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Il progetto è stato cofinanziato dal Fondo Sociale Europeo ed è stato selezionato nel quadro del Programma Operativo cofinanziato dal Fondo Sociale Europeo e sulla base dei criteri di valutazione approvati dal Comitato di sorveglianza del Programma. Il modello dinamico della rete dei servizi per il lavoro a Verona Smart Job: la rete dei servizi per il lavoro nella Provincia di Verona Cod. progetto 4363/0/1/448/2014

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Il progetto è stato cofinanziato dal Fondo Sociale Europeo ed è stato selezionato nel quadro del Programma Operativo cofinanziato dal

Fondo Sociale Europeo e sulla base dei criteri di valutazione approvati dal Comitato di sorveglianza del Programma.

Il modello dinamico della rete dei servizi per il lavoro a

Verona Smart Job: la rete dei servizi per il lavoro nella Provincia di Verona

Cod. progetto 4363/0/1/448/2014

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Verona 30 luglio 2015

Questo documento non avrebbe potuto essere scritto senza

per il costante e franco confronto con gli stakeholders della

rete dei servizi per il lavoro veronese e ai partner del

progetto a cui va un nostro sentito ringraziamento

In particolare si ringraziano per i loro significativi contributi

i partner, con i loro responsabili e collaboratori:

- ENAC- Ente Nazionale Canossiano (Veneto)

- Centro Polifunzionale Don Calabria

- ENAIP (Veneto)

- Umana

- Manpower

- CARVET Center for Action Research in Vocational

Education and Training, Centro di Ricerca Dipartimentale

dell’Università degli Studi di Verona dipartimento di

Filosofia, Pedagogia e Psicologia

- Provincia di Verona

- Comune di Verona

Si ringraziano inoltre il presidente Orazio Zenorini, i soci e i

collaboratori di Lavoro & Società che in questi anni hanno,

con il loro lavoro giornaliero, contribuito sviluppare e a

realizzare molte delle idee qui riportate.

Si ringrazia inoltre il dott. Giancarlo Modanesi per la

preziosa consulenza.

Elaborazione del report:

dott. Mirko Tavella - direttore di Lavoro & Società

2

Sommario

1- Modelli innovativi di servizi pubblici e privati per il lavoro. Questioni preliminari al lavoro di

modelizzazione .................................................................................................................................................. 4

1.1 Il modello Job Center nell’ambito dell’iniziativa “Fare rete per competere” .......................................... 4

1.2. Il disegno strategico della Regione Veneto .............................................................................................. 5

1.3 L’approccio alla modellizzazione ............................................................................................................... 6

1.4 Il disegno della ricerca: l’indagine in campo ............................................................................................. 7

2 – La rete ei servizi per il lavoro in provincia di Verona ........................................................................ 10

2.1 Le tappe evolutive della rete veronese ................................................................................................... 10

2.2 Prima fase di sviluppo: dalla fine degli anni 90 ai primi anni 2000 ....................................................... 11

2.3 Seconda fase di sviluppo: dalla metà degli anni 2000 al 2010 ............................................................... 12

2.4 Terza fase di sviluppo: il consolidamento della rete ............................................................................... 13

2.5 Le iniziative più recenti ............................................................................................................................ 15

2.6 Considerazioni sull’evoluzione della rete ................................................................................................ 16

2.7 Le proposte per lo sviluppo della rete .................................................................................................... 19

3 – Il Job Center nella rete dei servizi per il lavoro. Il modello veronese ............................................ 23

3.1 Premessa ................................................................................................................................................... 23

3.2 Un assetto hub&spoke ............................................................................................................................. 24

3.3 I Job Center nel contesto veronese. Il valore dell’esperienza ............................................................... 27

3.4 Le componenti chiave del modello .......................................................................................................... 29

3.5 Il sistema di governance della rete .......................................................................................................... 30

3.6 Attivazione della rete e centralità degli operatori .................................................................................. 33

4 – L’architettura istituzionale e organizzativa del modello ................................................................... 39

4.1 Il patto territoriale a l’agenzia sociale ..................................................................................................... 39

4.2 Caratteristiche e funzioni del Patto territoriale ..................................................................................... 41

4.3 Caratteristiche e funzioni dell’Agenzia Sociale ...................................................................................... 43

4.4 L’Agenzia Sociale e i processi di integrazione dei servizi ........................................................................ 47

4.5 I fattori di natura normativa e organizzativa .......................................................................................... 53

4.6 il ciclo di erogazione dei servizi ................................................................................................................ 62

4.7 Attuazione delle fasi del processo e del PAI ............................................................................................ 65

5– La centralità del profilo personale di occupabilità .............................................................................. 73

5.1 Il concetto di profiling .............................................................................................................................. 73

3

5.2 L’employability Assessment System e il costrutto di occupabilità di Smart Job ................................... 75

5.3 Il processo di Employability Assessment ................................................................................................. 77

5.4 Employability Assessment System fra Modellizzazione e Sperimentazione .......................................... 84

6– ACCREDITAMENTO JOB CENTER PRIVATI: servizi e professionalità ..................................... 86

6.1 Un nuovo accreditamento ....................................................................................................................... 86

6.2 Servizi e premialità ................................................................................................................................... 88

4

1- Modelli innovativi di servizi pubblici e privati per il lavoro. Questioni preliminari al lavoro di modelizzazione

1.1 Il modello Job Center nell’ambito dell’iniziativa “Fare rete per competere”

La Regione Veneto attraverso specifici atti deliberativi ed in particolare con la DGR 448

del 04/04/2014 – Fare Rete per Competere (d’ora in poi “DGR 448”) ha promosso

l’attivazione di una rete di Job Center nel territorio veneto, attraverso un percorso di

sperimentazione e modellizzazione affidata ai soggetti e ai partenariati che hanno

presentato progetti nell’ambito dell’apposito Avviso pubblico. “Case management,

territorio e rete pubblici e privata per il lavoro”

Per la provincia di Verona, Lavoro & Società ha presentato il progetto di

modellizzazione “Smart Job: la rete dei servizi per il lavoro nella Provincia di Verona”

(Cod. progetto 4363/0/1/448/2014) che è stato approvato. Questo documento fa

sintesi dei vari interventi di sistema, denominati "workpackages" (WP), azioni di

indagine e di studio previste dal progetto finalizzato a creare un modello/proposta su

tema da affidare alla Regione Veneto.

Dalla lettura della documentazione disponibile (DGR 448/2014, Progetti presentati dai

soggetti proponenti, Avviso pubblico) il modello di Job Center prefigurato si caratterizza

per una serie di elementi distintivi:

a) ispirazione alle migliori pratiche italiane ed europee;

b) integrazione tra servizi pubblici e privati in una logica di interazione con il mondo

imprenditoriale;

c) sinergia pubblico / privato finalizzata a facilitare l’incontro tra domanda e offerta

di lavoro;

d) ubicazione in luoghi di facile raggiungibilità e accesso da parte dell’utenza /

individuazione dei locali preposti all’attività di sportello;

5

e) standard minimi di servizio / livelli essenziali delle prestazioni pianificazione e

standardizzazione delle procedure tra i soggetti che operano nella rete per

garantire servizi più efficaci ed efficienti;

f) erogazione di nuovi servizi smart di immediata spendibilità che agevolino

l’inserimento e la permanenza nel mercato del lavoro;

g) strategicità della fase di screening e profilazione approfondita dell’utenza

attraverso procedure condivise);

h) implementazione del database per l’incontro tra domanda e offerta di lavoro e

interconnessione tra i soggetti della rete territoriale e sistema nazionale /

regionale;

i) empowerment degli operatori per rispondere in modo completo ai bisogni socio

occupazionali dell'utenza;

j) implementazione di un sistema di monitoraggio e valutazione anche in una

logica di premialità dei partner maggiormente “performanti” in termini di

risultati occupazionali;

k) definizione dei criteri generali di rimborso a processo / risultato;

l) rating delle agenzie operanti sul mercato in base ai risultati conseguiti.

A ben vedere si tratta di indicazioni chiave (ricorrenti anche nella letteratura scientifica

in materia) per la definizione di linee guida e modelli innovativi di erogazione integrata

dei servizi pubblici e privati per il lavoro.

Va considerato che alcuni dei punti sopracitati, nella realtà veronese si sono già tradotti

in scelte organizzative e operative condivise e praticate con risultati significativi

nell’ambito del “Modello Agenzia Sociale” su cui si tornerà diffusamente nelle sezioni

successive del presente report.

1.2. Il disegno strategico della Regione Veneto

Gli orientamenti espressi dalla Regione Veneto stimolano alcune inevitabili

interpretazioni riferite al disegno strategico perseguito dalla Regione nel settore delle

politiche attive e dei servi per il lavoro.

6

Attraverso la proposta dei Job Center la Regione intende razionalizzare e portare a

sistema le diverse esperienze di rete e di collaborazione tra soggetti pubblici e privati

già attuate nelle diverse realtà provinciali per garantire la presenza di strutture di

erogazione di servizi per il lavoro omogenei su tutto il territorio regionale.

In una prospettiva strategica, ciò significa anticipare in qualche modo gli esiti del processo

normativo di “superamento delle Province” (vedi legge Del Rio )e dei cambiamenti

nell’assetto complessivo dei servizi per il lavoro prefigurati dal Jobs Act a livello

nazionale (Legge 83/2014).

Seppur in considerazione di un quadro in evoluzione, la Regione del Veneto intende,

attraverso la proposta di lavoro sui Job Center, verificare le condizioni per realizzare

una rete efficace di servizi per il lavoro, ispirata a principi di cooperazione tra pubblico

e privato, efficacia, efficienza e qualità delle azioni e delle prestazioni, interoperabilità

tra sistemi informativi, professionalità e competenze degli operatori. Tale prospettiva

lascia immaginare una situazione in cui la Regione Veneto accompagnerà processi di

reale e organica integrazione tra i servizi nella formula dei Job Center nei territori

provinciali, nonché processi selettivi degli stessi attraverso la valorizzazione delle loro

specializzazioni professionali e delle esperienze maturate nel lavoro con i destinatari e

le imprese e l’adozione di dispositivi “selettivi” e di “mercato”.

Si tratta, ovviamente, di una possibile interpretazione del disegno regionale cui se ne

possono aggiungere altre, dato che dagli atti ufficiali della Regione Veneto non

emergono per ora indicazioni e orientamenti espliciti in merito al sistema complessivo

di governo in cui si collocheranno i Job Center (ciò è comprensibile data la speri

mentalità del processo in corso).

1.3 L’approccio alla modellizzazione

Nelle scienze sociali con il termine modello si intende uno “schema interpretativo di

riferimento” che consenta di:

7

• analizzare una realtà / un fenomeno sociale, istituzionale, organizzativo,

partendo dalla osservazione diretta della realtà;

• fornirne una chiave interpretativa che consenta di individuare parti, elementi,

dimensioni e caratteristiche distintive del fenomeno analizzato;

• formulare una rappresentazione esplicativa della realtà di riferimento che ne

consenta la riconoscibilità e la trasferibilità.

In pratica, il lavoro di modellizzazione, consente di:

• definire l’architettura, la mission, i dispositivi di funzionamento di una realtà

politica, sociale, organizzativa, rendendola visibile, e riconoscibile rispetto ad

altre realtà;

• definire i risultati attesi da un determinato contesto organizzativo, in quanto

sistema intenzionalmente programmato per raggiungere specifici scopi;

• valutare la trasferibilità, la diffusione e la replicabilità di una data esperienza,

presso realtà diverse da quelle che hanno generato l’esperienza stessa.

Dal punto di vista operativo, la modellizzazione prevista dalla DGR 448/2014 prefigura

un “sistema di connessione” tra diversi soggetti, strutture e servizi” allo scopo di

“mettere insieme” risorse umane, informative, tecnologiche, finanziarie e di integrare

procedure e condividere strumenti di lavoro per garantire maggiore efficacia ed

efficienza nella soluzione delle problematiche occupazionali del territorio.

Dal punto di vista metodologico la modellizzazione è il risultato di un processo di

“tipizzazione” delle caratteristiche di un determinato fenomeno / entità (sistema,

strutture di servizio, servizi, procedure, performance) che nella realtà tenderebbe a

manifestarsi con grande variabilità in rapporto a numerose variabili di contesto e fattori

contingenti.

1.4 Il disegno della ricerca: l’indagine in campo

Per analizzare lo stato dell’arte della rete veronese, è stata realizzata un’apposita

indagine nell’ambito del Progetto Smart Job “La rete dei servizi per il lavoro nella

provincia di Verona”.

8

L’indagine aveva come ambito di riferimento il territorio veronese che da anni è

interessato a pratiche positive di cooperazione pubblico/privato in materia di lavoro e di

servizi per l'impiego.

La definizione aggiornata dello "stato dell'arte della rete” è risultata utile in una

prospettiva di ulteriore sviluppo delle pratiche cooperative fra i soggetti del territorio e

per rendere più fluido ed efficace il funzionamento del mercato del lavoro locale.

Nel corso dell’indagine si è proceduto alla ricostruzione dello stato dell’arte della rete,

con i suoi punti di forza e le sue criticità.

In particolare si è preso atto di un approccio che ha visto nella cooperazione

pubblico/privato un percorso in grado di garantire risultati positivi per il territorio in

termini di governance di sistema e di efficacia organizzativa dal punto di vista della

cultura, degli strumenti e dei dispositivi di gestione operativa della rete.

L’indagine è stata effettuata nel periodo giugno settembre 2014, intervistando 21

soggetti che tramite gli Enti di appartenenza operano, direttamente o indirettamente,

nel settore dei servizi per il lavoro della Provincia di Verona.

A ciascun soggetto è stata somministrata un’intervista semi strutturata nel corso di un

colloquio della durata di tre ore.

Di seguito sono elencati gli enti di appartenenza dei soggetti intervistati.1

AIV Associazione imprenditori Villafranchesi per conto del Comune di Villafranca di

Verona

Apindustria Verona

Azienda ULSS 20 di Verona

Azienda ULSS 21

CdO Compagnia delle Opere Veneto

1 Per un approfondimento al presente documento si allegano il documenti elaborato durante il progetto, nello

specifico a questo tema : “Analisi dello stato dell’arte dei servizi del lavoro a Verona e provincia” (WP1).

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Centro Polifunzionale don Calabria

Cisl Verona

Comune di Valeggio sul Mincio (Vr) –Sportello Lavoro

Comune di Verona

Confartigianato – Upa Servizi Verona

Confcommercio

Confcoop

Enaip Veneto

Enac – Ente Nazionale Canossiamo

Fondazione Cariverona

Lavoro & Società

Manpower Spa

Medialabor Srl

Synergie Italia spa

Verona Innovazione azienda speciale CCIAA di Verona

10

2 – La rete ei servizi per il lavoro in provincia di Verona

2.1 Le tappe evolutive della rete veronese

Le informazioni raccolte nel corso dell’indagine hanno consentito di individuare le

principali tappe di sviluppo della rete.

La Provincia di Verona, già alla fine degli anni ‘90 ha avviato esperienze di

collaborazione tra soggetti pubblici e privati del territorio veronese con particolare

riferimento alle azioni di accompagnamento al lavoro e sostegno delle c.d. "fasce

deboli".

Ciò ha consentito la sperimentazione di modalità avanzate di integrazione tra i CPI e

soggetti privati, coinvolti nella attuazione di diverse iniziative con risultati

indubbiamente significativi.

La ricostruzione delle tappe evolutive della rete dei servizi pubblici e privati della

provincia di Verona (documentata in modo particolarmente approfondito), è stata

possibile, non solo grazie ai colloqui con gli intervistati, ma anche attraverso fonti

informative preesistenti (libri, report, indagini) segnalate dagli stessi 2.

2 Si veda in particolare, presenti sul sito di www.lavoroesocieta.com :

- COSP, AAVV, “I profili delle disuguaglianze: dall’analisi al modello di Agenzia Sociale per il lavoro contro le discriminazioni, Grafica Scripta, 2010, Verona - indagine, realizzata nell’ambito del Progetto Pilota Regione Veneto (FSE POR 2007-2013);

- Provincia di Verona - Lavoro & Società ”La rete delle opportunità per il lavoro -

Analisi dello stato dell’arte e delle prospettive di sviluppo della rete territoriale

dei servizi nella Provincia di Verona”, Verona, 2010; - Lavoro & Società, COSP Verona , MAG Servizi Società Cooperativa, Verona

Innovazione Azienda Speciale C.C.I.A.A. VR “Il lavoro a Verona in tempo di crisi”, Verona, 2013.

11

In base a questo approccio, sono state individuare quattro fasi di sviluppo della rete:

• la prima fase, che va dalla fine degli anni 90 ai primi anni 2000;

• la seconda fase, che va dalla metà degli anni 2000 al 2010;

• la terza fase che si apre con il consolidamento del ruolo dell’ Agenzia Sociale come organismo di coordinamento della rete;

• le iniziative più recenti

2.2 Prima fase di sviluppo: dalla fine degli anni 90 ai primi anni 2000

In questo periodo, la Provincia di Verona vive una fase di forte espansione economica

con un tasso di disoccupazione definito, per anni, “fisiologico”.

Tale fase è incentrata su un sistema produttivo e valoriale a base familiare e distrettuale che determina un significativo miglioramento delle condizioni materiali e di benessere diffuso.

Ne conseguono alcuni orientamenti specifici, quali una diffusa propensione

all’autoimprenditoria e una generale fiducia nelle possibilità di inserimento e

reinserimento professionale.

In questo clima, a partire dagli anni novanta, si susseguono sperimentazioni innovative

di servizi per l’orientamento e la formazione ispirate a modelli europei (Job Center,

Centri Retravailler, fino a giungere alla sperimentazione di una Città dei Mestieri e delle

Professioni) e nazionali (Scuole della seconda opportunità, Servizi di informazione e

animazione giovanile, ecc.) che perseguono l’obiettivo di innalzare il livello di

progettualità, sviluppo e competenze dei cittadini e delle imprese.

Negli anni novanta la fitta rete di centri di formazione professionale veronesi

(storicamente attivi e tradizionalmente impegnati nel supportare l’inserimento socio-

professionale dei giovani e di categorie protette) si costituiscono in forme associative

12

(Forma Verona) per fornire risposte condivise alle evoluzioni normative che regolano

l’obbligo scolastico.

Ne emerge un progressivo ruolo di stimolo del privato sociale (direttamente a contatto

con i bisogni delle fasce più deboli della popolazione) nei confronti di politiche locali

per la formazione e l’inserimento professionale.

A partire dal 2000 (e per i successivi 4 anni), in occasione del primo finanziamento FSE

A1, finalizzato al miglioramento dei servizi per l’impiego, alcuni soggetti locali

FormaVerona, Cosp e Cedis diventano punti di riferimento per l’erogazione presso i

Centri per l’Impiego provinciali, sia di attività di orientamento che di attività di coaching

e supervisione per gli operatori nel quadro delle novità introdotte dalla riforma dei

servizi all’impiego del 1998.

In conclusione, questa prima fase “pionieristica” di sviluppo delle collaborazioni tra

soggetti diversi, sancisce “una rete di reciproca conoscenza e collaborazione” (dentro

e fuori partnership formalizzate) tra operatori e servizi, tecnici e decisori istituzionali

che favorisce la consapevolezza da parte degli Enti / Operatori dei servizi di “Essere in

rete e cioè insieme nella soluzione di alcuni bisogni dei cittadini e delle imprese”.

2.3 Seconda fase di sviluppo: dalla metà degli anni 2000 al 2010

Questa seconda fase, che va dai primi anni 2000 al 2010, è contrassegnata dalle

trasformazioni del mercato del lavoro (flessibilizzazione prima e congiuntura negativa

poi) e dalle evoluzioni normative (decentramento, riforme amministrative e dei servizi

all’impiego) che ridisegnano le diverse esperienze locali nel quadro di standard

regionali3 e legittimano definitivamente una prospettiva mista pubblico/privato nella

progettazione e attuazione di politiche per il lavoro locali.

In questa prospettiva si realizzano esperienze che vedono operatori pubblici e privati

lavorare fianco a fianco consolidando la consapevolezza di reciproche risorse e limiti.

3 Vedi Accreditamento dei servizi di orientamento, formazione servizi per il lavoro.

13

Ciò spinge la provincia di Verona, già a partire dal 2005/2006, a consolidare

l’attribuzione di alcuni funzioni specialistiche (dispositivi di orientamento, formazione

professionalizzante e accompagnamento al lavoro, inserimento lavorativo di persone

differentemente abili) ad Enti Accreditati dedicati per mission e vocazione a

perfezionare modelli e metodologie di intervento contro lo svantaggio.

Tra i progetti più significativi, che grazie al contributo regionale favoriscono il processo

di scambio e integrazione tra servizi pubblici e privati veronesi, è opportuno citare:

1) Gli “Interventi di orientamento per adulti” a partire dal 2003; 2) Il Progetto FSE Outplacement - 2006/07; 3) Il Progetto FSE A1 - 2006/07; 4) Il Progetto Over 45 Age Management 2007/2008; 5) I Progetti FSE Linea 2 Occupabilità 2009/2010; 6) I Progetti FSE Linea 1 Occupabilità 2009/2010

Per comprendere il fenomeno dello sviluppo della Rete nel territorio veronese, va

ricordato che nel 2006 l’Istituto A. Provolo, il Centro Polifunzionale Don Calabria, la

Compagnia delle Opere di Verona, il Centro di Solidarietà di Verona (affermatesi, anche

attraverso le esperienze sopra richiamate, come punti di riferimento per le politiche

attive del lavoro) costituiscono una Agenzia Sociale - Società consortile non a scopo di

lucro, denominata Lavoro&Società 4.

2.4 Terza fase di sviluppo: il consolidamento della rete

In questa fase, a partire dal 2010, si consolida il ruolo della Agenzia Sociale”, attraverso

forme e dispositivi più efficaci per l’inclusione socio professionale delle persone in

condizione di svantaggio (tradizionali e nuove).

4 La società opera in qualità di “Agenzia Sociale” (secondo quanto previsto dal D.lgs 10 settembre 2003 n. 276) in favore dell’inserimento o reinserimento nel mercato del lavoro dei lavoratori svantaggiati anche in convenzione con soggetti pubblici e/o privati (agenzie di somministrazione o altri soggetti autorizzati).

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Un passaggio cruciale nella direzione della definizione di questo modello è

indubbiamente rappresentato dal Progetto PIPP5.

Attraverso questo progetto per la prima volta in campo nazionale, si avvia una concreta

esperienza di integrazione pubblico/privato sulla base di regole e disposizioni

normative fino a quel punto rimaste senza fattiva applicazione.

L’esperienza si caratterizza per alcuni principali aspetti:

a) il ruolo delle Apl (Agenzie per il Lavoro), con la possibilità di assumere lavoratori in posizione di svantaggio nel mercato del lavoro, derogando all’obbligo di assegnare loro un trattamento economico e normativo complessivamente non inferiore a quello dei dipendenti di pari livello dell’azienda presso la quale i lavoratori sono inviati in missione (a parità di mansioni svolte e a condizione che l’Apl assuma per non meno di sei mesi);

b) l’assegnazione di una dote di sostegno al reddito per ogni beneficiario (1000 euro erogati tramite apposita procedura concordata con l’Inps, elemento questo di grande innovazione) trasformabile in incentivo aziendale in caso di assunzione di qualsiasi natura;

c) la presenza di due figure chiave quali l’ “agente di sistema” (Case manager) e il Tutor unico di accompagnamento dell’utenza;

d) la segnalazione di persone in condizione di svantaggio, anche attraverso gli enti locali (servizi sociali e di orientamento al lavoro) tramite la definizione di apposite procedure di rinvio.

L’Agenzia Sociale comincia ad operare in convenzione diretta con la Provincia di

Verona, in base alla Delibera del Consiglio provinciale del 15 aprile 2009, n. 29 che le

affida, delineando i presupposti giuridici, il “servizio di accompagnamento al lavoro per

categorie di lavoratori svantaggiati nonché l’integrazione tra politiche attive e passive

del lavoro”.

Nella più recente Delibera della Giunta Provinciale di Verona n° 130 del 04 giugno 2013

(che rinnova la n° 134 del 3 giugno 2010) l’Agenzia è chiamata a svolgere un ruolo

5 P.I.P.P. – Piano di Integrazione Pubblico e Privato “Un modello per la realizzazione dell’integrazione dei servizi, a favore

di “soggetti svantaggiati” realizzato nel 2010, presente sul sito WWW.lavoroesocieta.com.

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strategico anche come punto di animazione e di coordinamento operativo dell’intera

rete territoriale.

Dal punto di vista della legittimazione normativa dell’Agenzia Sociale, va ricordato che

nel 2009, la Regione Veneto con la Legge n° 3/2009 “Disposizioni in materia di

occupazione e mercato del lavoro”, all’ all’articolo 26 dispone che “Al fine di favorire

l’inserimento/reinserimento lavorativo dei lavoratori svantaggiati (…) le province

possono costituire agenzie sociali, di cui all’articolo 13, del D.lgs 2003, n. 276 (…) previo

il loro accreditamento ai sensi dell’articolo 25 della presente legge”.

2.5 Le iniziative più recenti

Attualmente l’operatività della rete è assicurata da convenzioni e collaborazioni

organiche con le diverse istituzioni interessate al mercato del lavoro, ad esempio: il

Comune di Verona, la Regione Veneto, l’Agenzia Regionale Veneto Lavoro, la

Fondazione Cariverona, la Fondazione Marco Biagi, il centro studi Adapt, l’Università di

Modena e Reggio Emilia, l’Università di Verona.

A sottolineare il ruolo strategico attribuito all’Agenzia Sociale, vanno ricordate ancora

una volta le convenzione più volte rinnovate e sottoscritte tra Provincia di Verona e

l’Agenzia stessa per l’affidamento del “Servizio di accompagnamento al lavoro per

categorie di lavoratori svantaggiati nonchè l’integrazione tra politiche attive e passive”6

In merito al ruolo assunto dalla Agenzia Sociale come strumento riconosciuto di

sviluppo della rete territoriale dei servizi, va citata anche la solida collaborazione con la

Fondazione Cariverona che ha consentito l’attuazione di alcuni fondamentali interventi

di inclusione occupazionale e con il Comune di Verona coinvolto come partner

essenziale della rete, nell’ ampliamento della gamma dei servizi offerti ai cittadini e alle

imprese.

6 I percorsi per lavoratori svantaggiati, riproposti in più edizioni (quella del 2014 – 2015 è attualmente in corso) sono

frutto della collaborazione tra diversi soggetti del territorio. La Provincia di Verona svolge il ruolo di capofila, mentre la

Fondazione Cariverona concorre con un significativo finanziamento. Ad esse, si affiancano, in qualità partner, le Aziende

Ulss 20, 21, 22 ed il Comune di Verona, nonché l’Agenzia Sociale.

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Un ulteriore iniziativa, più volte richiamata dagli intervistati (che può rappresentare in prospettiva un importante elemento di innovazione dell’esperienza veronese), è rappresentata dal “Tavolo di Lavoro”, istituto in vista del ciclo di programmazione dell’Unione Europea 2014 – 2020 e del nuovo POR della Regione Veneto.

Il Tavolo convocato per iniziativa della Provincia di Verona in prima seduta a novembre 2013, ha poi subito una battuta d’arresto nella seconda metà del 2014 a causa del superamento delle Province, determinato dalla c.d. “Legge Delrio”7.

Il Tavolo ampiamente partecipato da una molteplicità di attori interessati al settore delle politiche sociali e del lavoro 8, potrebbe opportunamente essere riattivato una volta chiarita la questione della ripartizione delle competenze in materia di politiche del lavoro tra Stato, Regioni, Area Vasta, Città metropolitane.

2.6 Considerazioni sull’evoluzione della rete

Dalle interviste realizzate, sono emersi in prima battuta, una serie di elementi comuni,

richiamati di seguito.

• Il riconoscimento che negli ultimi 15 anni a Verona si è registrato un forte spirito di collaborazione e condivisione di iniziative, progetti e informazioni che ha portato alla costituzione di una rete (inizialmente per lo più informale) che di volta in volta si costituiva pro tempore in occasione di Bandi e specifici programmi di intervento promossi a livello regionale e provinciale.

• La presa d’atto che a partire dai primi anni 90, la Provincia di Verona ha avuto parte attiva nella programmazione dei servizi per il lavoro, dando legittimità istituzionale alla rete dei soggetti pubblici e privati attraverso un modello di governance che è andato via consolidandosi nel tempo.

• L’opinione che, inizialmente, la rete ha lavorato con particolare impegno sui temi del lavoro, dell’orientamento al lavoro, scolastico e professionale e poco sui servizi sociali, ma che negli ultimi anni è stato avviato un processo di integrazione anche con

7 Legge n.56/2014 “Disposizioni sulle città metropolitane, sulle province, sulle unioni e fusioni di comuni”. 8 Provincia di Verona, Servizi Promozione Lavoro Comune di Verona., Fondazione Cariverona, Verona Innovazione – CCIAA, Conferenza dei Sindaci della ULSS 22, Servizi Sociali e Territoriali ULSS 20, Servizi Sociali e Territoriali ULSS 21, Servizi Sociali ULSS 22, Confcooperative, Centro Polifunzionale Don Calabria, Agenzia Sociale Lavoro & Società.

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gli enti e i soggetti che erogano questo tipo di servizi, partendo dal presupposto che la condizione di disoccupazione porta con se inevitabilmente anche problematiche di natura sociale.

• Per quanto riguarda il presidio istituzionale, in generale, viene riconosciuto alla Provincia, al Comune di Verona e alle Conferenze dei sindaci di avere svolto un ruolo particolarmente incisivo e determinate nel processo di integrazione tra politiche del lavoro e politiche sociali.

• Si registra una diffusa preoccupazione per la fase di incertezza che si è aperta nel settore delle politiche del lavoro a seguito del superamento delle Province e della redistribuzione delle deleghe in materia tra Stato, Regioni ed Enti Locali (in prospettiva Area vasta e Città metropolitane).

• E’ convinzione diffusa che anche in questa fase di incertezza sia necessario mantenere nel territorio qualche strumento / dispositivo / organismo che tenga in vita la rete garantendone l’operatività.

• Senza trascurare le considerazioni critiche, molti attori significativi del territorio vedono nella Agenzia Sociale (di cui si tratterà più diffusamente in seguito) che opera a Verona fin dal 2006, l’organismo più idoneo ad assicurare l’operatività della rete.

• Si sottolinea da più parti, che nell’ambito della programmazione UE 2014 – 2020 e del POR della Regione Veneto saranno disponibili ingenti risorse che richiedono uno sforzo congiunto di progettualità e di vision per dare vita ad interventi e iniziative condivise e compartecipate (in particolare attraverso il Tavolo di Lavoro istituito nel novembre 2103 e attualmente in fase di “stallo” in attesa di chiarimenti sul ruolo futuro della Provincia nella programmazione delle politiche del lavoro).

• Si ritiene che i Bandi della DGR 448, abbiano opportunamente stimolato la costituzione di collaborazioni e partnership interessanti per lo sviluppo della rete (o meglio delle reti) anche se ancora non si intravede la presenza di un indirizzo complessivo di sistema stabile.

• Per quanto riguarda in generale la valutazione dello stato dell’arte della rete dei servizi pubblici e privati nel territorio veronese si registrano punti vista articolati a seconda del ruolo e della mission degli enti di appartenenza degli intervistati.

Nel corso delle interviste è stato chiesto ai partecipanti di esprimere un parere in merito

alle principali criticità della rete territoriale dei servizi pubblici e privati.

A seguito della rilevante quantità di informazioni, opinioni e spunti di riflessione acquisiti

nel corso delle interviste, è stata elaborata una rassegna dei principali elementi di

criticità segnalati dai partecipanti

18

Un primo elemento è riferito al possibile vuoto di leadership politico – istituzionale

(determinato a seguito del “superamento” delle Province) in grado di interpretare

l’interesse della rete nell’ambito di uno spazio istituzionalmente definito a livello locale.

In sostanza, da parte di molti degli intervistati, appare chiara l’esigenza di individuare

uno o più soggetti in grado di colmare tale vuoto: Comune di Verona? Conferenze dei

sindaci? Parti sociali? Nonché adeguati organismi operativi e di coordinamento della

rete: Tavolo istituzionale? Agenzia Sociale in forma più evoluta? Patto territoriale?

Un secondo elemento che accomuna l’opinione espressa dagli intervistati è la presenza

ancora debole di pratiche e dispositivi di governance multilivello (aspetto strettamente

collegato al punto precedente) intesa come capacità di coordinare la filiera istituzionale

territoriale.

Non va dimenticato che tale filiera, in prospettiva, sarà composta da:

• Regione Veneto e suoi organismi tecnici (Veneto Lavoro);

• Provincia eventualmente evoluta in ente di Area vasta;

• Comuni e dalle loro associazioni;

• Conferenze dei sindaci;

• Ministero del Lavoro alla luce dei processi di riforma in atto a livello nazionale (vedi istituzione di una “Agenzia nazionale” preposta al coordinamento dei CPI);

• dai soggetti di rappresentanza della società civile (Parti sociali).

Altro elemento problematico emerso dall’indagine, è rappresentato dalla

frammentazione nella programmazione delle politiche di inclusione, funzione

attualmente distribuita tra quel che resta delle Provincie (politiche del lavoro), Comuni

e ULSS (politiche sociali) che non consente ancora di assumere il territorio come ambito

naturale di riferimento per l’analisi condivisa dei bisogni dei cittadini e delle imprese,

ricercando le opportune connessioni intersettoriali tra interventi e servizi di diversa

natura (versante lavoro, sociale, assistenziale, ecc.).

Altre criticità segnalate dagli intervistati, sono:

• lo scarso raccordo tra politiche di inclusione, imprese e politiche di sviluppo locale che, soprattutto in periodo di crisi, rischiano paradossalmente di “orientare” e “accompagnare” ad un lavoro che non c’è;

19

• la precarietà e l’insufficienza della dotazione finanziaria a supporto della rete, in quanto legata a fonti di finanziamento variabili, disorganiche e frammentate che impediscono la stabilizzazione della rete stessa e la certezza di continuità nella erogazione dei servizi;

• l’insufficienza numerica e la scarsa valorizzazione economica e professionale degli operatori dedicati alla progettazione, promozione, erogazione, valutazione dei servizi;

• l’insufficiente copertura del territorio per garantire i diritti universali di accesso ai servizi e relazioni ancora troppo deboli con il mondo delle imprese;

• scarsa capacità di attivazione della rete per cogliere tutte le opportunità offerte dal nuovo ciclo di programmazione dell’Unione Europea 2014 – 2020 (Bandi, programmi, ecc.).

2.7 Le proposte per lo sviluppo della rete Dal confronto con gli intervistati è emersa principalmente l’esigenza di stabilizzare la rete dei servizi pubblici e privati per il lavoro, attraverso alcune principali direttrici di intervento. Tali direttrici sono così sintetizzabili:

1) dare visibilità e “portare a regime” quanto già realizzato nel territorio veronese sul versante delle politiche e dei servizi per il lavoro sia pubblici che privati (promozione del modello veronese);

2) assumere la programmazione integrata come prassi condivisa per rispondere più efficacemente ai bisogni delle persone, delle imprese, degli operatori del settore e del territorio (governance di sistema);

3) migliorare le possibilità di scambio e cooperazione attraverso appositi strumenti informativi e formativi quali il sistema informatico, la comunità di pratica, la formazione continua degli operatori (strumenti di supporto alla rete);

4) offrire garanzie di omogeneità, affidabilità e riconoscibilità dei servizi controllandone l’efficacia e l’efficienza attraverso un apposito sistema di standard minimi di qualità o di livelli essenziali delle prestazioni assicurati da tutti i servizi pubblici e privati della rete (standardizzazione dei servizi e garanzia dei

livelli essenziali delle prestazioni); 5) innovare l’offerta di servizi alle imprese e le modalità di contatto / relazione con

le stesse per l’individuazione delle figure professionali realmente ricercate e per

20

fornire loro adeguato supporto in caso di esubero di personale difficilmente ricollocabile (forte attenzione ai bisogni e allo sviluppo delle imprese);

6) sostenere la nascita e lo sviluppo di imprese, enti no profit, cooperative, onlus, e valorizzare l’impresa sociale quale fattore di sviluppo sostenibile dell’economia locale (diffusione dei servizi a sostegno dell’autoimprenditorialità);

7) sviluppare forme di collaborazione con i Comuni e con le Conferenze dei sindaci, in quanto soggetti privilegiati per l’individuazione e il coinvolgimento dell’utenza potenziale e il rinvio ai servizi della rete (valorizzazione e riconoscimento del ruolo

centrale dei Comuni); 8) valorizzare la funzione dei servizi in rete come osservatorio privilegiato dei

bisogni e delle condizioni di lavoro dei cittadini e delle imprese e quindi, come strumento di supporto alla programmazione degli interventi e dei servizi (monitoraggio dei processi di erogazione dei servizi);

9) predisposizione e presentazione di progetti comuni per accedere alle diverse forme di finanziamento disponibili destinate ad iniziative attinenti gli ambiti di interesse della rete (diffusione della prassi delle co – progettazione);

10) formare e aggiornare figure professionali innovative con competenze multidisciplinari e intersettoriali (quali ad esempio il Tutor unico e il Case manager) per garantire la presenza nel territorio di operatori qualificati (diffusione e valorizzazione di ruoli professionali chiave);

Altro elemento comune emerso dalle interviste, è che la rete per funzionare

adeguatamente ha bisogno di regole di condotta o se si preferisce di meccanismi

operativi certi e condivisi che assicurino stabilità e coerenza di comportamento tra i

soggetti che la compongono.

Le regole devono essere stabilite dai soggetti stessi e per risultare efficaci devono

essere formalizzate.

A parere degli intervistati, alcune regole possono riguardare l’istituzione di appositi

organismi di coordinamento chiamati a riunirsi con cadenza periodica, l’adozione di

strumenti e modalità condivise di circolazione periodica delle informazioni, la

condivisione di un sistema di standard e di livelli essenziali delle prestazioni nella

erogazione dei servizi, ecc.

Il tema del coordinamento della rete richiama inevitabilmente il concetto di

governance.

21

La visione della governance emersa dal lavoro di indagine, si caratterizza per il

coinvolgimento attivo di una pluralità di livelli e di soggetti istituzionali, tecnici e sociali,

pubblici e privati, nella programmazione e attuazione delle politiche del lavoro.

In questo senso si può parlare di governance territoriale multiattore, in riferimento

all’esigenza di integrare soggetti diversi, al fine di creare “reti virtuose” in grado di

perseguire risultati condivisi e migliorare, quindi, gli interventi di politica attiva del

lavoro 9.

Per quanto riguarda la prospettiva futura della rete, questa risulta fortemente legata:

• ad una evoluzione di scenario centrata sull’integrazione delle politiche settoriali (occupazionali, sociali, economiche) conseguita attraverso dispositivi e modelli di governo multiattore pubblico - privato;

• alla presenza di organismi di rappresentanza in grado di assicurare un presidio stabile ed efficace alle politiche del lavoro, inteso in una accezione ampia (partenariato allargato, funzione di coordinamento della rete, stabilità organizzativa, ampliamento della gamma dei servizi e dei beneficiari, stabilità delle risorse economiche a supporto della rete)

In questa prospettiva, il Tavolo di Lavoro costituito per iniziativa della Provincia di

Verona nel novembre 2013 e la proposta di stipula di un Protocollo d’intesa a livello

territoriale in vista del ciclo di programmazione 2014 – 2020, rappresentano una

soluzione condivisa da tutti gli intervistati in direzione di una nuova e innovativa fase di

sviluppo della rete.

Va ricordato che il Tavolo nel corso della propria attività, aveva individuato i seguenti

oggetti di interesse comune:

1) valorizzazione delle esperienze e delle competenze acquisite dai diversi attori della rete nell’ambito del sistema integrato dei servizi territoriali pubblici, privati e del privato sociale a sostegno dell’occupazione e dell’inclusione sociale, nonché della formazione professionale, dell’orientamento e dello sviluppo del sistema delle imprese;

9 Per un approfondimento del tema della governance dei servizi pubblici si suggerisce la lettura dell l’articolo di F. Verbaro

“I servizi per il lavoro, il ruolo del pubblico e la fuoriuscita dalla crisi, Bollettino ADAPT, novembre 2009.

22

2) diffusione del “modello veronese”, caratterizzatosi nel tempo come buona pratica trasferibile e replicabile e adozione nelle linee di programmazione dei diversi attori territoriali di un sistema provinciale stabile, strutturato e condiviso nei settori di interesse, con elevati livelli di interazione istituzionale e di collaborazione organica tra soggetti pubblici e soggetti privati;

3) consolidamento e diffusione di relazioni e collaborazioni con soggetti e organismi preposti allo sviluppo dell’economia locale e con il sistema delle imprese, nella consapevolezza che un più puntuale ed efficace raccordo tra la domanda e l’offerta di lavoro è possibile solo a fronte dell’ascolto dei bisogni delle imprese, da considerare tra i principali “agenti” dello sviluppo economico del territorio;

4) definizione e attuazione a livello territoriale di servizi socio - lavorativi innovativi, coerenti con gli indirizzi previsti a livello regionale, nazionale e dell’Unione Europea per il ciclo di Programmazione 2014- 2020, miranti all’ampliamento della platea dei potenziali beneficiari dei servizi;

5) mappatura e valutazione di accesso alle diverse opportunità e fonti di finanziamento previste dal periodo di Programmazione dell’Unione Europea 2014 – 2020, nonché ad ulteriori fonti di finanziamento, pubbliche e private, disponibili a livello locale, regionale e nazionale, per mezzo di appropriati strumenti e metodologie di progettazione intersettoriale e multiattore.

Per gli intervistati si tratta di ambiti di interventi, estremamente attuali, che

andrebbero ripresi, ed eventualmente ricondotti nell’ambito di un “Patto per il lavoro”

sottoscritto da tutti i soggetti interessati a consolidare e a non disperdere l’esperienza

e la professionalità che caratterizza la rete veronese dei servizi per il lavoro.

23

3 – Il Job Center nella rete dei servizi per il lavoro. Il modello veronese

3.1 Premessa

Come è noto in Italia e nella nostra regione non esistono i Job Center, almeno per come

sono intesi nelle esperienze internazionali (Gran Bretagna, in primis) che ne hanno fatto

un punto di forza dei sistema dei servizi di welfare per il lavoro. Con il termine Job

Center si indica “a government office where unemployed people can go for

advice and information about jobs that are available”10; esso pertanto sta ad indicare

un centro pubblico, da intendersi come pubblica amministrazione, cui si possono

rivolgere tutti coloro che sono in cerca di un lavoro e verificare se ce ne sono di

disponibili.

In questo senso il Job Center si avvicina di più, almeno nel suo carattere di servizio

pubblico, al nostro Centro per l’impiego (CPI), per quanto il centro inglese ha anche

compiti relativi al riconoscimento di benefit al disoccupato anche a carattere sociale.

E’ necessario premettere, dunque, che l’uso del termine Job Center in questo report

riveste solo il significato letterale di centro per il lavoro che comprende sia centri

pubblici, sia centri privati accreditati e/o autorizzati.

Ed ecco che, allora, quando parliamo di modellizzazione dell’organizzazione dei Job

Center facciamo riferimento non solo ad un specifico centro o servizio per il lavoro

pubblico o privato che sia, ma anche a come, nel quadro normativo nazionale e

regionale e della pratica radicata nella Regione Veneto , i servizi operano.

D’altra parte, anche i Job Center inglesi, si avvalgono di una rete di soggetti privati che

mediante rapporti contrattuali appositamente definiti forniscono servizi informativi

complementari per favorire una rapida fuoriuscita dalla condizione di disoccupazione

da parte dei disoccupati.

10 Per un approfondimento si rimanda al capitolo 5 (WP5) e all’allegato “Employability Assessment System”, la cui prima

parte è dedicata all’analisi delle esperienze estere (WP2)

24

L’evoluzione del modello, prefigurato dalle attività di modellizzazione e

sperimentazione del progetto, richiederà un adeguamento al fine di poter dare risposta

ad un numero consistentemente più alto di potenziali beneficiari di politica attiva e di

coinvolgere nella rete territoriale le istituzioni e gli Organismi in modo più mirato e

qualificato nella logica più volte richiamata della “governance pubblica ad erogazione

multiattore”.

Il sistema, in prospettiva dovrebbe caratterizzarsi per ordinarietà, stabilità e continuità

dei servizi, oltre a garantire l’universalità del servizio ai cittadini disoccupati attraverso

la centralità del governo pubblico delle politiche attive del lavoro .

3.2 Un assetto Hub&Spoke

La rilevazione sinteticamente restituita nel capitolo precedente evidenzia come il

carattere peculiare del territorio veronese sia rappresentato dalla presenza

dell’Agenzia Sociale e di una rete di soggetti che in modo più o meno diretto opera in

collaborazione per erogare politiche del lavoro e politiche sociali integrate a favore dei

soggetti svantaggiati.

L’assetto organizzativo della rete veronese dei servizi per il lavoro risulta ispirato al

modello Hub & Spoke. Questo modello esprime un’idea dinamica, prima che

strutturale, delle prestazioni collegate ai gradi di bisogno del cittadino: in presenza di

una determinato livello di complessità della condizione della persona si attivano sedi di

servizio territoriali e prestazioni più confacenti alle esigenze della persona stessa.

In questo senso, possiamo parlare di una rete integrata che comprende sia servizi di

base ( Accoglienza, orientamento, DID, …), sia servizi specialistici (SIL ULSS, servizi

sociali dei comuni, distretti, centri diurni e cooperative per percorsi di inclusione

sociale, …).

In prima approssimazione, la rappresentazione grafica del modello, è quella illustrata

nella figura seguente.

25

All’interno di questo modello, si propone un “doppio canale” di gestione, soggetti

disoccupati e soggetti svantaggiati, al fine di essere in grado di dare risposte

differenziate ai bisogni differenziati, con strumenti di erogazione adeguati alle loro

esigenze, in particolar modo alla categoria dei soggetti svantaggiati che necessita di

interventi complessi di inclusione sociale.

I centri principali, o di riferimento, di questo modello di Job Center sono 3:

A. I CPI

B. L’agenzia sociale

C. Job Center privati accreditati

In questi 3 (tipi di) centri si concentra la maggiore erogazione di prestazioni,

differenziate da centro a centro, con particolare riferimento alle prestazioni di

accoglienza, orientamento e presa in carico.

26

I centri periferici, ovvero i servizi sociali dei comuni, i servizi di inserimento lavorativo

delle ULSS, i servizi accreditati per il lavoro e la formazione, svolgono la doppia funzione

di:

i. indirizzare (invio) ai centri principali le persone per attivare prestazioni congrue

ai bisogni e ai diritti dei cittadini ( ad esempio: prestazioni previdenziali, accesso

agli AA.SS. assistenza al reddito e assistenza sociale, percorsi multi attore in

presenza di svantaggio sociale);

ii. ricevere (accogliere) le persone indirizzate dai centri principali per la

realizzazione di percorsi di politica attiva del lavoro e di inclusione sociale attiva.

In questo modo, sul territorio veronese, insiste una rete in cui alcune attività si

concentrano nei centri principali e altre sono garantite dai centri cd periferici.

L’interoperabilità tra i soggetti del modello-rete è garantita, oltre che dalle

caratteristiche di ogni soggetto e dalle funzioni assegnate (ex lege/normativa

regionale), dalla presenza di una rete informativa ( SILV-IDO)11 che permette, in modo

univoco, la presa in carico e la gestione degli interventi.

L’agenzia sociale si configura così non tanto come soggetto che eroga servizi e

prestazioni al cittadino, (anche) ma soprattutto come soggetto capace di aggregare,

promuovere e coordinare a livello territoriale i centri periferici secondo una logica

generativa e non meramente esecutiva.

Su questo modello, dunque, si innesta un processo di servizio articolato.

L’efficacia dei percorsi a sostegno dell’inclusione socio occupazionale dipende anche

dalle sequenze operative dei percorsi stessi, sequenze da cui deriva normalmente il

processo di attivazione della rete dei servizi territoriali (e non viceversa come a volte

accade).

11 Anche grazie al confronto con altre provincie, nel progetto di modellizzazione si elaborati alcuni di documenti, sottoposti

alla Regione Veneto e alla società operativa Veneto lavoro, in cui si prospettano i possibili sviluppi della piattaforma IDO

per far fronte ai bisogni del “sistema” e degli operatori nelle espletamento delle loro attività (WP6).

Nello specifico il primo documento sintetizzato nella “Tabella RAFFRONTO EAS – IDO” propone un’implementazione

della raccolta dati degli utenti degli per una profilazione che tenga conto non solo degli elementi ascritti delle persone per

arrivare ad un indice di occupabilità maggiormente rispondete alla realtà della persona. Ma per un ulteriore

approfondimento si rimanda alla sezione profilazione.

Il secondo documento “implementazione IDO - cruscotto di controllo” propone un’implementazione di IDO, inteso come

“cruscotto di controllo” dove gli operatori possono governare i percorsi di accompagnamento al lavoro, inserendo e

ricavando informazione dai vari punti della rete dei servizi (JC, CPI, agenzia sociale, enti accreditati, servizi sociali, ecc).

Un tale strumento è condizione necessaria per l’implementazione del case management, approccio ritenuto dalla letteratura

essenziale per una proficua attuazione delle politiche attive.

27

Nel modello proposto, tale sequenza è ispirata ad un percorso logico – sequenziale

articolato in cinque fasi:

1) accoglienza e informazione all’utente

2) profiolazione e valutazione dell’ occupabilità dell’utente

3) definizione di un piano di intervento personalizzato

4) pre – selezione dei beneficiari

5) attuazione dell’intervento attraverso il coinvolgimento di più servizi, con l’ausilio di

figure innovative, quali Case manager e Tutor unico

6) monitoraggio e valutazione dell’intervento.

A partire dal processo appena descritto, che approfondiremo più avanti nel capitolo

4.5, è possibile identificare ulteriori elementi di successo delle pratiche di inserimento

occupazionale, ad esempio:

• l’utilizzo di approcci multidisciplinari, capaci di coinvolgere ambiti settoriali diversi

(sanità, sociale, lavoro, abitazione, sostegno al reddito) e strutture di servizio diverse

(CPI, Agenzie per il lavoro, CFP, Servizi sociali, ecc.);

• la forte attenzione dedicata all’incontro tra domanda ed offerta di lavoro, attraverso

i circuiti di occupabilità dei servizi pubblici e privati per il lavoro e il coinvolgimento

diretto del sistema delle imprese;

• l’utilizzo convergente delle misure disponibili di sostegno al reddito per assicurare

un livello minimo di sicurezza economica, in assenza del quale le persone

difficilmente sarebbero disposte a “mettersi in gioco”.

3.3 I Job Center nel contesto veronese. Il valore dell’esperienza

L’idea di Job Center che sta maturando tra i principali attori interessati alle politiche

attive del lavoro nel territorio di Verona è orientata alla massima valorizzazione di ciò

che già esiste in termini di modello di governance e di offerta reale di prestazioni da

parte di soggetti pubblici e privati e si fonda, quindi, sui seguenti presupposti:

28

1) presenza di un livello di governo pubblico ad erogazione multi attore pubblico –

privato, laddove la programmazione delle politiche sia ancora prerogativa della

Provincia (almeno in una fase di transizione) con il coinvolgimento attivo del

Comune di Verona, dei Comuni in generale, delle Conferenza dei Sindaci delle ULSS,

delle Fondazioni Bancarie (per il ruolo pubblico che rivestono) e l’erogazione di

servizi di base assicurata dai CPI in una logica di integrazione con altri operatori

privati e del privato sociale accreditati;

2) ruolo attivo dei servizi per l’impiego pubblici intesi come parte fondante ed

essenziale del sistema per lo svolgimento di attività chiave, quali ad esempio

l’inserimento nelle banche dati e relativa dichiarazione di immediata disponibilità

(DID), stipula formale del Patto di servizio (Pds), profilazione utenza e definizione

del PAI in collaborazione con l’Agenzia sociale e con altri soggetti accreditati /

autorizzati coinvolti nel ciclo integrato di erogazione dei servizi;

3) presenza della Agenzia sociale come organismo stabile e fulcro della rete

territoriale dei servizi, con funzioni di coordinamento, animazione, regolazione,

supporto alla rete territoriale, nonché di presidio delle fasi cruciali di erogazione dei

servizi stessi, in particolare per la connessione con i servizi socio sanitari delle ULSS

del territorio per la gestione dei percorsi di inclusione;

4) presenza selettiva e qualificata di soggetti e operatori privati autorizzati /

accreditati per lo svolgimento di servizi e attività specialistiche con particolare

attenzione alla domanda delle imprese, tramite il potenziamento delle attività di

promozione e marketing (i Job Center in particolare possono integrante del sistema

operando attraverso forme specifiche e regolate di collaborazione con i CPI e con

l’Agenzia sociale);

5) ruolo centrale dei Comuni e delle Conferenze dei sindaci – ULSS, come parte

integrante del sistema, attraverso la stipula di apposite convenzioni con la Provincia

di Verona e la collaborazione organica con l’Agenzia sociale e altri soggetti

accreditati, per la promozione di interventi a sostegno dell’occupazione (nel

territorio di Verona sono già presenti numerosi Sportelli lavoro di cui è possibile

prefigurare una ulteriore evoluzione in una prospettiva di integrazione con i servizi

sociali).

29

In sostanza, nel contesto veronese i Job Center possono trovare una efficace

collocazione come struttura ad alto valore di innovazione nella rete dei servizi pubblici

e privati, purché tale struttura sia opportunamente e funzionalmente inserita

nell’ambito di un modello di governance che possa garantire l’effettiva regolazione e

coordinamento della rete.

D’altra parte, la rete veronese vanta una solida esperienza di integrazione tra politiche

del lavoro e politiche sociali, attuata con il contributo di diversi attori pubblici e privati

(Provincia, Comune di Verona, altri Comuni, ULSS, Fondazione Cariverona).

3.4 Le componenti chiave del modello

La rete veronese dei soggetti pubblici e privati, assicura una offerta ampia di servizi ai

cittadini e alle imprese, attraverso percorsi che rispondono a precisi standard e

metodologie di lavoro, la cui efficacia è garantita dalla presenza di figure professionali

ad alto contenuto professionale dedicate alla integrazione della rete e all’

l’accompagnamento all’ inserimento occupazionale.

Si tratta di una realtà che guarda con pari attenzione alle persone e al modo delle

imprese in quanto dispone:

• (da una parte), di un dispositivo di accoglienza di chi cerca lavoro capace di intercettare bisogni diversificati (di natura orientativa, formativa, occupazionale, sociale, assistenziale) e di fornire risposte personalizzate in termini di servizi integrati lungo l’asse orientamento - formazione - lavoro - inclusione sociale;

• (dall’altra) , di collegamenti e relazioni strutturate con il sistema delle imprese per ottimizzare il matching tra domanda e offerta di lavoro (nel tempo è stato perfezionato un applicativo che ha prodotto risultati particolarmente significativi).

Non si è, quindi, in presenza di una modalità di intervento casuale, estemporanea, priva

di visione strategica (come avviene spesso nella attuazione di progetti e iniziative spot

occasionali), ma di un dispositivo intenzionalmente programmato per perseguire

specifici risultati di politica del lavoro.

30

In sostanza, parlare di modellizzazione nella realtà veronese, significa considerare una

realtà complessa fatta di provvedimenti normativi, istituzioni dialoganti, strutture di

erogazione che interagiscono tra loro, servizi integrati, specifiche metodologie di

lavoro, in cui ogni elemento è intenzionalmente interconnesso alle altre parti del

sistema.

Dal punto di vista operativo, il modello si configura come “sistema aperto e dinamico

di connessione” tra diversi soggetti, strutture e servizi che ha lo scopo di “mettere

insieme” risorse umane, informative, tecnologiche, finanziarie e di integrare procedure

e condividere strumenti di lavoro per garantire maggiore efficacia ed efficienza nella

soluzione delle problematiche socio - occupazionali del territorio.

Per comprendere ancor meglio l’architettura del modello è necessario compiere un

ulteriore passaggio dal punto di vista logico e metodologico, mettendo in ordine le

parti, le dimensioni e gli elementi costitutivi del modello stesso ed evidenziando la

presenza di un “sistema strutturato” in cui i diversi elementi che lo compongono

tendono ad operare come un “tutt'uno coordinato” con regole condivise da soggetti di

diversa natura (per mandato istituzionale, vocazione, mission).

3.5 Il sistema di governance della rete

Un primo elemento distintivo del modello proposto è rappresentato dal sistema di

governance della rete che prevede il coinvolgimento attivo di una pluralità di livelli e

di soggetti istituzionali e organizzativi, pubblici e privati, nella attuazione delle politiche

del lavoro.

Nella fattispecie tale stile può essere ricondotto al concetto di “governance pubblica a

partecipazione multiattore”, in riferimento alla scelta di integrare soggetti diversi per

creare “reti virtuose” in grado di perseguire risultati condivisi e migliorare quindi le

prestazioni di servizio ai cittadini e alle imprese.

La governance si ispira ad alcuni “principi giuda”, in sostanza ad aspetti culturali e

valoriali come patrimonio comune della rete che rappresentano altrettanti elementi di

presidio e progettazione del modello.

31

Integrazione delle politiche

È ampiamente dimostrato che i processi di crescita e di sviluppo di un territorio non

dipendono esclusivamente da dinamiche di tipo economico, ma anche dall’interazione

tra sviluppo e soluzione di problematiche socio occupazionali: accesso al lavoro,

assistenza sociale, casa, salute, ecc.

Il sostegno all’inserimento lavorativo, nelle sue diverse declinazioni organizzative e

metodologiche, è quindi un fenomeno che richiede soluzioni basate su un approccio

multi-dimensionale, interistituzionale e intersettoriale: integrazione tra politiche attive

e passive del lavoro e tra queste e le politiche sociali, dell’istruzione e della formazione.

Visione di sistema

Fondamentale fattore di successo del modello proposto è rappresentato dalla capacità

di “fare sistema”, ottimizzando le risorse istituzionali, normative, finanziarie,

informative e professionali disponibili, per farle convergere verso obietti prioritari e

condivisi.

È evidente che una visone poco chiara del modello di welfare, delle politiche di sviluppo

economico, delle politiche sociali e occupazionali nel territorio, crea dispersione di

risorse e frammentazione degli interventi.

A seguito del “superamento” della Province, in assenza di chiare regole di “governance

del sistema a livello locale”, gli interventi a sostegno dell’occupazione rischiano di

essere realizzati occasionalmente e in ordine sparso, anziché non in modo razionale e

intenzionalmente programmato.

Ottimizzazione delle risorse finanziarie

Una scelta strategica che può determinare una maggiore efficacia delle politiche del

lavoro, riguarda la capacità di reperire e gestire efficientemente e in modo mirato le

risorse finanziarie disponibili.

Le risorse pubbliche destinate alle politiche sociali e del lavoro in Italia, sono

strutturalmente inadeguate rispetto ai crescenti bisogni della popolazione e ciò appare

con maggiore evidenza nell'attuale fase di crisi.

32

La creazione di “Fondi integrati” o di “Fondi unici” costituiti a livello locale e destinati

alle politiche del lavoro, alimentati sia da soggetti pubblici che privati risulta quindi

fondamentale in una logica “finalizzazione convergente delle politiche”.

Nell’ambito del modello proposto è fondamentale definire periodicamente una sorta

di mappa completa delle risorse disponibili o comunque attivabili a livello di Unione

Europea, nazionale, regionale e sul versante privato, per poi produrre uno sforzo

coordinato e congiunto per accedervi.

Analisi del fenomeno della disoccupazione

La definizione di soluzioni efficaci al problema della disoccupazione e dei rischi di

conseguente esclusione sociale, non può prescindere dalla conoscenza approfondita

dei fenomeni e delle condizioni di disagio presenti nel territorio.

Il modello proposto individua nell’analisi di contesto condotta attraverso metodologie

appropriate e basate su dati e indicatori attendibili, lo strumento più appropriato per

orientare i processi decisionali anche su base scientifica.

La finalità è quella di definire una mappa delle emergenze socio-occupazionali del

territorio per poi restituire ai decisori istituzionali informazioni utili a supporto della

programmazione.

Le analisi condotte a questo scopo si caratterizzano per un approccio multidisciplinare,

partendo dal presupposto che le persone disoccupate o espulse dal ciclo produttivo

sono portatrici di bisogni complessi di natura non solo occupazionale, ma anche

economica, sociale, psicologica, abitativa, familiare.

Approccio globale ai bisogni della persona

Altro principio ispiratore del modello è rappresentato dall’analisi multidimensionale dei

bisogni delle persone.

L'approccio consiste nel prestare la massima attenzione non solo al singolo soggetto in

condizione di disagio, ma anche al contesto sociale e relazionale in cui questi si trova

ed in particolare a quello familiare (ciò vale in particolare per l’ampia categoria dei c.d.

soggetti deboli).

L’elemento più innovativo di questo approccio è la “presa in carico globale” del

soggetto, il che comporta che le prestazioni integrate siano mirate alle caratteristiche

33

individuali del destinatario (istruzione, genere, etnia, reddito, natura della

disoccupazione e sua durata nel tempo), ma anche alla tipologia della famiglia di

appartenenza (componenti, altre fonti di reddito, presenza di disoccupati, soggetti con

bisogni di cura, ecc.) nonché alle caratteristiche dell’offerta dei servizi disponibili a

livello locale e alla loro accessibilità.

3.6 Attivazione della rete e centralità degli operatori

Il modello valorizza la presenza di strutture pubbliche (CPI), private (Agenzie per il

lavoro e altri Operatori accreditati) e del privato sociale (Terzo settore in generale)

collegate in una logica di rete e in grado di offrire una gamma ampia e diversificata di

servizi.

Da questo punto di vista le esperienze realizzate in Italia, si differenziano in modo

sostanziale, ma sono comunque ispirate a logiche egualmente efficaci sul piano delle

architetture organizzative.

Un primo approccio è centrato sull’integrazione funzionale di una gamma più o meno

ampia di servizi occupazionali, sociali, assistenziali, abitativi, in cui ciascun soggetto

della rete, presidia un servizio o prestazione specifica, riconducibile ad un piano di

intervento personalizzato per l’utente (PAI – Piano di Azione Individuale). In sostanza,

ciascun soggetto “porta in dote” il proprio apporto specialistico, “ciò che la struttura sa

fare meglio” per vocazione, consolidata esperienza e per mandato istituzionale.

Un secondo approccio, è ispirato a forme più “spinte” di integrazione dei servizi,

anche dal punto di vista gestionale, e consiste nel promuovere l’offerta di “pacchetti

di servizi integrati” presso “sedi di erogazione uniche” (esperienze di questo tipo non

mancano nel nostro Paese e sono particolarmente diffuse in alcuni paesi europei).

Un terzo approccio consiste nella attivazione di più reti diversamente specializzate

nella erogazione di uno o più servizi, poste in proficua relazione tra loro, attraverso

standard organizzativi condivisi.

34

Le reti possono essere, ad esempio, quella dei Centri per l'impiego, quella dei Centri di

formazione accreditati, delle Agenzie private per il lavoro, delle Cooperative sociali, dei

Servizi sociali delle ULSS, ed eventualmente altre.

Le diverse opzioni cui si è accennato, non sono necessariamente in alternativa tra loro,

ma al contrario possono essere lette in modo complementare, prefigurando ulteriori

modalità di integrazione della rete.

Valorizzazione degli operatori dedicati ai servizi

Un requisito essenziale del modello è senza dubbio rappresentato dalla pratica di

approcci multiprofessionali (e quindi dal coinvolgimento di operatori con competenze

diverse, provenienti da diverse realtà organizzative) e dalla logica del partenariato (tra

enti e strutture di erogazione con mission, vocazioni, specializzazioni diversificate).

Oltre alla condivisone di una comune cultura professionale e organizzativa, un altro

prerequisito fondamentale per il successo degli interventi è rappresentato dalla

presenza di alcune specifiche professionalità.

Il modello veronese si impernia sulla figure del Case manager e del tutor unico.

Case manager ha la responsabilità

• della presa in carico della persona, nel momento della definizione del PAI a

seguito della profilazione,

• di guida in un percorso all’interno della rete dei servizi monitorando i tempi di

realizzazione e gli esiti

in relazione costante con il tutor.

Il case manager deve essere un operatore esperto/senior con profonda conoscenza

dei servizi, dei target, delle normative e della rete dei servizi del territorio.

Tutor unico ha la responsabilità

35

• Di seguire la persona nel percorso di accompagnamento al lavoro, sia esso

finalizzato prettamente all’occupazione o all’incremento dell’occupabilità

(soggetti svantaggiati).

Il tutor unico deve essere un operatore con spiccate capacità relazionali sia rispetto al

rapporto con l’utente sia rispetto alle collaborazioni con le aziende.

Il successo di queste professioni, dipende ovviamente sia dalla loro formazione e dalle

competenze possedute, sia dalla loro legittimazione sociale, istituzionale e

contrattuale.

Per essere più espliciti si tratta di figure professionali con competenze che spaziano in

ambiti molto ampi e tra loro correlati.

In particolare nel campo della formazione/orientamento (tecniche di empowerment,

gestione dei colloqui individuali, gestione dei gruppi, tecniche di comunicazione ecc)

nel campo giuridico (contrattualistica, ammortizzatori sociali, incentivi,) nel campo

amministrativo (agli opertori è chiesto di svolgere pare degli adempimenti

amministrativi correlati ai progetti finanziati), nel campo economico/aziendale (come

presupposto per la definizione dei percorsi professionali dei beneficiari o per potersi

relazionare con il mondo imprenditoriale “cliente finale” delle attività in oggetto, nel

campo dei servizi socio sanitari (attivabili per i percorsi di incremento dell’occupabilità).

Il tutto deve poi essere poi calato nelle singole realtà locali e per locali si intende

territori molto ristretti. Le ulss locali o i comuni hanno sistemi di erogazione dei servizi

differenziati tra di loro e all’interno delle stessa ulss ci sono contesti economici

assolutamente differenziati tra loro (l’ulss 22 di Verona, ad esempio, ha una

dimensione autonoma e del tutto particolare nei comuni del Lago di Garda che vivono

di turismo stagionale).

In tal senso la modellizzazione propone una integrazione delle competenze

attualmente previste dall’accreditamento regionale12 e la valorizzazione di una

“relazione triangolare” all’interno dei processi/servizi di politica attiva del lavoro.

12 Nell‘allegato “Job center e competenze operatori” (WP9) un approfondimento sulle competenze da integrare rispetto

all’attuale accreditamento previsto dalla Regione Veneto elaborato in collaborazione con il partner operativo centro

Polifunzionale don Calabria .

36

La relazione utente – case manager- tutor nella esperienza veronese ha portato

enormi benefici in termini di

- Identificazione del tutor in base alla sua specializzazione per una miglior risposta

al profilo dell’utente e/o del Pai

- Possibilità di intervento da parte del case manager per sbloccare eventuali

situazioni di crisi tra utente e tutor

- Il case manager può concentrarsi nella costruzione della rete e

nell’aggiornamento e diffusione delle informazione a beneficio dei tutor e di

tutto il sistema

La presa d’atto e il formale riconoscimento di tale professionalità come fondamento

del sistema delle politiche attive del lavoro nel Veneto necessita di un albo regionale

degli OML al quale gli enti possono attingere e porta con sé 4 naturali corollari:

1) continuità e programmabilità nella erogazione dei servizi.

Senza tali caratteristiche, negate dall’attuale sistema imperniato sui bandi, gli

operatori tendono continuamente “disperdersi” e gli Enti sono disincentivati ad

investire nella loro professionalità. Ad oggi gli OML sono considerati comunque

“occasionali” per questo o quello altro progetto e poco possono contrastare le norme

tampone dell’accreditamento di fronte all’insostenibilità economica di rapporti a

tempo indeterminato.

2) superamento dell’accreditamento per sede/operatore.

La costituzione dell’Albo influirebbe su uno dei cardini dell’attuale accreditamento, e

cioè un sistema a due livelli, che accredita sia persone giuridiche (in funzione delle loro

sedi fisiche), sia persone fisiche (OML) deputate all’attuazione delle politiche attive. Un

sistema vincolato, che prevede l’operatività degli OML in massimo 4 sedi sul territorio.

Proprio in virtù di servizi sempre più smart e digitali, è necessario evolvere tali criteri di

accreditamento svincolandoli dagli aspetti “fisici” (salvo i requisiti minimi già previsti

per l’esercizio delle attività commerciali), deburocratizzando il processo di “messa in

esercizio” dell’OML da parte degli enti accreditati.

3) formazione e aggiornamento continui ed obbligatori.

37

La Regione dovrebbe definire una Formazione in ingresso13 come presupposto per

entrare nel Albo Regionale e formazione continua obbligatori (sul modello dei crediti

già sperimentati da albi molto più “antichi”), quest’ultima da co-progettare in ambito

provinciale per cogliere le peculiarità dei territori. A questo si aggiunge in le necessità

di un costante aggiornamento che potrebbe trovare sulla piattaforma IDO/click lavoro

lo strumento tecnico idoneo accompagnato da un newsletter per tutti gli operatori14.

4) adeguata remunerazione delle attività.

Si deve ammettere che in questi anni le remunerazioni degli operatori sono state ben

al di sotto della professionalità che veniva richiesta loro, forse come contrappasso ai

decenni precedenti, dove si era forse ecceduto in senso inverso.

Bisogna dar atto che il nuovo costo Standard15, per le sole figure senior, migliora di

molto la situazione economica, ma è giusto chiarire che la situazione rimane critica per

gli OML junior e middle e che non è scontato che l’aumento del costo standard si

trasformi in un aumento del compenso.

Infatti il compenso è determinato dalla struttura dei costi, di cui fa parte, dell’intero

progetto e quindi è stato fondamentale permettere di inserire un costo standard più

alto nei budget, ma altrettanto importante è snellire i processi burocratici e i relativi

costi

Il costo standard a 38 Euro/ora poteva e può esser sufficiente se l’ente è messo in

grado di “utilizzarlo” completamente per il compenso dell’OML

Ma così non è stato negli ultimi anni e le remunerazioni orarie (spesso sotto ai 25 euro

costo azienda, ogni onere incluso) non permettevano un reddito adeguato alla

professionalità richiesta .

Questi professionisti, per la natura della loro attività (professioni d’aiuto), non possono

svolgere più di 5/6 ore di attività diretta con l’utente al giorno e almeno un giorno alla

13 Chiaramente all’atto della costituzione dell’albo sarà necessaria una fase transitoria che riconosca le esperienze e le

professionalità degli operatori attualmente in esercizio 14 Un buon esempio in questi anni è stata la piattaforma J4U (sito + newsletter) della Provincia di Verona: essenziale punto

di riferimento per gli operatori del veronese per la ricerca di complete, precise e professionali informazione sul tema del

lavoro e della correlata documentazione di approfondimento. 15 Vedi Dgr n. 671 del 28/04/2015.

38

settimana dovrebbe essere dedicata all’aggiornamento e approfondimento delle

materie.

La mancanza di stabilità dei progetti costringe poi a periodi di mancanza temporanea

di lavoro, a cui immancabilmente bisogna aggiungere un quantitativa indeterminato di

ore di back office per le correlate attività amministrative e le eventuali “ore perse”

perché il beneficiario non si presenta all’appuntamento, portando così il reddito atteso

annuo a cifre davvero irrisorie frutto di circa 90/100 ore al mese per 10 mesi di attività

frontale.

O ancor peggio per rimpinguare tale reddito, si verificano sovraccarichi di lavoro che

hanno, in non pochi, casi compromesso la salute degli stessi OML (fenomeni di born-

out) e/o la qualità del servizio offerto.

39

4 – L’architettura istituzionale e organizzativa del modello

4.1 Il patto territoriale a l’agenzia sociale

Per quanto riguarda la dimensione istituzionale e organizzativa, il modello proposto si

ispira in una logica di continuità, ad alcune specifiche esperienze realizzate nel territorio

del Veneto:

• Il “Patto Sociale per il Lavoro Vicentino” avviato dalla Giunta provinciale di

Vicenza nel 2010, che prevede una serie di strumenti e di politiche congiunte per

fare rete con gli attori territoriali al fine di fronteggiare la crisi del mercato del

lavoro attraverso interventi pluriennali;

• l’Agenzia Sociale – Lavoro & Società, nata nel 2006 a Verona che, in convenzione

con la Provincia, ha coordinato e attuato interventi pluriennali di sostegno alla

ricerca attiva del lavoro sulla base di indirizzi concordati a livello interistituzionale.

Nell’esperienza vicentina, l’elemento più qualificante è rappresentato dalla funzione di

indirizzo svolta dal Comitato di coordinamento istituzionale, composto da 17 partners

promotori (Provincia, Comuni, ULSS, Associazione Industriali, Associazione Artigiani,

Associazione Piccole industrie, Associazioni Commercianti, CISL - CGIL – UIL) e dal

Gruppo di coordinamento provinciale che rappresenta il comitato tecnico-scientifico

dei progetti realizzati (è presieduto dalla Provincia di Vicenza, ed è l’organo tecnico di

coordinamento operativo generale, monitoraggio, validazione dei percorsi

personalizzati, verifica delle rendicontazioni delle attività e di regia dei progetti);

Nell’esperienza veronese, l ‘aspetto peculiare e innovativo è rappresentato dall’

Agenzia Sociale - Lavoro & Società, per la sua funzione fondamentale di integrazione,

razionalizzazione e regolazione della rete territoriale dei servizi pubblico – privati in

base ad apposite convenzioni con la Provincia di Verona16

Si tratta di esperienze che si sono sviluppate in un contesto maturo e innovativo quale

è quello della Regione Veneto che in questi anni di crisi ha operato con decisione per

16 Delibera provinciale, n° 134 del 3 giugno 2010 - Delibera provinciale n.129 del 4 luglio 2013.

40

realizzare una rete di servizi per il lavoro idonea ad affrontare le sfide del nuovo

mercato del lavoro:

1) realizzando i tre pilastri della Rete (sistema di accreditamento, sistema

informativo lavoro, standard operativi e gestionali);

2) adottando politiche attive che prevedono un’azione cooperativa tra centri per

l’impiego, agenzie per il lavoro e Enti accreditati;

3) mettendo a punto gli strumenti per un’azione più efficace dei servizi (disciplina

dei tirocini, patto di prima occupazione, contratto di mobilità);

4) sperimentando nuove forme di finanziamento delle misure e degli interventi di

politica attiva (doti lavoro, voucher, progetti a sportello, ecc).

Il modello proposto è quindi caratterizzato dall’orientamento alla governance pubblica

a partecipazione multiattore che si esplica attraverso un Patto territoriale in grado di

rilanciare l’occupazione e di arginare il fenomeno dell’esclusione sociale attraverso il

convenzionamento con un organismo tecnico con specifiche funzioni di

coordinamento, animazione e supporto alla rete territoriale dei servizi pubblici e privati

per il lavoro: l’Agenzia Sociale.

Tale orientamento è giustificato anche dai processi di riforma in atto a livello nazionale,

che ridisegnano l’architettura complessiva del sistema delle politiche attive e passive

del lavoro in Italia.

La Legge n. 183/2014 (cd. Jobs Act), infatti, affiderebbe il coordinamento dei Centri per

l’Impiego all’Agenzia Nazionale per l’Occupazione e la c.d. “Riforma del Rio” (Legge

n.56/2014) riordina la disciplina sulle Province che, allo stato attuale, non avrebbero

più competenze in tema di politiche del lavoro.

L’impatto delle due riforme, richiede l’elaborazione di un modello locale di politica del

lavoro, in grado di equilibrare diverse esigenze:

a) garantire standard e prestazioni efficaci dei servizi su tutto il territorio nazionale

attraverso una apposita Agenzia nazionale;

b) salvaguardare l’autonomia delle Regioni nella programmazione delle politiche

del lavoro;

c) assicurare un livello locale di presidio dei servizi in base al principio di

sussidiarietà e prossimità.

41

Per quanto riguarda la dimensione locale, il Patto territoriale e Agenzia Sociale sono

strumenti complementari in quanto il Patto identifica nella Agenzia l’organismo

preposto alla supervisione e coordinamento degli interventi e delle iniziative

concordate tra gli aderenti al Patto stesso.

A partire da questo presupposto il “modello di governance” proposto, si articola su

due livelli:

a) un livello istituzionale e strategico di programmazione delle politiche, imperniato

su un Patto territoriale in gado di raccogliere l’adesione attiva dei diversi soggetti

pubblici e privati interessati a promuovere le politiche di inclusione nel territorio;

b) un livello operativo in capo ad un organismo di coordinamento, Agenzia sociale,

che in convenzione con l’ente pubblico, assicuri una gestione efficace e razionale

degli interventi, coordinandone l’attuazione attraverso la rete territoriale dei

servizi pubblici e privati in base a criteri di ottimizzazione delle risorse finanziarie

disponibili.

Per quanto riguarda il livello istituzionale, questo attualmente è in capo alla Provincia

di Verona. In prospettiva, a seguito del superamento delle Province, altri soggetti

istituzionali già da tempo coinvolti nella cogestione degli interventi di competenza

dell’Agenzia, si sono resi disponibili a riempire il possibile “vuoto di governance”:

Comuni, Conferenza dei Sindaci, ULSS, altri.

4.2 Caratteristiche e funzioni del Patto territoriale17

Il Patto territoriale è uno strumento previsto dalla legislazione nazionale sulla programmazione negoziata.

Nell'ordinamento italiano la programmazione negoziata è definita dalla legge n. 662/1996, articolo 2 comma 203 lettera a, come «regolamentazione concordata tra soggetti pubblici o tra il soggetto pubblico competente e altre parti pubbliche o private

17 In allegato modello “Patto territoriale persone svantaggiate”, elaborato sull’esperienza del Patto Territoriale Vicentino

e dell’ Agenzia sociale di Verona Lavoro & Società (WP11)

42

per l'attuazione di interventi riferiti ad un'unica finalità di sviluppo nell'ambito del territorio di riferimento”.

Attraverso la programmazione negoziata, quindi, enti locali e altri portatori di interessi

che operano nel territorio, possono perseguire obiettivi di sviluppo condivisi e

coordinati.

Gli strumenti della programmazione negoziata, definiti dallo stesso testo legislativo,

sono molteplici: Intesa istituzionale di programma; Accordo di programma quadro,

Contratto di programma; Patto territoriale.

E’ quest’ultimo strumento che il modello intende valorizzare, in quanto si tratta di un

accordo sottoscritto tra enti locali, parti sociali e altri soggetti interessati (sia pubblici

che privati) alle politiche del lavoro.

Il Patto territoriale che si vuole promuovere, è un accordo che coinvolge i Comuni, la Provincia ed eventualmente la Regione, nonché le parti sociali e altri soggetti pubblici o privati in una determinata area geografica, con le seguenti finalità:

a) costituire una rete di soggetti pubblici o privati autorizzati o accreditati a svolgere i servizi per il lavoro come disciplinati dall’articolo 2 del d.lgs 276/2003 e dalla legge regionale del Veneto n. 3/2009 (comprensiva di datori di lavoro, istituzioni ed enti comunque interessati allo sviluppo economico e al mercato del lavoro locale);

b) conseguire specifici obiettivi di politica del lavoro e di inclusione rivolta a particolari categorie di utenza (così detti soggetti deboli), ma non solo;

c) coordinare interventi di sostegno all’occupazione con il concorso di finanziamenti pubblici e privati di diversa tipologia e natura;

d) valorizzare la programmazione multiattore tra i diversi soggetti istituzionali e sociali coinvolti, allo scopo di elaborare progetti condivisi a sostegno dell’occupazione;

e) operare in base ad una logica selettiva di elementi qualitativi e quantitativi, in ordine ai tempi, agli impegni assunti, alla selezione degli obiettivi, alle risorse messe concretamente a disposizione dai soggetti sottoscrittori;

f) adottare una progettualità condivisa di valenza strategica per il territorio, da realizzare attraverso le risorse finanziarie comunitarie, nazionali e regionali che saranno disponibili nel periodo di Programmazione 2014-2020;

43

g) avvalersi, quale organismo operativo, di una Agenzia Sociale (articoli 13 e 14 del d.lgs 276/2013 e all’articolo 26 della legge regionale n. 3/2009), operante in ambito territoriale, per:

- il coordinamento e/o la gestione dei servizi di intermediazione dei lavoratori

appartenenti alle categorie svantaggiate, nell’ambito di progetti di

inserimento lavorativo connessi a lavori o servizi attivati dalle amministrazioni

pubbliche, in particolare gli enti locali in ambito provinciale;

- il coordinamento e/o la gestione tecnica dei progetti finanziati a vario titolo

da Fse, Stato, Regione Veneto, Provincia, altri soggetti pubblici e privati, in

qualità di capo fila o di partner operativo specializzato;

- il coordinamento e/o la gestione tecnica di progetti elaborati direttamente

dal Patto Territoriale e finanziato dai propri aderenti.

Il Patto Territoriale, si attua, attraverso:

• un Comitato di coordinamento, che si riunisce periodicamente e almeno tre volte

all’anno per la programmazione e la verifica delle attività, composto dai

rappresentanti formalmente incaricati da ciascuna parte aderente;

• una Cabina di regia ristretta, composta da non oltre 5 membri, nominati dal

Comitato di coordinamento al proprio interno, con compiti di istruttoria e

predisposizione tecnica dei programmi e piani sottoposti alla validazione del

Comitato di coordinamento.

Al Patto Territoriale spetta in generale il compito di coordinare, animare, sostenere e

monitorare tutte le iniziative concordate tra i partners, aventi come oggetto e finalità

quanto stabilito dal Patto stesso.

4.3 Caratteristiche e funzioni dell’Agenzia Sociale

44

L’Agenzia Sociale è l’organismo legittimato dal Patto per il Lavoro, che il modello

proposto intende valorizzare come dispositivo di coordinamento, presidio, gestione dei

servizi per il lavoro erogati dalla rete.

L’Agenzia Sociale trova la propria legittimazione nella Legge 30/2003 e seguente D.lgs.

di applicazione n.276/03. L’articolo 13 definisce il “sistema di raccordo pubblico-

privato”, chiamando anche le Regioni a legiferare su questo tema.

La Regione Veneto con la Legge n° 3/2009 “Disposizioni in materia di occupazione e

mercato del lavoro” all’articolo 26 recita “Al fine di favorire

l’inserimento/reinserimento lavorativo dei lavoratori svantaggiati (…) le province

possono costituire agenzie sociali, di cui all’articolo 13, del D.lgs 2003, n. 276 (…) previo

il loro accreditamento ai sensi dell’articolo 25 della presente legge”.

La “formula agenziale” si concretizza di fatto nella formalizzazione della rete pubblico -

privata dei servizi, attraverso la costituzione di un “soggetto giuridico stabile” che

superi la logica delle intese e delle collaborazioni transitorie.

L’Agenzia ha una struttura privatistica (preferibilmente consortile) aperta ai soggetti

del territorio che ne condividono la mission e che intendono mettere in campo

interventi di politica attiva del lavoro e di inclusione attraverso apposita convenzione

con i soggetti (regione, provincia, comuni, area vasta,ecc) competenti i materia di

politiche attive del lavoro.18

Caratteristiche specifiche della Società consortile sono:

a. la promozione dell’integrazione interorganizzativa tra gli aderenti per mettere in

comune parte delle attività;

b. la possibilità di svolgere attività che rappresentano una novità rispetto alla mission

specifica di ciascun singolo socio consorziato (quid novi);

c. la struttura sociale che prevede “la possibilità di adesione di nuovi soci, configurando

così la società come struttura aperta”.

18 A tal proposito si rimanda al documento allegato “Modalità di gestione delle relazioni con l’Agenzia sociale” che, sulla

scorta dell’esperienza veronese, illustra le tecnicità giuridiche amministrative attraverso le quali giungere all’affidamento

dei servizi all’agenzia sociale (WP11)

45

Di fatto, i soggetti che aderiscono e partecipano al funzionamento dell’Agenzia Sociale

conservano la loro specificità e il loro ruolo, conferendo il loro apporto specifico, in

termini di risorse organizzative, professionali e finanziarie.

Nell’ambito del modello proposto, l’Agenzia è chiamata a svolgere tre specifiche

funzioni:

a) Coordinamento della rete;

b) Service della rete;

c) Gestione diretta dei servizi per soggetti svantaggiati

Funzione di coordinamento della rete

Si tratta della funzione già richiamata in altre parti della trattazione che l’Agenzia è

chiamata a svolgere sulla base di specifiche convenzioni con l’Ente pubblico

“assumendo il ruolo di snodo principale della rete

In sostanza l’Agenzia sociale è il soggetto che, sulla base degli obiettivi definiti a livello

istituzionale coordina operativamente, le risorse strategiche della rete (finanziamenti,

tecnologia, progetti, risorse umane) per l’attuazione di interventi di politica attiva e di

inclusione

E’ evidente che i vantaggi che possono derivare dalla funzione di coordinamento della rete sono molteplici, ad esempio:

• ridurre l’eccessiva complessità e variabilità della rete dei servizi (spesso determinate da ragioni di “campanile” o da logiche di utilizzo immediato dei finanziamenti disponibili, piuttosto che da reali bisogni dell’utenza);

• razionalizzare la gamma dei servizi in base a criteri di effettiva utilità e coerenza con bisogni dell’utenza eliminando eventuali sovrapposizioni di interventi e duplicazione di iniziative;

• riequilibrare l’offerta dei servizi in base a criteri di priorità e di urgenza condivisi in relazione alle caratteristiche socio - occupazionali del territorio;

• offrire garanzie di omogeneità, affidabilità e riconoscibilità dei servizi controllandone l’efficacia e l’efficienza attraverso un apposito sistema di standard minimi di qualità o di livelli essenziali delle prestazioni assicurati da tutti i servizi pubblici e privati della rete;

46

• attribuire precisi ruoli e responsabilità ai soggetti pubblici e privati coinvolti nella gestione dei servizi in base a criteri di vocazione, competenza, emergenze territoriali;

• ottimizzare i finanziamenti disponibili sulla base di strategie e programmi finalizzati al conseguimento di obiettivi condivisi con possibile abbattimento dei costi;

• standardizzare alcuni elementi chiave del sistema di erogazione dei servizi con conseguente innalzamento della qualità delle prestazioni (ad esempio: visibilità, accessibilità, benefici per il cliente, attività tipiche, modalità di erogazione, professionalità degli operatori, valutazione);

• rendere chiara la percezione dei benefici e delle prestazioni offerte all’utenza (ad esempio attraverso la diffusione della “Carta della qualità dei servizi” e la definizione dei livelli essenziali delle prestazioni).

Funzione di Service della rete

Si tratta della funzione di animazione e manutenzione della rete, che si esplica

attraverso:

• il sostegno all’Ente Pubblico nella manutenzione/sviluppo dei processi di governance della rete territoriale promuovendo l’applicazione di standard di erogazione rispondenti a livelli essenziali di prestazione, identificati secondo principi di qualità, efficacia, economicità;

• il supporto ai referenti istituzionali nell’identificazione, reperimento (se necessario, gestendo direttamente risorse aggiuntive o straordinarie, pubbliche e private, locali, nazionali ed europee), di risorse adeguate per assicurare ai cittadini svantaggiati servizi adeguati e di qualità;

• il sostegno allo sviluppo dei dispositivi e degli strumenti tipici del lavoro in rete (condivisione sistemi informativi, profilazione dell’utenza, standard di servizio, procedure di erogazione, formazione continua degli operatori, sistema di valutazione e monitoraggio, ecc.);

• promozione delle Politiche attive del lavoro e dei Programmi ad essa collegati attraverso piani specifici di comunicazione pubblica;

• osservazione e rilevazione della domanda e dell’offerta di lavoro, in collaborazione con altri soggetti preposti allo svolgimento di tale funzione;

• integrazione finanziamenti terzi (FSE, Fondazioni bancarie, Comuni, altri) sulla base di specifica programmazione territoriale;

47

Funzione di erogazione diretta dei servizi per i soggetti svantaggiati

In prospettiva, l’Agenzia, potrà anche sviluppare azioni specifiche per motivare la

domanda esistente ed eventualmente per individuare nuove opportunità

occupazionali, coordinando progetti di lavori socialmente utili e di utilità sociale,

favorendo lo sviluppo di nuove imprese, stimolando una nuova offerta di beni e servizi

in una logica di “quasi – mercato”.

4.4 L’Agenzia Sociale e i processi di integrazione dei servizi

L’Agenzia sociale è l’organismo in grado di “mettere insieme”, integrare, coordinare, soggetti, risorse, servizi” (storicamente frammentati nel nostro paese) per dare migliori risposte alle persone svantaggiate in cerca di occupazione e alle imprese in cerca di personale.

Il processo di integrazione riguarda soggetti di diversa natura (pubblici e privati) e con diversa vocazione (formazione, lavoro, assistenza sociale) che normalmente fanno riferimento a realtà istituzionali e organizzative diverse: Provincia, Comuni, ULSS, Cooperazione sociale, APL.

Nel modello prefigurato (vedi figura a pag 25) i CPI e i Job Center possono svolgere

attività di prima informazione/accoglienza, occuparsi della profilazione degli utenti che

si rivolgono ai loro sportelli e verificare la presenza dei requisiti formali per il rinvio all’

Agenzia Sociale.

Gli operatori dei Servizi sociali delle ULSS e dei servizi al lavoro di altri enti pubblici (ad

esempio i Comuni), possono essere coinvolti nella preselezione di persone con

particolari problematiche socio occupazionali e collaborare con gli esperti della Agenzia

sociale nella redazione di un piano di azione congiunto per l’inserimento occupazionale

A seguito dell’apertura della platea dei soggetti svantaggiati, per modifiche normative

progressivamente intervenute, è necessario definire un criterio di svantaggio più

preciso, correlato all’indice di occupabilità e/o con particolari categorie di bisogni

(problemi di conciliazione, sfratti esecutivi, ecc).

48

Questi soggetti svantaggiati, così ridefiniti, una volta profilati dai Job Center o dai CPI

(eventualmente anche dalla stessa Agenzia Sociale) rientrano nell’ambito del

coordinamento operativo dell’Agenzia Sociale, andando a ricoprire di fatto il ruolo di

CASE MANAGER, può costruire per la persona un PAI, con specifici servizi e sostegni e

attivando una rete di sostegno ad hoc, per i percorsi dei soggetti svantaggiati. L’Agenzia

Sociale non opera direttamente nell’erogazione delle attività ma si avvale degli stessi

JOB CENTER, attribuendo loro i PAI in funzione di criteri predefiniti quali:

- Competenze specifiche del job center

- Distribuzione territoriale

- Scelta del beneficiario .

L’Agenzia Sociale può diventare il soggetto territoriale che, oltre alla definizione e

attivazione dei PAI, svolge un’attività di monitoraggio e controllo, di

coprogrammazione, di coordinamento e di erogazione di servizi di supporto alle

diverse reti in cooperazione tra loro per i soggetti svantaggiati.

Per meglio comprendere il ruolo centrale affidato all’Agenzia Sociale (vedi Figura 1.) va

evidenziata la connotazione dell’Agenzia come “Service della rete dei servizi per il

lavoro pubblici e privati per i soggetti svantaggiati”.

49

SISTEMA DI EROGAZIONE DI SERVIZI PER L’INCLUSIONE SOCIO-LAVORATIVA

Promuovono il PATTO

territoriale per il

LAVORO

Soggetti PUBBLICI e PRIVATI del territorio

CONVENZIONE

con

AGENZIA SOCIALE

=CASE

MANAGER soggetti

svantaggiatida Profilazione

Governance

pubblica

multiattore

Organismo

tecnico

Coordinamento della rete

Service della rete

Attivazione del “QUASI

MERCATO”

In particolare, per i soggetti svantaggiati l’Agenzia potrebbe svolgere le seguenti

funzioni

1) rilevazione e analisi della domanda e dell’offerta di lavoro per la stesura del

piano territoriale per il lavoro a favore dei soggetti svantaggiati, inteso come

specifica programmazione che affronta le multi-problematicità degli utenti

presi in carico

2) integrazione dei finanziamenti di terzi (Fondazione/Comuni) in funzione della

specifica programmazione territoriali

3) profilazione e definizione PAI specifici per i soggetti svantaggiati

4) attivazione e monitoraggio del PAI in collaborazione dei Job Center Privati

5) integrazione con i servizi socio/sanitari

6) attivazione delle rete sociale anche privata di supporto

50

Il ruolo di service potrebbe poi essere svolto anche al di fuori del “recinto dei soggetti

svantaggiati”, ma a favore dei job center privati e dei soggetti accreditati operanti sul

territorio svolgendo le seguenti funzioni:

7) elargizione sostegni al reddito;

8) elargizione di sostegni alla mobilità territoriale e di altri benefit;

9) verifica finale di monitoraggio: congruità dei risultati e somministrazione dei

questionari di gradimento;

10) formazione/supervisione dei tutor in ambito territoriale;

11) promozione e diffusione delle Politiche attive nel tessuto imprenditoriale;

La profilazione e la definizione dei PAI

L’attribuzione di funzione di profilazione e definizione dei PAI in esclusiva a strutture

pubbliche anche in Italia, porterebbe con sé, inevitabilmente, l’aumento delle strutture

di accoglienza ed erogazione dedicate a tale specifico servizio da parte dei CPI, già ora

sottodimensiono rispetto ad ogni confronto europeo.

Con l’avvento dell’Agenzia nazionale per l’occupazione e la ridefinizione degli assetti

dei CPI, in accordo con le Regioni che detengono la competenza in materia, si

potrebbero concentrare gli operatori pubblici a svolgere tale funzione cardine del

sistema a fronte di una semplificazione della burocrazie interne e della rinuncia a

presidiare altri aspetti del processo, come il matching o l’orientamento, affidati

completamente ai privati.

La suddetta proposta mette in conto che, stante la situazione delle finanze pubbliche,

è da ritenersi improbabile un aumento degli organici attualmente in essere. Resta però

la valutazione delle competenze degli stessi opertori pubblici, solo in minima parte

selezionati e/o formati per svolgere questo tipo di consulenza, salvo considerare

profilazione quell’ “automatismo amministrativo” sperimentato in Garanzia Giovani.

Operatori che detengono competenze per svolgere compiutamente una profilazione si

trovano sicuramente in ISFOL e Italia Lavoro (che andranno costituire l’Agenzia

51

nazionale) ma ciò presuppone un rimescolamento degli organici del tutto

imprevedibile.

Se la soluzione “esclusivamente pubblica” rimarrà impraticabile, alla luce degli

investimenti e dell’evoluzione della collaborazione pubblico/privata, fatti da molte

Regioni tramite i processi di accreditamento, anche gli enti privati potrebbero

collaborare con il pubblico per erogare questi servizi

Ne consegue che profilazione e definizione del PAI da parte dei privati, oltre ad essere

accompagnata da una vasta ed efficace campagna di comunicazione pubblica sui

diritti spettanti ad ogni cittadino, deve avere elementi di discrezionalità chiaramente

definiti, una stretta correlazione tra indice di occupabilità e quantità di servizio

erogabile e, a questo punto, un controllo ex post molto scrupoloso sul lavoro svolto.

Dal punto di vista qualitativo infatti le attività erogate dai privati possono essere

verificate a posteriore nell’azione di monitoraggio, che svolta da soggetto terzo

delegato dal pubblico, può accertare la congruenza tra le attese e i bisogni dell’utenza

e il servizio definito ed erogato dell’ente accreditato.

Differentemente la definizione del PAI per i soggetti svantaggiati dovrebbe esser in

capo all’Agenzia Sociale, la quale, per la sua natura di soggetto terzo, permetterebbe

di garantire maggiore trasparenza, flessibilità e personalizzazione dei PAI, in quanto

azione non soggetta a possibili “speculazioni” di natura economica.

Le soluzioni pubblico/private prospettate, lasciando in particolare all’agenzia sociale

soggetto terzo la gestione la fascia dei beneficiari più “deboli” con uno specifico budget

a disposizione, permetterebbe al sistema di dare un servizio “erga omnes” e allo

stesso tempo ridurre il rischio di una offerta di servizi ispirata esclusivamente a “logiche

di mercato” (esasperata selezione dei beneficiari, creming, o inefficiente distribuzione

territoriale a favore dei grandi centri urbanizzati) frutto dell’asimmetria informativa tra

utente, erogatore e finanziatori e con le conseguenti sproporzione tra costi e benefici

dei PAI.

Per quanto riguarda il processo di profilazione si rimanda al capitolo 5), accennando

ora solo al fatto che nel nostro modello essa va ben oltre la rilevazione di elementi

ascritti (data di nascita, titolo di studio, precedente professione, ecc) ma si ispira a

modelli, già sperimentati con successo all’estero, in cui un operatore, adeguatamente

formato e supportato da strumentazione di analisi scientificamente validata, analizza

52

anche le cosiddette “soft skill” per arrivare ad una profilazione realmente

personalizzata19, che indaghi e valuti elementi diversi della storia della persona. La

nostra esperienza ha portato in luce come la presenza di carichi familiari e vincoli di

conciliazione, il possesso di mezzi di trasporto, il manifestarsi di stati psicoattitudinali

alterati, residenza “lontane” dalle aziende, e altri elementi ancora e tra loro combinati,

possono dare una distanza dal mercato ben diversa da soggetto a soggetto che,

fermandosi ad una prima analisi, risultavano ad uno stesso grado di occupabilità.

Erogazione sostegni al reddito ed altri benefit

Per quanto riguarda il sostegno al reddito ai percettori che ne hanno diritto, si pensi

all’attuale impatto finanziario e organizzativo sui singoli Enti erogatori, oltre all’onere

delle elaborazione delle buste paghe e degli adempimenti fiscali gestiti in modo

frammentato.

Affidare questa funzione a livello centralizzato ad un “soggetto dedicato” potrebbe

portare efficienze che riducono i costi di gestione (per es. una significativa riduzione dei

costi degli oneri passivi da pagare agli istituti di credito cui normalmente i singoli Enti si

rivolgono per ottenere affidamenti che consentano l’erogazione dei sostegni al reddito

in tempi rapidi).

Inoltre attraverso l’Agenzia Sociale, sarebbe possibile gestire le politiche di sostegno

passivo con un mix equilibrato e mirato a seconda delle categorie di persone coinvolte,

tra obbligatorietà ed effettiva partecipazione alle iniziative di politiche attive, indennità

di frequenza, vero e proprio sostegno al reddito erogato mensilmente in base allo stato

di bisogno, sostegno alla mobilità territoriale e per la conciliazione, fattori questi ultimi

due determinanti per permettere la frequenza ai servizi proposti da parte di fasce di

popolazione particolarmente svantaggiate.

Questo permetterebbe inoltre all’INPS, qualora continuasse nella sua opera di

erogatore dei sostegni passivi, di avere un unico interlocutore a livello locale con cui

interfacciarci per la gestione e di integrazione dei diversi sussidi (in linea con l’impianto

delle Legge Fornero che prevedeva una banca dati comune per i sostegni al reddito)

19 Interessante in questo senso è quanto emerso dai focus group con le con le Aziende (WP4), gestiti in collaborazione del

partner operativo Enaip, che individuano nelle soft skill i requisiti realmente mancanti ai candidati, mentre le hard skill

sono comunque rintracciabili o costruibili nel tempo.

53

Per finanziare tali sostegni si potrebbe predisporre un fondo ad hoc dove potrebbero

convergere fondi pubblici e privati, la cui gestione potrebbe essere affidata all’Agenzia

Sociale, debitamente sottoposta ai doverosi controlli da parte del sistema pubblico.

4.5 I fattori di natura normativa e organizzativa

Il ciclo di erogazione dei servizi previsto dal modello proposto, tiene conto di molteplici

fattori di natura normativa e organizzativa, alcuni dei quali in fase di ridefinizione anche

attraverso i processi di riforma del mercato del lavoro in atto livello nazionale.

Tuttavia nel contesto veronese sono riscontrabili una serie di elementi su cui

incardinare le proposte per il futuro, che trovano conferma nelle esperienze realizzate

in questi anni nel territorio:

• la centralità dei CPI per capacità di assorbimento degli utenti che devono

comunque accedervi;

• il ruolo delle Amministrazioni comunali per l’erogazione dei servizi di prossimità;

• i Servizi sociali per capacità di implementazione dei servizi sulla base di specifiche

prassi programmatiche;

• il ruolo della Regione Veneto come attore dialogante nella governance delle

politiche del lavoro e come soggetto di “regolazione” delle reti, delle strutture di

erogazione, dei servizi e delle risorse finanziarie;

• la presenza attiva delle Fondazioni come partner essenziale nella

programmazione e gestione delle politiche di inclusione occupazionale;

• la presenza diffusa di Operatori accreditati privati e del privato sociale, che

concorrono in modo significativo alla attivazione di sinergie e collaborazioni

organiche nella gestione dei percorsi di inclusione socio – occupazionale (in

particolare attraverso servizi di formazione, accompagnamento al lavoro,

tirocini, ecc.);

54

• la disponibilità di un approfondito studio sui Livelli Essenziali delle Prestazioni

(LEP) dei servizi per il lavoro, realizzato dalla Provincia di Verona (che di fatto ha

anticipato la “Legge Fornero” e i successivi provvedimenti e disegni di legge in

materia);

• la presenza di Click lavoro – IDO come dorsale informativa su cui far circolare lo

scambio dei dati e delle informazioni per chi cerca e per chi offre lavoro.

In particolare, da una concreta applicazione dei LEP, potrebbe derivare per ogni

cittadino disoccupato il diritto effettivo di fruire di una ampia offerta di servizi di politica

attiva.

L’attuale normativa in tema di servizi per il lavoro (vedi ad esempio Legge n° 92/ 2012,

prevede alcune fondamentali prestazioni per i percettori di sostegno al reddito:

a) colloquio di orientamento entro tre mesi dall'inizio dello stato di disoccupazione;

b) azioni di orientamento collettive fra i tre e i sei mesi dall'inizio dello stato di

disoccupazione, con formazione sulle modalità più efficaci di ricerca di occupazione

adeguate al contesto produttivo territoriale;

c) formazione della durata complessiva non inferiore a due settimane tra i sei e i dodici

mesi dall'inizio dello stato di disoccupazione, adeguata alle competenze professionali

del disoccupato e alla domanda di lavoro dell'area territoriale di riferimento;

d) proposta di adesione ad iniziative di inserimento lavorativo entro la scadenza del

periodo di percezione del trattamento di sostegno del reddito.

Per rispondere all’attuale dettame normativo il ciclo integrato di erogazione dei servizi

che contraddistingue il modello proposto, è ispirato alla pratiche e alle metodologie già

sperimentate nel contesto veronese con particolare riferimento ai “Percorsi per

lavoratori svantaggiati” 20, che prevedono:

a) Colloquio di accoglienza in cui fornire le prime informazioni alle persone per

permettere loro di orientarsi tra servizi e opportunità (1 ora) e per procedere

all’inserimento nel sistema informatico dell’anagrafica della persona con la

20 Approccio “Analisi dei processi” definito dalla Direzione della Agenzia Sociale in accordo con il Servizio Lavoro della

Provincia e con i servizi dedicati del Comune di Verona nell’ambito delle diverse edizioni dei Progetti “Servizi per

lavoratori svantaggiati” (iniziativa riproposta in diverse edizioni nel contesto veronese, che comprende un pacchetto ampio

e articolato di servizi pubblici e privati (sociali e per il lavoro) a sostegno di soggetti deboli in cerca di occupazione.

55

stipula della Dichiarazione di Immediata Disponibilità (DID) e del Patto di Servizio

(1 ora)

b) Colloquio orientativo di 3 ore, anche funzionale costruzione del profilo

personale di occupabilità (profiling)21 , atto a definire un corretto piano di

azione individuale e la creazione del CV (colloquio specialistico successivo agli

incontri informativi e/o di iscrizione ai CPI). Tale intervento oltre alla creazione

del CV come primo strumento di ricerca attiva del lavoro, ha lo scopo di

determinare in modo metodologicamente corretto e sulla base di procedure

standard il grado di occupabilità del disoccupato, sul quale “innestare”

successivamente un corretto ed efficace percorso di ricerca attiva del lavoro.

c) Sperimentazione di counseling di gruppo sulle tecniche di ricerca attiva di

lavoro (TRAL)22, intervento che può variare dalle 8 alle 20 ore, per un numero di

utenti da 8 a 15. L’intervento essendo di carattere generale dovrebbe essere

programmato e erogato in continuità per tutti i nuovi disoccupati che accedono

al servizio.

d) Strutturazione di percorsi di formazione adeguati fabbisogni dell’utenza: su

questo fronte l’ampiezza dell’intervento (con corsi superiori alle 2 settimane

della “Legge Fornero” si dovrebbero intendere almeno 80 ore di formazione,

anche se i tempi restano comunque troppo corti per una reale riqualificazione) e

il conseguente costo costringe a una seria riflessione su processi di

programmazione e governo del sistema, dove solo una rete consolidata può

portare a risultati significativi in termini di efficacia ed efficienza, che l’attuale

modello “a progetti/bando” non può di certo garantire. Dal 2014 si è abbinato

ad ogni percorso formativo i corsi di 4 ore di la sicurezza generale obbligatoria

con rilascio di attestato, come prerequisito per accedere al tirocinio di re –

inserimento lavorativo.

e) I percorsi di accompagnamento possono essere strutturati in modo molto

articolato a seconda del grado di occupabilità: da percorsi di ricerca azienda di 6

21 Si veda anche il contratto di ricollocazione , art 17, Decreto Legislativo n. 22 del 4 marzo 2015 22 Nella nostra esperienza veronese abbimo sperimentato con successo il counseling di gruppo sulle tecniche di ricerca

attiva di lavoro (TRAL). Un intervento che a nostro avviso dovrebbe essere prodromico ad ogni progetto per gli “effetti

benefici” che riversa sulle persone disoccupate che lo frequentano e sul lavoro dei i tutor che prendono in carico queste

persone. A tale proposito alleghiamo un prezioso approfondimento di una nostra consulente che illustra nel dettaglio principi

e modalità di attuazione dello strumento (WP7 e WP8)

56

ore a quelli più lunghi fino a 36 ore in un periodo di 4/6 mesi con bilancio delle

competenze, dossier delle evidenze, counselling individuale e ricerca azienda.

f) I percorsi di tirocinio con sostegno al reddito non a carico dell’azienda ospitante,

come esperienza determinante per il reinserimento al lavoro delle persone.

Stante il budget a disposizione e il tipo di utenza presa in carico si sono

sperimentati percorsi di brevi di 160-320 ore per 2 finalità: per alcune

particolarmente in difficoltà la verifica della “tenuta lavorativa”, per altri pronti

al mondo del lavoro e con famiglie a carico per trovare reali esiti occupazionali

immediati e/o ad una proroga del tirocinio con sostegno a carico dell’aziende.

g) Oggetto di attenta valutazione dovrebbe essere la verifica del percorso di ricerca

attiva del lavoro, per cui la sperimentazione dovrebbe prevedere un momento

di monitoraggio (di 2 ore) al termine del quale rilevare la soddisfazione

dell’utente, l’ adeguatezza/coerenza del percorso, i risultati in termini

occupazionali e di occupabilità.

Le azioni sopra descritte, cronologicamente scandite nella logica dei LEP, dovrebbero

essere accuratamente valutate nella loro composizione e successione nel processo di

profilazione e nella definizione del PAI, al fine di ridurre i tempi di reinserimento e i

costi degli interventi.

Dal punto di vista metodologico le principali fasi che caratterizzano il ciclo integrato dei

servizi pubblici – privati in una logica di personalizzazione, negli interventi sopra

richiamati) è riconducibile alla sequenza descritta nella scheda che segue:

FESE 1A. Accoglienza - Informazione

FASE 1B. Accoglienza – Profilazione di I livello (IDO)

FASE 2 Profilazione di secondo livello - Colloquio di analisi dell'occupabilità

FASE 3 Definizione del PAI - Piano di Azione Individuale

FASE 4 Pre - selezione

FASE 5 Attuazione del PAI

57

FASE 6. Monitoraggio / Valutazione

BANDO DI PARTECIPAZIONE

Si ritiene che grazie a tale approccio, possono trovare adeguata collocazione

terminologie e riferimenti diversi utilizzati per qualificare le stesse fasi del ciclo di

erogazione dei servizi. Per fare un esempio i termini “inserimento in banca dati”

“sportello” in base al quadro proposto, non possono che rientrare nella fase di

Accoglienza.

A partire da questo presupposto, si propone di seguito una matrice contenente la

descrizione delle fasi, delle attività, dei prodotti attesi e dei soggetti coinvolti nella

erogazione coerente con il “sistema di collaborazione pubblico privata” ipotizzato.

Inoltre, la matrice propone la durata delle attività relative alle singole fasi.

FASE ATTIVITA’ OUTPUT / PRODOTTO DURATA SOGGETTI

COINVOLTI

FESE 1A

Accoglienza -

Informazione

Colloquio di prima

accoglienza e

informazione nei Centri

per l’impiego o in altri

Servizi accreditati gli

utenti vengono poi

inseriti nel ciclo

integrato dei servizi

Erogazione informazioni

sui servizi

Consegna materiale

informativo

Aggiornamento IDO –

1 ora CPI/EA/JC

FASE 1B

Accoglienza –

Profilazione di I

livello (IDO)

Gli utenti ricevono dai

Centri per l’impiego la

certificazione dello stato

di disoccupazione con

inserimento in IDO

(primo livello di

profilazione). Con

l’introduzione del CPI

ON LINE la funzione

potrà essere accessibile

anche agli operatori

privati a supporto

Aggiornamento IDO –

Did (Dichiarazione

immediata disponibilità)

Pds (Patto di servizio)

1 ora CPI /JC

58

dell’utenza

FASE 2.

profilazione di

secondo livello -

Colloquio di

analisi

dell'occupabilità

Prevede un colloquio a

valenza orientativa tra

l’utente e il Case

Manager per:

� valutare il grado di occupabilità della persona (scheda di occupabilità)

� definire il percorso personalizzato di sostegno all’inserimento lavorativo

� compilare la “Scheda di occupabilità” (prima Parte)

� predisporre il CV � predefinire il PAI

Profilazione

Indice di occupabilità

Per i soggetti

svantaggiati invio

all’agenzia sociale

3 ore CPI/JC

FASE 3

Definizione del

PAI - Piano di

Azione

Individuale

Azione specifica di

finalizzazione del

processo che definisce il

percorso di

accompagnamento e/o

di inserimento

occupazionale attivando

servizi, strumenti e

risorse (incentivi)

adeguati alle

caratteristiche

professionali e personali

del disoccupato.

Per i soggetti

svantaggiati la

definizione del PAI

PAI

30/60

minuti a

persona

AS/CPI/JC

59

spetta all’Agenzia

Sociale

La definizione del PAI

individua il Case

manager responsabile

del percorso del

beneficiario (PRESA IN

CARICO)

FASE 4 – Pre –

selezione dei

soggetti

svantaggiati

In base alle priorità

strategiche definite dal

PIANO TERRITORIALE

delle Politiche Attive del

Lavoro , della

profilazione e del grado

di occupabilità e delle

risorse disponibili, si

identificano i potenziali

beneficiari per avviare le

azioni.

Griglia pre- selezionati

30/60

minuti a

persona

CPI /AS

FASE 5

Attuazione del

PAI

Il PAI si realizza

attraverso l’assistenza

del Tutor unico che ha il

compito di garantire

l’accesso e la fruizione

guidata ai servizi e alle

attività concordate con

la persona, con la

supervisione e

monitoraggio del Case

Manager che ha preso in

carico la persone.

Lo stato di avanzamento

del PAI e le eventuali

problematiche

riscontrate nella

Accompagnamento

individuale

comprendente dossier

delle evidenze e

attestazione delle

competenze)

Coaching individuali e di

gruppo

Ricerca Attiva di Lavoro

con visita aziendale;

Corso di formazione

Attivazione del Tirocinio

Da 6 a

36 ore

Fino a

6/12

mesi

EA/JC

60

attuazione del percorso

concordato, sono

oggetto di costante

verifica da parte del

Tutor attraverso una

serie di incontri

programmati con

l’utente.

Erogazione di sostegno

al reddito per persone

che non risultino

beneficiarie di

prestazioni;

Erogazione di titoli di

viaggio;

Proposta per servizi

specialistici integrativi

(es. microcredito,

housing sociali, ecc)

raccolta e pubblicazione

delle domande di lavoro

e di tirocinio

Segnalazione all’azienda

e relativo riscontro

I processi elencati

trovano riscontro sulla

“Scheda di Occupabilità”

FASE 6

Monitoraggio /

Valutazione

In questa fase finale del

percorso vengono

attivati gli strumenti di

rilevazione,

monitoraggio e

valutazione del PAI e dei

risultati conseguiti.

La valutazione finale

riguarda le seguenti

aree di osservazione:

- coerenza complessiva delle modalità di attuazione del PAI;

A conclusione del Pai:

- questionario gradimento; - aggiornamento dati statistici; (prevalentemente occupazionali) - eventuale avvio ad altri servizi (di natura prevalentemente sociale).

2 ore

AS

61

- grado di soddisfazione dell’utente;

- risultati conseguiti a livello occupazionale;

- risultati conseguiti a livello del grado di occupabilità;

- valutazione costi / benefici dell’intervento.

I dati raccolti in questa

fase alimentano il macro

sistema di valutazione e

monitoraggio del

sistema nell’ambito del

quale sono stati attivati i

PAI.

Per gli interventi non rivolti ai soggetti svantaggiati, in particolar modo quelli previsti

dal FSE per o in funzione della straordinarietà dell’intervento, potrebbe essere

necessario prevedere nel processo, in sostituzione della fase di pre – selezione, il Bando

di partecipazione.

BANDO DI

PARTECIPAZIONE

In relazione al tipo di

intervento di politica attiva da

realizzare, potrebbe essere

utile attivare un Bando di

selezione per identificare i

beneficiari. Attraverso tale

strumento è possibile

effettuare la selezione in

funzione del grado di

occupabilità del candidato,

così da ricercare la maggior

coerenza possibile tra

percorso proposto e

Graduatoria

60/120

minuti a

persona

CPI/

JC/AS

62

caratteristiche dei soggetti

coinvolti.

LEGENDA

CPI = Centri per l’Impiego (Provincia, Regione, Agenzia Nazionale)

AS = Agenzia Sociale

EA = Enti accreditati (Regione Veneto)

JC = Job Center

4.6 il ciclo di erogazione dei servizi

La rappresentazione standardizzata del macro processo di servizio23 è decritta dalla

seguente figura

Lo schema delinea un sistema di politiche attive del lavoro scandito dalla finanziamento

messo in campo dalla pubblica amministrazione (linee tratteggiate rosse)

23 Per un ulteriore approfondimento si rimanda all’ allegato “tracking cittadino” (WP7)

63

Un primo step, definito “reception”, in cui si sviluppano i servizi si accoglienza, prima

informazione ed orientamento può essere svolto “gratuitamente” dagli attori del

sistema. La parola gratuita non deve però essere fraintesa. Le persone possono trovare

queste informazioni in primis presso i CPI (finanziati direttamente dalla PA), presso alti

servizi pubblici (servizi sociali, università, camere di commercio) che volessero entrare

nel “sistema” o presso gli enti privati accreditati, in quest’ultimo caso la gratuità del

primo step dove essere ripagata dai ricavi sviluppati nelle fasi successive.

Il secondo step è scandito da misure finanziate “erga omnes” in cui tutta la popolazione

disoccupata sia prima profilata e poi incontrata per la definizione del PAI. Solo in questo

caso il PAI svolgerebbe la sua reale funzione di definizione di percorso personalizzato e

non, come attualmente è, certificazione dell’adesione a percorsi predefiniti messi a

bando.

Questo secondo step deve fare subito i conti con i numeri e le risorse da mettere a

disposizione: stando alla proposta sopra descritta questi interventi occupano almeno

4-5 ore e negli ultimi anni il flusso di DID si è attestato intorno a 150.000 richieste annue

e altrettanti ritorni in disoccupazione.

Buona parte di questa attività continuerà ad essere svolta dai CPI, una parte del

processo dovrebbe essere completata in autonomia dai beneficiari attraverso la

piattaforma Web (ma conosciamo l’idiosincrasia degli italiani a tali strumenti)24, la

parte residua (tra il 30 e il 40%) ricadrebbe invece sui Job Center Privati accreditati, che

abbisognano di un finanziamento specifico. All’attuale costo standard di 38 euro,

considerando il solo flusso (e non l’attuale stock di disoccupati), prevedendo un

aggiornamento per chi rientra in stato di disoccupazione e in precedenza è già stato

profilato ( 1 ora) è possibile fare la seguente stima:

• 150.000 DID X 4,5 ore +150.000 aggiornamenti X 1ora = 675.000+150.000 =

825.000 ore

• 35% di 825.000 ore = 288.750 ore a carico dei Job center Privati

• 288.750 ore X 38,00 Euro = 10.972.500 di euro

24 Nello stesso documento “tracking cittadino” (WP7) si riporta una tabella che, nel fotografare la “multicanalità” di

accesso sia sul fronte degli utenti che su quello delle imprese, evidenzia la distanza ancora da percorrere nella nostra

realtà.

64

A questo si accompagna che i CPI devono essere in grado di accogliere e servire per

l’utenza per le 536.250 ore residue. Se consideriamo 1700 ore di attività annue frontali

annue da contratto, significa 315 operatori dedicati esclusivamente a questa funzione.

Si tratta di una stima che vuole dare l’ordine di grandezza del finanziamento per

affrontare seriemente questo processo.

Prendendo atto dell’attuale limitatezza delle risorse a disposizione e dell’impossibilità

di garantire il servizio a tutti i cittadini disoccupati (contra legem, che per i “percettori”

definisce una diritto esigibile), si passa quindi al terzo step che , dalla analisi dei Pai e,

alla luce degli obbiettivi strategici di medio-lungo termine (per categorie di persone,

zone territoriali, ambiti economici,ecc), finanzia specifici “misure finalizzate”, progetti

e strumenti, di breve-medio termine per incontrare i bisogni che i PAI mettono in luce.

In queste analisi è il decisore politico deve, logicamente, prendere in considerazione

le esigenze delle aziende e la politica di sviluppo economico che esso stesso vuole

applicare al territorio. Su questo fronte la rilevazione dei fabbisogni aziendali purtroppo

sconta un deficit programmatorio che difficilmente in Italia può essere superato. In

molti Stati, Germania in primis, con le rappresentanze dei vari settori economici si sono

instaurati tavoli di confronto e programmazione su cui sviluppare le politiche di

intervento. Il nostro tessuto economico composto prevalentemente da micro e piccole

aziende è però strutturalmente incapace di una programmazione breve medio termine

sui bisogni di risorse umane, connaturato invece alle grandi aziende.

Sul fronte delle politica industriale ed economica invece il decisore politico dovrebbe

necessariamente coordinare le scelte/indirizzi degli vari assessorati di riferimento

(sviluppo economico e formazione-lavoro, a cui si aggiunge sul fronte dell’utenza

l’assessorato ai servizi sociali) e trovare strumenti per garantire un piano di durata

pluriennale sui vari territori, dove anche le parti sociali e gli attori del sistema possano

esprimersi. Lo sforzo in questi documenti programmatori è andare oltre alle

enunciazioni di principio e alle visioni, ma dovrebbero riuscire a darsi concreti obbiettivi

quantitativamente definiti.

Infine tutte queste fasi debbono trovare nelle piattaforme informatiche, tra loro

integrate di facile e rapido uso , lo strumento per il costante controllo e monitoraggio

delle attività e dei risultati. Senza una piattaforma informatica (implementazione IDO)

65

che funga da “cruscotto di controllo”25 dove ogni fase del processo è presidiata sia in

termini di accesso e scambio delle informazioni sia di input e output predefiniti il

sistema non può dirsi tale, mancando delle dorsale informatica che lo sorregge e

alimenta e raccoglie il lavoro degli operatori del mercato del lavoro.

4.7 Attuazione delle fasi del processo e del PAI

Questo capitolo non intende presentare nuovamente i servizi previsti nelle fasi del

processo che hanno trovato ampia conoscenza presso gli operatori, ma intende

evidenziare le criticità e i fattori di miglioramento che sono emersi dal confronto con la

sperimentazione e con gli operatori26.

Accoglienza/Sportello

La possibilità di avere attività a “sportello” finanziata ha permesso di incontrare e

dedicare del tempo a persone difficilmente intercettabili con altri dispositivi. I fattori di

successo di questo dispositivo sono:

- La collocazione degli sportelli presso punti strategici come uffici dei servizi

comunali, dei CPI dei territori limitrofi, delle associazione di categorie, delle APL,

ha concretizzato il concetto di prossimità.

- L’ immediata esigibilità del servizio grazie alla deburocratizzazione del processo

(dichiarazione dell’apertura dello sportello e firma del beneficiario su foglio

mobile ).

- La flessibilità dei percorsi, in funzione alle reali esigenze del beneficiario, hanno

permesso di integrare la “prima informazione” ai percorsi di accompagnamento.

- La possibilità di informare adeguatamente le persone sulle opportunità presenti

nel territorio.

25 Anche in questo caso si rimanda all’allegato “Implementazione IDO - cruscotto di controllo” - WP6 .

26 Nel progetto erano infatti previste la WP8 “Condivisione e verifica delle procedure e la WP11 “Iterazione con il

progetto di sperimentazione”. Sperimentazione che ha visto in ENAC il capofila e quindi naturale partner operativo del

progetto di modellizzazione.

66

La modellizzazione ha in fase di avvio del progetto di sperimentazione, predisposto il

materiale di lavoro e lo schema di sintesi “risorse – strumenti”27 che illustra il processo

di accoglienza/sportello. Si sono analizzati le tipologie di utenti in base al fabbisogno,

obiettivi da raggiungere, output da produrre e fasi del servizio (prima informazione,

consulenza orientativa, revisione CV, analisi competenze, iscizioni portali -

CliclavoroVeneto , APL, ecc.-, Ricerca Attiva del Lavoro)

Di seguito l’elenco del “materiale minimo” che ogni centro di prima informazione

dovrebbe essere dotato per poter servire velocemente e adeguatamente i beneficiari:

Elenco CPI

Elenco APL

Elenco CFP

Elenco centri territoriali formazione permanente

Elenco CAAF/Patronati

Navigazione gratuita su territori (Verona)

Webgrafia formazione

Webgrafia offerte di lavoro

Offerta tirocini di inserimento

Offerta formativa / percorsi di tirocinio e accompagnamento

Contratti e incentivi per l’assunzioni

Materiale di supporto per i colloqui (creazione mail, dossier delle evidenze, cv europeo

e personalizzato, domande “guida”, ecc.)

Materiale informativo sui servizi sociali del territorio

Materiale informativo sulla rete dei servizi di socio/assistenziali privati

27 In allegato “Schema risorse – strumenti” - WP 7 elaborato in collaborazione con ENAC

67

Revisione/aggiornamento del toolkit del tutor unico.

Questi documenti pazientemente elaborati con la collaborazione del servizio di

Promozione Lavoro del Comune di Verona, dovrebbero essere costantemente

aggiornati e resi disponibili sulla piattaforma di sistema in modo semplice e completo.

In tal senso la Regione Veneto, o il suo braccio operativo Veneto Lavoro, potrebbe

anche rapidamente predisporre delle pagina Web dedicate, raccogliendo e

strutturando le varie informazioni, che ora sono disseminate su più siti, oltre ad e

obbligare gli attori del sistema all’aggiornamento dei dati. Già in atto invece il processo

di promozione e pubblicazione delle offerte, siano esse lavorative o di percorsi di

politica attiva del lavoro.

Fin da subito si è messa in campo a supporto del lavoro degli operatori la “scheda di

occupabilità”28, strumento da anni sperimentato nel territorio veronese finalizzato a:

� Profilare l’utenza per un corretto accesso ai programmi e una ragionata

distribuzione delle risorse/opportunità;

� Analizzare la condizione di occupabilità e transizione dei/lle lavoratori/trici

secondo un quadro di criteri condivisi tra servizi pubblici e privati per il lavoro;

� Tracciare fasi ed esito della funzione di case management e dell’azione di

accompagnamento al lavoro, anche per razionalizzare risorse organizzative ed

economiche del sistema locale;

� Leggere con la dovuta attenzione e completezza la biografia dei/delle

beneficiari/e secondo una prospettiva che valorizzi, laddove necessario,

l’apporto dei servizi socio-sanitari locali e de mondo imprenditoriale secondo

logiche di integrazione tra sistemi. Logiche necessarie per prevenire la

progressiva caduta nell’emarginazione sociale di persone inoccupate e

disoccupate, seppur motivate a lavorare o con un proprio bagaglio di

competenze significative

28 In allegato Scheda di analisi dell’occupabilità arte 1 – 2 – 3 e documenti a supporto della profilazione e relative guida

alla compilazione (WP5)

68

La scheda è stata rivista in funzione del processo di modellizzazione e quindi non

finalizzata ad un specifico progetto ma utilizzabile su ampia scala. La prima parte è

dedicata alla profilazione dell’utenza, i cui elementi/concetti sono stati ripresi

nell’Employability Assessment System, portando la compilazione della prima parte su

piattaforma Web di Carvet- Università degli studi di Verona29.

La digitalizzazione ha permesso di rendere disponibili i dati degli utenti per

l’elaborazione a posteriori, inoltre è stato fatto un passo formativo importante nei

confronti degli operatori. Abituati da sempre a lavorare “su carta e a mano libera”

hanno dovuto “accettare” procedure codificate e “interiorizzare” che il processo di

standardizzazione e condivisione degli input/output (di qualunque fase del processo) è

essenziale al fine di far funzionare il sistema. Ciò non sminuisce il loro apporto

professionale, che deve trovare invece spazio nella relazione tutor – beneficiario.

La seconda parte della scheda è finalizzata a supportare e tracciare l’azione del tutor

unico che è chiamato a mettere in campo tutte le azioni utili e necessarie per

l’inserimento/reinserimento lavorativo dei/delle beneficiari/e. Ogni sezione prevede la

possibilità di declinare alcuni indicatori di occupabilità secondo una graduata numerica

da compilare in entrata ed in uscita dai percorsi

La terza parte della scheda è finalizzata a sintetizzare tappe e risultati dell’azione di

tutorato.

La scheda nel suo insieme diventa anche lo strumento di confronto e scambio di

informazioni tra gli operatori coinvolti nella gestione del percorso (CPI; OML, assistenza

sociale, Regione Veneto, ecc.).

Seconda e terza parte della scheda è rimasta cartacea, a supporto e a “certificazione”

delle azioni e dei risultati conseguiti nel percorso di accompagnamento.

Certamente la digitalizzazione anche di queste parte dovrebbe essere il successivo

passaggio.

29 CARVET Center for Action Research in Vocational Education and Training Centro di Ricerca Dipartimentale

dell’Università degli Studi di Verona dipartimento di Filosofia, Pedagogia e Psicologia, partner operativo del progetto, che

ha supportato l’elaborazione del modello per cui si rimanda al capitolo 5) “La centralità del profilo personale di

occupabilità” oltre al compito di sistematizzazione completa del progetto di modellizzazione (WP13)

69

Percorsi di accompagnamento, formazione, tirocinio

Nel progetto di sperimentazione correlato, i percorsi degli utenti sono stati variamente

modulati per sperimentare diverse risposte a seconda dei bisogni e dei profili di aziende

ed utenti.

Di indubbia difficoltà è risultato il processo a bando per la selezione dei candidati ai

percorsi di accompagnamento e tirocinio. Il progetto che parte da una specifica

richiesta delle aziende, proprio per le reali potenzialità di inserimento lavorativo,

obbligava a trasformare il bando in una vera e propria ricerca e selezione, con un

elevata percentuale di matching non riusciti e di continue riaperture di bandi e stesure

di graduatorie, con la correlata burocrazia. Il processo è stato aggravato dalla distanza

tra richieste delle imprese e competenze degli utenti: al bando si presentavano persone

con profili molto bassi, mentre le persone con competenze in linea hanno difficoltà ad

accettare il tirocinio come momento di passaggio ad una nuova occupazione. Tuttavia

i risultati occupazionali, circa il 40% di avvio al lavoro su 64 tirocini, dovrebbe essere

reso noto ai potenziali beneficiari per far cambiare loro prospettiva e permettere loro

di coglierne le opportunità.

Chiaramente un processo che parte dal bando di selezione e dai bisogni delle aziende

lascia esclusi gli utenti più in difficoltà e distanti dal mondo del lavoro e non può essere

applicato per la maggior parte dei cittadini disoccupati, tali proprio per le loro

“debolezze”. Per quest’ultimi la ricerca dell’azienda deve avvenire durante il percorso,

una volta rilevate le capacità/potenzialità dell’utente e “onestamente” presentate

all’azienda ospitante.

Una soluzione intermedia poterebbe essere operare il matching prima della

presentazione del progetto, ma questo importante lavoro deve trovare adeguata

compensazione nei costi standard correlati alle attività dirette previsti

successivamente.

Più lineare invece si sono dimostrate le selezioni per i percorsi formativi e la gestione

dei percorsi con le aziende: la consapevolezza, da entrambi le parti, che si è di fronte

ad un processo formativo facilita la gestione del progetto. A fronte di questa linearità

gli esiti occupazionali tendono ad abbassarsi.

La gestione dei percorsi di accompagnamento resta appesantita dai passaggi di

informazione tra opertori ed enti partner per la definizione dei calendari delle attività.

70

Il passaggio alla gestione diretta del calendario da parte dell’operatore, come già

avvenuto ai tempi della casa integrazione in deroga (Doti Lavoro), alleggerirebbe

notevolmente i costi e i rischi di errore.

Per quanto riguarda il tirocinio le procedure di attivazione sono ormai consolidate.

Restano da coordinare ed alleggerire la modulistica di monitoraggio delle attività di

tirocinio. In particolare per i tirocinio di più basso profilo (tipici dei progetti di inclusione

sociale) la sproporzione tra documentazione e contenuti è evidente.

Di scarsa comprensione sono invece i limiti posti dalla Regione, e la conseguente

richiesta di deroga, per la definizione della orario.

La DGR 1324/2013 prevede correttamente che il “ tirocinio dovrà svolgersi di norma in

fascia diurna, fatti salvi i casi in cui la specifica organizzazione del lavoro del soggetto

ospitante non ne giustifichi lo svolgimento anche in fascia serale e notturna”. Porre

ulteriori limiti in fase di attuazione dei progetti significa ostacolare i tirocini in molti

settori (turismo, commercio, ristorazione, “arte bianca”) fonte di molte opportunità

lavorative.

Se il tirocinio è stato scelto come strumento principe per il reinserimento lavorativo

serve una scelta chiara che, pur mantenendo il carattere formativo del tirocinio30, ne

faciliti l’utilizzo in tal senso, a maggior ragione se si tratta di progetti di politica attiva

per soggetti svantaggiati.

Monitoraggio finale

Il progetto di sperimentazione ha previsto una verifica dei percorsi di 2 ore effettuato

da un soggetto terzo rispetto all’Ente che ha svolto il percorso.

Il primo obiettivo di questo intervento era la verifica, ex post, della corrispondenza tra

percorso e bisogni dei beneficiari in quanto i soli questionari di gradimento non

possono dare un giudizio affidabile dell’operato del tutor. Troppo ampia è infatti

30 L’accordo tra il Governo, le Regioni e Province autonome di Trento e Bolzano, sul documento recante “Linee-guida in

materia di tirocini” -Repertorio atti n. 1/CSR del 24 gennaio 2013 è stato sapientemente accolto dalla Regione Veneto nella

DGR 1324/2013, lasciando opportuni spazi di flessibilità agli enti promotori accreditati. Resta un ultimo intervento da

attuare da parte delle Regione, previsto dalla stesso accordo: la promozione del “corretto utilizzo dei tirocini prevenendo le

forme di abuso”. Un confronto Regione, enti accreditati e organi di controllo (inail, inps,ecc) per una condivisa definizione

di abuso (ad oggi del tutto incerta). potrebbe permettere al sistema di operare in sicurezza.

71

l’asimmetria informativa tra tutor e beneficiario, affinché quest’ultimo possa cogliere

la completezza e correttezza del percorso.

Ed in effetti l’ipotesi di partenza è stata confermata dalla rilevazione qualitativa

effettuata dai consulenti incaricati. Si è infatti rilevata come le professionalità dei tutor

e la conseguente qualità del servizio sia disomogenea e, in più di un caso, si sono

rilevate delle carenze. Tra i più significativi:

- CV non compilati correttamente e mancanti di competenze dell’utente “spendibili”;

- Poca ricerca azienda e di proposte di lavoro; in particolare per i soggetti - svantaggiati

si rileva una scarsa propensione a presentarli alle aziende, rinunciando al ruolo di

mediazione;

- Errata o sottostimata rilevazione dei fabbisogni dell’utente, sia sul fronte lavorativo

che socio/assistenziale;

- mancanza di attivazione delle rete sociale per abbattere i vincoli all’occupazione.

La sperimentazione ha permesso quindi di verificare la necessità di questo

monitoraggio ex post ed effettato da soggetto esterni. Un sistema di politiche attive del

lavoro dovrebbe prevedere ed identificare un soggetto terzo (CPI, Agenzia Sociale,

società incaricata) a cui affidare questa funzione per tutte le attività finanziate previa

elaborazione di una strumentazione che permetta anche una rilevazione

quantitativamente accurata di questi fattori

Nelle stesse 2 ore, oltre alla rilevazione degli esiti occupazionali, si è provveduto ad

erogare i questionari di gradimento.

Già il plurale denota una complessità/criticità.

Ci troviamo di fronte a progetti di politica attiva del lavoro dove intervengono più

partner con funzioni diversificate. Ogni partner, in ossequio all’accreditamento, è

tenuto alla rilevazione della qualità dei attività poste in essere e personalizza la

rilevazione, approfondendo alcuni aspetti o trascurandone altri. A questo si aggiunge il

questionario su piattaforma web che non può dirsi completo nell’analisi e i cui dati non

sono accessibili.

72

Si ritiene quindi opportuna una riflessione sul sistema di monitoraggio regionale per un

suo importante sviluppo, che possa tornare utile anche agli Enti accreditati, senza

inefficienti sovrapposizioni31.

31 In allegato si propongono i questionati di gradimento sviluppati da ENAC e l’implementazione sviluppata per il

completamento dell’ Employability Assessment System (cap.5)

73

5– La centralità del profilo personale di occupabilità

5.1 Il concetto di profiling

L’attuale scenario economico globale richiede ai lavoratori l’acquisizione di

competenze ed abilità che permettano loro di muoversi autonomamente all’interno

del “nuovo” mercato del lavoro con maggiore autonomia e con una minore presenza

di vincoli strutturali e organizzativi.

Uno degli aspetti caratterizzanti il modello esposto nelle pagine precedenti riguarda

l’adozione di una metodologia di definizione del profilo di occupabilità della persona

inteso sia come strumento diagnostico dei bisogni e delle potenzialità della persona,

sia come strumento che orienta il tipo e l’intensità delle politiche per il lavoro

necessarie alla persona per giungere nel minor tempo possibile ad una nuova

occupazione, sia come strumento organizzativo delle prestazioni da erogare da parte

della rete del territorio.

Dall’analisi delle migliori pratiche europee diffuse in ambito di profiling nei Servizi

Pubblici per l’Impiego ( European Public Services- PES) emergono come predominanti

tre tipologie di profilazione, di seguito delineate, che si propongono il raggiungimento

di obiettivi diversi mediante l’uso di pratiche e strumenti differenti:

Profiling inteso come strumento diagnostico per l’analisi SWOT delle persone

disoccupate.

Profiling come strumento per la segmentazione dell’utenza e la successiva

determinazione dell’assistenza individuale (associazione fra obiettivi e scopi e tipo di

assistenza).

Profiling come strumento per l’allocazione delle risorse.

A partire dall’analisi delle alternative di servizio che i Servizi sono chiamati ad offrire,

emerge chiaramente come manchi una procedura comune per la profilazione degli

utenti, profilazione che viene quindi per lo più lasciata alla discrezionalità

dell’operatore il quale, nella fase di accoglienza e di definizione del Piano di Azione

74

Individuale, progetta il percorso di attivazione in relazione alle caratteristiche rilevate

nella Scheda Anagrafica e Professionale dell’utente.

Il momento di ingresso di una procedura di profiling statistico, condiviso a livello

nazionale nel sistema dei PES italiani, è segnato dall’introduzione del programma

Garanzia Giovani, programma nazionale gestito dalle regioni, che fa del profiling il core-

process dell’intero sistema.

Il sistema di profiling introdotto dalla Garanzia Giovani può essere ricondotto ad un

modello statistico-predittivo che individua un coefficiente di rischio dell’utente emerso

dall’analisi di dati di natura statistica.

In particolare, tale modello assume che:

La probabilità di ingresso nel mercato del lavoro dei giovani varia rispetto a

determinate caratteristiche individuali e di contesto, quali il territorio, dell'età, del

genere, del livello di istruzione e del nucleo familiare di provenienza.

Esiste un’associazione tra i fattori citati e gli esiti occupazionali dei giovani.

Attraverso l’applicazione di un modello statistico di tipo Logit è possibile analizzare gli

effetti delle variabili chiave ed assegnare ad ogni giovane una probabilità di inserimento

nel mercato del lavoro.

È possibile individuare uno schema di incentivazione personalizzato che tenga conto

della probabilità di inserimento del giovane nel mercato del lavoro.

Il sistema di profiling adottato nell’ambito della Garanzia Giovani assume quindi un

modello statistico-predittivo per bilanciare e definire l’investimento da destinare

all’utente, diversificato sulla base del suo livello di svantaggio desunto a partire da una

serie di dati.

Tali dati vengono raggruppati sulla base di due diversi livelli: un primo livello composto

da indicatori individuali e un secondo livello composto da indicatori territoriali,

regionali e provinciali.

In particolare, gli indicatori individuali prendono in esame l’età, il genere, il limite

temporale di presenza in Italia, il titolo di studio, la condizione occupazionale un anno

prima e le competenze linguistiche, gli indicatori territoriali invece sono riferiti alla

specifica regione o provincia ove ha sede il servizio che ha preso in carico il giovane e

75

comprendono il tasso di disoccupazione dei giovani dai 15 ai 29 anni a livello

provinciale, il rischio di povertà familiare sulla base dei redditi e la densità

imprenditoriale a livello regionale.

Per quanto riguarda la scansione del processo, il profiling inizia tramite la compilazione

della Scheda Anagrafico Professionale nel momento subito successivo alla formale

presa in carico del giovane, ovvero una volta completata l’iscrizione e assegnato il CPI

di riferimento. Nel momento in cui i dati sono stati trasmessi al portale del Ministero

per l’assegnazione dei coefficienti di svantaggio, viene calcolato l’indice individuale che

funge da punteggio, riportato poi nel sistema informativo regionale.

5.2 L’employability Assessment System e il costrutto di occupabilità di Smart Job

Il progetto Smart Job ha declinato il tema del profiling non secondo un modello

statistico predittivo ma secondo un modello di Employability Assessment System.

Questo si configura come un processo di valutazione del livello di occupabilità

dell’utente finalizzato a ridurre l’errore insito in tale processo tramite l’utilizzo di più

tecniche valutative applicate in integrazione fra loro.

L’articolazione di tale metodologia si caratterizza quindi come peculiarità

dell’Employability Assessment System, in grado di realizzare un confronto basato su

diverse valutazioni (auto e/o etero attribuite) e integrando queste alla luce di dati di

natura anagrafica ed esperienziale. La procedura permette di giungere ad un quadro

chiaro del livello di occupabilità dell’utente, in grado di racchiudere in sé dati

riguardanti aspetti diversi della persona, raccolti e sistematizzati a partire da dati

provenienti da diverse fonti, rappresentando un esaustivo profilo multidimensionale

sulla base del quale delineare un possibile intervento. Considerata la centralità del

concetto di occupabilità nelle fasi di articolazione dell’Employability Assessment

System e alla luce della moltitudine di definizioni reperibili in letteratura, si rende

fondamentale fornire una chiara definizione di ciò che viene qui inteso con l’utilizzo di

tale termine in quanto ciò costituirà il criterio di base rispetto al quale gli utenti si

troveranno ad essere valutati.

76

Il costrutto di occupabilità ha acquisito negli ultimi anni sempre maggiore centralità

quale caratteristica in grado di qualificare le persone più spendibili nel mercato del

lavoro nonché le più ricercate dalle organizzazioni. Ciò è dovuto principalmente al fatto

che un alto grado di occupabilità nei lavoratori appare in grado sia di rispondere ai

bisogni di flessibilità delle organizzazioni sia di permettere agli stessi di far fronte in

modo efficace ai rapidi cambiamenti richiesti oggi dal mercato del lavoro. Tali

constatazioni si accompagnano inoltre al modo in cui si differenziano oggi i percorsi di

carriera individuali, ovvero come caratterizzati dal fatto di essere “boundaryless”, cioè

slegati da confini occupazionali o organizzativi e da prevedibili sviluppi di carriera

verticali. Posto quindi che le carriere lavorative sono fondamentalmente meno

prevedibili rispetto al passato, alcuni approcci individuano nella diagnosi delle

competenze del lavoratore, la misura del suo livello di occupabilità, rappresentando

questo un punto cruciale da cui partire per sviluppare poi ogni progetto di politica

attiva.

Tali approcci, definiti come competence-based, circoscrivono la misura

dell’occupabilità come azione volta da una parte all’accertamento delle competenze di

cui risulta già in possesso il lavoratore, dall’altra come la rilevazione dei suoi bisogni,

connessi con lo sviluppo della sua personale carriera.

Da tali approcci competence-based si distinguono gli approcci person-centered,

secondo i quali l’occupabilità di un individuo può definirsi come un insieme di costrutti

centrati sulla persona, i quali si combinano sinergicamente per favorire i lavoratori

nell’adattarsi alla miriade di cambiamenti collegati al lavoro che occorrono nelle

economie attuali. L’occupabilità può allora definirsi come un costrutto psico-sociale che

comprende caratteristiche individuali in grado di favorire comportamenti e stili

cognitivo-affettivi adattivi, i quali assecondano una migliore connessione fra individuo

e lavoro. In tale prospettiva gli approcci competence-based e person-centred

convergono nel concetto di employability.

Nel modello di Employability Assessment System elaborato nell’ambito del progetto

Smart Job sono state elaborate le molteplici dimensioni del concetto di Occupabilità al

fine di costruire un unico indice ottenibile grazie ad un algoritmo, mediante la

somministrazione di strumenti diversi, ognuno di essi deputato alla misurazione delle

sotto-dimensioni di cui il costrutto di occupabilità si compone, nonché concorrente

nella determinazione dell’indice finale di occupabilità.

77

La scelta effettuata in riferimento alla possibilità di profilazione degli utenti all’interno

del progetto Smart Job, viene allora in questo modo a definirsi come caratterizzata dalla

volontà di prescindere da una mera registrazione di dati anagrafici per riuscire piuttosto

a cogliere aspetti diversi della persona e ad integrarli per giungere ad una visione più

“olistica” che si traduce nell’indicazione finale, attraverso un indice, del livello di

occupabilità dell’utente.

5.3 Il processo di Employability Assessment32

Il processo di valutazione dell’occupabilità prevede l’attuazione di alcune fasi che

comprendono una serie di sotto-processi, volti a delineare un processo funzionale

all’ottica di ottimizzazione delle risorse coinvolte e al soddisfacimento degli interessi

dei diversi stakeholder. Ogni sotto-processo mira ad ottenere dati affidabili di natura

quali-quantitativa grazie all’utilizzo di diversi strumenti. Tali dati verranno poi

rielaborati all’interno di un algoritmo appositamente messo a punto, in modo tale da

rendere possibile l’ottenimento di uno scoring e di soddisfare le esigenze di scientificità,

trasparenza e correttezza nei confronti di tutti i partecipanti coinvolti. In particolare, le

quattro fasi del processo, che seguono alla fase di candidatura ovvero di invio della

domanda di partecipazione da parte degli utenti, vengono a delinearsi come di seguito:

1. Colloquio di analisi dell'occupabilità

2. Profiling di secondo livello ai fini della definizione del piano d’intervento

3. Erogazione del servizio

4. Monitoraggio e valutazione

Ognuna delle fasi si caratterizza per il forte orientamento verso dati di natura oggettiva

e in parte quantitativa, in modo tale da garantire carattere di scientificità oltre che di

correttezza nei confronti di tutti i candidati e degli utenti coinvolti nel progetto.

32 Il materiale a supporto del presente a capitolo per ulteriori approfondimenti è:

Employability Assessment System – (WP2 - WP5)

Scheda di dell’occupabilità arte 1 – 2 – 3 ed documenti a supporto della profilazione e relative guida alla

compilazione (WP5)

78

79

Fase 1 – Colloquio di analisi dell'occupabilità

SAP - Scheda Anagrafico Professionale per la selezione - OPERATORE- ONLINE

Intervista semi-strutturata per la selezione - OPERATORE - ONLINE

Fase 3 – Erogazione servizio

Scheda di analisi L&S – parte 2: Scheda a supporto del tutor - OPERATORE - CARTACEO

Il questionario di occupabilità (Self-employability Questionnaire) - UTENTE- CARTACEO

Privacy e ricevuta di consegna - UTENTE- CARTACEO

Fase 4 – Monitoraggio e Valutazione

Scheda di analisi L&S –Scheda conclusiva a cura del tutor

Scheda di rilevazione della soddisfazione - UTENTE- ONLINE

- OPERATORE - CARTACEO

SCORING

SIGLATURA

ATTUAZIONE DEL PATTO

D’INTERVENTO

Fase 2 – Profiling di secondo livello ai fini della definizione del piano d’intervento

SAP - Scheda Anagrafico Professionale per la Definizione –

ISS - Intervista semi-strutturata

OPERATORE - ONLINE

80

Fase 1 - Colloquio di analisi dell'occupabilità

La fase 1 consiste nel colloquio di analisi dell’occupabilità e mira ad acquisire

informazioni sull’utente sia sotto il profilo più strettamente anagrafico, completando la

prima parte della SAP, sia in riferimento alle competenze trasversali, tramite la prima

parte dell’intervista semi-strutturata.

Il tempo stimato per la conclusione della fase di selezione è di 60-90 minuti.

SAP - Scheda Anagrafico Professionale

Ad integrazione dei dati informativi/anagrafici, verrà completata la SAP – scheda

anagrafico professionale, in alcune parti. Tale scheda, contiene i dati relativi alle

esperienze formative e lavorative del soggetto in cerca di occupazione, alla sua effettiva

disponibilità ed alla certificazione delle sue competenze professionali. Essa è suddivisa

in 6 diverse sezioni e permette dunque di rilevare i dati della persona sia in riferimento

agli aspetti anagrafico/amministrativi, sia in riferimento alle esperienze di lavoro, alle

informazioni curriculari utili all’incontro domanda/offerta e agli interventi di Politiche

Attive. Durante questa fase del processo è prevista la compilazione delle sezioni della

scheda ritenute più significative al fine di calcolare un primo indice in grado di fungere

da parametro per ottenere un primo scoring dei candidati.

Intervista semi-strutturata

A conclusione della prima fase è previsto un colloquio con l’operatore, durante il quale

sarà possibile ottenere una valutazione del candidato grazie alla traccia di una intervista

semi-strutturata che indaga alcune specifiche abilità riferite al grado di occupabilità

dell’utente (Rasul, Ismail et al. 2010). Tale intervista sarà realizzata solo in parte, in

quanto si è reputato utile suddividere la sua somministrazione in parti diverse a

seconda della fase del processo. In questa fase di selezione, in particolare, verranno

indagati gli aspetti del candidato che fanno riferimento alle sue basic skills, thinking

skills, resource skills, system & technology skills, per un totale di 13 caratteristiche,

indagate attraverso 13 domande, riferite a 4 caratteristiche generali. Tali abilità sono

state ritenute in grado di rappresentare una prima importante fonte in grado di

selezionare i candidati con un indice di occupabilità più elevato. La raccolta dei dati,

ottenuti dalle diverse fonti sopracitate, permette di calcolare un indice in grado di

fungere da punteggio.

81

Fase 2 – Profiling di secondo livello ai fini della definizione del piano d’intervento

La seconda fase è stata pensata come mezzo per ampliare la base dati riferita ai

candidati, in modo tale da ottenere informazioni ulteriori e più specifiche relative al

profiling, cosicché si renda possibile effettuare un migliore match fra candidato e grado

di strutturazione del percorso che risulta più in linea con le caratteristiche proprie

dell’utente.

Il tempo stimato per la conclusione della fase di definizione dell’intervento è di 30

minuti.

SAP – Scheda Anagrafico Professionale per la definizione

La fase è caratterizzata dall’integrazione, da parte degli operatori, delle informazioni

già ottenute nella prima parte della SAP, tramite il completamento delle sezioni non

compilate nella precedente fase.

Intervista semi-strutturata per la definizione

La fase che si configura come definizione del progetto si conclude con la seconda parte

dell’intervista semi-strutturata, la quale va ad indagare le competenze dell’utente che

fanno riferimento alle informational skills, interpersonal skills, e personal

qualities/values, per un totale di 7 domande riferite, a 7 caratteristiche, attinenti a 3

caratteristiche generali.

Fase 3 – Erogazione servizio

La terza fase dell’employability assessment prevede la stampa della scheda di

intervento dedicata all’utente, la scheda di analisi L&S e la compilazione in modalità

self report da parte dell’utente di un questionario di autovalutazione che mira ad

indagare il livello di occupabilità dell’utente sulla base dei punteggi ottenuti in

riferimento a diversi indicatori, attinenti al modo di approcciarsi ed affrontare le

esperienze professionali. Il tempo stimato per la conclusione del patto di intervento è

di 1 ora.

Scheda di analisi L&S –Scheda a supporto del tutor

82

Questa parte della scheda è finalizzata a supportare e tracciare l’azione del tutor unico

che è chiamato a mettere in campo tutte le azioni utili e necessarie per

l’inserimento/reinserimento lavorativo dei/lle beneficiari/e. Ogni sezione prevede la

possibilità di declinare alcuni indicatori di occupabilità secondo una graduata numerica

da compilare in entrata ed in uscita dai percorsi; ciò con l’obiettivo di favorire processi

di valutazione su alcuni importanti risultati normalmente prodotti dall’azione di

tutorato, ma normalmente difficili da cogliere. Si divide nelle seguenti sezioni:

Sez. 2.1, 2.2, 2.3, 2.4 facoltative (Sono utili per approfondire vincoli e risorse della sfera

sanitaria, abitativa, culturale, relazionale del soggetto. Nel caso di soggetti inviati da

servizi socio sanitari locali se ne prevede la compilazione direttamente a cura

dell’assistente sociale, in stretta collaborazione con lo stesso o dopo aver raccolto tutte

le informazioni necessarie a prevenire forme di insuccesso nell’azione proposta).

Sez. 2.5: Motivazioni, atteggiamenti, rappresentazioni (Sono informazioni utili a

rilevare l’atteggiamento del soggetto nei confronti delle richieste del mondo del lavoro

e del servizio proposto);

Sez. 2.6: Aderenza alla realtà (Sono informazioni utili a rilevare il livello di

consapevolezza e la capacità di autovalutazione del soggetto rispetto alle proprie

competenze/risorse e alla loro spendibilità nel mercato del lavoro tramite percorsi

fattibili).

Sez. 2.7: Flessibilità (Sono informazioni utili a rilevare la capacità del soggetto di

adattarsi positivamente a regole e dinamiche richieste dal mercato del lavoro e dal

sistema impresa).

Sez. 2.8: Autonomia (Sono informazioni utili a rilevare la capacità del soggetto di

attivarsi autonomamente nella raccolta di informazioni utili a chiarire e realizzare, un

progetto professionale).

Sez. 2.9: Variabili relazionali tutorato (Sono informazioni utili a rilevare caratteristiche

della persona ed elementi della sua comunicazione verbale/non verbale che possono

facilitare o meno l’accesso al lavoro o ad alcune tipologie di lavori).

Sez. 2.10 Note relative al percorso da attivare (Sono informazioni utili a sintetizzare

l’esito dell’analisi operata dal tutor e avviare il percorso più coerente con gli obiettivi di

inserimento/reinserimento lavorativo della persona).

83

Il questionario di occupabilità SEQ (Self-employability Questionnaire)

Il questionario di occupabilità si presenta come uno strumento di self assessment che

permette di indagare le percezioni dell’utente in riferimento a 4 dimensioni attinenti

alla propria esperienza professionale.

Tale strumento si compone di 38 item che indagano complessivamente 4 macro aree

e, in particolare:

Le competenze occupazionali dell’utente.

Il modo di rapportarsi nei confronti del cambiamento e, nello specifico, le attitudini

dell’utente nei confronti dell’anticipazione del cambiamento e della sua ottimizzazione.

La flessibilità personale.

La ricerca del work-life balance ovvero la capacità di conciliare tempi di vita e tempo di

lavoro in modo soddisfacente.

L’utente si troverà quindi ad esprimere il proprio grado di accordo rispetto agli item

proposti su una scala Likert a 6 punti, dove 1 = del tutto falso, 6 = del tutto vero.

Fase 4 - Monitoraggio e Valutazione

Scheda di analisi L&S –Scheda conclusiva a cura del tutor

La scheda conclusiva, a cura del tutor di accompagnamento al lavoro, è finalizzata a

sintetizzare tappe e risultati dell’azione di tutorato. E’ compilata dal tutor che ha

realizzato la presa in carico e si divide in due sezioni:

Sez. 3.1: Biografia del percorso di tutorato con dettaglio di aziende e servizi mobilitati

a supporto dell’inserimento lavorativo del/la beneficiario/a. Obiettivo è rendere visibile

l’operato del servizio.

Sez. 3.2: Esito del percorso di politica attiva in forma di sintetica scheda da restituire

compilata all’eventuale servizio socio sanitario inviante o da utilizzare per valorizzare

le competenze acquisite dal lavoratore a seguito del percorso di politica attiva erogato.

Obiettivo è rendere visibile il risultato ottenuto dal servizio e gli eventuali ostacoli

riscontrati. Essa potrà rappresentare anche strumento che il tutor può utilizzare per la

84

fase di scouting, contatto con Agenzie per il Lavoro e di placement per la promozione

lavorativa del/la candidato/a.

Scheda di rilevazione della soddisfazione

La scheda conclusiva, a cura dell’utente ed è finalizzata a rilevare il livello di

soddisfazione rispetto alle azioni di ricerca.

5.4 Employability Assessment System fra Modellizzazione e Sperimentazione Il processo che si è sviluppato a partire dalla fase di modellizzazione e pensato per

attuarsi fino alla sua sperimentazione è stato fondamentalmente considerato alla luce

di un principio di continuità che potesse assumere al suo interno una visione unitaria

in riferimento alla presa in carico della persona, attraverso fasi diverse ma

consequenziali.

Come più sopra riportato, il core value dell’Employability Assessment System è

identificabile con l’indice finale di occupabilità, (Employability Index), il quale è in grado

di sintetizzare una procedura di profiling dell’utente che tiene conto non solo dei suoi

dati anagrafici ed esperienziali, bensì anche di una valutazione delle sue soft skills

mediata dall’operatore e ponderata sulla base di pesi predeterminati, al fine ultimo di

graduare le policy da adottare a livello di sistema per ciascun utente.

A tali aspetti centrali, si uniscono le opportunità derivanti dalla possibilità di ottimizzare

le tempistiche di raccolta dati e la loro elaborazione immediata grazie all’utilizzo del

supporto informatico, la caratteristica di standardizzazione del processo e la sua forte

oggettivazione, proprietà queste che sono alla base dell’utilizzo di un algoritmo, in cui

vengono elaborati i dati provenienti da fonti fra loro diverse, quindi in grado di

bilanciare eventuali fonti d’errore.

Oltre a ciò, la strutturazione dell’algoritmo permette una ponderazione dei coefficienti,

associati ai molteplici aspetti considerati nella fase di profiling così come qui intesa,

ovvero alla luce di un profilazione dell’utente entro il framework dell’employability

(Forrier and Sels 2003), in modo tale da adattarli sulla base dei dati correnti.

85

Diventa allora centrale la questione di validità dello strumento, il quale deve

necessariamente prevedere, per il suo utilizzo ottimale, un costante collegamento ai

valori di riferimento registrati su una popolazione di standardizzazione, in modo tale da

poter disporre di una sorta di norme, ovvero indici di riferimento rispetto ai quali

riferire il punteggio ottenuto dal singolo.

Proprio per questi motivi, si è pensato, alla fase attuale, di inserire lo strumento a

selezione già iniziata, pur tenendo presente che la finalità dello strumento è quella di

fornire in ultima analisi una graduatoria per livello di occupabilità degli utenti, sulla base

della quale suddividere i partecipanti ai percorsi di politica attiva e da cui partire per i

processi selettivi successivi.

Un ulteriore livello di analisi, utile per testare indirettamente la validità dello

strumento, è identificabile nell’analisi del grado di discrepanza fra i sistemi attualmente

in uso per la gestione delle selezioni nei percorsi di politica attiva e l’utilizzo

dell’Employability Assessment System, ovvero, in altre parole, andando a calcolare le

correlazioni fra i risultati ottenuti tramite le misure storicamente in uso per il profiling

e i risultati dell’Employability Assessment System, associati al miglior esito di processo.

86

6– ACCREDITAMENTO JOB CENTER PRIVATI: servizi e professionalità

6.1 Un nuovo accreditamento

Dal confronto con i progetti di modellizzazione sviluppati negli altri territori sono

emersi alcuni aspetti di metodo che necessitano una scelta strategica definitiva per

poter sviluppare un sistema di politiche attive stabili nel tempo, che permetta ai

soggetti privati di operare in un mercato dove il rapporto rischio/profitto sia

quantificabile e sostenibile. Alla Regione sono state presentate le seguenti

opportunità/alternative 33 relative al modello:

- Job center inteso come singola struttura di erogazione di servizi vs rete di

soggetti vs rete di strutture (anche dello stesso soggetto)

- Job center (pubblico-privato accreditato) vs centro per l’impiego (pubblico) vs

agenzia del lavoro (privato autorizzato)

- Accreditamento ‘ordinario’ vs accreditamento ‘evoluto’

- Inclusione sociale – Agenzia Sociale/Patti territoriali

- Valutazione (e remunerazione del servizio) del processo vs valutazione basata sul

risultato

- Finanziamenti a progetto vs servizi

- Bandi di gara per micro-interventi vs affidamenti per macro-interventi

pluriennali

- Profilazione degli utenti in esito a procedura informatizzata vs in esito a

valutazione operatore

- Case manager ‘trasversale’ ai servizi vs accompagnamento per ciascuno specifico

servizio.

33 Comitato di sorveglianza del 30 giugno 2015.

87

Come disegnato da questa modellizzazione ed illustrato nella figura iniziale (pag. 25) i

Job Center Privati (JCP) si configurano come agenti strategici del sistema.

I JCP potrebbero infatti:

-aumentare la “capacità di carico” dell’intero sistema profilando gli utenti a cui i CPI

non riusciranno a dare risposta;

-aumentare la capillarità dei servizi in una logica di concorrenza/opportunità tra

opertori pubblici e privati.

- incanalare i soggetti svantaggiati nell’alveo dell’Agenzia Sociale per la definizione di

specifici PAI con una gamma di servizi più ampi in sinergia con i servizi

socio/assistenziali del territorio;

- gestire direttamente la presa in carico e i PAI dei soggetti disoccupati, tramite i

finanziamenti “ordinari” previsti dalla Ministero e/o dalla Regione Veneto.

Ne consegue, secondo la nostra impostazione, che i JCP sono reti di soggetti e

strutture private (anche dello stesso soggetto) in grado di soddisfare un

accreditamento ‘evoluto’, che collaborano costantemente e formalmente con i CPI

pubblici e con l’Agenzia Sociale (per la gestione dei soggetti svantaggiati per politiche

di inclusione socio/lavorativa).

Il JCP svolge il ruolo del Case manager per gli utenti che ha preso in carico (i soggetti

svantaggiati sono invece presi in carico dall’Agenzia Sociale) lungo tutta la filiera dei

servizi erogati dalla rete.

Da qui deriva la necessità di uno specifico accreditamento, di livello superiore, che

dovrebbe configurare i Job Center Privati come capofila di una rete di soggetti

accreditati (orientamento, formazione, lavoro) in grado di fornire la gamma completa

dei servizi.

L’approfondimento “Job center e competenze operatori” (WP9), in allegato e a cui si

rimanda, prevede una serie di servizi e di competenze degli operatori necessari per

garantire la qualità dell’offerta. Inoltre i questi servizi dovrebbero essere erogati in

funzione di specifici target: disagio sociale (donne con problematiche di conciliazione,

over 50, giovani in situazione di emarginazione sociale, ecc.) – Disabili – Stranieri, ecc.

88

L’attività diretta deve essere supportata da ulteriori fondamentali professionalità: ogni

JCP deve infatti poter contare su personale dotato di ampie competenze commerciali,

di marketing, amministrative e giuridiche.

L’accreditamento dovrebbe prevedere prescrizioni affinché il JCP coprano territori

ampi (pluriprovinciale) e abbiano una diffusione capillare (per servire anche zone

marginali).

Tutti questi fattori dovrebbero trovare nel nuovo accreditamento una sintesi che

costruisca il modello veneto di politiche attive del lavoro, imperniato sulla metodologia

del case management, supportato da

- un predefinito e condiviso sistema di monitoraggio e controllo (risultati, qualità

del processo, soddisfazione dell’utente)

- sistema informativo e banche dati

- repertorio standard professionali e formativi

- sistemi di validazione e certificazione

- sistema di qualificazione e sviluppo professionale degli operatori

- sistema di informatico “frendly”

6.2 Servizi e premialità34

Il nuovo modello si impernia sulla

- Centralità dell’individuo,

- rete di operatori pubblici e privati accreditati

- Sistemi di monitoraggio, valutazione dei servizi e rating

e deve

34 I nostri partner, le agenzie per il lavoro Manpower e Umana, portando il punto di vista di operatori del mercato orientati al business e

alla soddisfazione completa delle proprie aziende clienti, hanno sviluppato questa tematica come elemento fondamentale di un nuovo

modello/sistema di politiche attive del lavoro. In allegato gli elaborati “Premialità - contributo della APL” (WP10) che sviluppano

ulteriormente i concetti qui riportati.

89

- Assicurare una politica sempre aperta e disponibile per il cittadino

- Assicurare servizi personalizzati (profilazione)

- Assicurare servizi erogati nel rispetto di standard definiti dalla PA

- Garantire una semplificazione amministrativa

- Orientare gli operatori al risultato

- Garantire alla politica maggiore potere decisionale uscendo dalla logica dei

progetti

Affinché questi soggetti privati possano operare efficacemente e efficientemente è

quindi necessario passare ad un sistema di erogazione a servizio, ordinari e accessibili

ai beneficiari.

Gli attuali micro-progetti dovrebbero trovare spazio per particolari e sperimentali

azioni su specifici territori e/o realtà economiche.

Le Macro -progettazioni pluriennali potrebbero invece essere utilizzate per gli

interventi di inclusione sociale, così da poter strutturare interventi multidisciplinari con

pluralità di finanziatori, che si integrino con i servizi ordinari di politica attiva.

Presupposto su cui incardinare il sistema è la profilazione degli utenti, intesa come mix

tra procedura informatizzata e valutazione dell’operatore, che ne definisca il grado

di occupabilità35. In funzione dell’occupabilità emersa è necessario prevedere sistemi

di remunerazione dei Job Center Privati che siano mix di processo e risultato:

maggiore è l’occupabilità, maggiore è la parte di remunerazione a risultato. Il mix

dovrebbe attestarsi in un range che tra il 30% e il 70%, evitarndo estremizzazioni delle

formule di incentivo.

35 In tal senso è preferibile partire da una profilazione “limitata” come quella prevista da Garanzia Giovani estendendola

anche agli over 30, per poi approfondire e migliorare progressivamente lo strumento di profilazione. Fin da subito infatti è

necessario imperniare il sistema su un processo di erogazione in linea con gli standard europei (e in questo caso l’ottimo

sarebbe davvero nemico del bene).

90

Un riconoscimento completamente a risultato, porterebbe rapidamente ad effetti di

creaming e si tradurrebbe di fatto in un “cofinanziamento” a processi di inserimento

lavorativo che si svolgerebbero naturalmente, anche senza incentivi.

Allo stesso tempo, per i soggetti più svantaggiati, è necessario introdurre incentivi

economici a risulto per non appiattire i servizi ad un mera “erogazione di ore”, fine a se

stesse.

La premialità permette alla concorrenza di dispiegarsi in un mercato comunque

regolato e fondato sulla collaborazione pubblico/privato o tra privati, portando così

maggiori benefici sia alle aziende che agli utenti36.

A tal proposito aziende e utenti devono essere adeguatamente informati tramite

ampia pubblicizzazione degli esiti di monitoraggio. Progressivamente i beneficiari si

rivolgeranno agli enti più capaci di leggere il mercato e di intercettare le loro specifiche

esigenze.

L’inserimento nel modello di processi competitivi/collaborativi e della premialità

risolverà, nel medio termine, anche la questione della rilevazione dei fabbisogni

occupazionali e/o formativi e della condivisione delle vacancies (bene troppo prezioso

per le agenzie privato per rendere obbligatoria la loro condivisione pubblica). Le risorse

si riverseranno su quegli attori in grado di operare al meglio sul mercato, leggendone i

bisogni in profondità.

Infine affinché il modello possa “girare” è necessario l’“olio motore” di una di

infrastruttura amministrativa adeguata e semplificata.

Di seguito alcuni elementi di miglioramento:

• previsione di un Atto di Adesione unico sottoscritto da tutti gli operatori

accreditati che intendono erogare servizi;

• definizione di servizi standard, completi di modalità di esecuzione, qualità

richiesta, output previsti (in tal senso si supera la necessità di valutare progetti);

36 In tal senso di enorme interesse il modello sperimentato in Regione Lombardia, dove ad ogni operatore è affidato un

budget che periodicamente è aggiornato, in alto quanto in basso, in funzione dei risultati ottenuti. Il sistema permette allo

stesso tempo: programmazione sia per il pubblico finanziatore che per il privato esecutore, controllo del finanziamento,

sviluppo della concorrenza/collaborazione tra enti. Allo stesso tempo il meccanismo ha bisogno di alcuni correttivi

(adeguata profilazione e definizione dei correlate remunerazioni a processo e/o a risultato) per evitare effetti di creaming

e/o illegittimo cofinanziamento di processi economici/occupazionali, che si sarebbero verificati comunque anche in assenza

di incentivo/politica attiva.

91

definizione di un “patto di servizio” tra operatore e cittadino, che definisce i

diversi servizi da erogare e la loro durata con i reciproci diritti e doveri e

sanzioni;

• identificazione caratteristiche dei destinatari e delle relative “fasce di aiuto”

(profilazione)37;

• utilizzo di costi standard38, riferiti ai diversi servizi, rimborsati alcuni a processo

(in riferimento a costo ora/persona) e altri a risultato coerentemente con il

Regolamento (CE) 396/2009;

• richiesta di finanziamento del patto di servizio alla Regione e accettazione sulla

base di verifica automatica da parte del sistema informativo dei requisiti

formali;

• accesso ai servizi “a sportello” regolata da un budget massimo assegnato a

ciascun operatore;

• rendicontazione periodica delle attività realizzate o dei risultati ottenuti

dall’operatore riferita ai patti di servizio realizzati nel periodo.

37 Giustamente gli opertori privati nel loro calcolo rischio/beneficio hanno la necessità di conoscere gli elementi usati nella

processo di profilazione e che determinano il grado di occupabilità. Solo così possono essere messi in condizioni di fare le

opportune valutazione e definire le proprie strategie commerciali, cosà che non è avvenuta in Garanzia Giovani dove queste

informazioni non erano a disposizione. 38 La definizione di un “costo standard” deve poi trovare corrispondenza in una reale semplificazione amministrativa e

contabili e non semplicemente in una cambio di denominazione, che ha mantenuto molti degli adempimenti dei “costi reali”.

Il passaggio ai sistemi a voucher (“a dote”), riconoscendo nel disoccupato il beneficiario, potrebbero permettere di superare

le restanti complessità. La definizione del costo potrebbe essere raggiunta tramite l’analisi dei costi di mercato, raccogliendo

e comparando i dati fisici e finanziari dei servizi storici e di mercato (costi diretti e indiretti, durata minima, media e massima

di erogazione, figure impiegate…) in un confronto collaborativo con gli enti accreditati.

92

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ALLEGATI

1 ) Analisi dello stato dell’arte dei servizi del lavoro a Verona e provincia (WP1)

2) Employability Assessment System – (WP2 - WP5)

3) “Tracking cittadino” (WP 7)

4) Patto territoriale persone svantaggiate (WP 3 -11)

5) Modalità di gestione delle relazioni con l’Agenzia sociale (WP 3 -11)

6)Tabella RAFFRONTO EAS – IDO” (WP6)

7) Implementazione IDO - cruscotto di controllo(WP6)

8) Scheda di analisi dell’occupabilità parte 1 – 2 – 3, documenti a supporto della

profilazione e relative guida alla compilazione (WP5)

9) Job center e competenze operatori (WP9)

10) TRAL (WP 7)

11) Premialità - contributo delle APL 1 e 2 (WP10)

12) Schema risorse-strumenti (WP7)

13) Questionari di gradimento (WP8)