Il problema sulla rilevanza penale dell'elusione fiscale · 4 V. FICARI, Il diritto tributario,...
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DIPARTIMENTO DI STUDI LINGUISTICO-LETTERALI,
STORICO-FILOSOFICI E GIURIDICI
Relazione per il Corso di Laurea magistrale in
“Giurisprudenza”
IL PROBLEMA SULLA RILEVANZA PENALE
DELL’ELUSIONE FISCALE
Cattedra
Diritto penale progredito
STUDENTI Alessandro Roca e Giorgia Salza
prof. Carlo Sotis e dott.ssa Marinella Bosi
Viterbo, 16 marzo 2016
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INDICE
1. Premesse: i concetti di abuso, elusione ed evasione. pag. 3
1.1 Abuso nel linguaggio comune e nel linguaggio giuridico. pag. 3
1.2 Elusione ed evasione a confronto. pag. 3
2. Il labile confine tra il lecito e l’illecito. pag. 4
2.1 Le origini dell’elusione. pag. 4
2.2 Nozioni coincidenti di abuso ed elusione. pag. 5
2.3 La sentenza Dolce e Gabbana del 2012. pag. 6
3. La ricostruzione della rilevanza penale dell’elusione fiscale. pag. 10
3.1 L’art. 37bis D.P.R. 600/1973 come àncora di una rilevanza penale. pag. 10
3.2 Gli artt. 4 e 5 D.lgs. n. 74/2000 come terreno di approdo. pag. 11
3.2.1 Una prima interpretazione del termine “fittizio”. pag. 12
3.2.2 Una seconda interpretazione. pag. 12
3.3 Il sistema penale come ultima ratio. pag. 13
4. La recente giurisprudenza contraria alla rilevanza penale pag. 14
dell’elusione nell’ultima fase del processo Dolce e Gabbana.
5. “ Nullum crimen sine lege”: la riforma. pag. 15
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1. Premesse: i concetti di abuso, elusione ed evasione.
1.1 Abuso nel linguaggio comune e nel linguaggio giuridico.
Quando, nel linguaggio comune, parliamo di abuso, generalmente, intendiamo descrivere un
comportamento che eccede i limiti del consentito; non a caso, l’enciclopedia Treccani, definisce
abuso un “cattivo uso, uso eccessivo, smodato, illegittimo di una cosa, di un’autorità”1. Ne deriva
che un comportamento abusivo incontra disapprovazione dalla collettività e di conseguenza, un
ordinamento giuridico può prevedere discipline atte a individuare e così regolamentare gli effetti di
specifici oggetti di abuso. A titolo esemplificativo, possiamo ricordare l’articolo 833 c.c.2 “Atti
d’emulazione”, una disposizione, volta a reprimere un comportamento che riflette un “cattivo uso”
dei poteri legittimamente attribuiti all’agente. È qui che si deve inserire, a nostro avviso, la nozione
più ampia di abuso del diritto con la quale si intende un “uso anormale del diritto, che conduca il
comportamento del singolo (nel caso concreto) fuori della sfera del diritto soggettivo esercitato,
per il fatto di porsi in contrasto con gli scopi etici e sociali per cui il diritto stesso viene
riconosciuto e protetto dall’ordinamento giuridico positivo”.3 Attraverso la nostra analisi si
andranno a studiare non condotte già definite tipicamente dall’ordinamento come abusive, ma
condotte in cui è stato difficile tracciare la soglia tra la fine del corretto e l’inizio del “cattivo” uso.
1.2 Elusione ed evasione a confronto.
Una concretizzazione di abuso del diritto è il fenomeno elusivo. L’elusione è “l’aggiramento di
una norma tributaria ponendo in essere atti o comportamenti leciti”4. Per evasione invece si
intende la “la violazione diretta di una norma tributaria sulla determinazione dell’imponibile o
dell’imposta”5. Si nota che entrambi gli istituti hanno il fine di ottenere un risparmio fiscale
lasciando, però, alla sola evasione il presupposto di una attività illecita.
1 Definizione tratta dal dizionario online Treccani in http://www.treccani.it/vocabolario/abuso1/
2 Art. 833 c.c. “Il proprietario non può fare atti i quali non abbiano altro scopo che quello di nuocere o recare molestia ad altri” G. DE NOVA , Codice Civile e leggi collegate, Bologna, Zanichelli 2012, p. 196.
3 S. LEVANTI, Abuso del diritto in Diritto.it, 2001, http://www.diritto.it/articoli/civile/levanti.html
4 V. FICARI, Il diritto tributario, Slides book, Seconda edizione, Torino, 2014, p.349.
5 V. FICARI, Il diritto tributario, Slides book, Seconda edizione, Torino, 2014, p.349.
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2. Il labile confine tra il lecito e l’illecito.
2.1 Le origini dell’elusione.
In quanto formalmente rispettosa della lettera della legge, inizialmente all’ordinamento giuridico
nulla importava degli effetti che l’elusione poteva produrre. Il fenomeno elusivo non era
ampiamente diffuso, le condotte elusive consistevano soprattutto in semplici atti di singoli privati,
per lo più innocui stante l’importo delle somme sottratte alla pretese erariali; non scaturiva nella
collettività, dunque, l’esigenza di una disciplina volta a reprimere questi comportamenti. Esigenza,
invece, sorta quando si è arrivati a configurare vere e proprie strategie di gruppi societari,
meccanismi elaborati e complessi, sicché l’elusione privava l’Erario di grandi quantità di entrate.6
Per quanto detto, negli anni Ottanta, il legislatore italiano tentò, al fine di regolamentarla, di fornire
all’interno di una specifica norma una precisa definizione di elusione7: norma che non entrò mai in
vigore. Nel 1990 si arrivò all’introduzione di una norma, l’art. 10 comma 1 della L. 48\1990, la
disciplina fu poi inserita nell’art. 37 bis DPR 600\738. La disposizione in questione aveva il
compito di essere portatrice di un principio generale antielusivo ma di fatto si tradusse, per come è
stata strutturata, in un elenco di ipotesi tassative riconducibili al fenomeno elusivo. Per
comprendere meglio la portata di tale norma è necessario evidenziare il rapporto sussistente tra il
comma 1 e il comma 3 della medesima disposizione. Se dal comma 1 sembrerebbe esserci una
generale inopponibilità degli atti elusivi, il comma 3 ne circoscrive l’applicabilità: “Le disposizioni
dei commi 1 e 2 si applicano a condizione che, nell'ambito del comportamento di cui al comma 2,
siano utilizzate una o più delle seguenti operazioni: a) trasformazioni, fusioni, scissioni, […]”. Al
di fuori di quanto tassativamente previsto, ci si chiede se a norma dell’art.37 bis possano
considerarsi come elusive azioni dello stesso genere e quale sia il trattamento da applicare ad esse.
Sebbene dalla lettera dell’articolo 37 bis D.P.R. 600/73 non risultasse espressamente un generale
principio antielusivo, esso fu ricostruito in via interpretativa dalle Sezioni Unite della Corte di
Cassazione nel 2008, invocando il divieto di abuso del diritto, sulla scia di quanto avvenuto in seno
6A. CUVA, Elusione fiscale: certezza del diritto e sanzionabilità penale in Norma quotidiano di informazione giuridica, 2012, p. 2.
7 Art. 31 comma 1 disegno di legge presentato dal Governo nel 1988 (atto Senato n. 1301)“Si ha elusione quando le parti pongono in essere uno o più atti giuridici collegati, al fine di rendere applicabile una disciplina tributaria più favorevole di quella che specifiche norme impositive stabiliscono per la tassazione dei medesimi risultati economici che si possono ottenere con atti giuridici diversi da quelli posti in essere”.
8 Art. 37bis comma 1 “Sono inopponibili all'amministrazione finanziaria gli atti, i fatti e i negozi, anche collegati tra loro, privi di valide ragioni economiche, diretti ad aggirare obblighi o divieti previsti dall'ordinamento tributario e ad ottenere riduzioni di imposte o rimborsi, altrimenti indebiti”.
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alla giurisprudenza comunitaria9: “il divieto di abuso del diritto si traduce in un principio generale
antielusivo, il quale preclude al contribuente il conseguimento di vantaggi fiscali ottenuti mediante
l’uso distorto, pur se non contrastante con alcuna specifica disposizione, di strumenti giuridici
idonei ad ottenere un’agevolazione o un risparmio d’imposta, in difetto di ragioni
economicamente apprezzabili che giustifichino l’operazione, diverse dalla mera aspettativa di quei
benefici”10. L’ampia motivazione della sentenza specifica, in primo luogo, che tale principio è una
della delle forme di attuazione dei principi di capacità contributiva e progressività11, previsti
dall’articolo 53 della Costituzione: un comportamento abusivo si traduce nel pagamento di una
somma non corrispondente alla reale capacità contributiva del soggetto passivo. In secondo luogo,
la sentenza Dolce e Gabbana spiega come non vi sia incompatibilità tra il riconoscimento del
divieto di abuso del diritto in ambito tributario e il principio costituzionale della riserva di legge, di
cui all’articolo 23 Cost.12, perché al contribuente non viene imposto alcun obbligo patrimoniale,
ma lo stesso vede applicarsi una mera inopponibilità dei negozi elusivamente posti in essere13.
2.2 Nozioni coincidenti di abuso ed elusione.
Come si vedrà successivamente, recentemente il legislatore ha sovrapposto i due concetti di abuso
del diritto ed elusione, considerandoli, di fatto, sinonimi14. In realtà l’abuso è un genus e l’elusione
è una delle species in esso contenute; se un fatto è elusivo, allora lo si potrà configurare come
9 La giurisprudenza comunitaria ritiene che: “l’applicazione delle norme di tale diritto non può essere estesa sino a comprendere pratiche abusive, ossia operazioni effettuata non nell’ambito di normali transazioni commerciali, ma unicamente allo scopo di beneficiare abusivamente dei vantaggi previsti da detto diritto”. Pronuncia della Corte di Giustizia dell’Unione Europea, 10 novembre 2011, causa C-126/10, Foggia nonché principio già contenuto nella pronuncia del 21 febbraio 2006, causa C-255/02 Halifax.
10 Cass. Civ. S.U. del 23/12/2008 n. 30055, 30056, 30057 (cosiddette “Sentenze di Natale”).
11 “Tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva. Il sistema tributario è informato a criteri di progressività.” Art. 53 Cost. 12 “Nessuna prestazione personale o patrimoniale può essere imposta se non in base alla legge”. Art. 23 Cost.
13“[…] tale principio trova fondamento […] nei principi costituzionali di capacità contributiva e di progressività dell'imposizione, e non contrasta con il principio della riserva di legge, non traducendosi nell'imposizione di obblighi patrimoniali non derivanti dalla legge, bensì nel disconoscimento degli effetti abusivi di negozi posti in essere al solo scopo di eludere l'applicazione di norme fiscali. Esso comporta l'inopponibilità del negozio all'Amministrazione finanziaria, per ogni profilo di indebito vantaggio tributario che il contribuente pretenda di far discendere dall'operazione elusiva, anche diverso da quelli tipici eventualmente presi in considerazione da specifiche norme antielusive entrate in vigore in epoca successiva al compimento dell'operazione”. Sent. Sezioni Civili Unite 30055/2008.
14 Art. 10bis Legge 27 luglio del 2000 “Statuto dei diritti del contribuente” introdotto dal Decreto 128/2015, rubricato “Disciplina dell'abuso del diritto o elusione fiscale”.
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abusivo: abusiva sarà la condotta, elusivo sarà l’effetto15. Con l’introduzione dell’articolo 10 bis
nello Statuto dei Diritti del Contribuente, ad opera del D.lgs. 158/2015, si è stabilita espressamente
l’irrilevanza penale delle condotte elusive. Perché è importante questa specificazione? A ben
vedere, dall’articolo 37 bis non emerge alcun riferimento a sanzioni penali e si discute persino se
tale norma possa fondare un illecito amministrativo-tributario o sia fonte solamente di semplice
inopponibilità di atti al Fisco. L’art. 37 bis, infatti, recita che sono: “[…] inopponibili
all'amministrazione finanziaria gli atti, i fatti e i negozi, anche collegati tra loro, privi di valide
ragioni economiche, diretti ad aggirare obblighi o divieti previsti dall'ordinamento tributario e ad
ottenere riduzioni di imposte o rimborsi, altrimenti indebiti”. Si potrà dare una risposta a questo
quesito solo prendendo in considerazione la giurisprudenza che, invece, ha affermato la rilevanza
penale dell’elusione fiscale, suscitando un ampio dibattito che ha portato il legislatore ad
intervenire introducendo l’art. 10 bis della Legge 27 luglio del 2000 (Statuto dei Diritti del
Contribuente) e abrogando l’art. 37 bis D.P.R. 600/73. Per comprendere la suddetta
giurisprudenza, le disposizioni richiamate verranno trattate volutamente nel loro testo originale pre
riforma, perché è su quello che sono emerse le problematiche risolte poi dalla riforma stessa.16
2.3 La sentenza Dolce e Gabbana del 2012.
Vicenda importante in materia di elusione e abuso del diritto è quella che vede protagonisti i due
famosi stilisti Domenico DOLCE e Stefano Silvio GABBANA. Nei confronti dei due sono state
ascritte le notizie di reato di infedele dichiarazione ex art. 4 D.lgs. 74/200017 e, in concorso con
alcuni dei collaboratori, il reato di truffa aggravata ai danni dello Stato ex art. 640 comma 2 c.p.18
15 F. CONSULICH, La scriminante sfigurata, il diritto soggettivo come fonte di incriminazione? Il caso dei reati fiscali, in Rivista trimestrale di diritto penale dell’economia, 2014, p. 10.
16 D.lgs. 5 agosto 2015, n. 128 “Disposizioni sulla certezza del diritto nei rapporti tra fisco e contribuente, in attuazione degli articoli 5, 6 e 8, comma 2, della legge 11 marzo 2014, n. 23” e D.lgs. 24 settembre 2015, n. 158: “Revisione del sistema sanzionatorio, in attuazione dell'articolo 8, comma 1, della legge 11 marzo 2014, n. 23. 17 Testo Art. 4 D.lgs. 74/2000 prima della riforma del 2015 (di cui si dirà in seguito):“Fuori dei casi previsti dagli articoli 2 e 3, e' punito con la reclusione da uno a tre anni chiunque, al fine di evadere le imposte sui redditi o sul valore aggiunto, indica in una delle dichiarazioni annuali relative a dette imposte elementi attivi per un ammontare inferiore a quello effettivo od elementi passivi fittizi, quando, congiuntamente: a) l'imposta evasa e' superiore, con riferimento a taluna delle singole imposte, a lire duecento milioni; b) l'ammontare complessivo degli elementi attivi sottratti all'imposizione, anche mediante indicazione di elementi passivi fittizi, è superiore al dieci per cento dell'ammontare complessivo degli elementi attivi indicati in dichiarazione, o, comunque, è superiore a lire quattro miliardi.” C.E. PALIERO, Codice penale e normativa complementare, Milano, Raffaello Cortina Editore 2013/2014 p. 1479.
18 Art. 640 comma 2 c.p.: “La pena è della reclusione da uno a cinque anni e della multa da euro 309 a euro 1.549: 1) se il fatto è commesso a danno dello Stato o di un altro ente pubblico o col pretesto di far esonerare taluno dal
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19 combinato con gli artt. 81 e 110 c.p.. L’infedele dichiarazione prevede una responsabilità penale
per aver dichiarato un reddito inferiore a quello effettivamente percepito. Il fatto storico alla base
del procedimento penale in esame è un caso di c.d. “esterovestizione”, fenomeno per il quale una
qualsiasi società viene fittiziamente trasferita in un paese estero per ottenere un trattamento fiscale
di favore evitando così, come l’accusa ritiene sia avvenuto nel caso di specie, la normale
tassazione prevista per i soggetti IRPEF e IRES residenti fiscalmente20 nel territorio italiano. I due
stilisti, soggetti passivi IRPEF, erano titolari dei marchi “Dolce&Gabbana” e “D&G Dolce e
Gabbana” ceduti successivamente alla società “GADO s.a.r.l.” lussemburghese per un importo pari
a 360 milioni di Euro. Quest’ultima, a sua volta, diede in licenza lo sfruttamento dei marchi ad
un’altra società italiana sempre appartenente al gruppo Dolce e Gabbana (Dolce & Gabbana s.r.l.)
di cui i due stilisti detenevano la quasi totalità delle partecipazioni. Così facendo, le royalties21
pagate dalla licenziataria alla società lussemburghese venivano attratte dalla disciplina fiscale più
favorevole estera. Secondo l’amministrazione finanziaria tale operazione sarebbe del tutto simulata
al solo scopo di ottenere un indebito vantaggio fiscale. A parere dell’Agenzia delle Entrate sarebbe
stato necessario presentare la dichiarazione dei redditi della società GADO in Italia e non in
Lussemburgo come, di fatto, era avvenuto, integrando così gli elementi della fattispecie delittuosa
di omessa dichiarazione. Oltre a ciò, si sostenne che la valutazione dei marchi era appositamente
inferiore al loro valore normale22 al fine di sottrarre al Fisco l’imposizione derivante da un
servizio militare; 2) se il fatto è commesso ingenerando nella persona offesa il timore di un pericolo immaginario o l’erroneo convincimento di dovere eseguire un ordine dell’Autorità.” C.E. PALIERO, Codice penale e normativa complementare, Milano, Raffaello Cortina Editore 2013/2014, p. 334
19 L’accusa di truffa aggravata cadde in quanto il reato di truffa aggravata ai danni dello Stato viene considerato generale rispetto ai reati tributari che si pongono in rapporto di specialità con esso: “tutti i reati tributari descritti dal D.lgs. 74/2000 sono da ritenersi in rapporto di specialità rispetto al delitto di truffa aggravata ai danni dello Stato, qualora la condotta incriminata abbia come mera finalità l’evasione o l’elusione delle obbligazione tributaria” (Sent. 1235 Sez. U., 28.10.2010 Giordano). “Quando tra due norme incriminarci sussiste un rapporto di specialità si ha un concorso apparente di norme e al fatto concreto è applicabile la sola norma speciale”. E. MARINUCCI E G. DOLCINI, Manuale di Diritto Penale, Parte Generale, Quarta edizione, Milano, 2012, p. 451.
20 Per i soggetti passivi IRES “salvo prova contraria si considera esistente nel territorio dello stato la sede dell’amministrazione si società (“esterovestite”) ed enti che detengono partecipazioni di controllo, ai sensi dell’art 2359, I comma, cod. civ., in società o enti commerciali residenti se: a) sono controllati, anche indirettamente, ai sensi dell’art. 2359, I comma, cod. civ., da soggetti residenti nel territorio dello stato; ovvero: b) sono amministrati da un consiglio di amministrazione, o altro organo equivalente di gestione, composto in prevalenza di consiglieri residenti nel territorio dello stato” F. TESAU RO, Istituzioni di diritto tributario, vol.2, parte speciale, Torino, 2014, pp. 86-87.
21 Con questo termine si vuole indicare “[…] il compenso riconosciuto al proprietario di un bene, al creatore o all’autore di un’opera dell’ingegno, al possessore di un brevetto o di un copyright, come corrispettivo della concessione di utilizzare commercialmente il bene, l’opera, il brevetto; è di solito commisurato in percentuale al fatturato o al numero degli esemplari messi in commercio”. Treccani, la cultura Italiana, http://www.treccani.it/vocabolario/royalty/
22 “Per valore normale si intende il prezzo o corrispettivo mediamente praticato per i beni e i servizi della stessa specie o similari, in condizioni di libera concorrenza e al medesimo stadio di commercializzazione, nel tempo e nel luogo in cui i beni o servizi sono stati acquisiti o prestati, e, in mancanza, nel tempo e nel luogo più prossimi” F.
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maggior valore. Agli stilisti veniva pertanto contestato anche il delitto di infedele dichiarazione ex
art. 4 D.lgs. 74/2000.
La prima decisione nel merito fu la sentenza del 1 aprile 2011 di non luogo a procedere ex art. 425
c.p.p. del G.U.P. del Tribunale di Milano, che utilizzò la formula di proscioglimento “il fatto non
sussiste”23. Tale formula rifletteva il convincimento del giudice dell’impossibilità di associare le
condotte, sicuramente abusive, degli stilisti ai delitti ex artt. 4 e 5 del D.lgs. 74/2000: veniva
negata, quindi, una equiparazione tra il fenomeno elusivo e quello evasivo. La sentenza è molto
chiara: le fattispecie previste dal decreto presuppongono una divergenza tra realtà economica e
realtà dichiarata; la costituzione di GADO in territorio lussemburghese è un’operazione realmente
avvenuta, così come nulla fa pensare che gli stilisti Domenico Dolce e Stefano Gabbana abbiano
percepito un importo, poi occultato, superiore ai 360 milioni di euro dichiarati quali ricavi per la
cessione dei marchi aziendali. Avverso la decisione venne adita la Corte Suprema di Cassazione24
che annullò la sentenza di non luogo a procedere. La Suprema Corte, in una dettagliata
motivazione, indicò le ragioni per le quali le condotte del caso di specie potevano essere associate
ai predetti reati tributari, partendo da un’attenta analisi dell’art. 37 bis DPR 600/1973.
La Corte di Cassazione ritiene che sia astrattamente possibile che un comportamento elusivo,
previsto nell’articolo 37 bis, possa avere rilevanza penale ai sensi degli artt. 4 e 5 D.lgs. 74/2000.
Tale rilevanza penale, ad avviso della Corte, sarebbe tuttavia limitata ai comportamenti previsti in
maniera specifica dal comma 3 dell’articolo 37 bis, tra i quali non rientra l’esterovestizione. Da qui
la conclusione che per il reato di infedele dichiarazione, ma non per quello di omessa
dichiarazione, i due stilisti dovevano essere assolti.25 Al di là della vicenda che riguarda gli stilisti
milanesi, ciò che ci interessa è comprendere quali siano le argomentazioni che portano la Corte di
Cassazione del 2012 a concludere per una possibile rilevanza penale dell’elusione fiscale ai sensi
del D.lgs. 74/2000.
TESAU RO, Istituzioni di diritto tributario, vol.2, parte speciale, Torino, 2014, p.13 cfr art.9 comma 2 T.U.I.R. Sulla problematica dell’individuazione del prezzo in base al valore normale o meno si rimanda alla Cass. Pen. Sez. II, Sent., (ud.22/11/2011) 28-02-2012 n. 7739.
23 Il giudice utilizza questa formula assolutoria per indicare che il fatto di reato addebitato all’imputato dal PM non ha trovato riscontro in ciò che è risultato dal dibattimento.
24 Sez. II, Sent., (ud. 22/11/2011) 28-02-2012, n. 7739
25 “Infatti, deve affermarsi il principio che non qualunque condotta elusiva ai fini fiscali possa assumere rilevanza penale, ma solo quella che corrisponde ad una specifica ipotesi di elusione espressamente prevista dalla legge […]. In altri termini, nel campo penale non può affermarsi l’esistenza di una regola generale antielusiva che prescinda da specifiche norme antielusive mentre può affermarsi la rilevanza penale di condotte che rientrino in una specifica disposizione fiscale antielusiva”.Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 22/11/2011) 28-02-2012, n. 7739
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In primo luogo, afferma la Suprema Corte, bisogna considerare ciò che il nostro ordinamento
intende per imposta evasa: “La differenza tra imposta effettivamente dovuta e quella indicata nella
dichiarazione, ovvero l’intera imposta dovuta nel caso di omessa dichiarazione, al netto delle
somme versate dal contribuente o da terzi a titolo di acconto, di ritenuta o comunque in
pagamento di detta imposta prima della presentazione della dichiarazione o della scadenza del
relativo termine”26. Definizione, quindi, riconducibile anche all’imposta elusa. Da qui la
conseguenza che all’interno delle condotte elusive vi è lo stesso dolo specifico previsto per i reati
tributari del D.lgs. 74/2000.
A sostegno della rilevanza penale della condotta elusiva la Corte esamina anche il dettato dell’art.
16 D.lgs. 74/200027 che, escludendo la punibilità delle condotte tenute uniformandosi alla c.d.
procedura di interpello28, letto a contrario, sembra includere nell’ambito penalistico le altre
condotte elusive poste in essere. In quest’ottica sarebbero punibili le condotte elusive al di fuori di
quelle realizzatesi uniformandosi al parere del Ministero delle Finanze o del Comitato Consultivo,
cioè utilizzando l’istituto dell’interpello. Diversamente opinando, non si capirebbe perché, allora, il
legislatore avrebbe dovuto specificare la non punibilità di talune condotte rispetto ad altre se
quest’ultime, di per sé, non avrebbero potuto integrare alcun reato.
Tra gli argomenti usati dalla Corte di Cassazione vi era, infine, quello insistente sull’omogeneità di
offesa arrecata dalle condotte evasive ed elusive. Fino all’anno duemila, prima della riforma dei
reati tributari operata dal decreto legislativo n. 74, le fattispecie di evasione penalmente rilevanti si
concentravano non tanto sull’effetto evasivo ma sull’illiceità della condotta: in altri termini, si
intendeva reprimere la fase preparatoria dell’evasione. Con l’introduzione del D.lgs. n. 74 si è
abbandonato questo modello, indicato dai più come “reato prodromico”, in favore di un modello
concentrato sulla dichiarazione, fase in cui si andava a tradire l’Erario.29 Vien da sé, che, secondo
26 Art. 1 lettera f D.lgs. 74/2000.
27 “Non dà luogo a fatto punibile a norma del presente decreto la condotta di chi, avvalendosi della procedura stabilita dall’art. 21, commi 9 e 10, della legge 30 dicembre 1991, n. 413, si è uniformato ai pareri del Ministero delle Finanze o del Comitato Consultivo per l’applicazione delle norme antielusive previsti dalle medesime disposizioni, ovvero ha compiuto le operazioni esposte nell’istanza sulla quale si è formato il silenzio-assenso” art. 16 D.lgs. 74/2000.
28 “L’art. 11 dello Statuto dei Diritti del Contribuente prevede il diritto di presentare all’Agenzia delle Entrate circostanziate e specifiche istanze con cui viene richiesto un parere circa l’interpretazione di una disposizione tributaria, con riguardo ad un caso concreto e personale. La richiesta di parere può essere presentata per qualsiasi quesito riguardante l’applicazione delle leggi tributarie” F. TESAURO, Istituzioni di diritto tributario, vol.1, parte generale, Torino, 2014, pp. 171-172.
29 Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 22/11/2011) 28-02-2012, n. 7739 cfr. Sez. U, n. 27 25-10-2000, Di Mauro; Sez. U, n. 1235 del 28/10/2010 – 19/01/2011, Giordano; Sez. Corte Costituzionale n. 49/2002.
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l’opinione dei giudici di legittimità, se è la corretta percezione del tributo il bene giuridico che il
legislatore intende tutelare, non si può non punire un fenomeno che offenda il medesimo bene
servendosi semplicemente di una fase preparatoria diversa.
3. La ricostruzione della rilevanza penale dell’elusione fiscale.
3.1 L’art. 37bis D.P.R. 600/1973 come àncora di una rilevanza penale.
Fin qui sembrerebbe essere tutto molto semplice, ma non sarà di certo sfuggito al lettore la
prevedibile collisione che tale ragionamento potrebbe avere con i principi del sistema penale.
Quando pensiamo ad un reato ci viene in mente la reazione dell’ordinamento alla realizzazione di
una condotta vietata o alla mancata esecuzione di un obbligo previsto. In altri termini, si può
definire la norma penale come norma-comando. Se è l’art. 37 bis la disposizione attraverso la
quale la giurisprudenza ha ricondotto una condotta elusiva ai reati tributari predetti, ci si dovrà
domandare se essa contenga un precetto penale. I “ fatti, gli atti e i negozi” richiamati dalla norma
non corrispondono tuttavia ad attività di per sé illecite, tantoché sono trattati solamente con una
mera inopponibilità. Stando così le cose: “la disposizione avrebbe natura di norma valutazione
(norma-giudizio), con la funzione di supportare, ex post, l’accertatore o il giudice rispetto al fatto
da scrutinare. Non si tratterebbe di una norma comando, poiché non opererebbe come criterio di
determinazione del comportamento del consociato al momento in cui agisce”.30 Oltre a ciò,
l’elusività delle operazioni del 37 bis presuppone l’“assenza di valide ragioni economiche”. Chi è
però in grado di sancire la fine della validità e l’inizio dell’invalidità delle motivazioni che
inducono il contribuente a compiere talune operazioni negoziali? Per assurdo, il contribuente
potrebbe essere spinto a compiere determinate operazioni perché motivato, a suo avviso, da
validissime ragioni economiche extrafiscali mentre, a posteriori, l’amministrazione finanziaria,
non considerandole come tali, le definirebbe elusive e quindi inopponibili.31 È vero poi, anche
qualora il contribuente non avesse valide ragioni extrafiscali per compiere determinate operazioni
rispetto ad altre, non si può punire un soggetto solo per aver scelto, lecitamente, la strada
30 F. CONSULICH, La scriminante sfigurata, il diritto soggettivo come fonte di incriminazione? Il caso dei reati fiscali, in Rivista trimestrale di diritto penale dell’economia, 2014, p. 16
31 Nella già citata vicenda degli stilisti Dolce e Gabbana si può evidenziare la divergenza tra le ragioni del contribuente e quelle, ormai note, dell’amministrazione finanziaria. Gli stilisti, giustamente, ritennero che la cessione dei marchi in un gruppo societario avrebbe garantito la loro solidità dalla minaccia di eventuali problemi relazionali tra i due. Il trasferimento della società in territorio lussemburghese fu giustificato, invece, dal fatto che questo era una piazza più appetibile per i finanziatori.
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fiscalmente più vantaggiosa, in assenza di norme chiare in tal senso. “Quale deve essere, allora, la
condotta del contribuente? Imporgli la strada più onerosa significa assumere una regola di
comportamento che reciti grossomodo così: nel dubbio, si rifugga ogni beneficio fiscale!”32
3.2 Gli artt. 4 e 5 D.lgs. n. 74\2000 come terreno di approdo.
Se per giustificare una rilevanza penale dell’elusione la Corte di Cassazione rintraccia il precetto
nell’art 37 bis, la stessa arriva poi ad utilizzare le fattispecie astratte riconducibili agli artt. 4 e 5
D.lgs. del 2000 per individuare la pena per detta condotta. È in essi che la Cassazione ritiene sia
contenuta la misura della pena da comminare al soggetto passivo e quindi sarà su di loro che
dovremmo concentrare ora la nostra analisi. La prima nozione che si apprende leggendo le
disposizioni citate è che sicuramente esse si riferiscono al fenomeno evasivo. Ciò posto, bisogna
verificare se, a queste, ed in particolare all’infedele dichiarazione, possa ricondursi anche il
fenomeno elusivo. “[…]è punito con la reclusione da uno a tre anni, chiunque, al fine di evadere
l’imposte sui redditi o sul valore aggiunto, indica in una delle dichiarazioni annuali relative a
dette imposte elementi attivi per un ammontare inferiore a quello effettivo od elementi passivi
fittizi, quando[…]l’ammontare complessivo degli elementi attivi sottratti all’imposizione, anche
indicazione degli elementi passivi fittizi è superiore al dieci per cento dell’ammontare complessivo
degli elementi attivi indicati in dichiarazione, o, comunque, è superiore a euro 2 milioni”.
I sintagmi da prendere in considerazione sono quindi “ammontare inferiore a quello effettivo” e
“elementi passivi fittizi”. La partita si gioca, quindi, nella possibilità per l’elusione di mascherare
elementi attivi effettivi o generare elementi passivi fittizi.
Sul termine fittizio possono elaborarsi due interpretazioni: la prima, in senso lato, che lo identifica
come una sorta di filus minor del falso e di conseguenza come qualcosa “non conforme a norme
giuridiche”33; la seconda, in senso stretto, che lo identifica come elemento “[…]privo di realtà,
finto, immaginario”34. Una delle due esclude l’altra ed in base a quale tra esse si voglia aderire, la
porta per entrare nel campo penale potrebbe essere rispettivamente aperta o chiusa.
32A. DELL’OSSO, L’elusione fiscale al banco di prova della legalità penale, p. 5.
33 A. DELL’OSSO, L’elusione fiscale al banco di prova della legalità penale, p. 7
34 Definizione tratta dal dizionario online Treccani in http://www.treccani.it/vocabolario/fittizio/
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3.2.1 Una prima interpretazione del termine “fittizio”.
L’art. 2 D.lgs. 74\200035 fa coincidere il termine “fittizio” con il termine “inesistente”, da qui la
conseguenza, secondo il nostro modesto parere, che, se è questo il significato attribuito al termine
in un reato previsto dallo stesso decreto legislativo nel quale si trova anche la fattispecie di
evasione dettata dall’art. 4 D.lgs. 74/2000 , dovrà essere questa l’interpretazione preferibile anche
per quest’ultima norma. Se ciò fosse pacifico, non ci sarebbe alcun dubbio nell’escludere la
rilevanza penale dell’elusione.36 D’altra parte, il principio di precisione delle norme penali
comporta che un giudice non può dare ad un termine un significato diverso da quello che
effettivamente ha.37
3.2.2 Una seconda interpretazione.
È da evidenziare, tuttavia, che parte della dottrina, così come la sentenza Dolce e Gabbana del
2012, abbia inteso il termine “fittizio” nel senso di una contrarietà, anche di spirito, alle regole
tributarie, riconoscendo così rilevanza penale all’elusione. Anche se, in verità, “è appena il caso di
segnalare come non sempre tale conclusione sia stata accompagnata dall’affermazione della
rilevanza penale dell’elusione: si perviene solo ad escludere una preclusione testuale nel senso
contrario”38. Tale interpretazione, in una norma che punisce l’evasione, infliggerebbe ad un
soggetto che ha eluso norme fiscali, una sanzione pari a quella che sarebbe comminata ad un
soggetto che ha evaso. Per il contribuente si configurerebbe una c.d. sanzione a sorpresa. Così non
35 Art. 2 D.lgs. 74\2000 Dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti. “1. E' punito con la reclusione da un anno e sei mesi a sei anni chiunque, al fine di evadere le imposte sui redditi o sul valore aggiunto, avvalendosi di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti, indica in una delle dichiarazioni relative a dette imposte elementi passivi fittizi. 2. Il fatto si considera commesso avvalendosi di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti quando tali fatture o documenti sono registrati nelle scritture contabili obbligatorie, o sono detenuti a fine di prova nei confronti dell'amministrazione finanziaria. 3. Se l'ammontare degli elementi passivi fittizi è inferiore a euro 154.937,07 (lire trecento milioni), si applica la reclusione da sei mesi a due anni.” C.E. PALIERO, Codice penale e normativa complementare, Milano, Raffaello Cortina Editore 2013/2014, p. 1478 36 Si ricorda che i fenomeni elusivi non presuppongono la dichiarazione di atti inesistenti bensì quella di operazioni realmente avvenute.
37 E. Marinucci e G. Dolcini intendono per precisione “ l’obbligo per il legislatore di disciplinare con precisione il reato e le sanzioni penali” al fine di “evitare che il giudice assuma un ruolo creativo: i confini tra lecito e illecito debbono essere posti in via generale ed astratta dal legislatore, e al giudice compete solo l’applicazione della legge. Oltre che espressione della divisione dei poteri, il principio di precisione è garanzia per la libertà e la sicurezza del cittadino, il quale, come ha affermato la Corte Costituzionale, solo in «leggi precise e chiare» può «trovare, in ogni momento, cosa gli è lecito e cosa gli è vietato». E. MARINUCCI E G. DOLCINI, Manuale di Diritto Penale, Parte Generale, Quarta edizione, Milano, 2012, p. 57.
38 A. DELL’OSSO, L’elusione fiscale al banco di prova della legalità penale, p. 7
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è, invece, secondo la Corte di Cassazione, che ritiene che se un’azione elusiva è definita
antidoverosa dall’art. 37 bis, allora, per il contribuente è prevedibile che ad essa si riconduca anche
una pena, in particolare quella comminata per le fattispecie evasive. In questo caso sarebbe fatto
salvo il principio di legalità in quanto “il dato decisivo da cui dedurre” tale rispetto “è dunque la
prevedibilità del risultato interpretativo cui perviene l’elaborazione giurisprudenziale tenendo
conto del contenuto della struttura normativa, prevedibilità che si articola nei due sotto principi di
precisione e di stretta interpretazione”.39 40 Si rende a questo punto necessaria una precisazione.
La nostra analisi, finora, si è concentrata, volutamente, soltanto sul concetto di elemento della
dichiarazione “fittizio” e non anche su quello “effettivo”, poiché, i due termini sono l’uno l’antitesi
dell’altro, indi per cui, le considerazioni mosse per il concetto di fittizio varranno specularmente
anche per quello di effettivo. La prima interpretazione tra quelle offerte è quella che a noi pare più
condivisibile, anche perché “quale sarebbero le norme in grado di privare di effettività un
elemento esistente?”41.
3.3. Il sistema penale come ultima ratio.
Va inoltre segnalato come, l’aspettativa di pena in capo al contribuente, derivante da una semplice
antidoverosità, collide con il principio di sussidiarietà proprio del diritto penale, di cui giova
ricordare i tratti identificativi: “il principio di sussidiarietà postula […] che la pena venga
utilizzata soltanto quando nessun altro strumento, sanzionatorio o non, sia in grado di assicurare
al bene giuridico una tutela altrettanto efficace nei confronti di una determinata forma di
aggressione. Oltre che meritata, cioè proporzionata alla gravità del fatto, la pena deve essere
dunque necessaria: ad essa si può fare ricorso solo come ultima ratio”.42 È evidente che tale
requisito di sussidiarietà non sussiste nel fenomeno oggetto del nostro studio: il diritto civile non
utilizza nessuno strumento nei confronti delle condotte elusive mentre il diritto tributario ne ha
39 A. DELL’OSSO, L’elusione fiscale al banco di prova della legalità penale, p. 3 cfr Sez. U., n. 1235 del 28-10-2010 – 19-01-2011, Giordano.
40 “Il principio di legalità, nell’accezione convenzionale, si sostanzia non in un criterio di ripartizione delle fonti abilitate all’incriminazione, ma in un parametro di qualità della normazione, ben sintetizzato nel brocardo nullum crimen sine lege clara (in accezione anglofona: no punishment without predictability). Il diritto è tale anche se di fonte giurisprudenziale: ciò che importa è che il destinatario sappia in anticipo se una condotta costituisce reato. In questo quadro poco conta come sia ripartito il carico di lavoro tra legislatore e giudice nella precisazione dei contorni dell’illecito, fatto salvo l’impiego di uno schema di riferimento nitido a livello legale, prima dell’intervento del giudice” . F. CONSULICH, La scriminante sfigurata, il diritto soggettivo come fonte di incriminazione? Il caso dei reati fiscali, in Rivista trimestrale di diritto penale dell’economia, 2014, pp. 28-29. 41 A. DELL’OSSO, L’elusione fiscale al banco di prova della legalità penale, p. 7.
42 E. MARINUCCI E G. DOLCINI, Manuale di Diritto Penale, Parte Generale, Quarta edizione, Milano, 2012, p. 13.
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previsto uno di tipo non sanzionatorio, vale a dire l’inopponibilità degli atti al fisco, di per sé
sufficientemente idoneo a tutelare il bene giuridico. Nell’attribuire una rilevanza penale
all’elusione ne deriverebbe che uno stesso fenomeno verrebbe trattato in tanti modi diversi quanti
sono i rami dell’ordinamento. Ancora, in linea teorica, la presenza di un ramo dell’ordinamento,
quello civile, che rende lecito compiere determinati atti “proteggerebbe” quest’ultimi da una
possibile rilevanza penale: saremmo perciò in presenza di una causa di giustificazione.43 Non
affermare questo, significherebbe, negare il carattere universale delle scriminanti. Per farla breve:
un fatto lecito in un determinato ramo dell’ordinamento non è passibile di sanzione in un altro.
4. La recente giurisprudenza contraria alla rilevanza penale all’elusione nell’ultima fase del
processo Dolce e Gabbana.
Nelle prime pagine della nostra analisi si è dato conto di come il legislatore ha ritenuto di dover
inserire una norma, quale l’art. 10 bis, nello Statuto dei Diritti del Contribuente, per specificare che
l’elusione non ha una generale rilevanza penale. Prima di procedere all’analisi del nuovo dato
legislativo, sarà necessario ripercorrere le ultime tappe della vicenda “Dolce e Gabbana”.
La decisione della Suprema Corte44 con la quale si annullava con rinvio al Tribunale di Milano la
sentenza del G.U.P.45, indicava le ragioni per le quali si poteva dare rilevanza penale al fenomeno
elusivo. A seguito del rinvio, il Tribunale46 condannava tutti gli imputati per il reato di omessa
dichiarazione e li assolveva, come detto prima, per il reato di infedele dichiarazione in quanto la
condotta tenuta dagli stilisti non corrispondeva alle specifiche condotte elusive ex art. 37 bis. Gli
imputati ricorrevano in secondo grado, ma la Corte di Appello47 si limitava a confermare quanto
detto dai giudici di primo. Il punto di svolta fu la pronuncia della Suprema Corte avverso la
43 “Con il nome di cause di giustificazione del fatto si designa l’insieme delle facoltà o doveri derivanti da norme, situate in ogni luogo dell’ordinamento che autorizzano o impongono la realizzazione di questo o quel fatto penalmente rilevante […]. L’unità dell’ordinamento giuridico che è alla base dell’istituto delle cause di giustificazione, comporta non solo che le cause di giustificazione possano essere previste in qualsiasi luogo dell’ordinamento, ma anche che la loro efficacia sia universale: il fatto, cioè, sarà lecito in qualsiasi settore dell’ordinamento, e quindi non potrà essere assoggettato a nessun tipo di sanzione (penale, civile, amministrativa etc.).” E. MARINUCCI E G. DOLCINI, Manuale di Diritto Penale, Parte Generale, Quarta edizione, Milano, 2012, p. 237.
44 Cass. Pen. Sez. II, Sent., (ud.22/11/2011) 28-02-2012 n. 7739
45 Sentenza, Tribunale di Milano, 1.04.2011.
46 Sentenza, Tribunale di Milano, 19.06.2013
47 Sentenza, Corte di Appello, Milano 20.06.2014 n. 3534
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decisione di secondo grado.48 I giudici di legittimità hanno, per prima cosa, assolto tutti gli
imputati in concorso con Alfonso Dolce, amministratore della società Gado s.a.r.l., ad eccezione
proprio di quest’ultimo. Ci si deve domandare se in capo a questo sussista l’elemento psicologico
del dolo specifico di evasione richiesto dalla norma incriminatrice. La Cassazione rinvia sul punto,
non prima di aver chiarito che tra il dolo di evasione e quello di elusione, vi è una profonda
differenza; quest’ultimo viene descritto dalla Suprema Corte in questi termini: “la volontà elusiva
prova la consapevolezza della sussistenza dell’obbligazione tributaria e del suo oggetto, e dunque
di uno o alcuni degli elementi costitutivi della fattispecie, non prova il fine ulteriore della
condotta”.
Descritto in questo modo, il dolo di un evasore è sicuramente diverso, e più profondo, del dolo di
elusione. A questa maggiore profondità, corrisponde una reazione più aggressiva dell’ordinamento
giuridico che, a questo punto, non si preoccupa più di recuperare il gettito fiscale ma di rieducare il
soggetto agente.49 È proprio questo il ruolo che il sistema penale, a differenza di quello ad esempio
tributario, ha nel nostro ordinamento: “Qualsiasi prospettiva di rieducazione attraverso la pena
risulterebbe d’altra parte frustrata se il condannato avvertisse la pena che gli viene inflitta come
un’incomprensibile vessazione: ciò accade inevitabilmente se gli venisse applicata una pena
sproporzionata per eccesso rispetto alla colpevolezza individuale”.50
Per tutti questi motivi, la Suprema Corte di Cassazione annullava la sentenza impugnata, senza
rinvio nei confronti di Silvio Stefano Gabbana, Domenico Dolce e gli altri collaboratori perché il
fatto non sussiste, e con rinvio ad altra Sezione della Corte di Appello di Milano in ordine alla
residua violazione ascritta ad Alfonso Dolce di omessa dichiarazione.
5. “ Nullum crimen sine lege”: la riforma.
Tutti i problemi emersi finora hanno portato al pronunciarsi del soggetto che fin dall’inizio non li
avrebbe dovuti far sorgere: il legislatore.51 Finalmente, con il D.lgs. 128/201552, vi è una presa di
48 Cass. pen. Sez. III, Sent., (ud. 24/10/2014) 30-10-2015, n. 43809
49 Cass. Pen. Sez. III, Sent., (ud.24/10/2014) 30-10-2015 n. 43809
50 E. MARINUCCI E G. DOLCINI, Manuale di Diritto Penale, Parte Generale, Quarta edizione, Milano, 2012, p. 15.
51 Spinta rilevante è arrivata dall’Unione Europea con la raccomandazione della Commissione 2012/772 sulla pianificazione fiscale aggressiva.
52 D.lgs. 128/2015: “Disposizioni sulla certezza del diritto nei rapporti tra fisco e contribuente, in attuazione degli articoli 5, 6 e 8, comma 2, della legge 11 marzo 2014, n. 23”.
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posizione sulla rilevanza penale sull’abuso del diritto: “le operazioni abusive non danno luogo a
fatti punibili ai sensi delle leggi penali tributarie"53. Il legislatore ha anche fornito una
definizione legale di abuso del diritto, identificandolo come: “una o più operazioni prive di
sostanza economica che, pur nel rispetto formale delle norme fiscali, realizzano essenzialmente
vantaggi indebiti”.54 È sempre il legislatore a fare chiarezza, nei comma 2 e 3 dell’art 10 bis, sulle
nozioni emerse dal comma 1 dello stesso articolo: “si considerano: a) operazioni prive di sostanza
economica i fatti, gli atti e i contratti, anche tra loro collegati, inidonei a produrre effetti
significativi diversi dai vantaggi fiscali. Sono indici di mancanza di sostanza economica, in
particolare, la non coerenza della qualificazione delle singole operazioni con il fondamento
giuridico del loro insieme e la non conformità dell'utilizzo degli strumenti giuridici a normali
logiche di mercato; b) vantaggi fiscali indebiti i benefici, anche non immediati, realizzati in
contrasto con le finalità delle norme fiscali o con i principi dell'ordinamento tributario. 3. Non si
considerano abusive, in ogni caso, le operazioni giustificate da valide ragioni extrafiscali, non
marginali, anche di ordine organizzativo o gestionale, che rispondono a finalità di miglioramento
strutturale o funzionale dell'impresa ovvero dell'attività professionale del contribuente”. Elemento
apparentemente incerto è la “non marginalità” delle ragioni extrafiscali: stando ad un intervento
dei giudici di legittimità successivamente alla riforma, essa sussiste solo quando in loro assenza,
l’operazione non si sarebbe posta in essere.55 L’inserimento della nuova disposizione nello Statuto
dei Diritti del Contribuente, auto qualificato come “portatore di principi generali
dell’ordinamento giuridico”56, ha fatto sì che i comportamenti elusivi si possano configurare non
più nell’ambito applicativo del D.P.R. 600/1973 nel quale era contenuto l’art. 37 bis57 ma, in tutti i
tipi di tributi, siano essi diretti e indiretti. 58
53 Art. 10 bis, comma 13 dello “Statuto dei diritti del contribuente”. Si ricorda che con l’art. 10bis i termini “abuso” ed “elusione” vengono utilizzati come sinonimi, difatti questo è rubricato “Disciplina dell'abuso del diritto o elusione fiscale”.
54 Art. 10 bis, comma 1.
55 Cass. pen. Sez. III, Sent., (ud. 01/10/2015) 07-10-2015, n. 40272.
56 F. TESAURO, Istituzioni di diritto tributario, vol.1, parte generale, Torino, 2014, p. 18
57 L’art. 37 bis, come detto, si riferiva a determinate operazioni relative esclusivamente alle imposte sui redditi.
58 Unica eccezione è fatta per i tributi doganali per i quali è prevista un’apposita normativa. F. DONELLI, Irrilevanza penale dell’abuso del diritto tributario: entra in vigore l'art. 10-bis dello Statuto del contribuente, in Diritto Penale Contemporaneo, 2015, http://www.penalecontemporaneo.it/materia/-/-/-/4183-irrilevanza_penale_dell___abuso_del_diritto_tributario__entra_in_vigore_l_art__10_bis_dello_statuto_del_contribuente/ .
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Oltre ad introdurre nuove norme, ne sono state abrogate, esplicitamente, delle altre: in primis,
proprio l’articolo 37 bis D.P.R. 600/73, divenuto obsoleto a seguito della riforma ed in secundis,
con il D.lgs. 158/201559, l’articolo 16 D.lgs. 74/2000 che sembrava attrarre l’elusione nella materia
penale. Tale incertezza, come detto, è stata scongiurata in quanto ad oggi, se c’è elusione, e quindi
abuso, non vi è alcuna pena60 e laddove ci fosse quest’ultima, non vi sarebbe l’altra; “I rapporti fra
il campo di applicazione dell'abuso del diritto e l'intervento del presidio penalistico sono dunque
improntati alla mutua esclusione: l'abuso del diritto non può essere contestato se l'operazione
perseguita dal soggetto agente è suscettibile di ingenerare responsabilità penale; quest'ultima,
d'altro canto, non può poggiare su di una contestazione di abuso del diritto, che però - è esplicito
sul punto il comma dell'art. 10 bis - potrà comportare l'applicazione delle sanzioni amministrative
(comma 13, art. 10 bis)”.61
Con il D.lgs. 158/2015 vi è stata, inoltre la sostituzione, nell’art 4 D.lgs. 74/2000, del termine
“fittizio” in “inesistente”: viene così definitivamente accantonata la tesi di coloro che facevano di
predetto termine un’interpretazione estensiva, al solo scopo di far rientrare i fenomeni elusivi nella
famiglia dei reati di evasione.
59 D.lgs. 158/2015: “Revisione del sistema sanzionatorio, in attuazione dell'articolo 8, comma 1, della legge 11 marzo 2014, n. 23”. 60 All’elusione si può associare solamente una sanzione amministrativa. F. DONELLI, Irrilevanza penale dell’abuso del diritto tributario: entra in vigore l'art. 10-bis dello Statuto del contribuente, in Diritto Penale Contemporaneo, 2015, http://www.penalecontemporaneo.it/materia/-/-/-/4183-irrilevanza_penale_dell___abuso_del_diritto_tributario__entra_in_vigore_l_art__10_bis_dello_statuto_del_contribuente/ cfr art. 10 bis comma 13, Statuto del contribuente.
61 F. DONELLI, Irrilevanza penale dell’abuso del diritto tributario: entra in vigore l'art. 10-bis dello Statuto del contribuente, in Diritto Penale Contemporaneo, 2015, http://www.penalecontemporaneo.it/materia/-/-/-/4183-irrilevanza_penale_dell___abuso_del_diritto_tributario__entra_in_vigore_l_art__10_bis_dello_statuto_del_contribuente/ A seguire i commi 12 e 13 dell’art. 10 bis: “12. In sede di accertamento l'abuso del diritto puo' essere configurato solo se i vantaggi fiscali non possono essere disconosciuti contestando la violazione di specifiche disposizioni tributarie. 13. Le operazioni abusive non danno luogo a fatti punibili ai sensi delle leggi penali tributarie. Resta ferma l'applicazione delle sanzioni amministrative tributarie” in Fisco e tasse.com, la tua guida per un fisco semplice, 2015, https://cdn.fiscoetasse.com/upload/LEGGE27luglio2000.pdf