IL TEMPO DEL RACCONTO La narrazione come … · La trama del racconto La pratica...

25
34 IL TEMPO DEL RACCONTO La narrazione come percorso di conoscenza sociologica di SEBASTIANO DISTEFANO 1. La trama del racconto La pratica autobiografico-dialogica possiede una forte valenza narrativa, in cui la memoria e la retrospezione, inerenti la propria autobiografia, so- no strumenti ottimali per cercare di sviscerare i problemi, per metterli in discussione, o comunque portarli alla coscienza. Il sapere autobiografico ha infatti una sua costruzione: non indica soltanto un modo di essere ma è modellato su conoscenze cumulabili, organizzate in un intreccio fattuale che coinvolge, crea e utilizza simulta- neamente sistemi di concettualizzazioni e di valori, tramite la possibilità di riscoprire, attraverso un’operazione di metacognizione, origini e radici esperienziali delle personali conoscenze e parti delle identità cognitive. La riflessione epistemologica di ogni sociologo, riguardo al proprio operato e metodo di studio, basata sul paradigma della complessità, valorizza e scopre il rapporto con il sapere costruito all’interno del progetto di labo- ratorio autobiografico, modellato su seduzioni e relazioni reali, apparte- nenti alla trama vitale e al contesto pratico, quale sapere costruito, pro- dotto dall’esperienza con le cose, con i fatti, e dalla relazione con noi stessi. La trama è fatta di traiettorie sociali, quei percorsi attraverso i quali i soggetti si trovano in determinate circostanze e cercano di gestirle nel migliore dei modi. È dalle traiettorie, dal sentiero a volte tortuoso, che si ricavano, unendo i punti, i gradini di un cammino individuale, dal quale si evince la varietà dei percorsi di vita 1 . È dunque azzardato volere intercettare in questo affascinante flusso di parole e di storie, delle informazioni che siano pienamente og- gettive, nel senso di puri prodotti dell’intelligenza critica, ma è più perti- nente pensare che il racconto di vita si costruisca in un ambiente in cui 1 Cfr. D. BERTAUX, Racconti di vita. La prospettiva etnosociologica, Franco Angeli, Milano 1999, p. 38.

Transcript of IL TEMPO DEL RACCONTO La narrazione come … · La trama del racconto La pratica...

34

IL TEMPO DEL RACCONTO La narrazione come percorso di conoscenza sociologica di SEBASTIANO DISTEFANO 1. La trama del racconto La pratica autobiografico-dialogica possiede una forte valenza narrativa, in cui la memoria e la retrospezione, inerenti la propria autobiografia, so-no strumenti ottimali per cercare di sviscerare i problemi, per metterli in discussione, o comunque portarli alla coscienza.

Il sapere autobiografico ha infatti una sua costruzione: non indica soltanto un modo di essere ma è modellato su conoscenze cumulabili, organizzate in un intreccio fattuale che coinvolge, crea e utilizza simulta-neamente sistemi di concettualizzazioni e di valori, tramite la possibilità di riscoprire, attraverso un’operazione di metacognizione, origini e radici esperienziali delle personali conoscenze e parti delle identità cognitive. La riflessione epistemologica di ogni sociologo, riguardo al proprio operato e metodo di studio, basata sul paradigma della complessità, valorizza e scopre il rapporto con il sapere costruito all’interno del progetto di labo-ratorio autobiografico, modellato su seduzioni e relazioni reali, apparte-nenti alla trama vitale e al contesto pratico, quale sapere costruito, pro-dotto dall’esperienza con le cose, con i fatti, e dalla relazione con noi stessi.

La trama è fatta di traiettorie sociali, quei percorsi attraverso i quali i soggetti si trovano in determinate circostanze e cercano di gestirle nel migliore dei modi. È dalle traiettorie, dal sentiero a volte tortuoso, che si ricavano, unendo i punti, i gradini di un cammino individuale, dal quale si evince la varietà dei percorsi di vita1.

È dunque azzardato volere intercettare in questo affascinante flusso di parole e di storie, delle informazioni che siano pienamente og-gettive, nel senso di puri prodotti dell’intelligenza critica, ma è più perti-nente pensare che il racconto di vita si costruisca in un ambiente in cui

1 Cfr. D. BERTAUX, Racconti di vita. La prospettiva etnosociologica, Franco Angeli, Milano 1999, p. 38.

35

l’illusione e la realtà si fondono, in una miscela che non è fuorviante o ingannevole ma che è altrettanto verosimile. Una storia, nel momento in cui assume la forma di racconto diviene, sia per chi la racconta che per chi ascolta o per il destinatario finale del resoconto, una verità conoscibi-le e accettabile di una soggettività che si costruisce progressivamente, che si contraddice, che si interroga nel suo svelarsi. Un significato, anche provvisorio, ha motivo di esistere in quanto incastonato in una serie di eventi che assumono rilevanza e acquistano una loro articolazione in una presentazione del sé2. Non importa se l’intervistato mente, bluffa, pre-senta una versione parziale dei fatti: ciò che conta è la scelta di elementi importanti ai suoi occhi, la ricerca di continuità, di coerenza, nonché il tentativo di convincere, persuadere e conquistare il pubblico.

Come scrive Richardson: «people organize their personal biogra-phies and understand them through the stories they create to explain and justify their life experiences»3. Le esperienze compiute dagli individui si configurano in una gerarchia e prendono ordine attraverso i racconti par-toriti per esplicare queste stesse esperienze, per giustificarle in qualche modo. Quando ci si chiede quale motivazione si nasconda dietro un cer-to comportamento, si forniscono delle spiegazioni di tipo narrativo e non logico-scientifico. È il percorso attraverso il quale i soggetti danno un senso alla loro esistenza e a quella degli altri, in cui singole esperienze sono connesse ad altre e valutate in relazione a un agglomerato esperien-ziale più ampio, poiché un evento non ha senso quando non si integra nella narrazione. Ciascun soggetto ricostruisce la propria biografia per dare senso alle singole tappe, ai piccoli-grandi obiettivi raggiunti, ai pic-coli-grandi insuccessi, attraverso la pratica del ri-narrare.

È così che i percorsi narrativi trascendono la singolarità di prati-che individuali per essere presentati in forme «culturalizzate» che forni-scono loro la possibilità di entrare nel circuito dei racconti fruibili. La narratività si distingue così nettamente dal flusso dell’attività quotidiana, superando gli aspetti apparentemente frammentari e discordanti4.

La svolta epistemologica prevede la visione del sapere come un tutto che integra sistemi e livelli di conoscenza differenti quali l’interesse 2 Cfr. J.-F. GUILLAUME, Ces histoires que l’on construit et que l’on se raconte…, in «Cahiers in-ternationaux de Sociologie», 100, 1996, pp. 60-61. 3 L. RICHARDSON, Narrative and Sociology, in Representation in Ethnography, a cura di J. VAN

MAANEN, Sage, London 1995, pp. 209-210. 4 Cfr. J.-F. GUILLAUME, Ces histoires…, cit., p. 60.

36

per il linguaggio e la sua connessione con gli oggetti, la valenza dei fe-nomeni discorsivi, la sociologia della cultura e le sue relazioni con la poli-tica e l’economia. Il termine «svolta culturale» non è di certo concepito come una totale rottura con il passato, ma come un focus su cultura e lin-guaggio con un conseguente cambiamento delle attitudini verso il lin-guaggio, considerato come elemento essenziale della costruzione di signi-ficato5. Secondo il punto di vista di Davidson, il linguaggio non può esse-re considerato come un calcolo algoritmico, poiché gli algoritmi, per loro natura, non possono permettere lo scambio comunicativo e la compren-sione reciproca, cancellando tutta la dimensione inventivo-comunicativa del linguaggio stesso6. Il modo in cui va scritta una ricerca, i problemi re-torici, non sono per niente banali e riflettono la convinzione postmoder-na che tutta la conoscenza sia costruita socialmente. Scrivere non è sem-plicemente una corretta rappresentazione di una «realtà oggettiva», poi-ché il linguaggio crea una particolare visione della realtà, attraverso de-terminate strutture grammaticali, narrative e retoriche, che conferiscono significato e costituiscono il soggetto e l’oggetto delle fasi d’indagine7. Per lo scienziato sociale, il suo linguaggio, quello che egli usa nella ricer-ca, non è neutro ma si colora di costruzioni ed espressioni personali, da-to che, come ribadisce Habermas, quella del linguaggio è una «conoscen-za pregressa». Lo scienziato però, a differenza della gente comune, pos-siede una spiccata capacità argomentativa che gli permette di porre da-vanti agli occhi di tutti le tendenze riflessive tipiche della modernità8.

L’autobiografia quale metodo e percorso di conoscenza e di pra-tica attiva, trans- o metadisciplinare, attraversa e unisce tutti i campi del sapere che hanno come punto focale il vivente e come trama organizza-trice la totalità delle azioni auto-organizzantesi. La biografia è un proces-so ontologico proprio del percorso evolutivo di un soggetto e della sua narrazione, e diviene un modello alternativo e concreto di conoscenza, di ricerca e formazione. Un modello con una dinamica epistemologica por-

5 S. HALL, La centralità della cultura: annotazioni sulle rivoluzioni culturali del nostro tempo, in «Studi di sociologia», 3, 2001, pp. 308-313. 6 Cfr. L. PERISSOTTO, Linguaggio e comunicazione. Alcune riflessioni tra Davidson e Gadamer, in Conversazioni, storie, discorsi. Interazioni comunicative tra pubblico e privato, a cura di G. CHIA-

RETTI, M. RAMPAZI, C. SEBASTIANI, Carocci, Roma 2001, p. 48. 7 Cfr. L. RICHARDSON, Narrative and Sociology, cit., pp. 198-199. 8 Cfr. L. BOVONE, Dalla morale alla comunicazione. La sociologia come racconto di racconti, in «Studi di sociologia», 15, 2002, p. 406.

37

tatrice di un’irriducibile complessità, specie relativa alla ricerca connessa alle storie di vita, dove il tentativo di raccontare si traduce nell’intenzione essenziale di stabilire una continuità, una permanenza, di dare un certo ordine alla molteplicità degli eventi temporali vissuti. Sembra dunque che una parte della complessità correlata alle storie di vita, coincida proprio con questa multitemporalità degli episodi9: una storia si profila e si forgia da uno sfondo, un fondale in cui si annidano tutte le storie vissute, e as-sieme a esse appare anche il soggetto, tra luci e ombre, imbrigliato nelle sue stesse storie. La complessità del processo risiede nella fluttuazione di una memoria che vaga tra diversi emisferi temporali dell’esperienza: tale molteplicità di tempi e luoghi sembra risolversi, almeno in parte, nel rie-mergere delle tracce sommerse, che riappaiono attraverso vari movimenti di ricerca identitaria, movimenti che definirebbero in qualche modo la capacità dell’eroe tragico di trasfigurare gli eventi in gesta epiche.

Il sociologo può sentirsi disorientato di fronte al puzzle che gli è presentato, dove spesso, almeno a primo impatto, mancano i pezzi es-senziali, che possono essere incarnati da figure cardine del proprio passa-to, che si riverberano nel presente o che appartengono semplicemente al presente; da pezzi di storia del proprio passato familiare vissuti in prima persona o raccontati da altri; dalle ambizioni professionali e dal coesi-stente desiderio di curare i propri affetti10. Goffman delinea bene la pro-blematicità e la criticità del termine «ruolo». La stessa parola infatti viene utilizzata sia per indicare l’attività sul palcoscenico che quella che si svol-ge fuori di esso, confondendo identità personale e funzione specializzata dell’attore. Una descrizione più sottile ci viene fornita con l’introduzione di ulteriori termini, quello di «persona», per indicare la biografia del sog-getto con il fine di differenziarla dalla «parte» o «personaggio», che non sono altro che una versione teatralizzata della persona. Nella vita di tutti i giorni, poi, l’attenzione sembra rivolta maggiormente al ruolo di un indi-viduo, e non alla biografia o alla persona11: le autoidentificazioni multiple possono essere additate come una delle cause della provvisorietà del ruo-lo, dove il passaggio da un ruolo all’altro può evidenziare un momento di

9 Cfr. J.-F. GUILLAUME, Ces histoires…, cit., p. 63. 10 Cfr. Ibid., p. 64. 11 Cfr. E. GOFFMAN, La struttura teatrale in Frame Analysis. L’organizzazione dell’esperienza, Armando, Roma 1974, pp. 166-167.

38

incertezza, una fase in cui l’individuo accetta solo parzialmente il ruolo e gli impegni morali che ne conseguono12.

Il metodo dell’intervista biografica è un’alternativa metodologica peculiare della ricerca sociale dove la riflessione retrospettiva assurge a forma di conoscenza di sapere. Il metodo autobiografico diventa presa di coscienza per attivare un empowerment che scaturisce dalla scoperta di ave-re una tradizione, una storia, un’identità. Un’importante istanza riscon-trabile nel metodo autobiografico consiste nella ricerca di senso e signifi-cato, come la ricerca del bene, dell’identità, della conoscenza, che diven-tano saggezza, intesa come arte del vivere. Il percorso autobiografico at-traversa significati plurimi, connotati di senso, simbolismi e trame che ogni storia di vita presenta a suo modo, con annesse emozioni, sensi, ri-mandi diversi. Bisogna prestare attenzione all’uso didascalico e pleonasti-co delle accezioni, ai nessi profondi della stasi, dei silenzi, del non detto, di tutte le note marginali dell’esistenza.

1.1. Decostruzione e ricostruzione Il pensiero narrativo interpreta la storia di vita come testo da decodifica-re, come essere altro rispetto alla vita in sé e per sé, come significato a-perto a potenziali decostruzioni e ricostruzioni. In ambito etnografico, l’analisi testuale e altri nuovi saperi stanno gradualmente alterando il mo-do in cui ci si prefigura le rappresentazioni culturali sia presenti che pas-sate. Si possono utilizzare nuove categorie, o alcune delle precedenti che hanno subito delle variazioni, per descrivere le pratiche etnografiche, in un processo di ricostruzione del sapere. Alcune tecniche di miglioramen-to dei lavori etnografici sono attinte direttamente dall’analisi testuale.

Decostruire semplicemente i vari testi, scavare in profondità per ricercare le motivazioni che hanno portano al fallimento e al mancato raggiungimento degli obiettivi prefissati, non porterebbe a un modo mi-gliore di fare etnografia. Gli sforzi effettuati nel decostruire sono già stati oggetto dell’etnografia del passato e adesso l’etnografia parte solo occa-sionalmente da un’analisi o da una decostruzione di una rappresentazio-ne precedente di una cultura data. Sembra quindi un inno alla ricostru-

12 Cfr. L. BOVONE, Dalla morale alla comunicazione, cit., pp. 387-378.

39

zione dell’etnografia basata su una cesura forte con il passato, quasi una rottura13.

Ma come le trame sono fatte di un susseguirsi complementare di decostruzioni e ricostruzioni, così l’etnografia non potrebbe ridursi a me-ra ricostruzione che non dà voce al passato, anche se si tratta di un passato non del tutto brillante, con risultati che adesso sembrano superati o obsoleti. L’orientamento di tipo testuale, sul quale ci si sta concentrando di recente, è relativamente nuovo e lascia scaturire l’affascinante prospettiva che la cultura possa essere studiata come testo, o meglio, vorremmo suggerire, come testo organizzato che si configura in trama. Sembra che si dia così giustizia, almeno in questo ambito, agli et-nografi della prima generazione che si sentono traditi dai loro successori. L’antropologia culturale fornisce un elevato numero di splendidi esempi di riscrittura dell’etnografia del passato, in una ricostruzione dove la so-cietà viene dipinta come qualcosa di isolato e senza tempo che va oltre la portata della contemporaneità. Il testo confuso dalla deterritorializzazio-ne – in base alla quale i nuovi etnografi vedono le vite attorno al globo allo stesso tempo contrastanti e interconnesse – non lamenta la perdita di un oggetto antropologico, ma, di fatto, inventa un oggetto ancora più complesso, lo studio del quale può essere tanto rivelativo e realistico quanto il precedente14.

Le trame, con le loro infinite e costitutive ricorrenze e rimandi, non sono solo rappresentazione dell’esistenza, ma permettono un discor-so narrativo che costituisce e inventa la vita con l’ausilio del modello au-tobiografico, una pratica conoscitiva che si esplica in un pensiero narrati-vo e discorsivo caratterizzato da intenzionalità, sensibilità al contesto, ra-gionamento analogico-metaforico, in un globale processo di costruzione di senso, quale concezione ultima del raccontare.

1.2. Modalità d’ascolto L’accorgimento comunicativo nell’esercizio dell’ascolto e la rivisitazione delle vicende esistenziali, con la disponibilità a condividere parti di rifles-sioni importanti, pongono le premesse per una modalità di ascolto parte-cipativa e attenta nel corso della quale sono comprensibili motivi di im-

13 Cfr. J. VAN MAANEN, An End to Innocence: The Ethnography of Ethnography, in Representa-tion in Ethnography, a cura di ID., Sage, London 1995, pp. 13-15. 14 Cfr. ibid., pp. 13-23.

40

barazzo e diffidenza. La benevola disposizione dell’intervistatore verso le scoperte e le curiosità, stimola l’ascolto e il racconto, all’interno del setting autobiografico, in un sé mutevole e autocosciente. Le caratteristiche di un ascolto attento e attivo, nel desiderio di comprensione degli atteggia-menti relativi al codice della comunicazione non verbale, ingenerano una fiducia nella parola, nel pensiero pronunciato. L’accento posto sull’ascolto, o meglio, sull’ascolto attivo, pone l’enfasi sul destinatario, di modo che l’intervistato tenga sempre ben in mente chi è il suo interlocu-tore, colui che accoglierà la sua storia. L’individuazione di un preciso de-stinatario è anch’essa una pratica riflessiva: è attraverso la scoperta di co-lui al quale è rivolto il racconto, che si ritrova se stessi15. L’universo di credenze, di valori, di miti personali, rivela la rappresentazione e la valu-tazione di eventi, incontri e scelte che costellano la storia di vita persona-le accettata e riconosciuta in sentimenti e reazioni di fastidio o disaccor-do, che la soggettività esplicita in modo diretto attraverso i gesti, le posi-zioni discordanti dell’ascolto autentico. L’intervistatore non si confonde erroneamente con la persona che si pone in atteggiamenti di riflessione, con un’attenzione autoreferenziale a pensieri, sentimenti ed emozioni che aprono alla decentrazione e all’accettazione di ogni narrazione di cui non interessa la verità oggettiva, ma, ancora una volta, la significatività della narrazione.

2. La traccia dell’autobiografia «Raconter sa vie, c’est donc ajouter un sens à une série d’événements qui ont laissé une trace mnésique, trace plus ou moins signifiante en regard de l’intention qui préside à la construction du récit. Cette capacité discur-sive, loin d’être purement intrinsèque, est comme médiatisée par un en-semble de schèmes ou de modèles narratifs, culturellement ancrés et socialement véhiculés»16. L’atto del raccontare la propria vita consiste nel conferire un senso a una serie di avvenimenti che hanno lasciato una traccia all’interno della propria biografia individuale. Traccia che può es-sere più o meno significativa, più o meno sbiadita, ma che è comunque un segnale, lo strascico di una circostanza che non è stata del tutto in-

15 Cfr. G. CHIARETTI, Udire, ascoltare, in Conversazioni, storie, discorsi, cit., p. 19. 16 J.-F. GUILLAME, Ces histoires…, cit., p. 63.

41

ghiottita dal vorticoso fluire del tempo. Un frammento, un coccio del va-so è rimasto in nostro possesso, ma può essere anche più di un tassello del mosaico; il fiume dei ricordi può portare alla luce un pezzo della struttura, una parte consistente della trama. Questa capacità discorsiva è integrata da un insieme di modelli narrativi culturalmente ancorati e so-cialmente trasmessi. Ed ecco che sembrano qui riecheggiare le parole di Hall, citate in precedenza, riguardo all’importanza rivestita dalla cultura e dalla svolta culturale.

L’approccio biografico, in ambito sociologico, rimanda come scenario all’America degli anni ’20 e ’30 con la Scuola di Chicago, la cui prassi veniva espletata tramite la raccolta di autobiografie relative al disa-gio urbano, con lo scopo di mettere in comunicazione culture e subcul-ture diverse, incrementando un modello di ricerca che prevedesse inter-viste, testimonianze, schede autobiografiche. L’utilizzo delle storie di vita si trasforma in strumento d’indagine e di conoscenza autonomo, in una metodologia qualitativa con una certa autonomia epistemologica: la nar-razione autoriflessiva racconta vicende che si svolgono nella prassi uma-na, fatta di rapporti sociali trasformati in struttura psicologica e narrativa. Il metodo biografico fa scaturire un’ingente potenzialità relazionale che rivoluziona l’impostazione tradizionale dell’analisi epistemologica, come l’interazione tra soggetto e ricercatore che si collocano attivamente nel contesto della ricerca e sono implicati nel processo riflessivo. L’approc-cio autobiografico diviene strumento di ricerca qualitativa perché si basa sulla soggettività, intesa nella sua unicità e specificità. Con la consapevo-lezza della complessità di queste relazioni, subentra la qualità come cate-goria significativa nella ricerca del metodo autobiografico, che diviene esperienza euristica e insieme ermeneutica, in un approccio che si confi-gura come strumento di ricerca.

La svolta comunicativa non vuole lasciarsi alle spalle il problema della morale, come se sia possibile parlare di relazioni sociali mettendo da parte il senso del dovere, delle norme e dei valori. Con Goffman, in par-ticolare, si può parlare di una vera e propria «teoria della conoscenza» in cui regna un metodo d’indagine di tipo naturalistico: il ruolo dell’osservatore è qui di primaria importanza poiché deve ascoltare, prendere appunti e osservare, cercando di non monopolizzare il discor-so, ma, al contrario, facendo in modo che l’altro si apra e si abbandoni all’espressione del suo self, e che si possano ricavare frames utili per la co-struzione della conoscenza.

42

Il sociologo si vede in mezzo agli altri e diventa, anch’egli, ogget-to di osservazione, e, come gli altri che lo circondano, si muove in un ambiente con un forte grado di incertezza, dove morale e comunicazione tendono a coincidere e dove la sociologia si fa carico di essere «racconto di racconti»17. Affinché colui che si vuole intervistare si esprima con na-turalezza, in un’atmosfera rilassata, il contesto dell’intervista narrativa deve introdurlo a, e farlo familiarizzare con il ruolo di narratore che egli ricoprirà in prima persona. Il ricercatore deve manifestare interesse, non interrompendo il corso della narrazione se non in circostanze che siano davvero critiche, rianimando il colloquio con rilanci neutri, nel caso in cui il soggetto interrompa il racconto18.

L’autoriflessione biografica è una modalità di apprendimento dall’autobiografia che permette di riscoprire se stessi tramite l’analisi di aspetti dell’esperienza troppo spesso relegati nell’oblio. La pratica del metodo narrativo costituisce un mezzo di autoriflessione quale ricostru-zione e riedificazione della personale identità nella ricerca dei diversi sé del passato, grazie a un consapevole ritorno alla dimensione interiore e autoriflessiva, tramite la narrazione di sé, con la possibilità di attribuire significato anche al presente, di esplicitare connessioni e rimandi del te-sto di una vita, per riformulare un progetto di sé. Il passato del vissuto personale trascorso non è sempre lineare e continuo, ma frammentario e discontinuo, per cui subentra la necessità di cogliere i nessi di interdipen-denza o connessione, armonizzando la molteplicità dei diversi tempi del-la vita. Il sé e la vita, entrambi narrati dalla soggettività del narratore, si declinano verso la ricerca di senso e significato nelle esperienze persona-li, esplicate durante il rapporto tra uditore-ricercatore e soggetto-narratore, entrambi impegnati a ricercare un senso e a conferire significa-to all’identità proiettata nelle tracce autobiografiche, che permettono di ristrutturare immagini mutevoli di sé, destinate a formare le polimorfe facce dell’identità personale. Il tentativo di ridefinizione e riconoscimen-to del sé come istanza dinamica nelle sue poliedriche sfaccettature, si ge-nera nel racconto autobiografico, dando origine a un’identità molteplice, errante, nomade, priva di stabilità e in grado di presentare svariate di-mensioni.

17 L. BOVONE, Dalla morale alla comunicazione, cit., pp. 403, 408. 18 Cfr. D. BERTAUX, Racconti di vita, cit., p. 77.

43

Nell’era del post-moderno, l’individuo, comparabile al turista, al vagabondo, al flâneur, sarà costretto a cambiare frequentemente, in un mondo in cui tutto muta velocemente e in cui tutti sono impegnati a provare nuove esperienze che non portano a nulla di definitivo ma che dirigono verso una frammentaria individualizzazione in cui le vocazioni personali si dissolvono nella provvisorietà dell’esistenza. Viaggiare non significa solo spostarsi nel tempo e nello spazio, ma rimanda a un cam-mino di prove, incontri imprevisti e lingue da decifrare. Una vita vissuta viaggiando è posta in un territorio dai confini incerti, un percorso senza il sostegno della comunità di appartenenza. L’esperienza si colora di mol-ti contatti d’occasione e di rari scambi completi, di individui come flâneur, come apparizioni-scomparse instabili19. La molteplicità dell’identità non è da attribuire a un’istanza frammentaria di tipo patologico, ma a un «Io diviso» nelle molteplici parti del suo sé, ovviando al rischio di disgrega-zione. Il processo autobiografico che si avvale dell’esplicazione narrativa, può ingenerare processi cognitivi autoriflessivi che rendono espliciti i percorsi individuali di significazione cognitivo-emotiva della propria e-sperienza.

Questa modalità di pensiero attiva una riflessione retrospettiva a cui si combina un’attività cognitiva immaginaria e finzionale tramite cui il soggetto sviluppa una dimensione progettuale nel futuro, divenendo ca-pace di costruire e inventare uno spazio di vita proiettato in una dimen-sione futuribile. La sociologia riflessiva, come la definisce Chiaretti, è un ap-proccio di tipo qualitativo che richiede un’osservazione ravvicinata con l’intento di superare la dicotomia qualitativo-quantitativo e di investire il ricercatore della carica di ascoltatore, quale persona sensibile al percorso d’ascolto, inteso come corporeità del sentire, come capacità di saper co-gliere le qualità differenziali della voce. Si noti poi come il solo tono e timbro di voce possa influenzare il modo in cui l’intervista e il suo rac-conto vengono percepiti, e la differenza che c’è fra incontrare fisicamen-te una persona e una conversazione telefonica in cui si sente solo la voce, con un’enfasi sull’udito, un senso che differisce da tutti gli altri per la sua peculiare prestazione: ciascun senso, del resto, è specializzato in un parti-colare ambito sensoriale-percettivo. Simmel sottolineava che ogni senso si culturalizza, cioè entra in contatto con le condizioni socio-culturali dell’ambiente in cui opera, giungendo alla consapevolezza che i sensi o-

19 Cfr. L. BOVONE, Dalla morale alla comunicazione, cit., p. 394.

44

perano in maniera differente in base al singolo e alle relazioni fra i singoli soggetti20.

Il nesso indissolubile tra memoria e identità, tra autoriflessione e autobiografia mette in evidenza la memoria come realtà dinamica costrut-tiva, narrativa, tra oblio e ricordo, censure e rivelazioni, strutturata come un mosaico. Nell’attenzione rivolta alla voce, al sentire, si intende l’ascolto della voce della memoria, carica di storicità. Per questo motivo la ricerca sociologica attribuisce alla memoria il ruolo di categoria centra-le della sua metodologia21. La realtà discorsiva del colloquio riflette un intricato intreccio di memoria, riflessività e giudizio morale che richiede l’intervento del sociologo per districarne le fila, attraverso un’opera di ri-costruzione che non va confusa con la mera interpretazione22.

2.1. L’approccio qualitativo Il metodo autobiografico prevede delle tipologie di tecniche ricognitive: l’intervista aperta semistrutturata, non direttiva e in profondità, quali strumenti di ricognizione di vissuti motivazionali, cognitivi ed emotivi nella singolarità e unicità di ogni individuo, nel lavoro di introspezione interiore e di autoriflessione, ricco di suggestioni. Le scansioni temporali ed emotive del raccontarsi nel rapporto soggetto-ricercatore, rivelano una relazione comunicativa asimmetrica tra chi ascolta e accoglie il rac-conto autobiografico, e il narratore: tale asimmetria si può mitigare fa-cendo propri atteggiamenti interpersonali, atti e comportamenti comuni-cativi specifici. Nel percorso di ricomposizione e di esplorazione inter-pretativa, le soste del proprio racconto evidenziano aspetti espliciti, di superficie, socializzabili, oppure liminali, impliciti, onirici, che organizza-no il tempo della narrazione secondo un filo cronologico di associazioni di idee e situazioni. «Non è un voler mettere in opposizione tra loro sog-gettività e oggettività, micro-storie e macro-storia, vita quotidiana e strut-tura economico-sociale, individuo e sociale, mondo interiore e ambiente materiale «esterno» […] Andando in profondità. Per capirsi. Per capire la propria condizione e i suoi nessi con l’intero sociale. Per tirare fuori il meglio di sé»23. All’interno dell’interazione narrativa non è intenzione del

20 Cfr. G. CHIARETTI, Udire, ascoltare, cit., pp. 37-41, 43-44. 21 Cfr. ibid., p. 40. 22 Cfr. D. BERTAUX, Racconti di vita, cit., p. 84. 23 P. BASSO, Per tornare a raccogliere storie di vita, in Conversazioni, storie, discorsi, cit., p. 170.

45

biografo incasellare la storia di vita in una griglia già predisposta, ma ri-proporre suggestioni, stimoli generici, interazioni feconde, focalizzando la rivisitazione e ricostruzione narrativa. Un problema aperto delle storie di vita è la generalizzabilità, difficile da mettere in atto a causa dall’interesse, a volte troppo spiccato, per il caso singolo. Come estrapo-lare quindi contenuti socialmente rilevanti? Bertaux pone l’enfasi sui con-testi sociali di cui i soggetti hanno conoscenza diretta, sulla consapevo-lezza che il racconto di vita in profondità porta dentro di sé racconti di pratiche, che bisogna portare a galla e assemblare. Una volta aggregati, i racconti di pratiche, assieme ai racconti di vita, aiutano a comprendere le dinamiche interne di un certo oggetto sociale che si vuole analizzare24.

Rampazi afferma che le procedure sono numerose ma ritiene che, a volte, sia necessario costruirsi delle griglie di lettura, per procedere nella scomposizione delle storie in elementi concreti con l’ausilio di tavo-le prefissate di risposte possibili, domande a risposta pre-codificata. L’evidente rischio che si corre, utilizzando strumenti di questo tipo, è quello di dare adito soltanto ad alcuni contenuti, mettendo da parte il racconto di sé. Essendo poi le griglie di analisi create nella fase di esplo-razione iniziale, c’è il pericolo che questi costrutti, che dovrebbero avere il semplice scopo di omogeneizzare i dati di cui si è in possesso, possano essere utilizzati per sostenere, confermare e avvalorare le ipotesi iniziali, piuttosto che condurre una ricerca articolata su più livelli di analisi e ve-ramente critica25.

Inoltre, secondo Bertaux, quel che conta è portare alla luce la struttura diacronica del racconto attraverso trascrizioni successive, fino a raggiungere chiarezza espressiva e linearità, pur giustificando salti in a-vanti e repentine inversioni di marcia. Moltiplicando gli studi del caso che si vuole osservare, si giunge alla generalizzazione, alla saturazione del modello attraverso la ricerca delle ricorrenze, e di conseguenza, alla veri-fica o alla riformulazione delle ipotesi. Moltiplicando i racconti di perso-ne che si trovano in situazioni comparabili tra loro, diventa possibile, da una parte, cogliere quanto di soggettivo viene espresso; dall’altra, dise-gnare una rappresentazione sociologica di più vasta portata26.

24 Cfr. D. BERTAUX, Racconti di vita, cit., p. 63. 25 Cfr. M. RAMPAZI, I problemi di interpretazione nelle interviste narrative, in Conversazioni, storie, discorsi, cit., pp. 147-148. 26 Cfr. D. BERTAUX, Racconti di vita, cit., pp. 88, 49, 52.

46

3. Il senso dell’autobiografia Storie di vita, resoconti orali, interviste in profondità, case studies, docu-menti storici e osservazioni partecipanti sono i principali metodi usati dalla ricerca qualitativa. Numerosa è la letteratura che ammonisce su co-me approcciare una persona da intervistare, come porre le domande, a-scoltare, prendere appunti e registrazioni, ma i veri problemi metodolo-gici risiedono nelle modalità di conduzione del programma della nostra ricerca, nella maniera in cui si modellano questi resoconti in un pezzo di prosa, trasformando le interviste biografiche e gli appunti presi sul cam-po, in un’entità sociologicamente apprezzabile. In questi passaggi salienti il processo di ricerca richiede che vengano prese decisioni complesse27. Dialogare, discutere, parlare e ricavare biografie da queste modalità co-municative, costituiscono un’antica forma culturale consueta, di incorag-giamento e autoriconoscimento, svelando la natura delle parole, quando dai racconti, dalle storie, dagli eventi che il pensiero lascia trasparire, si impara sempre di sé, degli altri, del mondo. Il pensiero è l’ambito pro-fondo dei giochi discorsivi e conversazionali, poiché rivolge le attività della mente a orizzonti, possibilità, sfide, salti cognitivi, che si riverbera-no in cambi di mentalità, nell’emergere di immagini diverse della realtà. Narrare e far narrare costituiscono, innanzitutto, una tecnica ambiziosa, in un contesto quotidiano in cui troppo spesso si disperdono il senso e l’esperienza delle modalità narrative che rappresentano la storia di uomi-ni e donne, e più in generale la storia della trasmissione di sapere. Nell’attuale crisi della narrazione e dell’oralità, si vive di suggestioni e immagini volte a impressionare. La narrazione è il modo primario attra-verso il quale gli individui organizzano le loro esperienze in episodi signi-ficativi temporalmente poiché i soggetti collegano gli eventi in modo nar-rativo. Roland Barthes commenta che esiste una miriade di narrazioni nel mondo e, inoltre, che la storia della narrazione si perde nella notte dei tempi: essa è presente in ogni luogo, in ogni società. È emblematico, del resto, che non sia mai esistito un popolo senza narrazioni.

Il significato di ciascun evento è prodotto dalla sua collocazione in un dato tempo e dal suo ruolo in un tutto, in un agglomerato di senso intelligibile. Il significato scaturisce dalla connessione fra gli eventi, dalla narrazione, che è un modo di articolazione del pensiero, dei ragionamen-

27 Cfr. L. RICHARDSON, Narrative and Sociology, cit., p. 198.

47

ti e delle rappresentazioni. Il codice narrativo è intervallato da cornici meta-narrative dove le strutture narrative stesse sono pre-attive, ovvero sono state create precedentemente28.

Ma qui ci troviamo a livelli elevati di astrazione. Ritornando all’economia di questo lavoro, la narrazione è la me-

moria che prende vita, che affiora attraverso la trama, attraverso il rac-conto delle intenzioni, degli scopi, delle azioni dei protagonisti. Nel signi-ficato delle sequenze, oltre agli stimoli, alle impressioni, ai segni chiusi in se stessi, si manifestano emozioni, si sviluppano interrogativi, pathos, e-nigmi, mistero.

Il senso dell’autobiografia risiede dunque nella narrazione. Seb-bene la narrazione sia stata retoricamente marginalizzata, e nonostante la sua presenza sia stata giustificata all’interno della sociologia soltanto in alcuni frangenti particolari, come ad esempio le fasi esplorative della ri-cerca, e malgrado sia stata usata come riempitivo per le scienze statisti-che, si può affermare a testa alta che la narrazione è la quintessenza della comunicazione in sociologia. Gli scritti scientifici di natura sociologica dipendono dalla struttura narrativa e dagli espedienti della narrazione, sebbene questa struttura e questi espedienti siano spesso celati dietro un frame scientifico, che è esso stesso una metanarrazione29.

La norma analogica della narrazione presenta un valore metafori-co, simbolico, mitico. Ricoeur mette in evidenza lo stretto parallelismo che lega la metafora e il racconto: entrambi agiscono in nome di una continua innovazione semantica. Nella metafora l’innovazione risiede nella produzione di una nuova pertinenza semantica attraverso una attri-buzione che, a primo impatto, sembra incongrua, fuori luogo. L’elemento innovativo del racconto consiste, invece, nell’invenzione di una trama che opera un’efficace sintesi, riunendo la causalità delle azioni in un’unica unità temporale. Quando una nuova metafora viene immagi-nata, due termini prima lontani, vengono messi a confronto da una nuo-va pertinenza semantica, superando la resistenza delle classificazioni cor-renti del linguaggio. L’atto del narrare procede in modo simile. La narra-zione, il senso dell’autobiografia, ci fa capire meglio come si svolge la complessa operazione che unisce, integra e completa la diversa «consi-stenza» delle circostanze, i fini, i mezzi, le iniziative, le interazioni, il va-

28 Ibid. 29 Ibid., p. 199.

48

riare della sorte e tutte quelle conseguenze, spesso poco desiderate, che non sono necessariamente frutto dell’azione umana30.

Il metodo autobiografico ha la capacità di promuovere desideri di conoscenza e trame di storie che sanno senza dubbio stupire. Il senso biografico si evolve nei criteri narrativi, nei meandri dell’attività retro-spettiva della nostra mente. La memoria, il ricordo, l’evocazione, costi-tuiscono un itinerario di indagine sulle cronologie, le stagioni della vita, i ricordi più significativi che si sviluppano nella didattica autobiografica con chiari scopi di carattere cognitivo, dove il ricordare è produzione di un racconto in una sorta di retrospezione che risulta composita, cucita assieme dall’ago di identità molteplici. La riattivazione di abilità cognitive necessarie per il flusso dei ricordi diviene rievocazione poetica, ricerca di significato, sviluppo di un’intelligenza interiore e analitica che stimola un nuovo amore di sé.

4. La sospensione temporale dell’autobiografia La storia di vita nella dialettica tra narrazione ed evento, tra elemento semantico e temporale, presenta l’alternanza di diversi ritmi e differenti movimenti, di ricordi e rievocazioni, in rapporti di consequenzialità con tonalità affettiva nell’apicalità dello stesso ricordo. Il rapporto dialettico tra elemento sincronico e diacronico garantisce la continuità tra gli eventi e gli accadimenti della storia, l’elemento sincronico irrompe in un ritmo nuovo e diverso. La percezione del tempo, connessa alla tonalità emotiva e ai significati di eventi, incontri e relazioni, tramite il lavoro selettivo del-la memoria, del ricordo di un evento, di un incontro, di uno scenario, di un segnale rilevatore, determina un segno indelebile nella narrazione. Il gioco dialettico tra diacronico e sincronico, tra discordanza e concordan-za, permette di esplorare la storia in movimento costante, non lineare. Un movimento fatto di apparizioni, irruzioni, ingressi, immersi in un tempo altro: il tempo dello spiazzamento, dell’istantaneità. In questo tempo della sospensione si possono ricercare tracce e trame di continuità o motivi di cambiamento che presentano difformità rispetto al tempo sociale, ritmato e regolato dalle norme, in cui ci si presenta tramite bio-grafie familiari, affettive e professionali. Qualche volta il tempo è esperi-

30 Cfr. J.-F. GUILLAUME, Ces histoires…, cit., p. 64.

49

to come una concordanza di più elementi; altre volte, il tempo è percepi-to come una discordanza, come quando si rimpiange il passato, si ha paura del futuro, ci si scaglia contro il presente per modificarlo31.

Al di là dell’esasperata ricerca di coerenza, fra concordanze e di-scordanze, si può tentare di trarre delle logiche più generali, partendo dall’idea che i racconti di vita sono prestrutturati da temporalità esterne, organizzate secondo catene di causa-effetto. Secondo De Coninck e Go-dard il mondo dell’azione sarebbe inquadrato in forme sociali dotate di temporalità proprie, in un gioco di temporalità storiche che si intrecciano negli schemi narrativi dei racconti. Difformità come perdita e smarrimen-to, riconosciuta ed esplorata nelle varie tonalità emotive, rientra nella temporalità narrativa che è ambito di ricomposizione dei molteplici tem-pi e ritmi di crescita, di scoperta e intuizione, in rievocazioni subitanee, nella percezione di immersione o avvolgimento in un tempo altro, in cui i significati, le emozioni in forma episodica e improvvisa non hanno col-locazione e definizione in una connessione causale. Queste connessioni causali vengono recuperate da certe matrici simboliche che fanno in mo-do che il narratore scompaia in quanto soggetto, per divenire un’entità astratta in cui converge l’ordinamento di temporalità esterne. Sono i sim-boli, i processi di significazione, a imprimere il marchio di «sociale» al cuore di ciò che appare, a prima vista, come il prodotto della più sperdu-ta intimità32.

La storia reale non coincide con il racconto: la storia di una per-sona possiede una realtà che precede il racconto stesso; così come la dia-cronia, la successione temporale degli avvenimenti, non coincide con la cronologia, la loro datazione in termini di anni. L’obiettivo è di ricostrui-re la dimensione diacronica degli eventi e collocarla nel tempo storico collettivo, che incarna il cambiamento sociale, lo stile di vita di genera-zioni differenti, e si distingue dalla soggettività del tempo biografico33.

Il racconto di sé rivela una molteplicità di ritmi e tempi nella con-cordanza di durate temporali e di senso, quali possibilità di tessere trame, collegando episodi e scenari improvvisi in rapporti di vicinanza e prossi-mità. Temporalità e racconto sono dunque strettamente correlati, dato che ogni esperienza umana ha un carattere spiccatamente temporale. Ma

31 Cfr. L. RICHARDSON, Narrative and Sociology, cit., p. 208. 32 Cfr. J.-F. GUILLAUME, Ces histoires…, cit., pp. 62-63. 33 Cfr. D. BERTAUX, Racconti di vita, cit., pp. 52, 90-93.

50

il tempo diventa più vicino agli uomini nella misura in cui è articolato in modo narrativo, e il racconto, di conseguenza, è significativo quando di-segna i tratti dell’esperienza temporale. Ecco allora individuata un’ulteriore osmosi fra tempo e racconto.

Ricoeur riprende l’interrogativo di S. Agostino di cosa sia in real-tà il tempo. La risposta più immediata è che il tempo è il connubio di memoria e attesa, considerate come la sede delle immagini del passato e del futuro, inglobate in un presente allargato, non riconducibile né al pas-sato, né al futuro e nemmeno al presente comunemente inteso, ma da in-tendersi come un «triplo presente». S. Agostino include quindi l’analisi del tempo in una meditazione sull’eternità, sottoponendo alla riflessione le aporie, le contraddizioni senza via d’uscita dell’essere e del non-essere del tempo34. La tesi di Ricoeur è che la coesistenza della natura temporale del genere umano e l’attività del narrare una storia non sono involontarie, ma rappresentano una necessità che va oltre gli aspetti culturali del con-testo sociale all’interno del quale si è inseriti: la gente non esperisce il tempo come una successione di istanti scanditi dagli orologi o dai calen-dari ma come una estensione del passato e del futuro, all’interno del pre-sente. «The future always becomes past. The future is always death»35.

Occorre dunque riflettere su come, oggi, tutto l’universo della comunicazione mediatica tenda ad abbattere la soglia superiore del tem-po e a sviluppare comportamenti capaci di una crescente velocità di ri-sposta agli stimoli esterni, così come avviene attraverso videoclip e vide-ogames, solo per citare alcune situazioni concrete. Lo zapping permette inoltre di saltare da un canale all’altro, allineando nello stesso istante sullo schermo immagini di epoche e tempi diversi. Di qui il senso ormai diffu-so di vivere in un periodo di totale contemporaneizzazione di ogni even-to. Il Nunc la fa da padrone, tutto avviene adesso, in questo momento. I media, per loro natura, non riescono a rappresentare il passato se non at-traverso non pochi artifici retorico-visivi. Le azioni, svolgendosi intera-mente nel presente, in un’unica estensione temporale, suggeriscono l’unidimensionalità del tempo. Il fatto poi che il tempo si definisca uni-dimensionale, usando quindi una categoria descrittiva tipica dello spazio (l’unidimensionalità, l’esistenza appunto di una sola dimensione), spiega

34 Cfr. J.-F. GUILLAUME, Ces histoires…, cit., pp. 65-66. 35 Cfr. L. RICHARDSON, Narrative and Sociology, cit., p. 208.

51

bene la stretta correlazione che intercorre fra i luoghi fisici e il battere dell’orologio, fra spazio e tempo.

Gli orologi, come dice McLuhan, sono media meccanici che, ac-celerando il ritmo delle associazioni umane, trasformano i compiti dell’individuo, coordinano e velocizzano gli incontri, aumentano in defi-nitiva la qualità dei loro scambi.

La narrazione fornisce potere d’accesso a questa eccezionale e-sperienza umana del tempo in cinque modi sociologicamente significati-vi: la quotidianità, l’autobiografia, la biografia, la cultura, e quella che si può definire collective story. Sebbene queste categorie vengano separate a-naliticamente per questioni di praticità, in realtà possono sovrapporsi e intersecarsi, così come spazio e tempo si sovrappongono in un continuo gioco di rimandi e citazioni. «In everyday life, narrative articulates how actors go about their rounds and accomplish their tasks. The narrative of “what we did today” assumes an experience of time. We “had time to”, “we took time for”, “we lost time”. We organize our days with temporal markers, such us “first”, “then”, and “after”»36. Dal testo si evince che la narrazione articola, nel quotidiano, l’azione degli attori, in un ambito specifico, di modo che assolvano i loro compiti. Traspare da qui un certo senso del dovere: siamo in una situazione in cui le regole e le norme va-loriali non hanno perso del tutto la loro importanza. La narrazione divie-ne un’esperienza collocata in un certo tempo, dato che organizziamo le nostre giornate sulla base di determinazioni temporali che fanno da tra-mite fra la nostra esperienza del tempo, vissuta quotidianamente e il pubblico, ovvero coloro che ci osservano mentre noi svolgiamo con na-turalezza le nostre azioni quotidiane nel nostro mondo. Alcuni etnologi hanno esaminato come le esperienze quotidiane del tempo, narrate dagli individui, sono connesse a più ampie strutture sociali, che collegano la sfera personale a quella pubblica. La narrazione autobiografica indica come il passato sia messo in relazione al presente: gli eventi hanno un i-nizio, un centro, una fine e il passato può essere rintracciato e rilevato nel presente, come passato che si riverbera nel presente e nel futuro37.

Nel caso del life-script, della raffigurazione del passato nei graffiti metropolitani, ci si trova in una sospensione temporale, fra presente e passato, in una temporalità imperfetta, priva di progettualità. Ecco allora

36 Ibid., p. 209. 37 Ibid.

52

che lo script si erge a emblema e landmark della sospensione temporale au-tobiografica38.

La conclusione di una storia, l’end che chiude il cerchio, pone un punto dal quale la storia può essere vista come un flashback. Compren-dere una storia è sviscerare come gli eventi sono stati organizzati per portare il lettore/uditore alla conclusione. Se questa chiusura non è pre-vedibile a priori, deve essere quanto meno accettabile. L’intera trama può essere riportata a un pensiero che ne è il culmine, il punto finale: da qui si rende manifesta la funzione strutturale della chiusura39. La storia raccon-tata altro non è che un progredire verso una fine già conosciuta: è questo l’elemento tragico dell’esistenza umana. Come afferma Guillaume in rife-rimento a Ricoeur: «C’est alors une nouvelle appréhension de la tempo-ralité qui émerge: le temps peut être autre chose que ce flux qui s’écoule du passé vers le futur. En reracontant l’histoire, la flèche du temps s’inverse: en lisant la fin dans le commencement et le commencement dans la fin, le temps lui-même est lu à rebours, “comme la récapitulation des conditions initiales d’un cours d’action dans ses conséquences termi-nales”»40.

Leggendo la fine nell’inizio e l’inizio nella fine, il cerchio si chiude e il tempo stesso è letto al rovescio, come se le conseguenze finali si con-giungessero alle condizioni iniziali: il tempo non può essere altro che un flusso che scorre dal passato verso il futuro.

4.1. Due tipi narrativi Se alcuni soggetti tracciano il loro percorso sotto forma di narrazione, cioè come una successione di episodi che seguono un legame di causalità, altri tratteggiano le tappe della loro vita seguendo l’ordine cronologico degli eventi, senza conferire loro un legame manifesto che li unisca as-sieme. Dietro questi due atteggiamenti si nasconde una differente manie-ra di considerare il passato. I primi considerano la loro storia come sor-gente inestimabile di esempi, di esperienze felici e infelici. Il riferimento al passato è esplicativo. Per i secondi, il passato è compiuto, appartiene a un’altra dimensione e bisogna lasciarselo alle spalle. Da una parte il corso

38 Cfr. P. BARBETTA, La conversazione diagnostica fra copioni e narrazioni, in Conversazioni, sto-rie, discorsi, cit., p. 59. 39 Cfr. J.-F. GUILLAUME, Ces histoires…, cit., p. 71. 40 Ibid.

53

del tempo è percorso da un filo conduttore che non si interrompe, una sorta di fluido che scorre e riunisce tra loro differenti generazioni. Dall’altra parte, la vita è considerata come una successione di tappe con-trassegnata da cesure forti, da rotture che conferiscono, ogni volta, un nuovo orientamento. Quando il passato riveste una funzione pedagogica e suggerisce, quasi sotto voce, la via maestra, una ricerca di coerenza at-traversa tutta la narrazione, anche se il racconto non appare perfettamen-te concluso, nonostante la narrazione sia strutturata secondo una trama ben costruita41. Qualcosa che assomiglia al finale aperto di un film, per intenderci.

In questa ricerca di coerenza e di compiutezza, in questo tentati-vo di chiudere il racconto, le incongruenze disturbano: per questa ragio-ne la riflessione che viene portata avanti dentro di sé non può essere e-splicitata in tutto e per tutto, per una semplice esigenza di logicità e con-formità con quanto affermato precedentemente durante il racconto. C’è poi da dire che le azioni, estrapolate dal passato e analizzate con le cate-gorie del presente, possono apparire in veste diversa rispetto al momento in cui le azioni stesse si svolgevano ed erano in continuo divenire42. Quando si attribuisce un interesse trascurabile al passato, si mettono in fila soltanto ricordi sparsi, più vicini alla semplice successione dei fatti che alla loro configurazione e ordinamento in un tutt’uno ben organizza-to. Soltanto quando si dà il giusto peso al passato, quando la fine è letta nell’inizio e viceversa, si può affermare che emerge il senso del racconto di vita, nell’atto di raccontarsi e ri-raccontarsi43.

4.2. Il pensiero nel racconto La connessione tra la narrazione autobiografica e l’orizzonte temporale nell’ambito del pensiero rappresenta un processo di crescita e di cam-biamento intrinseco. Il racconto riflette su eventi, passaggi e svolte, nella complessità di tempi e ritmi, nella molteplicità di significati e saperi. La storia è un’intrinseca dinamicità, nell’illusione dell’esistenza di una trama biografica, nelle ragioni del costrutto come dato in sé e per sé in un qua-dro biografico, dotato di senso, che diviene frammentario, ma impre-

41 Ibid., pp. 86-87. 42 Cfr. M. RAMPAZI, I problemi di interpretazione nelle interviste narrative, cit., p. 144. 43 Cfr. J.-F. GUILLAUME, Ces histoires…, cit., pp.87-88.

54

scindibile, nel bisogno di storia, tra le connessioni di una vita e di una storia attraverso la consequenzialità.

Un’identità storica interpreta la narrazione come possibilità di ri-comporre la mutevolezza e la polisemia del tempo della narrazione, co-me momento della ricomposizione, nella scelta tra significati rilevanti e coerenti per la costruzione di trame esplicative, tramite la modalità della pratica narrativa esperita dal soggetto storico, lontano da fattualità e in-genui empirismi. A questo punto è più pertinente vedere nei diversi rac-conti, delle forme ancora transitorie di identità che, per la presentazione del self, attingono a diverse fonti, quali i ricordi, i progetti, i fantasmi, i desideri e le frustrazioni. Nell’eclettismo delle risorse è tuttavia possibile cogliere i principi che organizzano la presentazione del sé44.

5. Il sociologo: un educatore autobiografo? Il metodo pedagogico della narrazione di sé e dell’autobiografia costitui-sce un approccio educativo sostanziale ed efficace all’interno di contesti dove si presenta l’esigenza di instaurare relazioni d’aiuto tramite il rac-conto o la scrittura della personale storia di vita. Gli educatori autobio-grafi applicano tale metodologia comunicativa soprattutto all’interno dei luoghi adibiti all’educazione, come i servizi per l’infanzia, la scuola, la famiglia o nell’ambito della strada, dove si presentano difficoltà esisten-ziali profonde legate all’adolescenza e al disagio. Allo stesso modo, il fe-nomeno della telefonia sociale testimonia la diffusione della conversa-zione telefonica in ambiti, per così dire, a rischio45. Il porsi in un atteg-giamento di apertura comunicativa rispetto all’altro e in una modalità fa-vorevole all’ascolto, è una posizione attitudinale di tipo pedagogico, o meglio: un ruolo etico che instaura dinamiche relazionali con la facoltà di modificare e migliorare uno status mentale, un comportamento, un mo-do di essere. «Nella crisi del ruolo educativo dei genitori e dei maestri, il sociologo che legge non può non chiedersi che cosa insegnerà ai suoi studenti, come si arrogherà il diritto di dire agli altri come sono o addirit-tura cosa sarebbe meglio fare»46. Nel mostrarsi aperti verso le esigenze

44 Ibid., pp. 88-89. 45 Cfr. G. CHIARETTI, Udire, ascoltare, cit., p. 25. 46 L. BOVONE, Dalla morale alla comunicazione, cit., p. 384.

55

dello studente, nel sapersi soffermare sulle situazioni critiche è racchiuso il segreto dell’espansione del tempo, intesa come buona gestione del tempo, il segreto di prendersi il tempo necessario per avere cura della qualità non puramente tecnica e didattica del proprio lavoro. La coppia insegnamento-apprendimento non viaggia su due binari separati: inse-gnanti e studenti compiono, in contemporanea, le due azioni dell’insegnare e dell’apprendere. Il riconoscimento che nell’altro c’è qual-cosa di me non annulla le differenze, anzi alimenta lo scambio di un fe-edback circolare. Ovviamente questo riconoscimento non deve essere unilaterale, altrimenti perde la sua autenticità e il suo basilare rapporto di reciprocità. Nel riconoscimento reciproco, uno degli elementi più pre-gnanti è la possibilità di sorprendersi, evitando il pregiudizio; evitando che la non accettazione della sorpresa pregiudichi il naturale sviluppo della storia. Il processo insegnamento-apprendimento si fa portatore, al suo interno, di un intreccio di trama e ordito, come in un tessuto, rievo-cando in noi il lavoro tipico dell’artigiano. Essere ricercatori, essere inse-gnanti, significa essere persone che imparano dalla propria esperienza: solo in questi termini c’è qualcosa di autentico da raccontare47. Una ma-niera per compiere al meglio questa difficile operazione dell’insegnare è quella dell’umorismo, dell’ironia, che ci permettono di guardare bene-volmente le diversità dell’altro anche sorridendo a noi stessi, al solo pen-siero di come l’altro possa vederci, di quale idea si sia fatto di noi48. L’azione del raccontarsi stimola sempre nuovi processi cognitivi, inusuali capacità analitiche e osservative, aprendo lo sguardo verso un passato spesso costellato da disagio, da dolore, da frustrazione. Il recupero peda-gogico avviene sul fronte della presa di coscienza di una rinnovata con-sapevolezza di sé, della propria identità, del proprio vissuto, del passato personale, non limitandosi a un approccio psicanalitico, con cui si riscon-trano similitudini, ma focalizzando le problematiche sul soggetto che in prima persona scrive di sé, e in sé trova le risorse per raccontare la diffi-coltà e il disagio reconditi nelle cause primarie, per poi comunicare ad al-tri la personale autoanalisi o meglio l’autobiografia e il racconto interiore. Tramite il lavoro autografo, l’allievo, la persona, può decidere di tenere lo

47 Cfr. P. PERTICARI, Riconoscimento reciproco, identità, apprendimenti: verso una prospettiva delle attese sorprese, in Il senso dell’imparare. Per far riprendere il fiato e la parola a insegnanti e studenti, a cura di ID. e M. SCLAVI, Anabasi, Milano 1994, pp. 75-82. 48 Cfr. G. ARMELLINI, Io insegnate, inteso come artigiano, in Il senso dell’imparare, cit., p. 138.

56

scritto solo per sé, come valore insito e nascosto nel piacere di scrivere le proprie esperienze e riflessioni, una personale storia di vita.

«Fa differenza se i parlanti sono uomini o donne, bianchi o neri, ebrei, cristiani, islamici o atei, etero o omosessuali, sani o malati, profes-sionisti o no, ecc. Fa anche differenza se chi ascolta, trascrive, legge e ri-legge, traduce o interpreta la conversazione – il ricercatore – è uo-mo/donna, nero/bianco, ecc.»49. Nel contesto storico attuale, costellato di odi razziali e xenofobie pretestuose, di intolleranze etniche e religiose, a volte ostentate in nome della difesa e della protezione di un occidente «superiore», si erigono muri e barriere di odio e intolleranza, di guerra e di pregiudizio misantropo. Si offusca così il valore imprescindibile del dialogo, del confronto e quindi il significato umanistico e il senso pro-fondamente etico e culturale del raccontarsi, del narrare, del ripensarsi, dello stare insieme, in quanto ogni individuo ha un valore in sé e per sé.

6. La quotidianità narrativa La molteplicità di spazi e ruoli in cui il corpo si dissolve in multiformi sfumature e inusitati sensi, dispiega spazi vicini e lontani, dove il corpo invade l’esperienza quotidiana come nostro ambito personale in cui di-ventiamo diversi e differenti dagli altri, senza forme di identificazione. Così, in gran parte delle conversazioni quotidiane che si muovono attra-verso i cavi telefonici, lo spazio perde le sue connotazioni peculiari, non esiste alcun elemento oltre al verbale e non rimane altro da fare che cer-care di cogliere le impercettibili modulazioni della voce. Tali conversa-zioni appartengono del tutto al mondo dei suoni, un mondo nel quale il messaggio «passa» dall’emittente al ricevente attraverso un medium. I vis-suti spaziali del corpo che abita lo spazio interno ed esterno ad esso, si mostrano in una totale complessità e ambiguità come oggetti che hanno oltrepassato l’oggettività e la neutralità, essendo stati privati della naturalezza dell’interazione face to face. Si tratta di situazioni fonocentriche in cui il mezzo tecnologico fa risaltare la tonalità e l’espressività di un diverso stile conversazionale50.

49 P. BARBETTA, La conversazione diagnostica fra copioni e narrazioni, cit., p. 59. 50 Cfr. G. CHIARETTI, Udire, ascoltare, cit., pp. 23-24.

57

Chiaretti sottolinea che «occorre però la disposizione a cogliere le diversità, ad apprezzare la ricchezza, a muoversi in una direzione in cui ascoltatori e parlanti si troveranno a scegliere se i codici debbano somi-gliare più a organismi viventi, che si adattano all’ambiente, o a gabbie di ferro costrittive che mortificano le differenze»51. Attraverso il microfono trasmittente dell’apparecchio telefonico, dice Freud, è possibile captare ciò che la parola non dice esplicitamente ma che la voce lascia intendere, in un gioco di dati per scontati e non detti.

La vita e l’espressione dei sensi rivelano anonimie di spazio puro e neutrale, da cui l’ambiente circostante, omogeneo e oggettivo della ge-ometria, acquisisce un senso significante, svelato da una soggettività in-carnata nella corporeità, che esprime direzioni, progetti, sensi, scelte, in una certa situazione spaziale. Lo spazio situazionale del corpo dipende dalle proprie scelte, dai compiti, dalle possibilità offerte dalle diverse si-tuazioni, dalle sfumature emotive; per cui la spazialità corporea si dimo-stra pregna di significati antropologici che abitano nel mondo, vivono e esistono. A differenza dello spazio situazionale, nello spazio liminale, termine usato per indicare il contesto che circonda una conversazione a distanza, «l’ascolto vuole significare la particolare dinamica socio-linguistica che consente ai locutori di introdurre nel discorso una molte-plicità di tempi, di parlanti, di autori e di mandanti»52. Se si considera l’esempio della conversazione telefonica, nello spazio liminale si vanno a insinuare frammenti del quotidiano appartenenti al chiamante e a colui che riceve la chiamata.

Il dialogo tra corpo e spazio carica l’esteriorità di intenzioni, pen-sieri, fantasie, segni che diventano indici di accordo tra soggetto e spazio verso direzioni e vissuti. Lo spazio del corpo dispiega tracce di sentimen-ti personali, di elementi emotivi e bisogni sociali che prendono forma di eco, di risonanze, di ricordi, di luoghi rivissuti, che fanno pensare anche alle scelte, alle rinunce, all’ambivalenza di variabili interne ed esterne, quali dimensioni relazionali nella dialettica del pensiero narrativo collega-to al mondo dallo spazio interiore. La ricostruzione autobiografica recu-pera gesti abituali che rievocano il passato, svelando i ricordi dall’oblio, rispolverando i luoghi e le soggettive risonanze. D’altra parte, il pro-gramma da realizzare e il futuro da costruire si collocano in un tempo e

51 Ibid., p. 25. 52 Ibid., p. 33.

58

in uno spazio, che non sono dati una volta per tutti, ma dipendono da noi. Siamo noi a decidere se vogliamo dilatarli, se vogliamo espandere le occasioni che un dato evento accada o ridurre le probabilità che si verifi-chi53. La memoria cognitiva e temporale permette di far riaffiorare i ri-cordi, grazie ad un’intelligenza fisica che riattiva reminescenze remote e memorie recondite, nella scissione tra l’attivo e il riflessivo, tra psiche e corporeità. La percezione del mondo appare influenzata dalla condizione delle attività motorie del corpo e della mente, che possiede un’intelligenza autonoma ma non slegata dal corpo, congiunta alla com-plessità dell’individuo. La ricostruzione della personale storia di vita tiene conto delle risposte del corpo, per cui il racconto si ricompone in forma biografica, fatta di vissuti spaziali, sensuali, corporei, tattili, uditivi, olfat-tivi e visivi, quali vissuti gestuali e mimici del fluire temporale ed esistenziale.

Concludendo: storie di vita, resoconti orali, interviste in profon-dità, case studies, documenti storici, e osservazioni partecipanti sono tutti attraversati dalla medesima intenzione, e cioè quella di dare al mondo una nuova conformazione, attraverso la costruzione di trame che intro-ducono l’ordine nel disordine, la concordanza nella discordanza, la coe-renza nell’incoerenza. È questa l’ardua impresa di ogni opera narrativa. Il pensiero di Guillame, a tal proposito, ci sembra abbastanza rappresenta-tivo: esso nobilita la prassi dei racconti di vita, elevandola a pratica esi-stenziale di ricerca del proprio sé, di un equilibrio interiore. «Alors, pour se penser et pour penser le monde, pour se définir et s’approprier le monde, peut-être n’y a-t-il pas d’autres voies que celle des mots que l’on assemble dans un récit cohérent»54. Per pensare se stessi e il mondo non c’è modo migliore delle parole poste in un racconto coerente.

53 Cfr. P. PERTICARI, Riconoscimento reciproco, identità, apprendimenti, cit., p. 78. 54 J.-F. GUILLAUME, Ces histoires…, cit., pp. 89.