ironicamente Mediterraneo - ARX · the railway viaduct. At its foot, a small torrent runs and...

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Sezioni del paesaggio da Salerno a Reggio Calabria Verso il Mediterraneo Towards the Mediterranean mostra a cura di/exhibit by Emilia Giorgi e Antonio Ottomanelli ironica mente Sections of the landscape from Salerno to Reggio Calabria progetto di allestimento/set-up project 2A+P/A testo di/text by Antonio Ottomanelli

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Sezioni del paesaggio da Salerno a Reggio Calabria

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testo di/text by Antonio Ottomanelli

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Along State Road 18 on the way to Reggio Calabria, at the highway junction of Pizzo, the road crosses the railway viaduct. At its foot, a small torrent runs and crosses fields of orange groves, and quietly reaches the sea. Ten years ago, I was here for the first time. Today, in the shadow of the pillars of the viaduct, the stalls selling food have become local products hypermarkets. I photographed it in his military carachter expressed in colossal forms. A Cretaceous skeleton of bare and naked walls, ruled by an order made comprehensible by regularity symmetry and variety. I’ve always been interested about the dramatic character of the infrastructure, regardless of the human dimension; the intensity of its image that determines the emotional value of the entire landscape. Their evidence and persuasive force always involves people’s interest about an event, a story which is always the history of its construction. Works are, always, the dwelling hosting the celebration of human actions; inside them the spirit is nourished by its very material; whether they are individual or collective works, material or intellectual. The work is a vehicle and a symbol of sudden and deep changes of the physical and cultural landscape in which it takes shape. The work is always an infrastructure of the revolution. The element that distinguishes a work by making it Major Work, is perhaps the character of the revolution that nourishes. If the revolution arises from a deep and clear relationship with the territory in which it occurs, it grows as an expression of shared responsibilities and disseminates ideal of emancipation. In this case Revolution means Innovation and the attitude that primarily defines the Innovation is its unpredictability. On the contrary al the rest comes out as common and ordinary. The Major Work then, spreads innovation overcoming the borders in which it forms itself, through the natural character of the unpredictability of its manifestations. Major Works activate an unlimited number of revolutions that insist on the level of economic and cultural forces; subverting a particular condition of the physical landscape and certain structures of social relations. A work can be defined Major Work if it is the way and the opportunity to come back living in close contact with this far away places, approaching them and even bringing them together. When this assumption is not observed, the work does not create revolutions, but conflicts that bring trauma and are cause of neglect and forgetfulness. If, then, the condition of conflict is rooted in ancient and very recent inequalities it ends up becoming - in the collective imagination - an perennial historically given element. Calabria is perhaps the most striking example of this state of conflict, the largest piece of the harsh southern question. Land historically linked to disaster, instability, conflict, riot, migration, Calabria runs out in all this imagery, which still affects even his present history and its collective perception so much that makes it difficult to change its condition introducing new

a sinistra/ on the left Progetto fotografico ''Atlante Italiano 03'', SS 106 Jonica (foto di Mario Cresci), Collezione di Fotografia, Museo MAXXI/ Photographic project "Atlante italiano 03", SS 106 Jonica (photo by Mario Cresci), Collezione di Fotografia, MAXXI Museum

Percorrendo la Strada Statale 18 in direzione Reggio Calabria, all'altezza dello svincolo autostradale di Pizzo, si incrocia il viadotto della linea ferroviaria. Ai piedi corre una piccola fiumara, attraversa le campagne di aranceti arrivando al mare. Dieci anni fa ero qui per la prima volta. Oggi all'ombra dei piloni del viadotto, le bancarelle sono diventate solidi ipermercati di prodotti locali. L’ho fotografato, nel suo carattere militare espresso in forme colossali. Uno scheletro cretacico di murature nude e spoglie, governato da un ordine comprensibile fatto di regolarità, simmetria e varietà. Mi ha sempre interessato il carattere drammatico delle infrastrutture, incurante della dimensione umana; l’intensità della loro immagine che determina il valore emozionale dell’intero paesaggio. La loro evidenza e forza persuasiva coinvolge sempre l’interesse delle persone all’interno di un avvenimento, di una storia: quella della sua costruzione. Le opere sono, sempre, la dimora che ospita la celebrazione delle azioni dell’uomo; nelle quali lo spirito si nutre della sua stessa materia. Che si tratti di opere collettive o individuali, di opere materiali o intellettuali. L’opera è veicolo e simbolo di cambiamenti improvvisi e profondi del paesaggio fisico e culturale in cui essa prende forma. L’opera è sempre infrastruttura di rivoluzione. Il dato che distingue un’opera rendendola Grande è forse il carattere della rivoluzione che nutre; se nasce da una relazione profonda e chiara con il territorio in cui si manifesta, cresce come espressione di responsabilità condivise, e matura un ideale diffuso di emancipazione. In questo caso la rivoluzione è innovazione, e l’atteggiamento primario che definisce l’innovazione è proprio l’imprevedibilità. Al contrario, tutto risulta comune, ordinario. L’opera quindi, quella Grande, propaga innovazione oltre i confini in cui si forma, facendo dell’imprevedibilità il carattere naturale delle sue manifestazioni; origina un numero indefinito di rivoluzioni che insistono a livello delle forze economiche e culturali, sovvertendo una particolare condizione del paesaggio fisico e determinate strutture di relazione sociale. Un’opera può definirsi Grande se è movente e occasione per tornare a vivere luoghi lontani, avvicinarli e addirittura unirli. Quando questo presupposto non è osservato, l’opera non genera rivoluzioni, ma conflitti che procurano traumi e che sono causa di abbandono e smemoramento. Se, poi, la condizione conflittuale si radica su antiche e recentissime disuguaglianze, essa finisce col divenire, nell'immaginario collettivo, un dato storicamente perenne. La Calabria rappresenta l’esempio forse più vistoso di questa condizione di conflitto, il segmento più aspro della questione meridionale. Terra storicamente legata al disastro, al dissesto, al conflitto, alla rivolta, alla migrazione, la Calabria si esaurisce tutta in questo immaginario, che ne condiziona ancora la storia e la stessa percezione collettiva e rende difficile modificarne la staticità introducendovi elementi nuovi e inaspettati. È difficile parlare della Calabria, se non come di un territorio perduto, se non con parole che mescolano fatalismo e delusione per il fallimento di prospettive di emancipazione, che ha infettato lo spirito e l'immaginazione di un intero territorio: un territorio trasfigurato da un conflitto senza sosta, un paesaggio culturale e fisico talmente coincidente ormai con la dimensione traumatica della propria condizione, da diventarne parte integrante. Da ciò deriva l’idea che questo conflitto e i suoi traumi non ci appartengano, stentiamo a considerarli parte di un problema nazionale e comunitario, espressione di una realtà permanente e contemporanea globale che vede coinvolta la totalità dell’ecumene democratica; esiliamo, compiacenti, ai margini di quella regione le prove e il giudizio di una diffusa incultura dell’ascolto; e proviamo a scongiurare questo smemoramento, che è disumanizzazione del reale, confiscando a quel paesaggio, per il privilegio di

altri, ogni possibilità di riscatto. Questo progetto rivendica la priorità di un rapporto con il paesaggio e una sua onesta conoscenza. Affrontiamo un luogo, lo descriviamo nel tentativo di comprenderlo, e restiamo ad osservare il suo paesaggio; con il passare del tempo, del nostro tempo, ci accorgeremo della sua forma normale, guarderemo a quel paesaggio come modello. Vale per qualsiasi paesaggio. In un ambito circoscritto, ritroveremo gli stessi fenomeni che si manifestano e descrivono territori più ampi, di forma diversa. Via via si scopre, però, che ciò che stiamo descrivendo o provocando o addirittura modificando, sono le coordinate che definiscono noi stessi nella misura del rapporto con il luogo; noi come misura di determinate strutture di relazione sociale; noi come fattore di determinazione di una particolare condizione di esistenza, di una particolare condizione del paesaggio; noi come grado di consapevolezza riguardo il nostro coinvolgimento, il nostro ruolo. La Calabria, quindi, non è una metafora, nè un modello. Siamo noi quelli abituati alla Calabria, al trauma che essa rappresenta, non il paesaggio calabrese. E nel momento in cui fuggiamo la normalità espressa in questo ritratto, fuggiremo la realtà stessa del conflitto da noi generato. Questo progetto custodisce un racconto che è coraggioso invito alla cura. Un’esperienza di autenticità. Oltre il passo della Zita, si entra in Calabria, e restano questi ritratti. Il racconto di essi. Bisogna “discendere alle madri” e avvicinarsi al soggetto con coraggio. Queste fotografie e questi documenti di riti e vicende, di viadotti, animali e mare, non sono una copia del reale, sono il momento e il luogo in cui la realtà stessa si manifesta. Questo progetto non ha posto al centro l’autorialità; ha privilegiato il dialogo tra le singole indagini ed esperienze visive e la ricerca che l’ha originato. Questa opera evita una posizione straordinaria in virtù di un lavoro corale, per restituire una definizione mutevole e caleidoscopica del soggetto. Il volume è completato da un breve dizionario analogico del termine Grande Opera, composto da undici saggi redatti da altrettanti studiosi e professionisti; scelti per la reciprocità della loro ricerca rispetto al tema da noi indagato, nonché per

l’eccezionalità dei traguardi da loro fissati in ambito internazionale.

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a sinistra/ on the left Progetto fotografico ''Atlante Italiano 03'', Viadotto della linea ferroviaria (foto di Mario Cresci), Collezione di Fotografia, Museo MAXXI/ Photographic project "Atlante italiano 03", Viaduct of the railway line (photo by Mario Cresci), Collezione di Fotografia, MAXXI Museum

sopra/ above Progetto fotografico ''Atlante Italiano 03'', Abitazioni sottostanti il viadotto (foto di Mario Cresci), Collezione di Fotografia, Museo MAXXI/ Photographic project "Atlante italiano 03", Houses below the viaduct (photo by Mario Cresci), Collezione di Fotografia, MAXXI Museum

and unexpected elements. It’s hard talk about Calabria differently from a lost territory. It’s hard not to use words which mix up fatalism and disappointment with the failure of the perspectives of emancipation that has infected the spirit and the collective imagination of an entire area: a territory transformed by a neverending conflict, a cultural and physical landscape now so coinciding with the traumatic dimension of its condition, that has become an integral part of it. Hence derives the idea that this war and its traumas do not belong to us, and for that we hardly consider them part of a national and EU problem. This problem is expression of a global, contemporary and permanent reality which involves all the democratic oecumene. Complacent we sent away from us, into the dephts of that region, the evidence and the judgment of a widespread inability to listening. We try to avert this forgetfulness, dehumanization of reality, denying this landscape every chance to redeem itself in favour of the privilege of others. This project, claims the priority of a relationship with the landscape and its honest knowledge. We face a place, we describe it, in an attempt to understand it, and we stay observing its landscape. With the passage of time, of our time, we realize its normal form. We will start considering the landscape as a model. This general principle applies to any landscape. In a small environment, we will meet the same phenomena that occurs and describe larger and different territories. though, gradually it turns out that what we are describing or causing or even changing, are the coordinates that define ourselves in the same as extent of our relationship with the place. We as a measure of certain structures of social relations; We as a influencing factor in determining a particular condition of existence, a particular state of the landscape; We as a degree of awareness about our involvement, our role. Calabria, then, is not a metaphor, nor a model. the Calabrian landscape isn't accustomed to itself. On the contrary we are the landscape accustomed to Calabria, we are those people accutomed to the trauma that Calabria represents. And when we flee the semiotic usage expressed in this portrait, we flee the reality of the conflict generated by us. This project doesn’t focuses on the authorship, it puts first the dialogue between the individual surveys, the visual experiences and the research which gave rise to them. This work, avoids an extraordinary position by virtue of a choral work, to give back an uncertain and kaleidoscopic definition of the subject. It is composed of eleven essays written by intellectuals and international professionals, chosen for the reciprocity of their research regarding the topic investigated by us as well as for the exceptional nature of the goals they lay down in the international debate.

a sinistra/ left: SA-RC, Mormanno foto di Armando Perna/ (CS)/ SA-RC, Mormanno (CS) photo Armando Perna

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pagina precedente/ previous page: Stretto di Messina foto di Giulia Ticozzi/ Stretto di Messina photo Giulia Ticozzi

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sopra/ above: SA-RC, Viadotto Italia, Laino Borgo - Laino Castello (CS) Armando Perna/ SA-RC Viaduct Italia, Laino Borgo, Laino Castello (CS) photo by Armando Perna

in basso/ below: Viadotto Cava Leone, Reggio Calabria foto di Maurizio Montagna/ Viaduct Cava Leone, Reggio Calabria photo by Maurizio Montaga

a destra/ right: Stretto di Messina, foto di Giulia Ticozzi/ Strait of Messina photo by Giulia Ticozzi

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Edoardo Gellner in Sicilia

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testo di/text by Chiara Baglione

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Ricordando l’esperienza della progettazione del villaggio residenziale ENI a Gela, Edoardo Gellner scriveva nel 1973: «Non ci si poteva dimenticare che si trattava di agire entro una terra di antiche profonde tradizioni urbane. Una terra in cui città e campagna risultano sempre, formalmente, separate, dove gli agglomerati in cui si svolge la vita delle comunità sono una massa tutta costruita, quasi un’isola di radicale umanizzazione nel paesaggio agrario […]. Ed erano presenti alla memoria certi modi tipici di configurare il paesaggio urbano delle città siciliane: l’articolazione altimetrica; i raccordi a scalinate; la rigorosità degli allineamenti; una certa “durezza” nelle composizioni dei volumi»1. Testimoniata da alcuni schizzi e da numerose fotografie dell’area di progetto e della città di Gela conservate nel suo archivio2, l’attenzione dedicata da Gellner al territorio e al tessuto urbano storico siciliano si inserisce in una “operante idea di paesaggio”3 applicata innanzitutto all’ambiente e all’architettura rurale delle Dolomiti, indagati tramite la fotografia in una ampia e inesausta ricerca iniziata negli anni Cinquanta e confluita nei volumi pubblicati negli Ottanta4. «Ci meraviglia – scriveva Ludovico Quaroni nel 1962 – la capacità di quest’uomo di educazione e di sangue non esattamente mediterranei di comprendere e interpretare un mondo, una luce, un paesaggio, un modo di vita. Chi ha potuto parlare a lungo con lui è rimasto incantato dall’amore e dalla intelligenza con le quali osserva un paesaggio naturale e l’architettura che la storia umana vi semina sopra a trasformarlo»5. Dopo aver ricevuto da Enrico Mattei, nel novembre 1960, l’incarico di studiare un quartiere residenziale per i tecnici, gli operai e gli impiegati del complesso petrolchimico di Gela, la cui realizzazione era stata avviata dall’Anic, la società del gruppo l’ENI operante nel settore della chimica6, Gellner si era recato agli inizi di dicembre in Sicilia per un primo sopralluogo nella vasta area individuata da Mattei e dai dirigenti dell’ENI per la realizzazione del quartiere, situata ad ovest del centro storico di Gela, tra la strada statale e la costa, presso la foce del torrente Gattano, nella zona detta Macchitella e sull’altura di Montelungo. Già il 7 dicembre, l’architetto aveva annotato velocemente in un piccolo schizzo le scelte urbanistiche fondamentali: la localizzazione dei servizi in posizione centrale, in modo che potessero “cucire” le due zone poste a quote altimetriche diverse; la previsione di una zona turistica per i dipendenti ENI, localizzata in prossimità del mare, non richiesta dalla committenza ma proposta da Gellner per creare una parte “estiva” del villaggio, diversificando il tipo di abitanti; la creazione di un sistema viario a “grappolo”. Proprio a seguito delle suggestioni ricavate dalla visita al luogo, l’8 dicembre Gellner aveva inoltre tracciato un primo schizzo prospettico che illustrava un’idea chiave per la “città residenziale”

Edoardo Gellner in Sicily. In 1973, when recalling the experience of designing the ENI residential village in Gela, Edoardo Gellner wrote: “One could not forget that it was acting within a land of deeply rooted, ancient urban traditions. A land where cities and the countryside are always formally separate, where the clusters in which community life takes place are a substantial built mass, almost an island of radical humanisation in the agrarian landscape [...]. And there we present certain ways of configuring the urban landscape of Sicilian cities: the articulation of altimetry; the junctions by means of steps; the strictness in alignment; a sort of ‘rigidity’ in the composition of volumes.”1

Gellner's archive preserve some sketches and a number of photographs of the area in which the project was situated.2 Gellner gave great consideration to the land and the historic Sicilian urban fabric, allowing the project to fit into an “operative idea of landscape”.3 This was a concept that was initially applied to the environment and to the rural architecture of the Dolomites; it was a research conducted through photography which began in the 50’s and was presented in volumes published in the 1980’s.4 “We are astonished - as Ludovico Quaroni wrote in 1962 – in the ability of this man, who is not exactly of Mediterranean education and blood, to understand and interpret a world, a light, a landscape, a way of life. Anyone who has had the fortune to speak with him for a long time has been enchanted by the

siciliana7. Sfruttando al meglio le caratteristiche del territorio, Gellner aveva immaginato una sorta di moderna Acropoli, alla quale si accedeva tramite una lunga e ampia scalinata, delimitata da basse costruzioni, che collegava le due parti del centro civico. Nello schizzo compaiono anche un piccolo studio dell’edificio sacro, destinato a sorgere nella parte alta del sito – ispirato alla chiesa della Sacra Famiglia a Genova di Quaroni – e un’idea per gli edifici a torre nei pressi del centro civico. Mentre nella prospettiva dell’8 dicembre la lunga scalinata è affiancata da strutture basse irregolari, in un altro schizzo, datato 11 dicembre 1960, raffigurante uno studio del centro civico con una piazza “sottana” e una piazza “soprana”, la scalinata è delimitata da una cortina continua di edifici che richiama – anche per la posizione laterale della chiesa nella piazza superiore, dunque fuori asse rispetto al percorso ascensionale – la soluzione urbana della celebre scala di Santa Maria del Monte a Caltagirone, fotografata da Gellner probabilmente nel viaggio di ritorno da Gela a Catania8. Il programma per la “città” residenziale Anic-Gela prevedeva la progettazione urbanistica di un insediamento per 8660 abitanti su un’area di 148 ettari (con una densità media di 60 abitanti per ettaro) e il progetto esecutivo di un primo lotto di 400 alloggi. Erano richiesti edifici residenziali su tre piani più il piano terra destinato alle autorimesse, con alloggi da 85, 105 e 150 mq, un tipo edilizio a maggior sviluppo verticale per persone singole e case isolate per i dirigenti. A partire dagli schizzi citati, Gellner definì alcune scelte generali che rimasero costanti nel corso dell’intenso, seppure breve, lavoro di progettazione che, anche grazie al “regime da caserma” del suo studio9, gli consentì di elaborare, tra l’inizio di dicembre del 1960 e la fine di marzo dell’anno successivo, un piano ben definito alle diverse scale di intervento. Già il 3 gennaio 1961 Gellner era in grado di sottoporre a Mattei il piano urbanistico generale e lo studio di una tipologia edilizia. Il sistema urbano si componeva di un asse principale a scorrimento veloce, parallelo alla strada statale che collegava il nuovo insediamento alla città di Gela e all’impianto petrolchimico; dall’asse – sul quale si attestavano grandi corti aperte formate da edifici a quattro piani – partivano vie secondarie che portavano a gruppi di abitazioni monofamiliari a un piano con impianto a L e giardino interno, raccolte attorno a piccole piazze e localizzate in prossimità della spiaggia. Mattei chiese all’architetto un «grattacielo»10, una richiesta, legata alla necessità di autorappresentazione dell’azienda, che non stupisce, se si tiene conto del fatto che risaliva probabilmente allo stesso Mattei l’idea di un grattacielo come sede degli uffici dell’ENI a San Donato11. Gellner rispose aumentando l’altezza degli edifici a torre destinati agli appartamenti per persone singole posti in prossimità del centro sociale, come rivela la modifica della veduta prospettica del complesso dalla strada statale. Si veniva così a configurare un insediamento costituito da due “piastre” continue di edilizia a quattro piani dalle quali si elevavano le torri, sorta di pendant delle ciminiere dello stabilimento petrolchimico. In gennaio Gellner si impegnò nella definizione del progetto esecutivo del settore sud-est del quartiere Gattano, mettendo a punto le tipologie abitative e ridefinendo al contempo il piano urbanistico dell’intero quartiere, con il rafforzamento del sistema viario a grappolo, l’introduzione di corti quadrate chiuse che si affiancavano a quelle aperte, l’aggregazione di alcune scuole, la creazione di percorsi pedonali differenziati rispetto alle vie di traffico. Con l’adozione di una regola geometrica rigorosa, basata su un reticolo modulare di 1,22 x 1,22 m, il progettista volle inoltre sopperire alla mancanza di vincoli dati dalle preesistenze locali, allo scopo di creare un tessuto che si configurasse come “urbano”. Le fonti di ispirazione dell’architetto cortinese erano molteplici: i nuovi insediamenti residenziali danesi e svedesi che aveva visitato di persona nell’agosto del 1959, alcuni quartieri INA-casa, i progetti urbani di Le Corbusier, come il piano di urbanizzazione di Marsiglia sud o quello presentato al concorso per Berlino capitale del 1958, le Kingo Houses di Jørn Utzon a Helsingør in Danimarca12. Gli spunti tratti da modelli italiani e internazionali erano rielaborati da Gellner tenendo conto del paesaggio urbano siciliano, come descritto nella citazione in apertura, un’attenzione che si estendeva anche alla scelta dei materiali e al disegno del verde. Abbandonato il sistema costruttivo semindustrializzato, studiato in un primo tempo, Gellner optò, infatti, per una struttura in calcestruzzo armato con tamponamenti di differenti tipi di tufo, riproponendo, anche se forse con esiti formalmente meno convincenti, la ricerca sul rapporto tra materiali locali, sistemi costruttivi tradizionali e linguaggio contemporaneo già condotta nella progettazione del villaggio di vacanza per i dipendenti ENI a Corte di Cadore. Inoltre, l’adozione di essenze tipiche del paesaggio siciliano – aranci, eucalipti, macchia mediterranea – accompagnata dalla rimodellazione del terreno per creare diverse composizioni geometriche, consentì a Gellner, insieme alla variazione dei prospetti delle case in linea, di caratterizzare ogni corte residenziale13. Nel complesso, il brano di città ideato da Gellner si sarebbe differenziato sostanzialmente dall’immagine dei quartieri residenziali realizzati dall’ENI

love and intelligence with which he observes the natural landscape and architecture.” 5

In November, 1960, Enrico Mattei gave Gellner the task of generating ideas for a residential district for technicians, workers and employees of the Gela petrochemical complex. This construction was started by Anic, a company of the ENI Group, operating in the chemical industry.6 Gellner had gone to Sicily in early December for the first inspection of the vast area; this area had been chosen by Mattei and the Directors of ENI for the construction of the district. It was situated to the west of the historical centre of Gela, between the highway and the coast, at the mouth of the Gattano stream, in the area called Macchitella and on the rise up to the hill of Montelungo.By December 7th, the architect had already recorded (in a small sketch) the basic urban planning options. He had planned out the centrally positioned services so that they could link two zones at two different elevations; he had forecast a tourist zone for the ENI employees which was located close to the sea (this had not been requested in the commission, but had been proposed by Gellner to create a “summer” area); and he had worked on the creation of a “cluster” road system.On December 8th, following the ideas obtained from the site visit, Gellner drew the first prospective sketch which illustrated key ideas for the construction of the Sicilian “residential city”.7 Taking inspiration from the features of the area, Gellner had envisaged a kind of modern Acropolis, which was accessed through a long, large staircase, bordered by low buildings, connecting the two parts of the civic center. In the sketch there is also a small study of the religious building, intended to rise at the top of the site (inspired by the church of the Sacra Famiglia in Genoa by Quaroni), and an idea for the tower buildings near the town center.In the design from December 8th, the long staircase is flanked by irregular low structures; however in another sketch, dated December 11th, 1960, there are a few notable differences: the study from December 11th illustrates the civic centre with a “lower” square and an “upper” square; the staircase is delimited by a continuous curtain of buildings that evokes the famous stairway of Santa Maria del Monte in Caltagirone, (also due to the lateral position of the church in the higher square, therefore off axis with respect to the ascending path). This stairway was photographed by Gellner, probably on the return journey from Gela to Catania.8

The Anic-Gela Residential City Program envisaged urban planning for a settlement of 8660 inhabitants on an area of 148 hectares (with an average density of 60 inhabitants per hectare) and the final plans for 400 residential units. Three-storey residential

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urbanistico generale, planivolumetrico della seconda versione con

“grattacieli”. Università Iuav di Venezia - Crediti

immagine: Archivio Progetti, Fondo Edoardo

Gellner / First project of the general layout of

the second version with "skyscrapers". Image

Credits: Iuav University of Venice - Projects Archive,

Fondo Edoardo Gellner

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buildings were planned with the incorporation of a garage on the ground floor; thisthe apartments were to be 85, 105 or 150 square meters. Residential towers were planned for single people. Isolated houses were designed for the directors of the company.The above mentioned sketches allowed Gellner to establish some broad choices in the design of the town. In the brief yet intense period from December 1960 to March 1961, Gellner ran his studio with a “military strictness” which enabled the production at a clearly defined plan of the various scales of intervention.9 By January 3, 1961, Gellner had submitted the general layout and a building type to Mattei. The urban system consisted of a fast-moving main axis, parallel to the state road, linking the new settlement to the city of Gela and the petrochemical plant; from the axis - on which there were large open courts formed by four-story buildings - secondary roads began which lead to groups of L-shaped single-family housing units with an internal garden, gathered around small squares, and located close to the

beach.Mattei requested that Gellner include a “high-rise building” in the plan.10 This desire was linked to the need for self-representation of the company; this is not surprising if one takes into account the fact that Mattei probably came up with the idea of a skyscraper as the headquarters of the ENI offices in San Donato.11 Gellner responded by increasing the height of tower buildings for single-person apartments close to the social centre; this is seen in the modification of the prospective view of the complex from the main road. It was thus possible to configure a settlement consisting of two continuous ‘slabs’ of four-story buildings from which the towers were raised.In January, Gellner engaged in completing the final design of the southeast section of the Gattano district. He did this by defining the typologies of housing and redefining the urban plan of the whole neighbourhood; he consolidated a cluster road system; he introduced closed square courts that flanked open ones; he aggregated some schools; he introduced pedestrian pathways and differentiated them from the traffic routes. By adopting a rigorous geometric rule, based on a modular pattern of 1.22 x 1.22 m, Gellner aimed to overcome the constraints set by the absence of pre-existing architecture, in order to create and configure an ‘urban’ fabric.There were numerous sources of inspiration for the architect: the new Danish and Swedish residential villages that he had personally visited in August 1959, some INA-casa neighbourhoods, and the urban designs of Le Corbusier (such as the urbanisation plan of South Marseille or the one presented at the 1958 Berlin competition, and the Kingo Houses of Jørn Utzon in Helsingør in Denmark).12 The ideas from Italian and international models were reworked by Gellner; he took the Sicilian urban landscape into account (as described in the opening quotation), which also extended into the choice of materials and the ‘landscape’ design. Gellner abandoned the semi-industrialised structural system and opted for a reinforced concrete structure with infill of different types of tuff; he proposed this (though perhaps with less formally convincing results), after the research conducted on the relationship between local materials, traditional constructive systems and contemporary language already carried out in the design of the holiday village for ENI employees in Corte di Cadore. In addition, the adoption of the botanical species typical of the Sicilian landscape - oranges, eucalyptus, maquis - accompanied the remodelling of the ground, creating diverse geometric compositions. This, alongside with a variation in facades of the multi-story buildings, allowed Gellner to distinguish each residential court.13 Overall, the piece of the city designed by

in questa pagina/ in this page: Schizzi di studio della

piazza “sottana” e della scalinata di raccordo tra le

due piazze, 11 dicembre 1960. Crediti Immagine:

Università Iuav di Venezia - Archivio Progetti, Fondo

Edoardo Gellner/ Studying sketches of the "sottana"

square and the stairs connecting the two squares, December 11, 1960. Image

Credits: Iuav University of Venice - Projects Archive,

Fondo Edoardo Gellner

Gellner would have been substantially differentiated from the image of residential neighborhoods built by the ENI until that moment. This is seen in the choice of materials (the use of the exposed tuff and stone paving in streets and squares - and it was a point discussed by the client), and for the type of treatment of open spaces. In the eyes of the SNAM project engineers, Gellner had adopted unusual typologies.14 The SNAM engineers were more inclined to the practical and efficient reuse of settlement models already tested in other locations.15 The design of the district was then entrusted to the studio of Nizzoli and Oliveri (evidently more in tune with the project management methods of SNAM), and Gellner's plan was subject to radical simplification and a significant increase in housing density. The district was partially built and originally inhabited mainly by employees and technicians from the north. It was destined to remain extraneous to Sicilian reality, not only because of the architectural language but also for the way in which the company managed the project – they worked on creating a "happy island", completely separate from the social context of Gela until the end of the 1970’s.16

Note

1 E. Gellner, Architettura e ambiente. Appunti su esperienze personali di progettazione, dattiloscritto della relazione presentata a Vienna, 12 ottobre 1973, in Archivio Progetti IUAV, Venezia (AP/IUAV), Gellner 5.Ricerche, NP: 060738.2 AP/IUAV, Gellner, “Città” residenziale Anic a Gela. Documentazione fotografica. Cfr. M. Merlo, Progettare per Enrico Mattei. La città residenziale Anic di Gela nel progetto di Edoardo Gellner, in Macchitella Laboratorio di progetto urbano, a cura di R. Nicolini, A. Cannizzaro, Reggio Calabria 2010, pp. 51-61.3 Cfr. V. Pastor, Gellner per un’operante idea di paesaggio, in M. Carraro e R. Domenichini, a cura di, Architettura, paesaggio, fotografia. Studi sull’archivio di Edoardo Gellner, Padova 2015, pp. 15-43.4 Cfr. L. Pavan, L’invenzione della tradizione. Il regionalismo ben temperato di Edoardo Gellner, ivi, pp. 59-86; R. Domenichini, Per costruire un archivio della conoscenza: Gellner e la fotografia, ivi, pp. 199-220.5 L. Quaroni, La “città” residenziale Anic a Gela, in «Urbanistica», 35, marzo 1962, p. 91.6 Sulla genesi del progetto e sul ruolo di Mattei cfr. C. Baglione, La città mancata. Enrico Mattei e il progetto di Edoardo Gellner per il quartiere ENI a Gela, in «Lexicon», n. 12/2011, a cura di P. Barbera, pp. 63-72.7 Questo e gli schizzi a cui si fa riferimento più avanti sono in AP/IUAV, Gellner 2.Professione/1/182/7, fasc. 5.8 Si vedano i provini a contatto 5866 e 5867 nell’album n. 4 Foto 1960-61, AP/IUAV, Gellner 4.Fotografie/1/1.9 La definizione è di Carlo Scarpa. Cfr. E. Gellner, F. Mancuso, Carlo Scarpa e Edoardo Gellner. La chiesa di Corte di Cadore, Milano 2000, p. 7. 10 Appunto di Gellner relativo all’incontro con Mattei del 3 gennio 1961, in AP/IUAV, Gellner 2.Professione/1/182/7, fasc. 1.

fino a quel momento, per la scelta dei materiali (non a caso l’uso del tufo a vista fu uno dei punti discussi dalla committenza, così come la pavimentazione in pietra delle strade e delle piazze), per il tipo di trattamento degli spazi aperti, per l’adozione di tipologie inconsuete agli occhi degli ingegneri della Snam-progetti14, più propensi alla pratica ed efficiente riproposizione di modelli insediativi già collaudati in altri luoghi15. Il disegno del quartiere venne infine affidato allo studio Nizzoli e Oliveri, evidentemente più in sintonia con i modi di gestione del progetto praticati dalla Snam, e il piano di Gellner fu sottoposto a una radicale semplificazione e a un notevole aumento della densità abitativa. Il quartiere, realizzato solo parzialmente e abitato in origine prevalentemente da impiegati e tecnici provenienti dal nord, era destinato, così, a rimanere estraneo alla realtà siciliana, non solo a causa dell’immagine architettonica, ma anche per il tipo di gestione da parte dell’azienda, che contribuì, fino alla fine degli anni Settanta, a creare “un’isola felice” completamente separata dal contesto sociale di Gela16.

in apertura/ opening page: Modello in scala 1:200 del settore sud-est del quartiere Gattano. Crediti Immagine: Università Iuav di Venezia - Archivio

Progetti, Fondo Edoardo Gellner./ Scale 1: 200 model of the southeast

area of Gattano district Image Credits: Iuav University of Venice - Projects

Archive, Fondo Edoardo Gellner

11 Cfr. D. Deschermeier, Impero ENI. L’architettura aziendale e l’urbanstica di Enrico Mattei, Bologna 2008, p. 42.12 Per un’analisi dei riferimenti di Gellner cfr. C. Baglione, Dalla Scandinavia alla Sicilia: la nuova città di Gela tra modelli internazionali e quartieri INA-Casa, in M. Carraro e R. Domenichini, a cura di, op. cit., pp. 179-200.13 Cfr. F. Mancuso, Edoardo Gellner: il mestiere di architetto, Milano 1996, pp. 260-271.14 La struttura dell’ENI si occupava della costruzione di metanodotti e impianti petrolchimici, ma, attraverso il Servizio costruzioni edilizie, gestiva anche la realizzazione dei complessi residenziali del gruppo.15 Cfr. C. Baglione, La città mancata, cit.; D. Deschermeier, La collaborazione tra l’architetto Edoardo Gellner e l’ente statale ENI: due culture di progetto a confronto, in Edoardo Gellner. Similitudine, distinzione, identità, a cura di E. Macelli, C. Cagneschi, Bologna 2011, pp. 66-75.16 Cfr. A. Cannizzaro, Identità ibride tra tradizione e industrializzazione, in Macchitella, cit., pp. 67-83.

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eventi a cura di/exhibit by Marcel Cordeiro

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tsfoto di/photo by Saro Iemmolo e Simone

Mastrelli

Spesso rigenerare uno spazio urbano si lega solo all'aspetto materiale e fisico. Questa rigenerazione perde però di senso senza un pensiero, senza un progetto sociale al passo con i tempi e sempre difficile da comprendere. Un evento, anche episodico, può aiutare a capirne il percorso e in questo senso la creatività è il vero motore progettuale e strategico. “Welcome to Paradise” si inserisce all'interno di questo ruolo strategico grazie all'intuizione di Marcel Cordeiro. Una notte del ?? ?? Marcel collegò alla la presa di corrente della sua casa a Modica una scritta portatrice di energia e positività: “Welcome to Paradise”. Il “Welcome” è l'invito esplicito, democratico, a tutte le persone desiderose di novità, di energie nuove. “Paradise” è un progetto di benessere culturale, sociale che vuole recuperare dal passato il senso della lentezza come valore contemporaneo con declinazione future. Un luogo abbandonato della città di Modica, Monserrato, diventa grazie alla creatività di Cordeiro il nuovo Paradiso. L’Arte, i ruderi abbandonati, i vicoli stretti disegnano coralmente il luogo del prossimo futuro, il Paradiso i cui limiti fisici erano le istallazioni artistiche ed il cui soffitto era il cielo terso siciliano. Quella notte del ?? Marcel Cordeiro invitò molti artisti riconosciuti internazionalmente ed appropriarsi degli spazi abbandonati per creare scenari nuovi urlando a Modica, alla Sicilia, al Mondo un grido di dolore per il presente, ma soprattutto una speranza per il futuro. Nella lontana Sicilia un brasiliano eclettico, naturalizzato milanese, ma soprattutto uomo del mondo, ha fatto un gesto semplice e rivoluzionario attaccando una spina ad una presa elettrica facendo luce abbagliante su una parte della città morta e lontana dai cittadini di Modica e non solo./ Often regenerating an urban space only binds to material and physical appearance. This regeneration, however, loses sense without thinking, without a social project that is timely and always difficult to understand. An event, even episodic, can help you understand the path and in this sense creativity is the real engine and strategic engine. "Welcome to Paradise" is part of this strategic role thanks to Marcel Cordeiro's intuition. A night of the ?? ?? Marcel connected his powerhouse to Modica with a writing of energy and positivity: "Welcome to Paradise". "Welcome" is the explicit, democratic invitation, to all people who are eager for newness, new energies. "Paradise" is a project of cultural, social welfare that wants to recover from the past the sense of slowness as a contemporary value with future declination. An abandoned place in the city of Modica, Monserrato, thanks to the creativity of Cordeiro the new paradise. Art, abandoned ruins, narrow lanes project corally the place of the near future, Paradise whose physical limits were artistic installations and whose ceiling was the Sicilian sky. That night of the ?? Marcel Cordeiro invited many internationally recognized artists and appropriated abandoned spaces to create new scenarios screaming at Modica, Sicily, to the World a cry of pain for the present, but above all a hope for the future. In the far east of Sicily, an eclectic Brazilian, a native of Milan, but above all the man of the world, made a simple and revolutionary gesture by attaching a plug to an electrical outlet by dazzling light on a part of the dead city and away from the citizens of Modica and beyond.

foto di/photos by Simone Mastrelli

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a sinistra in basso/ left below: Mostra fotografica, foto di Saro Iemmolo/ Photographic exhibition, photo by Saro Iemmolo

in questa pagina/ in this page: Proiezione sul muro e mostra fotografica, foto di Saro Iemmolo/ Wall showing and photographic exhibition, photo by Saro Iemmolo

a sinistra in alto/ left above: Installazione interna/ Internal installation

in apertura/ opening page: Vista esterna ''Welcome to Paradise'', foto di Saro Iemmolo / External view of ''Welcome to Paradise'', photo by Saro Iemmolo

in queste pagine/ in this pages: Foto degli eventi delle varie edizione di "Welcame to Paradise"/ Photos of the events of the various "Welcame to Paradise"f

I temi nel corso degli anni:

2011 Welcome to paradise2012 Morte e rinascita2013 La fiera della vanità2014 Delizia e Grazia2015 Insolito umano2016 Verso l'ignoto

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Generalmente si collega l’attimo ad un fatto temporale circoscritto temporalmente e che il Dizionario della lingua italiana infatti definisce la “minima quantità di tempo” proprio ad indicarne la brevità, senza coglierne l’intensità. Ma cogliere l’attimo è soprattutto la capacità di saperlo fermare per tirar fuori quelle sfumature, quei dettagli, quei colori, quelle relazioni fra le parti che lo compongono. Se poi l’attimo esprime drammaticità questo assume valenze ancor più evocative e metaforiche. Ettore Pinelli quando dipinge dimentica di essere un pittore, nel senso stretto del termine, trovando dentro di sé i segni di un fotografo, di uno scenografo, di un architetto e perché no di un sociologo. La sua formazione didattica fiorentina lo colloca a pieno titolo dentro questo numero di AND dedicato alla Sicilia e a quella “identità” non ostentata, ma concepita come integrale di un’appartenenze, di interessi disciplinari, di sensibilità sempre diverse e complementari. I suoi “attimi” sono la sintesi di una sovrapposizione di significati, partendo da un fotogramma, spesso drammaticamente teatrale, che si materializzano attraverso sovrapposizioni di tecniche compositive. Potremmo considerare questa sua tecnica come una “velatura” contemporanea, come lo era nei pittori dell’ottocento presi a rappresentare non tanto il fatto attraverso il contrasto dei colori, quanto l’avvenimento e l’istante. In Pinelli più che di “velature” in senso classico si potrebbe parlare di layer, tramutando un termine legato alla comunicazione tecnologica, in una vera e propria tecnica contemporanea e rivoluzionaria. La rivoluzione del mite Ettore Pinelli, risiede proprio nel voler far parlare l’istante confondendolo nei suoi layer sovrapposti per farne uscire la parola. Una parola mai oggettiva, ma volutamente soggettiva perché ogni osservatore può leggere e capire i diversi messaggi che il fotogramma esprime. In questo senso Pinelli, viste forse anche le sue orgogliose origini modicane, è antistorico e barocco alla ricerca di un nuovo modo di interpretare la realtà conoscendone le regole, ma rompendole come un contemporaneo Borromini. Interessante inoltre negli “attimi” di Pinelli la diversa lettura dell’ oggetto a seconda della distanza: come se il percorso a ritroso da vicino a lontano fosse un viaggio ideale nell’interpretazione del messaggio, mai unico e plurale. Da vicino si percepiscono le velature, i layer contemporanei, ma non la partenza del fotogramma che allontanatisi di tre metri diventa prepotente nella sua forte drammaticità contemporanea: l’attimo teatrale/ Generally the moment and the temporally limited fact are connected each other and the Italian Dictionary actually defines the "minimum amount of time" to indicate its brevity, without taking the intensity. Catch the moment is especially be able to stop it to take out those shades, details, colors, relations among tha parts that compose it. If the moment expresses dramaticness, this takes even more evocative and metaphorical values. When Ettore Pinelli paints, he forgets to be a painter, finding into himself the signs of a photographer, scenographer, architect and also a sociologist. His Florentine dialectical formation places him into this AND edition, dedicated to Sicily and to that ‘’identity’’ not ostentatious, but conceived as an integral part of a subject, of disciplinary interests, of always different and complementary sensitivities. His "moments" are the synthesis of an overlapping of meanings, starting from a dramatic frame, which materializes themselves through overlapping compositional techniques. We could consider this technique as a contemporary ‘’vell’’, as it was for the eighteen-century painters who representing not the fact through the color contrast, but the moment. Regarding Pinelli, more than classical "veils", it could talk about layers, transforming a term related to technological communication, into a contemporary and revolutionary technique. The revolution of Ettore Pinelli is the will to let the instant talking, confusing it in its overlapping layers to make it out of the word. A word never objective, but deliberately subjective, because every observer can read and understand the different messages that the frame expresses. In this way Pinelli, perhaps aware of his modican origins, is unhistorical and baroque searching a new way to interprete reality knowing its rules, but breaking them as a contemporary Borromini. Moreover, is interesting how in the Pinelli’s ‘’moments’’, the reading of the object changes depending by the distance : as if the back-to-back route was an ideal journey into the interpretation of the message, never single and plural. Nearly it’s possible to feel the vells, the contemporary layers, but not the departure of the frame becoming far 3 meters, becomes overpowering in its strong contemporary dramatics: theatrical moment.

Ettore Pinelli (Modica, 1984) vive e lavora a Modica (RG). Formatosi in Accademia di belle arti di Firenze, si diploma in pittura nel 2007 e in progettazione e cura degli allestimenti nel 2010. Ha preso parte a numerose mostre in gallerie private e luoghi istituzionali, tra cui la Galleria Nazionale di Cosenza e il Museo Bellomo di Siracusa. Tra il 2014 e il 2017 è finalista in numerosi premi, ultimo il 18º Premio Cairo, esponendo nelle sale di Palazzo Reale a Milano. Nel 2015 è vincitore del Premio Marina di Ravenna e nel 2016 del Premio We Art International (Milano). Menzionato dalla rivista Arte (Cairo Editore) come uno degli artisti under 40 significativi dello stato della ricerca artistica italiana/ Lives and works in Modica (RG). Trained in the Academy of Fine Arts in Florence, he graduated in painting in 2007 and in designing and taking care of the installations in 2010. He took part in numerous exhibitions in private galleries and institutional locations, including the National Gallery of Cosenza and the Bellomo Museum of Syracuse. Between 2014 and 2017 he is a finalist in numerous awards, the last of the 18th Cairo Prize, exhibiting in the rooms of Palazzo Reale in Milan. In 2015 he won the Marina di Ravenna Award and in 2016 the We Art International Award (Milan). Mentioned by the magazine Arte (Cairo Editore) as one of the significant under 40 artists of the state of Italian artistic research.La

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Theatricality of the moment

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in alto/ on the top: Blurring motion_zoom in (rose light) 2016 olio su tela 24x30 cm

a sinistra/ left: Negare una visione personale (blue light) 2016 olio su tela 120x100 cm/ Deny a personal vision (blue light) 2016 oil on canvas 120x100 cm

in apertura/ open page: About reactions_hub 2016 olio su tela 30x24cm

Ettore Pinelli

sopra/ above: Negare una visione personale serie (ways to stand out) 2017 olio su tela 50x150 cm/Deny a personal vision serie (ways to stand out) 2017 oil on canvas dim. totali 50x150 cm

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Paesaggi e città. Il valore dell'architettura

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progetto di allestimento/ set-up project Mario Chiavetta,Gaetano Manganello

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La città è Palermo, la piazza è quella intitolata a Ruggero Settimo ove prospetta il Politeama Garibaldi di Giuseppe Damiani Almeyda e l’evento è “CHANGING ARCHITECTURE paesaggi e città, il valore dell’architettura”, voluto dall’Ordine degli Architetti di Palermo per celebrare il 90° anniversario dalla sua nascita con la FondazioneArch di Ragusa. Il valore principale che ha mosso la volontà di realizzare l’allestimento è stato quello di portare l’ARCHITETTURA non agli “addetti ai lavori” ma alla CITTÀ ed ai CITTADINI, in una scena urbana dove l’architettura è essa stessa testimone ed attrice del suo VALORE attraverso il nostro allestimento. Nel contesto della piazza il rischio era quello di tradurre una forma di retorica autocelebrazione dell’architettura. La partecipazione, il successo e l’interesse dei cittadini per l’ARCHITETTURA CHE SI PRESENTA hanno dato ragione alle scelte operate. L’allestimento curato da Mario Chiavetta e Gaetano Manganello, rispettivamente per gli Ordini di Palermo e di Ragusa, pur se con un forte segno (grande circonferenza inscritta nel quadrato della piazza) determina un aspetto formale che non crea un impatto ma piuttosto una permeabilità ed una trasparenza nella scena urbana con le sue quinte architettoniche dei primi del Novecento e del Politeama Garibaldi evidenziandone la presenza. Il rimando formale e figurativo affonda ed attinge nei materiali della nostra memoria storica, dai recinti primigeni alle tholos ed ai teatri e anfiteatri del mondo classico e romano dei quali la Sicilia costituisce uno splendido ed unico museo a cielo aperto.L’esito formale dell’allestimento si traduce pertanto con 90 moduli radiali, su un impianto circolare aperto in quattro punti, con altrettanti progetti per diverse parti del mondo e con più di 60 architetti partecipanti, dei quali ciascuno con un suo gruppo o studio associato testimonia del proprio lavoro in seno all’attuale dibattito architettonico e RACCONTA ALLA CITTÀ ED AI CITTADINI PALERMITANI L‘ARCHITETTURA ED IL SUO VALORE, senza architettura non c' è futuro per le città. I valori espressi dal titolo dell'evento/mostra/manifestazione traducono la volontà, attraverso i progetti e le loro opere, di dare un contributo al dibattito che nei prossimi anni dovrà essere più serrato ed incisivo per riappropriarci degli spazi che competono esclusivamente al nostro "SPLENDIDO MESTIERE D'ARTE" nel riconoscimento di come l'architettura si costituisca quale indispensabile patrimonio risorsa culturale e sociale per lo sviluppo e la crescita del nostro PAESE e per la promozione della BELLEZZA che ci ha sempre caratterizzato come modello di cultura artistica ed architettonica per il mondo occidentale. Concetti questi che evidenziano l’essere sordi delle Amministrazioni che hanno messo fuori dal radar delle azioni pubbliche l’ARCHITETTURA. Compito dei curatori della mostra è stato quello di creare attenzione all'Architettura da parte delle città, in questo caso Palermo, ma anche Ragusa dove la mostra è partita con un allestimento sul ponte nuovo. La mostra, pensata itinerante, ha proseguito a Favara a Catania e Messina, sempre in aree e piazze del centro, per cercare di raggiungere il maggior numero di persone possibili e far comprendere che l'Architettura è un indicatore del grado di civiltà raggiunto dal paese.

In Palermo, in the square named after Ruggero Settimo, in front of Politeama Garibaldi theatre designed by Damiani Almeyda “CHANGING AR-CHITECTURE landscapes and towns, the value of architecture” takes place, as a celebration of the 90th anniversary of the Register of Architects of the Province of Palermo in collaboration with Fondazione Arch of Ragusa. The main value which moved towards the realization of this exhi-bition was to bring Architecture to the town and its citizens and not just to insiders: setting the exhibition in an urban scenery made Architectu-re be the witness and the actor of its own value. The setting chosen, a public square, could have given a sense of rhetorical self-praise, but the participation, the success, the emotional invol-vement of the citizens proved the right decision was made by letting Architecture present itself. The formal look of the exhibition (a large circle inscribed in a squared frame) curated by Mario Chiavetta and Gaetano Manganello for the Regi-ster of Architects of the Province of Palermo and of Ragusa respectively, does not impact on the urban landscape, conversely, it creates a sense of transparency and permeability with its early 20th century “backstage” and the Politeama Ga-ribaldi theatre which result both highlighted.The formal references draw on and date back to historical architectural signs, from the an-cient enclosures to the “tholos”, the theatres and the amphitheaters of the ancient Greek and Roman world, whose presence makes Sicily a unique open-air museum. The resulting exhibi-tion consists of a formal setting-up of 90 radial slices on a circular structure with four openings, projects designed for several parts of the world and more than 60 architects are involved. Each team or architecture firm shows its contribution to the current architectural debate and illustra-tes Architecture and its values to Palermo and its citizens, as there is no future without Archi-tecture. The values described by the name of this event/exhibition/show result in a determined contribution (through works and projects) to the debate to come, which should be more concise and incisive, in order to let architects take back those places intrinsically proper to their “splen-did vocation to Art”. Architecture is an essential cultural resource, a social patrimony to be used to develop and promote our Country and Beauty: a typical Italian characteristic concerning Arts and Architecture in the Western world. These ideas underline how public administrations have been deaf in not considering Architecture as a pivotal part of public actions so far. The task of the curators was to enhance people’s attention towards Architecture, first in Ragusa, where the exhibition began on the bridge Ponte Nuovo, and then in Palermo. This travelling exhibition, as it was originally conceived, will continue in areas and squares of the city centre of Favara Catania and Messina, in order to reach as many people as possible and show that Architecture is the measure of progress and civilization of our country.

in apertura/ opening page: Particolare allestimento a Ragusa/ exhibit details of Ragusa

in questa pagina/ in this page: Particolare dall'alto Politeama/ Politeama details from the top

a destra, in alto e in basso/ right, above and down: Vista dall'alto Politeama/ Politeama top view

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a destra/ right: Vista dall'alto della mostra sul Ponte nuovo di Ragusa/ Ragusa New

Bridge exhibition top view

in questa pagina/ in this page: Particolare dall'alto della mostra sul Ponte nuovo di Ragusa/ Ragusa New Bridge exhibition

detail from the top