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ISTITUTO PROFESSIONALE PER L'AGRICOLTURA È L'AMBIENTE
"Benito Ferrarini" - Sasso Marconi
APPUNTI DI ECOLOGIA FORESTALE A.S. 2014/15
Classe V A Docente: Giuseppe Falivene
Il rapporto tra il bosco e l‟uomo Una storia infinita
Indice degli argomenti 1. Preambolo
2. Excursus storico
3. Valori-funzioni
4. Le foreste e l‟ambiente
5. Gestione Forestale Sostenibile
6. Il patrimonio forestale
7. La gestione attiva e le filiere forestali
8. Il contesto giuridico italiano
L’aforisma di FRANÇOIS R. CHATEUBRIAND «Les forêts précèdent les peuples, les déserts les suivent» –
Le foreste precedono i popoli, i deserti le seguono.
1. Preambolo
L‟idea dell‟unità dell‟uomo con la natura è antichissima.
Per lungo tempo ha pervaso il mondo primitivo, promuovendone l‟evoluzione culturale.
Il concetto della separazione dell‟uomo dalla natura è relativamente recente.
Ha determinato lo sviluppo del «moderno», con i vantaggi e gli svantaggi a esso connessi:
si è trattato di una vera e propria rivoluzione culturale.
Ha provocato il cambiamento della Weltanschauung (visione del mondo): l‟uomo è libero
di fare della natura ciò che vuole, di sfruttarla a suo piacimento.
Le conseguenze di questo modo di pensare sono sotto gli occhi di tutti.
Negli ultimi tempi si assiste ad un cambiamento di pensiero che porta a rivedere il
comportamento dell‟uomo nei confronti della natura, e quindi del bosco. Un pensiero che dà
origine a un nuovo rapporto tra uomo e bosco: si riconoscono i diritti del bosco e, di
conseguenza, i doveri verso di esso.
Il bosco non è, né si può considerare, un insieme di alberi giustapposti da analizzare per
parti e comparti e da interpretare secondo schemi lineari.
Il bosco è un sistema caratterizzato da una organizzazione e una struttura ad alto
contenuto di in-formazione.
Un sistema complesso costituito da un gran numero di elementi che interagiscono fra loro.
Le relazioni interne si connettono con una rete esterna di relazioni più ampia.
Il gioco delle interazioni è un processo sempre in atto. E comporta il principio di incertezza,
di indeterminatezza e di incompletezza, tipico di tutto ciò che è complesso.
Occorre pensare alle cose in termini di relazioni, quindi.
La conoscenza e l‟esperienza, l‟astratto e l‟immediato, sono aspetti di una stessa realtà. Ciò
presuppone un‟analisi scientifica basata su un nuovo paradigma: il paradigma olistico o
sistemico. Si passa da una logica lineare a una non lineare, dal pensiero fisicalista a quello
sistemico.
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Risorsa naturale: tutto ciò che è presente in una determinata area e può essere utilizzato dall‟uomo dato il livello raggiunto dalla tecnologia. Sono un‟entità variabile nello spazio e nel tempo. Le risorse naturali esistono sulla Terra in quantità e qualità determinate. Attraverso un atto produttivo l‟uomo può variarne la quantità e modificarne le caratteristiche qualitative, non potendo però influire sulla loro allocazione che è determinata da eventi geologici e processi chimico-fisici di lunghissima durata. L‟uomo, quindi, può soltanto studiare e mettere in atto tecnologie adatte a trasformare le risorse naturali in merci. Da un punto di vista merceologico-industriale le risorse naturali sono la "fonte" delle materie prime che entrano poi come input nei sistemi economici. Ad esempio: una foresta è la risorsa naturale che permette di ricavare il legno cioè la materia prima utilizzata per costruire prodotti finali come utensili, navi, mobili ecc
Il concetto di riserva definisce la quantità disponibile di una risorsa naturale, accertata mediante prospezioni e studi, che può essere sfruttata economicamente dall'uomo mediante le tecnologie esistenti. Solo una parte delle risorse naturali disponibili, quindi, viene definita come riserva. Inoltre, considerando il progresso tecnologico la stessa riserva può ridursi o aumentare nel tempo con le nuove conoscenze scientifiche dell'uomo. La definizione di riserva ha quindi due elementi fondamentali: • la tecnologia esistente in grado di estrarre e lavorare la risorsa naturale • il mercato in grado di dare un valore economico ed una convenienza economica all'attività di estrazione e lavorazione.
Il mondo forestale deve attraversare la frontiera circoscritta all‟ottenimento del massimo di
utilità dirette e indirette, che spesso si traduce in violenza gratuita sul bosco, come effetto
dell‟arroganza. Il termine Raubwirtschaft, economia di sfruttamento o, meglio, di rapina,
rende bene l‟idea. Nei Paesi industrializzati, infatti, il bosco non è più minacciato dall‟abuso
per soddisfare le necessità primarie, lo è da un processo senza volto e senza anima: una
pseudocultura che sa tutto dei prezzi ma non sa nulla dei valori. Una pseudocultura che
rende necessario l‟inutile e superfluo l‟indispensabile.
La foresta e l‟uomo, una storia infinita. Nel bene e nel male, la storia dell‟uomo; quella dei
suoi rapporti con la foresta; e, più in generale, quella del suo atteggiamento al cospetto
della natura.
La massima di GIAMBATTISTA VICO, «L’ordine delle cose umane procedette: che
prima furono le selve, dopo i tuguri, quindi i villaggi, appresso le città, finalmente
le accademie», dovrebbe far riflettere.
La foresta per lungo tempo ha fornito
all‟uomo quanto necessario per vivere e
sopravvivere: è stata insieme riserva e
risorsa. Dapprima ricovero e luogo di
raccolta di legno, ma anche di frutti,
funghi, miele ecc.; poi riserva di caccia;
infine pascolo.
Non sempre nel passato le società hanno
apprezzato la risorsa bosco valorizzando
l'insieme delle funzioni che il bosco
riveste e/o con gestioni tali da permettere
una buona conservazione e lo sviluppo
futuro.
Spesso c'è stato uno sfruttamento
eccessivo con depauperamento
irreversibile.
La foresta come habitat; e, in più, i diritti
degli animali, dunque. E perché non
includere i diritti delle piante?
Un‟intuizione quest‟ultima di grande
importanza e significato che si riscontra
nel romanzo Il barone rampante di
ITALO CALVINO, ambientato nel XVIII
secolo.
Nel tempo si è assistito a un continuo susseguirsi di eventi a dir poco pericolosi per la
sopravvivenza e la funzionalità della foresta. A momenti di stasi – invero assai pochi – si
sono alternati momenti di eccessivo uso.
(I passi sopra riportati sono stati tratti dal convegno “Sull‟evoluzione del pensiero forestale” dell‟ Accademia Italiana di
Scienze Forestali)
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Deuteronomio : libro costituito
quasi interamente dai discorsi di Mosè,
il quale espone i principi generali della
vita religiosa e sociale del popolo
ebraico e delle leggi speciali che
dovranno regolare la nuova società
dopo l‟insediamento in Palestina
2. UN BREVE EXCURSUS STORICO
del rapporto che l’uomo ha intessuto con il bosco
La storia dei popoli e della società evidenzia che l‟amore e la cura dei boschi hanno
contraddistinto i popoli con civiltà avanzata, ad elevato contenuto etico-religioso, mentre,
viceversa, la distruzione delle selve o il loro abbandono all‟incuria hanno caratterizzato
periodi di decadenza morale ed istituzionale dei popoli, o periodi di disordine e di guerra.
Nell’antica Palestina fu promulgata la legge riportata
dal Deuteronomio, che proibiva il taglio degli alberi e
dei boschi anche nei territori nemici, salvo casi
eccezionali di situazioni di assedio.
Nell’India antica vigeva la pena di morte a carico di chi violava i boschi sacri.
Alla base di questa legislazione vi era una concezione
mistica delle foreste, per cui il bosco era considerato un
luogo sacro, degno di rispetto e venerazione da parte
dell‟uomo.
Anche presso gli Egizi, i Fenici ed i Persiani la coltura
dei boschi aveva carattere sacro.
I Persiani studiarono regole per il trattamento dei
boschi ornamentali che diedero origine ad un
vera arte della coltivazione degli alberi, come è
documentato dalla costituzione dei famosi parchi e
giardini della Persia chiamati “paradisi”.
Nella civiltà dell’antica Grecia la selvicoltura ebbe
una significativa rilevanza; la maggior parte dei
boschi erano considerati sacri, appartenevano alla
Polis ed erano gestiti da sacerdoti con criteri protezionistici e conservativi; solo in
minima parte erano privati e potevano essere amministrati con criteri economici ed
utilitaristici.
Si svilupparono studi e ricerche per migliorare e perfezionare la selvicoltura e si diede alle
discipline e materie, in cui articolarono la scienza forestale, una specifica nomenclatura:
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L’alsocomia o agricoltura forestale o selvicoltura si scomponeva in tre classi:
- Ilotomia (tagliamento) riguardava il complesso delle nozioni e delle applicazioni pratiche
da adottare nel taglio dei boschi, al fine di ottenere i prodotti desiderati e di “ringiovanire i
boschi”;
- Ilagogia (sboscamento), l‟insieme delle nozioni teoriche e pratiche relative all‟arte di
raccogliere e trasportare il legname per vie terrestri o fluviali fino ai luoghi di destinazione;
- Silurgia (tecnologia forestale), l‟arte cioè di preparare i prodotti dei boschi ed in
particolare il legname, per tutti gli usi ed in conformità alle richieste degli utenti.
I Greci, che sono stati i primi ad impostare ed a sviluppare in modo scientifico e
sistematico la scienza forestale, purtroppo sono stati anche veri distruttori di boschi
durante le azioni di guerra, perché il taglio degli alberi rientrava nella strategia bellica da
loro adottata.
Con i Romani, che ereditarono dai Greci tanta parte della loro civiltà ed anche il culto degli
alberi e dei boschi, la selvicoltura ebbe un’ulteriore evoluzione.
Essi mantennero sempre una classificazione in boschi sacri (luci) dedicati a divinità
silvane ed in boschi profani, ma questi ultimi costituivano la maggior parte ed erano
distinti in silvae ceduae (cedui) ed in silvae altae (fustaie).
L‟accresciuto interesse per i boschi indusse i Romani a migliorare la vivaistica, la tecnica
dell‟impianto in rapporto alla scelta della specie ed alla sua adattabilità al terreno, le
modalità di trattamento dei boschi al fine di garantirne la rinnovazione naturale, la
propagazione.
Gli studiosi e scrittori georgici, da Columella a Virgilio, Plinio, Varrone, Orazio e Tacito,
hanno elevato la selvicoltura.
Del resto, molte regole dell‟epoca romana vengono adottate ancora:
il consiglio di scegliere il terreno del vivaio con le stesse caratteristiche pedologiche
del terreno delle zone da rimboschire, ci è stato dato da Plinio;
la regola di raccogliere semi in località (ecotipi) simili a quelle in cui vengono messi
a dimora per vegetare, ci viene riferita da Plutarco;
quella di scegliere il seme che abbia un ottimo grado di purezza e genuinità è
indicata da Varrone.
Con la decadenza dell’impero si ebbe anche l’abbandono e poi lo scempio dei boschi.
Nel lunghissimo periodo di transizione che abbraccia la decadenza e il crollo dell‟impero e
l‟instaurarsi del sistema feudale, tutti i boschi subirono un processo di abbandono.
Nel Medioevo si combinarono
azioni negative: concessione dei diritti di legnatico e di pascolo nei boschi dei
feudatari e
qualche azione positiva: la promulgazione di Editti di bandita, che imponevano di
“foris stare” dai boschi in cui non si poteva esercitare la caccia da parte di altri,
perché “riserva” dei signori.
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L’interesse a favore dei boschi rinasce là dove rifiorisce l’interesse per la cultura e
per l’arte:
Ravenna divenne nel V-VII secolo il nuovo centro di sviluppo e nel Ravennate si ebbero
sintomi di ripresa per la silvicoltura.
Comunque, nel Medioevo, la coltura dei boschi subì un calo di interesse sul piano della
buona gestione, in quanto la concessione dei diritti di legnatico e di pascolo determinò il
degrado della risorsa fino a comprometterne la rinnovabilità.
Il processo di sfruttamento continuò fino ai primi tempi
dell’Evo Moderno, con la fine dei feudalesimo e con l‟incrementarsi
degli scambi fra i popoli.
Il sorgere ed il rapido diffondersi degli Ordini religiosi portò al
risveglio della cultura ed allo sviluppo della filosofia cristiana
medioevale, ridestando interesse e amore per la natura e per i
boschi.
I Benedettini impiantarono la pineta di Ravenna, i Camaldolesi
ed i Vallombrosani ricostituirono ed ampliarono le foreste di
Camaldoli e di Vallombrosa, i Francescani riaffermarono con spirito
nuovo i valori etico-religiosi della natura e dei boschi.
Col XVI secolo, inizia una fase repressiva degli abusi con la promulgazione di leggi e
regolamenti in materia di boschi, in tutti gli Stati d‟Italia.
Nella Repubblica di Venezia questa tendenza ebbe inizio ancor prima con una serie di
leggi che prevedevano non solo gravi sanzioni per i tagli abusivi, ma anche l‟istituzione del
catasto dei boschi.
La prima legge forestale fu quella del 15 luglio 1470 che stabiliva la “riserva dei
roveri”, ovunque cresciuti, per gli usi dell‟Arsenale e del Magistrato delle Acque.
L‟Arsenale di Venezia era il più grande d‟Europa ed aveva bisogno di ingente quantitativo di
legname di rovere per le costruzioni navali: vantava all‟epoca il varo dei più moderni
vascelli, anche a sole vele, di stazza di quattromila tonnellate ed armati con cento cannoni.
Altra legge importante fu quella del 1475 che dichiarò inalienabili ed indivisibili tutti i
boschi ed i beni comunali.
Durante il millennio della sua esistenza, la Repubblica di Venezia è stata certamente la
nazione che più di ogni altra ha sviluppato la selvicoltura, perché l‟espansione e la difesa
del suo dominio dipendevano soprattutto dalla potenza navale e la costruzione della flotta
richiedeva materia prima legno.
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Fra i più significativi provvedimenti ed innovazioni si devono indicare : i catasti, le leggi, le
riserve, le “cariche forestali”, la razionale applicazione del taglio saltuario nei boschi misti
di conifere.
Il catasto formato negli anni 1537 e 1542, raggiunse successivamente un tale
perfezionamento da offrire la statistica esatta di tutti i boschi sotto il dominio della
Repubblica, distinti in boschi pubblici, boschi comunali e privati, nonché di tutte le querce
sparse nelle campagne.
Il catasto della Repubblica di Venezia può considerarsi il modello base dell’attuale
catasto geometrico-particellare, perché non aveva carattere semplicemente descrittivo,
ma consentiva anche la “tassazione per piede d‟albero”.
La Repubblica di Venezia morì il 16 maggio 1797, quando i Francesi occuparono
Venezia, ma il potere del Consiglio dei Dieci in campo forestale era già decaduto verso la
fine del XVII secolo.
Nel XVIII secolo si registrò un interesse allargato al popolo per le scienze forestali, facendo
restare alta la considerazione per la politica forestale svolta dal governo della Repubblica.
In Toscana, Cosimo I dei Medici emanò leggi a carattere repressivo: fu proibito qualsiasi
taglio di boschi, per i contravventori erano previste pene severissime e persino la pena di
morte per i casi di particolare gravità.
Analogamente, nello Stato Pontificio fu promulgata una legislazione improntata al
principio di stroncare ogni abuso a danno dei boschi.
Un ruolo importante nell‟incremento del disboscamento hanno avuto le quotizzazioni di
antichi demani comunali, che divennero quindi di proprietà privata: il fenomeno assunse
maggiore rilevanza nel Mezzogiorno.
In quasi tutti gli Stati italiani si è tentato di porre rimedio con leggi volte ad ostacolare il
depauperamento del patrimonio forestale, ma le crescenti esigenze di terreno agrario di
una popolazione in forte aumento e la convenienza della coltura agraria dei grandi
proprietari rendevano pressoché inefficace ogni strumento legislativo.
Il processo di estensione dei dissodamenti delle terre boscate della collina e della montagna
si sviluppò in tutto il XVI secolo e proseguì nel XVII.
Anche in Inghilterra il decollo dell‟industria cantieristica navale e di quella metallurgica è
legata all‟uso distruttivo della foresta. La scomparsa di grandi estensioni di foreste,
avvenuta a partire dall‟XI secolo, non aveva minimamente influito sulle linee di politica
forestale; e ciò malgrado la pubblicazione nel 1592 di un importante trattato.
Fu solo nel XVII secolo, a seguito delle indagini delle verifiche e degli studi di JOHN EVELYN
(1662), che si comprese l‟importanza del legno per lo sviluppo industriale, e quanto gravi
fossero i riflessi economici dovuti alla distruzione delle foreste.
La selvicoltura moderna come arte della coltivazione dei boschi e
l’assestamento forestale come mezzo di conservazione del patrimonio forestale,
nacquero in Francia nel XVIII secolo, dove la storica Ordinanza del Colbert (1669)
affermò il principio dell‟alto interesse pubblico connesso alla conservazione delle foreste e
stabilì i criteri ed i limiti da rispettare nelle utilizzazioni boschive, per tutelare e garantire la
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conservazione del bosco.
Si fece in Francia in modo più organico quello che era stato fatto nella Repubblica di
Venezia.
Dalla fine del sec. XVIII e per tutto il sec. XIX, la selvicoltura e l‟assestamento si
svilupparono secondo due diverse direttrici che portarono all‟indirizzo forestale tedesco
ed all‟indirizzo forestale francese.
La scienza forestale nei paesi tedeschi è nata e si è sviluppata con la fondazione della
Scuola Forestale di Tharandt (1813) per opera di Heinrich von Cotta
Heinrich Cotta (1763-1844) e Georg Ludwig Hartig (1764-1837) furono i fondatori della
selvicoltura moderna applicata ai popolamenti di conifere.
Heinrich Cotta (1763-1844) nel suo trattato
« Instruction à la sylviculture » (1817) è
stato il primo ad utilizzare il termine
“selvicoltura” passando dal concetto di
“produzione di legna” a quella di “gestione
del bosco”; inoltre introduce la distinzione tra
foresta alta, media e bassa ed il concetto
che i diradamenti “non devono essere solo il
seppellimento delle piante morte (come
teorizzato da Georg Ludwig Hartig), ma devono
educare il popolamento con tagli di
debole intensità”.
L’indirizzo dato dalla Scuola alla selvicoltura tedesca è stato di tipo prettamente
economico, per cui la scelta delle specie da impiantare, il trattamento colturale dei boschi
ed il tipo di gestione da fare dovevano rispondere al principio economico di ottenere il
massimo reddito dalle utilizzazioni boschive. Tale indirizzo era coerente con le esigenze di
sviluppo della società tedesca, che era tra le più avanzate in Europa nel processo di
industrializzazione. Le varie industrie richiedevano soprattutto legname da opera e legno
per cellulosa. Conseguentemente si studiò, si programmò e si attuò un vasto intervento di
conversione dei cedui in alto fusto, di trasformazione di boschi di latifoglie in boschi di
resinose ed in particolare in boschi puri di abete rosso. Il cambiamento delle specie
portò di conseguenza all‟abbandono del trattamento a taglio saltuario ed all‟adozione del
taglio raso con rinnovazione posticipata.
Quindi il bosco misto di latifoglie, che costituiva una risorsa naturalmente rinnovabile fu
trasformato in bosco monospecifico di abete rosso, commercialmente più pregiato, ma
biologicamente più povero, che aveva bisogno di essere rinnovato artificialmente.
Questa monocoltura forestale su vasta scala, in contrasto con le buone leggi
ecologiche, non ha tardato a manifestare la sua fragilità biologica e molti boschi di
abete rosso sono stati distrutti da parassiti e da altre avversità meteoriche.
In pochi anni in Europa sono andati distrutti oltre 150mila ettari di abete rosso.
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Il progetto selvicolturale tedesco è uno dei primi che si sia svolto su programmi
tecnocratici finalizzati ad obiettivi economici, attuati con la tecnologia emergente e con la
logica del profitto e della specializzazione, senza curarsi dell‟impatto tecnologico-
industriale sulla biosfera: pertanto non poteva non far registrare a lungo andare il danno
ambientale ed il fallimento, che oggi si constata in questi boschi distrutti dai parassiti e
dall‟inquinamento atmosferico.
Di indirizzo completamente diverso fu la scienza forestale francese che sviluppò una
selvicoltura su basi naturalistiche.
Lorentz (1775-1865) e Parade (1802-1865) hanno posto le basi per una
selvicoltura più naturale con lo sviluppo del «méthode du réensemencement
naturel et des éclaircies» (metodo di risemina naturale e diradamento) ai boschi di faggio e
quercia in Francia base del metodo «Aménager en Transformant».
Nel suo libro “Cours élémentaire de Culture des Bois” (1837), Parade enuncia, attraverso
la sua frase «Imiter la nature, hâter son oeuvre», (Imitare la natura, accelerare il suo lavoro ) i
principi fondamentali della sua idea di selvicoltura:
«Production soutenue, régénération naturelle et amélioration progressive»
I paradigmi sostenuti da Parade sono:
-la rinnovazione dei popolamenti deve avvenire per via naturale;
- i diradamenti devono essere “positivi”, cioè non devono limitarsi a eliminare i
soggetti morti;
- introduce le conversioni ad alto fusto (graduali, dirette, ecc.) dei boschi
governati a ceduo.
Adolphe Gurnaud (1825-1898) per i soprassuoli misti di abete bianco e abete rosso
propone il trattamento del taglio a scelta (“jardinage” o “selection forest treatment”o
“plentering method”) per
mantenere la disetaneità ed
introduce il sistema del
controllo (méthode de
contrôle) per la verifica degli
accrescimenti.
Gurnaud, sovvertendo
l‟approccio classico
dell‟assestamento forestale
che usava aree fisse e
fissava i periodi di rotazione
(turni), suggerì di utilizzare
criteri specifici per ciascun
soprassuolo basati
sull‟incremento. In tal modo
il periodo di rotazione non è più l‟indicatore principale dello sviluppo, ma è l‟accrescimento
il principio guida dell‟assestamento basandosi su un continuo “controllo” del suo
andamento.
Karl Gayer (1822-1907), professore a Monaco di Baviera, elabora una prima idea di
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“selvicoltura prossima alla natura” sulla base della flessibilità dell‟intervento
selvicolturale a favore della mescolanza del popolamento e della sua rigenerazione
naturale.
Introduce il « taglio raso su piccole superfici » in presenza di aperture naturali già esistenti.
Sempre in Germania, negli anni ‟20-„30, prende forma con l‟opera del 1922 di A. Möller il
movimento del “bosco perenne” (Dauerwald” or "perpetual forest“).
IL BOSCO PERENNE O DAUERWALD
L‟idea del “Bosco perenne” (Dauerwald) fu la risposta pratica data allo stato di estremo
degrado dei boschi tedeschi di quell‟epoca (scarsa fertilità dei suoli, monospecificità dei
soprassuoli, estrema povertà di diversità di flora e fauna) causato da una selvicoltura
basata solo su due specie (Abete rosso e pino silvestre), governate in fustaie coetanei e
trattate a taglio raso con successivo reimpianto artificiale.
La sperimentazione fu iniziata nella foresta privata di Baerenthoren (D) ed aveva come
scopo quello di ritornare a foreste biologicamente diverse con una mescolanza di specie
attraverso una gestione selvicolturale più naturale. L‟idea di base era quella della foresta
come “organismo” in grado di esprimere tutto il vigore e la produttività solo se tutte le sue
parti sono in condizioni ottimali (Moeller 1922).
Per assicurare la permanenza di tutti i prodotti, servizi e funzioni della foresta, gli interventi
dovevano essere mirati al miglioramento delle condizioni del clima in foresta, del
suolo e della foresta stessa, escludendo dai trattamenti il tagli a raso, utilizzando
tecnologie a basso impatto, sfruttando la rinnovazione naturale, favorendo la
mescolanza specifica e preferendo strutture irregolari o disetanee.
Purtroppo durante il nazismo tale teoria fu fatta propria dal partito nazista ed oggetto di
propaganda politica; Alfred Moller, in opposizione al partito nazista, si ritirò e, dopo la
guerra, la sua teoria fu accantonata.
In Italia si registra un ritardo nel campo forestale; la moderna scienza forestale
comincia a prendere piede dopo la costituzione dell’istituto forestale di Vallombrosa
(1869), grazie alle opere di Di Berenger e successivamente del Perona, del Piccoli e più di
recente del Pavari, del De Philippis, del Patrone.
L‟indirizzo seguito dalla Scuola italiana è stato fino al 1910-15 quello tracciato dalle due
scuole già citate con risultati non molto positivi, in considerazione della varietà e
complessità del nostro patrimonio forestale che non poteva essere curato e gestito con
metodologie studiate per altri boschi molto diversi sotto l‟aspetto fisico, ecologico ed
economico da quelli del nostro Paese.
Successivamente l‟indirizzo è diventato eclettico, nel senso che nessun metodo di
assestamento, di governo e di trattamento colturale veniva generalizzato, ma la scelta
era sempre il risultato di uno studio approfondito dell’ambiente fisico ed
economico relativo al bosco considerato.
Oggi la nostra selvicoltura, ma anche quella di quasi tutto il mondo, ha un indirizzo
ecologico-naturalistico che si può definire sinteticamente con la massima di Parade:
«aiutare la natura, affrettare la sua opera».
L‟affermazione della visione olistica e del pensiero ecologico hanno permesso di guardare al
bosco non più come un agglomerato di alberi ma come un tutto: ovvero un sistema in cui
ciascuna componente - biotica e abiotica - ha un preciso significato e svolge un
determinato ruolo.
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Il concetto filosofico di olismo si deve al generale e primo ministro sudafricano JAN
CRISTIAN SMUTS che nel 1926 espose i lineamenti del suo pensiero. Qualche anno prima
(1916), d‟altra parte, FREDERIC E. CLEMENTS negli Stati Uniti aveva definito
superorganism le unità della natura che egli considerava organiche, quindi con un ciclo
naturale simile a quello di un essere umano. E la successione della vegetazione forniva la
prova che la comunità biotica si comportava come un organismo complesso; detto in altre
parole, la natura si poteva considerare come un insieme di sistemi interattivi. La
concezione di olismo e di organismo portava direttamente a concentrare l‟attenzione
sull‟insieme, ribaltando la struttura scientifica dello studio analitico basato sulla chimica e la
fisica.
L‟intervento del selvicoltore non deve forzare la natura, se vuole sempre ricavare dagli
alberi utilità per i più rilevanti bisogni della vita dell‟uomo.
3. IL VALORE DELLE FORESTE – FUNZIONI
Le foreste svolgono innumerevoli funzioni - sociali, economiche ed ambientali: fonti di
lavoro, di reddito e materie prime per l‟industria e l‟energia rinnovabile; protezione del
suolo, degli abitati e delle infrastrutture; regolazione della funzione idrica e conservazione
della biodiversità.
Le risorse forestali sono fondamentali per la conservazione del pianeta e dei suoi abitanti:
oltre a fornire materie prime ecocompatibili e rinnovabili, esse forniscono habitat all‟uomo
garantendo allo stesso tempo una fondamentale risorsa alimentare, ospitano l‟80% delle
specie animali e vegetali, svolgono un ruolo essenziale per la stabilità climatica e
ambientale del pianeta, garantiscono un importante funzione di regolazione idrogeologica
delle acque, influenzandone anche le sue caratteristiche qualitative.
Basta pensare che oggi circa 1,6 miliardi di persone, di cui più di 2.000 culture indigene,
dipendono dalle foreste per la loro sussistenza, in termini di riparo, di cibo e di
occupazione, e ben oltre 7 miliardi di persone usufruiscono, spesso inconsapevolmente, dei
servizi ecosistemici da esse offerti. A ciò si aggiunge il simbolo riconosciuto al patrimonio
forestale come portatore di valori etici, di memoria storica e di tradizioni culturali, di miti e
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di paesaggi, ma anche di lavoro, di spazi per l‟avventura e il divertimento oppure come
occasioni per la creatività artistica.
Naturalmente al fine di garantire la tutela e la rinnovabilità dei nostri boschi e foreste,
sfruttandone le intrinseche capacità di produrre beni e servizi, è necessario sviluppare
nuovi approcci scientifici, tecnologici, industriali, mercantili e culturali che, in linea con i
principi cardine della Gestione Forestale Sostenibile, riescano a conciliare la salvaguardia e
la corretta conservazione con l‟uso economico delle risorse boschive, cosi da adempiere agli
obiettivi di politica ambientale, climatica ed energetica definiti a livello internazionale e
comunitario e soprattutto di tutelare un patrimonio di inestimabile valore, di cui abbiamo
l‟obbligo morale di consegnare alle generazioni future.
Tali funzioni le possiamo, semplificando, raggruppare nelle seguenti categorie:
Protettiva:
- salvaguardia idrogeologica: prevenzione dalle erosioni, dalle valanghe e dalle
piene: (all‟interno del bosco si ha una minore piovosità perché le chiome intercettano fino al 40-50 % delle piogge annue. Il terreno con notevole
percentuale di materiale organico, permette una facile infiltrazione dell‟acqua e,
inoltre, la trattiene come se fosse una spugna. L‟azione delle chiome e del terreno
determina il “potere di trattenuta” del bosco, potere che è massimo nei boschi vigorosi e per piogge minime, è minimo per boschi degradati e per piogge
massime. Grazie a questo potere le acque piovane vengono maggiormente
assorbite dal terreno (anche grazie al lento “sgocciolio”delle piante) e il deflusso avviene in modo non rovinoso e con quantità di acqua minori. Tale deflusso
interessa acque a scarso contenuto di materiale solido, contenuto invece elevato
nei terreni soggetti ad erosione. Il bosco, quindi, aumenta il “tempo di corrivazione” cioè il tempo che occorre ad una particella d‟acqua caduta nel punto
più lontano del bacino imbrifero considerato per raggiungere la sezione dell‟alveo
principale presa come punto di riferimento;
- prevenzione dall’inquinamento delle falde (azione filtrante) - prevenzione dall‟inquinamento atmosferico (azione di filtro)
- prevenzione dall‟inquinamento acustico
- di habitat per vegetali e animali: il bosco è un grande produttore di humus ed ha la capacità di modificare, grazie a questa sua prerogativa, il terreno su cui si
sviluppa e permette lo sviluppo di specie via via più evolute.
Da sempre, infatti, i selvicoltori piantano su terreni poveri specie arboree forestali
poco esigenti ma in grado di produrre notevoli depositi di materiale organico (la
cosiddetta “lettiera”) formata dalle foglie e dai rami. La diminuzione di erosione
superficiale e l‟aumento dello strato organico permettono di far succedere a
queste specie “colonizzatrici” specie forestali più esigenti e di maggiore interesse
economico. Spesso l‟azione miglioratrice consente il “riscoppio” spontaneo della
vegetazione forestale che esisteva prima del denudamento del terreno e che
esiste nelle zone circostanti: in questo caso si hanno maggiori garanzie di stabilità
per il nuovo bosco.
REGOLA IL CLIMA (vento, umidità, temperatura)
Produttiva:
- fornisce legno da ardere, da costruzione e sughero
- fornisce prodotti del sottobosco
- fornisce resine e fibre legnose
- turismo
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Ambientale:
- migliora il paesaggio
- caratterizza il territorio (paesaggio)
Ricreativo-culturale:
- valore estetico e azione psicologica positiva.
4. ATTENZIONE AL RAPPORTO CON L’AMBIENTE E IL PAESAGGIO.
Il tema della gestione sostenibile delle risorse naturali, e quindi dei diritti e delle
responsabilità dell‟uomo nei confronti dell‟ambiente, ha visto nelle risorse forestali uno dei
principali ambiti di ricerca e applicazione del concetto di sostenibilità, grazie anche alle
caratteristiche intrinseche delle risorse forestali, capaci di fornire nel tempo (se gestite
correttamente), un flusso continuo di prodotti e servizi economici, ambientali e sociali.
Il percorso che ha portato nel 1987, con il rapporto Our Common Future della World
Commission on Environment and Development (Commissione Brundtland), a proporre
una definizione condivisa e riconosciuta a livello internazionale del concetto di sviluppo
sostenibile rimane, per certi versi, ancora oggi incompleto. Il concetto di sviluppo
sostenibile, definito dalla Commissione Bruntland non rappresenta, infatti, una definitiva
condizione di armonia, ma viene piuttosto interpretato come un “processo di cambiamento
tale per cui lo sfruttamento delle risorse, la direzione degli investimenti, l’orientamento
dello sviluppo tecnologico e i cambiamenti istituzionali siano resi coerenti con i bisogni
futuri oltre che con gli attuali” (Bruntland, 1987).
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Le Convenzioni di Rio
La convenzione sui cambiamenti climatici (United Nations Framework Convention on
ClimateChange - UNFCCC)
E‟ stata approvata e ratificata durante il summit di Rio de Janeiro nel 1992, ponendo come
primo obiettivo la stabilizzazione della concentrazione dei gas serra in atmosfera.
La convenzione, ratificata dall‟Italia nel 1994, richiede ai paesi aderenti la sottomissione di
un Inventario nazionale dei gas serra, poi sottoposto ad un dettagliato processo di review.
Il Protocollo di Kyoto (1997)
E‟ lo strumento operativo della Convenzione UNFCCC. Stabilisce obiettivi di riduzione delle
emissioni per i paesi industrializzati e paesi con economie in transizione.
In Italia il Protocollo di Kyoto è stato ratificato con la legge 120 del 2002 ed è entrato in
vigore il 16 febbraio 2005.
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Per l‟Italia era prevista una riduzione del 6,5% delle emissioni dei gas serra (GHG) in
confronto al livello del 1990 per il primo periodo d‟impegno
(2008 –2012).
Il Protocollo di Kyoto riconosce alle foreste e al suolo, in virtù della loro capacità di
assorbire anidride carbonica, un ruolo importante nelle strategie di mitigazione dei
cambiamenti climatici.
Le foreste sono quindi considerate alla stregua di serbatoi di carbonio (carbon sinks). I paesi che hanno assunto impegni di riduzione delle emissioni possono quindi raggiungere
i loro obiettivi anche puntando sulle attività legate all‟uso del suolo che comportano una
fissazione del carbonio atmosferico.
Il Protocollo di Kyoto infatti prevede, in base a quanto stabilito negli art. 3.3, 3.4 e
successivi accordi negoziali, l‟impiego di sinks (pozzi) di carbonio per la riduzione
del bilancio netto nazionale delle emissioni di gas serra.
Articolo 3.3. Le variazioni nette di gas ad effetto serra, relative ad emissioni da fonti e da
pozzi di assorbimento risultanti da attività umane direttamente legate alla variazione nella
destinazione d‟uso dei terreni e dei boschi, limitatamente all’imboschimento, al
rimboschimento e al disboscamento dopo il 1990, calcolate come variazioni verificabili
delle quantità di carbonio nel corso di ogni periodo di adempimento, saranno utilizzate dalle
Parti incluse nell‟Allegato I per adempiere agli impegni assunti ai sensi del presente
articolo.
I Paesi potranno ridurre dalle emissioni di gas serra la quantità di carbonio che verrà
assorbita o rimossa da attività di Afforestazione (attività di conversione in foresta
realizzate, per azione antropica, a partire dal 1990, su terreni non boscati da più di 50
anni), Riforestazione (attività di conversione in foresta realizzate, per azione antropica, a
partire dal 1990, su terreni non boscati da meno di 50 anni) Deforestazione avvenute
dopo il 1990 calcolata come differenza di stock di carbonio nel periodo 2008 –2012
Articolo 3.4 è possibile contabilizzare emissioni ed assorbimenti di gas serra relativi
alle attività addizionali, purché abbiano avuto luogo dal 1990 e siano state
intenzionalmente causate dall‟uomo.
In dettaglio, le attività previste dal Protocollo e poi integrate durante la settima conferenza delle Parti (CoP-7) dell‟UNFCCC (United Nations Framework Convention on Climate Change )
nel 2001 a Marrakech sono le seguenti:
1. conservazione delle riserve di carbonio attraverso la protezione dei suoli e delle foreste esistenti;
2. aumento delle riserve di carbonio biologico attraverso creazione di nuove foreste,
una migliore gestione delle attività nel settore agricolo, forestale e di uso del suolo. - (afforestazione, riforestazione) aumento degli stock forestali
- gestione delle superfici forestali
- gestione dei suoli agricoli (miglioramento delle tecniche di lavorazione dei suoli - gestione dei prati e dei pascoli
- prevenzione degli incendi
3. sostituzione di combustibili fossili con biomasse ligno-cellulosiche
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Riflessioni:
1. Le attività agro-forestali NON sono un mezzo permanente per abbattere l‟incremento di
CO2 nell‟atmosfera.
2. Attività di forestazione e riforestazione e di conservazione delle foreste SONO
strategicamente importanti, tuttavia devono essere garantite tutte le condizioni di
sostenibilità.
3. Devono essere approfondite le potenzialità per le attività di forestazione e riforestazione
attualmente poco rilevanti nell‟assorbimento di carbonio atmosferico.
4. Devono essere estese le pratiche di gestione forestale sostenibile (miglioramento dei
boschi, allungamento dei turni, impiego di utilizzazioni a basso impatto sul ciclo del
carbonio, etc)
5. Devono essere migliorate le attività di conservazione degli stocks (lotta agli incendi
boschivi, sviluppo di aree protette ai fini dello stoccaggio di carbonio etc.)
5. LA GESTIONE FORESTALE SOSTENIBILE
(GFS)
Le Dichiarazioni di Rio
Dichiarazione dei principi per la gestione, conservazione e sviluppo sostenibile
di tutti i tipi di foreste.
Sancisce il diritto degli Stati di utilizzare le foreste secondo le proprie necessità, senza
ledere i principi di conservazione e sviluppo delle stesse. I principi esposti riflettono:
1. Il principio precauzionale e di sovranita‟,
2. Il principio di valutazione di impatto,
3. La promozione della ricerca/conoscenza/azione,
4. La ripartizione dei costi e dei benefici,
5. Il trasferimento di strumenti e tecnologie o quantomeno la loro accessibilita‟,
6. Lo stanziamento di specifiche risorse finanziarie a favore dei detentori della risorsa in
questione.
1990: Nascita del Ministerial Conference on the Protection of Forests in Europe Nata da una iniziativa dei governi Finlandesi e Portoghesi ha avuto il punto focale nel
Giugno 1993 nella cosiddetta Risoluzione di Helsinki.
A partire dalla conferenza “Earth Summit” di Rio de Janeiro, l‟aggettivo Sostenibile si
lega definitivamente al termine Gestione Forestale. In alcuni casi, anche prima del 1992,
presero avvio in tutto il mondo iniziative, governative e non, volte a definire i principi
generali, i criteri e gli indicatori di performance della Gestione Forestale Sostenibile
(GFS). Con approcci differenti e per contesti sia locali che globali, numerose furono le
proposte e le interpretazioni che, attraverso il controllo degli impatti ambientali e sociali
delle scelte economiche degli operatori pubblici e privati, cercarono di dare concretezza al
concetto di GFS. In tutti i casi, il punto di partenza rimane la valutazione dei conflitti
presenti tra le parti interessate, al fine di trovare il migliore compromesso tra le dimensioni
ecologica, sociale ed economica delle attività di gestione della risorsa forestale.
In questo contesto, l‟iniziativa più interessante è il processo paneuropeo avviato con le
Conferenze Ministeriali sulla Protezione delle Foreste in Europa (MCPFE,
ribattezzato Forest Europe nel 2009), che rappresenta un processo volontario ma di alto
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livello che coinvolge 46 Paesi europei firmatari e numerose organizzazioni internazionali
nonché la Commissione Europea, le cui attività sviluppatesi in sei Conferenze,
rappresentano l‟anello di congiunzione tra le politiche forestali internazionali e quelle
comunitarie e nazionali. L‟azione del Processo Permanente Paneuropeo prende avvio a
Strasburgo nel 1990 con la prima conferenza ministeriale sulla protezione delle foreste in
Europa, proseguita nel 1993 con la seconda Conferenza (Helsinki), fondamentale per
l‟approvazione della Risoluzione H1 “Linee guida generali per la GFS in Europa” in cui viene
definito, per la prima volta, il concetto di gestione e selvicoltura sostenibile delle foreste
temperate e boreali, secondo il principio cardine che:
“la gestione corretta e l’uso delle foreste e dei terreni forestali nelle forme e ad
un tasso di utilizzo che consentano di mantenere la loro biodiversità,
produttività, capacità di rinnovazione, vitalità e una potenzialità che assicuri, ora
e nel futuro, rilevanti funzioni ecologiche, economiche e sociali a
livello nazionale e globale e non comporti danni ad altri ecosistemi sul piano
ambientale, economico e sociale”.
Successivamente, con le due riunioni degli esperti tenutesi rispettivamente a Ginevra nel
1994 e ad Antalya nel 1995, si è giunti alla definizione dei 6 Criteri e dei rispettivi 101
indicatori descrittivi che permettono di monitorare la presenza di politiche di settore e la
loro effettiva implementazione in Europa.
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Un indicatore è il metodo di misura o di descrizione di singole componenti di un
criterio e del suo significato. Possono essere di tipo quantitativo (indici) o
qualitativo-descrittivo.
Un solo criterio o indicatore non costituisce da solo una misura di sostenibilità, sebbene un indicatore rappresenta un insieme di uno o più dati, connessi tra loro,
ma è il loro insieme che, osservato nel tempo, fornisce un‟immagine complessiva
dello stato delle foreste di una regione e le tendenze verso la gestione forestale sostenibile. Non rappresentano di per sé dei valori standard cioè delle misure con
significato specifico, ma piuttosto uno strumento per valutare nel tempo i
cambiamenti delle foreste e devono quindi essere periodicamente misurati o
osservati. I criteri e gli indicatori sono stati definiti in primo luogo per l‟analisi di tendenze delle
foreste e della loro gestione. L‟interpretazione delle linee di tendenza(variazioni nei valori
degli indicatori) deve aiutare ad individuare quali interventi possono servire a gestire in maniera sostenibile le risorse forestali e quindi ad indirizzare la politica
forestale.
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Principi della gestione forestale sostenibile
Presupposti
• I fattori ecologici costituiscono un limite alle scelte gestionali e non possono essere
controllati
• Definire quali funzioni e i servigi degli ecosistemi possono essere considerati sostenibili
OBIETTIVI A BREVE TERMINE
1. Conservare e gestire i controlli interattivi
• Impedire la degradazione della qualità e delle risorse del suolo
• Mantenere/correggere/annullare i regimi di eventi perturbativi
• Conservare i gruppi funzionali di organismi
• Mantenere i fattori abiotici modulatori quali per es. il microclima
• Controllare gli impatti delle attività umane
2. Mantenere e migliorare i feedback negativi quali per es. i controlli dei predatori
sulle popolazioni di patogeni
3. Mantenere i collegamenti naturali esistenti tra i diversi popolamenti forestali
per es. aumentare e mantenere i corridoi ecologici.
4. Sfruttare le potenzialità incrementali locali ed individuali.
5. La scelta del tipo di trattamento non è predeterminata, ma va nella direzione
degli scopi da raggiungere; attenzione non solo agli interventi da fare, ma anche e
soprattutto a quelli che si possono evitare pur mantenendo gli scopi; il taglio di
utilizzazione deve essere contemporaneamente anche un intervento colturale.
OBIETTIVI A LUNGO TERMINE
1. Massimizzare la resilienza degli ecosistemi
– Diversità: i soprassuoli misti hanno una maggiore capacità di adattarsi alle forze
produttive della stazione
– Struttura: per indirizzare la rinnovazione del bosco non è indispensabile fissare il turno quanto
consentire il miglior possibile sfruttamento delle forze produttive individuali attraverso la distribuzione nel
tempo e nello spazio. Aiutare ed incentivare i processi di rinnovazione naturale che deve avvenire in periodi
di lunghi, con continuità e in modo permanente.
– Capacità adattative di risposte alle perturbazioni - qualità fisiche e biologiche del
suolo, micorrize, organismi N-fissatori, accumulo di SOM (soil organic matter)-
– Conservazione della biodiversità, dei mosaici di (micro-) habitat
7. Condividere le scelte gestionali con le comunità locali
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CONFRONTO TRA TRE TIPI DI GESTIONE SELVICOLTURALE
SELVICOLTURA Scienza sperimentale che studia le relazioni tra fenomeni naturali e le interazioni tra questi e le forme e le tecniche colturali idonee a conservare e ristabilire, nel loro equilibrio dinamico, la funzionalità delle biocenosi, e più in particolare delle FITOCENOSI FORESTALI, in modo da assicurare all‟uomo la PERPETUITÀ dei MOLTEPLICI SERVIGI che esse sono in grado di esplicare e l‟uso razionale di questi. (Ciancio, 1981)
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6. Foreste del mondo (dati 2010) (i dati sono stati tratti da: “Il bosco e le sue filiere” – INEA)
Le foreste coprono il 31% delle terre emerse del pianeta (Quattro miliardi di
ettari)
La quota media di foresta pro capite è di 0,62 ha. La ripartizione non è equa: i 2/3
delle foreste si trovano in soli dieci paesi.
Oltre un terzo di queste (1,4 miliardi di ettari), sono classificate come foreste primarie
La vita di oltre 1.6 miliardi di persone dipende direttamente dalle foreste
Le foreste sono ancora l’habitat di 300 milioni di persone nel mondo Le foreste pluviali producono oltre il 40% dell’ossigeno terrestre
La deforestazione determina dal 12 al 20% delle emissioni di gas serra
contribuendo al riscaldamento globale
La FAO stima che tra il 2000 e il 2010, lo stock di carbonio nella biomassa forestale sia diminuito di circa 0.5 GT all’anno
A livello globale ogni anno, tra il 2000 ed il 2010, sono stati convertiti ad altro
uso o sono andati perduti per cause naturali, circa 13 milioni di ettari di foreste, in parte compensati da nuove piantagioni e dalla (ri)forestazione naturale. La
perdita annuale netta di foreste è stata di 5,2 milioni di ettari l’anno.
Il 30% delle foreste sono utilizzate per la produzione di prodotti legnosi e non legnosi
L‟area forestale protetta nella forma di parchi nazionali, aree naturali protette, è
aumentata di oltre 94 milioni di ettari dal 1990 ad oggi, ed è pari al 13 per
cento della superficie forestale totale.
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Il bosco lasciato al suo stato naturale è sicuramente un ecosistema perfetto in grado di
autoregolarsi e sostenersi, ma l‟uomo come ogni altra specie vivente del pianeta, influenza
e incide sugli ecosistemi forestali per garantire la propria sopravvivenza sul pianeta. Vi è quindi, sempre di più la necessità di trovare un compromesso, in una prospettiva di
lungo termine, al conflittuale rapporto tra attività produttive e salvaguardia dell‟ambiente
naturale e dei suoi caratteri storici e culturali locali.
Se è vero che il bosco e le foreste possono benissimo fare a meno dell‟uomo per sopravvivere, è altrettanto vero che l‟uomo non può fare a meno del bosco e delle foreste
per vivere.
IL CONTESTO EUROPEO
Nell’Unione europea a 27 Paesi, le foreste coprono circa 2/5 della superficie
territoriale complessiva (circa 177 milioni di ettari sono classificati come Bosco o Altre aree boscate, UN-FAO/ECE TBFRA 2010), e la loro estensione è approssimativamente pari a
quella dei terreni ad uso agricolo.
Nell‟ultimo decennio la superficie forestale comunitaria è aumentata di circa 3,5 milioni di
ettari (+2%) grazie a un processo di riforestazione (principalmente naturale) avvenuto a discapito di aree agricole e pascolive marginali o abbandonate.
Nel panorama europeo i Paesi più importanti in termini di superficie forestale sono
Svezia, che da sola possiede il 17,6% delle foreste europee. Seguono Spagna, Finlandia, Francia e Germania, coprendo insieme il 62,4% della superficie forestale
dell‟UE. L’Italia con poco meno di 11 milioni di ettari si posiziona al sesto posto.
La produzione di materia prima forestale (legname da lavoro, da ardere e per usi energetici) ammonta a circa 484 milioni di m3 all‟anno, mentre la crescita annua delle
foreste (incremento annuo) è di circa 768 milioni di m3.
Mettendo a confronto i dati relativi alla disponibilità di provvigione legnosa con quelli di
effettivo prelievo di legname, appare evidente come una parte significativa della produzione potenziale di legname non venga utilizzata. Tale fenomeno è particolarmente
evidente nei paesi mediterranei e nelle zone montane, dove le condizioni orografiche, la
mancanza di idonee infrastrutture e lo scarso valore della materia prima rendono le utilizzazioni forestali non convenienti dal punto di vista economico.
La politica forestale comunitaria, definita anche come “politica ombra”, fin
dall‟istituzione della Comunità Economica Europea, è stata inclusa in altre politiche (agricola e ambientale in primo luogo), rimanendo quindi di esclusiva competenza degli
Stati membri, anche se l‟Unione europea contribuisce a una sua attuazione sulla base del
principio della sussidiarietà e sul concetto di condivisione delle responsabilità. Ciò ha
reso difficile lo sviluppo di una politica autonoma per tale settore. I principali ambiti nei quali le foreste trovano un loro spazio riguardano:
la politica ambientale ed energetica,
il quadro normativo relativo al commercio internazionale, gli interventi e le politiche di cooperazione allo sviluppo, ma principalmente
la Politica agricola comune (PAC), per quanto concerne le misure di interesse
forestale dello Sviluppo rurale. Accanto alle iniziative portate avanti dal processo Paneuropeo MPCFE (Ministerial Conference
on the Protection of Forests in Europe) particolare attenzione merita l‟iniziativa della
Commissione Europea che nel giugno del 2006 porta all‟adozione del Piano d‟Azione dell‟UE
per le foreste (Forest Action Plan, FAP). Esso rappresenta un quadro unitario d‟orientamento per gli interventi forestali realizzati dai
Paesi membri dell‟UE, che dalle istituzioni comunitarie stesse. Basato ancora una volta, sul
concetto di gestione sostenibile delle risorse forestali, esso riconosce anche il valore
delle esternalità positive delle foreste per l‟economia, l‟ambiente, la società culturale e la cultura.
In continuità con l‟iniziativa del 2005, la nuova Strategia Europea, presentata dalla
Commissione il 20 settembre del 2013, “esce dalla foresta”
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per affrontare gli aspetti della “catena di valore” (ossia l‟utilizzo delle risorse forestali ai
fini della produzione di beni e servizi), che incidono in misura determinante sulla gestione
delle foreste. La strategia evidenzia l‟importanza delle foreste non solo per lo sviluppo rurale, ma anche
per l‟ambiente e la biodiversità, per le industrie forestali, la bioenergia e la lotta contro i
cambiamenti climatici.
Dopo aver sottolineato la necessità di adottare un approccio olistico, essa raccomanda anche di tener conto dell‟impatto di altre politiche sulle foreste e degli sviluppi che si
verificano al di fuori dell‟area forestale vera e propria, esortando inoltre gli Stati membri a
integrare pienamente le pertinenti politiche europee nelle loro strategie forestali nazionali. Infine, la strategia auspica l‟istituzione di un sistema d‟informazione forestale e la raccolta
di dati armonizzati a livello europeo sulle foreste.
LE FORESTE E IL SETTORE FORESTALE ITALIANO
Le caratteristiche geografiche, geomorfologiche, pedologiche e climatiche del territorio
italiano, determinano un‟elevata diversità specifica e fisionomica delle formazioni forestali.
L‟attuale paesaggio forestale italiano è il risultato di profonde trasformazioni territoriali e socio-economiche avvenute nel corso dei secoli. Tra queste, le secolari attività selvicolturali
hanno fortemente modellato e modificato la struttura, la composizione, la complessità e la
diversità degli ecosistemi forestali. Per tutte le regioni di montagna del nostro Paese i boschi rappresentano ancora oggi una
componente integrante della vita e della cultura.
Essi svolgono tuttora, un importante ruolo multifunzionale capace di erogare, a vantaggio
della collettività, benefici non solo di tipo economico, ma anche e soprattutto di tipo ambientale.
Negli ultimi 20 anni la superficie forestale nazionale ha registrato un aumento di circa 1,7
milioni di ettari (+ 20%), dovuto in particolare al cambiamento strutturale avvenuto nell‟agricoltura e nella pastorizia, che hanno portato all‟abbandono dell‟utilizzazione delle
superfici meno redditizie (terre marginali) in determinate zone dell‟Appennino e delle Alpi.
L‟ultimo dato ufficiale, attualmente disponibile sulla superficie Forestale Nazionale è di
10.916.000 ha (Eurostat, 2013), pari al 36,2% della superficie del Paese, di cui
l’83,7% è rappresentato dalla macrocategoria Bosco (29% del territorio nazionale).
Solamente il 33,9% dei boschi italiani sono di proprietà pubblica.
In Italia vi sono circa 12 miliardi di alberi (200 piante/cittadino pari a 1.500
m2/cittadino).
Dal punto di vista ecologico, i nostri boschi sono costituiti per circa il 75% da
popolamenti a prevalenza di latifoglie (formazioni più diffuse: boschi di rovere, roverella
e farnia, faggete, castagneti e boschi di cerro, farnetto, fragno e vallonea) e per il 15% da popolamenti a prevalenza di conifere in cui predomina l‟abete rosso (586.082 ettari pari
al 6,7% della superficie totale dei boschi in Italia), e il restante 10% è costituito
da popolamenti misti. La principale forma di governo rimane il ceduo (53%, 3.663.143 ettari dei boschi
italiani) con una netta prevalenza dei cedui matricinati (35%), per lo più rappresentati
da popolamenti prossimi al turno di utilizzazione o invecchiati. Le fustaie occupano il 36% della totalità dei boschi italiani (3.157.965 ettari), con una
leggera prevalenza di quelle di tipo coetaneo (15.8%) rispetto alle disetanee (13.5%) e
sono rappresentate per quasi il 50% da formazioni pure di conifere, in particolare abete
rosso, abete bianco, larice e pini montani e mediterranei.
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Costituiscono un‟importante risorsa genetica ed economica locale, inoltre, le tipologie
colturali considerate speciali (castagneti da frutto, noceti, sugherete) che coprono una
superficie di circa 200.000 ettari. Il 27,5% della superficie forestale nazionale è tutelata da un vincolo naturalistico, con
un’incidenza maggiore in alcune Regioni del Centro e Sud Italia: in Abruzzo,
Campania, Puglia e Sicilia più della metà delle aree forestali è sottoposta a vincolo
naturalistico. Il 7,6% delle foreste ricade in parchi nazionali, mentre il 6,7% è compreso in
parchi naturali regionali.
Una quota molto minore (intorno all‟1%) ricade in riserve naturali o in altre aree protette. Inoltre il 22,2% della superficie forestale nazionale rientra in siti della Rete Natura2000 (Sic
e Zps).
I boschi delle aree naturali protette in Italia costituiscono una tra le principali fonti economiche per il territorio e per il settore turistico nazionale e si stimano oltre 22 milioni
di presenze turistiche annue (pernottamenti), pari al 5,9% delle presenze turistiche
italiane, 5,4 miliardi di euro di consumi totali, 2,9 miliardi di valore aggiunto, 102 mila posti
di lavoro attivati (Unioncamere, 2012). Oltre l’86,6% della superficie forestale nazionale è sottoposta a forme di regolamentazione
vincolistica (Vincolo idrogeologico).
Secondo i dati dell’Inventario Forestale nazionale (INFC 2005), solo il 15,7% dei
boschi italiani (1,3 milioni di ettari) è sottoposto a una pianificazione di dettaglio (piani di
assestamento), strumento fondamentale per garantire l‟offerta di servizi ecosistemici in equilibrio con quella di prodotti commerciali (legname ad uso industriale e legna da
ardere).
Il sistema industriale foresta-legno, in Italia coinvolge più di 125.000 imprese e più di 720
mila addetti. A livello nazionale, l‟offerta locale di legname risulta insufficiente a soddisfare la domanda
delle industrie di trasformazione che rimangono dipendenti dall‟estero per oltre il 70 % del
materiale legnoso utilizzato. La massa legnosa prelevata annualmente in Italia con le operazioni selvicolturali si attesta,
secondo i dati ufficiali disponibili (FAOSTAT), da ormai più di 10 anni, a meno 9 M di m3 (di
cui oltre il 60% è rappresentato da legna per uso energetico) che corrisponde a poco meno di un terzo dell‟incremento annuo totale che è pari a circa 37.2M di m3 (INFC, 2005).
Si pensi che ogni 28 secondi, sulle Alpi, cresce spontaneamente la quantità di legno
necessaria per costruire una casa.
Questo dato di prelievo, sicuramente sottostimato e che potrebbe attestarsi tra il 25% e il 35% dell‟incremento annuo, risulta comunque molto inferiore alla media dei Paesi dell‟UE
che si attesta al 62% dell‟incremento totale annuo. Tuttavia nonostante la dipendenza
dall‟estero di materie prime legnose, la filiera nazionale del legno-mobile nel suo complesso garantisce un saldo commerciale positivo.
L‟Italia, infatti, è tra i primi posti al mondo per l‟esportazione di prodotti finiti e il sistema
legno-arredo costituisce il comparto trainante della filiera forestalegno italiana.
Il saldo relativo all‟import-export risulta invece negativo per l‟altra importante filiera della trasformazione di pasta di cellulosa e produzione di carte, cartoni e assimilati.
In conclusione è possibile affermare che il settore forestale nazionale si trova oggi a dover affrontare problemi che in ampia misura dipendono dalla scarsa capacità di valorizzare le
potenzialità e le opportunità che il patrimonio forestale del nostro Paese è in grado di
garantire in termini di sviluppo, occupazione, salvaguardia ambientale e presidio del territorio.
Come conseguenza, la gestione attiva delle foreste è rimasta molto limitata, con un
evidente rischio non solo per l‟assetto idrogeologico ma anche per la salvaguardia delle
caratteristiche ecologiche e paesaggistiche degli ecosistemi forestali delle nostre aree montane e rurali che, essendo il frutto di secoli di interazione tra natura e azione antropica,
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rischiano di ridurre, se non di perdere, molte delle loro funzioni nel caso non vengano
attivamente e correttamente gestite.
7. LA GESTIONE ATTIVA E LE FILIERE FORESTALI
La gestione attiva del patrimonio forestale rappresenta la base per soddisfare gli interessi
economici sia del proprietario-gestore del bosco, sia le esigenze ecosistemiche della società e della collettività che vive il bosco.
Come processo (pluriannuale e multifunzionale) di tutela e valorizzazione della risorsa
naturale, ha rappresentato (in generale nel passato per le economie locali rurali e montane legate alle risorse naturali) e rappresenta ancora oggi lo strumento principale per la
conservazione della biodiversità e del paesaggio, per la lotta al dissesto idrogeologico, agli
incendi boschivi e al cambiamento climatico, nonché una fonte occupazionale ed economica per le aree interne rurali e montane.
Tutto ciò viene fortemente ribadito dalle conferenze di Rio del 1992, dal Protocollo di Kyoto
(1998), dalle Conferenze Ministeriali sulla protezione delle foreste in Europa (MCPFE oggi
Forest Europe), dalle Strategie Forestali Europee (1998, 2005 e 2013), dalla Strategia nazionale del Programma Quadro per il settore forestale (2009) e infine dalla normativa del
settore nazionale e regionale che recepisce gli indirizzi e gli impegni internazionali e
comunitari.
L‟abbandono delle aree rurali e montane e di conseguenza delle attività di presidio del
territorio e delle pratiche agrosilvopastorali, di cui si registra un progressivo aumento negli ultimi 60 anni, rappresenta per il nostro Paese e per il territorio un rischio in termini
ambientali, economici e sociali i cui effetti (in termini ambientali, economici e purtroppo di
vite umane) incominciano sempre più a manifestarsi con una frequenza crescente anche in
relazione alle sempre più manifeste mutazioni climatiche. La gestione forestale attiva, realizzata nel rispetto dei criteri e dei principi di Gestione
Forestale Sostenibile assume, quindi, un ruolo prioritario
per: • la tutela del territorio (presidio, prevenzione e ripristino),
• per la conservazione di habitat specifici di ecotono,
• per la protezione del suolo e la mitigazione del dissesto idrogeologico, influenzando positivamente il ciclo idrologico, il bilancio idrologico del suolo e la formazione dei
deflussi idrici e riducendo i fenomeni erosivi e la propagazione dei deflussi, per la
conservazione del paesaggio storico,
• per il miglioramento delle capacità di resilienza e adattamento ecologico e sociale al cambiamento climatico,
• per lo sviluppo di attività imprenditoriali legate alla risorsa forestale (fruizione, didattica,
ecc) • per la produzione di prodotti forestali, legnosi e non legnosi, e non per ultimo per la
fornitura di servizi ecosistemici e beni pubblici.
In particolare, i criteri internazionali di sostenibilità (MCPFE-1993) si basano sui principi di sostenibilità economica, ambientale e sociale dell‟utilizzo delle risorse forestale e
questi tre principi sono strettamente collegati a una caratteristica unica del patrimonio
forestale: la sua rinnovabilità ed ecocompatibilità. Pertanto, il mantenimento del suo valore economico e bioecologico può essere garantito nel
tempo se tale risorsa non viene abbandonata ma gestita attivamente dall‟uomo nei limiti
imposti dalla legge e nel rispetto delle sue dinamiche evolutive attraverso strumenti di pianificazione (Piani di gestione e assestamento) che garantiscano un uso razionale e
sostenibile nel tempo della risorsa per assicurarne la sua perpetuità e resilienza.
Analogamente il Protocollo di Kyoto, riconosce proprio nella gestione forestale (forest
managmant), nell‟imboschimento (afforestation e riforstation) gli strumenti prioritari per migliorare le capacità naturali di assorbimento del carbonio atmosferico.
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Oggi non si può più parlare di una sola filiera forestale legata alla produzione ma risulta più
corretto parlare di Filiere forestali che dal bosco evolvono verso il prodotto legno, i beni e i
servizi ecosistemici, la fruizione turistico ricreativa, e non per ultima quella energetica. Pertanto la filiera produttiva legata alla risorsa forestale, oggi coinvolge competenze
scientifiche, tecnologiche, industriali, mercantili e culturali fortemente differenziate e
interessa aspetti biologici (biodiversità, capacità riproduttiva ecc.), selvicolturali e
agronomici (sostenibilità produttiva e ambientale), ecologici (protezione del suolo e del territorio) e tecnologici (caratteristiche qualitative e comportamentali del legno, tecnologie
innovative, nuovi materiali, macchine e utensili, ecc.).
La struttura industriale della produzione e lavorazione del legno può essere suddivisa in tre componenti tra loro integrate in una logica di filiera:
• produzione forestale: comprende tutte le attività selvicolturali inenerenti le fasi di
gestione e approvvigionamento; • prima trasformazione: comprende tutte le lavorazioni volte alla produzione di
materiali grezzi e semilavorati per fini strutturali, artigianali ed energetici, per il
comparto dei pannelli a base di legno e dell‟imballaggio;
• trasformazione industriale: comprende tutte le lavorazioni dell‟industria della carta, del mobile, delle produzioni in legno, dell‟utilizzazione della biomasse a fine
energetico in impianti superiori a 150 Kw.
Le componenti risultano legate fra di loro da scambi intersettoriali che, nella maggior parte dei casi, non coinvolgono trasversalmente tutte le fasi della filiera, presentando frequenti
collegamenti e competizioni nell‟approvvigionamento delle materie prime. La prima fase è
comune a tutti gli usi e utilizzi che della risorsa bosco l‟uomo può volere e allo sviluppo di tutte quelle filiere legate alla risorsa forestale che dipendono da un‟attiva gestione
sostenibile.
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I servizi ecosistemici collegati alla presenza di risorse forestali ricoprono un ruolo sempre più importante nell‟economia del paese come conseguenza della crescente domanda di
servizi pubblici quali la tutela idrogeologica, la regolazione del ciclo dell‟acqua, la
conservazione del paesaggio e della biodiversità, la riduzione delle emissioni di gas di serra
in atmosfera. L‟offerta di questo ampio spettro di servizi pubblici, un tempo una sorta di spillover conseguenti a una attiva gestione delle foreste per la produzione di beni
commerciali, è attualmente minacciata dai processi di abbandono gestionali, spesso
associati a fenomeni di diminuzione della stabilità degli ecosistemi forestali e alla loro maggiore vulnerabilità al fuoco, agli eventi meteorologici avversi, agli attacchi parassitari.
Incendi, invecchiamento delle formazioni in aree a forte pendenza, abbandono delle
sistemazioni idrauliche tradizionali e dei terrazzamenti sono alcuni dei fattori che causano o innescano l‟instabilità dei versanti, risultato della mancanza di una gestione dei beni
fondiari, in primis le foreste.
Si registra la crescita di una serie molto ampia e diversificata di nuovi utilizzi delle foreste,
spesso con positivi impatti di reddito e occupazionali su scala locale, legati alle attività turistico-ricreative, sportive, di didattica ambientale, di valorizzazione dei prodotti non
legnosi, culturali (musei e concerti in foresta) e ricettive. Non sempre in questo caso i
decisori pubblici sono preparati a valorizzare tali potenzialità. Il legno, data la sua caratteristica di materia prima rinnovabile, sta tornando in “auge” in
seguito alle discussioni sollevate dai cambiamenti climatici e dal costo dell‟energia che
tocca periodicamente picchi elevati. L‟utilizzazione del legno fornito dal bosco italiano può tuttavia essere incrementata senza arrecare danni al bosco. L‟incremento del consumo del
legno consente inoltre al bosco di svolgere in maniera duratura le sue funzioni. Il legno
rappresenta inoltre un elemento fondamentale della cultura edilizia, abitativa e artigianale
nazionale che contribuisce alla qualità della vita. Un‟utilizzazione ottimale e sostenibile, con coerenza e nel miglior modo possibile, del legno proveniente dal bosco implica nel caso
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specifico che da un metro cubo di legno raccolto si ricavi il più elevato valore aggiunto
possibile e si mantenga al minimo indispensabile l‟impatto ambientale. Il miglior modo per
garantire tale obiettivo è quello di valorizzare la materia prima secondo il principio dell‟utilizzazione “a cascata”. Questo principio implica che gli assortimenti di legno idonei
devono, ad esempio, essere utilizzati innanzitutto nell‟ambito della costruzione di edifici,
dell‟arredamento interno o per la fabbricazione di mobili. L‟impiego del legno a scopo
energetico, pertanto, costituisce solo l‟ultimo anello della catena.
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8. IL CONTESTO GIURIDICO ITALIANO
Una definizione giuridica di bosco, valida universalmente, a prescindere dalla funzione che si attribuisce allo stesso e alla realtà territoriale in cui insiste (zona altimetrica, pianura
invece di montagna, area alpina piuttosto che mediterranea), è sempre stata complessa e
difficoltosa, tanto che anche le leggi forestali del 1877 e del 1923 non fornivano alcuna
definizione specifica di bosco.
Il legislatore dell‟epoca ha ritenuto più opportuno lasciare che fosse l‟Autorità forestale ad
individuare, caso per caso, “i terreni di qualsiasi natura (anche boschivi) che per effetto di
utilizzazioni contrastanti potessero con danno pubblico subire denudazioni, perdere stabilità
o turbare il regime delle acque”, per sottoporli, solo successivamente, al regime dei vincoli
forestali.
La necessità di dare una definizione giuridica al concetto di bosco è stata avvertita in modo
particolare dopo l‟entrata in vigore della legge n. 431/1985, recante disposizioni in materia
di tutela paesaggistica, meglio nota come legge Galasso. La legge Galasso, infatti, ha
sottoposto l‟uso e il dissodamento del bosco e degli altri beni di interesse forestale e
ambientale ad un preciso sistema di autorizzazioni, senza specificare in modo dettagliato
l‟oggetto della tutela penale.
Tra le tante, si riporta la definizione “ecosistemica” di bosco data dalla Corte di
Cassazione in una sentenza del 12 febbraio 1993: “il concetto di bosco deve essere riguardato come patrimonio naturale con una propria individualità, un ecosistema
completo, comprendente tutte le componenti quali suolo e sottosuolo, acque
superficiali e sotterranee, aria, clima e microclima, formazioni vegetali, fauna,
microfauna, nelle loro reciproche profonde interrelazioni, e quindi, non solo l‟aspetto estetico paesaggistico di più immediata percezione del comune
sentimento”. Si è in presenza di una definizione ancora non del tutto esaustiva.
Nel corso degli anni anche altri autorevoli soggetti istituzionali hanno cercato di individuare
una definizione di bosco, al fine di rendere meno indeterminata la norma.
Tra queste definizioni di bosco, le più interessanti sono state date:
– dalla FAO;
– dall’ISTAT;
– dall’Inventario Forestale Nazionale Italiano.
Secondo una recente definizione (Global Forest Resources Assesment - FRA - 2000), la
FAO considera bosco un territorio con copertura arborea superiore al 10%, su un‟estensione maggiore di mezzo ettaro e con alberi alti, a maturità, almeno 5 metri.
Può trattarsi di formazioni arboree chiuse o aperte, di soprassuoli forestali giovani o di aree
temporaneamente scoperte di alberi per cause naturali o per l‟intervento dell‟uomo, ma
suscettibile di ricopertura a breve termine. Sono, inoltre, inclusi nelle aree boscate i vivai forestali, le strade forestali, le fasce tagliafuoco, le piccole radure, le barriere frangivento,
le foreste delle aree naturali protette, le fasce boscate, purché maggiori di mezzo ettaro e
larghe più di 20 metri, gli alberi da gomma, le sugherete, i vivai per gli alberi di Natale, le piantagioni di alberi per la produzione di legno.
Sono esclusi dalla definizione di bosco i territori usati prevalentemente per le pratiche
agricole, come le piantagioni di alberi da frutto.
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L’ISTAT, invece, considera superficie forestale boscata quella rappresentata da una
superficie di terreno non inferiore a mezzo ettaro, in cui sono presenti piante forestali
legnose, arboree e/o arbustive, che producono legno o altri prodotti forestali, determinanti, a maturità, un‟area d‟incidenza di almeno il 50% della superficie e suscettibili di avere un
ruolo indiretto sul clima e sul regime delle acque.
Infine, l’Inventario Forestale Nazionale Italiano risalente al 1985 definisce bosco “un terreno di almeno 2.000 metri quadrati, coperto per almeno il 20% di alberi o arbusti; se
l‟appezzamento boscato è di forma allungata la larghezza minima deve essere di 20 metri.
Tale terreno è definibile bosco anche se si trova temporaneamente privo di copertura arborea per cause accidentali o in seguito a utilizzazione periodica”.
L‟esigenza di una definizione giuridica del bosco si è avvertita ulteriormente con l‟emanazione della legge quadro sugli incendi boschivi (la n. 353 del 21 novembre 2000),
che ha introdotto il reato di incendio boschivo (articolo 423-bis del codice penale). Tale
legge, infatti, ha avuto il merito di specificare cosa si intende per incendio boschivo (ossia,
un fuoco con suscettibilità a espandersi su aree boscate, cespugliate o arborate), ma ha omesso di definire cosa giuridicamente si intende per aree boscate o arborate. Ossia, non
ha risolto la seguente questione: quando un incendio si può considerare penalmente
boschivo se non si conosce la definizione giuridica di bosco?
Definizione giuridica di bosco data dal legislatore statale A risolvere in parte i dubbi interpretativi è intervenuto il decreto legislativo 18 maggio
2001, n. 227, recante disposizioni per l‟orientamento e la modernizzazione del settore
forestale, che, all‟articolo 2, introduce nell‟ordinamento giuridico norme in materia di
definizione di bosco e di arboricoltura da legno. L‟articolo 2 del decreto legislativo n. 227/2001 è stato recentemente modificato dall‟articolo
26 della legge 4 aprile 2012, n. 35, recante disposizioni integrative sulla nozione di
bosco. Si tratta di norme rivolte prevalentemente alla cura degli aspetti economici e produttivi di
talune aree rurali anziché di disposizioni attente alla salvaguardia degli aspetti naturalistici
e ambientali di tali delicati ecosistemi.
Queste modifiche legislative, talune delle quali di difficile interpretazione ai fini applicativi,
non considerano più come bosco alcune formazioni forestali artificiali e certe zone agrarie e
prative coinvolte da processi di forestazione; pertanto, queste aree rurali, non essendo più riconosciute come bosco, rischiano seriamente di essere compromesse, per il venir meno
del vincolo connesso alla nozione di bosco.
Il legislatore statale ha introdotto nel testo del decreto legislativo n. 227/2001 alcune
norme di salvaguardia volte ad evitare troppe difformità di disciplina tra una regione e
un‟altra, a scapito della chiarezza e dell‟uniformità di trattamento che oggi, invece, appare
ricercata e da più parti invocata. Il successivo comma 3 dell’articolo 2, infatti, assimila a bosco, in ogni caso, e quindi su
tutto il territorio nazionale:
– i fondi gravati dall’obbligo di rimboschimento per le finalità di difesa idrogeologica del territorio, qualità dell‟aria, salvaguardia del patrimonio idrico, conservazione della
biodiversità, protezione del paesaggio e dell‟ambiente in generale;
– le aree forestali temporaneamente prive di copertura arborea e arbustiva a causa di utilizzazioni forestali, avversità biotiche o abiotiche, eventi accidentali e incendi;
– le radure e tutte le altre superfici d‟estensione inferiore a 2.000 metri quadri che
interrompono la continuità del bosco, non identificabili come pascoli, prati e pascoli
arborati.
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Infine, secondo un‟importante pronuncia della Corte di Cassazione (Sez. III, sentenza n.
1874 del 23 gennaio 2007), nella nozione di bosco rientra anche la macchia mediterranea,
indipendentemente dal suo carattere arboreo o arbustivo, sicché non si deve più distinguere tra “macchia alta”, di predominanza arborea, e “macchia bassa”, di natura
arbustiva. Secondo la formulazione letterale della definizione, invece, la “macchia rada” o
gariga, cioè la scarna vegetazione dei suoli più poveri, resta estranea alla nozione di bosco
data dal legislatore statale.
Per via delle diverse definizioni di bosco date dalle varie Regioni: ………..
si è consolidato un importante orientamento giurisprudenziale della Corte di Cassazione penale, ai sensi del quale la definizione di bosco ai fini della tutela paesaggistica, della
tutela dell’ambiente e degli ecosistemi spetta solo allo Stato, che la esercita
attraverso l‟articolo 2, comma 6, del decreto legislativo n. 227/2001, mentre spetta alle Regioni stabilire eventualmente una diversa nozione di bosco per i territori di loro
appartenenza, solo per fini attinenti alle competenze
regionali, quali per esempio la gestione selvicolturale dei boschi, le utilizzazioni boschive,
le attività relative all‟arboricoltura, le attività di rimboschimento, la disciplina dei castagneti.