Introduzione alla Sacra Scrittura - Sufueddu.org

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ISTITUTO SCIENZE RELIGIOSE ORISTANO Introduzione alla Sacra Scrittura Dispense ad uso degli studenti IPARTE Questioni introduttive alla lettura della Bibbia (A. Pinna) II PARTE Formazione della Bibbia (A. Pinna) III PARTE Analisi della Dei Verbum. Note sparse: appunti di critica testuale. Il Canone delle Scritture (R. Lai) Anno accademico 2007/2008

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ISTITUTO SCIENZE RELIGIOSE

ORISTANO

Introduzione alla Sacra Scrittura

Dispense ad uso degli studenti

I PARTE Questioni introduttive alla lettura della Bibbia(A. Pinna)

II PARTE Formazione della Bibbia(A. Pinna)

III PARTE Analisi della Dei Verbum.Note sparse: appunti di critica testuale.Il Canone delle Scritture(R. Lai)

Anno accademico 2007/2008

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Introduzione allo studio della BibbiaParte III (R.Lai)

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DISPENSE III Parte

Analisi della Dei Verbum.

Note sparse: appunti di critica testuale. Il Canone delle Scritture (RITA LAI)

Lo Studio della Bibbia. Analisi di alcuni passi della Dei Verbum

Alcune conclusioni sul concetto di Rivelazione

La Bibbia: panorama storico della sua formazione (sintesi)

Precisazioni sparse

Canone delle Scritture

Appunti di critica testuale

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4 Analisi di alcuni passi della “Dei Verbum”

Analisi di alcuni passi della “Dei Verbum”

LO STUDIO DELLA BIBBIA1

Attraverso l’analisi di alcuni passi della Dei Verbum2

Natura, ruolo, metodo interpretativo.

A) COS'E' LA BIBBIA

1) E' Parola di Dio...

2) ma in parole veramente umane.

1) E' Parola di Dio

DV 14: "L'economia della salvezza ... si trova esposta come vera Parola di Dio nei libri

dell'Antico Testamento"

DV 17: "La Parola di Dio ... si presenta e manifesta la sua forza in modo eminente negli

scritti del Nuovo Testamento"

DV 24: "La sacra teologia si basa come su un fondamento perenne sulla parola di Dio scritta

, insieme con la sacra tradizione...Le sacre Scritture contengono la Parola di Dio e, perché ispirate,

sono veramente parola di Dio...".

DV 26: Necessità di lettura e studio perché la Parola di Dio ... compia la sua corsa e sia

glorificata.

DV 11: i libri dell'Antico e del Nuovo Testamento "hanno Dio per Autore."

2)... ma in parole veramente umane

DV 11: Gli uomini sono veri autori.Quindi Dio e uomini sono veri autori

DV 12: "Dio nella Sacra Scrittura ha parlato per mezzo d’uomini alla maniera umana".

Pensiamo alla enorme portata di quello che stiamo affermando: parliamo di linguaggio di

Dio e di linguaggio degli uomini, e Dio per farsi capire usa il linguaggio degli uomini. Questo ci fa

1 Per questa parte, ci affidiamo alle osservazioni e agli studi di un eminente studioso e biblista, scomparso nel 1999,Don Angelo Tosato, a cui va il mio ricordo grato e riconoscente come sua allieva al «Pontificio Istituto GiovanniPaolo II per studi su matrimonio e famiglia».

2 I passi tratti dalla Dei Verbum o dalla Scrittura sono riportati in corsivo.

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Introduzione allo studio della BibbiaParte III (R.Lai)

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comprendere perché noi abbiamo bisogno di fare un lavoro di decodificazione per arrivare al

messaggio che dobbiamo cogliere nella Scrittura sacra.

Quelle parole umane sono legate al tempo dell’autore, al contesto in cui lui ha vissuto, alla

storia, alle condizioni sociali, a tutta una serie d’elementi che condizionano noi oggi nel nostro

contesto, nella nostra storia, che ha "condizionato", " determinato" in ogni caso lo scrittore sacro.

Rileggiamo il prologo della Lette ra agli Ebrei:

"Dio, che aveva già parlato nei tempi antichi molte volte e in diversi modi ai padri per

mezzo dei profeti, ultimamente, in questi giorni, ha parlato a noi per mezzo del Suo Figlio” (Eb

1,11)

La Parola di Dio è una realtà che occupa una storia che è la storia della salvezza, è il modo

che ha Dio per rivelare sé stesso e la sua volontà.

DV 13

Le parole di Dio infatti espresse con lingue umane si sono fatte simili al linguaggio degli

uomini come già il Verbo dell’eterno Padre, avendo assunto le debolezze dell’umana natura, si fece

simile all’uomo

Forse attraverso questo testo riusciamo a capire meglio: così come Dio, dice la Lettera ai

Filippesi (cfr. Fil 2,6ss.) non disdegnò di assumere la natura umana, senza perdere la sua natura

divina e si abbassò, "si svuotò" ("spogliò sé stesso"), così come Dio in Gesù Cristo, senza rinunciare

alla sua natura, assume completamente la natura umana (completamente tranne il peccato di cui

però porta le conseguenze nella passione e morte), così la parola di Dio entra nel linguaggio degli

uomini, si veste in un certo senso del linguaggio degli uomini, per far capire agli uomini che cosa

Dio vuol dire.

La Parola che ascoltiamo, nell’assemblea liturgica della domenica, o che ascoltiamo nel

gruppo di cui facciamo parte o nella lettura personale, quella Parola di Dio, è il messaggio che Dio

vuol fare arrivare a noi.

Per farlo arrivare, dal momento che il suo linguaggio per noi sarebbe incomprensibile, usa il

nostro linguaggio, si adatta al nostro modo di parlare, parla con il linguaggio umano, con le

categorie dell’uomo.

E quando noi studiamo e leggiamo la Parola di Dio, facciamo i conti con questa realtà, che è

una realtà d’incarnazione, come dice il n. 13 della Dei Verbum.3

3 Vedi anche la prima parte delle nostre dispense.

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6 Analisi di alcuni passi della “Dei Verbum”

DV n. 15: sottolinea l'importanza del Vecchio Testamento per i cristiani perché contiene "la

vera pedagogia di Dio".

B) PERCHE' CI OCCUPIAMO DI ESSA?

DV n. 11

La Santa madre Chiesa, per fede apostolica, ritiene sacri e canonici tutti interi i libri sia

dell’Antico che del Nuovo Testamento.

Quindi sacri perché ispirati; canonici perché ci danno delle regole, delle norme di vita,

quindi hanno un valore normativo per noi.

Sacri: ci richiamano al potere evocativo della parola di Dio che entra in pienezza nella vita

dell’uomo attraverso Gesù Cristo, ma che è presente in tutta la storia della salvezza, la storia

dell’uomo.

Ispirati, appunto, e canonici, nel senso che contengono anche delle norme, delle regole: la

Parola di Dio è una parola che c’interpella, contiene un linguaggio che ci chiede un sì o un no di

vita e, che quindi di conseguenza, ci chiede una trasformazione. .

La parola di Dio, la Rivelazione: apriamo una finestra sulla Rivelazione.4

Se potessimo tracciare una differenza tra il Vaticano I e il Vaticano II, a proposito della

Rivelazione, potremmo dire che il II sottolinea la rivelazione personale e storica di Dio in Gesù

Cristo: DV nn. 2-4. e la fede come risposta adeguata alla Rivelazione soprannaturale (cfr DV n. 5).

Il Vaticano II mette in evidenza la libera e gratuita iniziativa di Dio nel rivelarsi. Qual è

l’oggetto della Rivelazione? Molto indicativo sulla rivelazione è il n. 2 della Dei Verbum – natura e

oggetto della rivelazione.

Quando parliamo di rivelazione, intendiamo in senso teologico, il movimento che Dio

compie nei confronti dell’uomo, dell’umanità, che compie sempre Lui per primo aprendo,

squarciando il velo del suo mistero e rivelando chi è lui e rivelando qual è il suo progetto

sull’uomo.

Quindi c’è una sorta di movimento di Dio, che vuole uscire dal suo mistero: nel senso

teologico, il mistero non è qualcosa che non si conosce, ma in senso paolino, indica il progetto

salvifico di Dio per tutti gli uomini, nascosto nei secoli e rivelato pienamente in Gesù Cristo.

4 Cfr. Valerio Mannucci, Bibbia come Parola di Dio. Introduzione generale alla Sacra Scrittura, Ed. Queriniana, Brescia1993, 23ss. Tutti i riferimenti bibliografici si trovano per esteso nella bibliografia consigliata.

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Quando io incontro Dio che si rivela, incontro anche me stesso, chi io sono, il mio mistero

che si svela alla luce della rivelazione di Dio attraverso la sua Parola.

Dei Verbum n.2

Piacque a Dio nella sua bontà e sapienza rivelare se stesso e manifestare il mistero della sua

volontà, mediante il quale gli uomini per mezzo di Cristo, Verbo fatto carne, nello Spirito Santo

hanno accesso al Padre e sono resi partecipi della divina natura. Con questa rivelazione, infatti, Dio

invisibile nel suo grande amore parla agli uomini come ad amici e si trattiene con loro per invitarli e

ammetterli alla comunione con sé..

Quest’economia della rivelazione avviene con eventi e parole: la rivelazione non è fatta

solo di parole, è insieme parlare e fare, è insieme parole ed opere.

L’evento di salvezza, l’evento di rivelazione, è un evento che è anche parola; la parola

illumina l’evento e l’evento testimonia la parola, intimamente connessi, in modo che le opere,

compiute da Dio nella storia della salvezza, manifestano e rafforzano la dottrina e le realtà

significate dalle parole, e le parole dichiarano le opere e il mistero in loro contenuto. La profonda

verità, poi, sia di Dio sia della salvezza degli uomini, per mezzo di questa rivelazione, risplende a noi

in Cristo, il quale è , insieme il mediatore e la pienezza di tutta intera la rivelazione.

Quindi l’oggetto della Rivelazione è qualcuno, non qualcosa. E’ una persona. E’ il mistero

della sua volontà, è tutto il disegno salvifico che è svelato da e in Gesù Cristo. C’è quindi una

profonda relazione fra Rivelazione e salvezza.

La Rivelazione avviene tramite eventi e parole: Questo concetto è largamente presente

nella Scrittura: cfr Es 33,11; Bar 3,38; Gv 15,14-15. Dalla Bibbia stessa il Vaticano II attinge il

carattere interpersonale, esistenziale, dinamico della Rivelazione.

L’intento di Dio, nel rivelarsi, non è solo quello di insegnare delle verità all’uomo. Nella

rivelazione

Dio parla il linguaggio dell’amicizia e dell’amore

Dio chiama l’uomo per nome

Dio racconta interpreta, insegna

Dio si esprime, parla di sé, rivela agli uomini sé stesso e la sua vita intima.

In 1Gv 1,2-3, citato nel Proemio della DV, troviamo l’oggetto, il modo, la trasmissione e la

finalità della Rivelazione.

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8 Analisi di alcuni passi della “Dei Verbum”

Oggetto: la vita eterna, la luce, immagini che Giovanni usa per significare la realtà stessa di

Dio, Dio stesso che si apre agli uomini e si comunica ad essi.

Modo: la vita eterna si manifesta a noi in Gesù Cristo che si rivela anche con la sua

presenza attiva. La parola si fa anche “toccare” e “vedere”

Trasmissione: l’annuncio di Giovanni è anche una testimonianza, tale è anche l’annuncio

della Chiesa. Prima di essere Maestra, la chiesa è discepola. Prima di annunciare, si pone “in

religioso ascolto”.

Finalità ultima: La comunione col Padre e col Figlio suo Gesù Cristo. Questa è la vita

eterna…Ma questa non è una faccenda privata, ma passa attraverso il sacramento di Cristo che è

la Chiesa.

Conseguenze per la lettura e la comprensione della Bibbia

La Bibbia non ha una pura funzione informativa.Non è riducibile ad un puro insieme

di proposizioni che veicolano delle verità

Il primato dell’ascolto. Se la Rivelazione è Parola che mi parla, è Persona che mi

interpella, allora io devo soprattutto ascoltare.

Lettura sapienziale: leggere non per una scientia, quanto per una sapientia, alla

latina, cioè una conoscenza vitale, assaporata, che mette in gioco tutte le facoltà

dell’uomo e sfocia nella fede obbediente di cui parla la Scrittura. Avviene così

anche nel dialogo dell’amicizia e dell’amore che investe l’intimo e prende la totalità

della vita. Una comunione di cuore, di intenti, di progetti, di vita.

Il magistero della Chiesa è a servizio della Parola (questo lo vedremo meglio dopo,

analizzando la DV)

Tornando dunque alla rivelazione, essa è il manifestarsi di Dio, l’aprire il velo del suo

mistero per rivelare sé stesso e la sua volontà sull’uomo. Dio, rivelandosi, apre il mistero: è il Dio

trascendente e insieme il Dio che cammina con l’uomo.

Dio che è mistero, che è una realtà che va al di là della nostra vita normale quotidiana,

questo Dio ha voluto, nella storia dell’uomo, rivelare sé stesso, cioè aprire un varco nel suo

mistero. E nel momento in cui apre questo squarcio attraverso la Scrittura, rivelando il suo nome,

rivelando la sua presenza, rivelando le sue opere, ricolmando l’uomo di mille doni, di grazia,

benevolenza, misericordia, Dio rivelando sé stesso, ha rivelato anche, insieme, all’uomo il suo

progetto di salvezza.

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Il progetto di salvezza non è qualcosa che si cala sull’uomo dall’alto e che l’uomo riceve

passivamente: nel momento in cui Dio si rivela e rivela la sua volontà salvifica, rivela anche l’uomo

a sé stesso. Quando Dio rivela sé stesso e la sua volontà di salvezza, non solo dice chi è lui e che

cosa vuole, ma svela anche all’uomo sé stesso.

DV n. 21

La Chiesa ha sempre venerato le divine Scritture come ha fatto per il corpo stesso del

Signore, non mancando mai, soprattutto nella sacra liturgia, di nutrirsi del pane della vita

prendendolo dalla mensa sia della parola di Dio che del corpo di Cristo e di porgerlo ai fedeli.

Il Concilio parla chiaramente di due mense, la mensa della parola e la mensa del corpo del

Signore, e questa è un'ulteriore riprova di quello che ha costituito la Dei Verbum nella storia della

Chiesa e del Vaticano II, cioè la riscoperta totale, assoluta, a tutto campo, della Parola di Dio. Noi

cristiani abbiamo due mense, non soltanto quella del pane, ma anche quella della Parola.5

La Chiesa ha sempre venerato l'Eucaristia, non tralasciando mai di nutrirsi del pane di vita,

e questo viene assunto sia nella mensa della parola di Dio, sia in quella del Corpo di Cristo. Questa

sottolineatura è importante perché pone sullo stesso piano il pane eucaristico e il pane della

Parola, è una riscoperta essenziale: un tempo, prima del Concilio, la parola era trascurata, messa

da parte.

Noi dobbiamo cogliere l’idea fondamentale che la Messa raccoglie il pane della parola e il

pane eucaristico e il secondo è in continuità col primo.

Sempre nella DV n.21

“Nei libri sacri, infatti, il Padre che è nei cieli viene con molta amorevolezza incontro ai suoi

figli, e discorre con loro; nella parola di Dio poi è contenuta tanta efficacia e potenza, da essere

sostegno e vigore della Chiesa, e per i figli della Chiesa saldezza della fede, cibo dell’anima,

sorgente pura e perenne della vita spirituale.

Sono tutte note che sono attribuite alla Parola: sostegno e vigore, saldezza di fede, cibo

dell’anima, sorgente pura e perenne di vita spirituale

DV 24

5 V. anche Giovanni Paolo II, Mane nobiscum, Domine, Lettera apostolica per l’Anno dell’Eucaristia, 2004, n. 12 e n.

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10 Analisi di alcuni passi della “Dei Verbum”

La sacra teologia si basa come su un fondamento perenne sulla parola di Dio scritta,

insieme con la sacra Tradizione……………

Le sacre Scritture contengono le parole di Dio e, perché ispirate, sono veramente parola di

Dio; sia dunque lo studio delle sacre pagine come l’anima della sacra teologia.

Ecco perché noi studiamo la Bibbia: perché lo studio della Sacra Scrittura è come l’anima

della teologia, è il fondamento da cui non si può prescindere e di cui non si può fare a meno.

A questo punto ci chiediamo: che funzione ha il magistero in rapporto alla Scrittura.

Il magistero è chiamato in modo particolare, per ministero particolare, ad interpretare la

Sacra Scrittura, ma come? Troviamo la risposta a questo?

Nel n. 10 della Dei Verbum è analizzato il rapporto tra il magistero e la Scrittura

La sacra tradizione e la sacra Scrittura costituiscono un solo sacro deposito della parola di

Dio affidato alla Chiesa …

Scrittura e Tradizione sono un unico deposito: Scrittura e Tradizione, ossia la continuità di

una fede che viene trasmessa, la traditio appunto, di generazione in generazione. Scrittura e

Tradizione costituiscono l’unico deposito della fede, il sacro deposito affidato alla Chiesa.

E qui apriamo una breve parentesi sul significato della Parola Tradizione per noi cristiani

cattolici.6

La Rivelazione non è qualcosa di immediato e diretto: se così fosse, si parlerebbe solo di

Rivelazione. Ma dal momento che Dio si è voluto rivelare in una storia e in un popolo, culminando

in Gesù, la Rivelazione include la Tradizione e la trasmissione.

Ogni uomo è in una comunità, vive con altri uomini, è homo socialis, ma anche homo

culturalis, là dove cultura è qui costituita dal linguaggio, costumi, credenze, idee e abitudini di un

popolo. Ogni individuo quindi riceve un’eredità per così dire sociale.

La tradizione è tipica di ogni cultura: alla base di essa c’è l’esperienza originaria che è

l’evento della comunicazione divina, che poi si estende in una serie di elementi qualificati che

fanno da tramite, una sorta di consegne dall’uno all’altro individuo. Le consegne avvengono in due

forme: una viva, dinamica, l’altra scritta e più statica.

In Israele la tradizione è un imperativo, nasce dal desiderio di tenere viva la memoria degli

eventi della salvezza per poterli poi tramandare dall’uno all’altro.

6 Per queste osservazioni, cfr. ancora MANNUCCI, op. cit., 59ss.

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Introduzione allo studio della BibbiaParte III (R.Lai)

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Per i cristiani c’è l’antica rivelazione d’Israele e la nuova e definitiva portata da Gesù Cristo.

Gesù è un accusatore degli abusi della tradizione degli antichi (cfr. Mc 7,8-9), ma non è nemico

dell’autentica tradizione d’Israele, anzi la promuove.

Eppure Gesù dà inizio ad una “sua” tradizione nuova col suo stesso agire e predicare: v.

interpretazione delle Scritture: “ma io vi dico” dice, e questo indica una nuova tradizione

importante dal punto di vista canonico normativo.

Ma esiste anche una tradizione apostolica su Gesù, che è anch’essa canonico – normativa.

L’evangelo di Gesù e l’evangelo su Gesù sono predicati e vissuti prima di essere scritti.

Le raccolte evangeliche fissano per iscritto una tradizione già esistente che è la tradizione

di Gesù e traducono e interpretano tale tradizione in base alle comunità, ai predicatori e al

contesto (missionario, catechetico, liturgico, polemico ecc).

La Tradizione si distingue dalla Scrittura perché non è scritta. La Tradizione della Chiesa

apostolica ha come contenuto la dottrina, la vita e il culto della stessa Chiesa apostolica.

Gli apostoli hanno direttamente da Gesù la missione autoritativa. Occorre custodire il

deposito della fede (cfr. 1Tm 6,20) che è la tradizione apostolica.

LA TRADIZIONE APOSTOLICA NON PUÒ PIÙ RICEVER ELEMENTI NUOVI.

In qualche modo si può dire che la Rivelazione è chiusa. Il suo sviluppo consiste

nell’esplicitare le virtualità racchiuse nel deposito apostolico.

Gli apostoli sono, in senso stretto, soggetti della Tradizione. I loro successori sono al

servizio della Tradizione apostolica fino ad oggi.

Ancora DV n. 10

L’ufficio poi d’interpretare autenticamente la parola di Dio scritta o trasmessa è affidato al

solo magistero vivo della Chiesa, la cui autorità è esercitata nel nome di Gesù Cristo.

La funzione di interpretare in modo autentico non è lasciata al singolo, è affidata in modo

categorico al solo magistero vivo della Chiesa. Attenzione: il magistero non è al di sopra della

parola di Dio, ma è al suo servizio: il testo in latino dice ministrat, cioè serve.

Il magistero è al servizio della parola, insegnando ciò che è stato trasmesso, nella misura in

cui "piamente ascolta, santamente custodisce, fedelmente espone quella parola". Interpreta, non

può inventare, non può ergersi al di sopra della Parola. Questa resta comunque primaria, il

magistero la serve, è al servizio di essa, nel senso che dà voce alla parola, insegnando soltanto ciò

che è stato trasmesso nella misura in cui ascolta, custodisce, fedelmente espone.

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12 Analisi di alcuni passi della “Dei Verbum”

Cosa deve fare il magistero per trasmettere la parola, per servire la parola? Deve ascoltare,

custodire, esporre fedelmente.

C) COME STUDIARE LA SCRITTURA

Occorre fare il modo che la Bibbia sia scoperta nel suo autentico valore, nel suo valore

primario che continuamente la Dei Verbum sottolinea.

DV 15

Questi libri, sebbene contengano cose imperfette e temporanee, dimostrano tuttavia una

vera pedagogia divina.

Una sottolineatura importante è quella sulla vera pedagogia di Dio, sul modo che Dio

sceglie per condurre il suo popolo, farlo crescere e farlo maturare. Nei libri della Scrittura c’è la

vera pedagogia di Dio, anche se insieme ci sono cose imperfette e temporanee, perché la Bibbia è

linguaggio divino in linguaggio umano. L'abbiamo già visto: Dio, per parlare all’uomo, si serve del

linguaggio umano, quindi quest'ultimo ha tutte le imperfezioni, tutti i limiti del linguaggio umano

del tempo, del contesto, della storia, della situazione, dell’autore sacro ecc. ecc.

Allora: ci sono cose imperfette ma insieme c’è la vera pedagogia di Dio.

Come scegliere, come discernere, tra quella che è la vera pedagogia di Dio e le cose

imperfette legate al tempo, al linguaggio umano? Non è facile. Lo studio è importante, proprio in

questo senso.

DV 12

Troviamo un metodo di lettura, un metodo che ci spiega come discernere il linguaggio di

Dio e il linguaggio dell’uomo.

Poiché Dio nella sacra Scrittura ha parlato per mezzo di uomini e alla maniera umana,

l’interprete della sacra Scrittura, per capire bene ciò che egli ha voluto comunicarci, deve ricercare

con attenzione, che cosa gli agiografi abbiano inteso significare e a Dio è piaciuto manifestare con

le loro parole.

L’interprete (l'esegeta, il biblista), per venire a conoscere ciò che Dio ha voluto

comunicarci, deve cercare con attenzione che cosa gli agiografi (gli scrittori sacri) hanno inteso

indicare e che cosa a Dio è piaciuto manifestare con le loro parole.

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Introduzione allo studio della BibbiaParte III (R.Lai)

13

Qui la DV distingue accuratamente l’intenzione dell’agiografo e cosa Dio vuol comunicare7.

Per ricavare l’intenzione degli agiografi, si deve tener conto fra l’altro anche dei “generi

letterari”. La verità, infatti, viene diversamente proposta ed espressa nei testi in varia maniera

storici, o profetici, o poetici, o con altri modi di dire.

Cioè la stessa verità, lo stesso messaggio può essere letto come un racconto, come una

poesia, come una profezia: ogni genere letterario, ogni modo, ogni abito di cui si veste un certo

contenuto, ha i suoi codici, però la verità può essere la stessa, anche se il testo profetico non è

uguale al testo poetico o ad un oracolo.

Anche nella letteratura profana ci sono queste differenziazioni: un poema o un racconto

storico sono generi letterari diversi, ma il messaggio di verità può essere trasmesso proprio

attraverso questi generi letterari diversi.

E’ necessario dunque che l’interprete ricerchi il senso che l’agiografo intese di esprimere ed

espresse in determinate circostanze, (la mediazione dell’agiografo è determinante per scoprire il

senso che l’autore ha voluto dare a quel testo) secondo la condizione del suo tempo e della sua

cultura, per mezzo dei generi letterari allora in uso.

E’ evidente che non si può pretendere che lo scrittore d’Isaia si esprima con il linguaggio di

oggi, col genere letterario di oggi: a quel tempo avevano i loro codici, il loro contesto storico,

culturale, sociale ecc..

Occorre fare dunque una mediazione: questo vuol dire che l’interprete, lo studioso,

chiunque studia, anche ognuno di noi, deve fare lo sforzo di entrare in questa mentalità, scoprire,

penetrare, attraverso la distanza dal testo e tentare di cogliere qual è il senso che l’autore sacro ha

voluto dare e ciò Dio stesso ha voluto esprimere attraverso il linguaggio umano.

Per comprendere, infatti, nel loro giusto valore ciò che l’autore sacro volle asserire nello

scrivere, si deve far debita attenzione sia agli abituali e originari modi d’intendere, di esprimersi e

di raccontare vigenti ai tempi dell’agiografo, sia a quelli che allora erano in uso nei rapporti umani.

Qui noi dobbiamo distinguere due elementi: la DV parla di distinzione, tra due tipi d’attività

interpretativa.

7 Al proposito, dobbiamo ammettere serenamente che questa profonda istanza della DV è da accostare alle nuoveconoscenze che le scienze bibliche hanno acquisito in seguito, al concetto di testo e del suo rapporto col lettore, allateoria della comunicazione e del significato che essa riveste anche nell’ambito di un testo scritto, senza parlare poi deimetodi sincronici che, accanto a quelli diacronici, permettono un nuovo approccio col testo, tenendo conto della suadinamica interna e del suo impianto. Tutto questo ci consiglia di leggere queste istanze della DV alla luce dell’altropiù recente documento, L’interpretazione della Bibbia nella Chiesa, che fin dall’inizio abbiamo tenuto presente nelnostro studio (v. Dispense, I parte).

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14 Analisi di alcuni passi della “Dei Verbum”

La prima scopre il senso originario dei testi, ritorna, se è possibile e per quanto è possibile,

all’intenzione originaria.

La seconda fa il passaggio successivo: distingue ciò che appartiene alla cultura del tempo e

ciò che è pedagogia divina, vera pedagogia in cose imperfette.

In qualche modo c’è poi il passaggio successivo: è un ri-attualizzare il senso originale: cioè si

deve dire oggi, con il linguaggio d’oggi, quello che è stato detto 2000 anni fa, cercando di cogliere

il senso originario, di distinguere ciò che è imperfetto ed effimero da ciò che è la pedagogia divina

e ri - dire, e quindi ri-attualizzare, con il linguaggio d’oggi, quello che è il messaggio originale.

Come raccontare il messaggio di Dio alle generazioni d’oggi, a noi, alla civiltà occidentale,

alla civiltà africana, come incarnare il messaggio: questo è il grosso problema dell’inculturazione,

di come lo stesso contenuto, che poi è sempre uguale, va annunciata in modo diverso.

Alla luce della Dei Verbum, l’unico messaggio che è dentro, è reinterpretato alla luce

dell’oggi. Pensiamo a Luca 24 quando Gesù si accompagna ai due di Emmaus: i due non capivano,

hanno assistito a tutto il mistero pasquale, erano discepoli, però si trovavano davanti al fallimento

secondo loro, oggettivo, della croce: “noi speravano che …. Però sono passati tre giorni e non è

successo niente” (parafrasi).

Gesù fa coglier loro il cuore del messaggio, cioè la buona novella: “stolti e tardi di cuore a

comprendere il senso delle scritture”, ricominciando dal principio, fa ripercorrere loro tutta la

Scrittura, leggendola alla luce di Lui, di Gesù.

La rilettura di Luca 24 è il metodo con cui noi dobbiamo leggere la Scrittura, noi cristiani

evidentemente, alla luce di Gesù Cristo, rivelatore e pienezza della storia della salvezza.

E va letto tutto, non solo qualche frammento, anche perché per ogni brano nella scrittura

vige questo principio: la scrittura si legge con la scrittura, dicevano i padri, cioè la scrittura è

interprete di sé stessa. Come comprendo un brano? Alla luce di un altro brano.

Come comprendo il mistero pasquale? Alla luce di tutta la Scrittura.

La differenza tra noi e i nostri fratelli maggiori (come diceva Giovanni Paolo II), gli ebrei, è la

seguente: noi condividiamo con loro tutta la prima parte della Bibbia, l’Antico Testamento, però

lo leggiamo alla luce di Gesù Cristo.

Ancora al n. 12:

Però dovendo la sacra Scrittura esser letta e interpretata con l’aiuto dello stesso Spirito

mediante il quale è stata scritta, per ricavare con esattezza il senso dei sacri testi, si deve badare

con non minore diligenza al contenuto e all’unità di tutta la Scrittura, , tenuto debito conto della

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Introduzione allo studio della BibbiaParte III (R.Lai)

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viva Tradizione di tutta la Chiesa e dell’analogia della fede. E’ compito degli esegeti contribuire

secondo queste norme alla più profonda intelligenza ed esposizione del senso della sacra Scrittura,

fornendo i dati previi, dai quali si maturi il giudizio della Chiesa.

Noi studiamo la Scrittura per compiere questi passaggi. Questo è il contesto generale che

va bene per ogni brano, per ogni lettura, per ogni studio.

Alcune conclusioni sul concetto di “Rivelazione”

Per questa parte cfr. G. Di Palma, Parola di Dio in Parole umane. Manuale di Introduzione allaSacra Scrittura, Edizioni Messaggero Padova, 2007, pp. 26ss.

La prospettiva del Vaticano II in realtà non nega quella del Vaticano I, lo svelamento e la

partecipazione alla conoscenza, ma aggiunge altre dimensioni (linguaggio dell’amore e

dell’amicizia, funzione appellativa della Parola, ecc. ).

“Con la sua Parola, Dio racconta chi è l’uomo… e l’uomo inizia il processo di

autocomprensione”. Per l’uomo è importante ascoltare la Parola perché attraverso di essa inizia

un processo di miglioramento di sé stesso.

Nella Parola Dio si rivela e si esprime, offrendo agli uomini amicizia, presenza, familiarità.

Inizia quello che possiamo chiamare il processo della comunione con Dio.

Gesù Cristo, il Verbo incarnato, è dunque pienezza del processo di rivelazione (cfr. 1Gv

1,1).

Ad una rivelazione così attenta e completa di Dio deve corrispondere un’adeguata risposta

da parte dell’uomo (DV n. 5: l’obbedienza della fede).Ecco perché la Scrittura insiste tanto

sull’ASCOLTO (Dt 6, 4).

La Rivelazione va accolta e sempre più compresa (DV n. 5) e ciò avviene soprattutto

nell’ambito della TRADITIO (Dv N. 8)

La tradizione non è alternativa alla Scrittura, ma unita ad essa (DV n. 9). Però mentre la

Scrittura è parola di Dio nata sotto ispirazione dello Spirito Santo, la tradizione trasmette

integralmente la Parola di Dio affidata da Cristo agli apostoli e ai loro successori affinche la

conservino, la espongano e la diffondano.

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16 La Bibbia: panorama storico della sua formazione

Tra le due: scambio reciproco per costruire la verità. La tradizione ha il compito di far

crescere l’intelligenza della Rivelazione. Entrambe costituiscono la Rivelazione che ha un carattere

di “duplice temporalità”: l’autorivelazione divina, fissata nelle Scritture e culminata in Cristo, è

passata e conclusa con l’epoca apostolica; questa autorivelazione che è un evento vivo si

attualizza nella tradizione, dicentando contemporane a e presente.

In realtà, quindi la cosiddetta teoria delle due fonti post tridentina, secondo la quale

Scrittura e Tradizione sarebbero due sorgenti della rivelazione, non regge più.

Il Vaticano II parla di una stessa origine divina da cui scaturiscono entrambe (DV 7). In

questo contesto di trasmissione dinamica svolge il suo ruolo il Magistero che si pone al servizio

della Rivelazione (DV 10).

Diciamo infine che, “se al magistero competono determinati compiti, non si può sottacere

che il deposito della fede è stato affidato all’intera chiesa, al popolo cristiano unitamente ai suoi

pastori, in quanto anche i fedeli sono responsabili nel tenere salda la fede, nel praticarla e

professarla, in una singolarità di spirito con i vescovi (DV 10, primo capoverso)” (p. 31).

La Bibbia: panorama storico della sua formazione

Sintesi ad uso degli studenti

Per questa parte cfr. ancora Mannucci, op. cit., 67ss. Questa sintesi dovrebbe fornire una tracciadi lettura per la dispensa n. 2 dal titolo La formazione della Bibbia a cura di A. Pinna.

Ogni tradizione religiosa è sempre un intreccio di due versioni, una scritta e una orale, del

patrimonio di un determinato popolo. Un popolo prima vive, poi scrive la sua storia. I libri sono la

memoria privilegiata dei popoli. Per Israele la Bibbia non è solo la memoria della sua storia, è

anche Parola di Dio.

Per i musulmani la Rivelazione è concepita come caduta dal cielo, per i giudeo cristiani la

Bibbia non è dettata da nessun angelo ma scritta da diverse decine di Autori nell’arco di 10 secoli.

Per questo, e non solo per questo, la storia della formazione letteraria dei libri dell’Antico

e del Nuovo Testamento è difficile.

Il nostro obiettivo è capire il nesso fra il divenire di una storia, l’evoluzione della sua

comprensione e il divenire di una memoria prima orale, poi scritta.

Questo schema ci fa comprendere anche la formazione del Canone delle Scritture

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Introduzione allo studio della BibbiaParte III (R.Lai)

17

ANTICO TESTAMENTO8

Tutto comincia con Abramo: egli, chiamato dalla voce di Dio, va dalla Mesopotamia a

Canaan. Siamo nel secolo XIX o XVIII a. C. Qui in Genesi si ha la lettura di fede di una chiamata. Qui

, come in altri racconti ciclici di Genesi, si odono gli echi dei racconti dei patriarchi come erano

fatti, alla sera, vicino alla tenda, per mettere in comune le avventure vissute da ciascuno.

Così nascono i racconti dei patriarchi. La tradizione orale è la prima tappa della formazione

dell’Antico Testamento.

E si susseguono i patriarchi: Giacobbe, Giuseppe venduto dai suoi fratelli e portato in

Egitto: siamo circa nel 1720 – 1552 a. C. , durante la dinastia degli Hyxos, di origine semitica.

Poi grande silenzio, come talvolta accade nella storia, per secoli, fino al secolo XIII in cui i

nuovi faraoni, non più di origine semitica, condannano gli Ebrei alla schiavitù. E’ allora la volta di

Mosè che guida il popolo nell’esodo. Siamo circa nel 1250.

Qui la sofferenza degli Ebrei è ascoltata da Dio passo dopo passo: e Mosè sarà appunto il

frutto di questo ascolto, colui che guiderà il popolo nel difficile cammino verso la libertà. Israele

dovrà attraversare il deserto per diventare il popolo di Dio e arrivare alla terra della promessa, la

Palestina.

Sul Sinai Dio concluderà con Israele un patto di alleanza il cui documento scritto sarà poi la

base di tutta la Torà. Mosè non riuscirà ad entrare nella Terra Promessa, Giosuè, che ne raccoglie

l’eredità, conquista Canaan (1220 – 1200 circa) e il popolo vi si insedia e diviene da nomade

sedentario.

Nel 1030 si ha la nascita della monarchia : Saul è il primo re, poi Davide, poi Salomone. Alla

fine del regno di quest’ultimo, Israele nel 931 si divide nei due regni: quello del nord, Israele, con

capitale Samaria, quello del sud, Giuda, con capitale Gerusalemme.

Sui due tronconi di Israele vegliavano uomini saggi: i profeti, che in questo periodo

cominciano a far sentire la loro voce, quando il popolo comincia ad allontanarsi da Dio e a

dimenticare l’alleanza: essi sono le sentinelle che richiamano Israele all’osservanza del patto.

Essi si dividono in due categorie: i profeti non scrittori, Elia ed Eliseo al nord (1 e 2 Re) e

quelli scrittori: al nord Amos e Osea, a sud Isaia e Geremia (i maggiori), Michea, Sofonia ecc., due

dei minori.

8 Integrare questa parte con alcune nozioni di carattere storico geografico

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18 La Bibbia: panorama storico della sua formazione

Nel 931 si ha la divisione dei due regni, nel 721 la caduta di Samaria e del Regno del nord

ad opera degli Assiro Babilonesi, nel 587 quella di Giuda e Gerusalemme ad opera degli stessi e il

conseguente esilio in Babilonia con la deportazione degli ebrei.

I profeti di questo periodo, i cosiddetti profeti esilici, sono Ezechiele, e il Deuteroisaia

L’esilio babilonese (587 – 538), tempo di massima sofferenza e prova per Isrele, di nuovo

lontano dalla Terra della promessa, finisce con l’editto di Ciro nel 538: esso comporta il ritorno

degli esiliati nella loro terra.

In questo periodo gli elementi determinanti saranno: l’ebbrezza del ritorno, che

permetterà la ricostruzione del Tempio, la nascita del giudaismo vero e proprio, su altre basi

rispetto a quelle puramente politiche.

Figure di spicco di questo periodo: Neemia ed Esdra, poi i profeti Aggeo, Zaccaria, Gioele,

Malachia…

Questo è il periodo in cui la maggior parte dei libri dell’Antico Testamento riceve la

definitiva redazione: attorno al libro sacro si vuole costruire ancora la comunità del popolo che

ama Jahvè.

Dopo l’esilio si sviluppa anche la letteratura sapienziale: Salmi, Proverbi, Giobbe, Qoelet,

Siracide ecc.

Col tramonto del regno persiano, si apre il periodo ellenistico e la persecusione di Antioco

IV Epifane (167 – 135 a. C.). E’ questo il periodo di 1 e 2 Maccabei e della letteratura apocalittica.

In questo periodo in Israele mancherà la profezia, Amos l’aveva profetizzato (Amos 8,12), e

oa Israele si lamenta di questo.

NUOVO TESTAMENTO

Dopo un lungo silenzio, “La Parola di Dio scese su Giovanni Battista” (Lc 3,2). Lui sarà il

nuovo profeta, a cavallo tra Antico e Nuovo Testamento, che riapre il tempo della Rivelazione di

Dio.

Il Precursore è Voce di Colui che sarà la Parola per eccellenza: Gesù di Nazaret. Egli, il

nuovo Maestro di Nazaret, ricevuto il battesimo di Giovanni, inizia il suo ministero di Messia

Salvatore in mezzo agli uomini.

L’uomo, la Parola, gli eventi, il mistero pasquale: tutto questo narrano i vangeli su Gesù. Poi

sarà la Chiesa a raccogliere l’eredità del Cristo, a continuare nella storia la sua mediazione di

salvezza.

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Introduzione allo studio della BibbiaParte III (R.Lai)

19

La diffusione del vangelo sarà soprattutto ad opera di Paolo di Tarso, ma tutti gli Apostoli

diffonderanno il messaggio pasquale prima a livello orale, poi inizieranno a scrivere i vangeli che

non tarderanno ad apparire.

I primi scritti cristiani sono quelli paolini: Paolo indirizza delle lettere alle comunità da lui

fondate. Così i primi scritti sono la Prima e la Seconda lettera ai Tessalonicesi, la Prima e Seconda

ai Corinzi, Filippesi, Galati e Romani.

Negli anni 61 – 63 Paolo è prigioniero a Roma. Di questi anni sono le lettere della prigionia,

Colossesi, Efesini, Filemone.

La Lettere pastorali (1 e 2 a Timoteo, Tito) risalgono invece agli anni 63 – 67, se queste

lettere sono di Paolo.

La Lettera agli Ebrei, sicuramente non di Paolo, probabilmente di un suo discepolo, è

invece di prima del 70.

I Vangeli sinottici sono invece del periodo dal 65 all’80 d. C. Sono Matteo, Marco e Luca. Si

chiamano così perché hanno una comune tradizione e una singolare convergenza. L’ultimo

vangelo ad essere scritto è quello di Giovanni.

Marco, il più antico, è il vangelo del catecumeno, del cristiano che arriva dal paganesimo.

Narra di Gesù Cristo figlio di Dio: v. Mc 1,1: “Inizio del vangelo di Gesù Cristo, Figlio di Dio” che è

anche il titolo del vangelo. Matteo è il vangelo dei giudeo-cristiani. Qui Gesù è presentato come il

Messia preannunciato dalle scritture. E’ l’Emanuele. Luca è l’Autore di un dittico che è formato dal

vangelo che porta il suo nome e dagli Atti. Il vangelo si occupa del tempo di Gesù, gli Atti si

occupano del tempo della Chiesa. Gesù qui è il Salvatore degli uomini, il misericordioso.

Le lettere cattoliche (cioè universali, destinate ai cristiani in genere) sono un gruppo di

scritti apostolici, raggruppati sotto questo nome dopo il IV secolo: Giacomo, Giuda, 1 e 2 Lettera di

Pietro, 1, 2 e 3 di Giovanni).

Giovanni e l’Apocalisse: sono dello stesso autore.

Giovanni è il Vangelo più maturo, della fine del I secolo d. C. Esso si indirizza soprattutto ai

non credenti chiamandoli in gioco e chiedendo loro di entrare nel messaggio di Cristo.

L’Apocalisse è un libro profetico, scritto in linguaggio simbolico e misterioso che risveglia la

coscienza ecclesiale che rischia di addormentarsi sotto la persecuzione di Domiziano. Il testo vuole

sfuggire alla censura. Il messaggio è che la Chiesa è chiamata alla conversione e alla purificazione.

Così si chiude il Nuovo Testamento.

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20 A;cune precisazioni sparse

A;cune precisazioni sparse

Cfr. Mannucci, p. 81ss

La Bibbia non è caduta dal cielo. E’ la memoria scitta dell’Antico e del Nuovo

Israele. Anche il non credente può vedere la Bibbia come una fonte letteraria per la storia

della civiltà e delle religioni.

Essa non è un unico libro, ma una biblioteca di libri diversi anche tra loro.

La Bibbia parla tre lingue: ebraico, greco e aramaico.

In ebraico è scritto quasi tutto l’AT, tranne alcune sezioni in aramaico.

In greco è scritto tutto il NT.

Perché è tanto importante la lingua? Essa non è solo un sistema

convenzionale di segni, ma anche modello interpretativo di cultura di elaborazione d

espressione del reale. Quindi lingue diverse rappresentano modi diversi di vivere.9

I GENERI LETTERARI

Questo è un concetto elaborato dalla moderna scienza biblica (GUNKEL, 1862 – 1932,

professore di AT).

I generi letterari sono le varie forme o modi di scrivere usate comunemente tra gli uomini

di una data epoca e regione e poste in relazione con certi contenuti. C’è un forte legame tra forma

letteraria, contenuto da esprimere e situazione vitale che fa da sfondo ad entrambi.

Es: salmi, Genesi, gli stessi vangeli ecc.

E nei vangeli il genere letterario dei miracoli, delle parabole …

9 Cfr. Dispense I parte

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Introduzione allo studio della BibbiaParte III (R.Lai)

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CANONE delle SCRITTURE (v. ancora MANNUCCI)

La parola canone ha due significati: 1) indica metro, norma, regola; ma anche 2) elenco

normativo di libri ispirati.

Nel primo significato è la regola della tradizione, la regola della fede. Questo fu valido fino

al III secolo e senza riferimenti alla Sacra Scrittura.

A cominciare dal IV secolo, entra in vigore il secondo significato. E’ determinante il

concetto di norma dei libri ispirati, cioè il contenuto dei libri ispirati è norma della verità cristiana.

I libri ispirati sono quelli scritti sotto l’ispirazione dello Spirito Santo e sono detti canonici,

cioè riconosciuti tali dalla Chiesa e proposti al credente come norma di fede.

Dopo Trento si usò la terminologia PROTOCANONICI per indicare i primi libri, entrati senza

discussione e DEUTEROCANONICI per indicare quelli entrati dopo e i più discussi.

I deuterocanonici sono 7 per l’Antico e 7 per il Nuovo Testamento.

Quelli del NT sono: Ebrei, Giacomo, Seconda di Pietro, seconda e terza di Giovanni, Giuda,

Apocalisse.

Il canone ebraico esclude i deuterocanonici veterotestamentari (come Tobia, Giuditta, 1 e 2

Maccabei ecc.). I protestanti adottano il canone ebraico e chiamano apocrifi i deuterocanonici,

rifiutando nel NT Giacomo, Giuda, Ebrei e Apocalisse.

Attraverso un lungo processo si è formato un lungo elenco di libri sacri e canonici : due

sono i criteri che determinano la scelta:

1) L’origine apostolica, reale o apparente, di un libro (il criterio apostolico)

2) La conformità di uno scritto con la “regola della fede”, cioè il pensiero degli Apostoli fondatori.

Il Concilio di Trento ne dà una solenne definizione; li definisce “sacri e canonici interi con

tutte le loro parti”.

Il Concilio Vaticano I ribadisce il concetto di Trento, ma aggiunge un paragrafo riguardante

la canonicità: essa, dice, è un riconoscimento magisteriale, da parte della Chiesa, dell’ispirazione

dei libri sacri.

Il Concilio Vaticano II (DV n. 11) aggiunge: “è la stessa Tradizione che fa conoscere alla

Chiesa l’intero canone dei libri sacri”.

Occorre anche dire che i quattro vangeli non esauriscono tutta la Tradizione: su Gesù

converge una ricca tradizione orale e anche altre raccolte portano il nome di vangeli (quello di

Pietro, quello di Tommaso ecc.).

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22 Cos’è la critica testuale (appunti)

Cos’è la critica testuale (appunti)

“E’ quella disciplina che cerca di ricostruire e chiarire la condizione originale del testo

biblico e la sua storia fino ad oggi” (P. G. Müller, Lessico della scienza biblica, Ed. Queriniana,

Brescia 1990).

Non possediamo l’originale di nessuna opera letteraria classica. Anche per la Bibbia è valido

lo stesso principio: i testi autografi sono andati perduti. Anzi, per la Bibbia questo principio è vero

in particolare, perché nessun testo antico fu mai trascritto e tradotto come la Bibbia. Quindi tanto

più difficile è riconoscere in queste condizioni è il testo originale.

Occorre considerare anche le condizioni dell’editoria prima della invenzione della scrittura

(dalle tavolette d’argilla alle pergamene, ai blocchi di pietra fino al papiro) .

Se anche la Bibbia, come tutti i testi antichi, è nata in queste condizioni, non fatichiamo a

capire perché di essa gli originali sono andati perduti. Non avremo mai il testo originale così com’è

uscito dalle mani dell’Autore. Questa è una pura utopia!

Tra l’altro, i papiri, oltre alle pergamene, si rovinavano presto e occorreva riscriverli. Le

trascrizioni erano quindi molto frequenti e questo comportava errori di copiatura, ecco perché

allora la presenza di errori fin dai più antichi testimoni del testo biblico. La tradizione manoscritta

era piuttosto accidentata.

Il TEXTUS RECEPTUS è un testo convenzionale non attendibile, universalmente accolto.

Per condurre un’esegesi seria, occorre un’edizione critica che deve rendere conto della

storia manoscitta. I testi commentati hanno un apparato cristico, ma possono non essere

un’edizione critica, se non hanno tutte le varianti dei manoscritti.

L’apparato critico può essere negativo se riporta le varianti essenziali, le più significative, e

positivo, se riporta anche le varianti accessorie, quelle poco significative.

Le edizioni critiche più famose sono:

Per l’Antico Testamento il KITTEL – KAHLE con due apparati critici, la BIBLIA HEBRAICA

STUTTGARTENSIA, con un solo apparato critico, completamente rinnovato.

Per il Nuovo Testamento: il NESTLE – ALAND dà le varianti principali, il MERK che ha testo

critico e varianti principali, il GNT (Greek New Textament) offre alcune varianti principali, oltre un

testo frutto della discussione del Comitato incaricato di redigerlo.

Nessun originale, quindi, ma testimoni del testo. Questi sono frammenti di testo giunti a

noi attraverso le innumerevoli trascrizioni durante le quali il testo stesso ha subito errori, revisioni

e trasformazioni.

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Introduzione allo studio della BibbiaParte III (R.Lai)

23

I testimoni del testo sono di diversa natura: sono diretti se riportano il testo per sé stesso:

o per intero o per sezioni o per brani molto ridotti.

Sono invece testimoni indiretti quelli che risproducono brani del testo dentro altre opere

letterarie. Vedi, per esempio, le citazioni dei Padri.

Tra i testimoni diretti annoveriamo i papiri, i manoscritti maiuscoli, i manoscritti minuscoli,

i lezionari.

I papiri sono difficili da leggere e decodificare, occorre uno sguardo allenato. I manoscritti

maiuscoli o unciali sono di tre tipi: l’ALEXANDRINUS, IL VATICANUS, IL SINAITICUS.

I manoscritti minuscoli sono moltissimi e più recenti, anch’essi di difficile lettura. Ma

RECENTIORE NON DETERIORES!

I lezionari sono pericopi usate per la liturgia. Sono in genere poco attendibili per i tagli

fatti al testo ad opera del liturgista.

Per la tradizione indiretta abbiamo due fonti: le antiche versioni e le citazioni patristiche.

Le antiche versioni sono più antiche delle testimonianze dirette. Sono la VETUS LATINA o

meglio le VETERES LATINAE (ogni Chiesa aveva la sua), la VOLGATA (traduzione dell’Antico

Testamento rivista da San Girolamo), la PESHITTA (versione siriaca) ecc.

Le citazioni patristiche sono poi da utilizzare con cautela (poco attendibili perché quasi

sempre fatte a memoria, senza possibilità di riscontro!).

Cenni di critica testuale: I PRINCIPI10

Il significato e il valore di essa nel Discorso di Pio XII nella Divino Afflante Spiritu, 1943 (leggi

dal Mannucci, 108:

“Oggi però questa tecnica, chiamata “critica testuale”e che viene applicata con grande lode

e frutto nel pubblicare libri profani, si esercita a pieno diritto anche sui libri sacri per la stessa

riverenza dovuta alla parola divina. Essa infatti per sua natura ripristina, per quanto è possibile, il

testo sacro in modo perfettissimo, lo purifica dagli errori introdotti dalla debolezza degli

amanuensi e lo libera secondo la propria possibilità dalle glosse e dalle lacune, dalle inversioni di

termini e dalle ripetizioni e da tutti gli altri generi di errori che di solito si insinuano negli scritti

tramandati per molti secoli […]. E non è nemmeno il caso di ricordare a questo punto […] quanto la

10 Cfr. Valerio Mannucci, op.cit, 108ss.

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24 Cos’è la critica testuale (appunti)

Chiesa abbia tenuto in considerazione questi studi di tecnica critica dai primi secoli fino alla nostra

era. E tutti sappiamo bene che questo lungo lavoro non solo è necessario per comprendere

rettamente gli scritti dati dall’ispirazione divina, ma è postulato anche e fortemente da quella pietà

divina con la quale per la sua somma provvidenza Dio ha inviato questi libri come una lettera

paterna dalla sede della sua divina maestà ai suoi figli” .

Il testo che noi abbiamo oggi è il risultato della ricostruzione operata pazientemente dagli

scienziati, attraverso un lungo lasso di tempo.

Il primo sforzo della critica testuale è quello di confrontare tra loro i testimoni, classificarli

per ricostruire il processo di trasmissione e trascrizione del testo. Quindi concretamente l’edizione

critica deve confrontare quanto più codici possibile. La COLLATIO è la raccolta e il confronto di

questi vari manoscritti.

Il secondo lavoro è quello di ricostruire il testo il più vicino all’originale. La RECENSIONE è

il vaglio critico delle varianti.

In base alle diverse varianti, lacune ed errori, si può delineare la storia e la genesi del testo.

La COLLATIO si fa sugli ERRORI: proprio gli errori possono essere di vario tipo

(immaginiamo la trascrizione dei codici):

glosse e interpolazioni (da note marginali, da lezionari, da altri testi liturgici)

aplografia (sillabe uguali abolite per semplificare)

dittografia (il contrario, sillabe simili raddoppiate)

false separazioni di parole (non dimentichiamo che era allora usata la SCRIPTIO CONTINUA)

omissioni

problemi in interpunzione

consapevole intervento del copista o per correggere errori di ortografia e grammatica, o

per aggiungere, completare, chiarire)

errori di udito e memoria ecc.

Possiamo dire quindi che la critica testuale, più che una scienza, è un’arte: ogni caso va

attentamente considerato ed esaminato, con tutti i criteri possibili. Un’arte comunque a servizio

della fede, per chi crede nella Bibbia come Parola di Dio.

Quali sono i criteri per la scelta tra le diverse varianti?

Si parla di principi di carattere esterno al testo e altri di carattere interno.

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Introduzione allo studio della BibbiaParte III (R.Lai)

25

PROVE ESTERNE

Si riferiscono al valore dei testimoni e si possono riassumere in questo modo: le varianti

sono probabilmente nel testo originale se

Sono attestate da più codici

Ricorrono in manoscritti antichi e attendibili come il Vaticanus. Quanto più antico è il

manoscritto, tanto migliore è la qualità

Sono attestate in manoscritti tra loro indipendenti dal punto di vista genealogico.

Qui occorre aprire una parentesi: oggi uno dei problemi più urgenti della critica testuale è

stabilire i rapporti di parentela tra i codici, fissando uno STEMMA CODICUM, o albero genealogico

dei codici che al vertice ha l’ARCHETIPO (codice originale che non possediamo più ma che è

all’origine di tutta la tradizione manoscritta). Soprattutto dal XIX secolo, gli studiosi si sono accorti

che è possibile raggruppare i codici in famiglie, in base alle loro varianti.

Si sono individuati tre o quattro gruppi di famiglie di codici, note agli studiosi, e preziose

per ricondurre ogni codice ad un certo ceppo.

PROVE INTERNENascono da un confronto tra le varianti e il modo in cui i testi sono statio trasmessi. Ci si

chiede: cosa hanno probabilmente fatto i copisti dinanzi al testo? Le varianti sono probabilmente

nel testo originale se:

Contengono la lezione più difficile ( LECTIO DIFFICILIOR POTIOR). Il testo va verso la

semplificazione.

Contengono la lezione più breve (LECTIO BREVIOR POTIOR). Il testo va verso

l’ampliamento.

Corrispondono meglio alle idee e allo stile dell’Autore (USUS SCRIBENDI)

Tra due lezioni, una si è trasformata nell’altra o viceversa (UTRUM IN ALTERUM ABITURUM

ERAT?)

La lezione è discordante dai passi paralleli . Non traspare alcun influsso di passi paralleli. Il

testo va verso l’armonizzazione del testo coi passi paralleli.

Per ulteriori approfondimenti su questi argomenti, rimando al sito www.christianismus.it e

in particolare CLEMENTINA MAZZUCCO, La critica testuale e l’edizione critica del Nuovo

Testamento.