposti storici e le circostanze della guerra, metterla in
rapporto con l'intera vita e con le possibilità dí sviluppo della nazione. Basti ricordare l'importanza
della difesa delle conquiste della Rivoluzione in Francia e la connessione che sussiste in Germania e
in altri paesi fra la creazione di un esercito di massa e le riforme politico-sociali.
L'intima vita del popolo è legata con il moderno esercito di massa in maniera tutta diversa da
come poteva esserlo con gli eserciti della monarchia assoluta nel periodo precedente. In Francia
scompare la barriera di ceto sociale fra gli ufficiali nobili e la truppa: a tutti si apre a
possibilità di salire agli alti gradi; come tutti sanno, tale barriera fu abbattuta appunto dalla
Rivoluzione. E perfino nei paesi in lotta con la Rivoluzione inevitabilmente vengono aperte certe
brecce nelle barriere esistenti fra i ceti sociali. Basta leggere gli scritti di Gneisenau per vedere come
vi sia un nesso evidente fra queste riforme e la nuova situazione storica creata dalla Rivoluzione
francese. Si aggiunge poi il fatto che anche durante la guerra le pareti divisorie prima esistenti fra
esercito e popolo debbono necessariamente essere abbattute. Per gli eserciti di massa è impossibile
il vettovagliamento mediante magazzini. Siccome essi si riforniscono per mezzo di requisizioni, è
inevitabile che sí vengano a trovare in un diretto e continuo rapporto con la popolazione del paese in
cui la guerra viene condotta. Certo questo rapporto è fatto spesso di rapine e saccheggi; ma non
sempre. Non bisogna dimenticare che le guerre della Rivoluzione e in parte anche le guerre napo-
leoniche sono state deliberatamente condotte come guerre di propaganda.
Infine anche l'enorme estensione quantitativa delle guerre ha un effetto qualitativamente
nuovo e porta con sé uno straordinario ampliamento di orizzonte. Mentre le guerre degli eserciti
mercenari consistevano per lo piú in piccole operazioni d'assedio, ora l'Europa intera diventa un
campo di battaglia. Contadini francesi combattono prima in Egitto, poi in Italia, poi in Russia;
truppe ausiliarie tedesche ed italiane prendono parte alla campagna di Russia; milizie tedesche e
russe entrano in Parigi dopo la sconfitta di Napoleone, e cosí via. L'esperienza che prima era vissuta
solo da singoli individui, per lo piú dotati di spirito d'avventura, cioè la scoperta dell'Europa o
almeno di certe parti dell'Europa, diventa in questo periodo esperienza di massa per centinaia di
migliaia e per milioni di uomini.
Nascono cosí concrete possibilità perché gli uomini concepiscano la loro esistenza come
qualcosa di condizionato storicamente, perché vedano nella storia qualcosa che esercita
un'influenza profonda sulla loro giornaliera esistenza e che li riguarda direttamente.
È qui superfluo parlare delle trasformazioni sociali avvenute nella stessa Francia. È senz'altro
evidente in qual misura i grandi e frequenti rivolgimenti di questo periodo abbiano trasformato la
vita economica e culturale dell'intera popolazione. Si deve però ricordare che gli eserciti della
Rivoluzione e poi anche gli eserciti napoleonici in moltissimi luoghi, dove compirono le loro
13
conquiste, eliminarono in tutto o in parte i residui del feudalesimo, per esempio nella Renania e
nell‘Ia settentrionale.
Il contrasto che la Renania presenta sotto l'aspetto sociale e culturale con il resto della Germania,
contrasto che sí fa sentire ancora assai forte nella rivoluzione del 1848, è un'eredità del periodo
napoleonico. E il rapporto esistente fra queste trasformazioni sociali e la Rivoluzione francese è
sentito da vaste masse. Ancora una volta ci sia consentito qualche riferimento letterario. Oltre ai
ricordi giovanili di Heine, è molto istruttivo leggere i primi capitoli della Chartreuse de Panne di
Stendhal per vedere che impressione incancellabile aveva lasciato la dominazione francese
nell'Italia settentrionale.
È nell'essenza della rivoluzione borghese, quando venga seriamente realizzata fino alla fine, fare
dell'idea di nazionalità il patrimonio di vastissime masse. Solo in conseguenza della Rivoluzione e
della dominazione napoleonica un sentimento nazionale diventò in Francia un'esperienza vissuta e
un patrimonio per i contadini, per gli strati infe della piccola borghesia ecc. Solo questa Francia fu
da essi per la prima volta sentita come la loro propria terra, la patria da loro stessi creata.
Franco Moretti, Città e struttura dello spazio romanzesco (Homo palpitans)
Ciò che invece è peculiare alla città e passerà al testo romanzesco, è che la sua struttura spaziale
(fondamentalmente: la concentrazione) ha uno scopo specifico, che consiste nell'accentuarsi della
mobilità. Mobilità spaziale, certo, ma soprattutto mobilità sociale.
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UNA NUOVA IDEA DI CULTURA. UN SISTEMA DI COMUNICAZIONE IN MOVIMENTO
«Il Caffè», 1764-1766
1. Al lettore (Tomo primo / Dal giugno 1764 a tutto maggio 1765)
Questo lavoro fu intrappreso da una piccola società d'amici: per il piacere di scrivere, per l'amore
della lode e per l'ambizione (la quale non si vergognano di confessare) di promovere e di spingere
sempre più gli animi italiani allo spirito della lettura, alla stima delle scienze e delle belle arti, e ciò
che è più importante all'amore delle virtù, dell'onestà, dell'adempimento de' propri doveri. Questi
motivi sono tutti figli dell'amor proprio, ma d'un amor proprio utile al pubblico. Essi hanno mosso
gli autori a cercare di piacere e di variare in tal guisa i soggetti e gli stili che potessero esser letti e
dal grave magistrato e dalla vivace donzella, e dagl'intelletti incalliti e prevenuti e dalle menti tenere
e nuove. Una onesta libertà degna di cittadini italiani ha retta la penna. Una profonda sommissione
alle divine leggi ha fatto serbare un perfetto silenzio su i soggetti sacri, e non si è mai dimenticato il
rispetto che merita ogni principe, ogni governo ed ogni nazione. Del resto non si deve e non si è mai
prestato omaggio ad alcuna opinione, ed anche negli errori medesimi alla sola verità si è sacrificato.
Forse potran col tempo sembrar troppo animosi alcuni tratti contro i puristi della lingua; ma la
pedanteria de' grammatici, che tenderebbe ad estendersi vergognosamente su tutte le produzioni
dell'ingegno; quel posporre e disprezzare che si fa da alcuni le cose in grazia delle parole; quel
continuo ed inquieto pensiero delle più minute cose che ha tanto influito sul carattere, sulla
letteratura e sulla politica italiana meritano che alcuno osi squarciare apertamente queste servili
catene. È ridicola cosa il raccomandarsi alla benevolezza del pubblico, conviene meritarsela. Come
gli autori per amor proprio hanno scritto, così per amor proprio il pubblico ha letto e leggerà. Ciò
che è piaciuto diviso in fogli conviene sperare che piacerà riunito in questo primo tomo; al quale
altri verranno in seguito se il favorevole giudizio del pubblico continuerà a dar lena a auesto
periodico lavoro.
2. Articolo d’apertura
Cos'è questo Caffè? È un foglio di stampa che si pubblicherà ogni dieci giorni. Cosa conterrà
questo foglio di stampa? Cose varie, cose disparatissíme, cose inedite, cose fatte da diversi autori,
cose tutte dirette alla pubblica utilità. Va bene: ma con quale stile saranno eglino scritti questi
fogli? Con ogni stile che non annoi. E sin a quando fate voi conto di continuare quest'opera? Insin a
tanto che avranno spaccio. Se il pubblico si determina a leggerli, noi continueremo per un anno e
per più ancora, e in fine d'ogni anno dei trentasei fogli se ne farà un tomo di mole discreta; se poi il
pubblico non li legge, la nostra fatica sarebbe inutile, perciò ci fermeremo anche al quarto, anche al
terzo foglio di stampa. Qual fine vi ha fatto nascere un tal progetto? Il fine d'una aggradevote
occupazione per noi, il fine di far quel bene che possiamo alla nostra patria, il fine di spargere delle
utili cognizioni fra i nostri cittadini divertendoli, come già altrove fecero e Steele e Swift e Addisson
e Pope ed altri. Ma perché chiamate questi fogli il Caffè? Ve lo dirò; ma andiamo a capo.
[…]
Il greco Demetrio ―son già tre mesi che ha aperta una bottega addobbata con ricchezza ed eleganza
somma. In essa bottega primieramente si beve un caffè che merita il nome veramente di caffè; caffè
vero verissimo di Levante e profumato col legno d'aloe, che chiunque lo prova, quand'anche fosse
l'uomo il più grave, l'uomo il più plombeo della terra, bisogna che per necessità si risvegli e almeno
per una mezz'ora diventi uomo ragionevole. In essa bottega vi sono comodi sedili, vi si respira
un'aria sempre tepida e profumata che consola; la notte è illuminata, cosicché brilla in ogni parte
l'iride negli specchi e ne' cristalli sospesi intorno le pareti e in mezzo alla bottega; in essa bottega chi
vuol leggere trova sempre i fogli di novelle politiche, e quei di Colonia' e quei di Sciaffusa5 e quei
di Lugano' e vari altri; in essa bottega chi vuol leggere trova per suo uso e il Giornale enciclopedico'
e l'Estratto della letteratura europea' e simili buone raccolte di novelle interessanti, le quali fanno
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che gli uomini che in prima erano Romani, Fiorentini, Genovesi o Lombardi, ora sieno tutti presso a
poco Europei; in essa bottega v'è di più un buon atlante, che decide le questioni che nascono nelle
nuove politiche; in essa bottega per fine si radunano alcuni uomini, altri ragionevoli, altri
irragionevoli, si discorre, si parla, si scherza, si sta sul serio; ed io, che per naturale inclinazione
parlo poco, mi son compiaciuto di registrare tutte le scene interessanti santi che vi vedo accadere e
tutt'i discorsi che vi ascolto degni da registrarsi; e siccome mi trovo d'averne già messi in ordine
vari, così li dò alle stampe col titolo Il Caffè, poiché appunto son nati in una bottega di caffè.
Il nostro greco adunque (il quale per parentesi si chiama Demetrio) è un uomo che ha tutto
l'esteriore d'un uomo ragionevole, e trattandolo si conosce che la figura che ha gli sta bene, nella sua
fisonomia non si scorge né quella stupida gravità che fa per lo più l'ufficio della cassa ferrata d'un
fallito, né quel sorriso abituale che serve spesse volte d'insegna a una timida falsità. Demetrio ride
quando vede qualche lampo di ridicolo, ma porta sempre in fronte un onorato carattere di quella
sicurezza che un uomo ha di sé quando ha ubbidito alle leggi. L'abito orientale, ch'ei veste, gli dà
una maestosa decenza al portamento; cosicché lo credereste di condizion signorile anziché il
padrone d'una bottega di caffè; e convien dire che vi sia realmente un‘ intrinseca perfezione nel
vestito asiatico in paragone del nostro, poiché laddove i fanciulli in Costantinopoli non cessano mai
di dileggiare noi Franchi, qui da noi, non so se per timore o per riverenza, non si vede che osino
render la pariglia ai levantini.
Cesare Beccaria, De’ fogli periodici, «Il Caffè», giugno 1765 Come i libri ―tolsero dalle mani di pochi adepti le cognizioni e le sparsero nel ceto dei coltivatori
delle lettere‖, i ―fogli‖ di giornale ―le cognizioni medesime che circolano nel popolo studioso
comunicano e diffondono nel popolo travagliatore o ozioso‖
Gasparo Gozzi, «Osservatore veneto», 22 agosto 1761
La vera scuola (…) io ritrovo veramente essere la bottega del caffè
Gasparo Gozzi, Quante le botteghe dei librai, «Osservatore veneto», 18 marzo 1761
Non vedete voi quante sono le botteghe de' librai? ... Ogni dì si vende, si compera: sempre escono
frontespizi nuovi: continuamente si scrive e si stampa. Se non s'usasse comunemente il metodo del
quale io parlo, credereste voi che le genti potessero leggere come fanno, senza sturbarsi punto
l'intelletto?
Samuel Richardson, Pamela o la virtù compensata (1740)
Samuel Richardson, Clarissa ovvero Storia di una giovane (1747-1748)
Denis Diderot, Elogio di Richardson, «Journal étranger», gennaio 1762, Una rappresentazione
degli effetti di lettura prodotti dal romanzo. [Morte di Richardson, luglio1761]
O Richardson, Richardson, uomo unico ai miei occhi! Tu sarai la mia lettura per sempre. Costretto
da bisogni pressanti, se il mio amico cade in povertà, se la mediocrità della mia fortuna non basta a
dare ai miei figli le cure necessarie alla loro educazione, venderò i miei libri, ma tu resterai; tu
resterai sullo stesso scaffale con Mosè, Omero, Euripide e Sofocle, e vi leggerò uno dopo l'altro.
[…]
Ho scritto a matita sulla mia copia [di Clarissa, ed. 1759] la centoventiquattresima lettera, quella
scritta da Lovelace al suo complice Leman.
[…]
16
Ho notato che, in un gruppo in cui la lettura di Richardson avveniva in comune o separatamente, la
conversazione diventava più interessante e vivace. In occasione di questa lettura ho udito discutere e
approfondire i punti più importanti della morale e del gusto.
[…]
Ero con un amico, quando mi furono recapitate le pagine con la sepoltura e il testamento di Clarissa,
due brani che il traduttore francese ha soppresso per motivi non ben chiari. Questo amico è uno
degli uomini più sensibili che io conosca e uno dei più ardenti fanatici di Richardson: poco manca
che non lo sia quanto me. Ecco che si impossessa dei quaderni, si ritira in un angolo e legge. Lo
guardavo: dapprima vedo colare le lacrime, subito si interrompe e singhiozza; d'improvviso si alza,
cammina senza sapere dove, emette lamenti come un uomo desolato e rivolge i più amari rimproveri
a tutta la famiglia degli Harlove.
[…]
Ho sentito discutere della condotta dei suoi personaggi come su avvenimenti reali, e lodare,
biasimare Pamela, Clarissa, Grandisson come personaggi vivi che si è conosciuto e ai quali ci si è
interessati moltissimo.
[…]
Un giorno una donna di un gusto e di una sensibilità fuori dal comune, molto preoccupata per la
storia di Grandisson che aveva appena letto, dice a uno dei suoi amici in partenza per Londra: «Vi
prego di incontrare per me Miss Emilie, M. Belford e soprattutto Miss Howe, se vive ancora»
R. Chartier, Il commercio del romanzo. Le lacrime di Damilaville e la lettrice impaziente, in
Inscrivere e cancellare. Cultura scritta e letteratura, Roma-Bari, Laterza, 2006
In tutta l'Europa illuminista, malgrado la stabilità delle tecniche e del lavoro tipografico, alcuni
profondi cambiamenti trasformano la produzione a stampa e le modalità di accesso al libro. La
crescita e la laicizzazione dell'offerta stampata, Ia circolazione dei libri proibiti, la moltiplicazione
deí periodici, il trionfo dei piccoli formati e la proliferazione dei circoli letterari e delle società di
lettura, in cui è possibile leggere senza necessariamente comprare, consentono e impongono
ovunque nuovi modi di leggere.
Per i lettori e le lettrici più dotti le possibilità di lettura sembrano estendersi, proponendo pratiche
diverse a seconda dei tempi, deí luoghi e dei generi. Ogni lettore è dunque successivamente lettore
«intensivo» ed «estensivo», assorto o disinvolto, studioso o divertito. Perché non pensare che la
«rivoluzione della lettura» del XVIII secolo consista proprio nella capacità di attivare diversi modi
di leggere? Questo spiega non solo i suoi limiti, perché questa possibilità non è offerta a tutti
(tutt'altro) e riguarda solo i lettori e le lettrici più esperti e benestanti, ma anche la sua natura
composita, perché bisogna individuarla non nella generalizzazione di un nuovo stile, egemonico e
specifico, ma nel ricorso a una pluralità di pratiche, tanto antiche quanto nuove.
Carlo Gozzi, Il pericolo del nuovo nel mondo delle lettere, Memorie inutili, 1797
La ―sola nostra allegra società granellesca [l‘Accad. dei Granelleschi] si tenne monda dall‘andazzo
epidemico goldoniano e chiarista (…) ella non poteva guardare che con occhio di ridente
commiserazione sulle tavolette delle signore, sopra a' scrittoi de' signori, sui banchi de' bottegai e
degli artisti, tra le mani de' passeggiatori, nelle pubbliche e private scuole, ne' collegi e persino ne'
monasteri le commedie del Goldoni, quelle del Chiari co' suoi romanzi, e mille poetiche trivialità e
bestialità di que' due logoratori di penne‖ (I, XXXIV)
17
UNA NUOVA LETTERATURA
S. Coleridge, Biographia Literaria, 1817
[Nel] progetto delle Lyrical Ballads […] l'accordo era che i miei sforzi si sarebbero mossi verso
persone e caratteri soprannaturali, o almeno romantici; tuttavia in modo da trasferire dalla nostra
natura interiore un interesse umano e una sembianza di verità sufficienti a procurare a queste ombre
dell'immaginazione quella volontaria sospensione dell'incredulità per il presente, che costituisce la
fede poetica. Il signor Wordsworth, d'altra parte, doveva proporsi lo scopo di dare il fascino della
novità alle cose di ogni giorno, e di suscitare un sentimento analogo al soprannaturale, destando la
mente dal letargo dell'abitudine e dirigendola alla bellezza e alle meraviglie del mondo davanti a
noi: un. tesoro inestimabile per il quale però, in conseguenza della patina della familiarità e
dell'interesse egoistico, abbiamo occhi eppure non vediamo, orecchie eppure non udiamo, e cuori
che né sentono né comprendono.
William Wordsworth, Prefazione, in W. Wordsworth – S. Coleridge, Ballate liriche, II edizione
1800 Il primo volume di queste poesie è già stato sottoposto all‘esame dei lettori: esso fu pubblicato come
un esperimento che speravo potesse essere di qualche utilità nello stabilire fino a che punto, tramite
l‘adattamento metrico di un campione del linguaggio realmente parlato dagli uomini nei momenti di
intensa eccitazione, si può comunicare quel tipo e quella quantità di piacere che un poeta può
ragionevolmente proporsi di trasmettere. […]
Vari miei amici stanno in grande ansia per il successo di queste poesie, in quanto sono convinti che,
se le intenzioni con le quali esse furono composte dovessero essere effettivamente messe in pratica,
ne risulterebbe la nascita di un genere di poesia certamente in grado di interessare permanentemente
l‘umanità e perfino di influenzarne la molteplicità e la qualità dei vincoli morali. E‘ per questo
motivo che essi mi hanno consigliato di far precedere queste poesie da una difesa sistematica della
teoria che è stata alla base della loro composizione […] […] avrei avuto bisogno di uno spazio ben superiore a quello di una prefazione. Per trattare infatti questo problema con la
chiarezza e la concentrazione che credo esso richieda, bisognerebbe svolgere un‘ampia analisi dello stato presente del gusto del
pubblico in questo nostro paese e determinare fino a che punto è sano o corrotto; ciò che a sua volta non potrebbe determinarsi
senza delineare in qual modo il linguaggio e la mente umana agiscono e reagiscono l‘uno sull‘altra e senza rifarsi alle rivoluzioni
che si sono avute non solo nella letteratura, ma anche nella stessa società. […]
Ho preferito pertanto non intraprendere affatto una simile, regolare difesa, pur rendendomi conto
che vi sarebbe una certa incorenza nell‘investire d‘improvviso il pubblico, senza due pagine
d‘introduzione, con una serie di poesie tanto differenti nella sostanza da quelle che riscuotono al
momento l‘unanime approvazione.
- rendere interessanti gli avvenimenti di tutti i giorni
- le passioni essenziali del cuore
- vita umile e rurale
- in questa condizione i nostri sentimenti elementari esistono in uno stato di maggiore semplicità e
di conseguenza possono essere contemplati più accuratamente e comunicati con più forza
- in questa condizione le passioni degli uomini fanno tutt‘uno con le forme stupende e imperiture
della natura
- [Poesia come] lo spontaneo traboccare di forte sentimenti: essa trae origine dalll‘emozione
rivissuta in tranquillità
- adattamento metrico di un campione del linguaggio realmente parlato dagli uomini nei momenti di
intensa eccitazione
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- il lettore non troverà personificazioni di idee astratte in questo volume […] il lettore voglio che
rimanga in compagnia della carne e del sangue, convinto che così facendo posso meglio interessarlo
- avvicinare la mia lingua a quella degli uomini
- [eliminazione della] falsità descrittiva
- [eliminazione di espressioni] in sé proprie e belle […] scioccamente ripetute da mediocri poeti
Pietro Borsieri, Avventure letterarie di un giorno o consigli di un galantuomo a vari scrittori,
1816 I libri [...] non hanno distinzioni né di sesso né di specie: e quando non annoiano sono tutti d'un
ottimo genere. […]
Dopo un tanto suffragio che è comune ai romanzi d'ogni specie [...] io sono persuaso che i nostri
scrittori non adempiono come dovrebbero l'ufficio loro; e che mancando noi di romanzo, di teatro
comico e di buoni giornali, manchiamo di tre parti integranti d'ogni letteratura, e di quelle
precisamente che sono destinate ad educare e ingentilire la moltitudine.
Giovanni Berchet, Lettera semiseria di Grisostomo al suo figliuolo, Milano, G. Bernardoni,
1816
Tutti gli uomini, da Adamo in giù fino al calzolaio che ti fa i begli stivali, hanno nel fondo
dell‘anima una tendenza alla poesia. Questa tendenza, che in pochissimi è attiva, negli altri non è
che passiva, non è che una corda che risponde con simpatiche oscillazioni al tocco della prima. […]
Ora, siffatta disposizione degli animi umani, quantunque universale, non è in tutti gli uomini
ugualmente squisita.
Tutte le presenti nazioni d‘Europa – l‘italiana anch‘essa né più né meno – sono formate da tre classi
d‘individui: l‘una di ottentoti, l‘una di parigini e l‘una, per ultimo, che comprende tutti gli altri
individui leggenti ed ascoltanti, non eccettuati quelli che, avendo anche studiato ed esperimentato
quant‘altri, pur tuttavia ritengono attitudine alle emozioni. A questi tutti io do nome di ―popolo‖.
[…] La gente che egli [il poeta] cerca, i suoi veri lettori stanno a milioni nella terza classe.
[non sono infatti] que' dugento che gli stanno intorno [allo scrittore] nelle veglie e ne' conviti, [ma
le] mille e mille famiglie [che] pensano, leggono, scrivono, piangono, fremono e sentono le passioni
tutte, senza pure avere un nome ne' teatri.
19
Giacomo Leopardi, La sera del dì di festa, 1825 (1819-21)
Dolce e chiara è la notte e senza vento,
E queta sovra i tetti e in mezzo agli orti
Posa la luna, e di lontan rivela
Serena ogni montagna. O donna mia,
Già tace ogni sentiero, e pei balconi
Rara traluce la notturna lampa:
Tu dormi, che t‘accolse agevol sonno
Nelle tue chete stanze; e non ti morde
Cura nessuna; e già non sai né pensi
Quanta piaga m‘apristi in mezzo al petto.
Tu dormi: io questo ciel, che sì benigno
Appare in vista, a salutar m‘affaccio,
E l‘antica natura onnipossente,
Che mi fece all‘affanno. A te la speme
Nego, mi disse, anche la speme; e d‘altro
Non brillin gli occhi tuoi se non di pianto.
Questo dì fu solenne: or da‘ trastulli
Prendi riposo; e forse ti rimembra
In sogno a quanti oggi piacesti, e quanti
Piacquero a te: non io, non già ch‘io speri,
Al pensier ti ricorro. Intanto io chieggo
Quanto a viver mi resti, e qui per terra
Mi getto, e grido, e fremo. Oh giorni orrendi
In così verde etate! Ahi, per la via
Odo non lunge il solitario canto
Dell‘artigian, che riede a tarda notte,
Dopo i sollazzi, al suo povero ostello;
E fieramente mi si stringe il core,
A pensar come tutto al mondo passa,
E quasi orma non lascia. Ecco è fuggito
Il dì festivo, ed al festivo il giorno
Volgar succede, e se ne porta il tempo
Ogni umano accidente. Or dov‘è il suono
Di que‘ popoli antichi? or dov‘è il grido
De‘ nostri avi famosi, e il grande impero
Di quella Roma, e l‘armi, e il fragorio
Che n‘andò per la terra e l‘oceano?
Tutto è pace e silenzio, e tutto posa
Il mondo, e più di lor non si ragiona.
Nella mia prima età, quando s‘aspetta
Bramosamente il dì festivo, or poscia
Ch‘egli era spento, io doloroso, in veglia,
Premea le piume; ed alla tarda notte
Un canto che s‘udia per li sentieri
Lontanando morire a poco a poco,
Già similmente mi stringeva il core.
20
U. Schulz-Buschhaus, Il sistema letterario nella civiltà borghese (capp. I-V, pp. 11-65), Milano,
Unicopli, 1999
Morfologia letteraria
Assiologia (del nuovo)
Moderno. Fondazione della modernità, una trasformazione “radicale”; mutamento di
paradigma assiologico; rottura di un regime semiotico
Sistema letterario aristocratico-cortese (preborghese). Separazione degli stili, gerachizzazione
dei generi
Sistema letterario borghese (postclassico). Nuovo paradigma assiologico, storicistico. Principio
dell‘emancipazione dalle convenzioni. Norma critica della trasgressione permanente
Esperienza privata
Temi borghesi
Livelli di stile
Generi letterari (Critica e recupero)
- Mélange des genres. Genere e ―scrittura‖. Un processo di superamento dei generi e, alla fine, del
‗generico‘ come tale
- Editoria ed evoluzione dei generi. Letterarietà/Leggibilità.
Romanzo. Ascesa del romanzo. Romanzo e primato dello scritto
Triviallitteratur
Società di massa
Postmoderno/postavanguardia
21
L‘ASCESA DEL NOVEL. DEFOE, RICHARDSON, FIELDING
Daniel Defoe, La vita e le strane, sorprendenti avventure di Robinson Crusoe, di York, marinaio,
che visse ventotto anni completamente solo in un'isola disabitata sulla costa dell'America, vicino
alla bocca del gran fiume Orinoco, essendo stato gettato a riva da un naufragio nel quale tutti gli
uomini perirono tranne lui solo; con un racconto di come, alla fine, venisse altrettanto stranamente
liberato da dei pirati: scritto da lui stesso (1719)
Samuel Richardson, Pamela o la virtù compensata (1740)
Samuel Richardson, Clarissa ovvero Storia di una giovane (1747-1748)
Henry Fielding, Tom Jones. Storia di un trovatello (1749)
Ian Watt, Le origini del romanzo borghese. Studi su Defoe, Richardson e Fielding (1956)
Locke aveva definito l'identità personale come una identità di coscienza attraverso la durata nel
tempo: l'individuo è in contatto con la sua identità in progresso tramite la memoria di pensieri e
azioni passati. Questo porre l'origine dell'identità personale nel repertorio dei suoi ricordi si ritrova
in Hume: «non avessimo memoria, non avremmo nozione alcuna del concetto di causa e,
conseguentemente, di quella catena di cause ed effetti che costituisce il nostro essere o persona.»
Questo punto di vista è caratteristico anche del romanzo: molti romanzieri, da Sterne a Proust,
hanno preso a oggetto l'esplorazione della personalità definita come interpenetrazione di passato e
presente autocoscienza.
Il tempo è una categoria essenziale in un altro connesso ma più esterno approccio al problema della
definizione dell'individualità di ogni oggetto. Il «principio di individuazione» di Locke era quello
dell'esistenza in un particolare locus nello spazio e nel tempo poiché, come scrisse, «le idee
divengono generali quando vengono separate dalle circostanze di tempo e di luog», così che
divengono particolari solo quando ambedue queste circostanze sono specificate. Nello stesso modo i
personaggi del romanzo possono essere individualizzati solo se posti sullo sfondo di un particolare
tempo e di un particolare ambiente.
La letteratura della Grecia e di Roma furono profondamente influenzate dall'idea platonica che le
Forme o Idee sono le realtà ultime dietro agli oggetti concreti del mondo temporale. Queste forme
erano concepite come fuori dal tempo e immutabili, e questo rifletteva il postulato di base di quelle
civiltà che nulla avveniva o poteva avvenire il cui fondamentale significato non fosse indipendente
dal fluire del tempo.
Michail Bachtin, Le forme del tempo e del cronotopo nel romanzo, 1937-1938 (1973)
Chiameremo cronotopo (il che significa letteralmente ‗tempospazio‘) l‘interconnessione sostanziale
dei rapporti temporali e spaziali dei quali la letteratura si è impadronita artisticamente. […] Questo
termine è usato nel campo delle scienze matematiche, ed è stato introdotto e fondato sul terreno
della relatività (Einstein) […] lo trasferiamo nella letteratura quasi come una metafora (quasi, ma
non del tutto): a noi interessa che in questo termine sia espressa l‘inscindibilità dello spazio e del
tempo (il tempo come quarta dimensione dello spazio). Il cronotopo è da noi inteso come una
categoria che riguarda la forma e il contenuto della letteratura […].
Nel cronotopo letterario ha luogo la fusione dei connotati spaziali e temporali in un tutto dotato di
senso e di concretezza. Il tempo qui si fa denso e compatto e diventa artisticamente visibile; lo
spazio si intensifica e si immette nel movimento del tempo, dell'intreccio, della storia. I connotati
del tempo si manifestano nello spazio, al quale il tempo dà senso e misura. Questo intersecarsi di
piani e questa fusione di connotati caratterizza il cronotopo artistico.
Il cronotopo nella letteratura ha un essenziale significato di genere.
22
Alfonso Berardinelli, L’incontro con la realtà, in Il romanzo, a c. di Franco Moretti, vol. II, Le
forme, Torino, Einaudi, 2002
Romanzo e realtà. Per quanto il binomio possa infastidire i critici contemporanei e possa sembrare
usurato, non c‘è scampo. Possiamo ipotizzare ipotizzare che la realtà sia un‘altra, coinvolga il cielo
e l‘inferno, le divinità, gli angeli, l‘apocalisse e le galassie: ma la nozione moderna di realtà quale è
stata elaborata dalla cultura occidentale, la dobbiamo al romanzo e alle scienze della natura.
Il romanzo è finzione, ma è quel tipo di finzione che se non siamo interessati alla realtà non riesce a
funzionare. Abbiamo costruito la nostra idea di realtà attraverso il romanzo ed è il romanzo che ha
messo in scena la differenza, il contrasto fra realtà e sogno, fra realtà e illusione, fra ideali e vita
reale.
PREISTORIA SETTECENTESCA ITALIANA
Pietro Chiari, La filosofessa italiana, o sia le avventure della Marchesa N.N., scritte da lei
medesima e pubblicate dall’abate Chiari, Venezia, Pasinelli, 1753
Pietro Chiari, Dedica alle Dame di Brescia, in La Viniziana di spirito, o sia le avventure d'una
viniziana ben nota, scritte da lei medesima e ridotte in altrettante massime, le più giovevoli a
formare una Dma di spirito, pubblicate dall’Abate Pietro Chiari bresciano, poeta di S.A.R. il
Signor Duca di Modena, 1762
lo spirito umano nelle persone più mature, e più sagge desiderar non può trattenimento alcuno più
onesto, e più dilettevole di quello [che] a noi tutti deriva dall'opportuna lettura di que' Libri
piacevoli, che Libri appunto da trattenimento li chiamano, e che onestamente ricreando le persone
da bene d'ogni età, d'ogni sesso, e d'ogni carattere, non lasciano al tempo medesimo d'istruirle, e di
coltivare nell'animo loro i semi preziosi inseritivi dalla natura delle più sublimi virtù. [...] Non si
potrà dire per questo, che tanti e tanti Libricciuoli di simil sorta non siano in ciò per gran modo
riusciti, e che ad essi l'Europa tutta da trenta e più anni addietro debitrice non sia di quella maggior
coltura, che sensibilmente si vede ne' suoi non mediocri talenti.
UN NUOVO PATTO NARRATIVO
Henry Fielding, Capitolo primo. Introduzione all’opera, ossia “menu” del festino, Tom Jones,
1749
Un autore dovrebbe considerarsi, non come un signore che dà un banchetto privato o di beneficenza,
ma piuttosto come uno che tiene un pubblico ristorante. Nel primo caso, si sa, chi offre il banchetto
sceglie lui i cibi, e anche se sono poco attraenti o affatto sgradevoli al palato dei commensali questi
non debbono trovar nulla a ridire: anzi, la buona creanza impone loro di far mostra d'approvare e
lodare tutto quel che viene loro messo dinanzi. Il contrario accade col padrone d'un ristorante. La
gente che paga quel che mangia esige d'accontentare il proprio palato per quanto delicato e
capriccioso esso sia; e se c'è qualcosa che non piace reclama il diritto di criticare, insultare e
mandare al diavolo, pranzo ed oste senza complimenti. È per questo che un oste onesto e ben
intenzionato, per non incorrere nel pericolo d'offendere gli avventori con delusioni di quella specie,
presenta il menu, che tutte le persone possono consultare appena entrano nel ristorante, e così,
vedendo quel che possono chiedere, ci si fermeranno oppure se ne andranno altrove, dove possan
trovare un trattamento di loro gusto.
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Ugo Foscolo, Le ultime lettere di Jacopo Ortis, 1798-1802-1816-1817
AL LETTORE.
Pubblicando queste lettere, io tento di erigere un monumento' alla virtù sconosciuta e di consecrare
alla memoria del solo amico mio quelle lagrime, che ora mi si vieta di spargere su la sua sepoltura.
E tu, o Lettore, se uno non sei di coloro che esigono dagli altri quell'eroismo di cui non sono eglino
stessi capaci, darai, spero, la tua compassione al giovine infelice dal quale potrai forse trarre
esempio e conforto.
LORENZO ALDERANI
Romanzi storici di Walter Scott, collana edita dalla Tip. Vincenzo Ferrario, Milano, 1821
Alessandro Manzoni, I promessi sposi. Storia milanese del secolo XVII scoperta e rifatta da
Alessandro Manzoni, 1840-1842, 1827
L'Historia si può veramente deffinire una guerra illustre contro il Tempo, perché togliendoli di
mano gl'anni suoi prigionieri, anzi già fatti cadaueri, li richiama in vita, li passa in rassegna, e li
schiera di nuovo in battaglia. Ma gl'illustri Campioni che in tal Arringo fanno messe di Palme e
d'Allori, rapiscono solo che le sole spoglie più sfarzose e brillanti, imbalsamando co' loro inchiostri
le Imprese de Prencipi e Potentati, e qualificati Personaggj, e trapontando coll'ago finissimo
dell'ingegno i fili d'oro e di seta, che formano un perpetuo ricamo di Attioni gloriose. Però alla mia
debolezza non è lecito solleuarsi a tal'argomenti, e sublimità pericolose, con aggirarsi tra Labirinti
de' Politici maneggj, et il rimbombo de' bellici Oricalchi: solo che hauendo hauuto notitia di fatti
memorabili, se ben capitorno a gente meccaniche, e di piccol affare, mi accingo di lasciarne
memoria a Posteri, con far di tutto schietta e genuinamente il Racconto, ouuero sia Relatione. Nella
quale si vedrà in angusto Teatro luttuose Traggedie d'horrori, e Scene di malvaggità grandiosa,
con intermezi d'Imprese virtuose e buontà angeliche, opposte alle operationi diaboliche. E
veramente, considerando che questi nostri climi sijno sotto l'amparo del Re Cattolico nostro
Signore, che è quel Sole che mai tramonta, e che sopra di essi, con riflesso Lume, qual Luna giamai
calante, risplenda l'Heroe di nobil Prosapia che pro tempore ne tiene le sue parti, e gl'Amplissimi
Senatori quali Stelle fisse, e gl'altri Spettabili Magistrati qual'erranti Pianeti spandino la luce per
ogni doue, venendo così a formare un nobilissimo Cielo, altra causale trouar non si può del vederlo
tramutato in inferno d'atti tenebrosi, malvaggità e sevitie che dagl'huomini temerarij si vanno
moltiplicando, se non se arte e fattura diabolica, attesoché l'humana malitia per sé sola bastar non
dourebbe a resistere a tanti Heroi, che con occhij d'Argo e braccj di Briareo, si vanno trafficando
per li pubblici emolumenti. Per locché descriuendo questo Racconto auuenuto ne' tempi di mia
verde staggione, abbenché la più parte delle persone che vi rappresentano le loro parti, sijno
sparite dalla Scena del Mondo, con rendersi tributarij delle Parche, pure per degni rispetti, si
tacerà li loro nomi, cioè la parentela, et il medesmo si farà de' luochi, solo indicando li Territorij
generaliter. Né alcuno dirà questa sij imperfettione del Racconto, e defformità di questo mio rozzo
Parto, a meno questo tale Critico non sij persona affatto diggiuna della Filosofia: che quanto
agl'huomini in essa versati, ben vederanno nulla mancare alla sostanza di detta Narratione.
Imperciocché, essendo cosa evidente, e da verun negata non essere i nomi se non puri purissimi
accidenti...
"Ma, quando io avrò durata l'eroica fatica di trascriver questa storia da questo dilavato e graffiato
autografo, e l'avrò data, come si suol dire, alla luce, si troverà poi chi duri la fatica di leggerla?" Questa riflessione dubitativa, nata nel travaglio del decifrare uno scarabocchio che veniva dopo accidenti, mi fece
sospender la copia, e pensar più seriamente a quello che convenisse di fare. "Ben è vero, dicevo tra me, scartabellando
il manoscritto, ben è vero che quella grandine di concettini e di figure non continua così alla distesa per tutta l'opera. Il
buon secentista ha voluto sul principio mettere in mostra la sua virtù; ma poi, nel corso della narrazione, e talvolta per
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lunghi tratti, lo stile cammina ben più naturale e più piano. Sì; ma com'è dozzinale! com'è sguaiato! com'è scorretto!
Idiotismi lombardi a iosa, frasi della lingua adoperate a sproposito, grammatica arbitraria, periodi sgangherati. E poi,
qualche eleganza spagnola seminata qua e là; e poi, ch'è peggio, ne' luoghi più terribili o più pietosi della storia, a ogni
occasione d'eccitar maraviglia, o di far pensare, a tutti que' passi insomma che richiedono bensì un po' di rettorica, ma
rettorica discreta, fine, di buon gusto, costui non manca mai di metterci di quella sua così fatta del proemio. E allora,
accozzando, con un'abilità mirabile, le qualità più opposte, trova la maniera di riuscir rozzo insieme e affettato, nella
stessa pagina, nello stesso periodo, nello stesso vocabolo. Ecco qui: declamazioni ampollose, composte a forza di
solecismi pedestri, e da per tutto quella goffaggine ambiziosa, ch'è il proprio carattere degli scritti di quel secolo, in
questo paese. In vero, non è cosa da presentare a lettori d'oggigiorno: son troppo ammaliziati, troppo disgustati di
questo genere di stravaganze. Meno male, che il buon pensiero m'è venuto sul principio di questo sciagurato lavoro: e
me ne lavo le mani".
Nell'atto però di chiudere lo scartafaccio, per riporlo, mi sapeva male che una storia così bella dovesse rimanersi
tuttavia sconosciuta; perché, in quanto storia, può essere che al lettore ne paia altrimenti, ma a me era parsa bella,
come dico; molto bella. "Perché non si potrebbe, pensai, prender la serie de' fatti da questo manoscritto, e rifarne la
dicitura? " Non essendosi presentato alcuna obiezion ragionevole, il partito fu subito abbracciato. Ed ecco l'origine del
presente libro, esposta con un'ingenuità pari all'importanza del libro medesimo.
Taluni però di que' fatti, certi costumi descritti dal nostro autore, c'eran sembrati così nuovi, così strani, per non dir
peggio, che, prima di prestargli fede, abbiam voluto interrogare altri testimoni; e ci siam messi a frugar nelle memorie
di quel tempo, per chiarirci se veramente il mondo camminasse allora a quel modo. Una tale indagine dissipò tutti i
nostri dubbi: a ogni passo ci abbattevamo in cose consimili, e in cose più forti: e, quello che ci parve più decisivo,
abbiam perfino ritrovati alcuni personaggi, de' quali non avendo mai avuto notizia fuor che dal nostro manoscritto,
eravamo in dubbio se fossero realmente esistiti. E, all'occorrenza, citeremo alcuna di quelle testimonianze, per
procacciar fede alle cose, alle quali, per la loro stranezza, il lettore sarebbe più tentato di negarla.
Ma, rifiutando come intollerabile la dicitura del nostro autore, che dicitura vi abbiam noi sostituita? Qui sta il punto.
Chiunque, senza esser pregato, s'intromette a rifar l'opera altrui, s'espone a rendere uno stretto conto della sua, e ne
contrae in certo modo l'obbligazione: è questa una regola di fatto e di diritto, alla quale non pretendiam punto di
sottrarci. Anzi, per conformarci ad essa di buon grado, avevam proposto di dar qui minutamente ragione del modo di
scrivere da noi tenuto; e, a questo fine, siamo andati, per tutto il tempo del lavoro, cercando d'indovinare le critiche
possibili e contingenti, con intenzione di ribatterle tutte anticipatamente. Né in questo sarebbe stata la difficoltà;
giacché (dobbiam dirlo a onor del vero) non ci si presentò alla mente una critica, che non le venisse insieme una
risposta trionfante, di quelle risposte che, non dico risolvon le questioni, ma le mutano. Spesso anche, mettendo due
critiche alle mani tra loro, le facevam battere l'una dall'altra; o, esaminandole ben a fondo, riscontrandole
attentamente, riuscivamo a scoprire e a mostrare che, così opposte in apparenza, eran però d'uno stesso genere,
nascevan tutt'e due dal non badare ai fatti e ai principi su cui il giudizio doveva esser fondato; e, messele, con loro
gran sorpresa, insieme, le mandavamo insieme a spasso. Non ci sarebbe mai stato autore che provasse così ad
evidenza d'aver fatto bene. Ma che? quando siamo stati al punto di raccapezzar tutte le dette obiezioni e risposte, per
disporle con qualche ordine, misericordia! venivano a fare un libro. Veduta la qual cosa, abbiam messo da parte il
pensiero, per due ragioni che il lettore troverà certamente buone: la prima, che un libro impiegato a giustificarne un
altro, anzi lo stile d'un altro, potrebbe parer cosa ridicola: la seconda, che di libri basta uno per volta, quando non è
d'avanzo
Alessandro Manzoni, Lettera a Victor Chauvet (abbozzo 1820)
Ci è difficile afferrare l‘apporto delle azioni anche quando queste azioni ci sono conosciute;
inventandole doveva necessariamente avvenire che alla natura umana si sarebbe sostituito una
convenzionale natura di perfezione o di perversità, con tratti ben marcati, ben distinti, inesistenti
nella realtà, e senza quella mescolanza e quelle sfumature che vi si trovano, soprattutto senza quel
carattere di originalità e di individualità che appare solo nelle circostanze in cui l‘anima è
profondamente commossa e vivamente interessata e combattuta come avviene nella realtà.
Alessandro Manzoni, Della moralità delle opere tragiche
Opinione ricantata e falsa: che il poeta per interessare deve movere le passioni. Se fosse così
dovrebbe proscriversi la poesia. – Ma non è così. La rappresentazione delle passioni che non
eccitano simpatia, ma riflessione sentita, è più poetica d‘ogni altra.
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K.X.Y. [N. Tommaseo], I prigionieri di Pizzighettone. Romanzo storico del secolo XVI. Dell'autore
della Sibilla Odaleta e della Fidanzata Ligure, vol. III, Milano, presso A.F. Stella e figli, 1829, in
―Antologia‖, t. XXXVII, marzo 1830
Primieramente tutti i capitoli devono cominciare da una citazione o di poeta od anche di prosatore;
se oscura, se impertinente alla cosa di cui si tratta nel capitolo, tanto meglio. Poi il vostro romanzo
prenderà le mosse da un buon pezzo di storia cruda, lardellata di qualche similitudine, di qualche
sentenza, di qualche citazione o furtiva o patente: ovvero da una buona descrizione topografica di
una valle, d'un monte, d'una città, d'un castello. Riman libero al genio di scegliere tra queste due vie:
ma la regola generale si è che nel principio del romanzo si debba trovare il brano di storia e la
parafrasi d'una carta topografica. Poi venga un bel dialogo che vi faccia conoscere bene bene di che
cosa si tratti. Questo dialogo può essere serio o faceto: ma faceto sarà migliore, e ciò che più
importa, dev'esser lungo. La lunghezza ancor più che ne' dialoghi, è di regola nelle descrizioni. Voi
non dovete presentare un personaggio in iscena, senza tacerne il nome, e senza darne i connotati,
vale a dire statura, viso, mento, occhi, capelli, marche (come ne' passaporti sta scritto) marche
particolari; e sopratutto la foggia dell'abito, dalla punta degli stivali fino all'ultima piuma dell'elmo.
Se il personaggio, discorrendo, fa un gesto con la mano o col piede, un cenno cogli occhi, col viso,
se raggrinza il naso o la fronte, e voi in mezzo al dialogo aprite una parentesi, e notate la cosa, più
che se si trattasse di un interrogatorio criminale: se mentre egli parla, gli si gira per il capo un
pensiero che serva a modificare o interpretare il senso delle sue parole, e voi coglietelo a volo quel
pensiero, conficcatelo sulla carta, e interrompete il dialogo per farne la sezione cadaverica.
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Michail Bachtin, Epos e romanzo, relazione tenuta nel 1938 all’Istituto di letteratura mondale
A.M. Gor’kij di Mosca, pubblicata per la prima volta, a c. di V. Kožinov, in «Voprosy
Literatury», n. 1, 1970
Lo studio del romanzo come genere letterario si distingue per particolari difficoltà. Ciò è
determinato dalla natura specifica dello stesso oggetto: il romanzo è l'unico genere letterario in
divenire e ancora incompiuto. Le forze che formano un genere letterario agiscono sotto i nostri
occhi: la nascita e il divenire del genere romanzesco avvengono nella piena luce del giorno storico.
L'ossatura del romanzo in quanto genere letterario è ancora lungi dall'essersi consolidata, e noi non
siamo ancora in grado di prevederne tutte le possibilità plastiche.
Gli altri generi letterari in quanto tali, cioè come forme solide per la colata dell'esperienza artistica,
ci sono noti in un aspetto ormai compiuto. L'antico processo della loro formazione sí trova fuori
dell'osservazione storicamente documentata. Troviamo l'epopea come un genere non solo da tempo
compiuto, ma già anche profondamente invecchiato. Lo stesso può dirsi, con alcune riserve, anche
degli altri generi letterari principali, persino della tragedia. La loro vita storica a noi nota è la loro
vita in quanto generi compiuti con un'ossatura solida e ormai poco plastica. Ognuno di essi ha il suo
canone, che agisce nella letteratura come una forza storica reale.
Tutti questi generi letterari o, in ogni caso, i loro elementi principali sono molto piú vecchi della
scrittura e del libro e in vario grado conservano fino a oggi la loro natura orale e sonora. Dei grandi
generi letterari solo il romanzo è piú giovane della scrittura e del libro ed esso soltanto è organica-
mente adatto alle nuove forme della percezione muta, cioè la lettura. Ma, soprattutto il romanzo non
ha un canone come gli altri generi letterari: storicamente validi sono soltanto singoli esemplari di
romanzo, ma non un canone di genere in quanto tale.
Il plurilinguismo Tutte queste tre peculiarità del romanzo sono organicamente legate tra loro, e tutte sono determinate
da un preciso momento di rottura nella storia dell'umanità europea: la sua uscita da una condizione
semipatriarcale socialmente isolata e chiusa e il passaggio a nuovi legami e rapporti internazionali e
interlinguistici. Per l'umanità europea si apri, e diventò un fattore determinante della sua vita e del
suo pensiero, la molteplicità delle lingue, delle culture e dei tempi. […]
Il plurilinguismo ha avuto luogo sempre (esso è piú antico del monolinguismo canonico e puro), ma
non era un fattore creativo, e la scelta artistica intenzionale non era il centro creativo del processo
linguistico-letterario. Il greco classico sentiva e le «lingue» e le epoche della lingua, i molteplici
dialetti letterari greci (la tragedia è un genere letterario plurilinguistico), ma la coscienza creativa si
realizzava in lingue pure chiuse (anche se di fatto eterogenee). Il plurilinguismo era regolato e
canonizzato tra i generi letterari.
La nuova coscienza culturale e letteraria vive in un mondo attivamente plurilinguistico. Il
mondo è diventato tale una volta per sempre e irreversibilmente. E‘ finito il periodo della
coesistenza isolata e chiusa delle lingue nazionali. Le lingue si illuminano reciprocamente: una
lingua può vedersi soltanto alla luce di un'altra lingua. E' finita anche la coesistenza ingenua e
consolidata delle «lingue» all'interno di una data lingua nazionale, cioè la coesistenza dei dialetti
territoriali, dei dialetti e dei gerghi sociali e professionali, della lingua letteraria, delle lingue dei
generi letterari all'interno della lingua letteraria, delle epoche della lingua, ecc.
Tutto ciò si è messo in movimento ed è entrato in un processo di attiva azione e illuminazione
reciproca. La parola, la lingua sono ormai sentite in modo diverso e oggettivamente hanno smesso
di essere quello che erano. In questa reciproca illuminazione interna ed esterna delle lingue ogni
data lingua, anche quando resti assolutamente immutata la sua composizione linguistica (fonetica,
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lessico, morfologia, ecc.), è come se nascesse di nuovo e diventa qualitativamente diversa per la
coscienza che con essa crea.
L’eccedenza d’umanità dell’uomo romanzesco
Uno dei principali temi interni del romanzo è appunto il tema della non adeguatezza del personaggio
al suo destino e alla sua posizione. L'uomo o è piú grande del suo destino o è piú piccolo della sua
umanità. Egli non può diventare tutto e interamente funzionario, proprietario terriero, mercante,
fidanzato, geloso, padre, ecc. Se il protagonista del romanzo diventa pur tuttavia tale, cioè si sistema
interamente nella sua posizione e nel suo destino (come avviene coi personaggi di genere e di
costume e con la maggior parte dei personaggi secondari del romanzo), l'eccedenza di umanità può
realizzarsi nell'immagine del protagonista principale; sempre questa eccedenza si realizza
nell'orientamento contenutistico-formale dell'autore, nei metodi della sua visione e raffigurazione
dell'uomo. La stessa zona di contatto col presente incompiuto e quindi col futuro crea la necessità di
questa non coincidenza dell'uomo con se stesso. In esso restano sempre potenzialità irrealizzate e
esigenze inattuate. C'è il futuro, e questo futuro non può non riguardare l'immagine dell'uomo, non
può non avere in essa radici.
L'uomo non è incarnabile interamente nell'esistente carne storico-sociale. Non ci sono forme che
possano interamente incarnare tutte le sue umane possibilità e esperienze e nelle quali egli possa
esaurire se stesso tutto fino all'ultima parola — come l'eroe epico e l'eroe tragico, — forme che egli
possa riempire fino all'orlo, senza nello stesso tempo straboccarne. Resta sempre un'eccedenza
irrealizzata d'umanità, resta sempre un bisogno di futuro e un posto necessario per questo futuro.
Tutte le vesti esistenti sono strette (e quindi comiche) addosso all'uomo. Ma questa umanità
eccedente inincarnabile può realizzarsi non nel protagonista, sibbene nel punto di vista dell'autore
(ad esempio, in Gogol'). La realtà romanzesca è una delle possibili realtà, non è necessaria, è
casuale, reca in sé altre possibilità.
Una nuova impostazione dell’immagine d’autore
Il romanzo è in contatto con l'elemento dell'incompiuto presente, il che non permette a questo
genere letterario di cristallizzarsi. Il romanziere gravita verso tutto ciò che non è ancora compiuto.
Egli può apparire nel campo di raffigurazione in qualsiasi posa d'autore, può raffigurare momenti
reali della propria vita o alludere ad essi, può polemizzare apertamente coi suoi nemici letterari, ecc.
Non si tratta soltanto della comparsa dell'immagine dell'autore nel campo di raffigurazione, ma si
tratta del fatto che l'autore vero, formale, primario (l'autore dell'immagine dell'autore) viene a
trovarsi in nuovi rapporti reciproci col mondo raffigurato: essi si trovano adesso nelle stesse
dimensioni assiologico-temporali, la parola raffigurante dell'autore è sullo stesso piano della parola
raffigurata del personaggio e può stabilire con essa (anzi, non può non stabilire) rapporti dialogici e
ibride combinazioni.
È proprio questa nuova posizione dell'autore primario, formale nella zona di contatto col mondo
raffigurato a rendere possibile la comparsa dell'immagine dell'autore nel campo della raffigurazione.
Questo nuovo statuto dell'autore è uno dei risultati piú importanti del superamento della distanza
epica (gerarchica). Quale enorme significato formale-compositivo e stilistico abbia questo nuovo
statuto dell'autore per lo specifico del genere letterario romanzesco è cosa che non ha bisogno di
essere spiegata.
Il genere letterario
«[Si deve intendere] il genere letterario non in senso formalistico, ma come zona e campo di
raffigurazione assiologica del mondo» // Intendere «il genere letterario non in senso formalistico,
ma come zona e campo di raffigurazione assiologica del mondo» // «Il campo della
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raffigurazione del mondo muta secondo i generi letterari e le epoche di sviluppo della letteratura.
Esso è variamente organizzato e e in modi diversi limitato nello spazio e nel tempo»
Il tutto vivente della letteratura – la grande letteratura organica e la letteratura della modernità
policentrica e conflittuale – l‘ossatura di genere (le interazioni fra i generi) – «zone e campi di
percezione e raffigurazione assiologica del mondo» – stilizzazione e stilizzazione parodica – (…)
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M. Bachtin, La parola nel romanzo (in Id., Estetica e romanzo, a cura di C. Strada Janovic,
Torino, Einaudi, 1979, p. 84)
[Le parole altrui attorno alle cose]
Ma ogni parola viva non si contrappone nello stesso modo al proprio oggetto: tra la parola e
l'oggetto, tra la parola e il parlante c'è il mezzo elastico, spesso difficilmente penetrabile, delle altre
parole, delle parole altrui sullo stesso oggetto, sullo stesso tema. E la parola può stilisticamente
individualizzarsi ed organizzarsi proprio in un processo di vivente interazione con questo specifico
mezzo. Ogni parola concreta (enunciazione), infatti, trova il suo oggetto, verso il quale tende
sempre, per così dire, già nominato, discusso, valutato, avvolto in una foschia che lo oscura oppure,
al contrario, nella luce delle parole già dette su di esso. Esso è avviluppato e penetrato da pensieri
generali, da punti di vista, da valutazioni e accenti altrui. La parola, tendendo verso il proprio
oggetto, entra in questo mezzo, dialogicamente agitato e teso, delle parole, delle valutazioni e degli
accenti altrui, si intreccia coi loro complessi rapporti reciproci, si fonde con alcuni, si stacca da altri,
si interseca con altri ancora; e tutto ciò può servire enormemente ad organizzare la parola,
imprimendosi in tutti i suoi strati semantici, complicandone l'espressione, influendo su tutta la sua
fisionomia stilistica