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Il Fiume della Vita
Notizie
Febbraio 2018
Il profilo dell’altra sponda del fiume, con un tempio, qualche costruzione e molti alberi, è velato dalla foschia del mattino. A meno di un chilometro, sul ponte costruito dagli inglesi, passano i treni da e per Calcutta. Su un secondo livello il traffico delle auto, delle moto e dei mini-‐taxi a tre ruote produce una sua colonna sonora con il continuo rumore dei clacson, coperto a intervalli dal frastuono del treno e della sua sirena che ricorda quella delle navi. La campana del tempio vicino a noi, appena dietro le costruzioni del Centro per gli ospiti della Fondazione Krishnamurti di Varanasi, ogni mattina suona per circa venti minuti un ritmo martellante mentre in lontananza un altoparlante diffonde un canto devozionale. Un falco rotea sul fiume senza sforzo, i cani vagano sulle sue sponde in un’incessante ricerca di cibo che culmina spesso in litigi rumorosi ma innocui. Qualche barca si staglia scura sull’acqua muovendosi lentamente sotto la spinta dei remi abilmente manovrati. Piccole mandrie di bufali cercano un pascolo nell’erba corta delle sponde, ci si chiede come possano, animali così grandi, nutrirsi in questo modo. Il nostro cottage è ad un’altezza di sicurezza rispetto alle piene annuali del Gange che possono elevare il livello dell’acqua anche di diversi metri. La quindicina di edifici del Centro dove ci troviamo sono sovrastati da grandi alberi e circondati da aiuole con erba e fiori. E’ un luogo semplice, non c’è nessun lusso, ma è un’oasi eccezionale in questa caotica città. A monte, dalle gradinate dei Ghat che scendono nell’acqua, il fiume riceve le ceneri dei corpi cremati su pire di legna e l’adorazione dei credenti, offrendo le sue acque per i bagni rituali e per lavare panni di ogni tipo. Poco più a valle il Varuna, un affluente del grande fiume sacro, riversa le sue acque coperte di una schiuma dall’aspetto velenoso. Alle nostre spalle una strada collega i villaggi al di là del Varuna con Varanasi, un nuovo ponte in cemento facilita il flusso di pedoni, biciclette, moto e mini-‐taxi. Il traffico delle auto è impedito da apposite barriere per non sovraccaricare la strada che taglia in due i campus di due scuole della Fondazione Krishnamurti.
Oltre il Varuna si trova il Centro Rurale. Comprende una fattoria che provvede latte e verdure a tutto il Centro, un piccolo ospedale che offre cure quasi gratuite alla gente dei dintorni, la scuola A.Patwardan e i laboratori di artigianato delle donne. L’intero Centro della Fondazione Krishnamurti Indiana a Varanasi è piuttosto grande, copre una superficie di quasi centocinquanta ettari e ha un amministrazione unica per tutte le sue attività, che, oltre il Centro Rurale, comprendono un college per ragazzi dai nove ai diciotto anni (Besant School), una scuola d’arte femminile di livello universitario e il Centro Studi che ci ospita. Il Centro è immediatamente adiacente a Varanasi, una città di circa due milioni di abitanti che è considerata nella tradizione Indiana uno dei luoghi più sacri verso cui compiere un pellegrinaggio. La scuola A.Patwardan (APS) offre quest’anno un percorso formativo a circa trecentoventi ragazze e ragazzi in egual numero provenienti dai villaggi vicini, in particolare da Sarai Mohana. APS non intende limitarsi a offrire un istruzione ma vuole creare le condizioni per un autentico rispetto di se stessi e degli altri e lo fa soprattutto con l’esempio e la dedizione. Lo spirito è ispirato dal lavoro di J.Krishnamurti. Per approfondire si possono visitare le pagine del sito dedicato al Centro Rurale
Incontri
Durante il nostro soggiorno abbiamo incontrato le persone che dirigono le varie attività e i bambini sostenuti dal nostro progetto. Alcuni dei dirigenti sono stati nominati negli ultimi mesi, altri li conoscevamo dagli anni passati. Una piacevole sorpresa è stato l’incontro con Nimesh, il nuovo direttore della scuola. Nimesh ha quarant’anni, vive con la madre settantenne e ha energia ed entusiasmo sufficienti per passare una notte in piedi ad ascoltare un concerto di musica classica indiana o per alzarsi prima dell’alba per andare a camminare sulle sponde del fiume. Nimesh dedica la maggior parte delle sue energie alla scuola: mentre eravamo a Rajghat ha organizzato una gita domenicale per gli insegnanti della A.Patwardan al campus universitario della Banaras Hindu University, un’oasi verde all’estremità opposta di Varanasi, si siede in mezzo ai bambini nell’assemblea del mattino, sta promuovendo la collaborazione degli insegnanti della Besant School con la A.Patwardan School e ha promosso alcuni interessanti progetti educativi cui accennerò. Un altro personaggio, non nuovo ma in una nuova e inattesa posizione, è il dott. Navjeevan Singh. Avevo parlato di lui l’anno scorso perché, insieme a sua moglie, aveva realizzato una visita oculistica a tutti i bambini della scuola. Navjeevan è ora in pensione, ha lavorato come professore di patologia fino a pochi mesi fa, ora si è lasciato crescere una bella barba che ha molto addolcito il suo sorriso e siede come co-‐direttore due giorni a settimana nel piccolo ufficio di Nimesh, gioca con i bambini e partecipa all’attività educativa della scuola rurale. Progetta di stabilirsi a Rajghat e dedicarsi al Centro Rurale. Un altro nuovo attore nella scena del Centro è Shakun, una giovane donna che lavora da pochi mesi come coordinatrice del laboratorio artigianale delle donne. Shakun ha una formazione nel design, capacità artigianali, parla fluentemente tanto l’Indi quanto l’inglese e ha stabilito un’amichevole relazione con il gruppo di donne che cinque giorni alla settimana si trova nei locali che ospitano il laboratorio nel villaggio di Sarai Mohana. La sua presenza ha generato un netto miglioramento nella produzione delle donne. Parlerò anche di questo più avanti. Un altro incontro
piacevole, con una persona conosciuta, è stato con Kumar Radhakrishnan, anche lui circa quarantenne, ex manager di banca, da due anni è co-‐direttore, insieme a Dubey-‐ji, dell’intero Centro e sta dedicando molta della sua attenzione al Centro Rurale. Ha coordinato lo sviluppo di quello che è stato chiamato “Community Project”. E’ un progetto che sta oggi interessando circa settecento donne che vivono nei villaggi limitrofi la Fondazione e che mira a dare educazione alla salute, al risparmio e alla dignità
personale. Ne scriverò più ampiamente. Di Kumar si dice che è impossibile trovarlo in ufficio: è sempre impegnato da qualche parte in modo piuttosto informale. In effetti l’unica volta che sono andato da lui senza un appuntamento ho trovato due persone, Nimesh e il dott. Suresh che lo stavano aspettando da mezz’ora. Il dott. Suresh, che l’anno scorso era il direttore del Centro Rurale si occupa ora solo dell’ospedale, mentre la direzione del centro è stata assunta da Kumar e Dubey. Abbiamo incontrato anche un’altra delle persone che si stanno occupando con più passione del lavoro con le donne: Roopam, bibliotecaria della Besant School, è l’anima buona e calda del “Community Project” ce ne ha parlato con entusiasmo e calore rendendo viva ai nostri occhi quest’avventura umana. L’ultima persona con cui ho parlato è il nuovo segretario del Centro di Rajghat: Vishwanath Alluri. Mi ha invitato a bere un caffè nel suo cottage, acqua versata dal bollitore nel recipiente con il filtro a stantuffo. Nel 2000 aveva creato a Mumbay un’azienda di produzione di software per cellulari. L’azienda ha avuto molta fortuna, attualmente ha filiali in sessanta paesi ed è quotata alla borsa di Londra, Viswanath si è ritirato dalla direzione dell’azienda dedicandosi in più modi al lavoro legato alla Fondazione Krishnamurti Indiana. Ogni mese passa qualche giorno a Rajghat. Dietro la nomina di giovani come Kumar, Nimesh e Shakun c’è la sua visione che è il motore della rinnovata attenzione verso il Centro Rurale. Abbiamo anche, come sempre, incontrato i bambini che sosteniamo. Sono sessantaquattro, ne abbiamo incontrati circa sessanta, tre o quattro erano assenti. E’ stato un incontro breve ma non formale. Eravamo tutti seduti sul tappeto dell’aula delle assemblee, loro sono venuti in gruppi, di quindici o venti, con curiosità, le femmine, e con una certa austerità, i maschi. Come altre volte alla domanda “cosa vorresti fare da grande?” le risposte delle femmine sono state più varie e forse sognanti di quelle dei
maschi: vorrebbero essere artisti, o medici o insegnanti, i maschi prediligono sempre il diventare poliziotti o ingegneri o entrare nell’esercito, c’è qualche eccezione ma queste sono le tendenze. Abbiamo chiesto ai ragazzi e alle ragazze dell’ottava classe cosa faranno l’anno prossimo e tutti hanno risposto che sperano di essere ancora qui, all’A.Patwardan School, nella nuova nona classe su cui si sta lavorando. La loro espressione di affetto e riconoscenza per la scuola è toccante. Molti dei bambini si ricordano bene di noi e noi ricordiamo bene alcuni di loro, con alcuni c’è una vera relazione d’affetto. Abbiamo scattato una fotografia di ognuno ottenendo la loro, molto sorridente e allegra, approvazione.
Forse ricorderete che nelle passate newsletter avevo accennato ad una distanza tra la parte ricca della Fondazione a Rajghat, al di qua del Varuna, e la parte povera, che si trova al di là. Questa
divisione era così sentita che si parlava di “ispaar” (al di qua del fiume) e “uspaar” (al di là del fiume) come di un sentimento discriminante. Questa divisione aveva delle radici lontane, è incominciata da quel che capisco con la creazione stessa del Centro di Rajghat e l’acquisizione del terreno all’inizio degli anni 30, ma è una storia troppo lunga e complessa per essere raccontata qui. Quello che mi sembra invece importante scrivere è che per la prima volta nei miei dieci anni di frequentazione del Centro vedo dei veri cambiamenti in questo senso. Finalmente è iniziato uno scorrere di attenzione, di cura e progettualità oltre il fiume Varuna. Questo progetto di sostegno era nato anche per questo, perché sentivo una mancanza di impegno umano, oltre che di risorse economiche, verso il Centro Rurale. Tre anni fa al momento della mia partenza mi era stato regalato un libretto fotografico con scritto in copertina: “To Santi, the bridge between Ispaar and Uspaar”. Quel “to Santi…” è da intendere: a tutti noi che abbiamo contribuito a dare attenzione e cure a questa piccola parte del mondo con le nostre donazioni, il nostro tempo e i nostri pensieri. Quando sono a Rajghat rappresento tutti noi sostenitori del progetto “Il Fiume della Vita”.
Progetti
Fino all’anno passato si era progettato di costruire due nuove stanze per ospitare le classi nona e decima che da tempo si vorrebbero realizzare. Ora è stato invece deciso di spostare gli uffici del direttore e della contabilità del Centro Rurale presso la sede centrale della Besant School. Sui due locali liberati si sta già lavorando per adattarli ad ospitare le nuove classi. In questo modo si realizza un risparmio economico e si favorisce l’integrazione e la comunicazione tra i due rami
della Fondazione. Lo scoglio maggiore per l’attivazione delle due nuove classi è ora l’assunzione di nuovi insegnanti. Questa è una questione complessa perché richiede nuove risorse per gli stipendi, inoltre si sente la necessità di avere insegnanti più qualificati e giovani. Lo stipendio attuale degli insegnanti non supera le ottomila rupie al mese (poco più di cento euro) che si aggiungono alla casa e ad altri piccoli vantaggi; nell’insieme questa offerta non è molto attraente per un giovane qualificato. Un aumento degli stipendi di tutti gli insegnanti
sembra, per ora, insostenibile. A mio avviso la motivazione per un giovane insegnante a dedicarsi a questa scuola può venire soprattutto dal vedere che qui c’è effettivamente qualcosa di buono e nuovo che sta accadendo. Come mi ha detto Nimesh salutandomi: “i prossimi sei mesi saranno cruciali per la scuola”, ci potrebbe essere una convergenza sinergica di cambiamenti benefici che in parte stanno già avvenendo.
Un altro passo importante è l’affiliazione della scuola alla CBSE (Central Board for Secondary Education), se ne parla ormai da anni, spero che il 2018 veda la realizzazione di questo obiettivo che permetterà ai bambini della A.Patwardan di completare il ciclo di studi primario con esame in sede.
E’ stato fatto un accordo con Agastya Foundation, un ente che ha l’obiettivo di diffondere la cultura scientifica attraverso l’uso di laboratori anche itineranti. L’accordo permette ora agli studenti dell’ottava classe di andare una volta al mese nella loro sede a studiare con l’ausilio di materiali, modelli ed esperimenti.
Gli studenti delle classi settima e ottava sono invitati a partecipare a laboratori dove i ragazzi e le ragazze possono avvicinarsi a dei mestieri che potrebbero aiutarli sia a scoprire dei propri talenti sia a guadagnarsi da vivere se dovranno lasciare la scuola dopo l’ottava classe. È attivo un laboratorio per ragazzi dove si s’insegna a riparare cellulari e televisori e due laboratori per ragazze, uno per la tessitura a mano e uno per imparare l’arte dell’estetica femminile. Questi laboratori sono stati accolti con entusiasmo, ragazze e ragazzi vi si applicano con molta serietà. Gli insegnanti sono persone che gestiscono queste attività in proprio a Varanasi. La tessitura, che è una delle attività tradizionali di questa regione, è stata approfondita anche con la
visita ad un’esposizione e con la visione di alcuni film.
Un giardino adiacente la scuola, chiamato Krishna Vatika, è stato risistemato dopo essere rimasto dimenticato per anni ed è diventato ora uno dei luoghi di gioco e di incontro favorito da studenti e insegnanti. Alla A.P.S. molte attività si svolgono all’aperto, soprattutto in inverno quando la temperatura è più gradevole, i prati
rasati di questo giardino con la sua fontana centrale sono un ottimo ambiente.
Si stanno muovendo i primi passi per rinnovare i metodi didattici. Un esperimento in corso vede la co-‐presenza di due insegnanti di materie diverse durante una lezione. Gli insegnanti preparano insieme la lezione e ne verificano l’efficacia. Questo è inteso a portare un approccio più ampio in ogni materia e una migliore capacità di collaborazione tra gli insegnanti.
C’è stato uno sforzo per aumentare l’attenzione sulle attività sportive. Lo sport può avere un ruolo importante per vari motivi oltre che per migliorare la crescita fisica: grazie ad alcune manifestazioni sportive si è aperta un’occasione di comunicazione tra i ragazzi della Besant School e quelli di APS, ad esempio. Ma a mio parere il più grande beneficio delle attività sportive è per le ragazze che possono muoversi liberamente ed imparare a esprimere il proprio potenziale corporeo senza le barriere che sono loro imposte da un cultura ancorata a molti pregiudizi. È impressionante, camminando lungo il fiume la mattina presto, vedere come i ragazzi si dedichino a giochi e ad esercizi fisici all’aperto mentre non c’è una sola ragazza. Le donne e le ragazze sono evidentemente tenute da un codice morale ferreo a restare in casa. Rompere questo codice, permettere a tutti di esplorare la vita senza barriere basate sulla tradizione o sulle caste deve essere uno degli obiettivi di una buona educazione. Un paio d’anni fa l’insegnante di ginnastica della APS mi diceva con orgoglio che due delle sue ragazze erano state ammesse nel corpo della polizia per la loro capacità fisica di movimento. Per collocare questo evento nella sua giusta prospettiva bisogna capire le condizioni di vita di questa regione. La maggior parte dei ragazzi vorrebbe diventare poliziotto, è un modo di emanciparsi tanto dalla povertà che da una condizione di sottomissione, che lo possano fare delle ragazze ha un valore di riscatto anche più grande.
Progetto Comunità
Le donne sono al centro di questo progetto, sviluppato in collaborazione con Sampark, una ONG con sede a Bangalore e Pangea, una Fondazione Italiana. La finalità è di creare informazione sui diritti contro la violenza di genere, sull’accesso al credito, sulla formazione d’impresa e sulla salute; consapevolezza sulla gestione del risparmio e una maggiore capacità di collaborazione. Per raggiungere questi obiettivi sono stati formati finora oltre cinquanta gruppi detti “Self-‐help groups” di cui fanno parte quasi settecento donne. Tre formatori facilitano la partenza dei gruppi favorendo la creazione di una fiducia interna. I gruppi di donne non ricevono denaro ma solo sostegno umano. Inizialmente si è trattato soprattutto di superare le barriere di diffidenza generate da precedenti attività governative e di altre ONG che avevano deluso profondamente la gente. La presenza della
Fondazione Krishnamurti è stata essenziale per superare queste difficoltà essendo una realtà fisicamente presente nell’area da molti anni. Roopam ci ha raccontato di come all’inizio, nei mesi di aprile, maggio e giugno dell’anno scorso, il lavoro sia stato quello di creare il dialogo, di incontrare le donne e i responsabili dei villaggi spiegando cosa si voleva fare e conquistarne la fiducia. Il primo passo nel lavoro dei gruppi è stato poi di incontrarsi senza particolari obiettivi se non quelli basilari di darsi un nome come
gruppo, parlare e nominare una responsabile e una contabile. Poi si è passati alla auto-‐raccolta dei risparmi su base settimanale, ogni gruppo ha stabilito una cifra che tutte le donne potessero sostenere, circa venti/ trenta rupie; questo denaro è stato registrato e in seguito depositato presso una banca aprendo un conto. Ogni donna del gruppo ha diritto ad accedere ad un prestito prelevando da questa somma risparmiata con un interesse limitato al 5% dopo aver discusso con le altre donne i motivi del prestito. Nell’arco di qualche mese questo ha creato la possibilità di un fondo destinato al micro-‐credito, un fondo che non dipende da nessuna banca e contribuisce a creare un senso di fiducia in sé e nella forza della cooperazione. Questa rete di gruppi di auto-‐aiuto diventa anche una rete di diffusione di informazioni che arrivano, non calate dall’alto, ma attraverso una partecipazione diretta, amichevole e responsabile.
All’interno di questo progetto si sono attivati vari corsi di sartoria per ragazze, uno di questi corsi si svolge a Sarai Mohana nei locali della Fondazione Krishnamurti. A questo corso stanno partecipando ventitré ragazze.
Quando andiamo a Rajghat facciamo sempre acquisti presso il laboratorio delle donne a Sarai Mohana. E’ un luogo protetto, pulito, semplice, dedicato alle donne ed è, in un certo modo, bello, anche se la sua bellezza non è evidente e ci vuole forse più di una visita per coglierla. Si trova al centro del villaggio, per arrivarci si devono attraversare le viuzze occupate da molti bambini, capre, cani vaganti e cuccioli affamati, uomini in chiacchiere, donne affaccendate, gli eterni lavori in corso, polvere, buche e motociclette. Aperto il cancello di ferro si entra in un grande cortile spoglio circondato da basse costruzioni. Un piccolo albero è posto davanti al laboratorio di sartoria, ai bordi del cortile una minuscola siepe segna la divisione con il
marciapiede, sulla sinistra si trovano i locali dove si svolgono le lezioni per le ragazze della APS. Due telai in una stanza sono circondati da un gruppetto di ragazze che si alternano al lavoro seguite dall’insegnate, l’unico uomo; la stanza successiva è dedicata alle lezioni date dall’estetista, qui le ragazze imparano a disegnare i complessi ghirigori fatti con l’henné e a massaggiare le mani con l’olio, sembrano per la verità più entusiaste di queste attività che della tessitura. Le ragazze tornano
qui a giocare nei pomeriggi mentre le loro madri lavorano nel laboratorio, c’è un aria di serenità nelle voci che echeggiano leggere qua e là. Quest’anno siamo in sei nella nostra visita a Rajghat, gli acquisti nel laboratorio di Sarai Mohana sono una bella occasione di contatto, soprattutto tra la parte femminile del nostro gruppo e le donne del laboratorio che esprimono una inevitabile, credo, durezza nelle loro espressioni ma si aprono anche al sorriso.
L’anno scorso avevo acquistato qui delle borsette e dei portachiavi che ho venduto a Casa della Pace. Quest’anno ho reinvestito tutto il ricavato, cinquantaquattromila rupie, acquistando molte più cose. Questo piccolo commercio è fatto per conto del “Fiume della Vita”, mira a fornire un miglioramento economico per queste donne e a stimolarne la creatività e la professionalità. Tutto il ricavato ritorna al laboratorio. Le potenzialità di vendita a Casa della Pace non sono molto elevate ma forse nel tempo si apriranno altri canali. La vendita rappresenta spesso un momento di informazione sul nostro progetto e sulla necessità di un’educazione così come è offerta alla APS. Le donne del laboratorio hanno un guadagno decisamente basso, non superano di solito le duemila rupie al mese. Le entrate vengono divise tra i loro stipendi e le necessità economiche del laboratorio stesso. Questo acquisto ha raddoppiato il loro guadagno delle ultime settimane.
Vorrei concludere con una breve riflessione. Come è noto, l’India è una terra di contraddizioni. L’ultima impressione che ne abbiamo avuto viene da Derhadun, una città dell’Uttarkand da dove abbiamo volato verso Delhi dopo un breve soggiorno in questa regione Himalaiana. L’albergo dove abbiamo pernottato si trova sulla via centrale, davanti a negozi che vendono le marche occidentali più in voga, a grandi e lussuosi negozi di moda tradizionale, librerie, bar, ristoranti. Davanti all’albergo una fogna travasa il suo maleodorante liquido sulla strada,
bambini senza casa chiedono l’elemosina, l’effetto dell’insieme del traffico e della vita che si svolge sui marciapiedi squinternati è deprimente, l’albergo, consigliato da Lonely Planet, è squallido e sporco. La ricchezza non ha portato equilibrio e armonia. Qui questo è evidente, anche scioccante. L’ambiente pulito e accogliente dei vari negozi si ferma sulla soglia, l’indifferenza verso l’esterno è d’obbligo. Allargando lo sguardo sul pianeta lo scenario è diluito ma non diverso. Viviamo in un mondo molto complesso, con aspetti estremamente critici, contraddittori quando non addirittura crudeli e cinici. Questo è il nostro mondo ed essendo nostro ne siamo responsabili, non solo di una parte ma dell’intero, non solo dell’ambiente, o degli aspetti politici. A volte non ci si sente responsabili, o si sente che non possiamo fare nulla di significativo o che la nostra responsabilità è soddisfatta dalle buone intenzioni. Uno dei compiti dell’educazione dovrebbe essere forse proprio risvegliare una giusta responsabilità. Nelle parole di Krishnamurti: “…ci chiediamo che cosa insegna l’insegnante e che cosa riceve lo studente, e, più in generale, che cos’è imparare? Qual è la funzione dell’educatore? È solo di insegnare algebra e fisica oppure è di risvegliare nello studente – e quindi anche in se stesso – questo enorme senso di responsabilità? Possono le due cose andare insieme? Si devono insegnare le materie scolastiche che aiuteranno nella carriera professionale e, anche, questa responsabilità per l’intera umanità e per la vita.” (dal sito della scuola ). Forse è un compito immenso, al di sopra della capacità umana di compassione e comprensione. Non so se nella nostra scuolina, APS, questo sta diventando una realtà. Non so neppure chi di noi abbia tentato questa avventura educativa e con quali risultati. È evidente però, ai miei occhi, che questa è la strada da percorrere se vogliamo un futuro dignitoso per tutti.