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Il progetto è stato cofinanziato dal Fondo Sociale Europeo ed è stato selezionato nel quadro del Programma Operativo cofinanziato dal
Fondo Sociale Europeo e sulla base dei criteri di valutazione approvati dal Comitato di sorveglianza del Programma.
Il modello dinamico della rete dei servizi per il lavoro a
Verona Smart Job: la rete dei servizi per il lavoro nella Provincia di Verona
Cod. progetto 4363/0/1/448/2014
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Verona 30 luglio 2015
Questo documento non avrebbe potuto essere scritto senza
per il costante e franco confronto con gli stakeholders della
rete dei servizi per il lavoro veronese e ai partner del
progetto a cui va un nostro sentito ringraziamento
In particolare si ringraziano per i loro significativi contributi
i partner, con i loro responsabili e collaboratori:
- ENAC- Ente Nazionale Canossiano (Veneto)
- Centro Polifunzionale Don Calabria
- ENAIP (Veneto)
- Umana
- Manpower
- CARVET Center for Action Research in Vocational
Education and Training, Centro di Ricerca Dipartimentale
dell’Università degli Studi di Verona dipartimento di
Filosofia, Pedagogia e Psicologia
- Provincia di Verona
- Comune di Verona
Si ringraziano inoltre il presidente Orazio Zenorini, i soci e i
collaboratori di Lavoro & Società che in questi anni hanno,
con il loro lavoro giornaliero, contribuito sviluppare e a
realizzare molte delle idee qui riportate.
Si ringrazia inoltre il dott. Giancarlo Modanesi per la
preziosa consulenza.
Elaborazione del report:
dott. Mirko Tavella - direttore di Lavoro & Società
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Sommario
1- Modelli innovativi di servizi pubblici e privati per il lavoro. Questioni preliminari al lavoro di
modelizzazione .................................................................................................................................................. 4
1.1 Il modello Job Center nell’ambito dell’iniziativa “Fare rete per competere” .......................................... 4
1.2. Il disegno strategico della Regione Veneto .............................................................................................. 5
1.3 L’approccio alla modellizzazione ............................................................................................................... 6
1.4 Il disegno della ricerca: l’indagine in campo ............................................................................................. 7
2 – La rete ei servizi per il lavoro in provincia di Verona ........................................................................ 10
2.1 Le tappe evolutive della rete veronese ................................................................................................... 10
2.2 Prima fase di sviluppo: dalla fine degli anni 90 ai primi anni 2000 ....................................................... 11
2.3 Seconda fase di sviluppo: dalla metà degli anni 2000 al 2010 ............................................................... 12
2.4 Terza fase di sviluppo: il consolidamento della rete ............................................................................... 13
2.5 Le iniziative più recenti ............................................................................................................................ 15
2.6 Considerazioni sull’evoluzione della rete ................................................................................................ 16
2.7 Le proposte per lo sviluppo della rete .................................................................................................... 19
3 – Il Job Center nella rete dei servizi per il lavoro. Il modello veronese ............................................ 23
3.1 Premessa ................................................................................................................................................... 23
3.2 Un assetto hub&spoke ............................................................................................................................. 24
3.3 I Job Center nel contesto veronese. Il valore dell’esperienza ............................................................... 27
3.4 Le componenti chiave del modello .......................................................................................................... 29
3.5 Il sistema di governance della rete .......................................................................................................... 30
3.6 Attivazione della rete e centralità degli operatori .................................................................................. 33
4 – L’architettura istituzionale e organizzativa del modello ................................................................... 39
4.1 Il patto territoriale a l’agenzia sociale ..................................................................................................... 39
4.2 Caratteristiche e funzioni del Patto territoriale ..................................................................................... 41
4.3 Caratteristiche e funzioni dell’Agenzia Sociale ...................................................................................... 43
4.4 L’Agenzia Sociale e i processi di integrazione dei servizi ........................................................................ 47
4.5 I fattori di natura normativa e organizzativa .......................................................................................... 53
4.6 il ciclo di erogazione dei servizi ................................................................................................................ 62
4.7 Attuazione delle fasi del processo e del PAI ............................................................................................ 65
5– La centralità del profilo personale di occupabilità .............................................................................. 73
5.1 Il concetto di profiling .............................................................................................................................. 73
3
5.2 L’employability Assessment System e il costrutto di occupabilità di Smart Job ................................... 75
5.3 Il processo di Employability Assessment ................................................................................................. 77
5.4 Employability Assessment System fra Modellizzazione e Sperimentazione .......................................... 84
6– ACCREDITAMENTO JOB CENTER PRIVATI: servizi e professionalità ..................................... 86
6.1 Un nuovo accreditamento ....................................................................................................................... 86
6.2 Servizi e premialità ................................................................................................................................... 88
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1- Modelli innovativi di servizi pubblici e privati per il lavoro. Questioni preliminari al lavoro di modelizzazione
1.1 Il modello Job Center nell’ambito dell’iniziativa “Fare rete per competere”
La Regione Veneto attraverso specifici atti deliberativi ed in particolare con la DGR 448
del 04/04/2014 – Fare Rete per Competere (d’ora in poi “DGR 448”) ha promosso
l’attivazione di una rete di Job Center nel territorio veneto, attraverso un percorso di
sperimentazione e modellizzazione affidata ai soggetti e ai partenariati che hanno
presentato progetti nell’ambito dell’apposito Avviso pubblico. “Case management,
territorio e rete pubblici e privata per il lavoro”
Per la provincia di Verona, Lavoro & Società ha presentato il progetto di
modellizzazione “Smart Job: la rete dei servizi per il lavoro nella Provincia di Verona”
(Cod. progetto 4363/0/1/448/2014) che è stato approvato. Questo documento fa
sintesi dei vari interventi di sistema, denominati "workpackages" (WP), azioni di
indagine e di studio previste dal progetto finalizzato a creare un modello/proposta su
tema da affidare alla Regione Veneto.
Dalla lettura della documentazione disponibile (DGR 448/2014, Progetti presentati dai
soggetti proponenti, Avviso pubblico) il modello di Job Center prefigurato si caratterizza
per una serie di elementi distintivi:
a) ispirazione alle migliori pratiche italiane ed europee;
b) integrazione tra servizi pubblici e privati in una logica di interazione con il mondo
imprenditoriale;
c) sinergia pubblico / privato finalizzata a facilitare l’incontro tra domanda e offerta
di lavoro;
d) ubicazione in luoghi di facile raggiungibilità e accesso da parte dell’utenza /
individuazione dei locali preposti all’attività di sportello;
5
e) standard minimi di servizio / livelli essenziali delle prestazioni pianificazione e
standardizzazione delle procedure tra i soggetti che operano nella rete per
garantire servizi più efficaci ed efficienti;
f) erogazione di nuovi servizi smart di immediata spendibilità che agevolino
l’inserimento e la permanenza nel mercato del lavoro;
g) strategicità della fase di screening e profilazione approfondita dell’utenza
attraverso procedure condivise);
h) implementazione del database per l’incontro tra domanda e offerta di lavoro e
interconnessione tra i soggetti della rete territoriale e sistema nazionale /
regionale;
i) empowerment degli operatori per rispondere in modo completo ai bisogni socio
occupazionali dell'utenza;
j) implementazione di un sistema di monitoraggio e valutazione anche in una
logica di premialità dei partner maggiormente “performanti” in termini di
risultati occupazionali;
k) definizione dei criteri generali di rimborso a processo / risultato;
l) rating delle agenzie operanti sul mercato in base ai risultati conseguiti.
A ben vedere si tratta di indicazioni chiave (ricorrenti anche nella letteratura scientifica
in materia) per la definizione di linee guida e modelli innovativi di erogazione integrata
dei servizi pubblici e privati per il lavoro.
Va considerato che alcuni dei punti sopracitati, nella realtà veronese si sono già tradotti
in scelte organizzative e operative condivise e praticate con risultati significativi
nell’ambito del “Modello Agenzia Sociale” su cui si tornerà diffusamente nelle sezioni
successive del presente report.
1.2. Il disegno strategico della Regione Veneto
Gli orientamenti espressi dalla Regione Veneto stimolano alcune inevitabili
interpretazioni riferite al disegno strategico perseguito dalla Regione nel settore delle
politiche attive e dei servi per il lavoro.
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Attraverso la proposta dei Job Center la Regione intende razionalizzare e portare a
sistema le diverse esperienze di rete e di collaborazione tra soggetti pubblici e privati
già attuate nelle diverse realtà provinciali per garantire la presenza di strutture di
erogazione di servizi per il lavoro omogenei su tutto il territorio regionale.
In una prospettiva strategica, ciò significa anticipare in qualche modo gli esiti del processo
normativo di “superamento delle Province” (vedi legge Del Rio )e dei cambiamenti
nell’assetto complessivo dei servizi per il lavoro prefigurati dal Jobs Act a livello
nazionale (Legge 83/2014).
Seppur in considerazione di un quadro in evoluzione, la Regione del Veneto intende,
attraverso la proposta di lavoro sui Job Center, verificare le condizioni per realizzare
una rete efficace di servizi per il lavoro, ispirata a principi di cooperazione tra pubblico
e privato, efficacia, efficienza e qualità delle azioni e delle prestazioni, interoperabilità
tra sistemi informativi, professionalità e competenze degli operatori. Tale prospettiva
lascia immaginare una situazione in cui la Regione Veneto accompagnerà processi di
reale e organica integrazione tra i servizi nella formula dei Job Center nei territori
provinciali, nonché processi selettivi degli stessi attraverso la valorizzazione delle loro
specializzazioni professionali e delle esperienze maturate nel lavoro con i destinatari e
le imprese e l’adozione di dispositivi “selettivi” e di “mercato”.
Si tratta, ovviamente, di una possibile interpretazione del disegno regionale cui se ne
possono aggiungere altre, dato che dagli atti ufficiali della Regione Veneto non
emergono per ora indicazioni e orientamenti espliciti in merito al sistema complessivo
di governo in cui si collocheranno i Job Center (ciò è comprensibile data la speri
mentalità del processo in corso).
1.3 L’approccio alla modellizzazione
Nelle scienze sociali con il termine modello si intende uno “schema interpretativo di
riferimento” che consenta di:
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• analizzare una realtà / un fenomeno sociale, istituzionale, organizzativo,
partendo dalla osservazione diretta della realtà;
• fornirne una chiave interpretativa che consenta di individuare parti, elementi,
dimensioni e caratteristiche distintive del fenomeno analizzato;
• formulare una rappresentazione esplicativa della realtà di riferimento che ne
consenta la riconoscibilità e la trasferibilità.
In pratica, il lavoro di modellizzazione, consente di:
• definire l’architettura, la mission, i dispositivi di funzionamento di una realtà
politica, sociale, organizzativa, rendendola visibile, e riconoscibile rispetto ad
altre realtà;
• definire i risultati attesi da un determinato contesto organizzativo, in quanto
sistema intenzionalmente programmato per raggiungere specifici scopi;
• valutare la trasferibilità, la diffusione e la replicabilità di una data esperienza,
presso realtà diverse da quelle che hanno generato l’esperienza stessa.
Dal punto di vista operativo, la modellizzazione prevista dalla DGR 448/2014 prefigura
un “sistema di connessione” tra diversi soggetti, strutture e servizi” allo scopo di
“mettere insieme” risorse umane, informative, tecnologiche, finanziarie e di integrare
procedure e condividere strumenti di lavoro per garantire maggiore efficacia ed
efficienza nella soluzione delle problematiche occupazionali del territorio.
Dal punto di vista metodologico la modellizzazione è il risultato di un processo di
“tipizzazione” delle caratteristiche di un determinato fenomeno / entità (sistema,
strutture di servizio, servizi, procedure, performance) che nella realtà tenderebbe a
manifestarsi con grande variabilità in rapporto a numerose variabili di contesto e fattori
contingenti.
1.4 Il disegno della ricerca: l’indagine in campo
Per analizzare lo stato dell’arte della rete veronese, è stata realizzata un’apposita
indagine nell’ambito del Progetto Smart Job “La rete dei servizi per il lavoro nella
provincia di Verona”.
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L’indagine aveva come ambito di riferimento il territorio veronese che da anni è
interessato a pratiche positive di cooperazione pubblico/privato in materia di lavoro e di
servizi per l'impiego.
La definizione aggiornata dello "stato dell'arte della rete” è risultata utile in una
prospettiva di ulteriore sviluppo delle pratiche cooperative fra i soggetti del territorio e
per rendere più fluido ed efficace il funzionamento del mercato del lavoro locale.
Nel corso dell’indagine si è proceduto alla ricostruzione dello stato dell’arte della rete,
con i suoi punti di forza e le sue criticità.
In particolare si è preso atto di un approccio che ha visto nella cooperazione
pubblico/privato un percorso in grado di garantire risultati positivi per il territorio in
termini di governance di sistema e di efficacia organizzativa dal punto di vista della
cultura, degli strumenti e dei dispositivi di gestione operativa della rete.
L’indagine è stata effettuata nel periodo giugno settembre 2014, intervistando 21
soggetti che tramite gli Enti di appartenenza operano, direttamente o indirettamente,
nel settore dei servizi per il lavoro della Provincia di Verona.
A ciascun soggetto è stata somministrata un’intervista semi strutturata nel corso di un
colloquio della durata di tre ore.
Di seguito sono elencati gli enti di appartenenza dei soggetti intervistati.1
AIV Associazione imprenditori Villafranchesi per conto del Comune di Villafranca di
Verona
Apindustria Verona
Azienda ULSS 20 di Verona
Azienda ULSS 21
CdO Compagnia delle Opere Veneto
1 Per un approfondimento al presente documento si allegano il documenti elaborato durante il progetto, nello
specifico a questo tema : “Analisi dello stato dell’arte dei servizi del lavoro a Verona e provincia” (WP1).
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Centro Polifunzionale don Calabria
Cisl Verona
Comune di Valeggio sul Mincio (Vr) –Sportello Lavoro
Comune di Verona
Confartigianato – Upa Servizi Verona
Confcommercio
Confcoop
Enaip Veneto
Enac – Ente Nazionale Canossiamo
Fondazione Cariverona
Lavoro & Società
Manpower Spa
Medialabor Srl
Synergie Italia spa
Verona Innovazione azienda speciale CCIAA di Verona
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2 – La rete ei servizi per il lavoro in provincia di Verona
2.1 Le tappe evolutive della rete veronese
Le informazioni raccolte nel corso dell’indagine hanno consentito di individuare le
principali tappe di sviluppo della rete.
La Provincia di Verona, già alla fine degli anni ‘90 ha avviato esperienze di
collaborazione tra soggetti pubblici e privati del territorio veronese con particolare
riferimento alle azioni di accompagnamento al lavoro e sostegno delle c.d. "fasce
deboli".
Ciò ha consentito la sperimentazione di modalità avanzate di integrazione tra i CPI e
soggetti privati, coinvolti nella attuazione di diverse iniziative con risultati
indubbiamente significativi.
La ricostruzione delle tappe evolutive della rete dei servizi pubblici e privati della
provincia di Verona (documentata in modo particolarmente approfondito), è stata
possibile, non solo grazie ai colloqui con gli intervistati, ma anche attraverso fonti
informative preesistenti (libri, report, indagini) segnalate dagli stessi 2.
2 Si veda in particolare, presenti sul sito di www.lavoroesocieta.com :
- COSP, AAVV, “I profili delle disuguaglianze: dall’analisi al modello di Agenzia Sociale per il lavoro contro le discriminazioni, Grafica Scripta, 2010, Verona - indagine, realizzata nell’ambito del Progetto Pilota Regione Veneto (FSE POR 2007-2013);
- Provincia di Verona - Lavoro & Società ”La rete delle opportunità per il lavoro -
Analisi dello stato dell’arte e delle prospettive di sviluppo della rete territoriale
dei servizi nella Provincia di Verona”, Verona, 2010; - Lavoro & Società, COSP Verona , MAG Servizi Società Cooperativa, Verona
Innovazione Azienda Speciale C.C.I.A.A. VR “Il lavoro a Verona in tempo di crisi”, Verona, 2013.
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In base a questo approccio, sono state individuare quattro fasi di sviluppo della rete:
• la prima fase, che va dalla fine degli anni 90 ai primi anni 2000;
• la seconda fase, che va dalla metà degli anni 2000 al 2010;
• la terza fase che si apre con il consolidamento del ruolo dell’ Agenzia Sociale come organismo di coordinamento della rete;
• le iniziative più recenti
2.2 Prima fase di sviluppo: dalla fine degli anni 90 ai primi anni 2000
In questo periodo, la Provincia di Verona vive una fase di forte espansione economica
con un tasso di disoccupazione definito, per anni, “fisiologico”.
Tale fase è incentrata su un sistema produttivo e valoriale a base familiare e distrettuale che determina un significativo miglioramento delle condizioni materiali e di benessere diffuso.
Ne conseguono alcuni orientamenti specifici, quali una diffusa propensione
all’autoimprenditoria e una generale fiducia nelle possibilità di inserimento e
reinserimento professionale.
In questo clima, a partire dagli anni novanta, si susseguono sperimentazioni innovative
di servizi per l’orientamento e la formazione ispirate a modelli europei (Job Center,
Centri Retravailler, fino a giungere alla sperimentazione di una Città dei Mestieri e delle
Professioni) e nazionali (Scuole della seconda opportunità, Servizi di informazione e
animazione giovanile, ecc.) che perseguono l’obiettivo di innalzare il livello di
progettualità, sviluppo e competenze dei cittadini e delle imprese.
Negli anni novanta la fitta rete di centri di formazione professionale veronesi
(storicamente attivi e tradizionalmente impegnati nel supportare l’inserimento socio-
professionale dei giovani e di categorie protette) si costituiscono in forme associative
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(Forma Verona) per fornire risposte condivise alle evoluzioni normative che regolano
l’obbligo scolastico.
Ne emerge un progressivo ruolo di stimolo del privato sociale (direttamente a contatto
con i bisogni delle fasce più deboli della popolazione) nei confronti di politiche locali
per la formazione e l’inserimento professionale.
A partire dal 2000 (e per i successivi 4 anni), in occasione del primo finanziamento FSE
A1, finalizzato al miglioramento dei servizi per l’impiego, alcuni soggetti locali
FormaVerona, Cosp e Cedis diventano punti di riferimento per l’erogazione presso i
Centri per l’Impiego provinciali, sia di attività di orientamento che di attività di coaching
e supervisione per gli operatori nel quadro delle novità introdotte dalla riforma dei
servizi all’impiego del 1998.
In conclusione, questa prima fase “pionieristica” di sviluppo delle collaborazioni tra
soggetti diversi, sancisce “una rete di reciproca conoscenza e collaborazione” (dentro
e fuori partnership formalizzate) tra operatori e servizi, tecnici e decisori istituzionali
che favorisce la consapevolezza da parte degli Enti / Operatori dei servizi di “Essere in
rete e cioè insieme nella soluzione di alcuni bisogni dei cittadini e delle imprese”.
2.3 Seconda fase di sviluppo: dalla metà degli anni 2000 al 2010
Questa seconda fase, che va dai primi anni 2000 al 2010, è contrassegnata dalle
trasformazioni del mercato del lavoro (flessibilizzazione prima e congiuntura negativa
poi) e dalle evoluzioni normative (decentramento, riforme amministrative e dei servizi
all’impiego) che ridisegnano le diverse esperienze locali nel quadro di standard
regionali3 e legittimano definitivamente una prospettiva mista pubblico/privato nella
progettazione e attuazione di politiche per il lavoro locali.
In questa prospettiva si realizzano esperienze che vedono operatori pubblici e privati
lavorare fianco a fianco consolidando la consapevolezza di reciproche risorse e limiti.
3 Vedi Accreditamento dei servizi di orientamento, formazione servizi per il lavoro.
13
Ciò spinge la provincia di Verona, già a partire dal 2005/2006, a consolidare
l’attribuzione di alcuni funzioni specialistiche (dispositivi di orientamento, formazione
professionalizzante e accompagnamento al lavoro, inserimento lavorativo di persone
differentemente abili) ad Enti Accreditati dedicati per mission e vocazione a
perfezionare modelli e metodologie di intervento contro lo svantaggio.
Tra i progetti più significativi, che grazie al contributo regionale favoriscono il processo
di scambio e integrazione tra servizi pubblici e privati veronesi, è opportuno citare:
1) Gli “Interventi di orientamento per adulti” a partire dal 2003; 2) Il Progetto FSE Outplacement - 2006/07; 3) Il Progetto FSE A1 - 2006/07; 4) Il Progetto Over 45 Age Management 2007/2008; 5) I Progetti FSE Linea 2 Occupabilità 2009/2010; 6) I Progetti FSE Linea 1 Occupabilità 2009/2010
Per comprendere il fenomeno dello sviluppo della Rete nel territorio veronese, va
ricordato che nel 2006 l’Istituto A. Provolo, il Centro Polifunzionale Don Calabria, la
Compagnia delle Opere di Verona, il Centro di Solidarietà di Verona (affermatesi, anche
attraverso le esperienze sopra richiamate, come punti di riferimento per le politiche
attive del lavoro) costituiscono una Agenzia Sociale - Società consortile non a scopo di
lucro, denominata Lavoro&Società 4.
2.4 Terza fase di sviluppo: il consolidamento della rete
In questa fase, a partire dal 2010, si consolida il ruolo della Agenzia Sociale”, attraverso
forme e dispositivi più efficaci per l’inclusione socio professionale delle persone in
condizione di svantaggio (tradizionali e nuove).
4 La società opera in qualità di “Agenzia Sociale” (secondo quanto previsto dal D.lgs 10 settembre 2003 n. 276) in favore dell’inserimento o reinserimento nel mercato del lavoro dei lavoratori svantaggiati anche in convenzione con soggetti pubblici e/o privati (agenzie di somministrazione o altri soggetti autorizzati).
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Un passaggio cruciale nella direzione della definizione di questo modello è
indubbiamente rappresentato dal Progetto PIPP5.
Attraverso questo progetto per la prima volta in campo nazionale, si avvia una concreta
esperienza di integrazione pubblico/privato sulla base di regole e disposizioni
normative fino a quel punto rimaste senza fattiva applicazione.
L’esperienza si caratterizza per alcuni principali aspetti:
a) il ruolo delle Apl (Agenzie per il Lavoro), con la possibilità di assumere lavoratori in posizione di svantaggio nel mercato del lavoro, derogando all’obbligo di assegnare loro un trattamento economico e normativo complessivamente non inferiore a quello dei dipendenti di pari livello dell’azienda presso la quale i lavoratori sono inviati in missione (a parità di mansioni svolte e a condizione che l’Apl assuma per non meno di sei mesi);
b) l’assegnazione di una dote di sostegno al reddito per ogni beneficiario (1000 euro erogati tramite apposita procedura concordata con l’Inps, elemento questo di grande innovazione) trasformabile in incentivo aziendale in caso di assunzione di qualsiasi natura;
c) la presenza di due figure chiave quali l’ “agente di sistema” (Case manager) e il Tutor unico di accompagnamento dell’utenza;
d) la segnalazione di persone in condizione di svantaggio, anche attraverso gli enti locali (servizi sociali e di orientamento al lavoro) tramite la definizione di apposite procedure di rinvio.
L’Agenzia Sociale comincia ad operare in convenzione diretta con la Provincia di
Verona, in base alla Delibera del Consiglio provinciale del 15 aprile 2009, n. 29 che le
affida, delineando i presupposti giuridici, il “servizio di accompagnamento al lavoro per
categorie di lavoratori svantaggiati nonché l’integrazione tra politiche attive e passive
del lavoro”.
Nella più recente Delibera della Giunta Provinciale di Verona n° 130 del 04 giugno 2013
(che rinnova la n° 134 del 3 giugno 2010) l’Agenzia è chiamata a svolgere un ruolo
5 P.I.P.P. – Piano di Integrazione Pubblico e Privato “Un modello per la realizzazione dell’integrazione dei servizi, a favore
di “soggetti svantaggiati” realizzato nel 2010, presente sul sito WWW.lavoroesocieta.com.
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strategico anche come punto di animazione e di coordinamento operativo dell’intera
rete territoriale.
Dal punto di vista della legittimazione normativa dell’Agenzia Sociale, va ricordato che
nel 2009, la Regione Veneto con la Legge n° 3/2009 “Disposizioni in materia di
occupazione e mercato del lavoro”, all’ all’articolo 26 dispone che “Al fine di favorire
l’inserimento/reinserimento lavorativo dei lavoratori svantaggiati (…) le province
possono costituire agenzie sociali, di cui all’articolo 13, del D.lgs 2003, n. 276 (…) previo
il loro accreditamento ai sensi dell’articolo 25 della presente legge”.
2.5 Le iniziative più recenti
Attualmente l’operatività della rete è assicurata da convenzioni e collaborazioni
organiche con le diverse istituzioni interessate al mercato del lavoro, ad esempio: il
Comune di Verona, la Regione Veneto, l’Agenzia Regionale Veneto Lavoro, la
Fondazione Cariverona, la Fondazione Marco Biagi, il centro studi Adapt, l’Università di
Modena e Reggio Emilia, l’Università di Verona.
A sottolineare il ruolo strategico attribuito all’Agenzia Sociale, vanno ricordate ancora
una volta le convenzione più volte rinnovate e sottoscritte tra Provincia di Verona e
l’Agenzia stessa per l’affidamento del “Servizio di accompagnamento al lavoro per
categorie di lavoratori svantaggiati nonchè l’integrazione tra politiche attive e passive”6
In merito al ruolo assunto dalla Agenzia Sociale come strumento riconosciuto di
sviluppo della rete territoriale dei servizi, va citata anche la solida collaborazione con la
Fondazione Cariverona che ha consentito l’attuazione di alcuni fondamentali interventi
di inclusione occupazionale e con il Comune di Verona coinvolto come partner
essenziale della rete, nell’ ampliamento della gamma dei servizi offerti ai cittadini e alle
imprese.
6 I percorsi per lavoratori svantaggiati, riproposti in più edizioni (quella del 2014 – 2015 è attualmente in corso) sono
frutto della collaborazione tra diversi soggetti del territorio. La Provincia di Verona svolge il ruolo di capofila, mentre la
Fondazione Cariverona concorre con un significativo finanziamento. Ad esse, si affiancano, in qualità partner, le Aziende
Ulss 20, 21, 22 ed il Comune di Verona, nonché l’Agenzia Sociale.
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Un ulteriore iniziativa, più volte richiamata dagli intervistati (che può rappresentare in prospettiva un importante elemento di innovazione dell’esperienza veronese), è rappresentata dal “Tavolo di Lavoro”, istituto in vista del ciclo di programmazione dell’Unione Europea 2014 – 2020 e del nuovo POR della Regione Veneto.
Il Tavolo convocato per iniziativa della Provincia di Verona in prima seduta a novembre 2013, ha poi subito una battuta d’arresto nella seconda metà del 2014 a causa del superamento delle Province, determinato dalla c.d. “Legge Delrio”7.
Il Tavolo ampiamente partecipato da una molteplicità di attori interessati al settore delle politiche sociali e del lavoro 8, potrebbe opportunamente essere riattivato una volta chiarita la questione della ripartizione delle competenze in materia di politiche del lavoro tra Stato, Regioni, Area Vasta, Città metropolitane.
2.6 Considerazioni sull’evoluzione della rete
Dalle interviste realizzate, sono emersi in prima battuta, una serie di elementi comuni,
richiamati di seguito.
• Il riconoscimento che negli ultimi 15 anni a Verona si è registrato un forte spirito di collaborazione e condivisione di iniziative, progetti e informazioni che ha portato alla costituzione di una rete (inizialmente per lo più informale) che di volta in volta si costituiva pro tempore in occasione di Bandi e specifici programmi di intervento promossi a livello regionale e provinciale.
• La presa d’atto che a partire dai primi anni 90, la Provincia di Verona ha avuto parte attiva nella programmazione dei servizi per il lavoro, dando legittimità istituzionale alla rete dei soggetti pubblici e privati attraverso un modello di governance che è andato via consolidandosi nel tempo.
• L’opinione che, inizialmente, la rete ha lavorato con particolare impegno sui temi del lavoro, dell’orientamento al lavoro, scolastico e professionale e poco sui servizi sociali, ma che negli ultimi anni è stato avviato un processo di integrazione anche con
7 Legge n.56/2014 “Disposizioni sulle città metropolitane, sulle province, sulle unioni e fusioni di comuni”. 8 Provincia di Verona, Servizi Promozione Lavoro Comune di Verona., Fondazione Cariverona, Verona Innovazione – CCIAA, Conferenza dei Sindaci della ULSS 22, Servizi Sociali e Territoriali ULSS 20, Servizi Sociali e Territoriali ULSS 21, Servizi Sociali ULSS 22, Confcooperative, Centro Polifunzionale Don Calabria, Agenzia Sociale Lavoro & Società.
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gli enti e i soggetti che erogano questo tipo di servizi, partendo dal presupposto che la condizione di disoccupazione porta con se inevitabilmente anche problematiche di natura sociale.
• Per quanto riguarda il presidio istituzionale, in generale, viene riconosciuto alla Provincia, al Comune di Verona e alle Conferenze dei sindaci di avere svolto un ruolo particolarmente incisivo e determinate nel processo di integrazione tra politiche del lavoro e politiche sociali.
• Si registra una diffusa preoccupazione per la fase di incertezza che si è aperta nel settore delle politiche del lavoro a seguito del superamento delle Province e della redistribuzione delle deleghe in materia tra Stato, Regioni ed Enti Locali (in prospettiva Area vasta e Città metropolitane).
• E’ convinzione diffusa che anche in questa fase di incertezza sia necessario mantenere nel territorio qualche strumento / dispositivo / organismo che tenga in vita la rete garantendone l’operatività.
• Senza trascurare le considerazioni critiche, molti attori significativi del territorio vedono nella Agenzia Sociale (di cui si tratterà più diffusamente in seguito) che opera a Verona fin dal 2006, l’organismo più idoneo ad assicurare l’operatività della rete.
• Si sottolinea da più parti, che nell’ambito della programmazione UE 2014 – 2020 e del POR della Regione Veneto saranno disponibili ingenti risorse che richiedono uno sforzo congiunto di progettualità e di vision per dare vita ad interventi e iniziative condivise e compartecipate (in particolare attraverso il Tavolo di Lavoro istituito nel novembre 2103 e attualmente in fase di “stallo” in attesa di chiarimenti sul ruolo futuro della Provincia nella programmazione delle politiche del lavoro).
• Si ritiene che i Bandi della DGR 448, abbiano opportunamente stimolato la costituzione di collaborazioni e partnership interessanti per lo sviluppo della rete (o meglio delle reti) anche se ancora non si intravede la presenza di un indirizzo complessivo di sistema stabile.
• Per quanto riguarda in generale la valutazione dello stato dell’arte della rete dei servizi pubblici e privati nel territorio veronese si registrano punti vista articolati a seconda del ruolo e della mission degli enti di appartenenza degli intervistati.
Nel corso delle interviste è stato chiesto ai partecipanti di esprimere un parere in merito
alle principali criticità della rete territoriale dei servizi pubblici e privati.
A seguito della rilevante quantità di informazioni, opinioni e spunti di riflessione acquisiti
nel corso delle interviste, è stata elaborata una rassegna dei principali elementi di
criticità segnalati dai partecipanti
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Un primo elemento è riferito al possibile vuoto di leadership politico – istituzionale
(determinato a seguito del “superamento” delle Province) in grado di interpretare
l’interesse della rete nell’ambito di uno spazio istituzionalmente definito a livello locale.
In sostanza, da parte di molti degli intervistati, appare chiara l’esigenza di individuare
uno o più soggetti in grado di colmare tale vuoto: Comune di Verona? Conferenze dei
sindaci? Parti sociali? Nonché adeguati organismi operativi e di coordinamento della
rete: Tavolo istituzionale? Agenzia Sociale in forma più evoluta? Patto territoriale?
Un secondo elemento che accomuna l’opinione espressa dagli intervistati è la presenza
ancora debole di pratiche e dispositivi di governance multilivello (aspetto strettamente
collegato al punto precedente) intesa come capacità di coordinare la filiera istituzionale
territoriale.
Non va dimenticato che tale filiera, in prospettiva, sarà composta da:
• Regione Veneto e suoi organismi tecnici (Veneto Lavoro);
• Provincia eventualmente evoluta in ente di Area vasta;
• Comuni e dalle loro associazioni;
• Conferenze dei sindaci;
• Ministero del Lavoro alla luce dei processi di riforma in atto a livello nazionale (vedi istituzione di una “Agenzia nazionale” preposta al coordinamento dei CPI);
• dai soggetti di rappresentanza della società civile (Parti sociali).
Altro elemento problematico emerso dall’indagine, è rappresentato dalla
frammentazione nella programmazione delle politiche di inclusione, funzione
attualmente distribuita tra quel che resta delle Provincie (politiche del lavoro), Comuni
e ULSS (politiche sociali) che non consente ancora di assumere il territorio come ambito
naturale di riferimento per l’analisi condivisa dei bisogni dei cittadini e delle imprese,
ricercando le opportune connessioni intersettoriali tra interventi e servizi di diversa
natura (versante lavoro, sociale, assistenziale, ecc.).
Altre criticità segnalate dagli intervistati, sono:
• lo scarso raccordo tra politiche di inclusione, imprese e politiche di sviluppo locale che, soprattutto in periodo di crisi, rischiano paradossalmente di “orientare” e “accompagnare” ad un lavoro che non c’è;
19
• la precarietà e l’insufficienza della dotazione finanziaria a supporto della rete, in quanto legata a fonti di finanziamento variabili, disorganiche e frammentate che impediscono la stabilizzazione della rete stessa e la certezza di continuità nella erogazione dei servizi;
• l’insufficienza numerica e la scarsa valorizzazione economica e professionale degli operatori dedicati alla progettazione, promozione, erogazione, valutazione dei servizi;
• l’insufficiente copertura del territorio per garantire i diritti universali di accesso ai servizi e relazioni ancora troppo deboli con il mondo delle imprese;
• scarsa capacità di attivazione della rete per cogliere tutte le opportunità offerte dal nuovo ciclo di programmazione dell’Unione Europea 2014 – 2020 (Bandi, programmi, ecc.).
2.7 Le proposte per lo sviluppo della rete Dal confronto con gli intervistati è emersa principalmente l’esigenza di stabilizzare la rete dei servizi pubblici e privati per il lavoro, attraverso alcune principali direttrici di intervento. Tali direttrici sono così sintetizzabili:
1) dare visibilità e “portare a regime” quanto già realizzato nel territorio veronese sul versante delle politiche e dei servizi per il lavoro sia pubblici che privati (promozione del modello veronese);
2) assumere la programmazione integrata come prassi condivisa per rispondere più efficacemente ai bisogni delle persone, delle imprese, degli operatori del settore e del territorio (governance di sistema);
3) migliorare le possibilità di scambio e cooperazione attraverso appositi strumenti informativi e formativi quali il sistema informatico, la comunità di pratica, la formazione continua degli operatori (strumenti di supporto alla rete);
4) offrire garanzie di omogeneità, affidabilità e riconoscibilità dei servizi controllandone l’efficacia e l’efficienza attraverso un apposito sistema di standard minimi di qualità o di livelli essenziali delle prestazioni assicurati da tutti i servizi pubblici e privati della rete (standardizzazione dei servizi e garanzia dei
livelli essenziali delle prestazioni); 5) innovare l’offerta di servizi alle imprese e le modalità di contatto / relazione con
le stesse per l’individuazione delle figure professionali realmente ricercate e per
20
fornire loro adeguato supporto in caso di esubero di personale difficilmente ricollocabile (forte attenzione ai bisogni e allo sviluppo delle imprese);
6) sostenere la nascita e lo sviluppo di imprese, enti no profit, cooperative, onlus, e valorizzare l’impresa sociale quale fattore di sviluppo sostenibile dell’economia locale (diffusione dei servizi a sostegno dell’autoimprenditorialità);
7) sviluppare forme di collaborazione con i Comuni e con le Conferenze dei sindaci, in quanto soggetti privilegiati per l’individuazione e il coinvolgimento dell’utenza potenziale e il rinvio ai servizi della rete (valorizzazione e riconoscimento del ruolo
centrale dei Comuni); 8) valorizzare la funzione dei servizi in rete come osservatorio privilegiato dei
bisogni e delle condizioni di lavoro dei cittadini e delle imprese e quindi, come strumento di supporto alla programmazione degli interventi e dei servizi (monitoraggio dei processi di erogazione dei servizi);
9) predisposizione e presentazione di progetti comuni per accedere alle diverse forme di finanziamento disponibili destinate ad iniziative attinenti gli ambiti di interesse della rete (diffusione della prassi delle co – progettazione);
10) formare e aggiornare figure professionali innovative con competenze multidisciplinari e intersettoriali (quali ad esempio il Tutor unico e il Case manager) per garantire la presenza nel territorio di operatori qualificati (diffusione e valorizzazione di ruoli professionali chiave);
Altro elemento comune emerso dalle interviste, è che la rete per funzionare
adeguatamente ha bisogno di regole di condotta o se si preferisce di meccanismi
operativi certi e condivisi che assicurino stabilità e coerenza di comportamento tra i
soggetti che la compongono.
Le regole devono essere stabilite dai soggetti stessi e per risultare efficaci devono
essere formalizzate.
A parere degli intervistati, alcune regole possono riguardare l’istituzione di appositi
organismi di coordinamento chiamati a riunirsi con cadenza periodica, l’adozione di
strumenti e modalità condivise di circolazione periodica delle informazioni, la
condivisione di un sistema di standard e di livelli essenziali delle prestazioni nella
erogazione dei servizi, ecc.
Il tema del coordinamento della rete richiama inevitabilmente il concetto di
governance.
21
La visione della governance emersa dal lavoro di indagine, si caratterizza per il
coinvolgimento attivo di una pluralità di livelli e di soggetti istituzionali, tecnici e sociali,
pubblici e privati, nella programmazione e attuazione delle politiche del lavoro.
In questo senso si può parlare di governance territoriale multiattore, in riferimento
all’esigenza di integrare soggetti diversi, al fine di creare “reti virtuose” in grado di
perseguire risultati condivisi e migliorare, quindi, gli interventi di politica attiva del
lavoro 9.
Per quanto riguarda la prospettiva futura della rete, questa risulta fortemente legata:
• ad una evoluzione di scenario centrata sull’integrazione delle politiche settoriali (occupazionali, sociali, economiche) conseguita attraverso dispositivi e modelli di governo multiattore pubblico - privato;
• alla presenza di organismi di rappresentanza in grado di assicurare un presidio stabile ed efficace alle politiche del lavoro, inteso in una accezione ampia (partenariato allargato, funzione di coordinamento della rete, stabilità organizzativa, ampliamento della gamma dei servizi e dei beneficiari, stabilità delle risorse economiche a supporto della rete)
In questa prospettiva, il Tavolo di Lavoro costituito per iniziativa della Provincia di
Verona nel novembre 2013 e la proposta di stipula di un Protocollo d’intesa a livello
territoriale in vista del ciclo di programmazione 2014 – 2020, rappresentano una
soluzione condivisa da tutti gli intervistati in direzione di una nuova e innovativa fase di
sviluppo della rete.
Va ricordato che il Tavolo nel corso della propria attività, aveva individuato i seguenti
oggetti di interesse comune:
1) valorizzazione delle esperienze e delle competenze acquisite dai diversi attori della rete nell’ambito del sistema integrato dei servizi territoriali pubblici, privati e del privato sociale a sostegno dell’occupazione e dell’inclusione sociale, nonché della formazione professionale, dell’orientamento e dello sviluppo del sistema delle imprese;
9 Per un approfondimento del tema della governance dei servizi pubblici si suggerisce la lettura dell l’articolo di F. Verbaro
“I servizi per il lavoro, il ruolo del pubblico e la fuoriuscita dalla crisi, Bollettino ADAPT, novembre 2009.
22
2) diffusione del “modello veronese”, caratterizzatosi nel tempo come buona pratica trasferibile e replicabile e adozione nelle linee di programmazione dei diversi attori territoriali di un sistema provinciale stabile, strutturato e condiviso nei settori di interesse, con elevati livelli di interazione istituzionale e di collaborazione organica tra soggetti pubblici e soggetti privati;
3) consolidamento e diffusione di relazioni e collaborazioni con soggetti e organismi preposti allo sviluppo dell’economia locale e con il sistema delle imprese, nella consapevolezza che un più puntuale ed efficace raccordo tra la domanda e l’offerta di lavoro è possibile solo a fronte dell’ascolto dei bisogni delle imprese, da considerare tra i principali “agenti” dello sviluppo economico del territorio;
4) definizione e attuazione a livello territoriale di servizi socio - lavorativi innovativi, coerenti con gli indirizzi previsti a livello regionale, nazionale e dell’Unione Europea per il ciclo di Programmazione 2014- 2020, miranti all’ampliamento della platea dei potenziali beneficiari dei servizi;
5) mappatura e valutazione di accesso alle diverse opportunità e fonti di finanziamento previste dal periodo di Programmazione dell’Unione Europea 2014 – 2020, nonché ad ulteriori fonti di finanziamento, pubbliche e private, disponibili a livello locale, regionale e nazionale, per mezzo di appropriati strumenti e metodologie di progettazione intersettoriale e multiattore.
Per gli intervistati si tratta di ambiti di interventi, estremamente attuali, che
andrebbero ripresi, ed eventualmente ricondotti nell’ambito di un “Patto per il lavoro”
sottoscritto da tutti i soggetti interessati a consolidare e a non disperdere l’esperienza
e la professionalità che caratterizza la rete veronese dei servizi per il lavoro.
23
3 – Il Job Center nella rete dei servizi per il lavoro. Il modello veronese
3.1 Premessa
Come è noto in Italia e nella nostra regione non esistono i Job Center, almeno per come
sono intesi nelle esperienze internazionali (Gran Bretagna, in primis) che ne hanno fatto
un punto di forza dei sistema dei servizi di welfare per il lavoro. Con il termine Job
Center si indica “a government office where unemployed people can go for
advice and information about jobs that are available”10; esso pertanto sta ad indicare
un centro pubblico, da intendersi come pubblica amministrazione, cui si possono
rivolgere tutti coloro che sono in cerca di un lavoro e verificare se ce ne sono di
disponibili.
In questo senso il Job Center si avvicina di più, almeno nel suo carattere di servizio
pubblico, al nostro Centro per l’impiego (CPI), per quanto il centro inglese ha anche
compiti relativi al riconoscimento di benefit al disoccupato anche a carattere sociale.
E’ necessario premettere, dunque, che l’uso del termine Job Center in questo report
riveste solo il significato letterale di centro per il lavoro che comprende sia centri
pubblici, sia centri privati accreditati e/o autorizzati.
Ed ecco che, allora, quando parliamo di modellizzazione dell’organizzazione dei Job
Center facciamo riferimento non solo ad un specifico centro o servizio per il lavoro
pubblico o privato che sia, ma anche a come, nel quadro normativo nazionale e
regionale e della pratica radicata nella Regione Veneto , i servizi operano.
D’altra parte, anche i Job Center inglesi, si avvalgono di una rete di soggetti privati che
mediante rapporti contrattuali appositamente definiti forniscono servizi informativi
complementari per favorire una rapida fuoriuscita dalla condizione di disoccupazione
da parte dei disoccupati.
10 Per un approfondimento si rimanda al capitolo 5 (WP5) e all’allegato “Employability Assessment System”, la cui prima
parte è dedicata all’analisi delle esperienze estere (WP2)
24
L’evoluzione del modello, prefigurato dalle attività di modellizzazione e
sperimentazione del progetto, richiederà un adeguamento al fine di poter dare risposta
ad un numero consistentemente più alto di potenziali beneficiari di politica attiva e di
coinvolgere nella rete territoriale le istituzioni e gli Organismi in modo più mirato e
qualificato nella logica più volte richiamata della “governance pubblica ad erogazione
multiattore”.
Il sistema, in prospettiva dovrebbe caratterizzarsi per ordinarietà, stabilità e continuità
dei servizi, oltre a garantire l’universalità del servizio ai cittadini disoccupati attraverso
la centralità del governo pubblico delle politiche attive del lavoro .
3.2 Un assetto Hub&Spoke
La rilevazione sinteticamente restituita nel capitolo precedente evidenzia come il
carattere peculiare del territorio veronese sia rappresentato dalla presenza
dell’Agenzia Sociale e di una rete di soggetti che in modo più o meno diretto opera in
collaborazione per erogare politiche del lavoro e politiche sociali integrate a favore dei
soggetti svantaggiati.
L’assetto organizzativo della rete veronese dei servizi per il lavoro risulta ispirato al
modello Hub & Spoke. Questo modello esprime un’idea dinamica, prima che
strutturale, delle prestazioni collegate ai gradi di bisogno del cittadino: in presenza di
una determinato livello di complessità della condizione della persona si attivano sedi di
servizio territoriali e prestazioni più confacenti alle esigenze della persona stessa.
In questo senso, possiamo parlare di una rete integrata che comprende sia servizi di
base ( Accoglienza, orientamento, DID, …), sia servizi specialistici (SIL ULSS, servizi
sociali dei comuni, distretti, centri diurni e cooperative per percorsi di inclusione
sociale, …).
In prima approssimazione, la rappresentazione grafica del modello, è quella illustrata
nella figura seguente.
25
All’interno di questo modello, si propone un “doppio canale” di gestione, soggetti
disoccupati e soggetti svantaggiati, al fine di essere in grado di dare risposte
differenziate ai bisogni differenziati, con strumenti di erogazione adeguati alle loro
esigenze, in particolar modo alla categoria dei soggetti svantaggiati che necessita di
interventi complessi di inclusione sociale.
I centri principali, o di riferimento, di questo modello di Job Center sono 3:
A. I CPI
B. L’agenzia sociale
C. Job Center privati accreditati
In questi 3 (tipi di) centri si concentra la maggiore erogazione di prestazioni,
differenziate da centro a centro, con particolare riferimento alle prestazioni di
accoglienza, orientamento e presa in carico.
26
I centri periferici, ovvero i servizi sociali dei comuni, i servizi di inserimento lavorativo
delle ULSS, i servizi accreditati per il lavoro e la formazione, svolgono la doppia funzione
di:
i. indirizzare (invio) ai centri principali le persone per attivare prestazioni congrue
ai bisogni e ai diritti dei cittadini ( ad esempio: prestazioni previdenziali, accesso
agli AA.SS. assistenza al reddito e assistenza sociale, percorsi multi attore in
presenza di svantaggio sociale);
ii. ricevere (accogliere) le persone indirizzate dai centri principali per la
realizzazione di percorsi di politica attiva del lavoro e di inclusione sociale attiva.
In questo modo, sul territorio veronese, insiste una rete in cui alcune attività si
concentrano nei centri principali e altre sono garantite dai centri cd periferici.
L’interoperabilità tra i soggetti del modello-rete è garantita, oltre che dalle
caratteristiche di ogni soggetto e dalle funzioni assegnate (ex lege/normativa
regionale), dalla presenza di una rete informativa ( SILV-IDO)11 che permette, in modo
univoco, la presa in carico e la gestione degli interventi.
L’agenzia sociale si configura così non tanto come soggetto che eroga servizi e
prestazioni al cittadino, (anche) ma soprattutto come soggetto capace di aggregare,
promuovere e coordinare a livello territoriale i centri periferici secondo una logica
generativa e non meramente esecutiva.
Su questo modello, dunque, si innesta un processo di servizio articolato.
L’efficacia dei percorsi a sostegno dell’inclusione socio occupazionale dipende anche
dalle sequenze operative dei percorsi stessi, sequenze da cui deriva normalmente il
processo di attivazione della rete dei servizi territoriali (e non viceversa come a volte
accade).
11 Anche grazie al confronto con altre provincie, nel progetto di modellizzazione si elaborati alcuni di documenti, sottoposti
alla Regione Veneto e alla società operativa Veneto lavoro, in cui si prospettano i possibili sviluppi della piattaforma IDO
per far fronte ai bisogni del “sistema” e degli operatori nelle espletamento delle loro attività (WP6).
Nello specifico il primo documento sintetizzato nella “Tabella RAFFRONTO EAS – IDO” propone un’implementazione
della raccolta dati degli utenti degli per una profilazione che tenga conto non solo degli elementi ascritti delle persone per
arrivare ad un indice di occupabilità maggiormente rispondete alla realtà della persona. Ma per un ulteriore
approfondimento si rimanda alla sezione profilazione.
Il secondo documento “implementazione IDO - cruscotto di controllo” propone un’implementazione di IDO, inteso come
“cruscotto di controllo” dove gli operatori possono governare i percorsi di accompagnamento al lavoro, inserendo e
ricavando informazione dai vari punti della rete dei servizi (JC, CPI, agenzia sociale, enti accreditati, servizi sociali, ecc).
Un tale strumento è condizione necessaria per l’implementazione del case management, approccio ritenuto dalla letteratura
essenziale per una proficua attuazione delle politiche attive.
27
Nel modello proposto, tale sequenza è ispirata ad un percorso logico – sequenziale
articolato in cinque fasi:
1) accoglienza e informazione all’utente
2) profiolazione e valutazione dell’ occupabilità dell’utente
3) definizione di un piano di intervento personalizzato
4) pre – selezione dei beneficiari
5) attuazione dell’intervento attraverso il coinvolgimento di più servizi, con l’ausilio di
figure innovative, quali Case manager e Tutor unico
6) monitoraggio e valutazione dell’intervento.
A partire dal processo appena descritto, che approfondiremo più avanti nel capitolo
4.5, è possibile identificare ulteriori elementi di successo delle pratiche di inserimento
occupazionale, ad esempio:
• l’utilizzo di approcci multidisciplinari, capaci di coinvolgere ambiti settoriali diversi
(sanità, sociale, lavoro, abitazione, sostegno al reddito) e strutture di servizio diverse
(CPI, Agenzie per il lavoro, CFP, Servizi sociali, ecc.);
• la forte attenzione dedicata all’incontro tra domanda ed offerta di lavoro, attraverso
i circuiti di occupabilità dei servizi pubblici e privati per il lavoro e il coinvolgimento
diretto del sistema delle imprese;
• l’utilizzo convergente delle misure disponibili di sostegno al reddito per assicurare
un livello minimo di sicurezza economica, in assenza del quale le persone
difficilmente sarebbero disposte a “mettersi in gioco”.
3.3 I Job Center nel contesto veronese. Il valore dell’esperienza
L’idea di Job Center che sta maturando tra i principali attori interessati alle politiche
attive del lavoro nel territorio di Verona è orientata alla massima valorizzazione di ciò
che già esiste in termini di modello di governance e di offerta reale di prestazioni da
parte di soggetti pubblici e privati e si fonda, quindi, sui seguenti presupposti:
28
1) presenza di un livello di governo pubblico ad erogazione multi attore pubblico –
privato, laddove la programmazione delle politiche sia ancora prerogativa della
Provincia (almeno in una fase di transizione) con il coinvolgimento attivo del
Comune di Verona, dei Comuni in generale, delle Conferenza dei Sindaci delle ULSS,
delle Fondazioni Bancarie (per il ruolo pubblico che rivestono) e l’erogazione di
servizi di base assicurata dai CPI in una logica di integrazione con altri operatori
privati e del privato sociale accreditati;
2) ruolo attivo dei servizi per l’impiego pubblici intesi come parte fondante ed
essenziale del sistema per lo svolgimento di attività chiave, quali ad esempio
l’inserimento nelle banche dati e relativa dichiarazione di immediata disponibilità
(DID), stipula formale del Patto di servizio (Pds), profilazione utenza e definizione
del PAI in collaborazione con l’Agenzia sociale e con altri soggetti accreditati /
autorizzati coinvolti nel ciclo integrato di erogazione dei servizi;
3) presenza della Agenzia sociale come organismo stabile e fulcro della rete
territoriale dei servizi, con funzioni di coordinamento, animazione, regolazione,
supporto alla rete territoriale, nonché di presidio delle fasi cruciali di erogazione dei
servizi stessi, in particolare per la connessione con i servizi socio sanitari delle ULSS
del territorio per la gestione dei percorsi di inclusione;
4) presenza selettiva e qualificata di soggetti e operatori privati autorizzati /
accreditati per lo svolgimento di servizi e attività specialistiche con particolare
attenzione alla domanda delle imprese, tramite il potenziamento delle attività di
promozione e marketing (i Job Center in particolare possono integrante del sistema
operando attraverso forme specifiche e regolate di collaborazione con i CPI e con
l’Agenzia sociale);
5) ruolo centrale dei Comuni e delle Conferenze dei sindaci – ULSS, come parte
integrante del sistema, attraverso la stipula di apposite convenzioni con la Provincia
di Verona e la collaborazione organica con l’Agenzia sociale e altri soggetti
accreditati, per la promozione di interventi a sostegno dell’occupazione (nel
territorio di Verona sono già presenti numerosi Sportelli lavoro di cui è possibile
prefigurare una ulteriore evoluzione in una prospettiva di integrazione con i servizi
sociali).
29
In sostanza, nel contesto veronese i Job Center possono trovare una efficace
collocazione come struttura ad alto valore di innovazione nella rete dei servizi pubblici
e privati, purché tale struttura sia opportunamente e funzionalmente inserita
nell’ambito di un modello di governance che possa garantire l’effettiva regolazione e
coordinamento della rete.
D’altra parte, la rete veronese vanta una solida esperienza di integrazione tra politiche
del lavoro e politiche sociali, attuata con il contributo di diversi attori pubblici e privati
(Provincia, Comune di Verona, altri Comuni, ULSS, Fondazione Cariverona).
3.4 Le componenti chiave del modello
La rete veronese dei soggetti pubblici e privati, assicura una offerta ampia di servizi ai
cittadini e alle imprese, attraverso percorsi che rispondono a precisi standard e
metodologie di lavoro, la cui efficacia è garantita dalla presenza di figure professionali
ad alto contenuto professionale dedicate alla integrazione della rete e all’
l’accompagnamento all’ inserimento occupazionale.
Si tratta di una realtà che guarda con pari attenzione alle persone e al modo delle
imprese in quanto dispone:
• (da una parte), di un dispositivo di accoglienza di chi cerca lavoro capace di intercettare bisogni diversificati (di natura orientativa, formativa, occupazionale, sociale, assistenziale) e di fornire risposte personalizzate in termini di servizi integrati lungo l’asse orientamento - formazione - lavoro - inclusione sociale;
• (dall’altra) , di collegamenti e relazioni strutturate con il sistema delle imprese per ottimizzare il matching tra domanda e offerta di lavoro (nel tempo è stato perfezionato un applicativo che ha prodotto risultati particolarmente significativi).
Non si è, quindi, in presenza di una modalità di intervento casuale, estemporanea, priva
di visione strategica (come avviene spesso nella attuazione di progetti e iniziative spot
occasionali), ma di un dispositivo intenzionalmente programmato per perseguire
specifici risultati di politica del lavoro.
30
In sostanza, parlare di modellizzazione nella realtà veronese, significa considerare una
realtà complessa fatta di provvedimenti normativi, istituzioni dialoganti, strutture di
erogazione che interagiscono tra loro, servizi integrati, specifiche metodologie di
lavoro, in cui ogni elemento è intenzionalmente interconnesso alle altre parti del
sistema.
Dal punto di vista operativo, il modello si configura come “sistema aperto e dinamico
di connessione” tra diversi soggetti, strutture e servizi che ha lo scopo di “mettere
insieme” risorse umane, informative, tecnologiche, finanziarie e di integrare procedure
e condividere strumenti di lavoro per garantire maggiore efficacia ed efficienza nella
soluzione delle problematiche socio - occupazionali del territorio.
Per comprendere ancor meglio l’architettura del modello è necessario compiere un
ulteriore passaggio dal punto di vista logico e metodologico, mettendo in ordine le
parti, le dimensioni e gli elementi costitutivi del modello stesso ed evidenziando la
presenza di un “sistema strutturato” in cui i diversi elementi che lo compongono
tendono ad operare come un “tutt'uno coordinato” con regole condivise da soggetti di
diversa natura (per mandato istituzionale, vocazione, mission).
3.5 Il sistema di governance della rete
Un primo elemento distintivo del modello proposto è rappresentato dal sistema di
governance della rete che prevede il coinvolgimento attivo di una pluralità di livelli e
di soggetti istituzionali e organizzativi, pubblici e privati, nella attuazione delle politiche
del lavoro.
Nella fattispecie tale stile può essere ricondotto al concetto di “governance pubblica a
partecipazione multiattore”, in riferimento alla scelta di integrare soggetti diversi per
creare “reti virtuose” in grado di perseguire risultati condivisi e migliorare quindi le
prestazioni di servizio ai cittadini e alle imprese.
La governance si ispira ad alcuni “principi giuda”, in sostanza ad aspetti culturali e
valoriali come patrimonio comune della rete che rappresentano altrettanti elementi di
presidio e progettazione del modello.
31
Integrazione delle politiche
È ampiamente dimostrato che i processi di crescita e di sviluppo di un territorio non
dipendono esclusivamente da dinamiche di tipo economico, ma anche dall’interazione
tra sviluppo e soluzione di problematiche socio occupazionali: accesso al lavoro,
assistenza sociale, casa, salute, ecc.
Il sostegno all’inserimento lavorativo, nelle sue diverse declinazioni organizzative e
metodologiche, è quindi un fenomeno che richiede soluzioni basate su un approccio
multi-dimensionale, interistituzionale e intersettoriale: integrazione tra politiche attive
e passive del lavoro e tra queste e le politiche sociali, dell’istruzione e della formazione.
Visione di sistema
Fondamentale fattore di successo del modello proposto è rappresentato dalla capacità
di “fare sistema”, ottimizzando le risorse istituzionali, normative, finanziarie,
informative e professionali disponibili, per farle convergere verso obietti prioritari e
condivisi.
È evidente che una visone poco chiara del modello di welfare, delle politiche di sviluppo
economico, delle politiche sociali e occupazionali nel territorio, crea dispersione di
risorse e frammentazione degli interventi.
A seguito del “superamento” della Province, in assenza di chiare regole di “governance
del sistema a livello locale”, gli interventi a sostegno dell’occupazione rischiano di
essere realizzati occasionalmente e in ordine sparso, anziché non in modo razionale e
intenzionalmente programmato.
Ottimizzazione delle risorse finanziarie
Una scelta strategica che può determinare una maggiore efficacia delle politiche del
lavoro, riguarda la capacità di reperire e gestire efficientemente e in modo mirato le
risorse finanziarie disponibili.
Le risorse pubbliche destinate alle politiche sociali e del lavoro in Italia, sono
strutturalmente inadeguate rispetto ai crescenti bisogni della popolazione e ciò appare
con maggiore evidenza nell'attuale fase di crisi.
32
La creazione di “Fondi integrati” o di “Fondi unici” costituiti a livello locale e destinati
alle politiche del lavoro, alimentati sia da soggetti pubblici che privati risulta quindi
fondamentale in una logica “finalizzazione convergente delle politiche”.
Nell’ambito del modello proposto è fondamentale definire periodicamente una sorta
di mappa completa delle risorse disponibili o comunque attivabili a livello di Unione
Europea, nazionale, regionale e sul versante privato, per poi produrre uno sforzo
coordinato e congiunto per accedervi.
Analisi del fenomeno della disoccupazione
La definizione di soluzioni efficaci al problema della disoccupazione e dei rischi di
conseguente esclusione sociale, non può prescindere dalla conoscenza approfondita
dei fenomeni e delle condizioni di disagio presenti nel territorio.
Il modello proposto individua nell’analisi di contesto condotta attraverso metodologie
appropriate e basate su dati e indicatori attendibili, lo strumento più appropriato per
orientare i processi decisionali anche su base scientifica.
La finalità è quella di definire una mappa delle emergenze socio-occupazionali del
territorio per poi restituire ai decisori istituzionali informazioni utili a supporto della
programmazione.
Le analisi condotte a questo scopo si caratterizzano per un approccio multidisciplinare,
partendo dal presupposto che le persone disoccupate o espulse dal ciclo produttivo
sono portatrici di bisogni complessi di natura non solo occupazionale, ma anche
economica, sociale, psicologica, abitativa, familiare.
Approccio globale ai bisogni della persona
Altro principio ispiratore del modello è rappresentato dall’analisi multidimensionale dei
bisogni delle persone.
L'approccio consiste nel prestare la massima attenzione non solo al singolo soggetto in
condizione di disagio, ma anche al contesto sociale e relazionale in cui questi si trova
ed in particolare a quello familiare (ciò vale in particolare per l’ampia categoria dei c.d.
soggetti deboli).
L’elemento più innovativo di questo approccio è la “presa in carico globale” del
soggetto, il che comporta che le prestazioni integrate siano mirate alle caratteristiche
33
individuali del destinatario (istruzione, genere, etnia, reddito, natura della
disoccupazione e sua durata nel tempo), ma anche alla tipologia della famiglia di
appartenenza (componenti, altre fonti di reddito, presenza di disoccupati, soggetti con
bisogni di cura, ecc.) nonché alle caratteristiche dell’offerta dei servizi disponibili a
livello locale e alla loro accessibilità.
3.6 Attivazione della rete e centralità degli operatori
Il modello valorizza la presenza di strutture pubbliche (CPI), private (Agenzie per il
lavoro e altri Operatori accreditati) e del privato sociale (Terzo settore in generale)
collegate in una logica di rete e in grado di offrire una gamma ampia e diversificata di
servizi.
Da questo punto di vista le esperienze realizzate in Italia, si differenziano in modo
sostanziale, ma sono comunque ispirate a logiche egualmente efficaci sul piano delle
architetture organizzative.
Un primo approccio è centrato sull’integrazione funzionale di una gamma più o meno
ampia di servizi occupazionali, sociali, assistenziali, abitativi, in cui ciascun soggetto
della rete, presidia un servizio o prestazione specifica, riconducibile ad un piano di
intervento personalizzato per l’utente (PAI – Piano di Azione Individuale). In sostanza,
ciascun soggetto “porta in dote” il proprio apporto specialistico, “ciò che la struttura sa
fare meglio” per vocazione, consolidata esperienza e per mandato istituzionale.
Un secondo approccio, è ispirato a forme più “spinte” di integrazione dei servizi,
anche dal punto di vista gestionale, e consiste nel promuovere l’offerta di “pacchetti
di servizi integrati” presso “sedi di erogazione uniche” (esperienze di questo tipo non
mancano nel nostro Paese e sono particolarmente diffuse in alcuni paesi europei).
Un terzo approccio consiste nella attivazione di più reti diversamente specializzate
nella erogazione di uno o più servizi, poste in proficua relazione tra loro, attraverso
standard organizzativi condivisi.
34
Le reti possono essere, ad esempio, quella dei Centri per l'impiego, quella dei Centri di
formazione accreditati, delle Agenzie private per il lavoro, delle Cooperative sociali, dei
Servizi sociali delle ULSS, ed eventualmente altre.
Le diverse opzioni cui si è accennato, non sono necessariamente in alternativa tra loro,
ma al contrario possono essere lette in modo complementare, prefigurando ulteriori
modalità di integrazione della rete.
Valorizzazione degli operatori dedicati ai servizi
Un requisito essenziale del modello è senza dubbio rappresentato dalla pratica di
approcci multiprofessionali (e quindi dal coinvolgimento di operatori con competenze
diverse, provenienti da diverse realtà organizzative) e dalla logica del partenariato (tra
enti e strutture di erogazione con mission, vocazioni, specializzazioni diversificate).
Oltre alla condivisone di una comune cultura professionale e organizzativa, un altro
prerequisito fondamentale per il successo degli interventi è rappresentato dalla
presenza di alcune specifiche professionalità.
Il modello veronese si impernia sulla figure del Case manager e del tutor unico.
Case manager ha la responsabilità
• della presa in carico della persona, nel momento della definizione del PAI a
seguito della profilazione,
• di guida in un percorso all’interno della rete dei servizi monitorando i tempi di
realizzazione e gli esiti
in relazione costante con il tutor.
Il case manager deve essere un operatore esperto/senior con profonda conoscenza
dei servizi, dei target, delle normative e della rete dei servizi del territorio.
Tutor unico ha la responsabilità
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• Di seguire la persona nel percorso di accompagnamento al lavoro, sia esso
finalizzato prettamente all’occupazione o all’incremento dell’occupabilità
(soggetti svantaggiati).
Il tutor unico deve essere un operatore con spiccate capacità relazionali sia rispetto al
rapporto con l’utente sia rispetto alle collaborazioni con le aziende.
Il successo di queste professioni, dipende ovviamente sia dalla loro formazione e dalle
competenze possedute, sia dalla loro legittimazione sociale, istituzionale e
contrattuale.
Per essere più espliciti si tratta di figure professionali con competenze che spaziano in
ambiti molto ampi e tra loro correlati.
In particolare nel campo della formazione/orientamento (tecniche di empowerment,
gestione dei colloqui individuali, gestione dei gruppi, tecniche di comunicazione ecc)
nel campo giuridico (contrattualistica, ammortizzatori sociali, incentivi,) nel campo
amministrativo (agli opertori è chiesto di svolgere pare degli adempimenti
amministrativi correlati ai progetti finanziati), nel campo economico/aziendale (come
presupposto per la definizione dei percorsi professionali dei beneficiari o per potersi
relazionare con il mondo imprenditoriale “cliente finale” delle attività in oggetto, nel
campo dei servizi socio sanitari (attivabili per i percorsi di incremento dell’occupabilità).
Il tutto deve poi essere poi calato nelle singole realtà locali e per locali si intende
territori molto ristretti. Le ulss locali o i comuni hanno sistemi di erogazione dei servizi
differenziati tra di loro e all’interno delle stessa ulss ci sono contesti economici
assolutamente differenziati tra loro (l’ulss 22 di Verona, ad esempio, ha una
dimensione autonoma e del tutto particolare nei comuni del Lago di Garda che vivono
di turismo stagionale).
In tal senso la modellizzazione propone una integrazione delle competenze
attualmente previste dall’accreditamento regionale12 e la valorizzazione di una
“relazione triangolare” all’interno dei processi/servizi di politica attiva del lavoro.
12 Nell‘allegato “Job center e competenze operatori” (WP9) un approfondimento sulle competenze da integrare rispetto
all’attuale accreditamento previsto dalla Regione Veneto elaborato in collaborazione con il partner operativo centro
Polifunzionale don Calabria .
36
La relazione utente – case manager- tutor nella esperienza veronese ha portato
enormi benefici in termini di
- Identificazione del tutor in base alla sua specializzazione per una miglior risposta
al profilo dell’utente e/o del Pai
- Possibilità di intervento da parte del case manager per sbloccare eventuali
situazioni di crisi tra utente e tutor
- Il case manager può concentrarsi nella costruzione della rete e
nell’aggiornamento e diffusione delle informazione a beneficio dei tutor e di
tutto il sistema
La presa d’atto e il formale riconoscimento di tale professionalità come fondamento
del sistema delle politiche attive del lavoro nel Veneto necessita di un albo regionale
degli OML al quale gli enti possono attingere e porta con sé 4 naturali corollari:
1) continuità e programmabilità nella erogazione dei servizi.
Senza tali caratteristiche, negate dall’attuale sistema imperniato sui bandi, gli
operatori tendono continuamente “disperdersi” e gli Enti sono disincentivati ad
investire nella loro professionalità. Ad oggi gli OML sono considerati comunque
“occasionali” per questo o quello altro progetto e poco possono contrastare le norme
tampone dell’accreditamento di fronte all’insostenibilità economica di rapporti a
tempo indeterminato.
2) superamento dell’accreditamento per sede/operatore.
La costituzione dell’Albo influirebbe su uno dei cardini dell’attuale accreditamento, e
cioè un sistema a due livelli, che accredita sia persone giuridiche (in funzione delle loro
sedi fisiche), sia persone fisiche (OML) deputate all’attuazione delle politiche attive. Un
sistema vincolato, che prevede l’operatività degli OML in massimo 4 sedi sul territorio.
Proprio in virtù di servizi sempre più smart e digitali, è necessario evolvere tali criteri di
accreditamento svincolandoli dagli aspetti “fisici” (salvo i requisiti minimi già previsti
per l’esercizio delle attività commerciali), deburocratizzando il processo di “messa in
esercizio” dell’OML da parte degli enti accreditati.
3) formazione e aggiornamento continui ed obbligatori.
37
La Regione dovrebbe definire una Formazione in ingresso13 come presupposto per
entrare nel Albo Regionale e formazione continua obbligatori (sul modello dei crediti
già sperimentati da albi molto più “antichi”), quest’ultima da co-progettare in ambito
provinciale per cogliere le peculiarità dei territori. A questo si aggiunge in le necessità
di un costante aggiornamento che potrebbe trovare sulla piattaforma IDO/click lavoro
lo strumento tecnico idoneo accompagnato da un newsletter per tutti gli operatori14.
4) adeguata remunerazione delle attività.
Si deve ammettere che in questi anni le remunerazioni degli operatori sono state ben
al di sotto della professionalità che veniva richiesta loro, forse come contrappasso ai
decenni precedenti, dove si era forse ecceduto in senso inverso.
Bisogna dar atto che il nuovo costo Standard15, per le sole figure senior, migliora di
molto la situazione economica, ma è giusto chiarire che la situazione rimane critica per
gli OML junior e middle e che non è scontato che l’aumento del costo standard si
trasformi in un aumento del compenso.
Infatti il compenso è determinato dalla struttura dei costi, di cui fa parte, dell’intero
progetto e quindi è stato fondamentale permettere di inserire un costo standard più
alto nei budget, ma altrettanto importante è snellire i processi burocratici e i relativi
costi
Il costo standard a 38 Euro/ora poteva e può esser sufficiente se l’ente è messo in
grado di “utilizzarlo” completamente per il compenso dell’OML
Ma così non è stato negli ultimi anni e le remunerazioni orarie (spesso sotto ai 25 euro
costo azienda, ogni onere incluso) non permettevano un reddito adeguato alla
professionalità richiesta .
Questi professionisti, per la natura della loro attività (professioni d’aiuto), non possono
svolgere più di 5/6 ore di attività diretta con l’utente al giorno e almeno un giorno alla
13 Chiaramente all’atto della costituzione dell’albo sarà necessaria una fase transitoria che riconosca le esperienze e le
professionalità degli operatori attualmente in esercizio 14 Un buon esempio in questi anni è stata la piattaforma J4U (sito + newsletter) della Provincia di Verona: essenziale punto
di riferimento per gli operatori del veronese per la ricerca di complete, precise e professionali informazione sul tema del
lavoro e della correlata documentazione di approfondimento. 15 Vedi Dgr n. 671 del 28/04/2015.
38
settimana dovrebbe essere dedicata all’aggiornamento e approfondimento delle
materie.
La mancanza di stabilità dei progetti costringe poi a periodi di mancanza temporanea
di lavoro, a cui immancabilmente bisogna aggiungere un quantitativa indeterminato di
ore di back office per le correlate attività amministrative e le eventuali “ore perse”
perché il beneficiario non si presenta all’appuntamento, portando così il reddito atteso
annuo a cifre davvero irrisorie frutto di circa 90/100 ore al mese per 10 mesi di attività
frontale.
O ancor peggio per rimpinguare tale reddito, si verificano sovraccarichi di lavoro che
hanno, in non pochi, casi compromesso la salute degli stessi OML (fenomeni di born-
out) e/o la qualità del servizio offerto.
39
4 – L’architettura istituzionale e organizzativa del modello
4.1 Il patto territoriale a l’agenzia sociale
Per quanto riguarda la dimensione istituzionale e organizzativa, il modello proposto si
ispira in una logica di continuità, ad alcune specifiche esperienze realizzate nel territorio
del Veneto:
• Il “Patto Sociale per il Lavoro Vicentino” avviato dalla Giunta provinciale di
Vicenza nel 2010, che prevede una serie di strumenti e di politiche congiunte per
fare rete con gli attori territoriali al fine di fronteggiare la crisi del mercato del
lavoro attraverso interventi pluriennali;
• l’Agenzia Sociale – Lavoro & Società, nata nel 2006 a Verona che, in convenzione
con la Provincia, ha coordinato e attuato interventi pluriennali di sostegno alla
ricerca attiva del lavoro sulla base di indirizzi concordati a livello interistituzionale.
Nell’esperienza vicentina, l’elemento più qualificante è rappresentato dalla funzione di
indirizzo svolta dal Comitato di coordinamento istituzionale, composto da 17 partners
promotori (Provincia, Comuni, ULSS, Associazione Industriali, Associazione Artigiani,
Associazione Piccole industrie, Associazioni Commercianti, CISL - CGIL – UIL) e dal
Gruppo di coordinamento provinciale che rappresenta il comitato tecnico-scientifico
dei progetti realizzati (è presieduto dalla Provincia di Vicenza, ed è l’organo tecnico di
coordinamento operativo generale, monitoraggio, validazione dei percorsi
personalizzati, verifica delle rendicontazioni delle attività e di regia dei progetti);
Nell’esperienza veronese, l ‘aspetto peculiare e innovativo è rappresentato dall’
Agenzia Sociale - Lavoro & Società, per la sua funzione fondamentale di integrazione,
razionalizzazione e regolazione della rete territoriale dei servizi pubblico – privati in
base ad apposite convenzioni con la Provincia di Verona16
Si tratta di esperienze che si sono sviluppate in un contesto maturo e innovativo quale
è quello della Regione Veneto che in questi anni di crisi ha operato con decisione per
16 Delibera provinciale, n° 134 del 3 giugno 2010 - Delibera provinciale n.129 del 4 luglio 2013.
40
realizzare una rete di servizi per il lavoro idonea ad affrontare le sfide del nuovo
mercato del lavoro:
1) realizzando i tre pilastri della Rete (sistema di accreditamento, sistema
informativo lavoro, standard operativi e gestionali);
2) adottando politiche attive che prevedono un’azione cooperativa tra centri per
l’impiego, agenzie per il lavoro e Enti accreditati;
3) mettendo a punto gli strumenti per un’azione più efficace dei servizi (disciplina
dei tirocini, patto di prima occupazione, contratto di mobilità);
4) sperimentando nuove forme di finanziamento delle misure e degli interventi di
politica attiva (doti lavoro, voucher, progetti a sportello, ecc).
Il modello proposto è quindi caratterizzato dall’orientamento alla governance pubblica
a partecipazione multiattore che si esplica attraverso un Patto territoriale in grado di
rilanciare l’occupazione e di arginare il fenomeno dell’esclusione sociale attraverso il
convenzionamento con un organismo tecnico con specifiche funzioni di
coordinamento, animazione e supporto alla rete territoriale dei servizi pubblici e privati
per il lavoro: l’Agenzia Sociale.
Tale orientamento è giustificato anche dai processi di riforma in atto a livello nazionale,
che ridisegnano l’architettura complessiva del sistema delle politiche attive e passive
del lavoro in Italia.
La Legge n. 183/2014 (cd. Jobs Act), infatti, affiderebbe il coordinamento dei Centri per
l’Impiego all’Agenzia Nazionale per l’Occupazione e la c.d. “Riforma del Rio” (Legge
n.56/2014) riordina la disciplina sulle Province che, allo stato attuale, non avrebbero
più competenze in tema di politiche del lavoro.
L’impatto delle due riforme, richiede l’elaborazione di un modello locale di politica del
lavoro, in grado di equilibrare diverse esigenze:
a) garantire standard e prestazioni efficaci dei servizi su tutto il territorio nazionale
attraverso una apposita Agenzia nazionale;
b) salvaguardare l’autonomia delle Regioni nella programmazione delle politiche
del lavoro;
c) assicurare un livello locale di presidio dei servizi in base al principio di
sussidiarietà e prossimità.
41
Per quanto riguarda la dimensione locale, il Patto territoriale e Agenzia Sociale sono
strumenti complementari in quanto il Patto identifica nella Agenzia l’organismo
preposto alla supervisione e coordinamento degli interventi e delle iniziative
concordate tra gli aderenti al Patto stesso.
A partire da questo presupposto il “modello di governance” proposto, si articola su
due livelli:
a) un livello istituzionale e strategico di programmazione delle politiche, imperniato
su un Patto territoriale in gado di raccogliere l’adesione attiva dei diversi soggetti
pubblici e privati interessati a promuovere le politiche di inclusione nel territorio;
b) un livello operativo in capo ad un organismo di coordinamento, Agenzia sociale,
che in convenzione con l’ente pubblico, assicuri una gestione efficace e razionale
degli interventi, coordinandone l’attuazione attraverso la rete territoriale dei
servizi pubblici e privati in base a criteri di ottimizzazione delle risorse finanziarie
disponibili.
Per quanto riguarda il livello istituzionale, questo attualmente è in capo alla Provincia
di Verona. In prospettiva, a seguito del superamento delle Province, altri soggetti
istituzionali già da tempo coinvolti nella cogestione degli interventi di competenza
dell’Agenzia, si sono resi disponibili a riempire il possibile “vuoto di governance”:
Comuni, Conferenza dei Sindaci, ULSS, altri.
4.2 Caratteristiche e funzioni del Patto territoriale17
Il Patto territoriale è uno strumento previsto dalla legislazione nazionale sulla programmazione negoziata.
Nell'ordinamento italiano la programmazione negoziata è definita dalla legge n. 662/1996, articolo 2 comma 203 lettera a, come «regolamentazione concordata tra soggetti pubblici o tra il soggetto pubblico competente e altre parti pubbliche o private
17 In allegato modello “Patto territoriale persone svantaggiate”, elaborato sull’esperienza del Patto Territoriale Vicentino
e dell’ Agenzia sociale di Verona Lavoro & Società (WP11)
42
per l'attuazione di interventi riferiti ad un'unica finalità di sviluppo nell'ambito del territorio di riferimento”.
Attraverso la programmazione negoziata, quindi, enti locali e altri portatori di interessi
che operano nel territorio, possono perseguire obiettivi di sviluppo condivisi e
coordinati.
Gli strumenti della programmazione negoziata, definiti dallo stesso testo legislativo,
sono molteplici: Intesa istituzionale di programma; Accordo di programma quadro,
Contratto di programma; Patto territoriale.
E’ quest’ultimo strumento che il modello intende valorizzare, in quanto si tratta di un
accordo sottoscritto tra enti locali, parti sociali e altri soggetti interessati (sia pubblici
che privati) alle politiche del lavoro.
Il Patto territoriale che si vuole promuovere, è un accordo che coinvolge i Comuni, la Provincia ed eventualmente la Regione, nonché le parti sociali e altri soggetti pubblici o privati in una determinata area geografica, con le seguenti finalità:
a) costituire una rete di soggetti pubblici o privati autorizzati o accreditati a svolgere i servizi per il lavoro come disciplinati dall’articolo 2 del d.lgs 276/2003 e dalla legge regionale del Veneto n. 3/2009 (comprensiva di datori di lavoro, istituzioni ed enti comunque interessati allo sviluppo economico e al mercato del lavoro locale);
b) conseguire specifici obiettivi di politica del lavoro e di inclusione rivolta a particolari categorie di utenza (così detti soggetti deboli), ma non solo;
c) coordinare interventi di sostegno all’occupazione con il concorso di finanziamenti pubblici e privati di diversa tipologia e natura;
d) valorizzare la programmazione multiattore tra i diversi soggetti istituzionali e sociali coinvolti, allo scopo di elaborare progetti condivisi a sostegno dell’occupazione;
e) operare in base ad una logica selettiva di elementi qualitativi e quantitativi, in ordine ai tempi, agli impegni assunti, alla selezione degli obiettivi, alle risorse messe concretamente a disposizione dai soggetti sottoscrittori;
f) adottare una progettualità condivisa di valenza strategica per il territorio, da realizzare attraverso le risorse finanziarie comunitarie, nazionali e regionali che saranno disponibili nel periodo di Programmazione 2014-2020;
43
g) avvalersi, quale organismo operativo, di una Agenzia Sociale (articoli 13 e 14 del d.lgs 276/2013 e all’articolo 26 della legge regionale n. 3/2009), operante in ambito territoriale, per:
- il coordinamento e/o la gestione dei servizi di intermediazione dei lavoratori
appartenenti alle categorie svantaggiate, nell’ambito di progetti di
inserimento lavorativo connessi a lavori o servizi attivati dalle amministrazioni
pubbliche, in particolare gli enti locali in ambito provinciale;
- il coordinamento e/o la gestione tecnica dei progetti finanziati a vario titolo
da Fse, Stato, Regione Veneto, Provincia, altri soggetti pubblici e privati, in
qualità di capo fila o di partner operativo specializzato;
- il coordinamento e/o la gestione tecnica di progetti elaborati direttamente
dal Patto Territoriale e finanziato dai propri aderenti.
Il Patto Territoriale, si attua, attraverso:
• un Comitato di coordinamento, che si riunisce periodicamente e almeno tre volte
all’anno per la programmazione e la verifica delle attività, composto dai
rappresentanti formalmente incaricati da ciascuna parte aderente;
• una Cabina di regia ristretta, composta da non oltre 5 membri, nominati dal
Comitato di coordinamento al proprio interno, con compiti di istruttoria e
predisposizione tecnica dei programmi e piani sottoposti alla validazione del
Comitato di coordinamento.
Al Patto Territoriale spetta in generale il compito di coordinare, animare, sostenere e
monitorare tutte le iniziative concordate tra i partners, aventi come oggetto e finalità
quanto stabilito dal Patto stesso.
4.3 Caratteristiche e funzioni dell’Agenzia Sociale
44
L’Agenzia Sociale è l’organismo legittimato dal Patto per il Lavoro, che il modello
proposto intende valorizzare come dispositivo di coordinamento, presidio, gestione dei
servizi per il lavoro erogati dalla rete.
L’Agenzia Sociale trova la propria legittimazione nella Legge 30/2003 e seguente D.lgs.
di applicazione n.276/03. L’articolo 13 definisce il “sistema di raccordo pubblico-
privato”, chiamando anche le Regioni a legiferare su questo tema.
La Regione Veneto con la Legge n° 3/2009 “Disposizioni in materia di occupazione e
mercato del lavoro” all’articolo 26 recita “Al fine di favorire
l’inserimento/reinserimento lavorativo dei lavoratori svantaggiati (…) le province
possono costituire agenzie sociali, di cui all’articolo 13, del D.lgs 2003, n. 276 (…) previo
il loro accreditamento ai sensi dell’articolo 25 della presente legge”.
La “formula agenziale” si concretizza di fatto nella formalizzazione della rete pubblico -
privata dei servizi, attraverso la costituzione di un “soggetto giuridico stabile” che
superi la logica delle intese e delle collaborazioni transitorie.
L’Agenzia ha una struttura privatistica (preferibilmente consortile) aperta ai soggetti
del territorio che ne condividono la mission e che intendono mettere in campo
interventi di politica attiva del lavoro e di inclusione attraverso apposita convenzione
con i soggetti (regione, provincia, comuni, area vasta,ecc) competenti i materia di
politiche attive del lavoro.18
Caratteristiche specifiche della Società consortile sono:
a. la promozione dell’integrazione interorganizzativa tra gli aderenti per mettere in
comune parte delle attività;
b. la possibilità di svolgere attività che rappresentano una novità rispetto alla mission
specifica di ciascun singolo socio consorziato (quid novi);
c. la struttura sociale che prevede “la possibilità di adesione di nuovi soci, configurando
così la società come struttura aperta”.
18 A tal proposito si rimanda al documento allegato “Modalità di gestione delle relazioni con l’Agenzia sociale” che, sulla
scorta dell’esperienza veronese, illustra le tecnicità giuridiche amministrative attraverso le quali giungere all’affidamento
dei servizi all’agenzia sociale (WP11)
45
Di fatto, i soggetti che aderiscono e partecipano al funzionamento dell’Agenzia Sociale
conservano la loro specificità e il loro ruolo, conferendo il loro apporto specifico, in
termini di risorse organizzative, professionali e finanziarie.
Nell’ambito del modello proposto, l’Agenzia è chiamata a svolgere tre specifiche
funzioni:
a) Coordinamento della rete;
b) Service della rete;
c) Gestione diretta dei servizi per soggetti svantaggiati
Funzione di coordinamento della rete
Si tratta della funzione già richiamata in altre parti della trattazione che l’Agenzia è
chiamata a svolgere sulla base di specifiche convenzioni con l’Ente pubblico
“assumendo il ruolo di snodo principale della rete
In sostanza l’Agenzia sociale è il soggetto che, sulla base degli obiettivi definiti a livello
istituzionale coordina operativamente, le risorse strategiche della rete (finanziamenti,
tecnologia, progetti, risorse umane) per l’attuazione di interventi di politica attiva e di
inclusione
E’ evidente che i vantaggi che possono derivare dalla funzione di coordinamento della rete sono molteplici, ad esempio:
• ridurre l’eccessiva complessità e variabilità della rete dei servizi (spesso determinate da ragioni di “campanile” o da logiche di utilizzo immediato dei finanziamenti disponibili, piuttosto che da reali bisogni dell’utenza);
• razionalizzare la gamma dei servizi in base a criteri di effettiva utilità e coerenza con bisogni dell’utenza eliminando eventuali sovrapposizioni di interventi e duplicazione di iniziative;
• riequilibrare l’offerta dei servizi in base a criteri di priorità e di urgenza condivisi in relazione alle caratteristiche socio - occupazionali del territorio;
• offrire garanzie di omogeneità, affidabilità e riconoscibilità dei servizi controllandone l’efficacia e l’efficienza attraverso un apposito sistema di standard minimi di qualità o di livelli essenziali delle prestazioni assicurati da tutti i servizi pubblici e privati della rete;
46
• attribuire precisi ruoli e responsabilità ai soggetti pubblici e privati coinvolti nella gestione dei servizi in base a criteri di vocazione, competenza, emergenze territoriali;
• ottimizzare i finanziamenti disponibili sulla base di strategie e programmi finalizzati al conseguimento di obiettivi condivisi con possibile abbattimento dei costi;
• standardizzare alcuni elementi chiave del sistema di erogazione dei servizi con conseguente innalzamento della qualità delle prestazioni (ad esempio: visibilità, accessibilità, benefici per il cliente, attività tipiche, modalità di erogazione, professionalità degli operatori, valutazione);
• rendere chiara la percezione dei benefici e delle prestazioni offerte all’utenza (ad esempio attraverso la diffusione della “Carta della qualità dei servizi” e la definizione dei livelli essenziali delle prestazioni).
Funzione di Service della rete
Si tratta della funzione di animazione e manutenzione della rete, che si esplica
attraverso:
• il sostegno all’Ente Pubblico nella manutenzione/sviluppo dei processi di governance della rete territoriale promuovendo l’applicazione di standard di erogazione rispondenti a livelli essenziali di prestazione, identificati secondo principi di qualità, efficacia, economicità;
• il supporto ai referenti istituzionali nell’identificazione, reperimento (se necessario, gestendo direttamente risorse aggiuntive o straordinarie, pubbliche e private, locali, nazionali ed europee), di risorse adeguate per assicurare ai cittadini svantaggiati servizi adeguati e di qualità;
• il sostegno allo sviluppo dei dispositivi e degli strumenti tipici del lavoro in rete (condivisione sistemi informativi, profilazione dell’utenza, standard di servizio, procedure di erogazione, formazione continua degli operatori, sistema di valutazione e monitoraggio, ecc.);
• promozione delle Politiche attive del lavoro e dei Programmi ad essa collegati attraverso piani specifici di comunicazione pubblica;
• osservazione e rilevazione della domanda e dell’offerta di lavoro, in collaborazione con altri soggetti preposti allo svolgimento di tale funzione;
• integrazione finanziamenti terzi (FSE, Fondazioni bancarie, Comuni, altri) sulla base di specifica programmazione territoriale;
47
Funzione di erogazione diretta dei servizi per i soggetti svantaggiati
In prospettiva, l’Agenzia, potrà anche sviluppare azioni specifiche per motivare la
domanda esistente ed eventualmente per individuare nuove opportunità
occupazionali, coordinando progetti di lavori socialmente utili e di utilità sociale,
favorendo lo sviluppo di nuove imprese, stimolando una nuova offerta di beni e servizi
in una logica di “quasi – mercato”.
4.4 L’Agenzia Sociale e i processi di integrazione dei servizi
L’Agenzia sociale è l’organismo in grado di “mettere insieme”, integrare, coordinare, soggetti, risorse, servizi” (storicamente frammentati nel nostro paese) per dare migliori risposte alle persone svantaggiate in cerca di occupazione e alle imprese in cerca di personale.
Il processo di integrazione riguarda soggetti di diversa natura (pubblici e privati) e con diversa vocazione (formazione, lavoro, assistenza sociale) che normalmente fanno riferimento a realtà istituzionali e organizzative diverse: Provincia, Comuni, ULSS, Cooperazione sociale, APL.
Nel modello prefigurato (vedi figura a pag 25) i CPI e i Job Center possono svolgere
attività di prima informazione/accoglienza, occuparsi della profilazione degli utenti che
si rivolgono ai loro sportelli e verificare la presenza dei requisiti formali per il rinvio all’
Agenzia Sociale.
Gli operatori dei Servizi sociali delle ULSS e dei servizi al lavoro di altri enti pubblici (ad
esempio i Comuni), possono essere coinvolti nella preselezione di persone con
particolari problematiche socio occupazionali e collaborare con gli esperti della Agenzia
sociale nella redazione di un piano di azione congiunto per l’inserimento occupazionale
A seguito dell’apertura della platea dei soggetti svantaggiati, per modifiche normative
progressivamente intervenute, è necessario definire un criterio di svantaggio più
preciso, correlato all’indice di occupabilità e/o con particolari categorie di bisogni
(problemi di conciliazione, sfratti esecutivi, ecc).
48
Questi soggetti svantaggiati, così ridefiniti, una volta profilati dai Job Center o dai CPI
(eventualmente anche dalla stessa Agenzia Sociale) rientrano nell’ambito del
coordinamento operativo dell’Agenzia Sociale, andando a ricoprire di fatto il ruolo di
CASE MANAGER, può costruire per la persona un PAI, con specifici servizi e sostegni e
attivando una rete di sostegno ad hoc, per i percorsi dei soggetti svantaggiati. L’Agenzia
Sociale non opera direttamente nell’erogazione delle attività ma si avvale degli stessi
JOB CENTER, attribuendo loro i PAI in funzione di criteri predefiniti quali:
- Competenze specifiche del job center
- Distribuzione territoriale
- Scelta del beneficiario .
L’Agenzia Sociale può diventare il soggetto territoriale che, oltre alla definizione e
attivazione dei PAI, svolge un’attività di monitoraggio e controllo, di
coprogrammazione, di coordinamento e di erogazione di servizi di supporto alle
diverse reti in cooperazione tra loro per i soggetti svantaggiati.
Per meglio comprendere il ruolo centrale affidato all’Agenzia Sociale (vedi Figura 1.) va
evidenziata la connotazione dell’Agenzia come “Service della rete dei servizi per il
lavoro pubblici e privati per i soggetti svantaggiati”.
49
SISTEMA DI EROGAZIONE DI SERVIZI PER L’INCLUSIONE SOCIO-LAVORATIVA
Promuovono il PATTO
territoriale per il
LAVORO
Soggetti PUBBLICI e PRIVATI del territorio
CONVENZIONE
con
AGENZIA SOCIALE
=CASE
MANAGER soggetti
svantaggiatida Profilazione
Governance
pubblica
multiattore
Organismo
tecnico
Coordinamento della rete
Service della rete
Attivazione del “QUASI
MERCATO”
In particolare, per i soggetti svantaggiati l’Agenzia potrebbe svolgere le seguenti
funzioni
1) rilevazione e analisi della domanda e dell’offerta di lavoro per la stesura del
piano territoriale per il lavoro a favore dei soggetti svantaggiati, inteso come
specifica programmazione che affronta le multi-problematicità degli utenti
presi in carico
2) integrazione dei finanziamenti di terzi (Fondazione/Comuni) in funzione della
specifica programmazione territoriali
3) profilazione e definizione PAI specifici per i soggetti svantaggiati
4) attivazione e monitoraggio del PAI in collaborazione dei Job Center Privati
5) integrazione con i servizi socio/sanitari
6) attivazione delle rete sociale anche privata di supporto
50
Il ruolo di service potrebbe poi essere svolto anche al di fuori del “recinto dei soggetti
svantaggiati”, ma a favore dei job center privati e dei soggetti accreditati operanti sul
territorio svolgendo le seguenti funzioni:
7) elargizione sostegni al reddito;
8) elargizione di sostegni alla mobilità territoriale e di altri benefit;
9) verifica finale di monitoraggio: congruità dei risultati e somministrazione dei
questionari di gradimento;
10) formazione/supervisione dei tutor in ambito territoriale;
11) promozione e diffusione delle Politiche attive nel tessuto imprenditoriale;
La profilazione e la definizione dei PAI
L’attribuzione di funzione di profilazione e definizione dei PAI in esclusiva a strutture
pubbliche anche in Italia, porterebbe con sé, inevitabilmente, l’aumento delle strutture
di accoglienza ed erogazione dedicate a tale specifico servizio da parte dei CPI, già ora
sottodimensiono rispetto ad ogni confronto europeo.
Con l’avvento dell’Agenzia nazionale per l’occupazione e la ridefinizione degli assetti
dei CPI, in accordo con le Regioni che detengono la competenza in materia, si
potrebbero concentrare gli operatori pubblici a svolgere tale funzione cardine del
sistema a fronte di una semplificazione della burocrazie interne e della rinuncia a
presidiare altri aspetti del processo, come il matching o l’orientamento, affidati
completamente ai privati.
La suddetta proposta mette in conto che, stante la situazione delle finanze pubbliche,
è da ritenersi improbabile un aumento degli organici attualmente in essere. Resta però
la valutazione delle competenze degli stessi opertori pubblici, solo in minima parte
selezionati e/o formati per svolgere questo tipo di consulenza, salvo considerare
profilazione quell’ “automatismo amministrativo” sperimentato in Garanzia Giovani.
Operatori che detengono competenze per svolgere compiutamente una profilazione si
trovano sicuramente in ISFOL e Italia Lavoro (che andranno costituire l’Agenzia
51
nazionale) ma ciò presuppone un rimescolamento degli organici del tutto
imprevedibile.
Se la soluzione “esclusivamente pubblica” rimarrà impraticabile, alla luce degli
investimenti e dell’evoluzione della collaborazione pubblico/privata, fatti da molte
Regioni tramite i processi di accreditamento, anche gli enti privati potrebbero
collaborare con il pubblico per erogare questi servizi
Ne consegue che profilazione e definizione del PAI da parte dei privati, oltre ad essere
accompagnata da una vasta ed efficace campagna di comunicazione pubblica sui
diritti spettanti ad ogni cittadino, deve avere elementi di discrezionalità chiaramente
definiti, una stretta correlazione tra indice di occupabilità e quantità di servizio
erogabile e, a questo punto, un controllo ex post molto scrupoloso sul lavoro svolto.
Dal punto di vista qualitativo infatti le attività erogate dai privati possono essere
verificate a posteriore nell’azione di monitoraggio, che svolta da soggetto terzo
delegato dal pubblico, può accertare la congruenza tra le attese e i bisogni dell’utenza
e il servizio definito ed erogato dell’ente accreditato.
Differentemente la definizione del PAI per i soggetti svantaggiati dovrebbe esser in
capo all’Agenzia Sociale, la quale, per la sua natura di soggetto terzo, permetterebbe
di garantire maggiore trasparenza, flessibilità e personalizzazione dei PAI, in quanto
azione non soggetta a possibili “speculazioni” di natura economica.
Le soluzioni pubblico/private prospettate, lasciando in particolare all’agenzia sociale
soggetto terzo la gestione la fascia dei beneficiari più “deboli” con uno specifico budget
a disposizione, permetterebbe al sistema di dare un servizio “erga omnes” e allo
stesso tempo ridurre il rischio di una offerta di servizi ispirata esclusivamente a “logiche
di mercato” (esasperata selezione dei beneficiari, creming, o inefficiente distribuzione
territoriale a favore dei grandi centri urbanizzati) frutto dell’asimmetria informativa tra
utente, erogatore e finanziatori e con le conseguenti sproporzione tra costi e benefici
dei PAI.
Per quanto riguarda il processo di profilazione si rimanda al capitolo 5), accennando
ora solo al fatto che nel nostro modello essa va ben oltre la rilevazione di elementi
ascritti (data di nascita, titolo di studio, precedente professione, ecc) ma si ispira a
modelli, già sperimentati con successo all’estero, in cui un operatore, adeguatamente
formato e supportato da strumentazione di analisi scientificamente validata, analizza
52
anche le cosiddette “soft skill” per arrivare ad una profilazione realmente
personalizzata19, che indaghi e valuti elementi diversi della storia della persona. La
nostra esperienza ha portato in luce come la presenza di carichi familiari e vincoli di
conciliazione, il possesso di mezzi di trasporto, il manifestarsi di stati psicoattitudinali
alterati, residenza “lontane” dalle aziende, e altri elementi ancora e tra loro combinati,
possono dare una distanza dal mercato ben diversa da soggetto a soggetto che,
fermandosi ad una prima analisi, risultavano ad uno stesso grado di occupabilità.
Erogazione sostegni al reddito ed altri benefit
Per quanto riguarda il sostegno al reddito ai percettori che ne hanno diritto, si pensi
all’attuale impatto finanziario e organizzativo sui singoli Enti erogatori, oltre all’onere
delle elaborazione delle buste paghe e degli adempimenti fiscali gestiti in modo
frammentato.
Affidare questa funzione a livello centralizzato ad un “soggetto dedicato” potrebbe
portare efficienze che riducono i costi di gestione (per es. una significativa riduzione dei
costi degli oneri passivi da pagare agli istituti di credito cui normalmente i singoli Enti si
rivolgono per ottenere affidamenti che consentano l’erogazione dei sostegni al reddito
in tempi rapidi).
Inoltre attraverso l’Agenzia Sociale, sarebbe possibile gestire le politiche di sostegno
passivo con un mix equilibrato e mirato a seconda delle categorie di persone coinvolte,
tra obbligatorietà ed effettiva partecipazione alle iniziative di politiche attive, indennità
di frequenza, vero e proprio sostegno al reddito erogato mensilmente in base allo stato
di bisogno, sostegno alla mobilità territoriale e per la conciliazione, fattori questi ultimi
due determinanti per permettere la frequenza ai servizi proposti da parte di fasce di
popolazione particolarmente svantaggiate.
Questo permetterebbe inoltre all’INPS, qualora continuasse nella sua opera di
erogatore dei sostegni passivi, di avere un unico interlocutore a livello locale con cui
interfacciarci per la gestione e di integrazione dei diversi sussidi (in linea con l’impianto
delle Legge Fornero che prevedeva una banca dati comune per i sostegni al reddito)
19 Interessante in questo senso è quanto emerso dai focus group con le con le Aziende (WP4), gestiti in collaborazione del
partner operativo Enaip, che individuano nelle soft skill i requisiti realmente mancanti ai candidati, mentre le hard skill
sono comunque rintracciabili o costruibili nel tempo.
53
Per finanziare tali sostegni si potrebbe predisporre un fondo ad hoc dove potrebbero
convergere fondi pubblici e privati, la cui gestione potrebbe essere affidata all’Agenzia
Sociale, debitamente sottoposta ai doverosi controlli da parte del sistema pubblico.
4.5 I fattori di natura normativa e organizzativa
Il ciclo di erogazione dei servizi previsto dal modello proposto, tiene conto di molteplici
fattori di natura normativa e organizzativa, alcuni dei quali in fase di ridefinizione anche
attraverso i processi di riforma del mercato del lavoro in atto livello nazionale.
Tuttavia nel contesto veronese sono riscontrabili una serie di elementi su cui
incardinare le proposte per il futuro, che trovano conferma nelle esperienze realizzate
in questi anni nel territorio:
• la centralità dei CPI per capacità di assorbimento degli utenti che devono
comunque accedervi;
• il ruolo delle Amministrazioni comunali per l’erogazione dei servizi di prossimità;
• i Servizi sociali per capacità di implementazione dei servizi sulla base di specifiche
prassi programmatiche;
• il ruolo della Regione Veneto come attore dialogante nella governance delle
politiche del lavoro e come soggetto di “regolazione” delle reti, delle strutture di
erogazione, dei servizi e delle risorse finanziarie;
• la presenza attiva delle Fondazioni come partner essenziale nella
programmazione e gestione delle politiche di inclusione occupazionale;
• la presenza diffusa di Operatori accreditati privati e del privato sociale, che
concorrono in modo significativo alla attivazione di sinergie e collaborazioni
organiche nella gestione dei percorsi di inclusione socio – occupazionale (in
particolare attraverso servizi di formazione, accompagnamento al lavoro,
tirocini, ecc.);
54
• la disponibilità di un approfondito studio sui Livelli Essenziali delle Prestazioni
(LEP) dei servizi per il lavoro, realizzato dalla Provincia di Verona (che di fatto ha
anticipato la “Legge Fornero” e i successivi provvedimenti e disegni di legge in
materia);
• la presenza di Click lavoro – IDO come dorsale informativa su cui far circolare lo
scambio dei dati e delle informazioni per chi cerca e per chi offre lavoro.
In particolare, da una concreta applicazione dei LEP, potrebbe derivare per ogni
cittadino disoccupato il diritto effettivo di fruire di una ampia offerta di servizi di politica
attiva.
L’attuale normativa in tema di servizi per il lavoro (vedi ad esempio Legge n° 92/ 2012,
prevede alcune fondamentali prestazioni per i percettori di sostegno al reddito:
a) colloquio di orientamento entro tre mesi dall'inizio dello stato di disoccupazione;
b) azioni di orientamento collettive fra i tre e i sei mesi dall'inizio dello stato di
disoccupazione, con formazione sulle modalità più efficaci di ricerca di occupazione
adeguate al contesto produttivo territoriale;
c) formazione della durata complessiva non inferiore a due settimane tra i sei e i dodici
mesi dall'inizio dello stato di disoccupazione, adeguata alle competenze professionali
del disoccupato e alla domanda di lavoro dell'area territoriale di riferimento;
d) proposta di adesione ad iniziative di inserimento lavorativo entro la scadenza del
periodo di percezione del trattamento di sostegno del reddito.
Per rispondere all’attuale dettame normativo il ciclo integrato di erogazione dei servizi
che contraddistingue il modello proposto, è ispirato alla pratiche e alle metodologie già
sperimentate nel contesto veronese con particolare riferimento ai “Percorsi per
lavoratori svantaggiati” 20, che prevedono:
a) Colloquio di accoglienza in cui fornire le prime informazioni alle persone per
permettere loro di orientarsi tra servizi e opportunità (1 ora) e per procedere
all’inserimento nel sistema informatico dell’anagrafica della persona con la
20 Approccio “Analisi dei processi” definito dalla Direzione della Agenzia Sociale in accordo con il Servizio Lavoro della
Provincia e con i servizi dedicati del Comune di Verona nell’ambito delle diverse edizioni dei Progetti “Servizi per
lavoratori svantaggiati” (iniziativa riproposta in diverse edizioni nel contesto veronese, che comprende un pacchetto ampio
e articolato di servizi pubblici e privati (sociali e per il lavoro) a sostegno di soggetti deboli in cerca di occupazione.
55
stipula della Dichiarazione di Immediata Disponibilità (DID) e del Patto di Servizio
(1 ora)
b) Colloquio orientativo di 3 ore, anche funzionale costruzione del profilo
personale di occupabilità (profiling)21 , atto a definire un corretto piano di
azione individuale e la creazione del CV (colloquio specialistico successivo agli
incontri informativi e/o di iscrizione ai CPI). Tale intervento oltre alla creazione
del CV come primo strumento di ricerca attiva del lavoro, ha lo scopo di
determinare in modo metodologicamente corretto e sulla base di procedure
standard il grado di occupabilità del disoccupato, sul quale “innestare”
successivamente un corretto ed efficace percorso di ricerca attiva del lavoro.
c) Sperimentazione di counseling di gruppo sulle tecniche di ricerca attiva di
lavoro (TRAL)22, intervento che può variare dalle 8 alle 20 ore, per un numero di
utenti da 8 a 15. L’intervento essendo di carattere generale dovrebbe essere
programmato e erogato in continuità per tutti i nuovi disoccupati che accedono
al servizio.
d) Strutturazione di percorsi di formazione adeguati fabbisogni dell’utenza: su
questo fronte l’ampiezza dell’intervento (con corsi superiori alle 2 settimane
della “Legge Fornero” si dovrebbero intendere almeno 80 ore di formazione,
anche se i tempi restano comunque troppo corti per una reale riqualificazione) e
il conseguente costo costringe a una seria riflessione su processi di
programmazione e governo del sistema, dove solo una rete consolidata può
portare a risultati significativi in termini di efficacia ed efficienza, che l’attuale
modello “a progetti/bando” non può di certo garantire. Dal 2014 si è abbinato
ad ogni percorso formativo i corsi di 4 ore di la sicurezza generale obbligatoria
con rilascio di attestato, come prerequisito per accedere al tirocinio di re –
inserimento lavorativo.
e) I percorsi di accompagnamento possono essere strutturati in modo molto
articolato a seconda del grado di occupabilità: da percorsi di ricerca azienda di 6
21 Si veda anche il contratto di ricollocazione , art 17, Decreto Legislativo n. 22 del 4 marzo 2015 22 Nella nostra esperienza veronese abbimo sperimentato con successo il counseling di gruppo sulle tecniche di ricerca
attiva di lavoro (TRAL). Un intervento che a nostro avviso dovrebbe essere prodromico ad ogni progetto per gli “effetti
benefici” che riversa sulle persone disoccupate che lo frequentano e sul lavoro dei i tutor che prendono in carico queste
persone. A tale proposito alleghiamo un prezioso approfondimento di una nostra consulente che illustra nel dettaglio principi
e modalità di attuazione dello strumento (WP7 e WP8)
56
ore a quelli più lunghi fino a 36 ore in un periodo di 4/6 mesi con bilancio delle
competenze, dossier delle evidenze, counselling individuale e ricerca azienda.
f) I percorsi di tirocinio con sostegno al reddito non a carico dell’azienda ospitante,
come esperienza determinante per il reinserimento al lavoro delle persone.
Stante il budget a disposizione e il tipo di utenza presa in carico si sono
sperimentati percorsi di brevi di 160-320 ore per 2 finalità: per alcune
particolarmente in difficoltà la verifica della “tenuta lavorativa”, per altri pronti
al mondo del lavoro e con famiglie a carico per trovare reali esiti occupazionali
immediati e/o ad una proroga del tirocinio con sostegno a carico dell’aziende.
g) Oggetto di attenta valutazione dovrebbe essere la verifica del percorso di ricerca
attiva del lavoro, per cui la sperimentazione dovrebbe prevedere un momento
di monitoraggio (di 2 ore) al termine del quale rilevare la soddisfazione
dell’utente, l’ adeguatezza/coerenza del percorso, i risultati in termini
occupazionali e di occupabilità.
Le azioni sopra descritte, cronologicamente scandite nella logica dei LEP, dovrebbero
essere accuratamente valutate nella loro composizione e successione nel processo di
profilazione e nella definizione del PAI, al fine di ridurre i tempi di reinserimento e i
costi degli interventi.
Dal punto di vista metodologico le principali fasi che caratterizzano il ciclo integrato dei
servizi pubblici – privati in una logica di personalizzazione, negli interventi sopra
richiamati) è riconducibile alla sequenza descritta nella scheda che segue:
FESE 1A. Accoglienza - Informazione
FASE 1B. Accoglienza – Profilazione di I livello (IDO)
FASE 2 Profilazione di secondo livello - Colloquio di analisi dell'occupabilità
FASE 3 Definizione del PAI - Piano di Azione Individuale
FASE 4 Pre - selezione
FASE 5 Attuazione del PAI
57
FASE 6. Monitoraggio / Valutazione
BANDO DI PARTECIPAZIONE
Si ritiene che grazie a tale approccio, possono trovare adeguata collocazione
terminologie e riferimenti diversi utilizzati per qualificare le stesse fasi del ciclo di
erogazione dei servizi. Per fare un esempio i termini “inserimento in banca dati”
“sportello” in base al quadro proposto, non possono che rientrare nella fase di
Accoglienza.
A partire da questo presupposto, si propone di seguito una matrice contenente la
descrizione delle fasi, delle attività, dei prodotti attesi e dei soggetti coinvolti nella
erogazione coerente con il “sistema di collaborazione pubblico privata” ipotizzato.
Inoltre, la matrice propone la durata delle attività relative alle singole fasi.
FASE ATTIVITA’ OUTPUT / PRODOTTO DURATA SOGGETTI
COINVOLTI
FESE 1A
Accoglienza -
Informazione
Colloquio di prima
accoglienza e
informazione nei Centri
per l’impiego o in altri
Servizi accreditati gli
utenti vengono poi
inseriti nel ciclo
integrato dei servizi
Erogazione informazioni
sui servizi
Consegna materiale
informativo
Aggiornamento IDO –
1 ora CPI/EA/JC
FASE 1B
Accoglienza –
Profilazione di I
livello (IDO)
Gli utenti ricevono dai
Centri per l’impiego la
certificazione dello stato
di disoccupazione con
inserimento in IDO
(primo livello di
profilazione). Con
l’introduzione del CPI
ON LINE la funzione
potrà essere accessibile
anche agli operatori
privati a supporto
Aggiornamento IDO –
Did (Dichiarazione
immediata disponibilità)
Pds (Patto di servizio)
1 ora CPI /JC
58
dell’utenza
FASE 2.
profilazione di
secondo livello -
Colloquio di
analisi
dell'occupabilità
Prevede un colloquio a
valenza orientativa tra
l’utente e il Case
Manager per:
� valutare il grado di occupabilità della persona (scheda di occupabilità)
� definire il percorso personalizzato di sostegno all’inserimento lavorativo
� compilare la “Scheda di occupabilità” (prima Parte)
� predisporre il CV � predefinire il PAI
Profilazione
Indice di occupabilità
Per i soggetti
svantaggiati invio
all’agenzia sociale
3 ore CPI/JC
FASE 3
Definizione del
PAI - Piano di
Azione
Individuale
Azione specifica di
finalizzazione del
processo che definisce il
percorso di
accompagnamento e/o
di inserimento
occupazionale attivando
servizi, strumenti e
risorse (incentivi)
adeguati alle
caratteristiche
professionali e personali
del disoccupato.
Per i soggetti
svantaggiati la
definizione del PAI
PAI
30/60
minuti a
persona
AS/CPI/JC
59
spetta all’Agenzia
Sociale
La definizione del PAI
individua il Case
manager responsabile
del percorso del
beneficiario (PRESA IN
CARICO)
FASE 4 – Pre –
selezione dei
soggetti
svantaggiati
In base alle priorità
strategiche definite dal
PIANO TERRITORIALE
delle Politiche Attive del
Lavoro , della
profilazione e del grado
di occupabilità e delle
risorse disponibili, si
identificano i potenziali
beneficiari per avviare le
azioni.
Griglia pre- selezionati
30/60
minuti a
persona
CPI /AS
FASE 5
Attuazione del
PAI
Il PAI si realizza
attraverso l’assistenza
del Tutor unico che ha il
compito di garantire
l’accesso e la fruizione
guidata ai servizi e alle
attività concordate con
la persona, con la
supervisione e
monitoraggio del Case
Manager che ha preso in
carico la persone.
Lo stato di avanzamento
del PAI e le eventuali
problematiche
riscontrate nella
Accompagnamento
individuale
comprendente dossier
delle evidenze e
attestazione delle
competenze)
Coaching individuali e di
gruppo
Ricerca Attiva di Lavoro
con visita aziendale;
Corso di formazione
Attivazione del Tirocinio
Da 6 a
36 ore
Fino a
6/12
mesi
EA/JC
60
attuazione del percorso
concordato, sono
oggetto di costante
verifica da parte del
Tutor attraverso una
serie di incontri
programmati con
l’utente.
Erogazione di sostegno
al reddito per persone
che non risultino
beneficiarie di
prestazioni;
Erogazione di titoli di
viaggio;
Proposta per servizi
specialistici integrativi
(es. microcredito,
housing sociali, ecc)
raccolta e pubblicazione
delle domande di lavoro
e di tirocinio
Segnalazione all’azienda
e relativo riscontro
I processi elencati
trovano riscontro sulla
“Scheda di Occupabilità”
FASE 6
Monitoraggio /
Valutazione
In questa fase finale del
percorso vengono
attivati gli strumenti di
rilevazione,
monitoraggio e
valutazione del PAI e dei
risultati conseguiti.
La valutazione finale
riguarda le seguenti
aree di osservazione:
- coerenza complessiva delle modalità di attuazione del PAI;
A conclusione del Pai:
- questionario gradimento; - aggiornamento dati statistici; (prevalentemente occupazionali) - eventuale avvio ad altri servizi (di natura prevalentemente sociale).
2 ore
AS
61
- grado di soddisfazione dell’utente;
- risultati conseguiti a livello occupazionale;
- risultati conseguiti a livello del grado di occupabilità;
- valutazione costi / benefici dell’intervento.
I dati raccolti in questa
fase alimentano il macro
sistema di valutazione e
monitoraggio del
sistema nell’ambito del
quale sono stati attivati i
PAI.
Per gli interventi non rivolti ai soggetti svantaggiati, in particolar modo quelli previsti
dal FSE per o in funzione della straordinarietà dell’intervento, potrebbe essere
necessario prevedere nel processo, in sostituzione della fase di pre – selezione, il Bando
di partecipazione.
BANDO DI
PARTECIPAZIONE
In relazione al tipo di
intervento di politica attiva da
realizzare, potrebbe essere
utile attivare un Bando di
selezione per identificare i
beneficiari. Attraverso tale
strumento è possibile
effettuare la selezione in
funzione del grado di
occupabilità del candidato,
così da ricercare la maggior
coerenza possibile tra
percorso proposto e
Graduatoria
60/120
minuti a
persona
CPI/
JC/AS
62
caratteristiche dei soggetti
coinvolti.
LEGENDA
CPI = Centri per l’Impiego (Provincia, Regione, Agenzia Nazionale)
AS = Agenzia Sociale
EA = Enti accreditati (Regione Veneto)
JC = Job Center
4.6 il ciclo di erogazione dei servizi
La rappresentazione standardizzata del macro processo di servizio23 è decritta dalla
seguente figura
Lo schema delinea un sistema di politiche attive del lavoro scandito dalla finanziamento
messo in campo dalla pubblica amministrazione (linee tratteggiate rosse)
23 Per un ulteriore approfondimento si rimanda all’ allegato “tracking cittadino” (WP7)
63
Un primo step, definito “reception”, in cui si sviluppano i servizi si accoglienza, prima
informazione ed orientamento può essere svolto “gratuitamente” dagli attori del
sistema. La parola gratuita non deve però essere fraintesa. Le persone possono trovare
queste informazioni in primis presso i CPI (finanziati direttamente dalla PA), presso alti
servizi pubblici (servizi sociali, università, camere di commercio) che volessero entrare
nel “sistema” o presso gli enti privati accreditati, in quest’ultimo caso la gratuità del
primo step dove essere ripagata dai ricavi sviluppati nelle fasi successive.
Il secondo step è scandito da misure finanziate “erga omnes” in cui tutta la popolazione
disoccupata sia prima profilata e poi incontrata per la definizione del PAI. Solo in questo
caso il PAI svolgerebbe la sua reale funzione di definizione di percorso personalizzato e
non, come attualmente è, certificazione dell’adesione a percorsi predefiniti messi a
bando.
Questo secondo step deve fare subito i conti con i numeri e le risorse da mettere a
disposizione: stando alla proposta sopra descritta questi interventi occupano almeno
4-5 ore e negli ultimi anni il flusso di DID si è attestato intorno a 150.000 richieste annue
e altrettanti ritorni in disoccupazione.
Buona parte di questa attività continuerà ad essere svolta dai CPI, una parte del
processo dovrebbe essere completata in autonomia dai beneficiari attraverso la
piattaforma Web (ma conosciamo l’idiosincrasia degli italiani a tali strumenti)24, la
parte residua (tra il 30 e il 40%) ricadrebbe invece sui Job Center Privati accreditati, che
abbisognano di un finanziamento specifico. All’attuale costo standard di 38 euro,
considerando il solo flusso (e non l’attuale stock di disoccupati), prevedendo un
aggiornamento per chi rientra in stato di disoccupazione e in precedenza è già stato
profilato ( 1 ora) è possibile fare la seguente stima:
• 150.000 DID X 4,5 ore +150.000 aggiornamenti X 1ora = 675.000+150.000 =
825.000 ore
• 35% di 825.000 ore = 288.750 ore a carico dei Job center Privati
• 288.750 ore X 38,00 Euro = 10.972.500 di euro
24 Nello stesso documento “tracking cittadino” (WP7) si riporta una tabella che, nel fotografare la “multicanalità” di
accesso sia sul fronte degli utenti che su quello delle imprese, evidenzia la distanza ancora da percorrere nella nostra
realtà.
64
A questo si accompagna che i CPI devono essere in grado di accogliere e servire per
l’utenza per le 536.250 ore residue. Se consideriamo 1700 ore di attività annue frontali
annue da contratto, significa 315 operatori dedicati esclusivamente a questa funzione.
Si tratta di una stima che vuole dare l’ordine di grandezza del finanziamento per
affrontare seriemente questo processo.
Prendendo atto dell’attuale limitatezza delle risorse a disposizione e dell’impossibilità
di garantire il servizio a tutti i cittadini disoccupati (contra legem, che per i “percettori”
definisce una diritto esigibile), si passa quindi al terzo step che , dalla analisi dei Pai e,
alla luce degli obbiettivi strategici di medio-lungo termine (per categorie di persone,
zone territoriali, ambiti economici,ecc), finanzia specifici “misure finalizzate”, progetti
e strumenti, di breve-medio termine per incontrare i bisogni che i PAI mettono in luce.
In queste analisi è il decisore politico deve, logicamente, prendere in considerazione
le esigenze delle aziende e la politica di sviluppo economico che esso stesso vuole
applicare al territorio. Su questo fronte la rilevazione dei fabbisogni aziendali purtroppo
sconta un deficit programmatorio che difficilmente in Italia può essere superato. In
molti Stati, Germania in primis, con le rappresentanze dei vari settori economici si sono
instaurati tavoli di confronto e programmazione su cui sviluppare le politiche di
intervento. Il nostro tessuto economico composto prevalentemente da micro e piccole
aziende è però strutturalmente incapace di una programmazione breve medio termine
sui bisogni di risorse umane, connaturato invece alle grandi aziende.
Sul fronte delle politica industriale ed economica invece il decisore politico dovrebbe
necessariamente coordinare le scelte/indirizzi degli vari assessorati di riferimento
(sviluppo economico e formazione-lavoro, a cui si aggiunge sul fronte dell’utenza
l’assessorato ai servizi sociali) e trovare strumenti per garantire un piano di durata
pluriennale sui vari territori, dove anche le parti sociali e gli attori del sistema possano
esprimersi. Lo sforzo in questi documenti programmatori è andare oltre alle
enunciazioni di principio e alle visioni, ma dovrebbero riuscire a darsi concreti obbiettivi
quantitativamente definiti.
Infine tutte queste fasi debbono trovare nelle piattaforme informatiche, tra loro
integrate di facile e rapido uso , lo strumento per il costante controllo e monitoraggio
delle attività e dei risultati. Senza una piattaforma informatica (implementazione IDO)
65
che funga da “cruscotto di controllo”25 dove ogni fase del processo è presidiata sia in
termini di accesso e scambio delle informazioni sia di input e output predefiniti il
sistema non può dirsi tale, mancando delle dorsale informatica che lo sorregge e
alimenta e raccoglie il lavoro degli operatori del mercato del lavoro.
4.7 Attuazione delle fasi del processo e del PAI
Questo capitolo non intende presentare nuovamente i servizi previsti nelle fasi del
processo che hanno trovato ampia conoscenza presso gli operatori, ma intende
evidenziare le criticità e i fattori di miglioramento che sono emersi dal confronto con la
sperimentazione e con gli operatori26.
Accoglienza/Sportello
La possibilità di avere attività a “sportello” finanziata ha permesso di incontrare e
dedicare del tempo a persone difficilmente intercettabili con altri dispositivi. I fattori di
successo di questo dispositivo sono:
- La collocazione degli sportelli presso punti strategici come uffici dei servizi
comunali, dei CPI dei territori limitrofi, delle associazione di categorie, delle APL,
ha concretizzato il concetto di prossimità.
- L’ immediata esigibilità del servizio grazie alla deburocratizzazione del processo
(dichiarazione dell’apertura dello sportello e firma del beneficiario su foglio
mobile ).
- La flessibilità dei percorsi, in funzione alle reali esigenze del beneficiario, hanno
permesso di integrare la “prima informazione” ai percorsi di accompagnamento.
- La possibilità di informare adeguatamente le persone sulle opportunità presenti
nel territorio.
25 Anche in questo caso si rimanda all’allegato “Implementazione IDO - cruscotto di controllo” - WP6 .
26 Nel progetto erano infatti previste la WP8 “Condivisione e verifica delle procedure e la WP11 “Iterazione con il
progetto di sperimentazione”. Sperimentazione che ha visto in ENAC il capofila e quindi naturale partner operativo del
progetto di modellizzazione.
66
La modellizzazione ha in fase di avvio del progetto di sperimentazione, predisposto il
materiale di lavoro e lo schema di sintesi “risorse – strumenti”27 che illustra il processo
di accoglienza/sportello. Si sono analizzati le tipologie di utenti in base al fabbisogno,
obiettivi da raggiungere, output da produrre e fasi del servizio (prima informazione,
consulenza orientativa, revisione CV, analisi competenze, iscizioni portali -
CliclavoroVeneto , APL, ecc.-, Ricerca Attiva del Lavoro)
Di seguito l’elenco del “materiale minimo” che ogni centro di prima informazione
dovrebbe essere dotato per poter servire velocemente e adeguatamente i beneficiari:
Elenco CPI
Elenco APL
Elenco CFP
Elenco centri territoriali formazione permanente
Elenco CAAF/Patronati
Navigazione gratuita su territori (Verona)
Webgrafia formazione
Webgrafia offerte di lavoro
Offerta tirocini di inserimento
Offerta formativa / percorsi di tirocinio e accompagnamento
Contratti e incentivi per l’assunzioni
Materiale di supporto per i colloqui (creazione mail, dossier delle evidenze, cv europeo
e personalizzato, domande “guida”, ecc.)
Materiale informativo sui servizi sociali del territorio
Materiale informativo sulla rete dei servizi di socio/assistenziali privati
27 In allegato “Schema risorse – strumenti” - WP 7 elaborato in collaborazione con ENAC
67
Revisione/aggiornamento del toolkit del tutor unico.
Questi documenti pazientemente elaborati con la collaborazione del servizio di
Promozione Lavoro del Comune di Verona, dovrebbero essere costantemente
aggiornati e resi disponibili sulla piattaforma di sistema in modo semplice e completo.
In tal senso la Regione Veneto, o il suo braccio operativo Veneto Lavoro, potrebbe
anche rapidamente predisporre delle pagina Web dedicate, raccogliendo e
strutturando le varie informazioni, che ora sono disseminate su più siti, oltre ad e
obbligare gli attori del sistema all’aggiornamento dei dati. Già in atto invece il processo
di promozione e pubblicazione delle offerte, siano esse lavorative o di percorsi di
politica attiva del lavoro.
Fin da subito si è messa in campo a supporto del lavoro degli operatori la “scheda di
occupabilità”28, strumento da anni sperimentato nel territorio veronese finalizzato a:
� Profilare l’utenza per un corretto accesso ai programmi e una ragionata
distribuzione delle risorse/opportunità;
� Analizzare la condizione di occupabilità e transizione dei/lle lavoratori/trici
secondo un quadro di criteri condivisi tra servizi pubblici e privati per il lavoro;
� Tracciare fasi ed esito della funzione di case management e dell’azione di
accompagnamento al lavoro, anche per razionalizzare risorse organizzative ed
economiche del sistema locale;
� Leggere con la dovuta attenzione e completezza la biografia dei/delle
beneficiari/e secondo una prospettiva che valorizzi, laddove necessario,
l’apporto dei servizi socio-sanitari locali e de mondo imprenditoriale secondo
logiche di integrazione tra sistemi. Logiche necessarie per prevenire la
progressiva caduta nell’emarginazione sociale di persone inoccupate e
disoccupate, seppur motivate a lavorare o con un proprio bagaglio di
competenze significative
28 In allegato Scheda di analisi dell’occupabilità arte 1 – 2 – 3 e documenti a supporto della profilazione e relative guida
alla compilazione (WP5)
68
La scheda è stata rivista in funzione del processo di modellizzazione e quindi non
finalizzata ad un specifico progetto ma utilizzabile su ampia scala. La prima parte è
dedicata alla profilazione dell’utenza, i cui elementi/concetti sono stati ripresi
nell’Employability Assessment System, portando la compilazione della prima parte su
piattaforma Web di Carvet- Università degli studi di Verona29.
La digitalizzazione ha permesso di rendere disponibili i dati degli utenti per
l’elaborazione a posteriori, inoltre è stato fatto un passo formativo importante nei
confronti degli operatori. Abituati da sempre a lavorare “su carta e a mano libera”
hanno dovuto “accettare” procedure codificate e “interiorizzare” che il processo di
standardizzazione e condivisione degli input/output (di qualunque fase del processo) è
essenziale al fine di far funzionare il sistema. Ciò non sminuisce il loro apporto
professionale, che deve trovare invece spazio nella relazione tutor – beneficiario.
La seconda parte della scheda è finalizzata a supportare e tracciare l’azione del tutor
unico che è chiamato a mettere in campo tutte le azioni utili e necessarie per
l’inserimento/reinserimento lavorativo dei/delle beneficiari/e. Ogni sezione prevede la
possibilità di declinare alcuni indicatori di occupabilità secondo una graduata numerica
da compilare in entrata ed in uscita dai percorsi
La terza parte della scheda è finalizzata a sintetizzare tappe e risultati dell’azione di
tutorato.
La scheda nel suo insieme diventa anche lo strumento di confronto e scambio di
informazioni tra gli operatori coinvolti nella gestione del percorso (CPI; OML, assistenza
sociale, Regione Veneto, ecc.).
Seconda e terza parte della scheda è rimasta cartacea, a supporto e a “certificazione”
delle azioni e dei risultati conseguiti nel percorso di accompagnamento.
Certamente la digitalizzazione anche di queste parte dovrebbe essere il successivo
passaggio.
29 CARVET Center for Action Research in Vocational Education and Training Centro di Ricerca Dipartimentale
dell’Università degli Studi di Verona dipartimento di Filosofia, Pedagogia e Psicologia, partner operativo del progetto, che
ha supportato l’elaborazione del modello per cui si rimanda al capitolo 5) “La centralità del profilo personale di
occupabilità” oltre al compito di sistematizzazione completa del progetto di modellizzazione (WP13)
69
Percorsi di accompagnamento, formazione, tirocinio
Nel progetto di sperimentazione correlato, i percorsi degli utenti sono stati variamente
modulati per sperimentare diverse risposte a seconda dei bisogni e dei profili di aziende
ed utenti.
Di indubbia difficoltà è risultato il processo a bando per la selezione dei candidati ai
percorsi di accompagnamento e tirocinio. Il progetto che parte da una specifica
richiesta delle aziende, proprio per le reali potenzialità di inserimento lavorativo,
obbligava a trasformare il bando in una vera e propria ricerca e selezione, con un
elevata percentuale di matching non riusciti e di continue riaperture di bandi e stesure
di graduatorie, con la correlata burocrazia. Il processo è stato aggravato dalla distanza
tra richieste delle imprese e competenze degli utenti: al bando si presentavano persone
con profili molto bassi, mentre le persone con competenze in linea hanno difficoltà ad
accettare il tirocinio come momento di passaggio ad una nuova occupazione. Tuttavia
i risultati occupazionali, circa il 40% di avvio al lavoro su 64 tirocini, dovrebbe essere
reso noto ai potenziali beneficiari per far cambiare loro prospettiva e permettere loro
di coglierne le opportunità.
Chiaramente un processo che parte dal bando di selezione e dai bisogni delle aziende
lascia esclusi gli utenti più in difficoltà e distanti dal mondo del lavoro e non può essere
applicato per la maggior parte dei cittadini disoccupati, tali proprio per le loro
“debolezze”. Per quest’ultimi la ricerca dell’azienda deve avvenire durante il percorso,
una volta rilevate le capacità/potenzialità dell’utente e “onestamente” presentate
all’azienda ospitante.
Una soluzione intermedia poterebbe essere operare il matching prima della
presentazione del progetto, ma questo importante lavoro deve trovare adeguata
compensazione nei costi standard correlati alle attività dirette previsti
successivamente.
Più lineare invece si sono dimostrate le selezioni per i percorsi formativi e la gestione
dei percorsi con le aziende: la consapevolezza, da entrambi le parti, che si è di fronte
ad un processo formativo facilita la gestione del progetto. A fronte di questa linearità
gli esiti occupazionali tendono ad abbassarsi.
La gestione dei percorsi di accompagnamento resta appesantita dai passaggi di
informazione tra opertori ed enti partner per la definizione dei calendari delle attività.
70
Il passaggio alla gestione diretta del calendario da parte dell’operatore, come già
avvenuto ai tempi della casa integrazione in deroga (Doti Lavoro), alleggerirebbe
notevolmente i costi e i rischi di errore.
Per quanto riguarda il tirocinio le procedure di attivazione sono ormai consolidate.
Restano da coordinare ed alleggerire la modulistica di monitoraggio delle attività di
tirocinio. In particolare per i tirocinio di più basso profilo (tipici dei progetti di inclusione
sociale) la sproporzione tra documentazione e contenuti è evidente.
Di scarsa comprensione sono invece i limiti posti dalla Regione, e la conseguente
richiesta di deroga, per la definizione della orario.
La DGR 1324/2013 prevede correttamente che il “ tirocinio dovrà svolgersi di norma in
fascia diurna, fatti salvi i casi in cui la specifica organizzazione del lavoro del soggetto
ospitante non ne giustifichi lo svolgimento anche in fascia serale e notturna”. Porre
ulteriori limiti in fase di attuazione dei progetti significa ostacolare i tirocini in molti
settori (turismo, commercio, ristorazione, “arte bianca”) fonte di molte opportunità
lavorative.
Se il tirocinio è stato scelto come strumento principe per il reinserimento lavorativo
serve una scelta chiara che, pur mantenendo il carattere formativo del tirocinio30, ne
faciliti l’utilizzo in tal senso, a maggior ragione se si tratta di progetti di politica attiva
per soggetti svantaggiati.
Monitoraggio finale
Il progetto di sperimentazione ha previsto una verifica dei percorsi di 2 ore effettuato
da un soggetto terzo rispetto all’Ente che ha svolto il percorso.
Il primo obiettivo di questo intervento era la verifica, ex post, della corrispondenza tra
percorso e bisogni dei beneficiari in quanto i soli questionari di gradimento non
possono dare un giudizio affidabile dell’operato del tutor. Troppo ampia è infatti
30 L’accordo tra il Governo, le Regioni e Province autonome di Trento e Bolzano, sul documento recante “Linee-guida in
materia di tirocini” -Repertorio atti n. 1/CSR del 24 gennaio 2013 è stato sapientemente accolto dalla Regione Veneto nella
DGR 1324/2013, lasciando opportuni spazi di flessibilità agli enti promotori accreditati. Resta un ultimo intervento da
attuare da parte delle Regione, previsto dalla stesso accordo: la promozione del “corretto utilizzo dei tirocini prevenendo le
forme di abuso”. Un confronto Regione, enti accreditati e organi di controllo (inail, inps,ecc) per una condivisa definizione
di abuso (ad oggi del tutto incerta). potrebbe permettere al sistema di operare in sicurezza.
71
l’asimmetria informativa tra tutor e beneficiario, affinché quest’ultimo possa cogliere
la completezza e correttezza del percorso.
Ed in effetti l’ipotesi di partenza è stata confermata dalla rilevazione qualitativa
effettuata dai consulenti incaricati. Si è infatti rilevata come le professionalità dei tutor
e la conseguente qualità del servizio sia disomogenea e, in più di un caso, si sono
rilevate delle carenze. Tra i più significativi:
- CV non compilati correttamente e mancanti di competenze dell’utente “spendibili”;
- Poca ricerca azienda e di proposte di lavoro; in particolare per i soggetti - svantaggiati
si rileva una scarsa propensione a presentarli alle aziende, rinunciando al ruolo di
mediazione;
- Errata o sottostimata rilevazione dei fabbisogni dell’utente, sia sul fronte lavorativo
che socio/assistenziale;
- mancanza di attivazione delle rete sociale per abbattere i vincoli all’occupazione.
La sperimentazione ha permesso quindi di verificare la necessità di questo
monitoraggio ex post ed effettato da soggetto esterni. Un sistema di politiche attive del
lavoro dovrebbe prevedere ed identificare un soggetto terzo (CPI, Agenzia Sociale,
società incaricata) a cui affidare questa funzione per tutte le attività finanziate previa
elaborazione di una strumentazione che permetta anche una rilevazione
quantitativamente accurata di questi fattori
Nelle stesse 2 ore, oltre alla rilevazione degli esiti occupazionali, si è provveduto ad
erogare i questionari di gradimento.
Già il plurale denota una complessità/criticità.
Ci troviamo di fronte a progetti di politica attiva del lavoro dove intervengono più
partner con funzioni diversificate. Ogni partner, in ossequio all’accreditamento, è
tenuto alla rilevazione della qualità dei attività poste in essere e personalizza la
rilevazione, approfondendo alcuni aspetti o trascurandone altri. A questo si aggiunge il
questionario su piattaforma web che non può dirsi completo nell’analisi e i cui dati non
sono accessibili.
72
Si ritiene quindi opportuna una riflessione sul sistema di monitoraggio regionale per un
suo importante sviluppo, che possa tornare utile anche agli Enti accreditati, senza
inefficienti sovrapposizioni31.
31 In allegato si propongono i questionati di gradimento sviluppati da ENAC e l’implementazione sviluppata per il
completamento dell’ Employability Assessment System (cap.5)
73
5– La centralità del profilo personale di occupabilità
5.1 Il concetto di profiling
L’attuale scenario economico globale richiede ai lavoratori l’acquisizione di
competenze ed abilità che permettano loro di muoversi autonomamente all’interno
del “nuovo” mercato del lavoro con maggiore autonomia e con una minore presenza
di vincoli strutturali e organizzativi.
Uno degli aspetti caratterizzanti il modello esposto nelle pagine precedenti riguarda
l’adozione di una metodologia di definizione del profilo di occupabilità della persona
inteso sia come strumento diagnostico dei bisogni e delle potenzialità della persona,
sia come strumento che orienta il tipo e l’intensità delle politiche per il lavoro
necessarie alla persona per giungere nel minor tempo possibile ad una nuova
occupazione, sia come strumento organizzativo delle prestazioni da erogare da parte
della rete del territorio.
Dall’analisi delle migliori pratiche europee diffuse in ambito di profiling nei Servizi
Pubblici per l’Impiego ( European Public Services- PES) emergono come predominanti
tre tipologie di profilazione, di seguito delineate, che si propongono il raggiungimento
di obiettivi diversi mediante l’uso di pratiche e strumenti differenti:
Profiling inteso come strumento diagnostico per l’analisi SWOT delle persone
disoccupate.
Profiling come strumento per la segmentazione dell’utenza e la successiva
determinazione dell’assistenza individuale (associazione fra obiettivi e scopi e tipo di
assistenza).
Profiling come strumento per l’allocazione delle risorse.
A partire dall’analisi delle alternative di servizio che i Servizi sono chiamati ad offrire,
emerge chiaramente come manchi una procedura comune per la profilazione degli
utenti, profilazione che viene quindi per lo più lasciata alla discrezionalità
dell’operatore il quale, nella fase di accoglienza e di definizione del Piano di Azione
74
Individuale, progetta il percorso di attivazione in relazione alle caratteristiche rilevate
nella Scheda Anagrafica e Professionale dell’utente.
Il momento di ingresso di una procedura di profiling statistico, condiviso a livello
nazionale nel sistema dei PES italiani, è segnato dall’introduzione del programma
Garanzia Giovani, programma nazionale gestito dalle regioni, che fa del profiling il core-
process dell’intero sistema.
Il sistema di profiling introdotto dalla Garanzia Giovani può essere ricondotto ad un
modello statistico-predittivo che individua un coefficiente di rischio dell’utente emerso
dall’analisi di dati di natura statistica.
In particolare, tale modello assume che:
La probabilità di ingresso nel mercato del lavoro dei giovani varia rispetto a
determinate caratteristiche individuali e di contesto, quali il territorio, dell'età, del
genere, del livello di istruzione e del nucleo familiare di provenienza.
Esiste un’associazione tra i fattori citati e gli esiti occupazionali dei giovani.
Attraverso l’applicazione di un modello statistico di tipo Logit è possibile analizzare gli
effetti delle variabili chiave ed assegnare ad ogni giovane una probabilità di inserimento
nel mercato del lavoro.
È possibile individuare uno schema di incentivazione personalizzato che tenga conto
della probabilità di inserimento del giovane nel mercato del lavoro.
Il sistema di profiling adottato nell’ambito della Garanzia Giovani assume quindi un
modello statistico-predittivo per bilanciare e definire l’investimento da destinare
all’utente, diversificato sulla base del suo livello di svantaggio desunto a partire da una
serie di dati.
Tali dati vengono raggruppati sulla base di due diversi livelli: un primo livello composto
da indicatori individuali e un secondo livello composto da indicatori territoriali,
regionali e provinciali.
In particolare, gli indicatori individuali prendono in esame l’età, il genere, il limite
temporale di presenza in Italia, il titolo di studio, la condizione occupazionale un anno
prima e le competenze linguistiche, gli indicatori territoriali invece sono riferiti alla
specifica regione o provincia ove ha sede il servizio che ha preso in carico il giovane e
75
comprendono il tasso di disoccupazione dei giovani dai 15 ai 29 anni a livello
provinciale, il rischio di povertà familiare sulla base dei redditi e la densità
imprenditoriale a livello regionale.
Per quanto riguarda la scansione del processo, il profiling inizia tramite la compilazione
della Scheda Anagrafico Professionale nel momento subito successivo alla formale
presa in carico del giovane, ovvero una volta completata l’iscrizione e assegnato il CPI
di riferimento. Nel momento in cui i dati sono stati trasmessi al portale del Ministero
per l’assegnazione dei coefficienti di svantaggio, viene calcolato l’indice individuale che
funge da punteggio, riportato poi nel sistema informativo regionale.
5.2 L’employability Assessment System e il costrutto di occupabilità di Smart Job
Il progetto Smart Job ha declinato il tema del profiling non secondo un modello
statistico predittivo ma secondo un modello di Employability Assessment System.
Questo si configura come un processo di valutazione del livello di occupabilità
dell’utente finalizzato a ridurre l’errore insito in tale processo tramite l’utilizzo di più
tecniche valutative applicate in integrazione fra loro.
L’articolazione di tale metodologia si caratterizza quindi come peculiarità
dell’Employability Assessment System, in grado di realizzare un confronto basato su
diverse valutazioni (auto e/o etero attribuite) e integrando queste alla luce di dati di
natura anagrafica ed esperienziale. La procedura permette di giungere ad un quadro
chiaro del livello di occupabilità dell’utente, in grado di racchiudere in sé dati
riguardanti aspetti diversi della persona, raccolti e sistematizzati a partire da dati
provenienti da diverse fonti, rappresentando un esaustivo profilo multidimensionale
sulla base del quale delineare un possibile intervento. Considerata la centralità del
concetto di occupabilità nelle fasi di articolazione dell’Employability Assessment
System e alla luce della moltitudine di definizioni reperibili in letteratura, si rende
fondamentale fornire una chiara definizione di ciò che viene qui inteso con l’utilizzo di
tale termine in quanto ciò costituirà il criterio di base rispetto al quale gli utenti si
troveranno ad essere valutati.
76
Il costrutto di occupabilità ha acquisito negli ultimi anni sempre maggiore centralità
quale caratteristica in grado di qualificare le persone più spendibili nel mercato del
lavoro nonché le più ricercate dalle organizzazioni. Ciò è dovuto principalmente al fatto
che un alto grado di occupabilità nei lavoratori appare in grado sia di rispondere ai
bisogni di flessibilità delle organizzazioni sia di permettere agli stessi di far fronte in
modo efficace ai rapidi cambiamenti richiesti oggi dal mercato del lavoro. Tali
constatazioni si accompagnano inoltre al modo in cui si differenziano oggi i percorsi di
carriera individuali, ovvero come caratterizzati dal fatto di essere “boundaryless”, cioè
slegati da confini occupazionali o organizzativi e da prevedibili sviluppi di carriera
verticali. Posto quindi che le carriere lavorative sono fondamentalmente meno
prevedibili rispetto al passato, alcuni approcci individuano nella diagnosi delle
competenze del lavoratore, la misura del suo livello di occupabilità, rappresentando
questo un punto cruciale da cui partire per sviluppare poi ogni progetto di politica
attiva.
Tali approcci, definiti come competence-based, circoscrivono la misura
dell’occupabilità come azione volta da una parte all’accertamento delle competenze di
cui risulta già in possesso il lavoratore, dall’altra come la rilevazione dei suoi bisogni,
connessi con lo sviluppo della sua personale carriera.
Da tali approcci competence-based si distinguono gli approcci person-centered,
secondo i quali l’occupabilità di un individuo può definirsi come un insieme di costrutti
centrati sulla persona, i quali si combinano sinergicamente per favorire i lavoratori
nell’adattarsi alla miriade di cambiamenti collegati al lavoro che occorrono nelle
economie attuali. L’occupabilità può allora definirsi come un costrutto psico-sociale che
comprende caratteristiche individuali in grado di favorire comportamenti e stili
cognitivo-affettivi adattivi, i quali assecondano una migliore connessione fra individuo
e lavoro. In tale prospettiva gli approcci competence-based e person-centred
convergono nel concetto di employability.
Nel modello di Employability Assessment System elaborato nell’ambito del progetto
Smart Job sono state elaborate le molteplici dimensioni del concetto di Occupabilità al
fine di costruire un unico indice ottenibile grazie ad un algoritmo, mediante la
somministrazione di strumenti diversi, ognuno di essi deputato alla misurazione delle
sotto-dimensioni di cui il costrutto di occupabilità si compone, nonché concorrente
nella determinazione dell’indice finale di occupabilità.
77
La scelta effettuata in riferimento alla possibilità di profilazione degli utenti all’interno
del progetto Smart Job, viene allora in questo modo a definirsi come caratterizzata dalla
volontà di prescindere da una mera registrazione di dati anagrafici per riuscire piuttosto
a cogliere aspetti diversi della persona e ad integrarli per giungere ad una visione più
“olistica” che si traduce nell’indicazione finale, attraverso un indice, del livello di
occupabilità dell’utente.
5.3 Il processo di Employability Assessment32
Il processo di valutazione dell’occupabilità prevede l’attuazione di alcune fasi che
comprendono una serie di sotto-processi, volti a delineare un processo funzionale
all’ottica di ottimizzazione delle risorse coinvolte e al soddisfacimento degli interessi
dei diversi stakeholder. Ogni sotto-processo mira ad ottenere dati affidabili di natura
quali-quantitativa grazie all’utilizzo di diversi strumenti. Tali dati verranno poi
rielaborati all’interno di un algoritmo appositamente messo a punto, in modo tale da
rendere possibile l’ottenimento di uno scoring e di soddisfare le esigenze di scientificità,
trasparenza e correttezza nei confronti di tutti i partecipanti coinvolti. In particolare, le
quattro fasi del processo, che seguono alla fase di candidatura ovvero di invio della
domanda di partecipazione da parte degli utenti, vengono a delinearsi come di seguito:
1. Colloquio di analisi dell'occupabilità
2. Profiling di secondo livello ai fini della definizione del piano d’intervento
3. Erogazione del servizio
4. Monitoraggio e valutazione
Ognuna delle fasi si caratterizza per il forte orientamento verso dati di natura oggettiva
e in parte quantitativa, in modo tale da garantire carattere di scientificità oltre che di
correttezza nei confronti di tutti i candidati e degli utenti coinvolti nel progetto.
32 Il materiale a supporto del presente a capitolo per ulteriori approfondimenti è:
Employability Assessment System – (WP2 - WP5)
Scheda di dell’occupabilità arte 1 – 2 – 3 ed documenti a supporto della profilazione e relative guida alla
compilazione (WP5)
79
Fase 1 – Colloquio di analisi dell'occupabilità
SAP - Scheda Anagrafico Professionale per la selezione - OPERATORE- ONLINE
Intervista semi-strutturata per la selezione - OPERATORE - ONLINE
Fase 3 – Erogazione servizio
Scheda di analisi L&S – parte 2: Scheda a supporto del tutor - OPERATORE - CARTACEO
Il questionario di occupabilità (Self-employability Questionnaire) - UTENTE- CARTACEO
Privacy e ricevuta di consegna - UTENTE- CARTACEO
Fase 4 – Monitoraggio e Valutazione
Scheda di analisi L&S –Scheda conclusiva a cura del tutor
Scheda di rilevazione della soddisfazione - UTENTE- ONLINE
- OPERATORE - CARTACEO
SCORING
SIGLATURA
ATTUAZIONE DEL PATTO
D’INTERVENTO
Fase 2 – Profiling di secondo livello ai fini della definizione del piano d’intervento
SAP - Scheda Anagrafico Professionale per la Definizione –
ISS - Intervista semi-strutturata
OPERATORE - ONLINE
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Fase 1 - Colloquio di analisi dell'occupabilità
La fase 1 consiste nel colloquio di analisi dell’occupabilità e mira ad acquisire
informazioni sull’utente sia sotto il profilo più strettamente anagrafico, completando la
prima parte della SAP, sia in riferimento alle competenze trasversali, tramite la prima
parte dell’intervista semi-strutturata.
Il tempo stimato per la conclusione della fase di selezione è di 60-90 minuti.
SAP - Scheda Anagrafico Professionale
Ad integrazione dei dati informativi/anagrafici, verrà completata la SAP – scheda
anagrafico professionale, in alcune parti. Tale scheda, contiene i dati relativi alle
esperienze formative e lavorative del soggetto in cerca di occupazione, alla sua effettiva
disponibilità ed alla certificazione delle sue competenze professionali. Essa è suddivisa
in 6 diverse sezioni e permette dunque di rilevare i dati della persona sia in riferimento
agli aspetti anagrafico/amministrativi, sia in riferimento alle esperienze di lavoro, alle
informazioni curriculari utili all’incontro domanda/offerta e agli interventi di Politiche
Attive. Durante questa fase del processo è prevista la compilazione delle sezioni della
scheda ritenute più significative al fine di calcolare un primo indice in grado di fungere
da parametro per ottenere un primo scoring dei candidati.
Intervista semi-strutturata
A conclusione della prima fase è previsto un colloquio con l’operatore, durante il quale
sarà possibile ottenere una valutazione del candidato grazie alla traccia di una intervista
semi-strutturata che indaga alcune specifiche abilità riferite al grado di occupabilità
dell’utente (Rasul, Ismail et al. 2010). Tale intervista sarà realizzata solo in parte, in
quanto si è reputato utile suddividere la sua somministrazione in parti diverse a
seconda della fase del processo. In questa fase di selezione, in particolare, verranno
indagati gli aspetti del candidato che fanno riferimento alle sue basic skills, thinking
skills, resource skills, system & technology skills, per un totale di 13 caratteristiche,
indagate attraverso 13 domande, riferite a 4 caratteristiche generali. Tali abilità sono
state ritenute in grado di rappresentare una prima importante fonte in grado di
selezionare i candidati con un indice di occupabilità più elevato. La raccolta dei dati,
ottenuti dalle diverse fonti sopracitate, permette di calcolare un indice in grado di
fungere da punteggio.
81
Fase 2 – Profiling di secondo livello ai fini della definizione del piano d’intervento
La seconda fase è stata pensata come mezzo per ampliare la base dati riferita ai
candidati, in modo tale da ottenere informazioni ulteriori e più specifiche relative al
profiling, cosicché si renda possibile effettuare un migliore match fra candidato e grado
di strutturazione del percorso che risulta più in linea con le caratteristiche proprie
dell’utente.
Il tempo stimato per la conclusione della fase di definizione dell’intervento è di 30
minuti.
SAP – Scheda Anagrafico Professionale per la definizione
La fase è caratterizzata dall’integrazione, da parte degli operatori, delle informazioni
già ottenute nella prima parte della SAP, tramite il completamento delle sezioni non
compilate nella precedente fase.
Intervista semi-strutturata per la definizione
La fase che si configura come definizione del progetto si conclude con la seconda parte
dell’intervista semi-strutturata, la quale va ad indagare le competenze dell’utente che
fanno riferimento alle informational skills, interpersonal skills, e personal
qualities/values, per un totale di 7 domande riferite, a 7 caratteristiche, attinenti a 3
caratteristiche generali.
Fase 3 – Erogazione servizio
La terza fase dell’employability assessment prevede la stampa della scheda di
intervento dedicata all’utente, la scheda di analisi L&S e la compilazione in modalità
self report da parte dell’utente di un questionario di autovalutazione che mira ad
indagare il livello di occupabilità dell’utente sulla base dei punteggi ottenuti in
riferimento a diversi indicatori, attinenti al modo di approcciarsi ed affrontare le
esperienze professionali. Il tempo stimato per la conclusione del patto di intervento è
di 1 ora.
Scheda di analisi L&S –Scheda a supporto del tutor
82
Questa parte della scheda è finalizzata a supportare e tracciare l’azione del tutor unico
che è chiamato a mettere in campo tutte le azioni utili e necessarie per
l’inserimento/reinserimento lavorativo dei/lle beneficiari/e. Ogni sezione prevede la
possibilità di declinare alcuni indicatori di occupabilità secondo una graduata numerica
da compilare in entrata ed in uscita dai percorsi; ciò con l’obiettivo di favorire processi
di valutazione su alcuni importanti risultati normalmente prodotti dall’azione di
tutorato, ma normalmente difficili da cogliere. Si divide nelle seguenti sezioni:
Sez. 2.1, 2.2, 2.3, 2.4 facoltative (Sono utili per approfondire vincoli e risorse della sfera
sanitaria, abitativa, culturale, relazionale del soggetto. Nel caso di soggetti inviati da
servizi socio sanitari locali se ne prevede la compilazione direttamente a cura
dell’assistente sociale, in stretta collaborazione con lo stesso o dopo aver raccolto tutte
le informazioni necessarie a prevenire forme di insuccesso nell’azione proposta).
Sez. 2.5: Motivazioni, atteggiamenti, rappresentazioni (Sono informazioni utili a
rilevare l’atteggiamento del soggetto nei confronti delle richieste del mondo del lavoro
e del servizio proposto);
Sez. 2.6: Aderenza alla realtà (Sono informazioni utili a rilevare il livello di
consapevolezza e la capacità di autovalutazione del soggetto rispetto alle proprie
competenze/risorse e alla loro spendibilità nel mercato del lavoro tramite percorsi
fattibili).
Sez. 2.7: Flessibilità (Sono informazioni utili a rilevare la capacità del soggetto di
adattarsi positivamente a regole e dinamiche richieste dal mercato del lavoro e dal
sistema impresa).
Sez. 2.8: Autonomia (Sono informazioni utili a rilevare la capacità del soggetto di
attivarsi autonomamente nella raccolta di informazioni utili a chiarire e realizzare, un
progetto professionale).
Sez. 2.9: Variabili relazionali tutorato (Sono informazioni utili a rilevare caratteristiche
della persona ed elementi della sua comunicazione verbale/non verbale che possono
facilitare o meno l’accesso al lavoro o ad alcune tipologie di lavori).
Sez. 2.10 Note relative al percorso da attivare (Sono informazioni utili a sintetizzare
l’esito dell’analisi operata dal tutor e avviare il percorso più coerente con gli obiettivi di
inserimento/reinserimento lavorativo della persona).
83
Il questionario di occupabilità SEQ (Self-employability Questionnaire)
Il questionario di occupabilità si presenta come uno strumento di self assessment che
permette di indagare le percezioni dell’utente in riferimento a 4 dimensioni attinenti
alla propria esperienza professionale.
Tale strumento si compone di 38 item che indagano complessivamente 4 macro aree
e, in particolare:
Le competenze occupazionali dell’utente.
Il modo di rapportarsi nei confronti del cambiamento e, nello specifico, le attitudini
dell’utente nei confronti dell’anticipazione del cambiamento e della sua ottimizzazione.
La flessibilità personale.
La ricerca del work-life balance ovvero la capacità di conciliare tempi di vita e tempo di
lavoro in modo soddisfacente.
L’utente si troverà quindi ad esprimere il proprio grado di accordo rispetto agli item
proposti su una scala Likert a 6 punti, dove 1 = del tutto falso, 6 = del tutto vero.
Fase 4 - Monitoraggio e Valutazione
Scheda di analisi L&S –Scheda conclusiva a cura del tutor
La scheda conclusiva, a cura del tutor di accompagnamento al lavoro, è finalizzata a
sintetizzare tappe e risultati dell’azione di tutorato. E’ compilata dal tutor che ha
realizzato la presa in carico e si divide in due sezioni:
Sez. 3.1: Biografia del percorso di tutorato con dettaglio di aziende e servizi mobilitati
a supporto dell’inserimento lavorativo del/la beneficiario/a. Obiettivo è rendere visibile
l’operato del servizio.
Sez. 3.2: Esito del percorso di politica attiva in forma di sintetica scheda da restituire
compilata all’eventuale servizio socio sanitario inviante o da utilizzare per valorizzare
le competenze acquisite dal lavoratore a seguito del percorso di politica attiva erogato.
Obiettivo è rendere visibile il risultato ottenuto dal servizio e gli eventuali ostacoli
riscontrati. Essa potrà rappresentare anche strumento che il tutor può utilizzare per la
84
fase di scouting, contatto con Agenzie per il Lavoro e di placement per la promozione
lavorativa del/la candidato/a.
Scheda di rilevazione della soddisfazione
La scheda conclusiva, a cura dell’utente ed è finalizzata a rilevare il livello di
soddisfazione rispetto alle azioni di ricerca.
5.4 Employability Assessment System fra Modellizzazione e Sperimentazione Il processo che si è sviluppato a partire dalla fase di modellizzazione e pensato per
attuarsi fino alla sua sperimentazione è stato fondamentalmente considerato alla luce
di un principio di continuità che potesse assumere al suo interno una visione unitaria
in riferimento alla presa in carico della persona, attraverso fasi diverse ma
consequenziali.
Come più sopra riportato, il core value dell’Employability Assessment System è
identificabile con l’indice finale di occupabilità, (Employability Index), il quale è in grado
di sintetizzare una procedura di profiling dell’utente che tiene conto non solo dei suoi
dati anagrafici ed esperienziali, bensì anche di una valutazione delle sue soft skills
mediata dall’operatore e ponderata sulla base di pesi predeterminati, al fine ultimo di
graduare le policy da adottare a livello di sistema per ciascun utente.
A tali aspetti centrali, si uniscono le opportunità derivanti dalla possibilità di ottimizzare
le tempistiche di raccolta dati e la loro elaborazione immediata grazie all’utilizzo del
supporto informatico, la caratteristica di standardizzazione del processo e la sua forte
oggettivazione, proprietà queste che sono alla base dell’utilizzo di un algoritmo, in cui
vengono elaborati i dati provenienti da fonti fra loro diverse, quindi in grado di
bilanciare eventuali fonti d’errore.
Oltre a ciò, la strutturazione dell’algoritmo permette una ponderazione dei coefficienti,
associati ai molteplici aspetti considerati nella fase di profiling così come qui intesa,
ovvero alla luce di un profilazione dell’utente entro il framework dell’employability
(Forrier and Sels 2003), in modo tale da adattarli sulla base dei dati correnti.
85
Diventa allora centrale la questione di validità dello strumento, il quale deve
necessariamente prevedere, per il suo utilizzo ottimale, un costante collegamento ai
valori di riferimento registrati su una popolazione di standardizzazione, in modo tale da
poter disporre di una sorta di norme, ovvero indici di riferimento rispetto ai quali
riferire il punteggio ottenuto dal singolo.
Proprio per questi motivi, si è pensato, alla fase attuale, di inserire lo strumento a
selezione già iniziata, pur tenendo presente che la finalità dello strumento è quella di
fornire in ultima analisi una graduatoria per livello di occupabilità degli utenti, sulla base
della quale suddividere i partecipanti ai percorsi di politica attiva e da cui partire per i
processi selettivi successivi.
Un ulteriore livello di analisi, utile per testare indirettamente la validità dello
strumento, è identificabile nell’analisi del grado di discrepanza fra i sistemi attualmente
in uso per la gestione delle selezioni nei percorsi di politica attiva e l’utilizzo
dell’Employability Assessment System, ovvero, in altre parole, andando a calcolare le
correlazioni fra i risultati ottenuti tramite le misure storicamente in uso per il profiling
e i risultati dell’Employability Assessment System, associati al miglior esito di processo.
86
6– ACCREDITAMENTO JOB CENTER PRIVATI: servizi e professionalità
6.1 Un nuovo accreditamento
Dal confronto con i progetti di modellizzazione sviluppati negli altri territori sono
emersi alcuni aspetti di metodo che necessitano una scelta strategica definitiva per
poter sviluppare un sistema di politiche attive stabili nel tempo, che permetta ai
soggetti privati di operare in un mercato dove il rapporto rischio/profitto sia
quantificabile e sostenibile. Alla Regione sono state presentate le seguenti
opportunità/alternative 33 relative al modello:
- Job center inteso come singola struttura di erogazione di servizi vs rete di
soggetti vs rete di strutture (anche dello stesso soggetto)
- Job center (pubblico-privato accreditato) vs centro per l’impiego (pubblico) vs
agenzia del lavoro (privato autorizzato)
- Accreditamento ‘ordinario’ vs accreditamento ‘evoluto’
- Inclusione sociale – Agenzia Sociale/Patti territoriali
- Valutazione (e remunerazione del servizio) del processo vs valutazione basata sul
risultato
- Finanziamenti a progetto vs servizi
- Bandi di gara per micro-interventi vs affidamenti per macro-interventi
pluriennali
- Profilazione degli utenti in esito a procedura informatizzata vs in esito a
valutazione operatore
- Case manager ‘trasversale’ ai servizi vs accompagnamento per ciascuno specifico
servizio.
33 Comitato di sorveglianza del 30 giugno 2015.
87
Come disegnato da questa modellizzazione ed illustrato nella figura iniziale (pag. 25) i
Job Center Privati (JCP) si configurano come agenti strategici del sistema.
I JCP potrebbero infatti:
-aumentare la “capacità di carico” dell’intero sistema profilando gli utenti a cui i CPI
non riusciranno a dare risposta;
-aumentare la capillarità dei servizi in una logica di concorrenza/opportunità tra
opertori pubblici e privati.
- incanalare i soggetti svantaggiati nell’alveo dell’Agenzia Sociale per la definizione di
specifici PAI con una gamma di servizi più ampi in sinergia con i servizi
socio/assistenziali del territorio;
- gestire direttamente la presa in carico e i PAI dei soggetti disoccupati, tramite i
finanziamenti “ordinari” previsti dalla Ministero e/o dalla Regione Veneto.
Ne consegue, secondo la nostra impostazione, che i JCP sono reti di soggetti e
strutture private (anche dello stesso soggetto) in grado di soddisfare un
accreditamento ‘evoluto’, che collaborano costantemente e formalmente con i CPI
pubblici e con l’Agenzia Sociale (per la gestione dei soggetti svantaggiati per politiche
di inclusione socio/lavorativa).
Il JCP svolge il ruolo del Case manager per gli utenti che ha preso in carico (i soggetti
svantaggiati sono invece presi in carico dall’Agenzia Sociale) lungo tutta la filiera dei
servizi erogati dalla rete.
Da qui deriva la necessità di uno specifico accreditamento, di livello superiore, che
dovrebbe configurare i Job Center Privati come capofila di una rete di soggetti
accreditati (orientamento, formazione, lavoro) in grado di fornire la gamma completa
dei servizi.
L’approfondimento “Job center e competenze operatori” (WP9), in allegato e a cui si
rimanda, prevede una serie di servizi e di competenze degli operatori necessari per
garantire la qualità dell’offerta. Inoltre i questi servizi dovrebbero essere erogati in
funzione di specifici target: disagio sociale (donne con problematiche di conciliazione,
over 50, giovani in situazione di emarginazione sociale, ecc.) – Disabili – Stranieri, ecc.
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L’attività diretta deve essere supportata da ulteriori fondamentali professionalità: ogni
JCP deve infatti poter contare su personale dotato di ampie competenze commerciali,
di marketing, amministrative e giuridiche.
L’accreditamento dovrebbe prevedere prescrizioni affinché il JCP coprano territori
ampi (pluriprovinciale) e abbiano una diffusione capillare (per servire anche zone
marginali).
Tutti questi fattori dovrebbero trovare nel nuovo accreditamento una sintesi che
costruisca il modello veneto di politiche attive del lavoro, imperniato sulla metodologia
del case management, supportato da
- un predefinito e condiviso sistema di monitoraggio e controllo (risultati, qualità
del processo, soddisfazione dell’utente)
- sistema informativo e banche dati
- repertorio standard professionali e formativi
- sistemi di validazione e certificazione
- sistema di qualificazione e sviluppo professionale degli operatori
- sistema di informatico “frendly”
6.2 Servizi e premialità34
Il nuovo modello si impernia sulla
- Centralità dell’individuo,
- rete di operatori pubblici e privati accreditati
- Sistemi di monitoraggio, valutazione dei servizi e rating
e deve
34 I nostri partner, le agenzie per il lavoro Manpower e Umana, portando il punto di vista di operatori del mercato orientati al business e
alla soddisfazione completa delle proprie aziende clienti, hanno sviluppato questa tematica come elemento fondamentale di un nuovo
modello/sistema di politiche attive del lavoro. In allegato gli elaborati “Premialità - contributo della APL” (WP10) che sviluppano
ulteriormente i concetti qui riportati.
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- Assicurare una politica sempre aperta e disponibile per il cittadino
- Assicurare servizi personalizzati (profilazione)
- Assicurare servizi erogati nel rispetto di standard definiti dalla PA
- Garantire una semplificazione amministrativa
- Orientare gli operatori al risultato
- Garantire alla politica maggiore potere decisionale uscendo dalla logica dei
progetti
Affinché questi soggetti privati possano operare efficacemente e efficientemente è
quindi necessario passare ad un sistema di erogazione a servizio, ordinari e accessibili
ai beneficiari.
Gli attuali micro-progetti dovrebbero trovare spazio per particolari e sperimentali
azioni su specifici territori e/o realtà economiche.
Le Macro -progettazioni pluriennali potrebbero invece essere utilizzate per gli
interventi di inclusione sociale, così da poter strutturare interventi multidisciplinari con
pluralità di finanziatori, che si integrino con i servizi ordinari di politica attiva.
Presupposto su cui incardinare il sistema è la profilazione degli utenti, intesa come mix
tra procedura informatizzata e valutazione dell’operatore, che ne definisca il grado
di occupabilità35. In funzione dell’occupabilità emersa è necessario prevedere sistemi
di remunerazione dei Job Center Privati che siano mix di processo e risultato:
maggiore è l’occupabilità, maggiore è la parte di remunerazione a risultato. Il mix
dovrebbe attestarsi in un range che tra il 30% e il 70%, evitarndo estremizzazioni delle
formule di incentivo.
35 In tal senso è preferibile partire da una profilazione “limitata” come quella prevista da Garanzia Giovani estendendola
anche agli over 30, per poi approfondire e migliorare progressivamente lo strumento di profilazione. Fin da subito infatti è
necessario imperniare il sistema su un processo di erogazione in linea con gli standard europei (e in questo caso l’ottimo
sarebbe davvero nemico del bene).
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Un riconoscimento completamente a risultato, porterebbe rapidamente ad effetti di
creaming e si tradurrebbe di fatto in un “cofinanziamento” a processi di inserimento
lavorativo che si svolgerebbero naturalmente, anche senza incentivi.
Allo stesso tempo, per i soggetti più svantaggiati, è necessario introdurre incentivi
economici a risulto per non appiattire i servizi ad un mera “erogazione di ore”, fine a se
stesse.
La premialità permette alla concorrenza di dispiegarsi in un mercato comunque
regolato e fondato sulla collaborazione pubblico/privato o tra privati, portando così
maggiori benefici sia alle aziende che agli utenti36.
A tal proposito aziende e utenti devono essere adeguatamente informati tramite
ampia pubblicizzazione degli esiti di monitoraggio. Progressivamente i beneficiari si
rivolgeranno agli enti più capaci di leggere il mercato e di intercettare le loro specifiche
esigenze.
L’inserimento nel modello di processi competitivi/collaborativi e della premialità
risolverà, nel medio termine, anche la questione della rilevazione dei fabbisogni
occupazionali e/o formativi e della condivisione delle vacancies (bene troppo prezioso
per le agenzie privato per rendere obbligatoria la loro condivisione pubblica). Le risorse
si riverseranno su quegli attori in grado di operare al meglio sul mercato, leggendone i
bisogni in profondità.
Infine affinché il modello possa “girare” è necessario l’“olio motore” di una di
infrastruttura amministrativa adeguata e semplificata.
Di seguito alcuni elementi di miglioramento:
• previsione di un Atto di Adesione unico sottoscritto da tutti gli operatori
accreditati che intendono erogare servizi;
• definizione di servizi standard, completi di modalità di esecuzione, qualità
richiesta, output previsti (in tal senso si supera la necessità di valutare progetti);
36 In tal senso di enorme interesse il modello sperimentato in Regione Lombardia, dove ad ogni operatore è affidato un
budget che periodicamente è aggiornato, in alto quanto in basso, in funzione dei risultati ottenuti. Il sistema permette allo
stesso tempo: programmazione sia per il pubblico finanziatore che per il privato esecutore, controllo del finanziamento,
sviluppo della concorrenza/collaborazione tra enti. Allo stesso tempo il meccanismo ha bisogno di alcuni correttivi
(adeguata profilazione e definizione dei correlate remunerazioni a processo e/o a risultato) per evitare effetti di creaming
e/o illegittimo cofinanziamento di processi economici/occupazionali, che si sarebbero verificati comunque anche in assenza
di incentivo/politica attiva.
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definizione di un “patto di servizio” tra operatore e cittadino, che definisce i
diversi servizi da erogare e la loro durata con i reciproci diritti e doveri e
sanzioni;
• identificazione caratteristiche dei destinatari e delle relative “fasce di aiuto”
(profilazione)37;
• utilizzo di costi standard38, riferiti ai diversi servizi, rimborsati alcuni a processo
(in riferimento a costo ora/persona) e altri a risultato coerentemente con il
Regolamento (CE) 396/2009;
• richiesta di finanziamento del patto di servizio alla Regione e accettazione sulla
base di verifica automatica da parte del sistema informativo dei requisiti
formali;
• accesso ai servizi “a sportello” regolata da un budget massimo assegnato a
ciascun operatore;
• rendicontazione periodica delle attività realizzate o dei risultati ottenuti
dall’operatore riferita ai patti di servizio realizzati nel periodo.
37 Giustamente gli opertori privati nel loro calcolo rischio/beneficio hanno la necessità di conoscere gli elementi usati nella
processo di profilazione e che determinano il grado di occupabilità. Solo così possono essere messi in condizioni di fare le
opportune valutazione e definire le proprie strategie commerciali, cosà che non è avvenuta in Garanzia Giovani dove queste
informazioni non erano a disposizione. 38 La definizione di un “costo standard” deve poi trovare corrispondenza in una reale semplificazione amministrativa e
contabili e non semplicemente in una cambio di denominazione, che ha mantenuto molti degli adempimenti dei “costi reali”.
Il passaggio ai sistemi a voucher (“a dote”), riconoscendo nel disoccupato il beneficiario, potrebbero permettere di superare
le restanti complessità. La definizione del costo potrebbe essere raggiunta tramite l’analisi dei costi di mercato, raccogliendo
e comparando i dati fisici e finanziari dei servizi storici e di mercato (costi diretti e indiretti, durata minima, media e massima
di erogazione, figure impiegate…) in un confronto collaborativo con gli enti accreditati.
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ALLEGATI
1 ) Analisi dello stato dell’arte dei servizi del lavoro a Verona e provincia (WP1)
2) Employability Assessment System – (WP2 - WP5)
3) “Tracking cittadino” (WP 7)
4) Patto territoriale persone svantaggiate (WP 3 -11)
5) Modalità di gestione delle relazioni con l’Agenzia sociale (WP 3 -11)
6)Tabella RAFFRONTO EAS – IDO” (WP6)
7) Implementazione IDO - cruscotto di controllo(WP6)
8) Scheda di analisi dell’occupabilità parte 1 – 2 – 3, documenti a supporto della
profilazione e relative guida alla compilazione (WP5)
9) Job center e competenze operatori (WP9)
10) TRAL (WP 7)
11) Premialità - contributo delle APL 1 e 2 (WP10)
12) Schema risorse-strumenti (WP7)
13) Questionari di gradimento (WP8)