In questa slide sono riassunti gli obiettivi del sesto...

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In questa slide sono riassunti gli obiettivi del sesto modulo.

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Il rapporto tra medico e paziente migrante presuppone un incontro tra culture diverse.

Questo richiama necessariamente all’attenzione una duplice riflessione, che la stessa medicina si è posta nel corso degli ultimi decenni sulle influenze culturali e sulla forza terapeutica della relazione, che sembra essere stata trascurata negli ultimi tempi, ma che certamente influenza in modo decisivo il risultato terapeutico finale, soprattutto in campo multietnico.

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La biculturalità del migrante consiste nella diversità di formazione del medico occidentale e nelle condizioni etno-sanitarie peculiari dell'atto migratorio.

La formazione del medico occidentale, d’altra parte, è più sbilanciata in senso scientifico nell'ipotesi che, come in altre attività professionali, anche nell’ambito clinico la verità si possa raggiungere mediante la scrupolosa applicazione di una metodica basata su un'attenta osservazione del paziente, sull’adozione di scale di misurazione e sull’impiego di tecnologie sofisticate: in tal senso l’esempio più tangibile ed eloquente è la medicina basata sull’evidenza.

Questo ha determinato da un lato un approccio al paziente di tipo unicamente esplorativo e secondo uno schematismo generalmente codificato e standardizzato e dall'altro la cosiddetta “ontologizzazione della malattia”, cioè quel pensiero che ha indotto il medico a rapportarsi più con le malattie che con i malati, pur nella consapevolezza di doversi prendere cura di esseri umani e non di entità astratte.

La medicina è così diventata l'arte del riconoscere i casi simili a quelli letti e studiati nei trattati perdendo di vista il singolo paziente con la sua sfera interiore, la sua umanità e i suoi vissuti.

In altre parole si è delineata una tendenza verso una vera e propria afasia culturale tra un medico che dialoga principalmente con le malattie e un paziente immigrato attratto e affascinato dalle tecnologie terapeutiche.

Da qui l’emergenza di errori metodologici ancor più evidenti e stridenti nel campo della medicina transculturale.

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Il medico deve affinare le proprie conoscenze in campo antropologico e sociologico e saper leggere e interpretare anche le differenze più piccole e apparentemente meno rilevanti.

Deve insomma capire che il problema dell'approccio sanitario nei confronti del migrante non si limita alla sola diversità linguistica ma comprende anche e soprattutto quella culturale.

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Per quanto riguarda, poi, la relazione terapeutica, secondo l'antropologa Nicoletta Diasio due raffigurazioni del corpo umano sintetizzano in forma visiva il nodo interpretativo in cui si imbatte il medico nel suo rapporto con gli immigrati e che riguarda la dimensione antropologica della relazione terapeutica.

La prima è rappresentata dall'uomo di vetro, esposto a Parigi nel 1937 e costruito da un tecnico dell'Istituto di Igiene dell'Università di Dresda con un materiale plastico, il cellon, completamente trasparente e simile al vetro, che avvolgeva uno scheletro con materiali sintetici, circuiti elettrici e liquidi colorati.

Fu giudicato l'ottava meraviglia del mondo e Stalin fece costruire per sé addirittura una copia di vetro.

La seconda raffigurazione è bene espressa dal Cristo velato del Sammartino, conservato nella Cappella del Principe di San Severo a Napoli, in cui il corpo del Cristo avvolto dal lenzuolo si intravvede e si intuisce soltanto.

L'uomo di vetro simboleggia evidentemente la medicina del visibile, del misurabile e dell'osservabile dall'alto della scienza medica, in piena sintonia con il modello di relazione terapeutica che già a partire dagli anni Ottanta aveva mostrato i primi segni di inadeguatezza.

La raffigurazione del Cristo del Sammartino, al contrario, realizza in forma più concreta la relazione terapeutica con il paziente eteroculturale.

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Il paziente immigrato offre così allo sguardo del medico un corpo velato, avvolto e modellato dalla rete di simboli e valori propri della sua cultura di appartenenza e non il corpo misurabile e trasparente concepito dalla scienza medica occidentale.

Ecco perché se il medico vuole sentire, ascoltare e comprendere le ragioni del malessere dell'altro deve dotarsi di adeguati strumenti e capacità interpretative.

Riccardo Colasanti, co-fondatore della Società Italiana di Medicina delle Migrazioni, riconosce 5 livelli di confusione sui livelli di incomprensione medico-paziente migrante, i primi tre di comunicazione, gli altri due di carattere strettamente culturale.

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I problemi di differenza culturale nell'ottica della coppia relazionale medico autoctono-paziente migrante o sanità autoctona-popolazione migrante sono resi complessi dal fatto che si tratta di due aree culturali che non hanno raggiunto un equilibrio di transculturazione.

Con due grandi miti: quello del migrante paziente ignorante e infetto e, da parte del migrante, quello dell'Occidente eden tecnologico.

Evidentemente tendono a conglobarsi in un'unica società multiculturale, ma nella prima fase subentra un attrito che comporta incomprensione, razzismo e, sul piano medico, un fenomeno di impermeabilità diagnostica.

Il paziente rimane così distante dal medico, studiato, analizzato ma non interpretato.

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La letteratura medico-antropologica di lingua inglese distingue due diversi concetti di malattia: quello di disease, secondo la prospettiva biomedica dell'operatore sanitario che vede la malattia come un'entità oggettiva e misurabile, e quello di illness, secondo la prospettiva del paziente, ovvero come è vissuta la malattia da chi cerca di dare sempre un significato al suo star male.

Nella relazione terapeutica medico-paziente la duplice prospettiva di disease e di illness deve trovare un punto di contatto se si vogliono ottenere risultati positivi, ma questo è difficile da raggiungere in un contesto interculturale in cui si contrappongono da un lato la professione medica occidentale con il suo sistema, la propria particolare visione del mondo basata su propri presupposti (razionalità scientifica, enfasi sull'oggettività e misurazione quantitativa dei fenomeni, predominanza dei dati fisico-chimici, dualismo mente/corpo e concezione della malattia come entità) e dall'altro il paziente con la propria concezione culturale che si basa essenzialmente su particolari tipi di vincoli familiari, ancestrali e sociali e, in ogni caso, su un vissuto che sfugge all'impostazione della medicina moderna.

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Nello scenario finora delineato si inserisce il mediatore culturale, a cui spetta in parte l’onere di gestire un rapporto molto delicato nell’ambito della propria sfera operativa.

Questa slide illustra i principali ambito di intervento del mediatore culturale.

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Il mediatore culturale deve migliorare la relazione del paziente immigrato con le istituzioni, con la società e naturalmente con il medico.

I principali obiettivi del suo intervento sono riassunti nella slide.

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In questo ambito è nata una vasta letteratura e si è istituita una prassi per la formazione e l'impiego nei servizi per immigrati del mediatore culturale la cui funzione è riconosciuta anche dalle disposizioni legislative in vigore.

Non sono pochi tuttavia gli operatori che per scelta decidono di non avvalersi di questa terza figura-ponte, ritenendola elemento di ulteriore confusione.

Due sono in effetti le correnti di pensiero, l’una favorevole al mediatore, l’altra per così dire “negativista”, in quanto orientata a non riconoscere una reale utilità di questa figura.

La prima corrente afferma che gli ostacoli che disincentivano l'uso dei servizi e ritardano l'acquisizione di un diritto riconosciuto non sono costituiti soltanto da specificità etnico-culturali ma anche dalla non conoscenza delle opportunità sanitarie offerte e da difficoltà burocratico-amministrative.

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Esiste in ambito socio-sanitario un divario tra domanda di salute e risposta fornita che non riguarda soltanto la sfera del rapporto privato medico-paziente ma anche quella pubblica, dei servizi e delle leggi e che può essere colmato alle tre condizioni illustrate nella slide:

• i servizi socio-sanitari non devono essere aperti indiscriminatamente, a causa delle difficoltà di comprensione esistenti tra l'immigrato e il Servizio Sanitario Nazionale;

• si devono mettere in campo attenzione ed esperienza oltre a modelli organizzativi idonei tali da superare le attuali difficoltà del delicato rapporto tra individuo e malattia e tra medico e pazienti eteroculturali;

• si devono dare spazio e ascolto agli immigrati che devono essere riconosciuti quali soggetti e protagonisti a pieno titolo del progetto salute.

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I progetti formativi per la qualifica di mediatori culturali nascono proprio dall'esigenza di favorire la nascita di profili professionali nuovi che devono rispondere alle necessità dell'utenza immigrata relative ai bisogni di tipo socio-sanitario e soddisfare pertanto alcuni requisiti di base, qui sintetizzati.

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L'obiettivo finale è quello di rendere intellegibili e fruibili i servizi socio-sanitari attraverso la realizzazione di iniziative che siano in grado di rendere effettiva la parità dei diritti prevista dalla legge in vigore.

In questo spazio e sulla scorta dell'esperienza di altri Paesi europei con una più lunga storia di immigrazione è possibile proporre e inserire modelli di intervento che possano influire qualitativamente sul processo di interazione tra immigrati e società ospite, cercando di eliminare le barriere linguistico-culturali esistenti, recuperando e valorizzando al tempo stesso le diversità e interagendo con le comunità di stranieri o con i loro interlocutori privilegiati (bilingual workers) per rimodulare e personalizzare la struttura dei servizi affinché rispondano realmente ai loro bisogni di salute.

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È interessante riportare il punto di vista dell'Ambulatorio Caritas di Roma, che sicuramente rappresenta per numero di pazienti visitati e per esperienza scientifico-culturale un punto di riferimento per quanti a vario titolo si occupano di queste problematiche e che comunque riguarda soltanto la sfera privata della relazione medico-paziente.

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La conclusione di questa visione, dopo una critica del modello attuale della relazione medico-paziente che è di tipo contrattualistico (il medico è un esecutore che vende le proprie competenze sul mercato) e biomeccanicistico (l'obiettivo è quello di riparare il pezzo guasto della macchina-corpo), messo in crisi proprio dalla relazione con il paziente proveniente da contesti in cui la relazione e la fiducia nei confronti del curatore sono imprescindibili, è che, in realtà, il mediatore culturale può trovare la sua utilità solo in questo contesto di modello tecnico di relazione, tipico della biomedicina, in cui diventa strumento che consente al medico di riparare più rapidamente e senza ulteriori problemi di interpretazione la macchina e cioè il paziente.

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Non bisogna infine dimenticare l’importanza del mediatore culturale nel veicolare informazioni su corretti stili di vita, sulle strategie preventive (ad es., vaccinazioni) e sul corretto uso dei farmaci.

Relativamente a questi ultimi va sottolineato che i principi attivi e i brand dei farmaci possono essere differenti tra un Paese e l’altro. Il mediatore culturale può richiamare l’attenzione sulla posologia (frequenza massima), sui criteri di somministrazione (ad es., a stomaco pieno oppure lontano dai pasti) e sulle diverse formulazioni.

Per esempio il ketoprofene sale di lisina è un antinfiammatorio disponibile in svariate formulazioni (granulato, gocce orali, spray, collutorio, soluzione iniettabile, supposte da 30, 60 e 160 mg) di cui è bene conoscere la corretta modalità d’uso.

Si tratta infatti di un principio attivo di largo impiego, che trova indicazione per situazioni di dolore di varia natura, sia nel bambino (mal di denti, mal di testa) sia nell’adulto.

Relativamente a quest’ultimo va tra l’altro ricordato che molti immigrati sono spesso impegnati in attività che comportano notevole impegno fisico e sono perciò particolarmente esposti a mialgie e patologie osteoarticolari per le quali una molecola come quella del ketoprofene sale di lisina coniuga l’efficacia a un buon profilo di tollerabilità e sicurezza.

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