Il Milione: resoconto di un veneziano in partibus Orientis
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Universiteit Gent Faculteit Letteren en Wijsbegeerte
Il Milione:
resoconto di un veneziano in partibus Orientis
Promotor: Prof. Dr. Sabine Verhulst
Sofie Van Cleemput Master in de Taal- en Letterkunde: Italiaans-Frans Academiejaar 2009-2010
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INDICE
INDICE - 2 -
1. INTRODUZIONE - 4 -
2. ABBOZZO SOCIO-CULTURALE E VISIONE DELL’ORIENTE - 7 -
2.1 IL CLIMA SOCIO-CULTURALE - 8 -
2.1.1 LA NUOVA BORGHESIA MERCANTILE - 8 -
2.1.2 UNA DOPPIA MENTALITÀ OCCIDENTALE - 10 -
2.2 LA RAPPRESENTAZIONE DEL MONDO ORIENTALE - 11 -
2.2.1 L’ORIENTE NELLE CARTE GEOGRAFICHE - 11 -
2.2.2 L’AUTORITÀ DELLA TRADIZIONE ENCICLOPEDICA - 13 -
2.2.3 I VIAGGI FATTI DAI MISSIONARI E DAI MERCANTI - 14 -
2.3 CONCLUSIONE - 16 -
3. LA QUESTIONE DEL GENERE - 18 -
3.1 IL MILIONE O LE DIVISAMENT DOU MONDE, OPERA COMPOSITA - 18 -
3.2 IL MILIONE, RESOCONTO DI VIAGGIO? - 19 -
3.2.1 «COME LO GRANDE KANE MANDÒ MARCO, FIGLIUOLO DI MESSER NICCOLÒ, PER SUO MESSAGGIO…» - 19 -
3.2.2 LA LETTERATURA ODEPORICA NELL’EPOCA MEDIEVALE - 20 -
3.2.3 IL MILIONE, ENCICLOPEDIA DEL MONDO ORIENTALE - 22 -
3.3 NARRAZIONE E DESCRIZIONE - 24 -
3.3.1 REGISTRI ANTITETICI - 24 -
3.3.2 LA DESCRIPTIO - 24 -
3.3.3 LE FORME NARRATIVE - 25 -
3.4 CONCLUSIONE - 34 -
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4. CHI HA SCRITTO IL MILIONE? - 35 -
4.1 INTRODUZIONE: LA DOPPIA AUTORIALITÀ - 35 -
4.2 LA FIGURA DI RUSTICHELLO DA PISA - 36 -
4.3 LE MODALITÀ DI COLLABORAZIONE - 39 -
4.3.1 MESCIDANZA E IBRIDISMO, SEGNI DI UNA COLLABORAZIONE DIVERSIFICATA - 39 -
4.3.2 LA VOCE RAMMEMORANTE O GLI APPUNTI SCRITTI? - 41 -
4.3.3 LA «POLIVOCITÀ DELL’ENUNCIAZIONE» - 44 -
4.4 LA TRADIZIONE POLIANA: IL MILIONE NEI SUOI NUMEROSI VARIANTI - 46 -
5. MARCO POLO E IL CONFRONTO CON ‘L’ALTRO’ - 48 -
5.1 INTRODUZIONE: CULTURE A CONFRONTO - 48 -
5.2 MARCO POLO E L’ESOTICO - 49 -
5.3 LO SGUARDO CON GLI OCCHI DELLA CULTURA - 51 -
5.4 «UNA RETORICA DELL’ALTERITÀ» - 54 -
5.5 MARCO POLO E L’IMAGOLOGIA DELL’ASIA - 60 -
6. CONCLUSIONE - 65 -
7. BIBLIOGRAFIA - 70 -
FONTI PRIMARIE - 70 -
FONTI SECONDARIE - 70 -
ARTICOLI E SAGGI - 70 -
LIBRI - 73 -
SITI - 74 -
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1. INTRODUZIONE
1271. Si avvia l’avventura famosa del viaggiatore duecentesco Marco Polo. Il veneziano, nato
in una famiglia mercantile, si dirige verso l’Oriente in seguito al padre e allo zio. Ci rimarrà
per diciassette anni, scoprendo nuovi paesi, incontrando popoli stranieri, e svolgendo
missioni diplomatiche all’incarico del gran sovrano mongolo Kublai Khan. Una vicenda del
tutto straordinaria nell’Europa medievale, ampiamente descritta e commentata nell’opera
intitolata, a secondo della tradizione manoscritta, le Divisament dou monde o il Milione, il
frutto di una collaborazione tra il viaggiatore Polo e il romanziere Rustichello da Pisa, nato in
circostanze ancor più eccezionali in carcere a Genova.
Il tema del viaggio, come anche l’esplorazione dello sconosciuto, hanno incuriosito per secoli
e continuano tuttora ad affascinare le menti più diverse. Perciò, l’opera di Marco Polo,
sfruttando questi temi allettanti, è considerata senza dubbio come il ‘libro di viaggio’1 più
celebre del Medioevo. Un’opera enigmatica che provoca tanti punti d’interrogazione.
Rimangono molte lacune sulla vita del mercante veneziano, nonché sulla figura ancor più
sfuggente di Rustichello da Pisa, coautore del Divisament. Nel libro stesso si intrecciano tanti
contenuti e stili divergenti, creando una struttura composita in cui è difficile decifrare le
intenzioni e le finalità dell’autore. Sfortunatamente, la fine del Milione è brusca, avvolgendo
ancor più di fascino e di mistero questa opera singolare.
In questa tesi, mi incentro su alcune questioni nevralgiche concernenti il libro poliano.
Pongono la critica di fronte a problemi cui è difficile fornire una soluzione univoca e
indiscutibile. Tenendo conto della varietà di opinioni, cercherò di comporre un quadro
onnirappresentativo che approfondisce ognuna delle tematiche discusse dagli studiosi.
1 di Si nota che la nozione ‘libro di viaggio’ copre un insieme vasto di generi letterari. La denominazione di ‘libro di viaggio’ nel caso del Milione sarebbe troppo generalizzante. Al soggetto, si vede il capitolo 3: «La questione del genere».
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In prima istanza, mi soffermo sulle circostanze socio-culturali nel Duecento italiano,
cercandovi i principali elementi che permettono di contestualizzare il Milione e di spiegare il
modo in cui viene raffigurata la realtà orientale. Poi esamino la questione del genere. Come
sostengono le ricerche, è impossibile conferire al resoconto poliano uno statuto letterario
ben preciso. Indago il perché di questa disomogeneità elencando l’insieme di forme presenti
nel libro, tracciando le loro caratteristiche e indicando le fonti possibili. Legata all’instabilità
testuale è anche la terza questione che tratta il problema dell’autorialità. Al Milione
collaborano due autori con sfondi socio-culturali diversi. Intendo analizzare questo rapporto
di cooperazione, verificando in quale misura ognuna delle figure abbia contribuito alla
stesura del testo e specificando al contempo la natura degli apporti. Infine, prendo in esame
una delle tematiche forse più incantevoli dell’opera di Marco Polo: il confronto con ‘l’altro’.
Esponente della cultura europea duecentesca, Polo si imbatte in un mondo del tutto diverso
di quello cui è abituato. Questo incontro fra due culture evoca alcune riflessioni sul modo in
cui l’autore raffigura l’alterità orientale. In quale misura è condizionato da pregiudizi
collettivi e da un immaginario tradizionale sul continente del Levante? Quali elementi
determinano il carattere eccezionale della sua rappresentazione? Il ragguaglio di alcuni
contributi critici offrirà i chiarimenti necessari.
I riferimenti testuali
Visto la sua immensa fortuna attraverso i secoli, Il Milione ha conosciuto una complessa
tradizione manoscritta. Alla prima stesura sono subentrate una molteplicità di rielaborazioni
e di traduzioni in varie lingue tra le quali troviamo – oltre i codici franco-italiano, latino,
francese e toscano – delle varianti in veneto, in catalano, in spagnolo, persino nella lingua
tedesca, ecc. La ricostruzione della tradizione poliana costituisce tutt’una problematica a sé
stante della quale si sono occupati molti studiosi.
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Non è la mia intenzione di entrare nei dettagli del complesso di redazioni che in grado
considerevole o meno divergono sia dall’originale sia tra di loro. Un tale incarico mi
porterebbe troppo lontano dal cuore della mia analisi. Però noto che per quel che riguarda le
citazioni o i riferimenti fatti al Milione in questa tesi, faccio maggiormente ricorso al codice
toscana (T), che assieme al codice latino (Z) e il codice franco-italiano (F) costituiscono le
versioni più prossime all’originale perduto 2. Ho fatto questa scelta preferendo citare nella
lingua più vicina all’italiano moderno, il che aumenta l’omogeneità linguistica attraverso la
tesi.
Tuttavia, è necessario enfatizzare la prudenza con cui si deve riferirsi al testo toscano. Come
dice Cesare Segre nella sua introduzione al Milione nelle redazioni toscana e franco-italiana,
«la versione toscana, oltre ad essere spesso imprecisa, oltre ad equivocare nel tradurre dal
francese, abbrevia violentemente il testo, tagliando o riassumendo»3. Perciò, a volte ho
avuto ricorso alla versione scritta in franco-italiano per completare ossia per verificare le mie
affermazioni. Senza effettuare delle indagini concrete, mi sembrava nondimeno rilevante
anche tenere in mente la ricchezza contenutistica del testo latino (Z). In tal modo, credo di
aver sviluppato un discorso che si rifà alla tradizione manoscritta nella varietà delle sue
attestazioni, senza mai perdere di vista il bisogno di coerenza – dove possibile – con la
composizione originale perduta.
2 Si vede SEGRE, C., Introduzione, in POLO, M., Milione/Le divisament dou monde. Il Milione nelle redazioni
toscana e franco-italiana, a cura di RONCHI, G., Milano, i Meridiani, Mondadori, 20055, p. XVI.
3 Ivi, p.XVIII.
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2. ABBOZZO SOCIO-CULTURALE E VISIONE DELL’ORIENTE
Quale immagine dell’Oriente si formano i contemporanei europei dei Polo? Tramite quali
fonti il continente asiatico gli è noto? E in quale misura le evoluzioni sul piano socio-culturale
si ripercuotono sulle conoscenze e sulla visione del mondo orientale? Interconnesse tra di
loro, queste sono le domande centrali in questo capitolo esordiale. Infatti, prima di
procedere ad una analisi approfondita del libro marcopoliano, mi pare utile fornire qualche
delucidazione sullo sfondo culturale del Duecento italiano. Una tale contestualizzazione
consente poi al lettore di giungere ad una migliore comprensione ed interpretazione
dell’opera.
Per trovare delle risposte alle domande suddette, ho fatto il confronto tra i contributi critici
che cercano di ricostruire il clima socio-culturale ai tempi di Marco Polo. Alcuni si incentrano
sulle fonti che stabiliscono il modo in cui viene percepita l’Asia. Perciò li ho riuniti nella parte
«la rappresentazione del mondo orientale». Il punto sul «clima socio-culturale» raggruppa le
voci che descrivono come si sviluppa la vita sociale e culturale durante i secoli XII e XIII,
cercando di rintracciarvi qualche indice delle mentalità e delle attitudini sottostanti.
L’insieme degli apporti evoca il quadro socio-culturale generale in cui si inseriscono le figure
dei Polo e di Rustichello da Pisa, fissando al contempo le modalità secondo cui va
interpretata la composizione del Devisament dou monde, ossia del Milione.
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2.1 Il clima socio-culturale
I critici Corrado Bologna4 o Nunzio Famoso5 approfondiscono le evoluzioni nella società
italiana intorno al Duecento. Esse riecheggiano nel clima culturale e stimolano lo sviluppo,
accanto alla materia tradizionale, di nuovi gusti letterari. Inoltre, gli studi mostrano come lo
sfondo culturale condiziona il modo in cui il pubblico medievale percepisce il mondo. In
concreto, l’attenzione è prestata in prima istanza alla nascita del ceto borghese-mercantile e
alle sue implicazioni sul piano culturale-letterario. Poi segue un’esposizione sulla coesistenza
ai tempi dei Polo di due mentalità per molti aspetti divergenti.
2.1.1 La nuova borghesia mercantile
Corrado Bologna osserva come emerge la nuova classe sociale della borghesia che, con lo
sviluppo dell’economia e della vita comunale nell’Italia centro-settentrionale e nord-
orientale, si afferma predominante. Invece, la società feudale subisce un movimento inverso
e in parallelo alle vicende nell’oltralpe, anche in Italia gradualmente si spegne. Concorda lo
studioso Nunzio famoso che si incentra più specificamente sul ceto della borghesia
mercantile. Infatti, nelle città marinari come Venezia, la moltiplicazione dei rapporti
commerciali genera uno scambio importante non solo di merce, ma anche di conoscenze e
di idee. Il mercante adotta una mentalità propria, sensibile ai valori del denaro e degli affari.
Coltiva il gusto dell’intraprendenza ed un modo di agire più pratico ed utilitaristico.
4 BOLOGNA, C., «La letteratura dell’Italia settentrionale nel Duecento», in ANTONELLI, R., e.a., (a cura di), Letteratura italiana. Storia e geografia, Vol.1, L’età medievale, Torino, Einaudi, 1987; BOLOGNA, C., «La letteratura dell’Italia settentrionale nel Trecento», in cit. 5 FAMOSO, N., «L’uomo errante: “Il Milione” e la sua modernità», in PALAGIANO, C., e.a., (a cura di), L’impresa di
Marco Polo. Cartografia, viaggi, percezione, Roma, Tielle Media editore, 2007, pp. 101-108.
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Del resto, la nascita della civiltà borghese implica la presenza di un nuovo pubblico culturale
con le proprie preferenze ed interessi letterari. Il critico Bologna, analizzando le evoluzioni
letterari in ambito borghese, scopre due tendenze principali. D’una parte, rimangono
popolari le opere più tradizionali dell’epica cavalleresca, scritte per lo più nella lingua franco-
italiana. Però, visto che il ceto mercantile cerca delle letture che riflettono i propri valori e il
proprio modo di vivere, il genere subisce una trasformazione essenziale. In essa si palesano
ora le prospettive ideologiche della civiltà borghese-mercantile. Tra gli esempi più celebri
Bologna cita i rimaneggiamenti del Roman d’Alexandre e le riscritture della materia arturiana
con tra l’altro la Chanson de Roland.
D’altra parte, specie in regione veneta, una nuova forma ‘letteraria’ si sviluppa quale
espressione per eccellenza degli interessi mercantili: il libro di viaggio. I mercanti, incuriositi
durante i loro viaggi commerciali, componevano già documenti di carattere utilitaristico: i
portolani – vi si trovano tutte le informazioni necessarie sulle coste e i porti di un
determinato luogo, le tariffe – inventario dei luoghi di commercio, e le pratiche di
mercatura. Fra il Duecento e il Trecento, continua Bologna, questi libri di stampa puramente
commerciale sembrano avviare una nuova pratica, sempre incoraggiata dalla curiosità e dal
fascino per l’esotico: fra gli oggetti personali che il viaggiatore porta con sé si trova lo
zibaldone:
libro-specchio della cultura del mercante, […] forziere cartaceo colmo di eterogenei,
preziosi materiali derivanti dalle fonti più disparate (libri di viaggio, di mercatura, di
letteratura), la cui crescita si modula proprio secondo la scansione esistenziale, giorno dopo
giorno, fatto e idea dopo fatto e idea, senza criteri letterariamente strutturanti né
ordinamenti espressivi che non siano attribuibili al desiderio di conoscenza e all’ansia di
memoria.6
6 BOLOGNA, C., «La letteratura dell’Italia settentrionale nel Duecento», in cit., p. 182
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Ha ragione il critico, quando accenna che la concezione di letteratura del mercante «apre gli
spazi della modernità»7. Il senso del concreto fa che accanto alle opere d’impronta religiosa
e moralista, il mercante accosta le sue scritture di viaggio e i suoi libri di natura tecnica che
necessita per il lavoro giornaliero. Libri come gli zibaldoni – pure ereditari della letteratura
tradizionale – riflettono quell’accresciuto interesse per il diverso e l’ignoto di cui parla anche
Nunzio Famoso. Sono l’indice, insomma, di una società in transizione che si apre sempre di
più verso gli spazi affascinanti della Terra incognita.
2.1.2 Una doppia mentalità occidentale
Nunzio Famoso analizza le vicende socio-culturali in una prospettiva più ampia. Inserisce la
nuova venuta della classe mercantile entro un quadro onnirappresentativo della cultura
duecentesca, che non solo si caratterizza dai principi dell’economia e del pragmatismo.
Certo, con un entusiasmo uguale a quello di Bologna, lo studioso enfatizza il contributo
decisivo della nuova classe ad un modo di pensare e di osservare che anticipa i tempi
moderni. Tuttavia, nota che persistono certi valori tradizionali di una società in declino che
lascia le sue tracce. Così, si conservano la rigidità sul piano religioso, la forza del pregiudizio e
della superstizione. Il più significativo forse, legato alla sovrastruttura religiosa, è
l’importanza dell’allegoria per cui le cose inafferrabili vengono spiegate tramite un’intera
segnaletica simbolica.
Si costruiscono in tal modo due mentalità culturali. D’una parte, quella marcatamente
‘moderna’ del mercante che favorisce l’osservazione più oggettivo e realistico. Dell’altra, un
modello che mantiene delle forte associazioni al mitico ed al leggendario, espressione di una
mentalità cortese, aggiunge Famoso. Benché derivino di due ambienti profondamente
distinti, i due approcci non si contrastano, ma coesistono in un unico clima culturale che,
invece di eliminare, riadatta certe strutture antiche, creando una concezione duplice del
mondo.
7 BOLOGNA, C., «La letteratura dell’Italia settentrionale nel Duecento», in cit., p. 183.
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2.2 La rappresentazione del mondo orientale
Quale forma adotta la geografia del continente asiatico negli occhi di un occidentale
nell’Europa medievale? È interessante percorrere al riguardo i documenti principali che
hanno condizionato la rappresentazione del mondo orientale. I critici Cosimo Palagiano e
Simonetta Conti esaminano la cartografia in epoca medievale e ne traggono alcune
conclusioni rilevanti. Viene poi presa in considerazione la lunga tradizione enciclopedica il cui
influsso sulla concezione dell’Asia non può sottovalutarsi. Inoltre, gli studiosi Palagiano, Carlo
Ghisalberti e Cesare Segre danno qualche precisione sui resoconti dei viaggi fatti dai
missionari e dai mercanti, e che anche essi fornirono informazioni di un’importanza
considerevole.
2.2.1 L’Oriente nelle carte geografiche
Chiedendosi quale forma adotta la carta geografica nel medioevo, Simonetta Conti distingue
due categorie delle quali una rappresenta il filone teorico-filosofico, l’altra si riferisce
piuttosto alla prassi. Una distinzione assai significativa, perché sintomatica delle due
mentalità che coesisterono nell’Italia del XIII secolo, specie a Venezia. La prima tipologia di
carte si collega all’ambiente chiuso dei monasteri, in cui prevaleva la rappresentazione del
mondo in chiave religioso-filosofica, quale espressione dell’onnipotenza divina. La seconda è
più tardiva e va situata nell’ambito concreto e pratico del commercio dove il continuo
sviluppo di rapporti commerciali oltremare portava con sé una conoscenza aumentata delle
terre navigate.
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Cosimo Palagiano e Simonetta Conti concordano sul fatto che la prima categoria di carte si
allontana più dalle realtà geografiche, perché durante il medioevo la concezione di queste
carte, chiamate anche mappamondi o ecumeni circolari, avveniva nei Scriptoria dei
monasteri. Quindi, non sorprende che i monaci-eruditi, occupandosi prevalentemente dello
studio della Bibbia e di altre scritture sacre ed il più spesso non avendo mai viaggiato,
producessero delle «straordinarie immagini che riflettono insieme cognizioni geografiche, le
più varie e vaste per l’epoca, e concezioni religiose legate ai testi sacri e in special modo
all’Apocalisse giovannea»8.
Oltre alla Sacra Scrittura, i frati si rifanno ad altre auctoritates che forniscono informazioni
corrette o meno delle terre orientali: i classici come Sallustio o opere enciclopediche, prima
di tutto le Etimologie di Isidoro di Siviglia. Il critico Palagiano aggiunge all’insieme la fruizione
dei miti e dei racconti favolosi diffusisi in Occidente. Si tratta dunque di un insieme di influssi
sorti da fonti interconnesse tra di loro.
Dall’analisi approfondita di Conti risulta che i ‘cartografi’ monastici attribuiscono all’Oriente
una connotazione ideologica nelle loro raffigurazioni, assimilando la sua collocazione al
Paradiso Terrestre, dove tra l’altro emergono i quattro fiumi biblici. Le carte contengono
componenti geografici, assieme ad un complesso di informazioni teologiche e cosmologiche,
specie di riassunto del sapere medievale. Colpisce come predomina l’immagine dell’Asia
quale continente del prodigio. Gli uomini sono strani o mostruosi, come anche gli animali. Il
frammento ripreso di sotto chiarisce che l’Oriente è considerato al contempo terra lontana e
temibile, ma anche terra delle meraviglie, espressioni della presenza divina:
8 CONTI, S., «L’idea dell’oriente nella cartografia dal medioevo al XV secolo», in PALAGIANO, C., e.a., (a cura di),
L’impresa di Marco Polo. Cartografia, viaggi, percezione, Roma, Tielle Media editore, 2007, pp. 37-38.
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[…] in Asia crescono le piante più rare, piante aromatiche e medicinali che […] Dio ha creato
per l’efficacia e le virtù. L’Asia è anche la terra degli animali straordinari, da quelli terrestri,
agli uccelli, ai serpenti, ai coccodrilli sino a giungere a quelli fantastici come il Leviatano,
antesignano dei mostri marini. L’Asia è […] la culla della storia dell’uomo sino alla venuta di
Cristo […] ed infine l’Asia è anche il continente che racchiude popolazioni immonde, che si
trovano lì per non contaminare il resto del mondo e sono quelle popolazioni che
dovrebbero annunciare la venuta dell’anticristo.9
Solo gradualmente sparisce il carattere meraviglioso e miracoloso desunto dalle fonti
menzionate. Come dice Conti, con la moltiplicazione delle missioni in Oriente e con la venuta
dei Mongoli in Europa alla metà del Duecento, gli occidentali dispongono di una conoscenza
più fedele del mondo e delle abitudini orientali, che si riflette anche nei mappamondi.
Inoltre, lo sviluppo dei rapporti intercommerciali tra l’Europa e l’Asia implica l’uso di carte
più concrete ed accurate sul piano geografico. Cosimo Palagiano illustra questa seconda
tipologia cartografica rinviando alle carte nautiche. Esse vengono confezionate in atelier
appropriati da cartografi veri e propri che ottengono le loro informazioni appunto dai
viaggiatori di commercio.
2.2.2 L’autorità della tradizione enciclopedica
Un’altra fonte che forse più delle altre determina l’immagine che gli eruditi si fanno del
continente asiatico sono le opere di carattere enciclopedico. Come notano tra l’altro Cesare
Segre10 e Umberto Eco11 , si tratta il più spesso di opere dell’antichità classica e di
enciclopedie, autorità stabilite cui si rifanno sempre le generazioni successive. Come già
accennato, questa tradizione nutre anche la cartografia medievale.
9 CONTI, S., «L’idea dell’oriente nella cartografia dal medioevo al XV secolo», in cit., pp. 45-46. 10
Si vede SEGRE, C., Introduzione, in cit., p. XX. 11
Si vede ECO, U., «Il “Milione”: descrivere l’ignoto», L’espresso, 1982.
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Come i cartografi, anche gli enciclopedisti sono eruditi senza esperienza del viaggiare, che
solo prendono per vere le cose dette da libri che attraverso i secoli si sono rivestiti di un’
aureola intoccabile. Molto significative al riguardo le parole di Umberto Eco, quando ci
fornisce la definizione dell’enciclopedista medievale: «Un signore che sedendo a tavolino si
basava sui testi venerabili di Plinio, di Solino, di Isidoro di Siviglia, e via via sulle varie
enciclopedie del secolo XII, lo Speculum Mundi di Vincenzo di Beauvais, o il Trésor di
Brunetto Latini»12.
Cesare Segre si riferisce anche lui al Trésor di Latini, opera enciclopedica di riferimento alla
fine dell’epoca medievale. Spiega come l’autore trae i suoi argomenti dai libri più antichi che
trattano della materia. Inoltre chiarisce come il Trésor ha ispirato una quantità notevole di
autori, come Gossuin de Metz, che composero dei testi intitolati Imago mundi o Image du
monde. Anche qui sono molto scarse le informazioni di valore oggettivo, ad eccezione, nel
caso di Gossuin, di qualche notizia sull’astronomia e di alcune descrizioni geografiche.
Sembra che la lunga successione di opere che sempre raccontano le notizie più fantasiose e
meravigliose sui paesi lontani e ignoti dell’Asia abbia fatto sì che gli eruditi del tempo di Polo
non sapessero far altro che aver piena certezza che questi popolo strani, queste bestie
mostruose, questi oggetti straordinari «dovevano esserci»13.
2.2.3 I viaggi fatti dai missionari e dai mercanti
Ci si può chiedere perché persiste l'immagine dell'Asia quale contrada dei mirabilia, persino
quando si intensificano i rapporti intercommerciali con il continente dell'est e con l'avvento
di alcune missioni diplomatico-religiose di notevole importanza. Gli studiosi Cosimo
Palagiano, Carlo Ghisalberti e Cesare Segre precisano le circostanze in cui si svolsero questi
viaggi, riflettendo sulla misura in cui contribuirono ad una migliore conoscenza delle realtà
orientali.
12
ECO, U., «Il “Milione”: descrivere l’ignoto», cit. 13
Ibidem.
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Nei loro apporti spiccano due nomi: Giovanni da Pian del Carpine e Guglielmo di Rubruck,
due frati francescani che intorno alla metà del Duecento svolsero delle missioni nella parte
orientale dell'Asia. Focalizzando l’attenzione sulla Historia Mongalorum, scritta dal frate
Giovanni al suo ritorno dell'est, Ghisalberti ritiene come la missione non era soltanto svolta
per motivi religiosi, ma prima di tutto per ragioni politico-diplomatiche. Infatti, a quel tempo
l'Europa occidentale temeva una ulteriore avanzata del potere mongolo, e cercava tramite
un approccio conciliante di istituire dei rapporti con il Gran Khan Güyük. Fallito sul piano
diplomatico, il viaggio di Giovanni sfociava però in un resoconto scritto, composto di una
moltitudine di informazioni utili, specie sulla società mongola e sulla loro organizzazione
militare. Perciò, Ghisalberti considera la Historia uno dei testi più significativi per la
conoscenza del continente asiatico, come si legge nel passo seguente:
Conoscenza e descrizione che risultano innovative nei confronti di quella tradizione e
pongono per il valore storico ed etnografico della Historia Mongalorum, Giovanni da Pian
del Carpine tra coloro che maggiormente hanno contribuito a rendere il mondo occidentale
più edotto delle realtà di un'Asia fino allora poco conosciuta [...]14
Cesare Segre condivide – sebbene in parte – la visione di Ghisalberti. Oppone le relazioni di
viaggio del frate Giovanni e di Guglielmo di Rubruck alle missioni svolte precedentemente
per il loro progetto di raccogliere un ammasso di notizie fedeli sulle strutture politiche e
religiose dei popoli incontrati. Al contempo nota però come la tradizione letteraria, con le
già citate autorità classiche come Plinio, rimane la fonte maggiore che continua ad
alimentare l’immaginazione occidentale, anche se l’Europa medievale dispose di
informazioni più precise e veritiere provenienti da viaggiatori come fra Giovanni ed altri.
14
GHISALBERTI, C., «Sulla "Historia Mongalorum" di Giovanni da Pian del Carpine», in PALAGIANO, C., e.a., (a cura di), L’impresa di Marco Polo. Cartografia, viaggi, percezione, Roma, Tielle Media editore, 2007, p. 93.
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Per di più, secondo Segre, i viaggiatori con intenzioni sia commerciali sia spirituali giunsero in
Oriente rapportando solo dei fatti appartenenti al proprio campo d'interesse. Così, gli uomini
di commercio appuntavano l’attenzione «ai valori delle merci e ai cambi, alle consuetudini
commerciali e ai sistemi di trasporto»15. In ambito religioso, la maggior parte dei missionari
focalizzava sulla descrizione dei luoghi sacri. Quindi, mancavano spesso le notizie
geografiche o di natura socio-culturale.
Molto simili anche le constatazioni del critico Palagiano. Benché gli itinerari fatti da Giovanni
da Pian del Carpine e Guglielmo di Rubruck erano di grande importanza per la conoscenza
antropologica e geografica dell’Asia, lo studioso aggiunge alcuni argomenti che contrastano
una conoscenza oggettiva. Secondo lui, alle missioni di carattere diplomatico, militare, o
anche commerciale erano legate il più spesso motivazioni spirituali, le cui finalità erano
tutt’altre che la descrizione di un mondo oggettivo. Oltre a ciò, la diffusione di nuove notizie
non era sempre facile vista l’importanza del segreto diplomatico e commerciale.
2.3 Conclusione
In sintesi, il Duecento italiano conosce alcuni trasformazioni stravolgenti sul piano socio-
culturale. Con l’avvenuta del mercantilismo si impone la nuova classe ponente della
borghesia mercantile, portando con sé un nuovo sistema di valori conformi all’ideologia
borghese. Implica anche delle tendenze nuove in ambito letterario e culturale che riflettono
ormai una mentalità più curiosa e aperta, più incentrata sulla prassi, più vicina al modo di
pensare moderno. Al contempo permangono le tracce della cultura tradizionale che
osservava il mondo con un occhio allegorico, con una mentalità pervasa del fascino per il
mito e lo spazio onirico.
15
SEGRE, C., Introduzione, in cit., p. XX.
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Questa doppia mentalità si ripercuote sul modo in cui il pubblico occidentale rappresenta il
continente del Levante. Si rintraccia nella cartografia medievale in cui, accanto allo sviluppo
di carte nautiche vere e proprie, è preservata la raffigurazione di forte connotazione biblica.
La persistenza delle auctoritas quali referenze intangibili sostiene la continuità della
tradizione. Simultaneamente l’intensificazione dei viaggi in Oriente converge con
l’aspirazione incrementata di conoscere il mondo e di esplorare oltre i limiti dell’ecumene
nota.
Infine, è di singolare importanza questo abbozzo della mentalità duplice, perché essa si
rispecchia nettamente in vari aspetti del libro di Marco Polo e di Rustichello da Pisa. Infatti,
condizionano sia Marco Polo nella sua ricezione dell’ignoto continente asiatico, sia il
coautore Rustichello da Pisa quanto all’ interferenza di stampa letteraria nel libro.
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3. LA QUESTIONE DEL GENERE
3.1 Il Milione o Le Divisament dou monde, opera composita
Leggendo il Milione di Polo, il lettore attento scopre presto che il libro presenta un insieme
variegato di contenuti, informazioni e stilemi. Se in un episodio incontra un Marco che parla
della sua esperienza personale durante l’itinerario verso Est, in un altro assiste ad una
descrizione quasi enciclopedica dei costumi e delle località orientali, senza aver preso in
considerazione i vari passi narrativi che li raccontano delle vicende leggendarie dei Khan
mongoli. Ognuno di questi episodi contiene elementi sia contenutistici sia stilistici tipici di
alcuni generi noti o che si sono sviluppati nel Duecento.
Questa costatazione ci porta alla problematica ampiamente discussa dello statuto preciso
del genere del Milione. Vista la natura multiforme del libro, risulta difficile collocarlo in una
categoria letteraria ben precisa. A buon diritto Cesare Segre parla di un «programma di
moltiplicazione dei generi» 16 nella sua introduzione al Milione pubblicato dall’editore
Mondadori nel 1982.
In questo capitolo intendo discutere il tema complesso della multiformità, rifacendomi ad
una serie di contributi critici utili in questa prospettiva. Percorro i diversi generi rintracciabili
nell’opera poliana, cercando poi spiegazioni per la loro coesistenza in un unico libro. Indago
tra l’altro le fonti e le caratteristiche delle forme letterarie – o di altri tipi di scrittura17 –
presenti. Una tale analisi permette di meglio capire eventuali motivi e intenzioni impliciti
dell’autore e forse spiega in parte la straordinaria fortuna che il Milione ha conosciuto
attraverso i secoli fino al giorno d’oggi.
16 SEGRE, C., Introduzione, in cit., p. XXIV. 17
Si nota che una parte delle forme alle quali ha ricorso Marco Polo/Rustichello da Pisa non è di natura propriamente letteraria, ma, ad esempio, di carattere più pratico come le scritture mercantili.
- 19 -
Di più, voglio insistere sulla dualità sottostante all’intera opera di Marco Polo e Rustichello
da Pisa, vale a dire sui paradigmi opposti di ‘realtà’ e ‘fantasia’. Questi due concetti
ossimorici si intrecciano continuamente, complicando in tal modo la comprensione delle
finalità dell’opera e delle intenzioni del suo autore, ossia dei suoi autori. Però allo stesso
tempo, è a questo incrocio tra testimonianza veridica e narrazione leggendaria, che il libro
deve la sua peculiarità. Infatti, i vari statuti letterari che si potrebbe attribuire al Milione di
Polo hanno ognuno di loro caratteristiche proprie per le quali vanno considerate piuttosto
come testimonianze autentiche ed oggettive, sia piuttosto come informazioni che
appartengono al reame del fantastico e del favoloso.
3.2 Il Milione, resoconto di viaggio?
3.2.1 «Come lo Grande Kane mandò Marco, figliuolo di messer Niccolò, per suo
messaggio…»18
La nostra conoscenza generale della figura di Polo si limita in molti casi al fatto che lui fu un
veneziano, figlio di mercanti, che fece un viaggio in Oriente e rimase durante un periodo
considerevole della sua vita alla corte del governatore mongolo Kublai Khan, all’incarico di
cui compì missioni diplomatiche attraverso il regno dei Tartari. Quindi nella storia, il
veneziano è noto soprattutto come viaggiatore. Un viaggiatore divenuto famoso per la sua
volontà di raccogliere le avventure e le cose straordinarie viste e udite per le generazioni
successive:
[…] poi che Iddio fece Adam nostro primo padre insino al dì d’oggi, né cristiano né pagano,
saracino o tartero, né niuno huomo di niuna generazione non vide né cercò tante
maravigliose cose del mondo come fece messer Marco Polo. E però disse infra∙sse
medesimo che troppo sarebbe grande male s’egli non mettesse inn-iscritto tutte le
meraviglie ch’egli à vedute, perché chi no∙lle sa l’appari per questo libro.19
18
POLO, M., Milione/Le divisament dou monde, cit., p. 14. 19
Ivi, p. 4.
- 20 -
Non sorprende che a prima vista il Milione si presenta come la relazione del viaggio fatto da
Marco. Infatti, i primi capitoli descrivono con esatta indicazione delle date e dei spostamenti
gli itinerari compiuti: prima quelli seguiti dai due fratelli Niccolò e Matteo, poi dai due fratelli
accompagnati dal giovane Marco, le ambascerie all’interno del regno mongolo ed infine il
viaggio di ritorno a Venezia dopo 17 anni. L’autore narra dell’itinerario quale esperienza
personale vissuta dai tre protagonisti – che però sono rappresentati in terza persona. Lo fa
durante i primi 18 capitoli separandoli in tal modo dal resto del libro. Per più informazioni sul
carattere particolare dell’incipit, mi riferisco al mio discorso sulla varietà delle forme
narrative presenti nell’opera poliana20.
Anche quello che segue sembra essere un resoconto delle varie contrade e città attraversate
e visitate da Marco durante le sue ambascerie. Il lettore potrebbe supporre che queste
regioni e città siano state disposte per ordine di vissuto, come al solito nel libro di viaggio.
Però in realtà la dispositio dei capitoli, piuttosto che riflettere le tappe cronologiche delle
divagazioni del nostro protagonista, segue – pure non in modo sistematico – uno schema
determinato, desunto dalla tradizione enciclopedico-trattatistica21.
Alcuni indici dimostrano già che la categorizzazione iniziale di ‘relazione di viaggio’ sarebbe
troppo restrittiva se si prendono in considerazione i vari aspetti costitutivi del libro. La critica
si accorda nettamente sul fatto che il Milione di Polo copre un insieme molto più vasto di
categorie. Per sottolineare questa varietà è interessante soffermarsi sulle affermazioni di
alcuni studiosi in particolare.
3.2.2 La letteratura odeporica nell’epoca medievale
Gioia Zaganelli ci informa un po’ più sul problema dello statuto specifico della relazione di
Marco Polo, partendo da un’analisi che porta sull’insieme delle letterature di viaggio nel
Medioevo.
20 Si vede il capitolo 3.3.3: «Le forme narrative». 21
Si vede le informazioni sul carattere enciclopedico del ‘Milione’ nel capitolo 3.2.3: «”Il Milione”, enciclopedia del mondo orientale».
- 21 -
Prendendo in considerazione la quantità notevole di scritti odeporici che ha prodotti l’epoca
medievale, la studiosa nota la difficoltà di discernere in esse delle corrispondenze
sistematiche. Visto il carattere eterogeneo delle opere, la critica si chiede poi se sia corretto
parlare in questi casi del ‘libro di viaggio’ come genere vero e proprio, specie focalizzando
l’attenzione sul Milione di Polo.
In prima istanza, viene negata l’esistenza di un corpus di libri di viaggio che condividono un
gruppo distinto di caratteristiche classificabili in quanto tipiche per la letteratura odeporica.
L’autore si rifà a quattro voci critiche che ognuna sostengono la difficoltà, se non
l’impossibilità di studiare le letterature di viaggio quale unità. Anche se, come dice Giorgio
Raimondo Cardona, il lettore prova una «fortissima impressione di déjà vu»22 quando legge
una varietà di testi del tipo appena citato, non può negare la grande quantità di elementi sui
quali divergono i testi.
In sintesi, la redazione dei libri di viaggio viene influita tra l’altro da fattori contestuali, quali l’
obiettivo specifico del viaggio, la cultura del viaggiatore o ancora il pubblico cui le relazioni
sono destinate. Ovviamente, giocano anche degli elementi stilistici o contenutistici, come
per esempio la variazione degli oggetti, la consistenza della relazione o ancora la misura in
cui la figura dell’autore e quella del viaggiatore-narratore si sovrappongono.
Fatta questa costatazione generale, Gioia Zaganelli si interessa poi al resoconto composto da
Polo, notando che anche questa opera non va letta in modo univoco come relazione di
viaggio. È vero che, contrariamente alla maggioranza dei testi di natura odeporica, il viaggio
in questo caso fu realmente compiuto dal viaggiatore. Torno su questa particolarità che il
Milione condivide solo con un numero limitato di testi del Medioevo. Nonostante la
presenza di un viaggio autentico anteriore alla stesura del testo, la studiosa aggiunge che il
Milione «sia molte cose e cose molto diverse, ma non propriamente un libro di viaggio.»23
22
ZAGANELLI, G., «In margine a due recenti edizioni del Milione di Marco Polo, Critica del testo, 2000, 3, p. 1024. 23
Ivi, p. 1026.
- 22 -
3.2.3 Il Milione, enciclopedia del mondo orientale
Pur riconoscendo la pluralità di stili, Gioia Zaganelli insiste fortemente sul carattere
enciclopedico e la sottostante intenzione enciclopedica dell’autore. Percorre alcuni
argomenti a favore: Sul piano del contenuto, nota che nel Milione, l’autore ci informa di
contrade che i Polo in realtà non hanno mai attraversato. Polo estende il suo itinerario verso
le regioni all’ est, all’ovest e al nord col proposito di fornire al suo pubblico la descrizione più
completa del mondo. La rappresentazione autentica del viaggio è secondaria alla volontà di
dischiudere al lettore un mondo per lui sconosciuto, noto solo per vie leggendarie e mitiche.
Sul piano stilistico, questa intenzione si traduce tra l’altro nel modo impersonale in cui
discorre il viaggiatore-narratore. È vero che, in certi episodi del libro, l’autore non svela il suo
entusiasmo provato alla vista di tradizioni o costumi del tutto ignoti e percepiti come
straordinari da un uomo dell’Occidente. Tuttavia, prevale maggiormente il tono ragionato
nelle descrizioni:
Quando l’uomo si parte de Caracoron e de Alcai, ov’è lo luogo ove si sotterrano li corpi de li
Tartari, […] l’uomo vae più inanzi per una contrada verso tramontana, l[a] quale si chiama lo
piano di di Bangu, e dura bene .xl. giornate. La gente sono chiamate Mecricci, e sono
salvatica gente; egli vivono di bestie e ’l più di cerbi. E’ sono al Grande Kane. Egli non ànno
biade né vino; la state ànno cacci<a>gioni e uccellagioni assai, di verno non vi stae né bestie
né uccelli per lo grande freddo.24
Nel brano appena citato, il lettore non discerne soltanto quel modo impassibile di descrivere
gli elementi geografici ed etnografici. Ci ritrova ulteriori indicazioni più sottili dello stile
enciclopedico, riscontrabili, lo dice ancora la studiosa sunnominata, nelle opere
enciclopediche tradizionali, quali Li livres dou Tresor di Brunetto Latini, o le Etymologiae di
Isidoro di Siviglia. Si tratta appunto dell’uso del presente, tempo che permette di porre la
narrazione fuori dall’arco temporale, staccandola dalla figura del viaggiatore come dalla
concretezza dell’itinerario che sta percorrendo.
24
POLO, M., Milione/Le divisament dou monde, cit., p. 85.
- 23 -
Il brano anzidetto costituisce l’incipit del capitolo che narra ‘Del piano di Bangu’. Si nota la
prima frase «Quando l’uomo si parte de […], l’uomo vae […]», presente anche nella versione
franco-italiana «Et quant l’en s’en part de […], il ala […]»25. È vero che queste espressioni
fisse, ripetute sistematicamente all’incipit dei vari capitoli, riflettono le varie tappe
nell’itinerario da una regione all’altra. Però al contempo Gioia Zaganelli vede in esse l’affinità
con quelle altre formule espresse da Brunetto Latini nella sua enciclopedia del mondo. La
studiosa Valeria Bertolucci ha dunque ragione quando constata una «sovrapposizione
dell’enciclopedia sull’itinerario»26.
Ancora secondo Gioia Zaganelli, c’è un ultimo elemento di natura strutturale che evidenzia il
carattere enciclopedico del Milione. La studiosa nota come l’ordine, indicato dagli autori,
secondo il quale le varie informazioni vengono date, sia un ordine tematico, tipico
dell’enciclopedia. A questo proposito, la critica sottolinea l’analogia con le Etymologiae di
Isidoro di Siviglia. Nei due casi i soggetti sono disposti tematicamente, con l’attenzione
iniziale rivolta agli uomini, poi agli animali di terra, ai pesci ed agli uccelli e infine alle gemme
ed alle pietre.
Infine, la studiosa riconosce nel Milione un genere multiforme e con questa costatazione
concorda con critici quali Cesare Segre27 o Alvaro Barbieri. Infatti, nella ricerca di una buona
definizione di genere riprende le parole espresse da quest’ultimo: nell’opera composita si
intrecciano «[il] trattato enciclopedico, [la] pratica di mercatura, [la] relazione di viaggio, [il]
roman cortese ecc.»28
25
POLO, M., Milione/Le divisament dou monde, cit., p. 393. 26
BERTOLUCCI PIZZORUSSO, V., «Enunciazione e produzione del testo nel Milione, in Morfologie del testo medievale, Bologna, 1989, pp. 239-240. 27 Si vede l’introduzione di questo capitolo dove riprendo una citazione formulata da Cesare Segre nella sua introduzione al Milione nelle redazioni toscana e franco-italiana. Accennando anche lui la difficoltà con cui definire il preciso statuto dell’opera, parla appunto di «un programma di moltiplicazione dei generi». 28
BARBIERI, A., Introduzione, in MARCO POLO, Il Milione veneto, ms. CM 211 della Biblioteca Civica di Padova, a cura di BARBIERI A. e ANDREOSE A., Venezia, Marsilio, 1999, p. 29.
- 24 -
3.3 Narrazione e descrizione
3.3.1 Registri antitetici
Alvaro Barbieri è un altro critico che si è occupato dello studio dei generi presenti nel libro di
Marco Polo e Rustichello da Pisa. Diverso dalle intenzioni di Gioia Zaganelli, Barbieri non si
dedica all’analisi approfondita dello stile enciclopedico. Parte dall’ipotesi di lavoro che nel
Devisement dou monde29 è presente una dicotomia tra descrizione e narrazione. Secondo lui
tutti i modelli testuali di cui è composto il libro, si ripartiscono sotto queste 2 categorie. Di
più, aggiunge che questa dicotomia non è soltanto visibile nella divergenza di tonalità, ma
anche nella prassi della redazione, ad esempio nell’uso di tempi diversi.
3.3.2 La descriptio
Visto sotto quest’angolo, le parti enciclopediche discusse da Gioia Zaganelli, vanno integrate
nel registro descrittivo. Infatti, la descriptio, dice Barbieri, si caratterizza sul piano tematico
da un discorso sulla geografia e l’etnografia dei paesi visitati, informazioni tipiche del genere
dell’enciclopedia. Sul piano stilistico, anche lui menziona lo sguardo del tutto immobile e
impassibile con il quale gli autori descrivono le loro osservazioni. Per di più, nota come negli
episodi descrittivi viene utilizzato in modo consistente il tempo del presente ‘acronico’,
tempo che esclude il flusso del tempo e così eternalizza gli enunciati.
Infine, Barbieri si riferisce alla disposizione del materiale informativo. L’autore si accorda al
discorso della Zaganelli, affermando come l’organizzazione strutturale degli episodi
descrittivi è desunta dalla tradizione enciclopedica. Aggiunge che la descriptio gioca un ruolo
significativo per quel che riguarda la coesione. Infatti, l’insieme dei passi di natura didattico-
informativa garantisce, quanto una specie di filo rosso, la consistenza e la stabilità dell’intero
resoconto.
29
Nell’articolo di Barbieri cui mi riferisco, «Il ‘narrativo’ nel Devisement dou monde: Tipologia, fonti, funzioni», l’autore ricorre alla redazione franco-italiana per la sua analisi.
- 25 -
Barbieri nota però che, oltre l’erudizione delle preesistenti enciclopedie medievali, il registro
descrittivo si ispira agli schemi tipici dei manuali commerciali e delle scritture prodotte dai
mercanti. I cambiamenti sul piano culturale all’epoca dei Polo in combinazione con
l’atmosfera mercantile in cui cresce Marco, spiegano la logica dietro questo influsso.
Secondo lo studioso, sono questi due elementi a plasmare l’identità del libro.
3.3.3 Le forme narrative
È importante sottolineare che il critico oppone le suddette caratteristiche descrittive a quelle
del registro narrativo. Barbieri dichiara decisamente il predominio della descrizione
nell’opera poliana, sia dal punto quantitativo che dal punto qualitativo. Però il suo scopo è
diverso. Barbieri vuole rivolgere la sua attenzione al registro narrativo, svelando le varie
forme testuali di cui è composto e mostrando come anche questa varietà di testi coopera a
dare senso all’opera.
Per completezza, riprendo lo schema tripartito di Wetzel cui lo studioso si riferisce30. In base
a parametri tematici, Barbieri ripartisce il materiale narrativo in tre categorie: il narrativo
(auto)biografico, il narrativo storico-dinastico ed il narrativo di natura aneddotico-edificante,
ossia le ‘forme brevi’. Considera a parte l’episodio (auto)biografico e poi focalizza i due ultimi
tipi, notando come essi si disperdono in modo discontinuo attraverso l’opera.
3.3.3.1 Il prologo, avantesto biografico
In prima istanza il narrativo del tipo (auto-)biografico viene identificato con il prologo del
Milione. La narrazione delle vicende autobiografiche di Marco e prima dei due fratelli
Niccolò e Matteo, si presenta come specie di avantesto che narra dell’andata in Oriente e del
ritorno a Venezia. Così, i primi 18 capitoli si avvicinano più degli altri alla relazione di viaggio:
30 WETZEL, H.H., «Il Milione di Marco Polo fra descrizione e racconto», in Narrations brèves. Mélanges de
littérature ancienne offerts à Krystyna Kasprzyk, Warszawa, Publications de l’Institut de Philologie Romane, 1993, pp. 103-109.
- 26 -
Messer Nicc[o]lao e messer Matteo e Marco, figliulo di messer Niccolao, si misero ad
andare tanto che egli si erano giunti ove era lo Grande Cane, ch’era a una città ch’à nome
Chemeinfu, cittade molto ricca e grande. Quello che trovaro nella via no si conta <ora>,
perciò che si conterà inanzi.31
Il brano, tratto dal tredicesimo capitolo, pone in primo piano i protagonisti del prologo,
Niccolò, Matteo e Marco, e descrive il loro arrivo alla corte del Gran Khan. È significativo
come l’ultima frase segnala in modo sottile il distacco tra la narrazione del viaggio dei Polo
ed il resoconto – di natura descrittivo-enciclopedica – delle cose che vi scoprono. Distacco
dichiarato esplicitamente dal narratore quando chiude il suo discorso introduttivo con le
parole: «Or v’ò conta[to] lo prolago de∙libro di messer Marco Polo, che comincia qui»32.
Anche sul piano formale il prologo si differenzia dal corpo del libro nel modo in cui sono
formulati i titoli che introducono ognuno dei capitoli. Essi si riferiscono sia ai due fratelli Polo,
sia a Marco, sia ai tre protagonisti insieme, seguiti quasi sempre da un verbo di movimento
quale venire, partire, tornare, etc. Tra gli esempi troviamo: «Come li due fratelli […]»33,
«Come messer Marco […]»34, «Come messer Niccolao e messer Mafeo e messer Marco
[…]»35. In alcuni titoli compare il nome del Grande Kane, questo però nel contesto delle
ambascerie che il governatore impone ai suoi ambasciatori: «Come lo Grande Kane mandò
Marco, figliuolo di messer Niccolò, per suo messaggio»36. La storia dunque di un andare e
venire, del viaggio verso Oriente, del ritorno in Occidente, e delle missioni all’interno del
regno dei Tartari.37
31
POLO, M., Milione/Le divisament dou monde, cit., p. 13. 32
Ivi, p. 20. 33
Ivi, p. 10, 11, 12, 13, 14. 34 Ivi, p. 16. 35 Ivi, p. 17, 18. 36 Ivi, p. 14. 37 Si nota che il distacco formale è ancora più chiaro nella versione francese (F) del libro dove la formula «Comant les II frers […]» si distingue nettamente dalle parti enciclopediche introdotte dall’espressione «Ci devise de […]» seguito da paesi, regioni o città.
- 27 -
Del resto, il prologo, oltre che essere resoconto dell’esperienza personale dei Polo, svolge
ancora un’altra funzione di un’importanza più fondamentale. Sono unanimi i critici a vedere
in questo avantesto una laudatio di Marco Polo e dei suoi. Come afferma Cesare Segre,
all’inizio del Milione le capacità e la saggezza dei fratelli e soprattutto di Marco vengono
sottolineate dal narratore. I protagonisti sono descritti come «nobili e savi sanza fallo»38,
«uomo savio e di grande valore oltra misura»39, «di grande senno e di grande bontà»40, etc.
Valeria Bertolucci indica come questo elogio serve a convincere il lettore della credibilità del
suo autore e così dell’autenticità delle notizie. L’affermazione di veridicità appare pure
esplicitamente sulla prima pagina dell’opera:
E questo vi conterà il libro ordinatamente siccome messere Marco Polo, savio e·nnobile
cittadino di Vinegia, le conta in questo libro e egli medesimo le vide. Ma ancora v’à di quelle
cose le quali elli non vide, ma udille da persone degne di fede, e però le cose vedute dirà di
veduta e·ll’altre per udita, acciò che ‘l nostro libro sia veritieri e sanza niuna menzogna.41
Sono molti le voci critici a riconoscere in questa forma di autenticazione un topos letterario
tipico della cultura medievale42. La Zaganelli collega l’esempio a quello del missionario
Giovanni da Pian del Carpine. Questo frate minore svolse una missione in Oriente non molto
prima del viaggio di Polo. Dal suo viaggio risulta un’opera che descrive la società, i costumi e
le vicende storiche dei Tartari e si chiama appunto la Historia Mongalorum. La studiosa
rivolge l’attenzione all’ultimo capitolo dell’opera. Dopo un resoconto di carattere
trattatistico, il Frate ci descrive il suo itinerario, però non senza mettere in rilievo la serie di
testimoni che ha incontrato durante il percorso. Infatti, con l’enumerazione di testimoni che
garantiscono l’intenzione di sincerità dell’autore, questo capitolo finale vale, allo stesso
modo del prologo poliano, come «sigillo di autenticità»43.
38
POLO, M., Milione/Le divisament dou monde, cit., p. 5. 39
Ivi, p. 14. 40 Ivi, p. 16. 41 Ivi, p. 2. 42 Si vede tra gli altri: BERTOLUCCI PIZZORUSSO, V., «Enunciazione e produzione del testo nel Milione», cit., pp.209-241; ZAGANELLI, G., «In margine a due recenti edizioni del Milione di Marco Polo», cit., p. 1026; BOLOGNA, C., La
letteratura dell’Italia settentrionale nel Duecento, cit., p.185. 43
ZAGANELLI, G., «In margine a due recenti edizioni del Milione di Marco Polo», cit., p. 1025.
- 28 -
3.3.3.2 Una Historia Mongalorum
Nella sua classificazione tipologica, Alvaro Barbieri prende anche in esame la narrativa di
carattere storico-dinastico. Attraverso il suo resoconto, Marco prende spesso il tempo per
narrarci della dinastia dei Tartari. Evoca alcune grandi vicende storiche, quali la nascita del
regno mongolo e le prime conquiste, la presa di Bagdad, «grande fatto, imperciò che ’n
Baudac [Bagdad] avea più de .cm. di cavalieri, senza li pedoni»44, o la «grande discordia tra gli
Tarteri del Ponente e quegli del Levante»45. Poi appaiono digressioni sull’organizzazione
politica, sulle consuetudini militari, nonché sui costumi socio-culturali del popolo turco-
mongolo. Il narratore parla ad esempio della ripartizione del regno tra i figli del Grande Kane,
delle specifiche tecniche guerriere, o ancora del palazzo «di marmo e d’altre ricche pietre; le
sale e le camere […] tutte dorate»46, della vita alla corte, delle abitudini coniugali, etc.
Quindi, il Milione riflette l’intenzione del narratore di comporre la propria Historia
Mongalorum, come fece già il missionario-diplomato Giovanni da Pian del Carpine. Tuttavia,
la critica riconosce un obiettivo più essenziale: la glorificazione del popolo mongolo ed in
particolare del loro Gran Khan, che al tempo di Polo era una delle figure più potenti in
Oriente e oltre:
Vo’ vi cominciare a parlare di tutti gli grandissimi + meraviglie del Grande Kane che aguale
regna, che Coblain Kane si chiama, che vale a dire i∙nostra lingua ‘lo signore degli signori’. E
certo questo nome è bene diritto, perciò che questo Grande Kane è ’l più possente signore
di genti, di terr’e di tesoro che sia, né che mai fue, da Adam infino al die d’oggi. E questo
mosterò ch’è vero in questo nostro libro, sicché ogni uomo ne serà contento.47
44 POLO, M., Milione/Le divisament dou monde, cit., p. 28. 45 Ivi, p. 299. 46
Ivi, p. 92. 47
Ivi, p. 96.
- 29 -
Secondo Cesare Segre, il ritratto di Qubilai Khan, vale a dire delle terre, del palazzo, delle
abitudini, persino del carattere e dell’aspetto fisico sono segni dell’ammirazione illimitata
che Polo nutre per il capo del regno durante il suo soggiorno alla corte mongola. Come
Barbieri, Segre crede che dietro la laudatio si celi un motivo ideologico. Infatti, secondo lo
studioso colpisce come, parlando della sua bontà e della sua saggezza, Marco dedichi la sua
oeuvre al Grande Khan nello stesso modo in cui i grandi romans cortesi in Occidente
laudavano le famose figure della storia quali Carlomagno o Alessandro – persone alle quali
però non mancano riferimenti nello stesso Milione.
Gli episodi narrativi – quei della tematica dinastica in primo piano – adottano uno stile
perfettamente in linea con il genere cavalleresco in voga al tempo di Marco. In entrambi i
casi la stilistica epico-cavalleresca contribuisce ad esaltare e mitizzare i personaggi illustri
della storia, che gli scrittori posero al centro dei loro racconti. Per di più, Barbieri menziona
come nel Milione i passi sul Gran Khan portino una forte impronta rustichelliana. Rustichello
da Pisa, romanziere che ebbe già qualche fortuna modesta con il suo Meliadus, era forse più
abile di Marco nell’abbellire i racconti epici sulla lotta contro i musulmani, ossia sulle faide
interne, vista la sua affinità al genere. È una materia che merita uno sguardo più
approfondito nel quarto capitolo dove si prende in esame l’autorialità doppia del Milione.
Per adesso riteniamo la particolarità del modo in cui gli autori familiari ai generi della
letteratura occidentale ne fecero uso per abbozzare il ritratto elogiativo di una figura in
quell’epoca pressoché ignota in Occidente, la figura di Qubilai Khan.
3.3.3.3 Le forme brevi
Infine, i racconti d’impronta aneddotico-edificante costituiscono l’ultimo tipo che Barbieri
distingue all’interno del registro narrativo. Si tratta di un insieme di forme brevi, presenti
anche nella letteratura occidentale del Medioevo. Il critico discute quattro sottotipi:
l’agiografia, l’exemplum, il miracolo e i testi che preannunciano il genere della novella. Allo
stesso modo delle narrazioni sulla dinastia dei Khan, anche questi tipi di racconto sono sparsi
lungo l’opera.
- 30 -
Sia Barbieri che Segre illustrano queste forme letterarie tramite esempi in cui rintracciano
caratteristiche tipiche della narrativa aneddotico-edificante. Come era già il caso per le
narrazioni di stampa epica, anche qui colpisce l'intreccio tra fonti orientali da una parte, e
tradizioni letterarie in Occidente dall' altra. Se i passi laudativi dei Mongoli rappresentano «il
rifacimento epico e cavalleresco occidentale di spunti e motivi di poesia storica dell'Asia
centrale» 48 , anche gli esempi sottocitati attestano quella particolare miscela tra
testimonianze orientali autentiche e le leggende diffusesi nell' Europa del secolo XIII.
Alcuni episodi si rapportano ai racconti agiografici. Così, nei capitoli 30 e 31 della versione
toscana del Milione, Marco narra la storia dei Re Magi. La notizia costituisce una
testimonianza particolarmente interessante perché - come si può leggere nella nota al
testo49 - è l'unica ad esser mutuata direttamente da fonti orientali. Infatti, si tratta di una
versione genuina che non si è mai diffusa in Occidente. Barbieri aggiunge però che per
quanto il testo rifletta la leggenda orientale, lo scrittore sia condizionato dalle tradizioni a lui
più note. Quindi, è inevitabile che la storia dei Magi contiene alcune riscritture in chiave
occidentale.
Spicca ancora più per la descrizione dettagliata il capitolo dedicato alla vita del Buddha, cui
l'autore si riferisce col nome «Sergamon Borgani»50. Benché in Occidente si fossero già
diffuse delle notizie sulla vita del Buddha, nella forma agiografica dei santi Barlaam e
Giosafat, gli studi compiuti da Eugenio Burgio51 rivelano che si tratta della prima biografia
completa in Occidente. La conclusione di Barbieri è simile a quella dell'episodio sui Re Magi.
Di nuovo, l'autore si ispira ai testi autentici della mitografia buddhista, ma interpreta certi
passi dal suo punto di vista ideologico. La ripresa di un brano del racconto permette di
chiarire questa conclusione:
48
OLSCHKI, L’Asia di Marco Polo. Introduzione alla lettura e allo studio del Milione, San Giorgio Maggiore (Venezia), Fondazione «Giorgio Cini», 1975, p.353. 49 POLO, M., Milione/Le divisament dou monde, cit., p.34. 50 Ivi, p. 254. 51 BURGIO, E., Marco Polo e gli ‘idolatri’, in Le voci del Medioevo. Testi, immagini, tradizioni. Atti del VII Convegno internazionale (Rocca Grimalda, 21-22 settembre 2002), BARILLARI, S. M., (a cura di), Alessandria, Edizioni dell’Orso, 2006, pp. 31-62.
- 31 -
E [il padre del Buddha] disse che questo suo figliuolo era morto .lxxxiiij. volte, e disse che
quando morìe la prima volta diventò bue, e poscia morìo e diventò cane. [...] tuttavia
diventava qualche animale, o cavallo od uccello od altra bestia; ma in capo
dell'ottantaquattro volte dicono che morìo e diventò idio. [...] E sappiate che questi fue il
primo idolo che <fosse> fatto, e da costui sono discesi tutti l'idoli. [...] E∙ssì vi dico che
gl'idolatori dalle più lontane parte vi vengono in pelligrinaggio, siccome vanno i cristiani a
Sa∙Iacopo in Galizia.52
Il brano costituisce la parte finale in cui muore il Buddha. Ci fornisce informazioni sulla
tradizione della reincarnazione propria alla fede buddhista. Queste notizie sono desunte da
fonti asiatiche e permettono al lettore occidentale di familiarizzarsi con certe credenze che
gli sono ignote. Tuttavia, Barbieri indica come l'autore presenta la materia nei propri termini
ideologici, assimilando la morte del Buddha alla nascita dell'idolatria, ovvero del politeismo.
Per di più, Barbieri e Segre concordano sul racconto che meglio illustra l’aspetto
dell’exemplum. Oltre alla sua rilevanza storica, il passo sulla morte dell'ultimo califfo
abbaside gioca un ruolo edificante che si realizza nel dialogo tra il sovrano mongolo Alau e il
califfo di Baghdad. Infatti, il vincitore Alau punisce il califfo per la sua avarizia. Quest’ultimo
non vuole investire il suo grande tesoro nella difesa della sua città e del suo popolo e perciò
viene rinchiuso in una torre, solo con le proprie ricchezze, senza niente da mangiare o da
bere. Come nota Segre, il contenuto mostra alcune somiglianze con la leggenda del re Mida.
Anche il califfo, in senso figurato, non può far altro che mangiare i suoi tesori d’oro e perciò
muore di inanizione.
52
POLO, M., Milione/Le divisament dou monde, cit., p. 255-256.
- 32 -
Nel Milione, a volte denominato ‘Livre des merveilles’53, non mancano i récits brefs che
narrano vicende miracolose. Con il termine mirabilia, Barbieri intende due tipi di miracolo
che pervadono l’opera poliana. Primo, il meraviglioso geografico, ovvero la registrazione di
anomalie, quali le bestie mostruose ossia i popoli sproporzionati, incontrati in certe regioni
del continente asiatico. Nel prologo siamo incitati a leggere «questo libro dove le troverrete
tutte le grandissime maraviglie e gran diversitadi delle genti d’Erminia, di Persia e di Tarteria,
d’India e di molte altre province»54. Il prologo sottolinea l’importanza di questo tipo, che
costituisce anche il gruppo più ampio.
In secondo luogo, Barbieri prende in considerazione il meraviglioso cristiano che esemplifica
tra l’altro con l’esempio dello spostamento di una montagna, originato dalla preghiera di un
semplice ciabattino. Qui, il miracolo contribuisce a mettere in rilievo la fede cristiana, di
fronte alle credenze inferiori soprattutto dei musulmani. Aggiunge Segre che in non poche
occasioni, gli episodi sulla convivenza tra cristiani e saraceni adottano la forma del miracolo.
Parlando del genere in termini più generali, Gioia Zaganelli55 spiega che a partire dal secolo
XIII, i mirabilia occupano una posizione fondamentale nelle relazioni di viaggio e nei testi
enciclopedici. Non solo provocano emozioni di stupore e di sbalordimento presso il lettore,
costituiscono per di più un modo di appropriarsi un mondo altro, un’alterità cui l’uomo
occidentale non si è abituato. Questa è un’interpretazione anche adottata da Cesare Segre
quando nell’introduzione al Milione56
nota come i mirabilia vanno intesi non solo come un
insieme di bizzarrie, ma come la misurazione degli «scarti, anche nelle credenze e nelle
usanze, rispetto alle norme del mondo […] noto». Questa affermazione vale specie nel caso
del resoconto poliano. Torneremo sulla posizione particolare che occupa il meraviglioso nel
quinto capitolo sul confronto con l’Altro.
53 SEGRE, C., Introduzione, in cit., p. XIX. 54 POLO, M., Milione/Le divisament dou monde, cit., p. 2. 55 ZAGANELLI, G., «Viaggiatori europei in Asia nel Medioevo. Note sulla retorica del mirabile», Studi testuali, Alessandria, Edizioni dell’Orso, 1996, 4, pp. 157-165. 56
SEGRE, C., Introduzione, in cit., p. XXII.
- 33 -
Infine i critici riscontrano nel libro alcuni racconti che fanno pensare al genere letterario
nascente della novella: «E di questo Re d’Or sì vi conterò una bella novella […]»57. Prima di
esaminare un esempio in particolare, è interessante chiedersi come gli studiosi occupatisi
della tematica interpretano il termine ‘novella’ o ‘novelle’, nel caso della redazione franco-
italiana Divisament dou monde. Il significato primario della parola è «notizia, resoconto di
eventi». Valeria Bertolucci Pizzorusso indica però come i rinvii alla parola nel Milione vanno
già comprese nella loro valenza tecnica di genere letterario. Le ricerche di Cesare Segre
sostengono questa analisi. Esse mettono in rilievo come il periodo delle prime attestazioni
del termine – nella sua accezione letteraria – si sovrappone all’epoca in cui è scritto l’opera
marcopoliana. Per di più, lo studioso Barbieri nota che nella redazione toscana più tardiva è
aumentato il numero di occorrenze della parola, il che conferma l’ulteriore sviluppo e
diffusione della novella come genere letterario.
Sia Segre che Barbieri inseriscono quattro racconti nel loro elenco illustrativo del genere
della novella. La storia di Aigiarne, figlia del Re Caidu, ne costituisce un bel esempio e illustra
ancora una volta la tendenza marcopoliana a sfruttare le fonti orientali adattandole al
contempo a forme più note al pubblico europeo cui è destinato il libro. Barbieri nel suo
discorso sulla storia, attira l’attenzione su un motivo particolare:
Questa donzella [Aigiarne] si era sì forte che non si trova<va> persona che vincere la
potesse di veruna pruova. Lo re suo padre sì la volle maritare; quella disse che mai non si
mariterebbe s’ella non trovasse alcuno genitle uomo che la vincesse di forza [o] d’altra
pruova. Lo re sì·ll’avea brivelleggiata ched ella si potesse maritare a la sua voluntade.58
57
POLO, M., Milione/Le divisament dou monde, cit., p.141. 58
Ivi, p. 283.
- 34 -
Si tratta infatti del trama delle caratteristiche universali, in cui un giovane deve misurarsi con
la donna forte e pericolosa prima di potersi sposare, fase ulteriore nel camino di sua vita. Lo
studioso vi riconosce una prova, ossia un rito di iniziazione noto nelle società arcaiche, che si
è sviluppato anche come tema letterario di stampa popolare e folcloristica. Barbieri si
riferisce tra l’altro a Yule che nella tradizione letteraria ha distinto altri personaggi femminili
molto simili alla figura di Aigiarne, come la Bradamante nei poemi cavallereschi italiani. Allo
stesso tempo il critico indaga sulla fonte specifica del racconto scoprendo un legame tra esso
ed altre fonti orientali. Così, conclude che la storia di Aigiarne probabilmente trova le sue
radici nella tradizione turco-mongola, l’intreccio essendo però riconducibile al contesto più
generale della folclore.
3.4 Conclusione
Concludendo, nel Milione si intreccia una varietà di forme letterarie e non, desunte dalle
fonti più divergenti – dai scritti biblici ed agiografici ai documenti pratici di mercatura. Un
tale sincretismo aumenta l’incostanza e la fragilità del testo, il che ha portato alcuni studiosi
a considerare questa caratteristica centrale del Milione come un segno del suo fallimento
letterario. Tuttavia, al contempo l’eterogeneità del testo denota il carattere eccezionale del
libro. Secondo Gioia Zaganelli «[…] al Milione è toccato in sorte di funzionare,
nell’immaginario collettivo, come testo eponimo di un genere, e sia pur di un genere che
forse non c’è»59. Dunque, la moltiplicazione dei generi non è necessariamente problematica,
quando vista come il fattore che promuove l’innovazione e in tal modo contribuisce
considerevolmente alla fortuna dell’opera poliana.
59
ZAGANELLI, G., «In margine a due recenti edizioni del Milione di Marco Polo», cit., p. 1030.
- 35 -
4. CHI HA SCRITTO IL MILIONE?
4.1 Introduzione: la doppia autorialità
L’indagine sulla genesi del Milione getta qualche luce sulle straordinarie circostanze in cui
viene composta l’opera poliana. Infatti, poco tempo dopo il ritorno in Italia, Marco è
catturato dai Genovesi durante una battaglia navale. Fatto prigioniero in carcere genovese vi
incontra Rustichello da Pisa, cui, per ragioni incerte, decide di dettare i suoi exploits nel
continente asiatico. Così, la versione originale del testo, Divisament dou monde, nasce da un
atto di collaborazione tra due autori.60
Contrariamente a quanto si potrebbe pensare oggi, la pratica di cooperazione tra due ‘autori’
era assai popolare e tipica nel caso dei resoconti di viaggio composti in epoca medievale.
Così, spiegano i critici Capusso e Barbieri, il viaggiatore spesso stabiliva un rapporto con un
letterato-scriptor cui narrò le vicende vissute. Verosimilmente si è sviluppata in tal modo la
relazione tra Marco Polo e Rustichello da Pisa. Nonostante il carattere convenzionale, la
critica Capusso insiste sul carattere eccezionale dell’alleanza tra il veneziano ed il suo
redattore e sulla difficoltà di discernere i singoli apporti nel libro. Infatti, il Milione costituisce
una tra le opere più incostanti e complesse frutti da un duplice apporto autoriale61.
Quindi, la doppia autorialità del testo pone la critica di fronte ad una problematica intricata. È
chiaro che la dialettica tra entrambe le figure ha giocato un ruolo determinante, specie
quanto alla stesura del libro. Però, le condizioni particolari in cui avviene la composizione
iniziale in carcere rimangono in gran parte ignote cosicché anche sulle modalità di
cooperazione gli studiosi possano solo formulare delle ipotesi, esprimendo al contempo le
loro riserve.
60
Le informazioni sono tratte dalla Cronologia ripresa in POLO, M., Milione/Le divisament dou monde, cit., p. XXXII. 61
Si vede i riferimenti fatti da M.G. Capusso a BERTOLUCCI PIZZORUSSO, V., «Enunciazione e produzione del testo nel Milione», cit., p. 209.
- 36 -
In questo quarto capitolo intendo puntare la mia attenzione sui principali argomenti proposti
dalla critica nelle loro ricerche riguardo al doppio apporto autoriale. In prima istanza, mi
soffermo sulla figura enigmatica di Rustichello da Pisa, che, viste le scarse conoscenze attuali
della sua persona, tende a rimanere nell’ombra del suo coautore veneziano. Poi, considero
alcune esposizioni critiche che collegano la discontinuità testuale e l’ibridismo – specie di
stampa linguistica - alla collaborazione delle due personalità, cercando anche qualche indizio
dei singoli apporti possibili e della forma precisa che essi adottano. Inoltre, le indagini sulla
rete intricata delle voci narranti aiutano a delucidare alcune difficoltà relative alla
cooperazione. Infine, esamino il problema dell’autorialità in una prospettiva più generale,
alludendo alle continue rielaborazioni e rimaneggiamenti del Milione.
4.2 La figura di Rustichello da Pisa
La critica, indagando il duplice apporto autoriale nel Milione, deve far fronte ad un primo
ostacolo sostanziale: mancano informazioni essenziali sulla vita e sulla cultura di uno dei suoi
compositori, Rustichello da Pisa, ossia Rusticiaus de Pise nella redazione franco-italiana più
affine all’originale. In un’occasione sola, nel capitolo esordiale, il libro parla della figura di
Rustichello e del rapporto stabilito in carcere tra lo scrittore pisano e Marco Polo:
E∙ssì∙vvi dico ched egli [Marco Polo] dimorò in que’ paesi bene trentasei anni; lo quale poi,
stando nella prigione di Genova, fece mettere inn-iscritto tutte queste cose a messere
Rustico da∙pPisa, lo quale era preso in quelle medesime carcere ne gli anni di Cristo 1298.62
62
POLO, M., Milione/Le divisament dou monde, cit., p. 4.
- 37 -
La studiosa Maria Grazia Capusso63 insiste sulla rilevanza del brano, quale testimone che
menziona i due coautori, la data ed il luogo dell’incontro. Informazioni cui nessun’altra fonte
si contrappone. Inoltre, il passo svela qualche notizia su quale forma prende la
collaborazione. Cesare Segre64 evidenzia come la nozione mettere inn-iscritto, con il suo
equivalente franco-italiano retraire, segnala, pure vagamente, la funzione svolta da
Rustichello. I due termini hanno il significato di ‘trascrivere’ o di ‘dare forma scritta’ e perciò
sembrano attribuire a Rustichello il ruolo di scrittore, ossia di auctor-scriptor accanto all’
auctor-dictator Marco Polo65.
Quanto alla persona di Rustichello, le affermazioni della critica si limitano al fatto che era un
uomo erudito che, conforme alle tendenze letterarie del tempo, ebbe scritto, o meglio dire
ebbe compilato un romanzo di contenuto epico-cortese, intitolato il Meliadus. Secondo
Maria Grazia Capusso e Fabrizio Cigni, questa cosiddetta Compilazione arturiana di cui ci è
rimasto il manoscritto fr. 146366, redazione più antica e più fedele all’originale, riveste un
valore singolare in ambito della coautorialità del Milione. Gli studiosi rimandano in
particolare al paragone fatto tra gli incipit delle due opere, sia tra aspetti stilistici che
linguistici. La quantità notevole di convergenze trovate costituisce la prova del ruolo
considerevole svolto dall’autore da Pisa. Eliminano, dice la studiosa appena menzionata,
l’immagine di un Rustichello posto in posizione marginale. In realtà, come dimostrava già
l’espressione mettere inn-iscritto, il letterato pisano è il redattore dell’opera, oltre a disporre
di maggiori capacità linguistiche che gli permettono di comporre l’opera franco-italiana.
63
CAPUSSO, M. G., «La mescidanza linguistica del Milione franco-italiano», in CONTE, S., (a cura di), I viaggi del
milione. Itinerari testuali, vettori di trasmissione e metamorfosi del Devisement du monde di Marco Polo e
Rustichello da Pisa nella pluralità delle attestazioni, Roma, Tielle Media editore, 2008, p. 266. 64 SEGRE, C., «Chi ha scritto il Milione di Marco Polo?», in CONTE, S., (a cura di), I viaggi del milione. Itinerari
testuali, vettori di trasmissione e metamorfosi del Devisement du monde di Marco Polo e Rustichello da Pisa
nella pluralità delle attestazioni, Roma, Tielle Media editore, 2008 , p. 7. 65 I termini auctor-dictator/auctor-scriptor sono tratti da BOLOGNA, C., «La letteratura dell’Italia settentrionale nel Duecento», cit., p.185. 66
Il ms. fr. 1463 è conservato nella Bibliothèque nationale de France di Parigi.
- 38 -
Come è anche il caso nel Divisament dou monde, Rustichello sceglie di scrivere nella lingua
d’oïl nel suo Meliadus. Esiste qualche dissenso concernente il motivo di questa scelta. Maria
Grazia Capusso si riferisce prima di tutto alle circostanze culturali dell’Italia settentrionale
nel Duecento. Secondo lei, Rustichello (insieme a Marco Polo), si rendeva conto delle più
ampie possibilità comunicative del francese, oltre alla sua fama letteraria anche in Italia.
Fabrizio Cigni rifiuta una tale tesi, mantenendo che «Rustichello non ‘sceglie’ il francese
come lingua letteraria per questioni di prestigio e leggibilità maggiori […] bensì opera su testi
arturiani già scritti in francese, assimilandone contenuti, stile e lingua […]»67. L’uso del
francese si rivela quindi la logica conseguenza delle attività compilatorie di Rustichello. Si
nota però che, nel caso del Milione, non è plausibile questa ultima asserzione, visto che il
libro poliano non si rifà direttamente ad una materia francese anteriormente scritta.
Per quel che riguarda la composizione in carcere, cui allude il brano già citato del prologo,
studiosi come Fabrizio Cigni e Maria Grazia Capusso assicurano che la pratica dello scrivere
in prigione era usuale ai tempi di Polo. Così, Rustichello non fu l’unico recluso erudito
disponendo di competenze letterarie, comunque giocando «un ruolo particolare […] nella
schiera di notai scriptores e traduttori prigionieri»68. Del resto, Fabrizio Cigni, tra le poche
persone che hanno studiato in modo più approfondito la figura di Rustichello, presuppone
che lo scriptor si sia formato in ambito monastico, probabilmente appartenente all’Ordine
dei Domenicani. Un’istruzione che abbia lasciato le sue tracce nella produzione letterario-
compilatoria del pisano.
67 CIGNI, F., «‘Prima’ del Devisement dou monde. Osservazioni ( e alcune ipotesi) sulla lingua della Compilazione
arturiana di Rustichello da Pisa», », in CONTE, S., (a cura di), I viaggi del milione. Itinerari testuali, vettori di
trasmissione e metamorfosi del Devisement du monde di Marco Polo e Rustichello da Pisa nella pluralità delle
attestazioni, Roma, Tielle Media editore, 2008, p. 227. 68
Ivi, p. 222.
- 39 -
4.3 Le modalità di collaborazione
Benché rimanga tuttora un’aria di vaghezza, non si divergono tanto le ipotesi della critica
relative alle condizioni di cooperazione tra Marco e Rustichello. Vista la mancanza di
testimoni e di fonti che chiariscono il rapporto tra i due autori, gli studiosi non possono far
altro che frugare degli indici nel libro stesso. In particolare, spiccano le ricerche al soggetto
del miscuglio linguistico accanto alle inchieste sulla pluralità delle voci narranti. Sono due
componenti perfettamente in linea con la tendenza discontinua e instabile dell’opera
marcopoliana. Discontinuità e instabilità che, tra le caratteristiche maggiori del Milione nella
sua totalità, vengono riconosciute come le possibili conseguenze del duplice apporto
autoriale.
4.3.1 Mescidanza e ibridismo, segni di una collaborazione diversificata
Intersezione tra racconto odeporico, trattato geo-etnografico, romanzo epico-cavalleresco e
manuale di mercatura, il Milione si mostra un libro composito, indefinibile in modo univoco
sul piano del contenuto come su quello strutturale, in termini stilistici come in quelli
espositivi. Di questa diversificazione sui vari livelli testuali se ne accorge anche Alvaro
Barbieri. Oltre allo statuto intermedio tra generi divergenti, Barbieri segnala il gioco sottile e
intricato delle voci narranti, la già discussa distinzione tra frammenti narrativi e descrittivi,
nonché la cosiddetta «Mischsprache»69 relativa alle lingue adoperate nel Divisament dou
monde.
Come molti altri critici, Barbieri vuole trovare una risposta alla domanda tra le più
nevralgiche negli studi attuali sul Milione: Come spiegare tale ibridismo, caratteristico
dell’opera nelle sue varie dimensioni? Lo studioso ritiene che l’aspetto svariato sia dovuto,
almeno in parte, alla cooperazione tra i due autori che senza dubbio ripartirono i compiti e le
responsabilità.
69 Il termine allude qui alla mistione nel codice F (‘franco-italiano’) tra la lingua francese e quella italiana. Infatti, il francese in cui scrive Rustichello è fortemente impregnato di italianismi, specie di venezianismi secondo la studiosa Maria Grazia Capusso; la nozione Mischsprache viene usata da BARBIERI, A., «Marco, Rustichello, il ‘patto’, il libro», in ID., Dal viaggio al libro. Studi sul Milione, Verona, Fiorini, 2004, p. 137.
- 40 -
Con la necessaria cautela, Barbieri propone quali parti siano il frutto del lavoro del
viaggiatore Marco e quali sono da attribuire al letterato Rustichello. Così, Polo sia stato
responsabile delle informazioni sul mondo orientale, o meglio dire sulle realtà asiatiche
concretamente vissute o udite per il tramite di testimoni locali. Oltre a ciò, il mercante
veneziano abbia raccolto i dati che per lui rivestivano un valore peculiare in ambito
merceologico. A Rustichello da Pisa sembra che il libro debba la sua facciata formale,
palesandosi nelle scelte stilistiche, specie nella forte affinità allo stile cavalleresco-cortese,
nonché nell’organizzazione enciclopedica. È chiaro che lo sfondo socio-culturale delle due
personalità autoriali costituisce uno dei criteri su cui si base questa ripartizione. Infatti, è più
logico che le notizie di natura pratica e concreta provengono dalla persona che ha vissuto,
durante diciassette anni, un’esperienza personale in partibus Orientis. Invece, si può
presupporre che un erudito con qualche fortuna letteraria disponga naturalmente di
capacità compositive più estese che gli permettono di elaborare le soluzioni formali.
Tuttavia, sarebbe scorretto applicare questa suddivisione sistematicamente. In un altro
contributo70, Barbieri considera troppo riduttiva una netta spartizione tra il contenuto
didascalico-informativo composto da Marco e il materiale romanzesco-fiabesco di creazione
rustichelliana. Consente anche Cesare Segre, esponendo che solo a prima vista «parrebbe di
dover attribuire a Marco l’esperienza diretta, la forza testimoniale; a Rustichello l’esperienza
della scrittura, il maneggio delle “ambages pulcerrime”; all’uno il vero, all’altro, se non il
bello, il suo senso e la sua nostalgia»71. Uno dei suoi argomenti chiarisce come Marco nelle
sue testimonianze sull’Asia subisce a priori il condizionamento della tradizione culturale in
Occidente. Anche in quelle che l’autore considera come esperienze vere e vissute si
rintracciano storie, miti e luoghi comuni sull’Oriente. Quindi, il reame del fantastico e
dell’immaginario non è la sola creazione dello scrittore pisano, vi contribuisce anche Marco
Polo. Quest’ultima costituisce soltanto una tra molte osservazioni che provano la difficoltà di
delucidare la sinergia esistente tra i due autori.
70 BARBIERI, A., «Il ‘narrativo’ nel Devisement dou monde: Tipologia, fonti, funzioni», in CONTE, S., (a cura di), I viaggi del Milione. Itinerari testuali, vettori di trasmissione e metamorfosi del Devisement du monde di Marco
Polo e Rustichello da Pisa nella pluralità delle attestazioni, Roma, Tielle Media editore, 2008, pp. 49-75. 71
SEGRE, C., Introduzione, in POLO, M., Milione/Le divisament dou monde, cit., pp. XIII-XIV.
- 41 -
Maria Grazia Capusso72 discute il problema dell’autorialità da un’angolatura linguistica. La
critica parte dall’esame del manoscritto fr. 111673, rappresentante della redazione F, la più
fededegna all’originale sia sul versante del contenuto che su quello della lingua. Registrata la
mescolanza fra tratti linguistici francesi da una parte e influssi italo-veneziani dall’altra, la
studiosa vede in questa forte osmosi linguistica il sintomo della collaborazione di due
personalità diverse non solo per la loro formazione, ma anche per la loro situazione socio-
culturale.
Di nuovo esprimendosi con la dovuta prudenza, anche Capusso cerca di scorgere le
responsabilità testuali di ognuno degli scrittori, rifacendosi in primo luogo alle loro
competenze linguistiche ed espressive. Così, sul piano lessicale la studiosa scopre una
tendenza francesizzante nelle storie di faide o di guerre e nelle altre narrazioni di impronta
sia epica che cortese. Invece, per quel che riguarda gli aspetti mercantili e l’etnografia, vale a
dire l’insieme delle tradizioni, le abitudini e le usanze del popolo mongolo, prevalgono gli
italianismi e i venezianismi. Pare che si sveli una simile distinzione fra le responsabilità
autoriali, le notizie concrete sulla vita orientale essendo attribuite al viaggiatore veneziano,
mentre il lato più romanzeggiante a Rustichello. Però, anche Maria Grazia Capusso conclude
che è impossibile distinguere chiaramente i singoli apporti degli autori.
4.3.2 La voce rammemorante o gli appunti scritti?
Inoltre, Capusso esprime il suo punto di vista sulla forma precisa che prende l’apporto di
Marco Polo. In questo dibattito, i critici si chiedono in quale misura Marco abbia dettato il
suo resoconto al suo coautore Rustichello, o se invece la maggior parte delle informazioni
nel Divisament siano tratte da annotazioni composte dal viaggiatore durante il suo soggiorno
in Asia, cui abbia aggiunto dei pezzi di ritorno in Italia. Senza giungere ad una soluzione
rassicurante, la studiosa propone qualche argomento che sembra favorire l’uso di appunti.
72
CAPUSSO, M. G., «La mescidanza linguistica del Milione franco-italiano», cit., pp. 263-283. 73
Il ms. fr. 1116 è conservato nella Bibliothèque nationale de France di Parigi.
- 42 -
Primo, segnala la quantità considerevole di notizie riportate in dettaglio nell’opera.
L’esattezza con la quale il narratore spesso descrive certi dati, esclude la possibilità che Polo
abbia ripreso unicamente quanto si ricordò a memoria del suo viaggio. Secondo, Capusso si
riferisce ad alcuni passi nel Milione che per la loro organizzazione strutturale si avvicinano ai
testi che Polo soleva comporre durante il suo soggiorno alla corte mongola, principalmente
schede mercantili e testi di carattere diplomatico. L’esempio ripreso di sotto dimostra bene
la vicinanza alle cosiddette pratiche di mercatura. Il mercante veneziano vi descrive l’uso
delle porcellane come moneta, determinando il loro valore tramite il paragone con la valuta
a lui nota.
Egli spendono per moneta porcellane bianche che∙ssi truovano nel mare e che si ne fanno le
scodelle; e vagliono le .lxxx. porcelane un saggio d’argento, che sono due viniziani grossi, e
gli otto saggi d’argento fino vagliono un saggio d’oro fino.74
Del resto, altre prove simili concernente la presenza di annotazioni scritte in Oriente sono
fornite da Alvaro Barbieri che rinvia allo studio effettuato da Franco Borlandi. In esso si
annoverano un insieme di argomenti incontestabili come la molteplicità di toponimi asiatici
sparsi attraverso il libro, la serie inesauribile di informazioni merceologiche, la
sopramenzionata assomiglianza strutturale ai libri di mercatura, ecc.
74
POLO, M., Milione/Le divisament dou monde, cit., pp. 157-158.
- 43 -
Però, Capusso suggerisce ancora un’altra possibilità che va analizzata nel contesto del già
discusso ibridismo linguistico presente nel Milione. L’uso del francese combinato ad un
numero altissimo di influssi veneziani possibilmente costituisca l’indizio di un apporto doppio
dalla parte di Marco, sia per il tramite di abbozzi scritti che per mezzo della voce dettante.
Una tale considerazione ha dato spunto alla proposizione di due ipotesi contrastanti. In
generale, i critici attribuiscono la presenza dei venezianismi all’intervento orale di Marco
Polo, allorché le note marcopoliane, versate più tardi in forma letteraria da Rustichello, siano
scritte in un francese quale era noto al ceto mercantile nella Venezia duecentesca. Ma ad
alcuni studiosi pare più logico che Marco abbia fatto delle annotazioni nel dialetto veneziano
cui era abituato e che permettessero poi a Rustichello di fare delle aggiunte alle parti dettate
da Polo in un francese povero75.
Anche Cesare Segre76 in un suo articolo dedicato alla tematica autoriale, sembra ritenere il
più plausibile un apporto marcopoliano sia orale che scritto alla creazione dell’opera – senza
però insistere sull’aspetto linguistico. Così, Rustichello avesse ricevuto di Marco delle note
precise, servendo come base alla materia descrittiva del Milione. Marco abbia poi esposte in
modo orale delle leggende orientali, delle storie di battaglie ed altre narrazioni, trasformate
da Rustichello in forma letteraria.
75 Tale ipotesi è proposta dal conte Baldelli Boni già nel 1827, si vede BALDELLI BONI, G. B., Il Milione di Marco
Polo, Firenze, Pagani, 1827.; di data più recente il saggio di BARBIERI, A., «Marco, Rustichello, il ‘patto’, il libro», cit., pp. 138-139. 76
SEGRE, C., «Chi ha scritto il Milione di Marco Polo?», cit., pp. 5-16.
- 44 -
4.3.3 La «polivocità dell’enunciazione»
Un altro fattore che complica una chiara assegnazione dei contributi autoriali risiede nella
situazione enunciativa. Chi legge attentamente il libro poliano si accorge del sistema
intricato di voci narranti che permette di parlare di una «polivocità dell’enunciazione»77.
L’espressione è applicata da Cesare Segre che in un suo studio cerca di determinare chi parla
nel Milione. Tra le conclusioni principali Segre sottolinea che una circoscrizione netta di
Marco Polo come testimone e di Rustichello come autore non si giustifica sempre.
Considerando le principali redazioni – il testo franco-italiano (codice F), il codice latino (Z) e
la versione toscana (T) – lo studioso focalizza gli interventi in terza e specie in prima persona.
Chiariamo la visione di Segre tramite alcune riprese testuali del Milione toscano, confermate
dalla versione F:
Or sappiate che ’l Grande Kane mandò per ambasciadore messer Marco verso ponente. E
part[i]ssi di Canbalu, e andòe bene .iiij. mesi verso ponente; però vi conterò tutto quello
ch’egli vide in quella via andando e tornando78
In questa attestazione, Polo compare in terza persona intitolato messer Marco. Accanto a
questa terza persona si palesa il narratore annunciando in prima persona che «conterò»
tutte le cose che vide Marco. Tale sembra la struttura logica e basilare che ritorna a più volte
nel testo. L’Io narrante vi è assimilabile alla figura di Rustichello che narra le vicende vissute
e raccontate da Marco Polo, protagonista rappresentato in terza persona. Ma altrove nel
libro si realizzano costruzioni che contestano la logica delle voci enuncianti.
Gangala è una provincia verso mezzodie, che negli anni Domini .mcclxxxx. che io Marco era
ne la corte del Grande Kane, ancora no l’avea conquistata […]79
Ed i’ vi conterò per ordine ciò che la scrittura contenea; e tutto è vero però ch’io Marco lo
vidi poscia co mi’ occhi.80
77 SEGRE, C., Introduzione, in POLO, M., Milione/Le divisament dou monde, cit., p. XII. 78 POLO, M., Milione/Le divisament dou monde, cit., p. 138. 79
Ivi., pp. 167-168. 80
Ivi, p. 196.
- 45 -
Nei passi citati, il nome di Marco si collega chiaramente alla prima persona, indice del
narratore che afferma la sua presenza. Oltre a questi casi, pullulano le occorrenze di un Io
narrante che, se non letteralmente associato al nome di Marco, si riferisce decisamente al
viaggiatore veneziano. Nell’ esempio seguente, non esiste nessun dubbio che l’identità della
voce narrante in prima persona è quella di Marco Polo.
Dicomi certi mercatanti che vi sono iti, che v’à uccelli grifoni, e questi uccelli apaiono certa
parte dell’anno, ma non sono così fatti come si dice di qua, cioè mezzo uccello e mezzo
lione, ma sono fatti come aguglie, e sono grandi com’io vi dirò.81
Il narratore si presenta in quanto testimone che ha udito parlare dell’uccello grifone e
condivide con il lettore la sua esperienza personale. Come annunciava il prologo, Marco non
«conta» solo le cose che ha osservate, ma anche «quelle cose le quali elli non vide, ma udille
da persone degne di fede»82, come appunto dei mercanti incontrati per strada.
Secondo Segre, tale apparizioni di un Marco Polo assimilato all’Io narrante costituiscono
rivendicazioni dell’autorialità dalla parte del viaggiatore-protagonista. Perciò, conclude che il
lavoro di scrittura non è svolto soltanto da Rustichello da Pisa. Si tratta di una vera
cooperazione creativa che si intreccia e si alterna, un «work in progress»83 in cui vengono
aggiunti nuovi pezzi o in cui si riferisce a aneddoti omessi precedentemente. Un’opera
letteralmente infinita, quindi il critico insiste anche sull’intervallo assai breve in cui viene
composta. Le due figure collaborano durante il periodo di un anno, il che naturalmente ha
delle conseguenze riguardo alle modalità di composizione.
81 POLO, M., Milione/Le divisament dou monde, cit., p. 270. 82
Ivi, p. 2. 83
SEGRE, C., «Chi ha scritto il Milione di Marco Polo?», cit., p. 12.
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4.4 La tradizione poliana: il Milione nei suoi numerosi varianti
Vittima della sua fortuna, il Milione conosce una lunga e intricata tradizione manoscritta
composta da varie riscritture e rimaneggiamenti in lingue e dialetti diversi – dalle traduzioni
in latino ai volgarizzamenti nei dialetti veneto e catalano, persino nelle lingue tedesca ed
inglese – procurando un totale di oltre 130 codici84.
Se analizzata sotto quest’angolo, la problematica dell’autorialità adotta dimensioni ancora
più complesse. Allora il Milione – nella grande varietà delle attestazioni – non costituisce più
il frutto di un’unica collaborazione fra due autori. È il risultato delle tante letture fatte in cui,
dice Cesare Segre, i ricettori accentuano gli aspetti, già presenti nel libro, che meglio
corrispondono ai loro interessi. In tal modo, l’opera può prendere la forma del trattato
storico-geografico, dell’etnografia, del romanzo fantastico ossia del diario, ecc. Concorda
Alvaro Barbieri, accennando che ognuna delle redazioni rielaborate dai copisti ha un
carattere singolare che dipende «[dal]le esigenze, [dal]le preferenze e [da]i gusti di un
determinato ambiente ricettore»85. Lo studioso fornisce anche alcuni esempi. Così, in un
ambiente più marcatamente borghese-mercantile viene composto il testo toscano, in cui
maggiore attenzione è prestata ai dati commerciali e al genere nascente della novella. Se ne
distingue la versione latina scritta da Francesco Pipino da Bologna. Riscritto in ambito
monastico, il testo si dirige verso la cerchia dei religiosi e dei dotti, comportando anche delle
scelte stilistiche e contenutistiche conformi.
84
Si vede SEGRE, C., Introduzione, in cit., p. XV. 85
BARBIERI, A., «Marco Polo e l’Altro», in ID., Dal viaggio al libro. Studi sul Milione, Verona, Fiorini, 2004, p. 158.
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In questo contesto assumono una rilevanza peculiare alcune riflessioni fatte da Loredana
Polezzi. La studiosa chiama l’opera poliana «un archetipo della traduzione»86. Un archetipo,
perché con l’originale perduto, il Milione ottiene tutto il suo significato tramite le varie
traduzioni che mantengono vive le parole di Marco Polo. Piuttosto che un testo, il libro
costituisce un metatesto, composizione in cui si incrociano produzione e ricezione,
interpretazione testuale e deformazione. La virtualità della versione originale ha portato alla
continua rinnovabilità del testo. Perciò, riguardante la domanda «Chi ha scritto il Milione?»,
la studiosa si riferisce alle parole di Mary Campbell, considerando che l’opera è «il prodotto
collettivo di un’intera cultura [europea]»87.
86 L’espressione è tratto dall’articolo di POLEZZI, L., «Marco Polo: mito e ricezione, sé ed altro», in ImagEuro,
2001. Si tratta di un annuario elettronico coordinato da "Immaginare l'Europa", Network ispirato da Antonio Ruberti (il Commissario Europeo ideatore dei Programmi Socrates e Leonardo) con il sostegno della Commissione Europea – Direzione Istruzione e Cultura: http://www.imageuro.net/mediaterraneo/archivio/secolo/pdf/polezzi.pdf (ultima verifica: 25-07-2010) 87
CAMPBELL, M. B., The Witness and the Other World, Ithaca and London, Cornell University Press, 1988, pp. 92-93.
- 48 -
5. MARCO POLO E IL CONFRONTO CON ‘L’ALTRO’
5.1 Introduzione: culture a confronto
Il Milione costituisce il punto d’incontro fra una diversità di soggetti, di generi e di voci
narranti, elementi che conferiscono al libro un carattere del tutto particolare e insolito. Però,
il libro svela la sua faccia più eccezionale e forse anche più attuale tramite il confronto,
presente in modo intrinseco, di due mondi per molti aspetti divergenti. Marco Polo, quando
viaggia in Oriente, vi incontra popolazioni straniere, osserva una fauna e flora spesso mai
viste e vi conosce le usanze, i riti e le tradizioni secolari che al contempo lo spaventano e lo
affascinano. Esponente del mondo e della cultura occidentale che ha le sue radici e la sua
identità proprie, il mercante «latino» è bagnato nell’atmosfera straniante del continente
orientale in gran parte ignoto al pubblico dell’Europa medievale.
Di seguito, si impone la questione centrale di questo ultimo capitolo: Come Marco Polo
rappresenta quel mondo a lui sconosciuto? In che senso è condizionato dalla mentalità e
dalla cultura occidentali nel Duecento? Quali sono le modalità tramite cui il viaggiatore
stabilisce un rapporto con ciò che è ‘altro’? Cosa significa la nozione «esotico»? Quindi, una
serie di domande interconnesse che, fornite le risposte, precisano il ruolo di interprete
interculturale che assume l’autore del Divisament dou monde.
- 49 -
5.2 Marco Polo e l’esotico
In quanto enciclopedia del mondo asiatico, è logico presupporre che la materia raccolta nel
Milione appartiene alla categoria dell’esotismo. Tuttavia, è necessario specificare cosa si
sottintende con il termine ‘esotico’. Barbieri88 spiega che non vale assimilare la nozione al
suo significato generale di ‘straniero’, visto che certi aspetti della vita in Oriente descritti da
Polo non si differenziano dai loro equivalenti europei. Secondo lo studioso, è più corretto
parlare dell’esotico nel senso di ‘ciò che è diverso’. Permette poi di eliminare gli elementi
asiatici in sé non difformi dalle loro corrispettive in Occidente duecentesco.
Tenuta conto della restrizione imposta sul significato di ‘esotico’, andiamo alla ricerca
nell’opera poliana. Ancora il critico Barbieri ritiene che Polo raffigura l’esotico in due modi
diversi a secondo del grado di vicinanza al concetto asiatico. Il primo metodo si adopera nel
caso in cui i componenti orientali sono diversi dal loro correlativo endotico, ma presentano
ancora un numero considerevole di analogie. Infatti, svolgendo i suoi incarichi,
l’ambasciatore alla corte mongola osserva delle pietre, delle piante o degli animali noti, che
mostrano però qualche discrepanza. Allora, Polo li registra applicando alcune modifiche
all’oggetto familiare.
D’ogne cosa ànno grande abondanza: ànno zizibe e galanga oltre misura, ché per .j.
viniziano grosso se n’avrebbe ben .lxxx. libbre di zizibe.89
Qui si à bestie divisate dall’altre […] e sì v’à paoni e galline più belli e più grandi de’ nostri.90
E v’à buoi salvatichi che sono grandi come leofanti, e∙ssono molto begli a vedere, ché egli
sono tutti pilosi, fuor lo dosso, e sono bianchi e neri, lo pelo lungo .iij. palmi: e’ sono sì begli
ch’è una meraviglia. […] e ànno forza due cotanto che gli altri.91
88 Le considerazioni di Alvaro Barbieri provengono da BARBIERI, A., «Marco Polo e l’Altro», in ID., Dal viaggio al
libro. Studi sul Milione, Verona, Fiorini, 2004 cit., pp. 157- 175. 89 POLO, M., Milione/Le divisament dou monde, cit., p. 206. 90
Ivi, p. 259. 91
Ivi, p. 87.
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Nei suddetti brani, Polo descrive in termini quantitativi la distinzione tra le spezie (esempio 1)
o tra gli animali (esempio 2 e 3) di cui si accorge. Nel primo esempio, Polo ricorre all’idea di
abbondanza parlando delle spezie, come lo «zizibe» e la «galanga» nel reame di Fugiu –
l’attuale Fu-chou nel Mangi. Nel secondo e nel terzo esempio appare la figura dell’ipertrofia:
l’autore vi si riferisce alla grandezza smisurata, ossia alla forza o alla bellezza degli animali,
facendo il confronto, nel secondo caso, con i «nostri» animali. Come sottolinea Barbieri, con
tali descrizioni, Polo sembra alludere alla ricchezza stupefacente nelle contrade asiatiche,
collegandola spesso ad espressioni del genere «che è una meraviglia» o «che ogn’uomo ne
dovrebbe pigliare maraviglia »92. Vuole condividere con il pubblico occidentale i suoi
sentimenti di ammirazione provati di fronte alle prosperità naturali dell’Asia.
Concernente la prima modalità di rappresentare l’esotico, vi si figurano ancora altri casi dove
lo scrittore-enciclopedista non ricorre ad espressioni quantitative, però effettuando un
medesimo processo di assimilazione alle concezioni consuete, sicché il lettore possa crearsi
un’immagine approssimativa delle peculiarità esotiche.
Le loro navi sono cattive e molte ne pericala, perché non sono confitte con aguti di ferro,
ma con filo che si fa della buccia delle noci d’India […]93
E quive àe montagne ove li falconi pelegrini fanno loro nidio, né no v’à se no una
generazione d’uccegli, de che si pascono quegli falconi, e son grandi come pernice, e
chiamansi bugherlac; egli ànno fatto li piedi come papagallo, la coda come rondene, e
molto sono volanti.94
Il primo passo esemplifica l’impiego del nome geografico per indicare una differenziazione
dal prodotto conosciuto. Il narratore segnala l’uso delle noci di cocco nella costruzione delle
navi, perciò ricorrendo alla nozione del noce, varietà comune nell’Europa del Duecento che
più si avvicina alle caratteristiche del noce denominato «d’India». Nel secondo brano,
l’autore applica una tecnica del tutto particolare per descrivere l’aspetto dei «bugherlac».
Scompone la fisionomia dell’uccello, ragguagliando le singole parti del corpo con quelle di
uccelli che fanno parte della fauna occidentale.
92 POLO, M., Milione/Le divisament dou monde, cit., p. 159. 93 Ivi, p. 43. 94
Ivi, p. 86. L’esempio è citato anche nel saggio di BARBIERI, A., «Marco Polo e l’Altro», cit., p. 162.
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In altre occasioni, però, le realtà esotiche si distanziano talmente che è impossibile
riconoscervi delle somiglianze convincenti. Durante il suo soggiorno, il mercanto veneziano
spesso si sia sconcertato quando confrontato ad animali stravaganti o a gente dell’aspetto
insolito con pratiche estranee al «latino». Insomma, Polo è immerso nella dimensione
dell’ignoto in cui non si può affidare alla sua esperienza quotidiana. Dunque, è logico che in
questi casi più si palesi il condizionamento culturale del viaggiatore europeo.
5.3 Lo sguardo con gli occhi della cultura
Il discorso, esposto all’inizio95, sulla rappresentazione del mondo orientale ai tempi di Marco
Polo, svelava già come Sacre Scritture, autori classici e tradizione enciclopedica creano e
continuano per secoli a nutrire luoghi comuni e false credenze riguardo alle contrade
lontane e ignote del Levante. Inoltre, tali scritti riflettono la consuetudine, perdurante nel
Duecento occidentale, di una lettura in chiave allegorica. L’allegoria, figura che versa in
forma concreta dei concetti difficilmente afferrabili, costituisce lo strumento per eccellenza
per rendere comprensibile ad un pubblico, prevalentemente incolto, gli insegnamenti biblici
e moralizzanti della Chiesa cattolica. Così, in epoca medievale erano considerati altrettanto
reali il leone quanto ad esempio la figura della fenice, essendo ambedue allegorie esemplari
di Cristo Salvatore96.
95
Si vede 2.2: « La rappresentazione del mondo orientale». 96
Le due allegorie vengono menzionate da Umberto Eco nell’articolo «Il “Milione”: descrivere l’ignoto», cit.
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Marco Polo, uomo del suo tempo, quando osserva le realtà esotiche, anche lui subisce
l’influenza dell’eruditismo tradizionale e delle idee culturali prefissate. Marcello Ciccuto97
analizza come, specie nella rappresentazione delle Indie – maggiore, minore e mezzana –
l’immaginario fantastico compare in una frequenza significativamente maggiore,
contrariamente a quanto Polo comunica sul regno mongolo. Lo studioso fornisce la prova
delle sue affermazioni riferendosi al modo in cui vengono descritte le risorse naturali della
regione indiana. Infatti, oltre alle notizie sull’abbondanza delle specie vegetali come animali
sull’isola di Giava – un esempio qualsiasi, si legge tra l’altro questo passo dove Polo ritrae il
palazzo dorato del signore di Zipangu – l’attuale Giappone:
Qui si truova l'oro, però n'ànno assai; neuno uomo no vi va, però neuno mercatante non ne
leva: però n'ànno cotanto. Lo palagio del signore de l'isola è molto grande, ed è coperto
d'oro come si cuoprono di quae di piombo le chiese. E tutto lo spazzo de le camere è
coperto d'oro grosso ben due dita, e tutte le finestre e mura e ogne cosa e anche le sale: no
si potrebbe dire la sua valuta.98
97 CICCUTO, M., «Codici culturali a confronto nell’enciclopedia di Marco Polo: Il ‘caso India’», in CONTE, S., (a cura di), I viaggi del Milione, cit., pp. 205-218. 98
POLO, M., Milione/Le divisament dou monde, cit., pp. 216-217.
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L’enfasi sulla profusione d’oro, insieme all’insistenza sulla ricchezza naturale in vari episodi
sulle Indie, non vengono espresse a caso dal narratore. Costituiscono i simboli di tutto un
immaginario collettivo medievale. Con questo tipo di raffigurazione, continua Ciccuto, Polo
aderisce ad una tendenza tradizionale che rispecchia nell’abbondanza delle contrade lontane
dell’estremo Oriente una specie di forma climatologica e biologica ideale. Di più, queste
terre, si credeva, simboleggiavano una saggezza e un’intelligenza oltre misura, come
dimostrano tra l’altro le notizie sul brahmano. La storia, pur desunta in gran parte da fonti
attendibili, svolge al contempo una funzione idealizzante, rappresentando la figura induistica
del brahmano come modello esemplare di santità e ascetismo. Conforme alle enciclopedie
medievali, Polo allude insomma ad uno stato di perfezione, quasi di società utopica – senza
voler parlare in termini troppo marxisti – cui la ‘corrotta’ cultura occidentale potesse
aspirare. Anche se questa interpretazione di Ciccuto mi pare un po’ forzata, è chiaro
nondimeno la volontà di collegare a queste parti del continente asiatico l’immagine onirica
di uno spazio sospeso, in armonia, espressione di un Paradiso Terrestre99.
99 Si vede 2.2: «La rappresentazione del mondo orientale». Nella cartografia medievale, di forte impronta religioso-filosofica, il Paradiso Terrestre viene effettivamente situato nelle parti orientali più desolate, quasi si trovassero alla fine del mondo.
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Quindi, già in superficie il lettore può ritrovare le tracce di un condizionamento culturale che
influenza in modo sostanziale la percezione marcopoliana dell’alterità orientale. Barbieri
precisa che oltre gli influssi interni, come la coscienza occidentale e il contesto cattolico che
contribuiscono a formare la persona e la mentalità dell’autore, giocano in misura altrettanto
significativa certi fattori esterni. D’una parte, lo studioso menziona la collaborazione con
Rustichello da Pisa, che, figura colta e istruita, molto probabilmente rafforzava i clichés
persistenti sull’Oriente meraviglioso. Riassumendo nella sua introduzione al Milione100,
Cesare Segre parla di un contrasto doppio. Non solo «nello spirito di Marco» che narra le sue
testimonianze mescolandole a volte con frammenti di libri tradizionali, ma anche tra i due
coautori, che ognuno di essi hanno la loro formazione e le loro obiettivi letterari propri.
D’altra parte, un elemento spesso dimenticato sono i destinatari dell’opera letteraria.
Quando scrive, Polo deve rispondere alle attese di un pubblico abituato ai mirabilia orientali.
Perciò, con le parole argute di Marcello Ciccuto, è necessario «fondare un generale ‘schema
di ammirabilità’ che va esplorato, letto insomma, proprio nella direzione dei bisogni, delle
tendenze tipici di una cultura precisa»101.
5.4 «Una retorica dell’alterità»102
Nonostante la cultura del tempo, insieme alla difficoltà in generale di rendere palpabile una
realtà ‘altra’ e sconosciuta, Marco Polo sa cogliere nel suo resoconto un nucleo di autenticità.
Le sue notizie sul continente asiatico svelano un approccio singolare, più aperto e più
oggettivante, il che lo contraddistingue da gran parte dei suoi colleghi-autori. Al riguardo,
sono molti i critici che rinviano al clima mercantile in cui è cresciuto il viaggiatore veneziano.
Come già discusso più ampiamente in esordio, l’intensificarsi dei rapporti commerciali fa
emergere la nuova classe potente della borghesia mercantile. Costituisce un universo che,
contrario ai dogmi della cultura tradizionale, è molto più pragmatico. Consentono tra l’altro
Segre, Eco e Nunzio Famoso che Polo ne eredita la curiosità di scoprire il diverso ed al
contempo la freddezza di osservarlo e di farne il ritratto più accurato possibile.
100 SEGRE, C., Introduzione, in POLO, M., Milione/Le divisament dou monde, cit., p. XV. 101
CICCUTO, M., «Codici culturali a confronto nell’enciclopedia di Marco Polo: Il ‘caso India’», cit., p. 208. 102
L’espressione è tratto dall’articolo di POLEZZI, L., «Marco Polo: mito e ricezione, sé ed altro», cit.
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Certo, una tale attitudine non dota il mercante di capacità descrittive irreprensibili. Per dare
significato all’altro sconosciuto, spiega Lucia Battaglia Ricci103, Polo inevitabilmente adopera
un vocabolario che gli è proprio, desunto appunto dalla lunga catena di opere
enciclopediche. Di conseguenza, quello che pare a prima vista la narrazione di una delle
tante meraviglie dell’immaginario occidentale, si rivela l’osservazione critica e per lo più
imparziale delle specie esotiche, a volte spazzando in tal modo i pregiudizi esistenti.
L’illustrazione per eccellenza è quella famosa dell’unicorno, menzionata tra l’altro da
Umberto Eco:
Elli ànno leofanti assai salvatichi e unicorni, che no son guari minori d’elefanti: e’ son di pelo
bufali, i piedi come di lefanti; nel mezzo de la fronte ànno un corno grosso e nero. E dicovi
che no fanno male co quel corno, ma co la lingua, che l’ànno spinosa tutta quanta di spine
molto grandi; lo capo ànno come di cinghiaro, la testa porta tuttavia inchinata ve<r>so la
terra: sta molto volentieri tra li buoi. Ell’è molto laida bestia, né non è, come si dice di qua,
ch’ella si lasci prendere a la pulcella, ma è ’l contradio.104
La forza del discorso Poliano, dice Eco, sta nel dire le cose come stanno. Comprensibilmente,
Polo crede riconoscere l’unicorno di cui ha probabilmente sentito parlare in uno dei bestiari.
Nondimeno, nel testo applica di nuovo la tecnica anzidetta della scomposizione tramite cui si
palesa gradualmente la descrizione tutta autentica del rinoceronte. Inoltre, l’autore contesta
simultaneamente la fiaba dell’unicorno come animale selvaggio che può esser ammansito
solo da una fanciulla. Nel Milione, Polo descrive il grifone, «ma non sono così fatti come si
dice di qua, cioè mezzo uccello e mezzo lione»105. Parla della salamandra, ma «nonn-è bestia,
come si dice, che vive nel fuoco, ché neuno animale puote vivere nel fuoco»106. Così, si
moltiplicano gli esempi di carattere simile in cui il nostro osservatore critico nega
sistematicamente lo sfondo leggendario documentato nelle dottissime enciclopedie.
103 BATTAGLIA RICCI, L., «Del Madagascar, dell’uccello grifone, delle donne cinesi e di altro ancora», in Studi di
filologia italiana in onore di Gianvito Resta, MASIELLO, V., (a cura di), t. I, Roma, Salerno Editrice, 2000, pp. 3-25. 104 POLO, M., Milione/Le divisament dou monde, cit., p. 227. 105
Ivi, p. 270. 106
Ivi, p. 70.
- 56 -
Sottraendo le realtà osservate alla loro connotazione mitica e favolosa, Marco Polo
preannuncia un genere. Concordano critici come Eco e Barbieri che lo scrittore riesce –
sebbene non sempre – ad abolire qualsiasi senso allegorico o moralizzante. Una tale
mentalità moderna pare esser aliena, per lungo tempo, al pensiero corrente che solo a poco
a poco si abituava alle realtà orientali documentate, giunte in Europa. Una prova essenziale
costituisce l’iconografia cui alludono entrambe gli studiosi sunnominati. Certi manoscritti
raccolgono le storie narrate dal viaggiatore veneziano, accompagnati di miniature illustrative.
Però, anziché raffigurare delle immagini fedeli alle descrizioni testuali, il miniatore persiste
nei stereotipi convenzionali e disegna – riprendiamo il primo esempio – l’unicorno con il
corpo di cavallo ed il corno attorcigliato in mezzo alla fronte, sempre tenendo in mente il
simbolismo della creatura divina. Viene a sottolineare la forza perdurante del pensiero
allegorico, una pittura del seicento dipingendo l’unicorno sul grembo della Vergine.
Nel contesto della rappresentazione dell’ignoto, è particolarmente significativo il contributo
di Loredana Polezzi107. Parlando del modo in cui Marco Polo cerca di render comprensibili le
creature, i popoli e i riti del continente asiatico, la studiosa si riferisce ad un’ espressione di
Hartog: «la retorica dell’alterità». Una retorica che consiste nel dare forma all’‘altro’ per
mezzo di «tecniche narrative come l’inversione […], la comparazione, l’analogia,
l’imposizione del nome, la classificazione […]»108. Dell’inversione – vale a dire l’opposizione
ad esempio della salamandra che ‘non è animale nel fuoco’, ma che ‘è un tessuto di amianto’
– o dell’abbondanza di analogie cui si riferisce l’autore, si ritrovano illustrazioni di sopra.
Però, anche dall’ampio serbatoio di ragguagli tra le pratiche orientali e quelle dell’Occidente
è interessante scegliere un esempio rappresentativo. Nel brano qui sotto il narratore segnala
la presenza di cristiani nestoriani in Oriente, facendo il raffronto con la Chiesa ed il Papa di
Roma:
107
POLEZZI, L., «Marco Polo: mito e ricezione, sé ed altro», cit. 108
Ibidem.
- 57 -
Un’ altra gente v’à che tengono la legge cristiana, ma no come comanda la chiesa di Roma,
ma fallano in più cose. Egli sono chiamati nestorini e iacopi; egli ànno uno patriarca che si
chiama Iacolic, e questo patriarca fa vescovi e arcivescovi e abati; e fagli per tutta India e
per Baudac e per Acata, come fa lo papa di Roma.109
Quindi, la «retorica dell’alterità» costituisce un insieme di mezzi adoperati nello scopo di
conoscere e di far conoscere un mondo, ma non è tutto. La studiosa precisa che in essa
risiede un’ambiguità fondamentale. È vero che, svolgendo una funzione di interprete
culturale, Polo occupa una posizione privilegiata, perché, a differenza del nativo, è uscito
fuori dal proprio orizzonte conoscitivo e dispone della capacità di distinguere, di fare
raffronti. Simultaneamente però, il nostro viaggiatore finisce per manipolare le realtà
attestate. Poiché la raffigurazione dell’alterità sempre intende un processo di traduzione in
cui il traduttore non è testimone innocente. Con le parole inequivocabili di Salman Rushdie:
«La descrizione è di per sé un atto politico, […] ridescrivere un mondo è il primo
indispensabile passo per cambiarlo»110. A questa tendenza manipolatoria non contribuisce
soltanto il già accennato condizionamento culturale, ma anche il fatto che l’autore
semplicemente non può narrare tutto, deve fare delle scelte che influenzano il modo in cui
viene ricevuto l’altro. Acciò si aggiunge il ruolo ambiguo di insider – outsider111
cui Polo è
sempre destinato. Non appartiene più interamente alla cultura originaria, tuttavia non
aderendo neanche a quella che esplora.
In tale prospettiva, il Milione si svela come un intreccio continuo tra il Sé e l’Altro. La retorica
dell’alterità è quella del gioco di contrasti tra il noto e l’ignoto, tra l’abituale e il diverso, lo
straordinario. Il viaggiatore si appropria del mondo altrove solo per il tramite delle norme e
dei concetti che gli sono familiari. Parte dal Sé per rendere intelligibile l’Altro. A proposito,
sono molto significative le considerazioni di Italo Calvino che in una riscrittura del testo
poliano immagina il dialogo fra Marco Polo ed il Gran Khan Kublai. In esso l’ambasciatore
informa il governatore delle varie città visitate:
109 POLO, M., Milione/Le divisament dou monde, cit., pp. 26-27. 110 RUSHDIE, S., Imaginary Homelands, London, Penguin, 1991, pp. 13-14. 111
Loredana Polezzi allude ai termini insider/outsider utilizzati da CLIFFORD, J., «Traveling Cultures», in GROSSBERG, L., e. a., (a cura di), Cultural Studies, New York & London, Routledge, 1992, pp. 96-116.
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Ma quel che è certo è che chi abita Zenobia e gli si chiede di descrivere come lui vedrebbe
la vita felice, è sempre una città come Zenobia che egli immagina, con le sue palafitte e le
sue scale sospese, una Zenobia forse tutta diversa, sventolante di stendardi e di nastri, ma
ricavata sempre combinando elementi di quel primo modello.112
Nel brano di sopra, Marco parla di una certa città, Zenobia, spiegando come l’abitante
sempre immaginasse la città ideale a partire da elementi di «quel primo modello».
Un’affermazione simile vale anche per Marco Polo stesso, come illustra il seguente
frammento dalle Città Invisibili in cui il Khan si chiede perché Polo non parla mai di Venezia:
– Ne resta una [città] di cui non parli mai. […] Venezia, – disse il Kan. Marco sorrise. – E di
che altro credevi che ti parlassi? […] – Eppure non ti ho mai sentito fare il suo nome. – Ogni
volta che descrivo una città dico qualcosa di Venezia. […] Per distinguere le qualità delle
altre, devo partire da una prima città che resta implicita. Per me è Venezia.113
Costituisce uno degli episodi più citati dai critici114 che procedono al confronto tra Le città
invisibili ed il Milione poliano. Un passo celebre, perché chiarisce il rapporto intrinseco tra il
proprio orizzonte conoscitivo e quello sconosciuto che il viaggiatore sta scoprendo. Per
Marco Polo è sempre la città originaria di Venezia che serve come fondamento.
Attraversando il continente asiatico, riconosce le tracce della Serenissima in ogni altra città
che visita. Un approccio, considera Barbieri, che permette di avvicinare i due mondi in molti
aspetti contrastanti, accorciando la loro distanza.
112
CALVINO, I., Le città invisibili, Milano, Mondadori, 1993, p. 34. 113
Ivi, p. 88. 114 Si vede gli apporti di POLEZZI, L., «Marco Polo: mito e ricezione, sé ed altro», cit.; PASQUINELLI D’ALLEGRA, D., «Verso l’altro e l’altrove. Percorsi di formazione geografica interculturale sulle tracce di Marco Polo», in DE
VECCHIS, G., (a cura di), Verso l’altro e l’altrove. La geografia di Marco Polo, oggi, Roma, Carocci editore, 2005, p. 80; CAPUZZO, E., «Marco Polo e “Le città invisibili” di Italo Calvino», in PALAGIANO, C., e.a., (a cura di), L’impresa di
Marco Polo. Cartografia, viaggi, percezione, Roma, Tielle Media editore, 2007, pp. 149-157.
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Per di più, da questo punto di vista si spiega anche la dimensione meravigliosa che Polo
attribuisce a gran parte delle sue scoperte esotiche. Generalmente, Polo si riferisce ai
mirabilia, non come espressioni stereotipiche del immaginario tradizionale sul Levante. Il
termine “meraviglia” viene piuttosto utilizzato per dare rilievo al carattere eccezionale
dell’alterità orientale. È lo strumento che permette di misurare e di indicare la distanza tra
l’ordinario occidentale e la straordinaria realtà esotica. Infatti, le meraviglie nel Milione sono
necessarie perché senza esse, «l’altrove non sarebbe più l’altrove»115. Sono, come continua
la studiosa Polezzi, «il reale dell’altro». Cesare Segre condivide questa opinione. Lo studioso
ammette che il Milione è un Livre des merveilles du monde116, però non nel senso cui l’ha
dato il pubblico ricettivo dell’opera nei secoli successivi. Se le contrade del Levante
assumono dimensioni fiabesche, significa che Marco Polo, entrato in quel mondo tutto fuor
del comune, semplicemente vede le cose nella loro prospettiva.
Infine, la retorica dell’alterità si lascia analizzare anche in senso inverso. La descrizione
dell’altro, dice Polezzi, serve come mezzo di autodefinizione. Esplorando i paesi al limite del
mondo, l’ambasciatore del continente europeo inconsapevolmente vi proietta la sua
mentalità. Così, tramite l’Altro l’uomo cerca sempre di stabilire e di ridefinire l’identità
propria sia individuale che collettiva. È come sottolineano anche le parole di Nunzio
Famoso117. Il viaggio forse prima di tutto costituisce un percorso mentale in cui il noto è
confrontato con l’ignoto. Inevitabilmente si incrociano allora le dimensioni del fantastico e
del reale in un tentativo finale non solo di conoscenza del mondo, ma anche di ricerca di se
stesso.
115 HARTOG, F., The Mirror of Herodotus, Berkeley, University of California Press, 1988, pp. 212-259. 116 All’opera poliana viene accordata anche il titolo Livre des merveilles, si vede SEGRE, C., Introduzione, in POLO, M., Milione/Le divisament dou monde, cit., p. XIX. 117
FAMOSO, N., «L’uomo errante: “Il Milione” e la sua modernità», cit., pp. 101-102.
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5.5 Marco Polo e l’imagologia dell’Asia
Il Milione di Marco Polo riveste un valore innegabile nel contesto degli studi dell’imagologia.
Come specifica il dizionario sul sito dell’Università di Palermo, dedicato agli studi culturali, il
concetto di imagologia copre «la vastità degli aspetti e dei metodi scientifici con riferimento
ai tanti fattori che convergono nella formazione dell’immagine che un uomo si fa dell’altro,
un gruppo sociale dell’altro, un popolo dell’altro, una razza dell’altra […] »118. L’imagologia
conosce una lunga storia e riflette l’evoluzione della nostra conoscenza sui rapporti che
uomini e culture stabiliscono tra di loro.
Come spiega Manfred Beller, introducendo il concetto dell’imagologia119, la disciplina parte
dalla premessa che la nostra percezione e la nostra valutazione sono condizionate a priori.
Un insieme di concezioni e stereotipi, originati dalle possibili tensioni esistenti tra sé e l’Altro,
provocano una visione selettiva dell’ambiente circostante. In tal modo, l’individuo o il
gruppo osserva in funzione di una sua distinta prospettiva, il che naturalmente si rispecchia
nel suo giudizio sull’altra cultura:
Our images of foreign countries, peoples and cultures mainly derive from selective value
judgments (which are in turn derived from selective observation) as expressed in travel
writing and in literary representations.120
118 La spiegazione del termine è tratta dal dizionario del sito dedicato agli studi culturali, coordinato dal Dipartimento di Arti e Comunicazioni dell’Università degli Studi di Palermo: http://www.culturalstudies.it/dizionario/lemmi/imagologia.html (ultima verifica: 25-07-2010). 119 LEERSSEN, J., «Imagology: History and method», in BELLER, M., LEERSSEN, J., Imagology: The cultural construction
and literary representation of national characters. A critical survey, Amsterdam, Rodopi, 2007. 120
LEERSSEN, J., «Imagology: History and method», cit., p. 5.
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Il fenomeno compare spesso nella letteratura, specie nelle relazioni di viaggio che
descrivono appunto le popolazioni e la cultura dei paesi attraversati. Quindi, anche il testo
composto da Marco Polo può essere esaminato tramite il metodo dell’imagologia. Allora, la
rappresentazione dell’alterità nel Milione adotta di nuovo un senso doppio. In alcune
occasioni, la valutazione dei popoli che il veneziano incontra sta in stretto rapporto di
dipendenza con le credenze antiche. Però, in altre – meglio dire nella maggior parte delle
occasioni – la percezione poliana rileva da un’attitudine più positivista. Nel passo seguente,
ho raccolto alcuni casi che esemplificano la prima modalità di raffigurazione:
In questo reame sono uomini ch’ànno coda grande più d’un palmo, […] e dimorano ne le
montagne di lungi da la città; le code son grosse come di cane.121
E tutti quelli di quest’isola [Angaman] ànno lo capo come di cane e denti e naso come di
grandi mastini. […] E’ sono mala gente e mangiano tutti gli uomini che posson pigliare, fuori
quelli di quella contrada.122
Nei brani, l’autore parla senza scrupoli di uomini con una coda nel reame di Lanbri, o di una
razza sulle isole di Andamane che hanno la testa, i denti e il naso di cane. È chiaro che Polo
concepisce il mondo orientale seguendo un modello consueto, sfruttato dai predecessori,
dai contemporanei e sul quale si affideranno anche i suoi successori. Un modello che soleva
popolare di esseri mostruosi i mondi sconosciuti all’estremità della carta ‘geografica’. Inoltre,
si nota l’associazione, nel primo esempio, di questi popoli con lo spazio della montagna. A
proposito, Barbieri spiega come, visto il suo aspetto fisico, tale luogo era tradizionalmente
visto come «loca horrida»123, deserto che evoca sentimenti di timore. Questi uomini strani
sono perfidi ed antropofagi. La loro raffigurazione corrisponde a quelli che l’imagologia
definisce come gli «eterostereotipi negativi» 124 adoperati dagli scrittori, contrari agli
«autostereotipi positivi».
121 POLO, M., Milione/Le divisament dou monde, cit., p. 231. 122 Ivi, p. 233. 123 BARBIERI, A., «Marco Polo e la montagna», in ID., Dal viaggio al libro. Studi sul Milione, Verona, Fiorini, 2004, p. 177. 124
Si vede il lemma «imagologia» nel dizionario del sito dedicato agli studi culturali, cit.
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Sul mondo orientale sconosciuto, l’Europa medievale proietta un’immagine che rispecchia le
sue paure, ma anche le sue aspirazioni come mostrava già l’esempio di Marcello Ciccuto
concernente la ricchezza naturale nelle Indie. Nei suoi contatti con altre culture, indica Joep
Leerssen commentando la storia dell’imagologia, l’uomo parte da un punto di vista
etnocentrico alterando come anomalia o come singolarità tutto ciò che si allontana dalle
norme domestiche.125 Converge l’opinione di Alvaro Barbieri. Lo studioso chiama la suddetta
proiezione «un endotico rovesciato»126. La tessitura mentale degli uomini occidentali
determina la percezione dell’alterità asiatica come «un’anti-realtà sorprendente, strana
curiosa»127. I valori vi si contrappongono assialmente ai principi consueti.
Tuttavia, specie quanto alle notizie sulla civiltà mongola, ma non solo, il resoconto di Marco
Polo sembra plasmarsi secondo altre modalità di percezione. La sua osservazione e la sua
valorizzazione vi sono condizionate principalmente, non da un insieme di clichés culturali, ma
da un modello cognitivo affine alla ‘nuova’ mentalità aperta, curiosa e oggettiva, propria del
contesto in cui è cresciuto il viaggiatore veneziano. Nel Milione, pullulano i frammenti in cui
l’autore estrinseca il suo interesse genuino per le tradizioni, i costumi e i culti delle
popolazioni che incontra o di cui sente parlare.
Nel caso dei Tartari, cui il libro dedica ampio spazio, la rappresentazione sembra anche
modellarsi in base alla spiccata predilezione che Polo prova per il popolo mongolo ed il loro
sovrano Kublai Khan. Confrontato in Europa con le spedizioni militari calamitose del Gran
Khan Ögödei128, il pubblico occidentale soleva ricorrere a concezioni tradizionali per
esprimere la malvagità di questa stirpe guerriera. I Mongoli, precisa Barbieri, vennero
identificati con Gog e Magog, simboli biblici dei popoli dell’Anticristo, che mostravano
appunto dei tratti comuni con le tribù di cavalieri provenienti dalle steppe asiatiche. Del
tutto diverse sono le descrizioni di Marco Polo. Il suo spirito critico da inviato speciale,
insieme alla sua inclinazione filotartara 129 stimolano le sue competenze osservative,
promuovendolo quasi fosse «un antropologo moderno»130:
125
LEERSSEN, J., «Imagology: History and method», cit., p. 17. 126 BARBIERI, A., «Marco Polo e la montagna», cit., p. 185. 127 Ibidem. 128
Per ulteriori informazioni sulle campagne militari dei Mongoli, si vede BARBIERI, A., «Il popolo degli arcieri: i Mongoli nel Milione», in ID., Dal viaggio al libro. Studi sul Milione, Verona, Fiorini, 2004, pp. 195-198.
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Ancora vi dico un’altra loro usanza, ciò che fanno ma[trimoni] tra∙lloro di fanciulli morti, ciò
è a dire: uno uomo à uno suo fanciullo morto; quando viene nel tempo che gli darebbe
moglie se fosse vivo, alotta fa trovare uno ch’abbia una fanciulla morta che si faccia a lui, e
fanno parentado insieme e danno la femina morta a l’uomo morto. E di questo fanno fare
carte; poscia l’ardono, e quando veggono lo fumo in aria, alotta dicono che la carta vae
nell’altro mondo ove sono li loro figliuoli, e queglino si tengono per moglie e per marito
nell’altro mondo. Egli ne fanno grandi nozze e versane assai, ché dicono che vae a li figliuoli
ne l’altro mondo. Ancora fanno dipingere in carte uccegli, cavagli, arnesi, bisanti e altre
cose assai, e poscia le fanno ardere, e dicono che questo sarà presentato da divero ne
l’altro mondo a li loro figliuoli. E quando questo è fatto, egli si tengono per parenti e per
amici, come se gli loro figliuoli fossero vivi.131
Di sopra, ho ripreso un episodio ampio in cui Marco Polo descrive meticolosamente la
pratica mongola di celebrare le nozze post mortem. Commenta Barbieri132 come, all’epoca, il
veneziano è l’unico dei viaggiatori in Oriente che testimonia una tale usanza, confermata
dalle fonti cinesi e persiane. Del resto, questo frammento etnografico dettagliato non
costituisce certo un caso eccezionale. Nel Milione, l’autore menziona il Dio e le credenze
religiose dei Tartari, discorre sui sistemi penali e sulla rete postale, si riferisce ancora ad altri
costumi culturali e nutre un fascino particolare per le armi e le tecniche e strategie guerriere
delle tribù turco-mongole.
129 Si vede il capitolo sulla narrativa storico-dinastica nel Milione (in 3.3.3: «Le forme narrative), in cui varie voci critiche menzionano la laudatio poliana del popolo tartaro. 130 ECO, U., «Il “Milione”: descrivere l’ignoto», cit. 131
POLO, M., Milione/Le divisament dou monde, cit., pp. 84-85. 132
BARBIERI, A., «Marco Polo e l’Altro», cit., p. 170.
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Se la descrizione poliana si incentra sul regno mongolo, non mancano però le notizie
etnografiche su altri popoli dell’Asia, desunte da una medesima mentalità oggettivante e
attenta al diverso. Come segnala Cesare Segre, le varie missioni diplomatiche di cui è
incaricato l’ambasciatore del Khan aumentano le possibilità di osservare, in tal modo
arricchendo la sua conoscenza del continente orientale. Tra le testimonianze poliane si
citano il suicidio rituale della sposa sulla pira funeraria alla morte del marito nel culto
induistico, la cerimonia religiosa delle devadâsî, le donne danzanti in onore degli idoli, nella
provincia indiana di Maabar133, ecc.
Infine, l’imagologia orientale si presenta in modo svariato lungo il libro poliano. La
percezione di Marco Polo oscilla – di nuovo – in funzione degli schemi cognitivi che lo
condizionano. Ogni tanto il viaggiatore osserva il mondo ignoto partendo da pregiudizi
prestabiliti che offuscano la possibilità di un rapporto vero e proprio con l’alterità. Ma nella
maggior parte dei casi, il suo sguardo pragmatico e acuto da mercante favoriscono un
interesse sincero per la geografia, per i luoghi ed i prodotti di commercio, per le abitudini ed
i riti cultuali dei popoli, ecc. A proposito, si nota il grado di precisione, di obiettività e di
affidabilità con cui Polo si riferisce ai dati. Così, alla fine del resoconto, l’autore a buon diritto
può indirizzarsi al suo pubblico con le parole seguenti: «Avete inteso tutti i fatti di Tarteri e di
saracini, quanto se ne può dire, e di loro costumi, e degli altri paesi che sono per lo mondo
quanto se ne puote cercare e sapere […]»134.
133 Gli esempi si ritrovano in BARBIERI, A., «Marco Polo e l’Altro», cit., p. 170 e BARBIERI, A., «Marco Polo etnografo», cit., pp. 247-251. 134
POLO, M., Milione/Le divisament dou monde, cit., p. 301.
- 65 -
6. CONCLUSIONE
In sintesi, espongo brevemente gli esiti della mia ricerca su quattro tematiche essenziali
riguardo all’interpretazione ed alla comprensione dell’opera poliana.
Il Milione è lo specchio della sua cultura. Il Duecento italiano vede l’avvenuta della classe
borghese mercantile, ormai predominante nei grandi centri di commercio italiani. Questa
transizione fa sorgere una nuova ondata culturale che si riflette in una mentalità più pratica
e pragmatica, anticipa della modernità. Nondimeno, una mentalità che continua a coesistere
con certe eredità del passato. Così, rigorosità morale, religiosità tradizionale e concezione
simbolico-allegorica del mondo si saldano con la curiosità e il senso dell’osservazione critica,
creando un unico clima culturale che condiziona anche la visione del mondo. Quanto alla
rappresentazione del continente asiatico, l’insieme di opere classiche ed enciclopedie
medievali rispecchia maggiormente il filone tradizionale, mentre le missioni e le escursioni in
Oriente confermano la nascente apertura verso le terre ignote. Infine, la cartografia
medievale si avvia in due direzioni, ognuna in armonia con le rispettive mentalità sottostanti.
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Il Milione è un’opera composita e multiforme. Se a prima vista, il libro segue lo sviluppo del
resoconto di viaggio, accennando alle date ed ai spostamenti dell’itinerarium compiuto, la
critica concorda in modo unanime che l’opera poliana è priva di uno statuto letterario
specifico. Alcuni studiosi insistono sul carattere enciclopedico alludendo alle corrispondenze
contenutistiche e stilistiche con la trattatistica medievale. Altri ripartiscono la materia tra
due filoni, quello descrittivo e quello narrativo. La descriptio, cui si accosta il genere
enciclopedico, predomina e garantisce anche la continuità della relazione. Comprende le
informazioni geo-etnografiche e merceologiche. Al registro narrativo appartengono una
serie di forme letterari, sparse attraverso l’opera e suddivise in tre categorie. Il prologo è di
natura autobiografica, costituendo inoltre una forma di autenticazione del libro. Le parti
dedicate alle battaglie mongole ed alla dinastia dei Khan rappresentano una laudatio di
stampa epico-cavalleresca. La terza categoria narrativa copre quattro tipi di testo di natura
aneddotico-narrativa: l’agiografia, l’exemplum, il miracolo e il genere novellistico. Essi si
modellano come un incrocio tra leggende occidentali da una parte e fonti orientali dall’altra.
Insomma, secondo alcune voci critiche, questa instabilità del tessuto testuale conferisce al
Milione un senso di libro non riuscito. Nondimeno, sottolineano al contempo che in essa
risiede l’indizio della sua novità, il motivo appunto della sua straordinaria fortuna.
- 67 -
Il Milione è il frutto di una collaborazione autoriale, composto da Marco Polo e Rustichello
da Pisa in carcere genovese. Le circostanze precise in cui accadde la composizione dell’opera
rimangono avvolte in un velo di mistero, quindi la critica esprime le loro ipotesi con la
necessaria cautela. La figura sfuggente di Rustichello da Pisa crea un primo blocco nella
questione della doppia autorialità. È nota come autore-compilatore di una materia arturiana,
intitolata il Meliadus. Alcuni studi comparativi svolti sul romanzo rustichelliano ed il
Divisament dou monde contradicono la presupposta posizione marginale di Rustichello, che
probabilmente assumesse il ruolo di auctor-scriptor. Vista l’assenza di fonti secondarie che
informano sul rapporto di cooperazione, la critica cerca nel libro stesso degli indizi. In prima
istanza, si insiste sull’ibridismo – sia quello contenutistico e stilistico, che quello linguistico –
come conseguenza in parte dovuta alla collaborazione tra le due personalità di sfondi socio-
culturali divergenti. Nonostante i vari tentativi di discernere i singoli apporti autoriali –
attribuendo a Polo le notizie pratiche e concrete, a Rustichello gli abbellimenti stilistici – gli
studiosi concordano che rimane impossibile scorgere le responsabilità individuali. Riguardo
alla forma precisa del contributo poliano la combinazione di voce dettante e di appunti scritti
sembra la più plausibile. Le ricerche sul gioco delle voci narranti – collegate sia a Marco Polo,
sia a Rustichello – delucidano il probabile rapporto di pariteticità tra i due autori il cui lavoro
compositivo si intreccia e si alterna. Per finire, il Milione può anche esser visto come «il
prodotto collettivo di un’intera cultura [europea]»135, tenuto conto degli oltre 130 codici
conservati.
135
CAMPBELL, M. B., The Witness and the Other World, cit., pp. 92-93.
- 68 -
Il Milione è l’espressione del confronto con l’Altro. Nel libro si intersecano in modo costante
ed intrinseco le dimensioni del noto e dell’ignoto. Polo, esponente della cultura europea del
Duecento, vi adopera modalità di rappresentazione che plasmano – ossia modificano –
l’immagine evocata dell’alterità orientale. La critica cerca di concepire come avviene questa
raffigurazione dell’altro e in quale misura Marco sia condizionato da fattori culturali. Un
primo contributo indica come la misura in cui viene alterato il concetto esotico dipende dal
grado di familiarità con esso. Più la dimensione esotica si stranii dall’esperienza quotidiana,
più si sveli il condizionamento culturale dell’autore. Allora, Polo ricorre a clichés e concezioni
culturali prefissati, espressioni di un immaginario e di una mentalità tradizionali. Oltre ai
fattori interni, giocano anche elementi esterni come la possibile deformazione delle realtà
orientali dalla parte del coautore Rustichello, o il bisogno di rispondere alle attese del
pubblico occidentale. Varie voci critiche concordano che nel rappresentare il mondo
orientale, il veneziano si serve di una «retorica dell’alterità»136. Capta le realtà sconosciute
tramite un insieme di tecniche in cui confluiscono sia la visione simbolico-allegorica
tradizionale, sia la mentalità moderna – curiosa, critica ed arguta – propria alla classe
mercantile cui appartiene Polo. In tal modo, si stabilisce un rapporto alternante tra il Sé e
l’Altro. Un rapporto, insomma, che si può collegare agli studi dell’imagologia. Questa
disciplina ricerca l’insieme di fattori determinanti nella formazione dell’immagine che una
cultura si fa dell’altra.
Le varie riflessioni esposte sul Milione – ossia sul Divisament dou monde – danno un’idea
dello sfondo socio-culturale, della complessità testuale ed autoriale, e dell’approccio
all’alterità orientale. Ma forse il vero significato del libro va cercato nell’ultimo paragrafo
scritto da Marco Polo (e Rustichello da Pisa), cui allude anche Daniela Pasquinelli d’Allegra137.
Il mercante veneziano svolge il suo lungo itinerario nello scopo di registrare per le
generazioni successive le notizie più diverse sulla terra incognita:
136 POLEZZI, L., «Marco Polo: mito e ricezione, sé ed altro», cit. 137
PASQUINELLI D’ALLEGRA, D., «Verso l’altro e l’altrove. Percorsi di formazione geografica interculturale sulle tracce di Marco Polo», cit.
- 69 -
Ma credo che fosse piacere di Dio nostra tornata, acciò che si potessero sapere le cose che
sono per lo mondo, ché, secondo ch’avemo contato in capo del libro nel titolo primaio, e’
non fu mai uomo, né cristiano né saracino né tartero né pagano, che∙mmai cercasse tanto
nel mondo quanto fece messer Marco, figliuolo di messer Niccolò Polo, nobile e grande
cittadino della città di Vinegia.138
138
POLO, M., Milione/Le divisament dou monde, cit., p. 302.
- 70 -
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Network ispirato da Antonio Ruberti (il Commissario Europeo ideatore dei Programmi
Socrates e Leonardo) con il sostegno della Commissione Europea – Direzione Istruzione e
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