III MICROECONOMIA E MACROECONOMIA NEOCLASSICA · MACROECONOMIA NEOCLASSICA 3.1 La teoria...

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1 III MICROECONOMIA E MACROECONOMIA NEOCLASSICA 3.1 La teoria neoclassica della scelta razionale individuale: il caso del consumatore Abbiamo detto che per i neoclassici ogni problema economico è riconducibile a un problema di massimizzazione della utilità sotto il vincolo delle risorse scarse disponibili. Nel caso del consumatore, si tratterà di scegliere la combinazione di beni di consumo che massimizzano l'utilità, sotto il vincolo del reddito disponibile. Consideriamo un problema molto semplificato: esistono solo due beni di consumo, il bene 1 e il bene 2, che il consumatore può acquistare e consumare nelle quantità x 1 e x 2 . Il consumatore, inoltre, dispone di un reddito pari a m. I prezzi di mercato dei due beni sono p 1 e p 2 . 3.2 Il vincolo di bilancio del consumatore Il vincolo di bilancio del consumatore sarà dunque dato da: p 1 x 1 + p 2 x 2 m Se per semplicità assumiamo che il consumatore spende tutto m per l'acquisto di x 1 e x 2 , allora il vincolo di bilancio diventa: p 1 x 1 + p 2 x 2 = m la spesa per x 1 e x 2 deve eguagliare il reddito e non può oltrepassarlo. L'equazione del vincolo di bilancio può essere rappresentata graficamente su un diagramma cartesiano. Sugli assi indichiamo il consumo di x 1 e x 2 . Ogni punto indica una particolare combinazione di consumo (x 1 , x 2 ).

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III

MICROECONOMIA E MACROECONOMIA NEOCLASSICA

3.1 La teoria neoclassica della scelta razionale individuale: il caso del consumatore Abbiamo detto che per i neoclassici ogni problema economico è riconducibile a un problema di massimizzazione della utilità sotto il vincolo delle risorse scarse disponibili. Nel caso del consumatore, si tratterà di scegliere la combinazione di beni di consumo che massimizzano l'utilità, sotto il vincolo del reddito disponibile. Consideriamo un problema molto semplificato: esistono solo due beni di consumo, il bene 1 e il bene 2, che il consumatore può acquistare e consumare nelle quantità x1 e x2. Il consumatore, inoltre, dispone di un reddito pari a m. I prezzi di mercato dei due beni sono p1 e p2. 3.2 Il vincolo di bilancio del consumatore Il vincolo di bilancio del consumatore sarà dunque dato da:

p1x1 + p2x2 ≤ m

Se per semplicità assumiamo che il consumatore spende tutto m per l'acquisto di x1 e x2 , allora il vincolo di bilancio diventa:

p1x1 + p2x2 = m

la spesa per x1 e x2 deve eguagliare il reddito e non può oltrepassarlo. L'equazione del vincolo di bilancio può essere rappresentata graficamente su un diagramma cartesiano. Sugli assi indichiamo il consumo di x1 e x2. Ogni punto indica una particolare combinazione di consumo (x1 , x2).

2

Esprimiamo il vincolo di bilancio esplicitando la sua equazione rispetto a x2:

p2x2 = m – p1x1

12

1

22 x

pp

pm=x

questa equazione è rappresentata dalla retta del vincolo di bilancio del consumatore. Per tracciare la retta sul grafico poniamo prima x1 = 0 così da trovare l'intercetta sull'asse delle ordinate; poi poniamo x2 = 0 per trovare l'intercetta sull'asse delle ascisse.

x1

x2

A(x1A, x2

A) x2A

x1A

3

x1 = 0 → 2

2 pm=x intercetta del vincolo di bilancio sull'asse delle ordinate

x2 = 0 → 12

1

2

0 xpp

pm=

2

12

1

pm=x

pp

p1 x1= m

1

1 pm=x intercetta del vincolo di bilancio sull'asse delle ascisse

x1

x2

equazione della retta

coefficiente angolare 2

1

pp

1pm

2pm

12

1

22 x

pp

pm=x

4

Ovviamente la retta di bilancio rappresenta un vincolo. Tutte le combinazioni di consumo al di sotto di essa sono alla portata del consumatore e quindi ammissibili. Le combinazioni di consumo sulla retta sono le massime possibili, dato il reddito di cui dispone il consumatore e i prezzi dei beni. Le combinazioni di consumo situate al di sopra della retta non sono alla portata del consumatore: Come varia la retta di bilancio?

1) un aumento del reddito da m a m' > m: comporta una traslazione verso l'alto e verso l'esterno della retta di bilancio;

2) una riduzione del prezzo da p1 a p1' > p1: comporta una rotazione della

retta di bilancio verso sinistra (l'intercetta verticale resta ferma perché non è variato il prezzo p2 mentre l'intercetta orizzontale diminuisce), cioè un aumento della sua pendenza.

x1

x2

C D

D combinazione di consumo non ammissibile

A, B, C combinazioni di consumo ammissibili

A B

m/p1

m/p2

5

x1

x2

effetto di una riduzione del prezzo da p1 a p1' < p1

mp1 '

mp1

2

1

p'p

2

1

pp

mp2

x1

x2

effetto di un aumento del reddito da m a m' > m

2pm'

1pm'

1pm

2pm

6

3.3 Utilità, ordinamento delle preferenze e curve di indifferenza Esaminando il vicolo di bilancio abbiamo verificato quali combinazioni di consumo sono alla portata del consumatore e quali non lo sono. Ora però si tratta di capire quali sono le combinazioni di consumo che il nostro individuo preferisce, cioè le combinazioni che gli consentono di massimizzare l'utilità. L'utilità è intesa come l'attitudine di un certo bene (ad esempio l'acqua) a soddisfare un determinato bisogno del consumatore (ad esempio la sete: il bisogno di bere). Generalmente, l'utilità totale che l'individuo ricava dal consumo di una certa quantità di bene è una funzione crescente di tale quantità: via via che il consumatore assume dosi successive del bene (ad esempio bicchieri di acqua aggiuntivi) il suo grado di soddisfazione (l'utilità) aumenta. Ma, gli incrementi di utilità, corrispondenti ad unità successive del bene consumato, sono sempre più piccoli (ogni bicchiere d'acqua aggiuntivo è sempre meno utile) perché il corrispondente bisogno tende a ridursi (la sete si placa). Questo assunto viene detto principio dell'utilità marginale decrescente. Potrebbe anche verificarsi che, se si è soddisfatto completamente il bisogno, il consumo di ulteriori unità di bene facciano ridurre l'utilità totale, poiché ognuna di queste unità aggiuntive presenta una crescente “disutilità” marginale che fa ridurre l'utilità totale (continuare a bere ulteriori bicchieri di acqua, dopo aver soddisfatto la sete, può provocare un malore crescente). Possiamo riportare la quantità del bene consumato x sulle ascisse di un grafico cartesiano, ponendo sulle ordinate la corrispondente utilità totale UT.

x

UT

1 2 3

15

25

30

0

UT

5

10

15

ΔxΔUT

7

È possibile rappresentare su un diagramma cartesiano anche le variazioni dell'utilità totale conseguenti all'incremento di ogni piccola quantità di consumo del bene considerato. Otteniamo così una rappresentazione della funzione

dell'utilità marginale Δx

ΔUT

La funzione dell'utilità totale è concava perché, come si è detto (e mostrato nei grafici), l'utilità marginale è decrescente. Consideriamo per semplicità una economia nella quale esistono solo 2 beni, indichiamo con x1 e x2 le rispettive quantità. Come si è visto, esaminando il vincolo di bilancio del consumatore, ogni combinazione di consumo (ogni paniere di consumo) potrà essere rappresentato da un punto del piano cartesiano (positivo) con coordinate (x1, x2). Per descrivere il comportamento del consumatore è necessario ordinare i panieri di consumo in base alle sue preferenze.

x 1 2 3

15

0

5

10

utilità marginale

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Prendiamo ad esempio la combinazione di consumo A e poniamola a confronto con le combinazioni B, C, D, e E. Dividiamo lo spazio in quattro quadranti. Di sicuro: A è preferito a D e a tutte le altre combinazioni di consumo che appartengono al III quadrante: al paniere di consumo A è associato in indice di utilità maggiore rispetto a tutte le combinazioni di consumo che appartengono al III quadrante. B è preferito ad A e tutte le combinazioni del I quadrante sono preferite ad A: al punto A è associato un indice di utilità inferiore rispetto all'utilità associata a tutti i panieri che appartengono al quadrante I. Esisteranno poi delle combinazioni di consumo situate nel II e nel IV quadrante che il consumatore reputa indifferenti rispetto ad A (due di queste potrebbero essere E e C e presentano lo stesso valore dell'indice di utilità di A). Unendo tutti i punti che rappresentano le combinazioni di consumo considerate indifferenti dal consumatore rispetto al paniere A otterremo una curva di indifferenza. Una curva di indifferenza è l'insieme di tutte le combinazioni di beni che danno al consumatore la stessa utilità totale e che dunque egli reputa indifferenti tra loro. Ovviamente panieri di consumo come B e D sii trovano su curve di indifferenza

x2

A

x1

B

C

E

D

II

I VI

III

Curva di indifferenza

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diverse, visto che ad essi sono associati livelli di utilità diversi rispetto al paniere A. In generale, più le curve di indifferenza sono distanti dall'origine degli assi cartesiani, maggiore è l'utilità ad essa associata. Inoltre, esse presentano una pendenza negativa (sono decrescenti) in quanto se il consumatore vuole conservare lo stesso livello di utilità (e restare sulla stessa curva di indifferenza), dovrà compensare ogni riduzione del consumo di uno dei due beni con un incremento dell'altro. Si viene così a costruire una mappa di curve di indifferenza che esprime l'utilità dell'individuo al variare del paniere di consumo. Le curve di indifferenza non possono intersecarsi (in certo senso si può dire che sono tra loro parallele) perché altrimenti esse non esprimerebbero un ordinamento coerente (razionale) dei panieri di consumo. La razionalità del consumatore, infatti, implica che le preferenze devono essere transitive: se il paniere A è preferito al paniere B e il paniere B è preferito al paniere C, allora il paniere A deve essere preferito al paniere C. In altre parole, se le curve di indifferenza si intersecano, allora le preferenze del consumatore non sono transitive e quindi

x1

x2 UT

3

UT2

UT1

UT3 > UT

2 > UT1

10

viene meno la sua razionalità nella scelta dei panieri di consumo. Verifichiamo questa importante condizione con un esempio. Consideriamo due panieri di consumo A e B tra loro indifferenti (che si trovano sulla stessa curva di indifferenza) e consideriamo una combinazione di consumo C alla quale il consumatore preferisce il paniere B (tra B e C il consumatore preferisce, sceglie, B che comporta un maggior consumo di entrambi i beni). Ciò significa che l'utilità che il consumatore associa al paniere B (e al paniere A che è indifferente a B) è maggiore dell'utilità associata al paniere C (nel grafico dovrebbe aversi UT

1>UT0). Però, se le due curve di indifferenza si intersecano in

corrispondenza del paniere A, allora i panieri A e C dovrebbero essere tra loro indifferenti e, quindi, per la proprietà transitiva, l'utilità della combinazione di consumo B dovrebbe essere la stessa di quella associata al paniere di consumo C (poiché si è assunto che A è B sono tra loro indifferenti). Questo risultato è contraddittorio rispetto all'ipotesi che B sia preferito a C. Quindi, se le preferenze del consumatore sono transitive (cioè sono coerenti), allora le curve di indifferenza non si intersecano.

x2

A

x1

B C

UT0

UT1

11

Le curve di indifferenza per beni tra loro in certa misura sostituti (le mele e le pere) sono convesse: dato un certo livello di utilità, muovendosi lungo la corrispondente curva di indifferenza, all'aumentare del consumo di un bene, il consumatore è sempre meno disposto a rinunciare all'altro bene. La convessità della curva di indifferenza è una diretta conseguenza dell'assunto dell'utilità marginale decrescente. Via via che riduce di quote costanti il consumo di uno dei due beni (che diventa sempre più scarso e prezioso in termini di utilità marginale), il consumatore, per non far ridurre il suo livello di utilità, richiederà compensare queste riduzioni mediante il consumo di quote crescenti dell'altro bene (sempre più abbondante e meno prezioso in termini di utilità marginale).

Il grafico mostra che una riduzione del consumo del bene 2 da 20 a 15 unità richiede, per lasciare invariata l'utilità totale a UT

0, un aumento del consumo del bene 1 di una sola unità. Ma, se il consumo del bene 2 si riduce di ulteriori 5 unità, allora è necessario un aumento del consumo del bene 1 di bene 3 unità. Ciò è dovuto all'utilità marginale decrescente. La perdita di utilità che il consumatore subisce passando a A a B è relativamente bassa e può essere compensata con una

x2

A

x1

E

C

UT0

20

15

10

B

D

2 3 6

5

5

1 3

12

sola unità del bene 1 (dotata di un'alta utilità marginale) che consente di raggiungere il punto C. Invece, lo spostamento da C a D implica una perdita di utilità maggiore (essendo il bene 2 ora più scarso per il consumatore) che, per essere compensata, richiede una incremento di 3 unità di consumo del bene 1 (infatti queste 3 unità sono dotate di una utilità marginale più bassa perché il bene 1 è ora relativamente più abbondante) in modo da raggiungere il punto E. La convessità delle curve di indifferenza può anche essere spiegata da una preferenza del consumatore per la varietà nella composizione del proprio paniere di consumo. Considerati due panieri A e B che risiedono sulla medesima curva di indifferenza, il consumatore preferirà ad ognuno di essi un qualunque paniere C ottenuto come combinazione lineare intermedia dei rispettivi contenuti di A e B. Infatti, se le curve di indifferenza sono convesse, una siffatta combinazione lineare risiederà su di una curva di indifferenza più alta (corrispondente ad un livello di utilità maggiore).

x2

A

x1

C

UT0

x2A

B

x2C

x2B

x1A x1

C x1B

UT1

13

Quando i due beni le cui quantità sono riportate sugli assi cartesiani sono tra loro perfetti sostituti le curve di indifferenza assumono una forma lineare (sono delle linee rette). È questo il caso della benzina offerta sul mercato da due differenti compagnie di distribuzione (Total e Agip ad esempio), evidentemente la maggior parte dei consumatori trovano indifferente rifornirsi dall'uno o dall'altro distributore perché non sussistono differenze apprezzabili tra i due carburanti. Il consumatore potrebbe consumare anche uno solo dei due beni senza incorrere in una riduzione dell'utilità totale.

x2

A

x1

C

UT0

B

x2C

x1C

14

Il caso opposto a quello dei perfetti sostituiti riguardi i beni che sono tra loro perfettamente complementari (detti anche beni perfetti complementi; ad esempio i due ingredienti necessari a preparare una particolare bevanda, si pensi allo zucchero e al caffè). In questo caso le preferenze del consumatore assumono una forma ad angolo: aumentando il consumo di uno solo dei due beni (spostandosi dal punto A al punto C) il consumatore non ottiene incrementi di utilità. Per accrescere l'utilità totale è necessario accrescere in misura proporzionale il consumo di entrambi i beni (spostandosi nel punto B).

x2

x1

B

UT0

x2B

x1B

A C

UT1

x1A

x2A

15

Il consumatore potrebbe anche essere indifferente al fatto che il proprio paniere di consumo contenga o meno un determinato bene (detto bene indifferente, volendo dire con espressione imprecisa che il consumatore è indifferente rispetto ad esso). Si pensi alla disponibilità di sigarette per un individuo goloso ma non fumatore: il consumo di una maggiore quantità di dolci farebbe aumentare l'utilità di tale consumatore ma egli resterebbe indifferente rispetto all'aumentare del numero di sigarette di cui può disporre. In questo caso le curve di indifferenza sarebbero parallele all'asse sul quale viene misurato il bene indifferente. Il consumatore non otterrebbe nessun vantaggio spostandosi dal punto A al punto C se il bene 1 è un bene indifferente, solo incrementando il consumo del bene 2 potrebbe ottenere un aumento della propria utilità totale (ad esempio spostandosi nel punto B).

x2

x1

B

UT0

x2B

x1B

A C

UT1

x1A

x2A

16

In altri importanti casi le curve di indifferenza possono essere crescenti piuttosto che decrescenti. Ciò avviene quando su uno degli assi cartesiani è misurata la quantità di un “male” e non di un bene. Un male corrisponde ad un'attività o ad consumo penoso che comporta, quindi, disutilità. Un esempio classico è fornito dalla scelta tra il reddito di cui può disporre un consumatore-lavoratore e il lavoro (il sacrificio) che è costretto a cedere per conseguire tale reddito.

Reddito

Ore di lavoro

UT0

UT1

UT2

UT2 > UT

1 > UT0

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L'inclinazione della curva di indifferenza è detta saggio marginale di sostituzione (SMS o MRS). Esso indica la quantità incrementale del bene 2 (indicata con x2) che il consumatore deve ricevere per essere compensato della perdita di una certa quantità del bene 1 (indicata con x1) affinché la sua utilità resti invariata.

1

2

ΔxΔx=SMS =

1

2

ΔxΔx

Essendo x1 per definizione negativo e x2 in generale positivo (almeno per beni

sostituti), anteponendo al rapporto 1

2

ΔxΔx il segno negativo, oppure prendendolo in

valore assoluto, si ottiene un SMS positivo e decrescete (all'aumentare di x1) lungo tutta la curva di indifferenza. Questa caratteristica del SMS è dovuta alla convessità della curva di indifferenza (per cui al crescere di x1 aumenta il

x2

A

x1

UT0

x2A

B x2B

x1A x1

B

x1

x2

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numeratore del SMS si riduce) e, quindi, al principio dell'utilità marginale decrescente. Infine si dimostra che, fissato un certo livello di utilità (e quindi individuata la corrispondente curva di indifferenza), il SMS è pari al rapporto tra le utilità marginali dei due beni considerati. Infatti, se variano x1 e x2 possiamo calcolare la variazione ∆U dell'utilità totale dell'individuo come somma delle variazioni dei consumi moltiplicate per le rispettive utilità marginali (UM):

∆U = UM1 ∆x1 + UM2 ∆x2 ovviamente, restando sulla stessa curva di indifferenza, l'utilità non varia e pertanto ∆U = 0 e quindi:

0 = UM1 ∆x1 + UM2 ∆x2

x2

A

x1

UT0

B

x1

x2

C D E

19

– UM2 ∆x2 = UM1 ∆x1

2

1

1

2

UMUM=

ΔxΔx

SMS =2

1

UMUM =

∂U∂ x1

∂U∂ x2

questa uguaglianza esprime il SMS come rapporto delle derivate parziali della funzioni di utilità (le utilità marginali). Ad esempio, se la funzione di utilità è definita da:

U(x1, x2) = x1x2 allora, fissato il valore dell'utilità a U0, le curve di indifferenza saranno delle iperboli equilatere di equazione:

x2 = U 0

x1

al variare del livello di utilità fissato si potrà costruire tutta la mappa delle curve di indifferenza.

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3.4 La scelta del consumatore Dato il vincolo di bilancio, data la mappa delle curve di indifferenza, il consumatore è in grado di scegliere il paniere di consumo ottimo perseguendo il seguente obiettivo: scegliere la combinazione di consumo che massimizza l'utilità sotto il vincolo delle risorse disponibili. Per il consumatore la migliore combinazione di consumo, quella che massimizza l'utilità sotto il vincolo di bilancio, è rappresentata dal punto E di tangenza tra il vincolo di bilancio e la curva di indifferenza. Infatti il punto D sarebbe preferito a E ma non è raggiungibile perché non è un paniere di consumo ammissibile (si trova al di sopra del vincolo di bilancio). I punti A e C si trovano sul vincolo di bilancio (sono panieri di consumo ammissibili) ma (come il punto B) appartengono ad una curva di indifferenza più bassa (che corrisponde ad un livello di utilità inferiore) rispetto alla curva di indifferenza che passa per il punto E.

x2

E

x1

UT0

x2*

C

x1*

D

B

UT1

UT2

A

21

Si noti che in corrispondenza del punto E abbiamo che l'inclinazione del vincolo di bilancio (-p1/p2) è uguale alla pendenza della curva di indifferenza passante per A (SMS = - ∆x2/ ∆x1). Cosa che invece non è vera per un punto come C oppure A. Nel punto B, inoltre, a differenza del punto E, non è soddisfatto il vincolo di bilancio (p1 x1 + p2 x2 = m). Dunque la combinazione ottima del consumo al punto nel quale:

SMS =

1

2

ΔxΔx =

2

1

pp

oppure

∂U∂ x1

∂U∂ x2

= 2

1

pp

Finora abbiamo individuato la soluzione del problema d'ottimo del consumatore in termini grafici, determiniamola ora in termini algebrici. Il consumatore deve risolvere il seguente problema di massimo vincolato: max U(x1,x2) sub p1 x1 + p2 x2 = m Un noto metodo di soluzione è quello dei moltiplicatori di Lagrange. Questo metodo consiste nel risolvere il problema d'ottimo (senza vincoli) per una funzione che comprende sia la funzione obiettivo originaria (la funzione di utilità), sia il vincolo: L(x1, x2, λ) = U(x1, x2) – λ(p1 x1 + p2 x2 – m) ← [lagrangiano] dove il termine λ è detto moltiplicatore di Lagrange e il suo ruolo è di garantire che il vincolo di bilancio sia soddisfatto.

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Le condizioni necessaire per individuare la soluzione di questo problema di ottimo si ottengono ponendo uguali a zero le derivate della funzione L (il lagrangiano) rispetto ai suoi argomenti: x1, x2, λ.

0111

=λpxU=

xL

(1)

0222

=λpxU=

xL

(2)

02211 =xpxpm=λL

(3)

risolvendo questo sistema di equazioni otterremo la combinazione ottima di x1* e x2* che rende massima l'utilità del consumatore dato il reddito m di cui dispone e i prezzi di mercato p1 e p2 (che sono dati). Si noti che se dividiamo l'equazione (1) per la (2) otteniamo:

∂U∂ x1

∂U∂ x2

= 2

1

pp

che è la condizione di ottimo già ottenuta mediante l'analisi grafica. Un esempio: U(x1, x2) = x1·x2 M = 40 p1 = 4 p2 = 2 max U(x1, x2) = x1·x2 sub 4·x1 + 2·x2 = 40 applichiamo il metodo di Lagrange: L(x1, x2, λ) = x1·x2 – λ(4·x1 + 2·x2 – 40) ← [lagrangiano]

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∂ L∂ x1

= x2 – 4 λ = 0

∂ L∂ x2

=·x1 – 2 λ = 0

λL =40 – 4 x1 - 2·x2 = 0

Dividiamo la (1) per la (2): x2·/ x1 -2 = 0 x2·/ x1 = 2 x2·= 2 x1 Sostituiamo nella (3): 40 – 4 x1 - 2(2·x1) = 0 40 – 4 x1 - 4·x1 = 0 40 = 8 x1 x1 = 40 / 8 = 5 x2 = 10 La combinazione di consumo che dunque massimizza l'utilità e al tempo stesso rispetta il vincolo è data da x1 = 5 e x2 = 10 Un metodo alternativo a quello di Lagrange Riconsideriamo il problema di massimo vincolato max U(x1, x2) = x1·x2 sub 4·x1 + 2·x2 = 40 in primo luogo esprimiamo il vincolo in termini di x2 2·x2 = 40 – 4 x1 x2 = 20 – 2 x1 andiamo quindi a sostituire questa equazione nella funzione di utilità: U(x1, x2) = x1·(20 – 2 x1) = 20 x1 – 2 x1

2 a questo punto deriviamo rispetto a x1 e poniamo pari a zero la derivata:

24

1δxδU = 20 – 4 x1 = 0

x1 =20/4 = 5 che sostituito nella equazione x2 = 20 – 2 x1 da: x2 = 20 – 2 (5) =20 -10 = 10 Abbiamo così ottenuto lo stesso risultato con un metodo alternativo. La scelta tra i vari metodi dipende dalle circostanze. Va preferito quello che semplifica di più i calcoli.

25

3.5 La curva di domanda individuale Supponiamo che il prezzo di una merce si modifichi e vediamo come cambia la scelta ottima del consumatore. Ricordiamo che la variazione del prezzo implica una “rotazione” del vicolo di bilancio. Ipotizziamo una serie di riduzioni di p1: p1, p1' < p1, p1' ' < p1' individueremo così una serie di punti di ottimo e l'insieme di tutti questi punti di ottimo è definito “curva di prezzo-consumo”. Si noti che al diminuire di p1 la quantità x1 domandata dal consumatore aumenta.

x2

E'

x1 m/p1'

E''

E

m/p1'' m/p1 x1'' x1 x1'

m/p2

curva di prezzo-consumo

26

Adesso prendiamo i valori di p1 e i corrispondenti valori ottimi di x1 e collochiamoli su di un nuovo grafico, ponendo x1 in ascissa e p1 in ordinata. La curva di domanda è decrescente: essa esprime una relazione inversa tra p1 e x1: al diminuire del prezzo la domanda aumenta all'aumentare del prezzo la domanda diminuisce La forma decrescente della curva di domanda vale per tutti i beni cosiddetti “normali”, e si ritiene che tale relazione sia solitamente valida.

p1

x1 x1'' x1 x1'

p1'

curva di domanda individuale

x1 = x1(p1) p1

p1''

27

3.6 Il surplus del consumatore Data la curva di domanda individuale, è possibile misurare il benessere che l'individuo trae dall'acquisto di un certo quantitativo di merce, ossia il surplus del consumatore. Consideriamo la domanda annua di Tizio di biglietti per concerti:

xT = 15 - 12 p

ovvero p = 0 → xT = 15 xT = 0 → p = 30 supponiamo che il prezzo di mercato di ogni biglietto sia p = 10€. La domanda sarà:

xT = 15 -12 10

xT = 10 Il surplus del consumatore è dato dalla somma delle differenze tra quanto sarebbe stato disposto a pagare per ottenere ogni unità aggiuntiva del bene acquistato e quanto ha dovuto effettivamente pagare (il prezzo di mercato). Nell'esempio il surplus del consumatore è pari a 90:

calcolando l'area del triangolo ABC si ottiene un valore maggiore di 90 perché, trattandosi di un bene non divisibile, tale area costituisce solo un'approssimazione per eccesso del surplus del consumatore.

1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 13 14 15p 28 26 24 22 20 18 16 14 12 10 8 6 4 2 0Disponibilità a spendere 28 54 78 100 120 138 154 168 180 190 198 204 208 210 210Spesa effettiva 28 52 72 88 100 108 112 112 108 100 88 72 52 28 0Surplus del consumatore 0 2 6 12 20 30 42 56 72 90 110 132 156 182 210

xT

p1

x1 15 10

È facile mostrare che il surplus del consumatore è rappresentato dall'area ABC.

30

10

A

B C

28

3.7 la variazione della domanda individuale rispetto al reddito La curva di domanda individuale reagisce anche alle variazioni del reddito del consumatore (ad esempio m varia da m a m' > m). in tal caso, a parità di p1 (che non è cambiato), assistiamo ad un aumento della quantità domandata di x1. La curva di domanda, quindi, trasla verso destra al crescere del reddito.

x2

x1 m'/p1 x1

m'/p2

E' E

m/p2

x1' m/p1

p1

x1 x1

p1

x1'

29

3.8 Dalla curva di domanda individuale alla curva di domanda di mercato Per ottenere la curva di domanda di mercato è necessario sommare le quantità domandate dai singoli consumatori per ogni livello del prezzo. curva di domanda di Tizio p = 30 – 2 xT → xT = 15 - 1/2 p curva di domanda di Caio p = 30 – 3 xC → xC = 10 - 1/3 p curava di domanda x = xT + xC = 25 – 5/6 p → p = 30 – 6/5 x di mercato per ottenere la curva di domanda di mercato è quindi necessario esplicitare tutte le domande individuali in termini di x e poi sommarle.

x

p

xT

30

15

p

xC

30

10

p

30

25

30

3.9 La teoria neoclassica dell'impresa Dopo quanto detto sula scelta ottima dell'individuo (e in particolare del consumatore) passiamo ora ad esaminare il lato delle decisioni dell'impresa inerenti la produzione e i costi. Così come dalla scelta dell'individuo abbiamo ottenuto la domanda delle merci, dalla teoria dell'impresa otterremo l'offerta. LA PRODUZIONE Nell'analisi neoclassica di solito si ritiene che la produzione di una certa quantità Q di merce viene effettuata utilizzando i fattori della produzione L lavoro Q K capitale (di solito inteso come valore dei mezzi di produzione) (L'analisi neoclassica del capitale presenta diversi problemi: es. se K è misurato come valore di tutti i mezzi di produzione, allora bisognerebbe conoscere i prezzi di tali mezzi di produzione. Ma la determinazione dei prezzi dovrebbe essere un risultato dell'analisi non una premessa). Ad ogni modo noi qui non ci occuperemo di questo problema. Anzi, per semplicità riterremo che l'analisi sia di breve periodo per cui K può essere considerato un dato esogeno, fisso. Ciò significa che la funzione di produzione:

Q = Q(K, L) può essere riscritta così:

Q = Q(L) con K fisso Questa funzione di produzione è dunque sottoposta alla legge della produttività marginale decrescente di un fattore produttivo, dati gli altri. Dato il capitale disponibile (Macchine, impianti, etc.), i lavoratori impiegati da un'impresa avranno via via una produttività marginale sempre più piccola.

31

La produttività marginale del lavoro (PMGL) corrisponde alla variazione della produzione totale derivante da una piccola variazione del lavoro impiegato. In termini algebrici:

PMGL = ΔLΔQ

in modo più preciso usando le derivate:

PMGL = δLδQ

Esempio: se la funzione di produzione è data da Q = L1/2, allora la produttività marginale del lavoro sarà:

PMGL = δLδQ = 2

1

21

L =

21

2

1

L

= L2

1

(nota che al crescere di L la PMGL si riduce) Ovviamente si può anche ragionare all'inverso, calcolando la quantità di L necessaria a produrre una certa produzione Q:

Q

L

10

18 24 28 31 32

1 2 3 4 5 6

Q = Q(L)

L

1

4 3

8

6

10

1 2 3 4 5 6

PMGL

PMGL

32

L = L(Q) ad es. per Q = L1/2 → Q2 = (L1/2)2 → L = Q2

Passiamo ora ai costi di produzione. I costi totali di produzione sono costituiti dai costi fissi e dai costi variabili: I costi fissi non variano al variare della produzione (almeno nel breve periodo). Essi possono essere identificati con il costo del capitale:

(1 + r) → r K0 I costi variabili variano con la produzione e possono essere identificati con il costo del lavoro:

w L(Q) Dunque i costi totali sono:

CT = r K0 + w L(Q) Nel nostro esempio con Q(L) = L1/2 otteniamo L(Q) = Q2 e quindi

CT = r K0 + w Q2

CT

Q

rK0

CT

33

Possiamo dunque calcolare il costo marginale CMG che corrisponde alla variazione del costo totale conseguente a una variazione marginale (piccola) della quantità prodotta:

CMG =δQ

δCT

Nel nostro esempio:

CMG =δQ

δCT = w2Q

È interessante notare che esiste una relazione tra CMG e PMGL. Infatti (ricordando che K è costante):

CMG =δQ

δCT = wδQδL

ma sappiamo che PMGL = δLδQ e quindi possiamo scrivere:

CMG

Q

2w

34

CMG =

δLδQw =

LPMGw

Quindi quanto più bassa è la PMGL tanto più alto è il CMG. Infatti nel nostro esempio:

CMG = w2Q ma Q = L1/2 e quindi:

CMG = w2L1/2

che può essere riscritto così:

CMG =

21

2

1

L

w ← il denominatore di questa frazione è proprio la PMGL

infine calcoliamo il costo medio di produzione (CM). Il costo medio è semplicemente il costo totale diviso per le quantità prodotte e ci dice quanto costa in media ogni unità di merce prodotta:

CM = CTQ =

Q

QwL+rK0

notare per inciso che quindi CT = CM·Q Il costo medio ha un andamento particolare. Esso è prima decrescente e poi crescente. Infatti all'inizio la crescita di Q consente di ammortizzare i costi fissi, cioè consente di ripartire il costo del capitale su più unità prodotte e vendute. Ciò fa ridurre CM. Al tempo stesso l'aumento di Q fa aumentare i costi variabili necessari alla produzione. Ciò fa aumentare i CM.

35

Finché la riduzione dei costi fissi prevale sull'aumento dei costi variabili, il costo medio si riduce. Quando l'aumento dei costi variabili inizia a prevalere, il costo medio aumenta. Nel nostro esempio, avendo L = Q2:

CM = CTQ =

QwQ+rK 2

0 = wQ+Q

rK 0

supponiamo che w = 2 e r K0 = 20, abbiamo:

CM = Q+Q

220

Più precisamente il minimo corrisponde a Q = ,2310 e possiamo verificarlo calcolando il minimo della funzione del costo medio. Condizione necessaria per l'individuazione di un punto di un punto di minimo di una funzione è che la sua derivata sia pari a zero (cioè che la funzione sia “piatta” in quel punto):

02202 =+

Q=

δQδCT

→ Q2 = 10 → Q = ,2310 ← costo medio minimo

Infine, è interessante notare che il costo medio e il costo marginale si intersecano esattamente nel punto di minimo del costo medio. Per verificarlo nell'esempio (con rK0 = 20, w=2 e L= Q2) poniamo CM=CMG :

Q+Q

220 = 2·2Q → Q = ,2310

l'intersezione tra CM e CMG corrisponde esattamente al CM minimo.

Q CM1 222 143 12,674 135 146 15,33

0 1 2 3 4 5 6 7 8 90

5

10

15

20

25

Q

CM

36

Ma perché CMG e CM si incrociano proprio in corrispondenza del CM minimo? La ragione è questa, il CMG costituisce un costo aggiuntivo rispetto alla media dei costi. Finché il costo aggiuntivo è minore della media, la media si riduce (QA). Quando il costo aggiuntivo diventa maggiore della media, la media inizia a crescere (QB). 3.10 La massimizzazione del profitto dell'impresa Secondo i neoclassici lo scopo generale dell'impresa è massimizzare il profitto (Π), inteso come differenza tra ricavi totali (RT = p·Q) e costi totali (CT).

Π = RT - CT ← Funzione del profitto L'impresa deve dunque scegliere la quantità Q che massimizza Π. Ossia, occorre derivare rispetto a Q e porre uguale a zero tale derivata:

0=δQ

δCTδQ

δRT=δQδΠ

sapendo che CMG = δQ

δCT

CM, CMG

Q

CMG CM

QA QB

37

e definendo RMG = δQ

δRT

possiamo allora dire che il profitto è massimizzato in corrispondenza di quella quantità Q* tale che:

RMG – CMG = 0

RMG = CMG questa è la condizione del primo ordine per il massimo profitto. Questa condizione è piuttosto semplice da comprendere. CMG è il costo aggiuntivo che l'impresa deve sostenere se decide di produrre una unità in più di merce. RMG è il ricavo aggiuntivo che deriva dalla produzione e dalla vendita di una unità in più di merce. Ora, è chiaro che finché RMG > CMG all'impresa conviene aumentare la quantità prodotta Q perché le unità aggiuntive rendono più di quanto costano e quindi consentono di aumentare il profitto Π. Quando però RMG=CMG conviene fermarsi e non andare oltre poiché ogni unità prodotta ulteriore costerebbe più di quanto rende e farebbero ridurre il profitto totale. Questa regola di massimizzazione del profitto vale in generale. Tuttavia, come vedremo, essa viene declinata in modi diversi a seconda del tipo di impresa di fronte alla quale ci troviamo. Abbiamo infatti tipi diversi di imprese che differiscono in base al tipo di mercato in cui operano e al grado di competizione che fronteggiano. Qui considereremo tre forme di mercato: la concorrenza perfetta, il monopolio e l'oligopolio. 3.11 L'impresa in concorrenza perfetta Il mercato di concorrenza perfetta è quello in cui operano moltissime piccole imprese che producono un bene omogeneo. Queste imprese si presentano sul mercato senza disporre di alcun potere sui prezzi di vendita. È il caso dei piccoli produttori di mele che si presentano sul mercato ortofrutticolo al mattino. Un banditore conta le mele offerte dai produttori e le mele domandate dai fruttivendoli, e fissa il prezzo di equilibrio di mercato che uguaglia domande e

38

offerte. Una volta fissato il prezzo di equilibrio ogni produttore dovrà attenersi ad esso. Se, infatti, prova a vendere a prezzi maggiori nessuno andrà a comprare da lui. E non ha interesse a vendere a prezzi minori visto che al prezzo di equilibrio lui sa già che venderà tutta la merce (praticare un prezzo più basso comporterebbe solo una riduzione dei ricavi e degli eventuali profitti). L'impresa in concorrenza perfetta dunque non ha alcun potere sul prezzo di mercato. Si dice che essa è price-taker, cioè “prende”, “subisce” il prezzo fissato dal mercato. In concorrenza perfetta possiamo dunque affermare che il prezzo di mercato è un dato esogeno:

p = p0 Vediamo allora quali sono le implicazioni di un p esogeno sull'obiettivo di massimizzazione del profitto dell'impresa in concorrenza perfetta. Abbiamo detto che:

Π = RT – CT Ovviamente il ricavo totale non è altro che RT = p·Q, cioè il prezzo per la quantità prodotta e venduta. Dunque:

Π = p·Q – CT Imponiamo quindi la condizione di massimo profitto derivando rispetto a Q e ponendo uguale a zero tale derivata. Otteniamo:

RMG = CMG

p – δQ

δCT = 0

p = δQ

δCT

p = CMG

Questa è la condizione di massimo profitto in concorrenza perfetta. Si noti che in concorrenza perfetta il RMG derivante da una unità in più di merce prodotta e venduta corrisponde esattamente al suo prezzo.

39

Ecco perché la condizione generale di massimo profitto RMG = CMG diventa p = CMG. Dunque, scopo dell'impresa è di fissare un livello di produzione Q tale che il suo CMG arrivi ad uguagliare il prezzo p (esogeno) di mercato. Se p > CMG conviene aumentare la quantità prodotta e venduta visto che le quantità aggiuntive si venderanno ad un prezzo maggiore del loro costo marginale. Se p < CMG occorre tornare indietro, produrre di meno, perché si sta producendo troppo nel senso che le quantità in eccesso costano più di quanto renderanno all'atto della vendita. Esempio algebrico: CT = r K + w Q2

poniamo: p = 16 w =2 r K = 20 Il profitto è dato da:

Π = RT – CT = p·Q – CT la condizione di massimo profitto per l'impresa in concorrenza perfetta è:

0=δQ

δCTδQ

δRT=δQδΠ

p – δQ

δCT = 0

p =δQ

δCT

ossia sostituendo i valori:

16 = 4 Q → Q = 4 Questa è la quantità che massimizza il profitto dell'impresa.

40

3.12 Rappresentazione grafica dell'equilibrio ottimale dell'impresa in concorrenza perfetta Il prezzo di mercato è esogeno, ossia è indipendente dalla quantità che la singola impresa ha deciso di produrre ed offrire sul mercato (pertanto, sul grafico il prezzo è rappresentato da un retta orizzontale, parallela all'asse delle ascisse). Basterebbe che l'impresa aumentasse anche di pochissimo il prezzo p al quale vende il proprio prodotto e si ritroverebbe con una domanda pari a zero (punto A). Al prezzo di mercato l'impresa può vendere tutte la merce che riesce a produrre (naturalmente, considerati i costi di produzione, ad un certo punto dovrebbe fermarsi per non andare in perdita).

p

Q

A

Q0 Q2

p0

Q1

41

Disegniamo le curve di costo e la retta orizzontale del prezzo: La quantità Q che massimizza il profitto: non è QA (P > CMG) segmento AB non è QB (P < CMG) segmento CD è Q* (P = CMG) punto E

p, CM, CMG

Q

CMG

CM

QA QB

p0

Q*

C

D E

B

A

42

Rappresentiamo graficamente il profitto dell'impresa: Il ricavo totale RT = p0·Q corrisponde al rettangolo OQ*Ep0 Sapendo che CM = CT/Q allora CT = CM·Q e quindi possiamo dire che il costo totale corrisponde al rettangolo OQ*FA. È chiaro che il profitto Π = RT – CT corrisponde alla differenza tra i due rettangoli, cioè all'area AFEp0 (area tratteggiata). Ovviamente, poiché questa impresa rispetta la condizione p=CMG, il profitto tracciato nel grafico sarà il massimo possibile. Esercizio: in base ai dati dell'esercizio precedente, calcoliamo il profitto massimo: CT = r K0 + w Q2 p0 = 16 w = 2 r K = 20 Abbiamo già detto che Q* = 4 Quindi RT = p0·Q = 16 * 4 = 64 CT = 20 + 2 (4)2 = 52 Π = 64 – 52 =12 Si verifichi che se cambia la Q non si riesce più ad ottenere un Π così alto.

p, CM, CMG

Q

CMG

CM

p0

Q*

E

A F

O

43

Ovviamente può anche accadere che il prezzo di mercato si riduca e che l'impresa si ritrovi addirittura a produrre in perdita (se il prezzo scende al di sotto del costo medio). Quando p0 si situa al di sotto del CM l'impresa incorre in una perdita (cioè in un profitto negativo) data da: Π = RT – CT = OQ*Ep0 – OQ*FA = AFEp0 (che è negativo, ossia perdita) Chiaramente l'impresa no può resistere a lungo in una tale situazione. Se p non cresce o se un miglioramento tecnico non le consente di abbassare i costi, l'impresa sarà costretta a ritirarsi dal mercato (con probabile bancarotta visto che non è in grado di ripagare r K0). Ma oltre all'uscita dal mercato delle imprese inefficienti, può anche accadere che si verifichi l'ingresso nel mercato di nuove imprese. Ciò accade soprattutto quando le imprese già presenti sul mercato realizzano profitti positivi. Il fatto che le imprese operanti sul mercato stiano realizzando profitti positivi, stimola l'ingresso di nuovi concorrenti. Ma cosa accade quando entrano nuovi concorrenti? Semplice: la competizione si intensifica e quindi il prezzo di mercato diminuisce.

p, CM, CMG

Q

CMG

CM

p0

Q*

E A

F

O

44

Questa tendenza prosegue fino a quando non si raggiunge l'equilibrio di lungo periodo per il quale p0 = CMG = CMMINIMO dove i profitti sono nulli e quindi nono c'è più incentivo ad entrare nel mercato:

RT = CT = OQEP0 e quindi Π = 0 A questo punto possiamo definire la curva di offerta dell'impresa. La curva di offerta ci dice come varia la quantità prodotta dall'impresa al variare del prezzo di mercato.

p, CM, CMG

Q

CMG

CM

p0

Q*

E

O

p'

p''

p, CM, CMG

Q

CMG

CM

p2

Q2 O

p0

p1

Q1 Q0

45

Ipotizziamo che il prezzo diminuisca e determiniamo i corrispondenti livelli ottimi Q di produzione. Si vede che se il prezzo diminuisce (p2 < p1 < p0), la quantità prodotta ed offerta si riduce (Q2 > Q1 > Q0). Viceversa quando il prezzo aumenta, la quantità prodotta ed offerta aumenta. Sussiste, quindi, una relazione diretta tra p e Q e tale relazione corrisponde esattamente alla curva CMG al di sopra del CM (al di sotto del CM l'impresa a lungo andare non può reggere). Dunque, possiamo affermare che la curva di offerta dell'impresa corrisponde alla curva del CMG dalla intersezione con il CM in su (in realtà sarebbe dal CMV in su). Come si vede l'offerta è crescente, il che indica che all'aumentare di p cresce Q e al diminuire di p diminuisce Q.

p

Q

offerta dell'impresa

CM

46

Così, come avveniva per la domanda, è possibile sommare orizzontalmente le curve di offerta delle singole imprese per ottenere la curva di offerta del mercato: 3.13 Domanda, offerta ed equilibrio del mercato di concorrenza perfetta Dalla teoria della scelta del consumatore sappiamo che la domanda è di questo tipo:

Qd = a - b p ossia se il prezzo aumenta, la quantità domandata diminuisce, se il prezzo diminuisce, la quantità domandata aumenta. Dalla teoria dell'impresa sappiamo che l'offerta è di questo tipo:

Qs = c + d p ossia se il prezzo aumenta, la quantità offerta aumenta, se il prezzo diminuisce, la quantità offerta diminuisce.

p

Q

CMG1

p

Q

CMG2 p

Q

offerta di mercato

Impresa 1 Impresa 2 ecc.

p

Q

D

p

Q

S

47

L'equilibrio di mercato è: I neoclassici sostengono che le forze del mercato, lasciate a sé stesse, conducano automaticamente all'equilibrio tra domanda e offerta. Ad esempio se p' > p*, allora S' > D', vi è un eccesso di merce offerta sul mercato e il prezzo si riduce fino al livello p* per il quale S=D. Algebricamente: Qd = a – b p Qd = c + d p Imponiamo la condizione di equilibrio Qd = Qs:

a – b p = c + d p

a – c = b p + d p

(b + d) p = a – c

p = d+bca

p

Q

S

D

E

Q*

p*

P'

D' S'

48

Andiamo a sostituire p in una qualsiasi delle equazioni originarie

Q = c + d p = c + d (d+bca )

Qd = Qs = c + d p = c + d (d+bca )

3.14 L'elasticità della domanda rispetto al prezzo Quando si vuole conoscere la sensibilità della domanda alle variazioni del prezzo si adopera il concetto di elasticità. L'elasticità della domanda rispetto al prezzo indica la variazione percentuale della quantità domandata conseguente ad una variazione dell'1% del prezzo. Definendo con ∆Q/Q la variazione percentuale della domanda e con ∆p/p la variazione percentuale del prezzo, si ha che l'elasticità εD è data da:

εD =

pΔpQΔQ

= Δpp

QΔQ =

Qp

ΔpΔQ

ricordando che ovviamente ΔpΔQ < 0 in quanto la domanda è normalmente una

funzione decrescente del prezzo. Quindi:

εD = Qp

ΔpΔQ che in termini di derivate diventa εD =

Qp

δpδQ

Quindi si possono avere due casi estremi: - una domanda perfettamente elastica, ε D = - dove una piccola variazione di p provoca una enorme variazione di Qd; - una domanda perfettamente rigida, ε D = 0, per le quali anche se p varia molto, la domanda Qd non cambia. Ma, più in generale, ci troveremo di fronte ad una di domanda con elasticità intermedia, 0 < ε D < - .

49

Esercizio: sapendo che Qd = 90 – 2 p e che Qs = (3/2) p + 20

1) determinare il valore di equilibrio di p e Q, 2) disegnare le curve sul grafico, 3) disegnare il surplus del consumatore.

Qd = Qs 90 – 2 p = (3/2) p + 20 90 – 20 = (3/2) p + 2p (7/2) p = 70 p = (2/7) 70 = 20 Q = 90 – 2 p = 90 – 2 (20) = 50 Disegniamo: Qd = 90 – 2 p per p=0 → Qd = 90 per Qd = 0 → p = 45

ε D = -

p

Q

p

Q

ε D = 0

p

Q

0 < ε D < -

50

Qs = (3/2) p + 20 per p = 0 → Qs = 20 per Qs = 0 → p = - 40/3 Calcoliamo anche l'elasticità della domanda (nel punto B di equilibrio tra domanda e offerta):

εD = Qp

δpδQ = -2

Qp = - 2

5020 =

54

p

Q 90 50

surplus del consumatore 45

20

A

B C

S

D

-40/3

20

51

3.15 Monopolio e oligopolio MONOPOLIO (una sola impresa formula l'offerta sul mercato) La differenza fondamentale tra concorrenza perfetta e monopoli risiede nella domanda e nel prezzo. Per l'impresa in concorrenza perfetta il prezzo è un dato esogeno e la domanda è perfettamente elastica. L'impresa infatti è molto piccola: essa sa che se si adegua al prezzo di mercato potrà vendere tutta la merce che desidera (se non si adeguasse al prezzo di mercato, o non venderebbe nulla – praticando un prezzo superiore a quello di mercato - oppure non massimizzerebbe il profitto profitto – praticando un prezzo inferiore a quello di mercato). Per l'impresa in monopolio le cose sono diverse. L'impresa monopolista controlla l'intero mercato, il che significa che essa si trova di fronte alla domanda complessiva del mercato che può rivolgersi solo a lei. Il problema del monopolista è quindi quello di posizionarsi sulla curva di domanda del mercato in modo da scegliere la combinazione (p, Q) che massimizza il suo profitto. Ovviamente il monopolista dovrà tenere conto del fatto che se decide di aumentare il prezzo, i consumatori diminuiranno la quantità domandata. Egli deve quindi fare la sua scelta tenendo conto della reazione dei consumatori (e in particolare della εD). Ad ogni modo, è chiaro che il monopolista prende decisioni sia su Q che su p e quindi non è più un price-taker ma è un price-maker. Esaminiamo ora in dettaglio il comportamento del monopolista. Ovviamente, anche per il monopolista l'obiettivo è di massimizzare il profitto seguendo la regola generale:

RMG = CMG ovvero δQ

δRT = δQ

δCT

Nel calcolo dell'impresa in concorrenza perfetta il ricavo marginale coincideva con il prezzo, per cui si poteva scrivere p = CMG. Infatti, il ricavo derivante da ogni unità in più prodotta e venduta coincide in concorrenza perfetta proprio con il prezzo di ogni unità di merce.

52

Ma in monopolio le cose cambiano. Il monopolista infatti fronteggia una domanda di mercato decrescente, per cui egli sa che se vuole produrre e vendere una unità in più di merce dovrà accettare un riduzione del prezzo su tutte le unità vendute per convincere i consumatori a comprare la merce aggiuntiva. Esempio: se il monopolista vuole vendere 5 unità di merce può fissare p = 12€ ma se vuole venderne 6 dovrà farlo fissando il prezzo a p = 11€. Passando da A a B, quindi, il monopolista guadagna altri 11€ ma perde 1€ sulle 5 unità che prima vendeva a 12€ ognuna. Ciò significa che il ricavo marginale derivante dalla produzione e vendita di una merce in più corrisponde in monopolio a:

RMG = p + ΔQΔp Q (con

ΔQΔp < 0)

p

A

Q

D

12

B 11

5 6

p è il prezzo della unità di merce in più prodotta e venduta

riduzione necessaria a convincere i consumatori a comprare una unità in più, moltiplicata per la quantità che il monopolista già poteva produrre e vendere.

53

Questo stesso risultato può anche essere espresso in modo più preciso tramite le derivate. A questo riguardo noi sappiamo che: RT = p·Q dove però in monopolio p non è più esogeno ma si trova in relazione con q sulla base della funzione di domanda decrescente (cioè p = p(Q)). Quindi possiamo scrivere: RT = p(Q)·Q se, dunque, vogliamo calcolare

RMG = δQ

δRT dove RT = p(Q)·Q

ci tocca utilizzare la regola di derivazione de prodotto di funzioni: la derivata del primo termine moltiplicata per il secondo termine più il primo termine moltiplicato per la derivata del secondo termine:

RMG = δQ

δRT = δQδp Q + p con (

δQδRT < 0)

che esattamente lo stesso risultato ottenuto precedentemente mediante le variazioni finite e che adesso è riferito a variazioni infinitesime. Quindi, possiamo dire che la quantità ottima che il monopolista deve produrre ed offrire sul mercato deve soddisfare la seguente equazione:

RMG = CMG ↔ δQδp Q + p =

δQδCT

Vediamo un esempio. Domanda di mercato: Q = 100 – 12·p Costi totali del monopolista CT = 10 + 2·Q2

Determiniamo la combinazione (p, Q) che massimizza i profitti del monopolista. Riscriviamo la domanda esplicitandola rispetto al prezzo:

p = 50 – (½)·Q

54

Il ricavo totale sarà:

RT = p·Q = [50 – (1/2)·Q]·Q = 50·Q - (½) Q2

RMG = 50 – Q

CMG = 4·Q

la condizione di ottimo è:

RMG = CMG

50 – Q = 4·Q → Q = 50/5 = 10 10 è la quantità che il monopolista deve vendere per massimizzare i profitti. Inoltre notiamo una cosa: Noi ipotizziamo che esiste una relazione tra CMG e PMGL, nel senso che:

CMG = LPMG

w

la condizione di massimo profitto del monopolista può quindi essere scritta anche così:

RMG = CMG

δQδp Q + p =

wPMGL

pQ

δQδp+p 1 =

wPMGL

Ma sappiamo pure che:

εD = Qp

δpδQ

e quindi possiamo scrivere:

55

Dε+p 11 =

LPMGw

da cui si ricava:

L

D

PMGw

ε+

=p

11

1

il termine

Dε+ 11

1 rappresenta il mark-up sul costo unitario di produzione e il

temine LPMG

w è il costo unitario di produzione (in realtà, come si è detto prima,

sarebbe uguale al costo marginale ma con rendimenti costanti di scala le due configurazioni di costo tendono a coincidere, ciò è ammissibile in considerazione del fatto che le imprese monopoliste sono generalmente imprese di grosse dimensioni che sfruttano largamente le economie di scala). Quest'ultima equazione ci fa capire in che modo si determina il prezzo per un'impresa dotata di potere di monopolio: il prezzo corrisponde al costo unitario di ogni merce moltiplicato per un mark-up (ricarico, o margine di profitto) che sarà tanto maggiore quanto meno elastica è la domanda dei consumatori. Notiamo inoltre che in monopolio p > CMG cioè è maggiore del prezzo concorrenza. Rappresentiamo graficamente l'equilibrio del monopolista: Come abbiamo detto il monopolista ha di fronte l'intera domanda di mercato. Inoltre, possiamo tracciare la curva del RMG sotto la curva di domanda. Perché il RMG si traccia al disotto della curva di domanda?

56

In concorrenza perfetta l'impresa poteva aumentare la Q di una unità e come RMG otteneva il prezzo “pieno” della unità in più venduta. Quindi in concorrenza perfetta D ≡ RMG. Invece in monopolio l'impresa ottiene RMG < p, poiché per vendere deve ridurre il prezzo sulle altre unità. Per cui, visto che la domanda esprime il prezzo, RMG si situa sotto di essa. Il che risulta chiaramente anche dall'esempio di prima: p = 50 – (1/2)·Q domanda RMG = 50 – Q Ricavo marginale

p

Q

D

50

50 100

RMG

57

Per determinare l'equilibrio del monopolista, aggiungiamo ora, alle curve di domanda e del RMG, le curve di costo che non cambiano rispetto alla concorrenza perfetta. Il punto di ottimo E è determinato dall'intersezione del CMG e del RMG. Esso individua la quantità prodotta ed offerta che consente di massimizzare il profitto, dato il prezzo che la domanda di mercato è disposta a pagare per questa quantità e i costi di produzione. Il massimo profitto coincide con l'area rettangolare p*BFA che è la differenza tra i ricavi totali p*BQ*O e i costi totali AFQ*O. È da notare che il surplus del consumatore è HBp* ed è più piccolo di quello che si avrebbe in concorrenza perfetta (dove i consumatori pagherebbero un prezzo pc pari al CMG di produzione in cambio di una quantità maggiore di Q* e corrispondente all'ascissa del punto C). Confrontiamo dunque il punto E e il punto C.

p, CM, CMG

Q

CMG

CM p*

Q*

B

A E

O

F

D RMG

H

C pc

58

Rispetto all'impresa in concorrenza il monopolista dunque: 1) produce meno; 2) vende ad un prezzo più alto; 3) gode i un profitto superiore; 4) riduce il surplus del consumatore. Per tutti questi motivi alcuni neoclassici ritengono che il monopolio danneggi l'economia e che vada quindi contrastato con opportune leggi anti-trast. Ma esistono casi nei quali il monopolista può essere soggetto a fenomeni di concorrenza da parte di altre imprese? Si. Si parla in tal caso di concorrenza monopolistica. In queste circostanze il monopolio e solo temporaneo. Il monopolista infatti non è protetto da barriere all'entrata e quindi può accadere che dei concorrenti entrino nel mercato. La conseguenza è che la domanda (la curva D) si abbassa fino a quando il profitto diventa pari a zero: Π = 0. Equilibrio di lungo periodo della concorrenza monopolistica:

p, CM, CMG

Q

CMG

CM

pE

QE

E

O

D

59

OLIGOPOLIO L'impresa in concorrenza perfetta e l'impresa monopolistica presentano una caratteristica comune: non si pongono problemi di strategia, cioè problemi nei quali le azioni di ognuno dipendono anche da ciò che si prevede che facciano gli altri. Il problema della strategia e del complesso rapporto tra azioni e reazioni diventa invece fondamentale nel caso in cui il mercato sia caratterizzato da una situazione di oligopolio, cioè di poche grandi imprese. Per analizzare il comportamento della impresa oligopolista si adopera una tecnica particolare, detta teoria dei giochi. Si tratta di una teoria che si propone di analizzare le strategie delle imprese oligopoliste nei rapporti di concorrenza ma anche i giochi (come gli scacchi) oppure le strategie militari o diplomatiche, etc. (chi ricorda il film che parla della vita di John Nash: “a beautifull mind” con l'attore Russell Crowe). Applichiamo la teoria dei giochi al caso di due imprese: la RAI e MEDIASET, la cui attività consiste nel vendere spazi pubblicitari nei propri palinsesti. Il problema per RAI e MEDIASET è di scegliere se adottare una strategia conflittuale o cooperativa. La strategia conflittuale consiste in:

1) ingenti spese per mettere in palinsesto film e spettacoli che attirino il pubblico

2) prezzi di vendita degli spazi bassi pubblicitari bassi per attirare le imprese 3) fare lobbying per ottenere legislazioni favorevoli a sé e dannose per gli

l'avversario. La strategia conflittuale è molto costosa, ma se coglie impreparato l'avversario può dare notevoli vantaggi. La strategia cooperativa consiste:

1) nell'accordarsi son il “nemico” (che diventa “partner”) per spartirsi il mercato senza conflitti (la strategia cooperativa costa poco ma espone al rischio di un attacco da parte del “partner”).

60

RAI e MEDIASET si trovano ad esempio in questa situazione: i valori indicano i profitti attesi da RAI e MEDIASET a seconda delle situazioni:

La matrice dei pay-offs indica i profitti attesi dalle due aziende a seconda delle strategie adottate. Ad esempio: se RAI coopera e MEDIASET confligge, RAI ottiene profitti pari a zero e MEDIASET 10 miliardi. E così via. Si dimostra che il conflitto, sotto date condizioni, è la strategia dominante, cioè quella che sarà preferita da ciascuno indipendentemente dalle scelte dell'altro. Infatti dal punto di vista della RAI: se MEDIASET confligge → alla RAI conviene confliggere se MEDIASET coopera → aòòa RAI conviene congliggere lo stesso discorso vale per MEDIASET. Risultato: entrambe le imprese sceglieranno il conflitto: questo è detto equilibrio non cooperativo di Nash. È interessante notare che si perviene a questo equilibrio nonostante che esso generi per entrambe le imprese un risultato peggiore rispetto al caso della cooperazione. In certi casi tuttavia il risultato non-cooperativo è inevitabile, poiché la tentazione di defezione da un accordo o anche solo la paura della defezione dell'altro giocatore spinge entrambi al conflitto. Se tuttavia il gioco è “ripetuto” le cose possono cambiare …...

MEDIASETconflitto cooperazione

RAI conflitto 2, 2 10, 0cooperazione 0, 10 6, 6

MEDIASETconflitto cooperazione

RAI conflitto 2, 2 10, 0cooperazione 0, 10 6, 6

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3.16 Dalla microeconomia alla macroeconomia neoclassica Abbiamo detto che mentre i classici e Marx facevano partire le loro analisi direttamente dallo studio del comportamento delle classi sociali, al contrario i neoclassici fondavano le loro teorie sull'individualismo metodologico. Essi quindi partivano sempre dallo studio del comportamento del singolo individuo: il singolo consumatore, il singolo lavoratore, la singola impresa, ecc. Finora abbiamo fatto esattamente questo: abbiamo infatti visto in che modo il singolo consumatore punta a massimizzare l'utilità, in che modo la singola impresa punta a massimizzare il profitto, ecc. Il fatto però che i neoclassici si concentrino sul comportamento dei singoli non impedisce di gettare uno sguardo sul funzionamento complessivo dell'intero sistema economico. Infatti, è vero che i neoclassici partono sempre dalla microeconomia, cioè dallo studio del comportamento dei singoli individui e dalle singole imprese. Ma è anche vero che essi ritengono possibile passare dalla microeconomia alla macroeconomia, cioè allo studio dei grandi aggregati sociali e dell'economia nel suo complesso. Il passaggio dal micro al macro per i neoclassici consiste nella sommatoria dei comportamenti individuali. (Qualcosa del genere l'abbiamo già intravista esaminando il passaggio dalla domanda individuale alla domanda di mercato, ecc.) Si vengono così a creare agenti rappresentativi espressione delle sommatorie. Seguendo questo intento diventa possibile costruire un modello neoclassico di tipo macroeconomico, che ci consente di studiare l'economia nel suo complesso, e che quindi ci permette di esaminare l'andamento di variabili importantissime come la disoccupazione, l'inflazione, i salari, i tassi d'interesse, ecc.

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Il modello macroeconomico che studieremo è ispirato alla teoria della disoccupazione di Pigou del 1933. Come vedremo, questo modello perviene a risultati tipicamente liberisti, che saranno poi criticati da Keynes. L'analisi viene qui effettuata sulla base di quattro ipotesi semplificatrici:

1) concorrenza perfetta: i singoli agenti (le imprese, lavoratori, etc. ...) sono troppo “piccoli” e troppo numerosi per avere un potere di mercato.

2) Consideriamo l'economia di una nazione autarchica, cioè chiusa agli scambi con l'estero.

3) Si produce un solo bene (es. grano). 4) Breve periodo (il capitale è fisso).

Ovviamente tali ipotesi semplificatrici possono essere rimosse (e le rimuoveremo), ma per ora le manterremo per non complicare l'analisi. Il modello macroeconomico neoclassico esamina il sistema economico di una nazione, preso nel suo complesso, suddividendolo in quattro grandi mercati:

mercato del lavoro mercato dei beni mercato dei titoli (cioè dei prestiti) mercato monetario.

Iniziamo l'analisi del mercato del lavoro. La domanda di lavoro delle imprese (attenzione: in economia le imprese domandano lavoro e i lavoratori offrono lavoro. Definiamo: Y produzione nazionale P prezzo della merce prodotta w salario monetario dei lavoratori N numero dei lavoratori occupati Da notare che w/p indica il salario reale dei lavoratori, cioè il potere d'acquisto del salario. Es. se il salario mensile è w = 1000 € e se il prezzo di un kg di grano è P=10 € allora i lavoratori ogni mese possono comprare w/P = 1000/10 = 100 kg di grano.

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Tracciamo ora la funzione di produzione di una ipotetica impresa “rappresentativa” data dalla sommatoria di tutte le imprese della nazione: La funzione di produzione ha la solita forma dettata dalla legge della produttività marginale del lavoro decrescente, dato il capitale K. Dalla funzione di produzione si può ricavare appunto la curva della PMGL decrescente. Ora, è facile dimostrare chela curva della PMGL decrescente corrisponde esattamente alla domanda di lavoro delle imprese. Noi sappiamo che in concorrenza perfetta le imprese massimizzano il profitto solo se:

P = CMG Ma sappiamo pure che il CMG = w/PMGL per cui possiamo scrivere:

P = LPMG

w → P·PMGL= w

da cui:

PMGL = Pw

Y

N

10

18 24 28 31 32

1 2 3 4 5 6

Y = Y(N)

N

1

4 3

8

6

10

1 2 3 4 5 6

PMGL

PMGL

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L'impresa assume finché i lavoratori aggiuntivi rendono più di quanto costano. Ora, sappiamo che in concorrenza perfetta le imprese sono piccole e numerose e quindi non hanno potere di mercato. Esse sono price-takers. Il mercato dunque determinerà i prezzi P e i salari w di equilibrio e le imprese si adegueranno ad essi. (w, P) → (Imprese) Dunque, nel grafico che esprime la PMGL possiamo fissare un ipotetico w/P dato esogenamente dal mercato: Quale sarà il numero di lavoratori che l'impresa domanderà? È chiaro che sarà N1. Per N0 → PMGL > w/P conviene aumentare N (c'è ancora margine) Per N2 → PMGL < w/P conviene diminuire N (si produce in perdita) Per N1 → PMGL = w/P è soddisfatta la condizione di massimo profitto Dunque la PMGL corrisponde esattamente alla domanda di lavoro (ND = PMGL) delle imprese. Quindi la domanda di lavoro ND è decrescente: se w/P aumenta allora ND si riduce, se w/P diminuisce allora la ND aumenta.

ND = PMGL

N

PMGL2

PMGL0

PMGL1= w/P

N0 N1 N2

PMGL

w/P, PMGL

65

L'offerta di lavoro degli individui Consideriamo un individuo “rappresentativo”, “sommatoria” di tutti i lavoratori della nazione. Sul grafico N, Y tracciamo le curve di indifferenza del lavoratore. L'ipotesi è che abbiamo a che fare con un bene (la produzione Y) e con un male (la fatica derivante dal lavoro N). Dunque lo scopo dei lavoratori è di massimizzare l'utilità situandosi può in alto a sinistra. Sullo stesso grafico tracciamo pure la retta del vincolo di bilancio dei lavoratori. È chiaro che questi potranno acquistare un ammontare di beni Y che dipende dalla quantità di lavoro N erogato e dal salario w/P secondo l'equazione:

Y = (w/P)·N ← Vincolo di bilancio dei lavoratori Ovviamente, il vincolo di bilancio ci dice che, a parità di w/P, se N aumenta ciò implica un incremento del reddito Y consumabile dai lavoratori (la retta di bilancio in questo caso resta ferma). Inoltre se, a parità di N, aumenta w/P, allora i lavoratori potranno acquistare più merce (la retta di bilancio, in questo caso, ruota verso sinistra e verso l'alto, in senso antiorario con centro nell'origine degli assi).

N

Y

w/P

Y = (w/P)·N

N*

66

Per ogni vincolo di bilancio (per ogni w/P), i lavoratori possono determinare la quantità di lavoro (N*) che massimizza la loro utilità, cioè si collocano sulla curva di indifferenza più alta possibile (quella tangente al vincolo di bilancio). Vediamo ora cosa accade se si verifica un aumento del salario reale w/P (che è sempre determinato in modo esogeno dal mercato: i lavoratori non hanno potere di mercato, anche loro sono price-taker).

N

Y

(w/P)0

Y = (w/P)1·N

N

w/P

Y = (w/P)0·N

(w/P)1

N0 N1

N0 N1

Ns

(w/P)1

(w/P)0

67

L'aumento del salario reale da (w/P)0 a (w/P)1 fa ruotare il vincolo di bilancio in alto e modifica quindi il punto di ottimo. La conseguenza è che i lavoratori si rendono disponibili a offrire più lavoro (da N0 a N1). Possiamo quindi riportare i livelli del salario reale e i corrispondenti livelli di lavoro offerto dagli individui su di un grafico sottostante. Otteniamo così la curva di offerta di lavoro (Ns) da parte di lavoratori. La curva di offerta è crescente: se w/P aumenta, allora Ns cresce, se w/P diminuisce, allora Ns si riduce. L'equilibrio del mercato del lavoro: I neoclassici sostengono che le forze del libero mercato, lasciate a sé stesse, porteranno automaticamente a quel salario reale (w/P)* che garantisce l'equilibrio tra domanda (ND) e offerta (NS) di lavoro. Supponiamo infatti che il salario reale di mercato sia (w/P)0. In corrispondenza di questo salario si ha un eccesso di offerta di lavoro rispetto alla domanda di lavoro:

N

w/P

E

N*

NS

(w/P)*

ND

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(w/P)0 → NS > ND

Questa è una situazione di disoccupazione. I lavoratori che si offrono sono NS

0 ma le imprese assumono solo ND

0. C'è quindi un numero di disoccupati involontari pari al segmento NS

0-ND0.

Questi disoccupati si dicono involontari perché al salario di mercato vigente (w/P)0 essi vorrebbero lavorare ma un lavoro non lo trovano. Per i neoclassici tuttavia questa situazione è solo temporanea. Il meccanismo di mercato condurrà spontaneamente il sistema all'equilibrio in E. I disoccupati infatti (essendo tra loro in concorrenza) eserciteranno una pressione verso il basso sui salari, che farà aumentare la domanda di lavoro ND e diminuire l'offerta NS fino all'equilibrio. La riduzione di w/P provoca:

un aumento della domanda di lavoro ND: riducendosi il costo del lavoro le imprese possono assumere lavoratori aggiuntivi, che hanno una marginale inferiore.

N

w/P

E

N*

NS

(w/P)*

ND

ND0 NS

0

(w/P)0 A B

69

Una riduzione dell'offerta di lavoro NS: alcuni lavoratori, vedendo che il salario si riduce, ritengono che il gioco non valga la candela e scelgono di ritirarsi dal mercato.

In corrispondenza dell'equilibrio (E) la domanda di lavoro ND è uguale all'offerta NS (cioè E → ND=NS ). Tutti i lavoratori disposti a lavorare (ad offrire lavoro) al salario reale vigente (w/P)* troveranno una corrispondente domanda di lavoro e quindi la caduta del salario si arresta. Si noti che in corrispondenza di E non ci sono più disoccupati involontari. Restano però dei disoccupati volontari, che al salario vigente non sono disposti a lavorare ma che si renderebbero disponibili ad un salario maggiore (si tratta del segmento NS

0-N*). I neoclassici tuttavia sostengono che i disoccupati volontari hanno liberamente scelto di non lavorare. E quindi essi non costituiscono un problema politico L'importante per i neoclassici è che il mercato sia in grado di assorbire spontaneamente la disoccupazione involontaria, cioè sia in grado di garantire un posto a tutti i lavoratori disposti a lavorare al salario di mercato di equilibrio. Visto che in equilibrio il sistema riesce ad eliminare la disoccupazione involontaria, allora si può parlare di equilibrio di piena occupazione. Come rispondeva questo modello alla grande crisi ???? Ma allora, come si spiega la presenza di tanti disoccupati nel 1933? ovviamente non li si poteva considerare tutti disoccupati volontari …. La risposta di Pigou e degli altri neoclassici dell'epoca è che i sindacati impediscono che il salario si riduca fino al livello di equilibrio. I sindacati cioè inchiodano il sistema economico nel punto A del grafico precedente bloccando il libero operare delle forze del mercato e generando disoccupazione involontaria pari ad AB.

70

Dal mercato del lavoro al mercato dei beni

N

w/P

E

N*

NS

(w/P)*

ND

N

Y

N*

Y = Y(N) Y*

71

Una volta determinato l'equilibrio sul mercato del lavoro, è noto il numero dei lavoratori occupati N*. Noto il numero degli occupati, in base alla funzione di produzione Y=Y(N) si può determinare il livello di produzione Y* di equilibrio. Una volta determinato il livello di produzione, si pone il problema fondamentale: cosa garantisce che l'intera produzione Y* venga assorbita dalla domanda? Chi ci assicura cioè che le imprese riescano a vendere tutta la merce prodotta. La questione è fondamentale: è chiaro infatti che l'equilibrio di pena occupazione può reggere solo se Y* viene venduto interamente. I neoclassici rispondono a questo interrogativo attraverso due proposizioni: 1) per ogni data produzione Y realizzata le imprese distribuiscono alle famiglie dei lavoratori e capitalisti un reddito Y di importo equivalente. (Attenzione: ciò significa che Y rappresenta sia la produzione nazionale sia il reddito nazionale). 2) Le famiglie di lavoratori e capitalisti, una volta ricevuto il reddito Y, lo spendono interamente per l'acquisto della produzione (di quanto è stato prodotto). Ora, se le famiglie dei lavoratori e dei capitalisti spendessero tutto il loro reddito per l'acquisto di beni di consumo, non vi sarebbe alcun problema. Ma nella realtà le famiglie spendono per consumi (C) solo una parte del reddito, mentre un'altra parte la risparmiano (S)!!!

IMPRESE FAMIGLIE

Y

reddito Y

produzione

spesa di tutto il reddito

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Dunque poiché una parte del reddito nazionale viene risparmiata, a quanto pare una parte della produzione resterà invenduta. Infatti, visto che produzione e reddito sono equivalenti la produzione sarà interamente acquistata se tutto il reddito viene speso! I neoclassici reagiscono a questo problema sostenendo che la parte di reddito che le famiglie risparmiano verrà interamente prestata alle imprese che useranno questo reddito per fare investimenti (I). Cioè per acquistare mezzi di produzione (macchine, impianti, ecc.). Dunque, ricapitolando: dall'equilibrio del mercato del lavoro emerge un livello di produzione Y corrispondente alla piena occupazione. Tale produzione sarà interamente venduta solo se viene rispettata questa condizione:

produzione = domanda

Y = C + I C + S = C + I

S = I

Ma chi ci garantisce che S e I saranno uguali? Dopotutto si tratta di decisioni prese da soggetti diversi. La risposta dei neoclassici è che il tasso di interesse i garantirà il perfetto equilibrio tra S e I. Infatti: - Le famiglie decidono tra C e S in base a i. Se i aumenta le famiglie riducono i consumi e S aumenta. - Le imprese decidono I in base al costo dei prestiti i. Se i aumenta, allora I si riduce. Quindi possiamo tracciare due funzioni, S e I. Le forze spontanee del mercato, lasciate a sé stesse, garantiranno un tasso di interesse di mercato i tale che S=I.

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Dunque così come il salario reale w/P garantisce l'equilibrio tra domanda e offerta di lavoro, così il tasso di interesse i garantisce l'equilibrio tra risparmi S e investimenti I (ossia, C+S = C+I e Y = C+I). Con ciò i neoclassici dimostrano che l'equilibrio di piena occupazione è stabile, visto che la produzione di piena occupazione sarà interamente assorbita dalla domanda, o come domanda di C o come domanda di I. Se si lascia fare al mercato, non sussiste alcun rischio di merci invendute!!! LA TEORIA QUANTITATIVA DELLA MONETA Le conclusioni del modello macroeconomico neoclassico sono palesemente liberiste. Le forze del mercato, lasciate a sé stesse, garantiscono il pieno impiego dei lavoratori e l'acquisto dell'intera produzione realizzata. L'intervento statale è inutile → se c'è disoccupazione, è colpa dei sindacati. Non solo! I neoclassici puntano a dimostrare che l'intervento statale può anche essere dannoso.

S, I

i

E

I*=S*

S

i*

I

I0 S0

i0 A B

74

Un esempio in questo senso è dato dalla teoria neoclassica della moneta, detta Teoria Quantitativa (Irving Fisher, 1911). Per esaminare questa teoria definiamo: M quantità di moneta (banconote) creata dalla Banca Centrale. V velocità di circolazione della moneta (numero di volte che ogni banconota passa di mano in un anno P livello dei prezzi Y produzione. Definiamo quindi: con MV la quantità di moneta complessivamente offerta in un anno. Infatti, se moltiplichiamo il numero di banconote per il numero delle volte che ogni banconota passa di mano, è chiaro che calcoliamo il totale della moneta offerta e scambiata in un anno. Con PY definiamo il valore della produzione offerta e scambiata, cui corrisponde ovviamente una quantità equivalente di moneta domandata in cambio. Possiamo dunque stabilire che:

MV = PY il che al momento è una mera tautologia, cioè una ovvietà. È chiaro infatti che a fronte del totale della moneta MV scambiata corrisponderà il valore della produzione PY scambiata (che coincide con il totale della moneta domandata). I neoclassici tuttavia trasformano la tautologia in una equazione imponendo delle ipotesi: M è data dalle autonome decisioni della Banca Centrale V è data dalle abitudini di pagamento della produzione Y è data dall'equilibrio di piena occupazione sul mercato del lavoro. L'unica incognita dunque è P:

75

PY = MV

MYV=P

questa equazione ci dice che, dati V e Y, se la Banca Centrale decide di aumentare M, l'unico effetto di questa decisione sarà un aumento del livello dei prezzi P. Il risultato dipende strettamente dall'ipotesi di piena occupazione. Infatti, se la Banca Centrale aumenta M in circolazione, gli individui disporranno di più moneta. Essi quindi useranno la moneta per comprare merci. Ma essendo la produzione già al livello di piena occupazione allora non potrà aumentare. Di conseguenza, di fronte all'incremento di domanda di merci le imprese finiranno per aumentare P. L'intervento politico della Banca Centrale, magari finalizzato a stimolare la domanda, ad aumentare Y e l'occupazione N, in realtà è inutile (Y è già al pieno impiego) ed è pure dannoso (poiché genera inflazione). Le conclusioni del modello sono ancora una volta liberiste: - neutralità della moneta - orientamento restrittivo della politica monetaria (riduzione di P senza costi su Y) Il sistema di equazioni del modello macroeconomico neoclassico: NS = NS (w/P) ND = ND(w/P) NS = ND Y = Y(NS) S = S(i) I = I(i) S = I MV = PY w = (w/P)·P

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Esempio: NS = 60 + (w/P) ND = 120 – 2 (w/P) NS = ND Y = (NS)1/2

S = 2 + i I = 11 – 2 i S = I 45 · 2 = P·Y w = (w/P)·P 60 + (w/P) = 120 – 2 (w/P) 3 (w/P) = 120 – 60 w/P = 60/3 = 20 NS = 60 + 20 = 80 Y = (80)1/2 = 980 S = I → 2 + i = 11 – 2 i → 3 i = 9 → i = 9/3 = 3 S = I = 2 + 3 = 5 P·Y = 45·2 = 90 → P·9 = 90 → P = 90 / 9 = 10 w = (w/P)·P = 20 * 10 = 200

77

LA CRISI PER I NEOCLASSICI Notiamo un'ultima cosa. Supponiamo che si verifichi una crisi di fiducia delle aspettative di profitto. Conseguenza: gli imprenditori riducono gli investimenti I. Per i neoclassici non c'è problema. Il movimento del tasso di interesse metterà in equilibrio il sistema. Infatti il tasso di interesse si ridurrà portando in equilibrio il risparmi e investimenti. Alla riduzione dei risparmi corrisponderà subito un aumento dei consumi che compenserà la riduzione degli investimenti.

S, I

i

S

I

I'

78

Ma se volessimo tornare ai livelli di investimento precedenti? Semplice, basta che l'orientamento al risparmio delle famiglie aumenti: con l'aumento dei risparmi delle famiglie (la curva dei risparmi S ora si sposta verso destra) si ridurrebbe il tasso di interesse e quindi aumenterebbero gli investimenti. La virtù della parsimonia quale fattore chiave dell'accumulazione e dello sviluppo economico

S, I

i S

I

I'

S'

79

CONFRONTO TRA DIVERSE TEORIE

Classici Marx Neoclassici

analisi di classe analisi di classe metodologia

obiettivi

metodologia

liberismo socialismo liberismo implicazioni

razionalità

individualismo metodologico

condizioni di riproducibilità

del sistema

condizioni di riproducibilità

del sistema

ottimo utilizzo delle risorse

scarseoggettivismo

(analisi contabile)

lavoro

oggettivismo (analisi

contabile) lavoro

soggettivismo (utilità)

razionalità sistemica

razionalità sistemica

razionalità individuale