Igiene cittadina -...

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Qualche testimonianza d’epoca sul problema della copertura della Fossa interna dei Na- vigli, dalle pagine del Corriere della Sera, 1880-1927 sabato 1 maggio 1880 Igiene cittadina Il fatto narrato testé da un giornale citta- dino, cioè che un vivo e risentito reclamo sia stato presentato al Consiglio provin- ciale di sanità, contro l’agglomeramento nel naviglio asciutto di putridume e di sangue umano raggrumato provenienti dalla sala delle sezioni anatomiche dell’Ospedale maggiore, è certamente grave e fa luogo a serie considerazioni. Prima di tutto si domanda come un simile sconcio abbia potuto durare tanti anni come fosse la cosa più naturale del mon- do? Se fu avvertito come e perché si la- sciò che continuasse, con tanto pericolo della pubblica salute, giacché anche col naviglio pieno le acque inquinate dalle materie putride e corrotte non potevano a meno di produrre i suoi tristi effetti sulla pubblica igiene. Se non fu avvertito, non deve recare dolorosa sorpresa il vedere che la pubblica salute sia così trascurata e che in uno stabilimento nel quale gli igie- nisti abbondano, non siasi rilevato ciò che il più profano dei cittadini può rilevare e condannare? Diciamolo francamente, se si tratta di lusso, di comparse, di comodo si va avanti allegramente e basta appena esporre un desiderio che esso viene tosto soddisfatto. Ma se per la pubblica igiene, tutti a parole sono lì per dare anima e corpo, ma in fatto si fa poco, e troppo poco. E quando un igienista in nome della scienza, o in base all’esperienza propria, reclama un provvedimento, il meno che gli si risponde è che esso esagera, e si ac- coglie il suo reclamo con un pietoso sog- ghigno. Sei o sette anni or sono, nel Cor- riere di Milano, fu sollevata dal signor Massara la questione delle acque potabili e per un poco vi fu un po’ d’agitazione, tanto è vero che si fecero dall’egregio prof. Pavesi le analisi delle acque di Mila- no. – Dopo poco tempo lo stesso signor Massara, se non erriamo, in Consiglio co- munale richiamò l’attenzione della Giunta sul bisogno di rivolgere gli studi anche sulle condizioni delle acque. L’on. Sindaco con quel suo fare disin- volto e un po’ scettico, rispose non crede- re alla malsania delle nostre acque pota- bili, giacché molti cittadini vivono a 70, 80 e fino 90 anni, senza aver mai sofferto per l’acqua. E così la cosa per allora finì. È ve- ro che si avrebbe potuto rispondere che anche a Parigi vi hanno alcuni vecchi ope- rai che lavorano da 40 a 50 anni negli egôuts, senza che per altro alcuno siasi mai immaginato che il vivere in mezzo ai miasmi delle fogne, sia sano; vero che nessuno ha mai negato che sia pericoloso il trovarsi impegnati in una battaglia a fu- cili e a cannoni, per ciò solo che molti soldati ne escono sani e salvi. Ma così pur troppo è, nelle questioni d’igiene, si guar- dano spesso le cose superficialmente, chi è morto è morto, chi soffre, soffra, e nes-

Transcript of Igiene cittadina -...

Qualche testimonianza d’epoca sul problema della copertura della Fossa interna dei Na-

vigli, dalle pagine del Corriere della Sera, 1880-1927

sabato 1 maggio 1880

Igiene cittadina

Il fatto narrato testé da un giornale citta-

dino, cioè che un vivo e risentito reclamo

sia stato presentato al Consiglio provin-

ciale di sanità, contro l’agglomeramento

nel naviglio asciutto di putridume e di

sangue umano raggrumato provenienti

dalla sala delle sezioni anatomiche

dell’Ospedale maggiore, è certamente

grave e fa luogo a serie considerazioni.

Prima di tutto si domanda come un simile

sconcio abbia potuto durare tanti anni

come fosse la cosa più naturale del mon-

do? Se fu avvertito come e perché si la-

sciò che continuasse, con tanto pericolo

della pubblica salute, giacché anche col

naviglio pieno le acque inquinate dalle

materie putride e corrotte non potevano a

meno di produrre i suoi tristi effetti sulla

pubblica igiene. Se non fu avvertito, non

deve recare dolorosa sorpresa il vedere

che la pubblica salute sia così trascurata e

che in uno stabilimento nel quale gli igie-

nisti abbondano, non siasi rilevato ciò che

il più profano dei cittadini può rilevare e

condannare? Diciamolo francamente, se si

tratta di lusso, di comparse, di comodo si

va avanti allegramente e basta appena

esporre un desiderio che esso viene tosto

soddisfatto. Ma se per la pubblica igiene,

tutti a parole sono lì per dare anima e

corpo, ma in fatto si fa poco, e troppo

poco. E quando un igienista in nome della

scienza, o in base all’esperienza propria,

reclama un provvedimento, il meno che

gli si risponde è che esso esagera, e si ac-

coglie il suo reclamo con un pietoso sog-

ghigno. Sei o sette anni or sono, nel Cor-

riere di Milano, fu sollevata dal signor

Massara la questione delle acque potabili

e per un poco vi fu un po’ d’agitazione,

tanto è vero che si fecero dall’egregio

prof. Pavesi le analisi delle acque di Mila-

no. – Dopo poco tempo lo stesso signor

Massara, se non erriamo, in Consiglio co-

munale richiamò l’attenzione della Giunta

sul bisogno di rivolgere gli studi anche

sulle condizioni delle acque.

L’on. Sindaco con quel suo fare disin-

volto e un po’ scettico, rispose non crede-

re alla malsania delle nostre acque pota-

bili, giacché molti cittadini vivono a 70, 80

e fino 90 anni, senza aver mai sofferto per

l’acqua. E così la cosa per allora finì. È ve-

ro che si avrebbe potuto rispondere che

anche a Parigi vi hanno alcuni vecchi ope-

rai che lavorano da 40 a 50 anni negli

egôuts, senza che per altro alcuno siasi

mai immaginato che il vivere in mezzo ai

miasmi delle fogne, sia sano; vero che

nessuno ha mai negato che sia pericoloso

il trovarsi impegnati in una battaglia a fu-

cili e a cannoni, per ciò solo che molti

soldati ne escono sani e salvi. Ma così pur

troppo è, nelle questioni d’igiene, si guar-

dano spesso le cose superficialmente, chi

è morto è morto, chi soffre, soffra, e nes-

suno se ne cura; e basta talvolta la paura

d’una piccola spesa, o la prevalenza di

qualche privato interesse perché un prov-

vedimento sia messo da parte con danno

anche d’una popolazione. Però, volere o

non volere, le idee buone si fanno strada

da sé. La questione delle acque potabili

messa da parte da tanti anni, ora risorge,

e con probabilità che possa essere presto

risolta coll’attuazione di uno fra i molti

progetti presentati. – Così sarà, o

dev’essere della copertura del Naviglio in-

terno alla quale devono concorrere pel

loro interesse gli stessi proprietari fron-

teggianti la fossa, E noi vorremmo che

una attiva sorveglianza si esercitasse sulle

costruzioni delle case, dove si trovano dei

locali abbominevoli e dove le prescrizioni

igieniche sono affatto trascurate. Si per-

suada l’autorità cittadina che il curare

l’igiene è uno de’ suoi primi doveri, e che

la civiltà d’un popolo come disse Liebig si

misura dal sapone che consuma, una città

pulita e con i suoi ordinamenti igienici

acquista sempre credito e rinomanza, e

può sempre migliorare anche le sue con-

dizioni economiche.

mercoledì 16 giugno 1880

Questione del Naviglio

Non è morta: tutt’altro. Il Comitato pro-

motore per l copertura o deviazione della

fossa interna, presieduto dall’ingegnere

Carlo Mira, ha nominato nel suo seno di-

verse Commissioni. Queste sono incaricate

di raccogliere, dai vari proprietari di case

fronteggianti, o poco discoste dal Navi-

glio, sottoscrizioni per un concorso pecu-

niario allo scopo di rendere possibile e

sollecita la tanto reclamata copertura del

Naviglio stesso.

Sappiamo che, non solo per

l’interesse generale dell’igiene, e del de-

coro cittadino, ma anche pel proprio inte-

resse, molti proprietari sono già disposti a

prestare questo concorso, e a creare quel

plebiscito finanziario, che, unito al plebi-

scito igienico già solennemente pronun-

ciato, deve spingere l’autorità ad asse-

condare e affrettare l’opera progettata di

copertura. E questo noi desideriamo e

speriamo.

Giacché una volta che la Giunta e il

Consiglio Comunale si sono risolti a copri-

re il Naviglio morto, e quello di San Gero-

lamo, sarebbe illogico e ingiusto arrestarsi

a metà, e ricorrere a mezze misure inutili

e dispendiose davanti al grande e impor-

tantissimo tronco dal Tombone di San

Marco alla Conca di Viarenna, il quale in

fin dei conti non è altro che una cloaca,

ricettacolo d’ogni immondizia, che passa

frammezzo al centro più popoloso della

città.

giovedì 24 giugno 1880

La copertura del Naviglio

Ieri sera, alle ore otto, fin verso mezzanot-

te, in una sala terrena della casa numero

31 del corso Venezia, si agitò l’antica e

vitale questione della copertura del Navi-

glio.

Si era invitati a raccolta dalla Società

d’igiene che non lascia cadere nessuna

questione importante.

La sala era affollata di medici,

d’ingegneri, di consiglieri comunali e pro-

vinciali, di proprietari di case lambite dal

Naviglio e d’altri cittadini. Il Corriere della

Sera era pur rappresentato.

La discussione fu agitatissima. Parla-

rono il dottor Pini, che fece la storia della

copertura del Naviglio; l’ingegnere Mira,

autore di un progetto di copertura pre-

miato a Bruxelles; – l’ing. Bignami che

propose di coprire parecchi canalacci

esterni, come più dannosi – Il cons. Mas-

sara propugnò la copertura del canale

tanto più, disse, che la navigazione ivi è

ridotta a misera cosa. Parlò anche il prof.

Angelo Pavesi, che invocò un provvedi-

mento d’acqua potabile. Il rag. Colombo

fece vedere che a pavimentare il Naviglio

si spenderebbe più che a coprirlo. Altri

discorsero. La discussione diventa, alla fi-

ne, generale. Il dottor Pini propose un or-

dine del giorno; altri lo modificarono. Al-

cuni consiglieri comunali si astennero dal

votare, e gli altri votarono alla fine il se-

guente:

L’adunanza promessa dalla Società

Italiana d’Igiene, presa cognizione dei

progetti, delle discussioni e dei voti ai

quali ha dato origine la fossa interna;

“Convinta, che nelle condizioni attuali

il naviglio può essere causa di grave mal-

sania sul fatto della umidità, delle infiltra-

zioni che subiscono i pozzi delle case pro-

spicienti il naviglio stesso, per le emana-

zioni mefitiche durante gli spurghi e là

dove hanno luogo le immissioni di mate-

rie escrementizie, esprime il voto, che la

rappresentanza cittadina nel dar mano a

opere di risarcimento del naviglio abbia

principalmente di mira l’adozione di quei

progetti che tendono a sopprimere in

modo assoluto e completo le perniciose

influenze della fossa interna, provvedendo

altresì alla sistemazione dei canali collet-

tori che infestano i quartieri popolari, e

che fin d’ora abbia a cessare il deflusso

delle materie fecali nel naviglio che si ve-

rifica tuttora a danno della salute pubblica

e a offesa del decoro cittadino”.

Per mancanza di spazio, non potem-

mo che offrir qui un rapido cenno della

seduta di ieri; ma il detto è bastante per

dare un’idea delle correnti di opinioni di-

verse che agitavano l’assemblea. Ne ripar-

leremo.

venerdì 4 luglio 1884

La salute pubblica. Le nostre

ispezioni in via Vettabbia

Mentre la Commissione sanitaria annunzia

che le sotto-Commissioni incominciano le

loro ispezioni sanitarie in tutti i quartieri

della città, abbiamo voluto anche noi co-

minciare a dare un’occhiata, non nei corsi

e nelle vie principali, ma nelle strade più

trascurate e che non sembrano apparte-

nere a una città civile e pulita come Mila-

no.

Mettiamo in questo numero via Ve-

traschi, via Gozzadini, via Medici, via Olo-

cati, via Gian Giacomo Mora.

[p. 3⇒] Ieri abbiamo visitato, con

scrupolo d’ispettori igienici, la via Vettab-

bia, già in triste fama per la violenza con

la quale vi si manifestò il morbo cholerico

nel 1867.

Cominciamo col dire che lungo la via

Mulino delle Armi le acque del Naviglio

sono ferme e stagnanti come quelle di

lurida gora, e confondono i loro miasmi

con quelli provenienti dal fosso che scorre

lungo via Vettabbia; fosso nel quale sco-

lano i rifiuti delle case e degli stabilimenti

industriali. La strada non è inaffiata né pu-

lita e fino a ieri non si era pensato a

combattere i miasmi con alcuno di quei

disinfettanti de’ quali altrove si fa tanto

spreco.

I proprietari dell’osteria del Ponticello

al N. 23 ci hanno fatto provare il poco

gradito piacere di stare fra due puzzi dif-

ferenti; davanti quello del canale, di dietro

quello del letame e di altri ingrassi anche

più malsani sparsi sulle ortaglie comprese

nello spazio fra via Vettabbia e il Corso S.

Celso.

Entrando nel cortile del N. 23 si sente

un puzzo insopportabile. Abbiamo voluto

verificarne la causa. Lungo il muro di cinta

d’una ortaglia grandissima affittata a certi

Borghi, gli spazzaturai di tutto il quartiere

vanno a vuotare i carri dell’immondezza.

Lungo duecento metri di muro vi sono

dai 30 ai 40 di siffatti depositi!

L’argomento non è odoroso! ma

quando si pensa che quel muro confina

col giardino dell’oratorio di San Lorenzo,

nel quale la domenica vanno a fare il

chiasso i bambini di molte famiglie del

quartiere; quando si pensa che non molto

lontano c’è il collegio militare di S. Luca,

bisogna pure occuparsene.

Quello sentito ieri da noi è l’odore

normale. Ma due o tre volte la settimana

c’è lo spargimento della così detta bor-

landa negli orti: e allora poi, apriti Cielo!

Ci assicurano che non si resiste: tanto è

vero che non vi passano mai neppure i

delegati mandamentali.

Siamo entrati anche nella casa n. 33,

vicina al bastione, di proprietà Vismara;

casa tristamente famosa negli annali sani-

tari di Milano, come quella nella quale si

verificarono 50 casi di cholera nel 1867.

Anche qui grandi lamenti contro il

fosso, la borlanda e i depositi di spazzatu-

ra. In altre case dove siamo entrati il sudi-

ciume non mancava. Generalmente tutti,

sapendoci scrittori di giornali, ci hanno

raccomandato d’insistere per la copertura

del Naviglio e della fossa Vettabbia. Difat-

ti ogni misura provvisoria è assolutamente

inutile in quei paraggi, se si vuol tutelare

la pubblica igiene, anche non tenendo

conto dei pericoli di una invasione coleri-

ca. Se non sarà cholera saranno tifi, febbri

infettive e malariche.

giovedì 12 marzo 1885

Il naviglio di S. Girolamo

L’altra sera, parecchi proprietari di case

fronteggianti il naviglio morto di S. Giro-

lamo, si sono riuniti nell’abitazione de’

fratelli Mazzini, in casa dei signori De Si-

moni, e hanno stabilito di presentare

un’istanza alla Giunta per pregarla a voler

dare corpo al progetto di copertura di

detto tronco di naviglio – progetto già

approvato nella seduta consigliare del 17

aprile 1883 – essendo tale provvedimento

richiesto dalle condizioni igieniche della

città.

giovedì 14 aprile 1887

Questioni di stagione. Il Naviglio

Questo canale dall’acqua limacciosa, fu

sempre colpevolmente lasciato in abban-

dono. Lo si credette forse innocuo, e in

realtà invece fra il suo fango tiene nasco-

sta un’arma potente di distruzione; nelle

sue torbide acque scorrono germi letali,

che sono una continua minaccia alla salu-

te pubblica.

Si pensò ad abbellire Milano, a illu-

minarla a luce elettrica, a darle l’aria di

capitale, e sorsero palazzi, e gallerie, e si

aprirono piazze; si volle insomma accon-

tentare l’occhio; ma la questione del Na-

viglio non fu mai risolta.

Nel giorno dell’asciutta, il naso, irrita-

to da aspirazioni poco delicate, costrinse,

è vero, qualche volta il cervello a pensare

a un provvedimento, ma rimessa l’acqua,

soffocato il lezzo, il cervello non ci pensò

più.

E così passarono molti anni senza

pensare a un rimedio radicale. Diciamo

molti anni perché la questione è proprio

vecchia. Fino dal 1774 una memoria del

conte Agostino Litta faceva proposte “per

un esperimento atto a spurgare la fossa

interna colla semplice forza a uso delle

sue acque correnti».

Quasi un secolo dopo e cioè nel

1867, il Municipio di Milano incaricò una

Commissione, composta degli ingegneri

Righetti, Bignami-Sormani e Busoni, di

studiare i modi più acconci per rendere

meno nocivo il Naviglio; ma non si prese

alcun provvedimento decisivo.

Per dimostrare che il Naviglio è un

vero centro d’infezione, basti sapere che

fino a tre anni fa riceveva gli scoli di 240

pozzi neri e che anche oggi in esso met-

tono capo i condotti delle case che lo

fiancheggiano.

Questi è un fatto conosciuto da mol-

to tempo; eppure non fu che in questi ul-

timi tempi quando la cittadinanza e gli

igienisti reclamarono rimedi energici con-

tro quella perenne minaccia alla pubblica

salute, che vi fu un risveglio da parte delle

autorità locali.

I reclami furono trovati giusti; la ne-

cessità di rimedi fu riconosciuta e quindi

si discusse sui modi migliori per raggiun-

gere uno scopo pratico e salutare.

Si avanzarono progetti; le discussioni

sorsero animatissime; vi furono quelli che

propugnarono la soppressione della fossa

interna; altri che credettero miglior mezzo

la copertura.

I fautori della soppressione della fos-

sa interna proponevano un mezzo radica-

le. In tal modo la questione era sciolta in

modo sicuro.

E di certo il primo progetto appariva

preferibile a ogni altro, ma la sua attua-

zione pratica presentava sacrifici enormi

di danaro. Bisognava compensare tutti

quelli che si servono delle acque del Na-

viglio le quali per mezzo di trentadue

bocche aperte sulle sue sponde, vengono

ripartite in altrettante utenze di circa

complessive once milanesi 148.

Inoltre questa massa d’acqua serve

all’irrigazione e nel suo vario corso mette

in azione ben ventiquattro motori idraulici

di stabilimenti industriali.

Anche il progetto caldeggiato dai

fautori della copertura della fossa interna

presentava, gravissimi inconvenienti.

Anzitutto la copertura se ha il van-

taggio di impedire le esalazioni, ha pure il

gravissimo danno di non impedire

l’inquinamento delle acque e quindi la

causa prima d’ogni male non sarebbe tol-

ta con una semplice copertura.

E ne abbiamo un esempio nel canale

Seveso e nella roggia Medici che sono

coperti e le di cui esalazioni essendo im-

prigionate dalla volta, non trovano altra

via d’uscita che i condotti delle case che

in essi immettono gli scoli.

La relazione della Commissione

straordinaria di sanità intorno al colera del

1867, ci dice che ove il morbo infierì più

violento, si fu nella zona racchiusa fra il

Seveso e la Roggia Medici. Per tali consi-

derazioni anche il progetto della copertu-

ra fu rigettato e fu scelto il progetto

dell’ingegnere Murnigotti come quello

che offriva maggior utilità pratica e che

corrispondeva al più importante scopo e

cioè d’impedire la comunicazione delle

acque del naviglio con quelle possibili del

sottosuolo.

E ciò si ottiene col rivestire il fondo e

le sponde della fossa con uno strato di

calcestruzzo che acquista la solidità della

pietra e impedisce la filtrazione.

Inoltre, allo scopo di tenere sempre

pulito il letto della fossa e impedire

l’enorme deposito di materie che vi si

forma durante l’anno, l’ingegnere Murni-

gotti ideò un sistema di spazzatura consi-

stente in una barca detta paratoia fatta in

modo da ripiegarsi su se stessa, onde po-

ter passare per le strette delle conche,

fornita d’ordigni per mantenere la propria

mezzaria sull’asse dell’alveo.

Se questo sistema reggerà alla prova

d’un esperimento, certo il problema sarà

di ottima via di soluzione.

Per ora intanto si fa l’operazione più

importante, quella d’impedire

l’inquinazione. E davvero sarebbe da au-

gurarsi che un’operazione tanto igienica si

potesse farla al più presto.

Invece non si ha che un mese

all’anno di tempo per lavorare.

Quest’anno, come dicemmo giorni

sono, si pavimenta il tratto dal ponte di S.

Celso a quello di porta Romana.

L’impresa è obbligata a fare ogni an-

no non meno di 500 metri, ma neppure di

più.

Non applaudiamo certamente a que-

sto contratto stretto dal Municipio, mercé

il quale si avrà la pavimentazione comple-

ta non prima di cinque anni, mentre po-

teva essere compiuta in un anno e mezzo.

Né ci pare che il Municipio abbia

stabilito cinque anni di tempo allo scopo

di suddividere la spesa. – Si tratta di cin-

quanta mila lire; e non si può credere che

il Municipio che spende milioni in altre

opere abbia potuto dichiararsi impotente

a sborsare tal somma in minor tempo,

tanto più trattandosi di una questione

dalla quale – è sufficientemente provato –

dipende la salute dei cittadini.

Ma ormai: cosa fatta capo ha.

Un’altra notizia: L’ingegnere Murni-

gotti aveva contrattata in Olanda una

draga a vapore per accelerare i lavori

d’escavazione; fino dallo scorso luglio

domandò l’autorizzazione al Ministero dei

lavori pubblici, ma la risposta giunse cin-

que mesi dopo, quando non c’era più

tempo sufficiente per far venire la draga.

Per ciò l’escavazione si fa col lento

lavoro manuale, e non vedremo il Navi-

glio interno completamente pavimentato

che fra parecchi anni. Allora il Municipio,

convinto dell’utilità d’impedire

l’inquinamento delle acque potabili, pen-

serà anche alla pavimentazione del Seveso

e della roggia Medici.

sabato 3 agosto 1895

Il Redefossi

Dovrebbe essere un corso d’acqua. Ne ha

infatti l’apparenza, dalle chiuse del cosid-

detto ponte delle Gabelle, pel quale il na-

viglio della Martesana entra in città, fino a

porta Vittoria. Per questo tratto di circon-

vallazione la sua corrente, d’ordinario ab-

bastanza chiara, alta un buon palmo,

scende con una certa velocità – press’a

poco la metà di quella d’un uomo al pas-

so – sopra un letto melmoso e turchinic-

cio.

L’odore che ne emana, benché non

sia precisamente di viole, è tuttavia anco-

ra tollerabile per chi non ha l’olfatto tropo

meticoloso.

Ma è da porta Vittoria – d’onde si di-

stacca il canale d’irrigazione che va verso

Monluè, ed è chiamato il Cavo Borgogno-

ne – fino a porta Romana, che l’aspetto

del Redefossi diventa veramente sconcio.

Nel viale adiacente, e specialmente vicino

ai condotti pei quali gli opifici scaricano i

loro rifiuti, si sente un profumo che ha la

proprietà di far arricciare il naso ai pas-

seggeri, e di rammentare a ogni istante

agli abitanti delle case dirimpetto la poca

gradita vicinanza di una cloaca scoperta.

L’acqua poi – dove c’è – è stagnante

e limacciosa, bolle sempre, ed è travaglia-

ta continuamente da processi chimici che

le danno tutti i colori dell’iride. Galleg-

gianti su di essa, sparsi sui tratti asciutti o

conficcati nella mota, si affratellano là

dentro in una bizzarra promiscuità gli og-

getti più strani e disparati.

Un vero bazar della chiavica. Il mazzo

di fiori dell’onomastico fa compagnia alla

carogna del gatto; il cappellino sdrucito

della signorina alla ciabatta scalcagnata

del facchino; la scopa consunta della por-

tinaia alla bottiglia vuota del lunedì; il tu-

bo da grondaia al mucchio di pomidori e

cipolle fradice; insomma un caos che sa-

rebbe pittoresco, se non fosse puzzolente.

Si capisce infatti come tutti quei cor-

pi organici in decomposizione entro la

belletta quelle lordure disseminate sui

tratti asciutti, quegli scoli di lavatura dalle

fabbriche possano fornire all’atmosfera di

quel rione elementi deleteri capaci di far

cambiar colore agli abitanti. Il pericolo

non è spaventoso, ma esiste in propor-

zioni degne d’esser notate, e questo ci

par che basti.

Lo stabilimento Lancina e Fiori, posto

sul Redefossi del viale di porta Romana,

dalla parte dei bastioni, risente – per la

posizione che occupa – più degli altri i

disastrosi effetti di quei miasmi. Chiunque

voglia recarsi, per curiosità, in quello sta-

bilimento, troverà che quasi tutti i giorni

mancano operai, che giacciono in letto a

casa loro colla febbre. Non parliamo delle

febbriciattole gastriche di poca entità che

sono ormai endemiche laggiù, e a cui

nessuno bada più che tanto.

Dopo ripetuti reclami, circa quindici

giorni fa quella ditta ha ottenuto che per

alcune ore di un giorno alla settimana

venga immerso nel Redefossi un piccolo

getto d’acqua, il quale dovrebbe produrre

in esso la corrente; ma in realtà questa si

riduce a uno spostamento d’acqua che

s’arresta a qualche centinaio di metri. In

tal modo il rimedio adottato non rimedia

proprio a nulla.

Un altro punto eminentemente fetido

del Redefossi è quel braccio di circa cento

metri presso il così detto salto di porta

Romana. In esso l’acqua è relativamente

alta – circa due palmi – e assomiglia alla

broda di un pozzo nero, poiché è preci-

samente nera, densa e putrida come quel-

la. Alla sua superficie, sopra uno strato di

lurida schiuma, svolazzano i moscerini.

Noi crediamo francamente, a dispetto di

certi ottimisti che non abitano in quei pa-

raggi, che tutto ciò possa inquinare l’aria.

E il rimedio?

Pare che la copertura, che sarebbe il

migliore, debba venir a costare troppo al

Comune, il quale può vederla egualmente

compiuta, e non a proprie spese, fra un

buon numero d’anni. È noto infatti come

ogni proprietario di case costrutte sul

margine del Redefossi debba provvedere

anche alla copertura di questo dinanzi al

proprio fabbricato. Ma intanto?

Non potrebbe il Comune, conside-

rando che si tratta della salute dei cittadi-

ni e del decoro della città, fare una specie

di anticipazione ai frontisti avvenire, prov-

vedendo intanto alla copertura, e riser-

vandosi di farsi rimborsare a poco per

volta, man mano che verranno costruite

case dinanzi al Redefossi?

A noi consta che molti di coloro che

intendono appunto di fabbricare in quelle

località sarebbero disposti ad accettare, e

qualche cosa di simile ha detto in Consi-

glio comunale anche il consigliere Pozzi.

Comunque ci si pensi: una città come

Milano non può impunemente lasciar sus-

sistere un tale centro d’infezione.

sabato 10 agosto 1895

La copertura del naviglio

La questione della copertura dei navigli è

una di quelle che più devono interessare

la cittadinanza, giacché è da quelle acque

melmose e miasmatiche che provengono

molte delle malattie infettive, che nei bol-

lettini statistici sono sempre indicate con

cifre relativamente alte.

Ciò che abbiamo scritto sul Redefossi

ci ha procurato molte lettere di ringrazia-

mento da parte di persone dimoranti in

quei paraggi.

Ora ci si incita a trattare un’altra qui-

stione: dell’incompleta copertura di via

San Gerolamo.

Esporremo brevemente di che si trat-

ta: il Municipio di Milano sin da molti anni

fa aveva divisato di coprire il tratto del

naviglio che dalla ferrovia Nord va per le

vie San Gerolamo e Vittoria sino al ponte

di Porta Genova.

I lavori, principiati or sono due anni,

procedettero alacremente, tanto che oggi

questa importante opera potrebbe dirsi

compiuta, ed essere una prova efficace di

quanto le amministrazioni comunali han-

no fatto per il decoro e per l’igiene della

nostra città.

Ma al compimento manca ancora un

tratto: quello che dal Ponte dei Fabbri va

al ponte di Porta Genova, di guisa che chi

passa per questo, vede le acque nere pe-

netrare nell’oscuro sotterraneo del tratto

coperto e ne riceve l’impressione come

d’una grande cloaca, la quale ha in quel

punto il suo sfiatatoio.

La causa per cui il lavoro rimane in-

compiuto è che il proprietario delle case

fronteggianti il Naviglio per quel tratto,

esige somme che il Municipio ritiene ec-

cessive.

Di questa proprietà una è quella casa

mezzo diroccata, che vista per chi viene

da via Cesare Correnti sembra un sipario

a reclame, e vista da chi viene da porta

Genova, e muove al centro, sembra un

rudero trasportato qui come ricordo dello

sventramento di Napoli.

Per l’esproprio il Municipio non vole-

va dare che 70.000 lire, ma il proprietario

signor Beati chiedeva una somma molto

maggiore. Pareva che si sarebbe venuti a

un accordo sulle 80.000 lire, ma poi tutto

fu rotto. Ora a quanto si dice non vi è più

possibilità di una soluzione conciliativa: il

Municipio non crede in coscienza di dover

dare di più, il signor Beati rimane fermo

nelle sue esigenze, e così una delle opere

veramente imposte dall’utilità pubblica

viene a rimanere incompleta.

Ma chi ne soffre veramente sono i

frontisti che confinano o che fronteggiano

la proprietà Beati, poiché le acque della

roggia Castello, incanalata per diversi chi-

lometri, sboccando precisamente in quel

punto non coperto, emanano odori vera-

mente nauseabondi.

Allorché poi si aggiunga che in que-

ste acque incanalate immettono gli scoli

di tutte le case fronteggianti le vie Sam

Gerolamo e Vittoria, e anche vari scarichi

di materie ancor più pestilenziali, si potrà

formarsi un’idea del grave danno che ne

deriva alla salute dei poveri inquilini.

Ora questi frontisti fanno un ragio-

namento assai semplice, ma che ci sem-

bra assai giusto:

«Noi non vogliamo andar a vedere

da qual parte sia la ragione o il torto. Se

la ragione sta dalla parte del signor Beati,

il Municipio la riconosca e compia la co-

pertura. Se invece chi crede d’aver ragio-

ne è il Municipio, allora questo non indu-

gi più oltre in partiche eterne, ma inizi

subito una causa di espropriazione, visto

che trattasi d’un’opera di sanità pubblica.

Da indagini che abbiamo fatto, ci è

risultato che le persone dimoranti in quel-

la località soffrono veramente nella salute.

È impossibile alla notte tener aperta una

finestra e alle volte, allorché il tempo

cambia, conviene tappare ogni buco per

non subire le emanazioni di quella fogna,

che le acque della roggia che vi immette

tengono di continuo in fermentazione.

E senza voler far da mentori

all’Ufficio tecnico municipale, della cui

meravigliosa attività si hanno giornalmen-

te tante prove, ci permettiamo di consi-

gliarlo a voler procedere con energia in

quest’opera di risanamento.

In una città che ha speso tanto per

quei lavori pubblici, che hanno stretti rap-

porti coll’igiene – ricorderemo l’acqua po-

tabile, la fognatura, le nuove scuole, i ba-

gni e i lavatoi pubblici – non dovrebbero

sussistere un giorno questi grandi incuba-

tori di microbi e di infezioni. In un modo

o nell’altro si dovrebbe provvedere, per-

ché sono vizi che deturpano ciò che può

avere di bello la nostra città.

Sarebbe perfettamente inutile iniziare

un’opera di tanta importanza qual è quel-

la della copertura del Naviglio, quando si

debba poi vederla eternamente incompiu-

ta. Il municipio, pur riconoscendo ciò che

è giusto, deve cercare con ogni modo di

far trionfare quanto torna a vantaggio

dell’igiene cittadina. E tanto più deve farlo

in quanto che la legge gliene dà il diritto

e il mezzo.

sabato 16 maggio 1896

Il Redefossi famigerato e pesti-

lenziale

L’eterna questione del Redefossi va fa-

cendosi sempre più acuta. Da porta Nuo-

va a porta Romana, vale a dire per tutto il

percorso del putrido canale di circonvalla-

zione, i proprietari e gli esercenti delle ca-

se che lo fronteggiano stanno preparando

un’istanza, appoggiata da innumerevoli

firme, simile a quella già inoltrata al Mu-

nicipio l’11 settembre del 1895, e rimasta

lettera morta. Soltanto, acciocché non ab-

bia a far la stessa fine, i firmatari della

nuova petizione l’hanno corredata da una

postilla, che dichiara esser loro intenzione

“di ricorrere ad altri mezzi” qualora il Mu-

nicipio non desse sicuro affidamento di

provvedere seriamente stavolta, con quel-

la maggior sollecitudine che sarà consen-

tita dalle circostanze, a togliere questa iat-

tura per la salute pubblica.

Siamo in grado di affermare che tale

dichiarazione significa precisamente inten-

tare causa contro il Municipio.

A nessuno, che conosca anche per

poco il Redefossi attuale, passerà per la

mente che il vivo malcontento dei pro-

prietari sia ingiustificato. Per dirne una, gli

inquilini sono costretti, anche in tempi di

maggior caldo, a tener chiuse tutte le fi-

nestre che guardano sul viale, sotto pensa

di respirare le asfissianti esalazioni di

quelle acque pestilenziali. Malgrado ciò,

serpeggiano in quei rioni malattie, spe-

cialmente di forma tifoidea, febbriciattole

infettive, affezioni gastriche, ecc., assai di-

verse per numero e per natura da quelle

delle altre plaghe urbane.

Alle tante cause d’infezione, già da

noi enumerate altra volta, dobbiamo ora

aggiungerne una, tanto grave, che sembra

incredibile. Nel Redefossi vanno a far ca-

po molti scoli di materie fecali. Ve ne so-

no nel Sevesetto, il canale che affluisce

nel Redefossi di Porta Nuova, e ve ne so-

no anche lungo tutto il tratto di circonval-

lazione sopra accennato, specialmente

sotto le coperture. Queste, che formano

col Redefossi come una specie di tunnel,

esalano agli sbocchi miasmi terribili. Si

possono immaginarne gli effetti per le ca-

se che, come ad esempio, lo stabilimento

Kettlitz, si trovano dinanzi a quegli sboc-

chi. Abbiamo visto ermeticamente ottura-

te, nell’interno di quelle case, persino le

fessure delle finestre!

È dunque evidente la necessità di un

provvedimento che basti a togliere per

intero e definitivamente questo sconcio: o

la copertura totale del Redefossi, o la de-

viazione dei getti e degli scoli che attual-

mente lo inquinano. A questo par che si

sia pensato, ma in modo incompleto, per-

ché la fogna che dovrà raccogliere gli

scoli suddetti (fogna che si incomincia a

costruire in questi giorni) non si estenderà

che da porta Venezia a porta Vittoria, la-

sciando il braccio porta Venezia-porta

Nuova, sporco come adesso, e colla esi-

ziale immissione del pestifero Sevesetto.

Ci pare adunque che sarebbe logico far

arrivare la fogna fino a porta Nuova, cioè

fino all’origine del Redefossi, il quale ver-

rebbe così a essere risanato in tutto il suo

corso.

Quest’ultimo braccio di fogna, che si

omette, verrebbe a costare circa L.

200.000. Quello invece che si sta ora per

costruire è stato preventivato in L.

150.000. Il costo totale della copertura del

Redefossi – che una buona e completa

fognatura, quale l’abbiamo descritta, ver-

rebbe a rendere pressoché inutile – sa-

rebbe di circa L. 250.000.

martedì 10 gennaio 1899

La copertura del naviglio interno

di Milano

Nell’ultima seduta del Consiglio comunale,

il consigliere De Capitani, accennò alla

possibilità che la questione della copertu-

ra dei navigli, così importante oltreché dal

lato igienico, anche da quello della viabili-

tà e dell’edilizia cittadina, potesse essere

utilmente affrontata da corpi morali, diret-

tamente interessati.

Abbiamo pregato l’egregio ing. De

Capitani di voler chiarire lo stato attuale

della questione, che com’è noto, per il

passato interessò moltissimo i tecnici e

anche i giuristi. L’ing. De Capitani accon-

discese ed ecco qui quanto ci scrive:

Caro Direttore,

Io non avrei certo osato domandare

lo spazio prezioso del Corriere; ma, corte-

semente invitato a scriverle sulla questio-

ne della copertura del Naviglio interno, da

me risollevata nella recente tornata del

Consiglio Comunale, rispondo subito, e la

ringrazio.

L’esecuzione di quell’opera è voluta,

e da tempo richiesta, da legittime, eviden-

ti esigenze d’igiene, di viabilità, di edilizia.

Trattasi di un cavo con uno specchio

d’acqua evaporante, entro il circuito dei

Bastioni, di circa m.q. 70 mila, rinserrato

fra due fronti di fabbricanti distanti da 17

a 30 metri, con scarsa pendenza, col fon-

do solo in poche tratte rivestito, con ac-

que non sempre limpide, né inodore,

quantunque siano stati distolti oltre 400

condotti neri una volta immittenti: in una

città come la nostra, con grado fortissimo

di umidità e con poca esposizione ai ven-

ti, l’influenza dannosa di quel cavo sco-

perto è manifesta.

Ma altri gravi inconvenienti vi si con-

nettono. Le vicende storiche di Milano

hanno lasciato nella sua edilizia, nel tipo

della sua pianta, certe impronte caratteri-

stiche delle quali resta a noi di correggere

gradualmente i difetti e moderare le con-

seguenze. La linea anulare del Naviglio,

che fu cerchia della città fino alla metà

del secolo XVI, e la linea anulare del Ba-

stione, sono ostacoli alla continuità e alla

distribuzione regolare del movimento e

delle costruzioni, e ne risulta una grande

concentrazione di vita e di valore lungo le

arterie radiali, e un relativo abbandono

della zona compresa tra il Naviglio e il

Bastione.

Col sostituire all’attuale Fossa interna

una strada, in ampliamento dell’esistente,

che riuscirà della larghezza media di circa

metri 20, adatta alla più attiva circolazio-

ne, anche dei trams, con filari di piante,

sulla quale non sarà difficile aprire alcuni

sbocchi laterali, si verranno a creare con-

dizioni opportune pel richiamo e per la

distribuzione della viabilità nell’interno dei

settori racchiusi dalle maggiori arterie ra-

diali, alle quali verrà così sottratta una

parte del transito ingombrante, che oggi,

per necessità, le invade, e si rimuoveranno

le cause che impongono a tante case alli-

neate lungo il Naviglio, gli scarsi utili, e

anche, per alcune, le forme meno decoro-

se.

La copertura già eseguita della tratta

di Naviglio detta di San Gerolamo, dà

un’idea concreta e molto incoraggiante

dei vantaggi realizzabili con una simile

trasformazione nell’interesse pubblico e

nell’interesse dei frontisti.

Come attuare l’opera desiderata?

Prima condizione è quella di coprire

la Fossa attuale senza alterare il regime

delle acque in essa scorrenti. In fregio al

Naviglio interno esistono 30 bocche di

derivazione, e non tutte modellate; molte

estraggono la quantità d’acqua che corri-

sponde alle condizioni di fatto della bocca

e del canale, e la Vettabbia, poi, ha diritto

a tutte le acque residue: sicché in ciascu-

na estrazione è impegnato non solo

l’interesse diretto de’ suoi utenti, ma an-

che quello di tutti gli estraenti da bocche

inferiori.

Seconda condizione: la copertura,

perché raggiunga utilmente lo scopo, de-

ve farsi a livello della strada attuale, e

quindi diventa indispensabile ottenere dal

Governo la rinuncia al transito per la na-

vigazione, la quale – è bene ricordarlo – si

effettua solo per quattro ore al giorno,

esclusi i giorni festivi, per le riconosciute

prevalenti esigenze dell’irrigazione.

Io non posso qui, in poche righe,

riassumere le notizie storiche e statistiche

che dimostrano come a riguardo di tale

navigazione lungo la Fossa interna non

sussista alcun interesse pubblico generale

che, senza esorbitanze, possa ragionevol-

mente opporsi alla domanda. Accenno

soltanto.

Il movimento dei Navigli che metto-

no capo a Milano, si riassume con pochi

numeri: circa 3200 barche, annualmente,

discendenti dal Naviglio Grande, con un

carico di circa tonnellate 150.000 (legna,

carbone, graniti, marmi); circa 2800 bar-

che, ascendenti dal Naviglio di Pavia, con

un carico di tonn. 90.000 (legna da fuoco);

circa 2000 barche discendenti dal Naviglio

della Martesana con un carico di tonn.

80.000 (calce, legna, graniti, ceppo, mat-

toni).

Però – lo si noti bene – delle dette

8000 barche che, annualmente, si dirigono

a Milano, solo 1500, circa, transitano nella

Fossa interna, e, di queste, 1300 si scari-

cano lungo la medesima, e le altre 200

nell’immediato sobborgo: nulla, o a fatto

insignificante, è il servizio oltre Milano.

Trattasi dunque di un commercio im-

portante, ma esclusivamente locale, di

approvvigionamento della città, e – riser-

vati i competenti indennizzi in un punto o

nell’altro, nella città o nei sobborghi.

Della fossa, originariamente opera

fortilizia (an. 1155) larga braccia 40, dive-

nuta poi acquedotto di scolo e di irriga-

zione, si è approfittato, verso il 1500, per

immettervi le acque del Naviglio della

Martesana, riducendola alla larghezza di

braccia 18 e destinando la zona residua a

magazzini di scalo e di deposito. Ma nelle

condizioni attuali della città, dei commer-

ci, delle vie di comunicazione, Milano può

essere egualmente servita dai Navigli che

arrivano a’ suoi sobborghi, anche rinun-

ciando a quel transito navigabile dalla cui

soppressione dipende il risanamento e la

rigenerazione di una parte centralissima

dell’abitato.

Né credo si debba pensare a mante-

nere il collegamento dei Navigli colla co-

struzione di un altro canale esterno, se-

condo progetti in altri tempi immaginati,

perché si andrebbe incontro a difficoltà e

a oneri affatto sproporzionati allo scopo,

oltre di che sarebbe errore grave, dopo

l’esperienza del passato, con tanti incon-

venienti che si lamentano causati da quel-

le già esistenti.

A bene avviare l’opera desiderata

verso una pratica soluzione, gioverà op-

portunamente l’iniziativa privata se, con

una manifestazione importante e con un

concorso materiale adeguato, interverrà

ad attestare la realtà del bisogno e la uti-

lità del provvedimento.

I frontisti del Naviglio interno – primi

fra questi l’Ospitale Maggiore, l’Ospitale

Fate-Bene-Fratelli, l’Orfanatrofio, che pos-

sono autorevolmente parlare in nome

dell’igiene – dovrebbero dunque unirsi

per presentare una proposta finanziaria

concreta, bilanciando da una parte le spe-

se di copertura e gli indennizzi da darsi

per approdi soppressi e per finestre ottu-

rate (se e in quanto sussistano per diritto

e non per concessione precaria o per

semplice tolleranza), e dall’altra parte i

contributi delle proprietà laterali pei van-

taggi alle medesime derivanti.

Con questa base il Comune potrà av-

viare e condurre vigorosamente le prati-

che col Governo, e, conseguite le necessa-

rie autorizzazioni, dare esecuzione

all’opera, anche gradualmente, tratta per

tratta, incominciando dalle località dove i

frontisti, avvedutamente, avranno assicu-

rati i contributi e spianate le difficoltà.

Il Sindaco, riconoscendo l’altissimo

interesse pubblico dell’opera, ha dichiara-

to che una simile iniziativa avrà certamen-

te vive simpatie e largo appoggio

dall’Amministrazione comunale: auguria-

moci dunque che sia presto tradotta in

atto, e che l’accompagni, da parte di tutti,

uno slancio di buon volere e di concorsi

pari all’importanza dei benefici che vo-

glionsi realizzare.

Mi abbia, egregio amico, coi migliori

sentimenti.

Aff.mo Edgardo De Capitani

sabato 3 agosto 1907

Ancora il tifo a P. Romana. I dati

dell’Ufficio municipale d’Igiene.

Provvedimenti pel Redefossi

All’ufficio municipale d’igiene in via Pa-

lermo, abbiamo rilevato altri dati e infor-

mazioni riguardo al tifo, o più esattamen-

te febbre tifoide, a porta Romana. Essi

completano in modo statistico le notizie

dateci dal medico capo municipale dott.

Bordoni Uffreduzzi da noi ieri interrogato.

Dal 22 giugno a oggi si verificarono

in case di viale Romana questi casi di

febbre tifoidea, 21 casi nella casa n. 50.

Si ebbe anche qualche caso nelle vie

adiacenti al viale Romana. Quanto ai mor-

ti essi furono quattro – come è noto – fra

gli inquilini della casa n. 50, e cioè:

Gerli Pierina, d’anni 17, malata il 29

giugno, morta il 26 luglio; Bisoni Angelo,

d’anni 50, malato il 1 luglio, morto il 7;

Villa Paolo d’anni 20, malato il 3 luglio,

morto il 17; Dedé Irene, d’anni 28, malata

il 9 luglio, morta il 27. Vi furono poi un

morto nella casa, n. 25, e altro nella casa

n. 59, sempre in viale Romana.

Parecchi casi, specie fra gli inquilini

della casa – viale Romana, 50 – ebbero

carattere mite, tanto da simulare paratifi

anziché forme tifose franche. Un caso eb-

be circa 5 giorni di malattia, un altro 10,

un altro 15, un altro 18, uno 21, e due 22.

Riguardo alla casa n. 50, abbiamo

detto ieri che essa è popolatissima. Oc-

corre infatti avvertire che i 440 inquilini

che vi dimorano rappresentano altrettante

famiglie e che le persone sono in tutto

circa 2200.

Il viale Romana è provvisto di fogna-

tura e le case sono dotate di acqua co-

munale condotta. Nelle case dove si veri-

ficarono casi di tifoide venne praticato

anche l’esame dell’acqua di pozzo.

L’esame dell’acqua di pozzo della casa n.

50, fatto il 26 luglio diede risultato buono

essendosi l’acqua trovata salubre. Venne

praticata anche una visita agli spacci di

latte e di verdura del viale Romana; ma

con esito negativo.

Lo stabile n. 50 venne infine visitato

dalla sezione d’ingegneria sanitaria, la

quale adottò alcuni provvedimenti.

Riguardo al Redefossi sul quale a

proposito dei ripetuti casi di febbre tifoide

a porta Romana, si è richiamata ancora

una volta l’attenzione e si sono rinnovati i

reclami, abbiamo potuto assumere notizie

presso il dottor Menozzi, assessore muni-

cipale per la Sanità. Egli ci ha confermato

che l’Ufficio d’igiene, e personalmente il

medico-capo dott. Bordoni-Uffreduzzi, fe-

cero da molto tempo pressioni per la co-

pertura del Redefossi: ma l’autorità muni-

cipale da lui sollecitata non rimase sorda

ai reclami e procede infatti, progressiva-

mente, ai lavori relativi alla tanto giusta-

mente desiderata soppressione del Rede-

fossi.

Infatti nel 1906-907 furono coperti i

tratti di viale porta Venezia e viale Princi-

pe Umberto, il tratto da porta Romana

alla proprietà Valerio e il tratto di viale

Vittoria, tranne una parte prospicente la

proprietà Ricordi essendosi questi mostra-

to restio a contribuire, come frontista, alle

spese dei lavori, ma la controversia è stata

ora risolta e anche il tratto rimanente sarà

colmato.

Per quel che riguarda il Redefossi di

viale Romana, la Giunta ne ha già deciso

la copertura e inizierà i relativi lavori non

appena esaurite le pratiche coi frontisti e

quella colla Prefettura. Le prime sono

pressoché terminate; pendenti invece so-

no le seconde; ma la Giunta, dal canto

suo, intende sollecitarle, per poter tosto

iniziare l’opera di risanamento.

Come rimedio provvisorio per rende-

re meno offensivo il Redefossi, allorché

esso scarseggia di acqua (come in questa

stagione) e può mostrare il suo fondo

melmoso (vero ricettacolo di germi infet-

tivi), si adotta il sistema di immettervi

l’acqua del Naviglio. Ma in questi giorni di

arsura, anche l’acqua del Naviglio è scarsa

e a essa non si è potuto ricorrere.

Il Municipio non ha mancato però di

provvedere ugualmente facendo al Rede-

fossi delle immissioni e lavature con ac-

qua potabile. Tali immissioni fatte fin qui

due volte la settimana, saranno ripetute

ora tre volte la settimana.

Questi i provvedimenti del presente

in attesa di continuare e completare la

soppressione del Redefossi già in notevo-

le parte compiuta. Ma non solo questo

putrido corso di acqua è destinato a

scomparire: la Giunta ha già accettato le

proposte degli uffici sanitari per la sop-

pressione di tutti i corsi d’acqua che colle

loro esalazioni malsane possono recare

nocumento alla salute pubblica. Così vi ha

la roggia Bolagnos la quale convogliando

materiali di scolo, diffonde poco igieniche

esalazioni nei paraggi di via Commenda e

via Lamarmora. Anche il Naviglio è com-

preso nei corsi d’acqua sopprimendi; cioè

esso scomparirà dalla città e sarà fatto

deviare in guisa che esso scorra fuori, lon-

tano dalla città. La scomparsa dall’abitato

di questo torbido e meschino canale non

lascerà rimpianti.

Come si vede il programma – per

quel che riguarda le acque che imbratta-

no e infettano Milano – mira a un com-

pleto, radicale risanamento. Auguriamoci

che questo possa essere fatto al più pre-

sto.

martedì 8 febbraio 1927

Il problema della copertura del

Naviglio interno. Difficoltà tecni-

che e vantaggi pratici

La questione è vecchia: fu affrontata, stu-

diata, progettata parecchie volte senza

che mai si venisse a capo di nulla, e risor-

ge tenacemente. Perché in molta parte

della cittadinanza, via via che si fa più ur-

gente il bisogno di dare alla città arterie

più vaste e più atte al suo traffico in con-

tinuo progresso, nasce spontanea la do-

manda: «Come mai nello sviluppo cre-

scente della metropoli, nella cura, talvolta,

furiosa, di svecchiarla, nei progetti intesi a

renderne sempre più snella la struttura, si

persiste a lasciare sopravvivere questa ar-

teria che sembra, sotto certi aspetti, una

ruga di vecchiezza secolare, ostinatamente

insinuata nel continuo fervore di ringiova-

nimento cittadino?

Gli studi che da anni sono stati fatti

hanno in realtà incontrato difficoltà inso-

spettate. Coprire il Naviglio è presto detto

e può essere anche presto fatto, ma pochi

immaginano quali intricati problemi, non

solo di tecnica, siano connessi a questo

vecchio solco che ha avuto tanta parte

nella storia e anche nella tradizione mila-

nese.

Parliamo della «Fossa interna», im-

propriamente ma comunemente detta

Naviglio, quello cui alluse quel tenace

ambrosiano che voleva debellare la supe-

riorità di Genova col suo bel mare, affer-

mando che, dopo tutto, il mare altro non

era se non et Navili cont ona sponda sola.

Il Naviglio, che cinge per due terzi la vec-

chia city è una derivazione della Martesa-

na, che l’unisce al Naviglio Grande, e a

quello di Pavia, facenti capo entrambi alla

Darsena di porta Ticinese. Indubbiamente

se la «Fossa» fu costruita, intorno al 1200,

anche come cinta acquea di difesa, essa

servì nei secoli soprattutto per il traffico.

L’antico laghetto di fianco all’Ospedale

Maggiore, da cui il nome delle vie Laghet-

to e Poslaghetto, come è noto non era

che una diramazione della «Fossa inter-

na», per spingere il più possibile verso il

centro i carichi di marmi di Candoglia oc-

correnti alla fabbrica del Duomo. Ma oggi

non è certo il trasporto delle merci sui

barconi lungo le acque della «Fossa» che

può essere addotto a giustificare la con-

servazione di questo corso artificiale

d’acqua, non sempre lezzante e poetico.

Un traffico quasi nullo

Esso serve tuttora, come si sa, per i carichi

che dalla Martesana, derivata come è no-

to dall’Adda, debbono raggiungere la

Darsena, e risalire il Naviglio Grande o

quello di Pavia verso il Ticino. Questo

transito che interessa anche la sede stra-

dale cittadina già ingombra di veicoli

d’ogni sorta, per via dei cavalli che lungo

la spalletta del canale trascinano fatico-

samente i barconi, mentre costituisce uno

spettacolo arcaico, pittoresco e anche una

fonte di curiosità inesauribile per i pas-

santi, alimenta un traffico assai modesto.

Infatti delle 400 tonnellate di merci che

dai Navigli affluiscono quotidianamente

su 30 barconi nella Darsena di porta Tici-

nese, una minima parte prosegue il viag-

gio lungo la «Fossa”. Sono, per lo più, ca-

richi di legna per le «sostre» che ancora

sussistono nelle vecchie case pescanti

nell’acqua, o carichi di carta. Tal genere di

trasporti ha subito recentemente delle

iniezioni di modernità col tentativo di so-

stituire ai cavalli delle trattrici capaci di

muovere, anche più celermente, tre, quat-

tro, cinque barconi: ma l’esperimento non

ha intensificato gran che il traffico, né

portato ragguardevoli economie.

Si sa, anche, che l’acqua della «Fossa

interna»” alimenta qualche stabilimento,

ma in complesso il rendimento della forza

motrice è addirittura irrisorio: 35 cavalli. Ci

sono, infine, concessioni d’acqua, che ri-

salgono a contratti vecchissimi, fissati per

una lunghissima durata, fin dal periodo

visconteo. I nostri vecchi avevano certa-

mente un’idea un poì dubbia del progres-

so, e fissavano scadenze contrattuali a se-

coli di distanza. Il cavo Borgognone, per

esempio, che si diparte dalla «Fossa» su-

bito dopo il ponte di Porta Vittoria, co-

struito intorno al 1200 per irrigare i terre-

ni verso Monluè, ha instaurato una vicen-

da di diritti d’acqua tale che, a giudizio

dei competenti, la sua soppressione po-

trebbe dar luogo a cause interminabili.

Per contro c’è chi rileva che sono diritti

facilmente tacitabili, se alla soppressione

della «Fossa interna» facesse seguito la

costruzione del progettato canale di Cre-

scenzago, il quale, partendo dalla Marte-

sana nei pressi di tale paese, raggiunges-

se attraverso le campagne di Rogoredo il

canale di Pavia. Con la costruzione di

questo canale, prevista com’è noto nel

vecchio progetto per il porto di Milano, si

risolverebbe anche il problema del con-

giungimento Martesana-Naviglio di Pavia.

Resterebbe da risolvere la questione della

forza motrice, ma si tratta di una questio-

ne quanto mai trascurabile, potendo esse-

re risolta con l’installazione di qualche

motore elettrico: nessuno vorrà in effetti

dire che sia utile mantenere la «Fossa in-

terna» per macinare qualche quintale di

cioccolata o tostare qualche sacco di caf-

fè.

L’importanza del problema

Quali sono adunque le cause per le quali,

nonostante la sua modesta importanza

economica, si persiste a mantenere una

fossa che, coperta, potrebbe lasciar posto

a una arteria ampia, comoda e spaziosa?

Un esperimento fu fatto, una trentina

d’anni or sono, su di un tratto di essa,

quello che dal Foro Bonaparte percorreva

le attuali vie Carducci e De Amicis fino al

corso di porta Genova. I milanesi che ri-

cordano quelle vecchie contrade, possono

ben dire che cosa fossero al confronto

delle attuali, e riconoscere come

l’effettuata copertura del Naviglio abbia

reso possibili costruzioni di palazzi armo-

niosi, eleganti, ricchi di decoro, e tramuta-

to in vie ampie e comode, arterie squalli-

de e tortuose.

L’ing. Lori, ispettore superiore del

Genio Civile, e l’ingegnere capo Baselli

hanno da tempo studiato questo impor-

tante problema civico: l’ing. Baselli l’ha

fatto anche oggetto di particolari e inte-

ressanti sue ricerche tecnico-storiche. Il

Comune stesso non ha tralasciato analo-

ghi studi; ne è stato uno dei più attivi ar-

tefici l’ing. Codara. Una opposizione, che

può sembrare la più superficiale, ma che

invece ha prevalso a più riprese, è stata

quella artistica. Il Naviglio, chiamiamolo

per un momento così, esercita ancora su

molti ed egregi artisti milanesi il vecchio

fascino che esercitava su Rovani. Dicevano

gli amici di quel giocondo bevitore che

quella del Naviglio era l’unica acqua di cui

egli tollerasse l’esistenza. E dagli artisti lo

si vorrebbe conservato come uno dei po-

chi aspetti superstiti della Milano vecchia,

fugati dal fervore di rinnovamento.

Non vi sarebbero, si dice, difficoltà fi-

nanziarie alla copertura, perché i proprie-

tari delle case che si specchiano sulle ac-

que del Naviglio trarrebbero tale vantag-

gio dall’avere facciata e ingresso su una

strada larga e di aumentato traffico, da

partecipare largamente e, probabilmente

di buon grado, alla spesa occorrente. Vi è,

invece, a quanto pare, qualche difficoltà di

ordine tecnico. È noto che, in vicinanza ai

ponti, le strade salgono per ridiscendere

dalla opposta parte, di guisa che occorre-

rebbe o scalzare le case presso ai ponti, o

interrare di un piano quelle lontane. Si

tratterebbe, in molti casi, di rifare delle

costruzioni ex-novo. Eppure la cosa fu

possibile pei tratti delle attuali vie Carduc-

ci e De Amicis, ed è certo che molte case

della vecchia cerchia del Naviglio conferi-

rebbero maggiormente al decoro cittadi-

no, scomparendo, che sopravvivendo an-

che rabberciate. E, sempre in tema di de-

coro, non è certo a suo vantaggio che

ogni sei mesi si assiste alla pulitura della

«Fossa interna» dalla fanghiglia trascinata

dalla corrente e dai detriti che, senza mol-

ta cura di selezione, i cittadini versano

nelle acque. Operazione questa che grava

per circa un centinaio di migliaia di lire

sul bilancio del Comune: 80.000 per mano

d’opera e 16.000 per manutenzione at-

trezzi.

Per quanto riguarda, infine, taluni se-

colari diritti di acque, che dovrebbero es-

sere soppressi con la copertura, non è

escluso, dicono i tecnici, a derimere cause

fastidiose, che si possa lasciar scorrere

l’acqua anche ad alveo coperto.

Si tratta, insomma, di un problema

non semplice, ma la cui risoluzione deve

derivare da una ragionata valutazione dei

vantaggi e degli svantaggi. Certo i tecnici

sono per lo più del convincimento che il

problema debba essere definitivamente

affrontato, come una delle più utili impre-

se intese a portare la fisionomia di Milano

all’espressione della sua giovinezza rinno-

vata.

giovedì 17 febbraio 1927

Un problema di mezzo secolo. La

storia della “Fossa interna”

Il problema della copertura della «Fossa

interna» o del Naviglio, come si usa chia-

marla anch’essa comunemente, da noi

prospettato giorni or sono, ha, come già

dicemmo, una storia. Storia che non man-

ca di interesse, considerata nei suoi parti-

colari e negli spunti polemici che in ad-

dietro ha pur suscitati.

La cosiddetta «questione del Navi-

glio» nacque intorno al 1875 e durò, una

prima volta, fino al 1880, quando cioè si

coprì una prima parte della «Fossa» dalla

allora via San Gerolamo fino a San Marco.

Vi furono clamorose discussioni e dispute

cortesi fra tecnici e fra ingegneri. L’ing.

Margutti, fin dal 1875, voleva coprire tutta

la «Fossa» per «creare al posto di una

cerchia che sarà sempre disgustosa, la più

bella via di Milano, via destinata per pas-

seggio e corso a surrogare il Bastione al-

lorché la neve e gli aquiloni ce lo consen-

tiranno». Così egli scriveva sulla Perseve-

ranza del 5 ottobre. Anche il Pungolo cal-

deggiava la proposta, ed era riuscito a far

nominare una commissione «per promuo-

vere gli studi e le proposte dirette alla at-

tuazione del progetto di otturare il Navi-

glio interno di Milano».

Il 19 aprile del 1878 l‘on. Marcora

svolse in Consiglio una interpellanza sulla

questione. Voleva che il Comune facesse

sua la proposta della suddetta Commis-

sione, pronunciatasi per la soppressione

del Naviglio, e chiedesse al Governo

l’abolizione della navigazione interna. Per

quanto l’insalubrità del Naviglio venisse

dichiarata fuori di contestazione e al Na-

viglio si attribuissero concordemente le

reumatiche e le febbri intermittenti, pure,

in quella stessa seduta del Consiglio co-

munale, il consigliere Sala difese il Navi-

glio con una memoranda perorazione sia

dal lato poetico e storico, sia da quello

pratico, giudicandolo indispensabile alla

congiunzione fra Adda e Ticino.

Il Consiglio, che non si sarebbe mai

aspettata una burrasca… nel Naviglio, finì

per approvare un ordine del giorno in cui

si facevano voti perché fosse riconosciuta

di pubblica utilità la soppressione del Na-

viglio. Intanto nel 1880 si scioglieva il

Consorzio degli utenti del Naviglio morto

di Porta Comasina, e il Consiglio comuna-

le si impegnava a presentare un progetto

per l’otturamento o copertura di quel

tronco di canale. Infine nel 1883 il Consi-

glio approvava anche il progetto per la

soppressione del Naviglio dalla Roggia

del Castello in Foro Bonaparte fino al

ponte di via Olocati, detto Naviglio di S.

Girolamo dalla via che percorreva, e che è

appunto l’attuale via Carducci. L’anello di

acqua che circondava la città era così in-

terrotto.

Puliture decennali

Eppure quarant’anni or sono un provve-

dimento simile doveva sembrare assai più

avventato di oggi, se si pensa a quello

che era allora il Naviglio in confronto di

oggi e ai servigi che rendeva. Va notato, a

titolo di curiosità, che la copertura del

Naviglio cominciò a essere agitata quan-

do si sciolse il Consorzio utenti per lo

spurgo della «Fossa» e che il Comune si

trovò accollato questo gravoso servizio.

Fu invero un servizio che

l’Amministrazione Civica curò molto di più

di quanto non facesse il cessato consor-

zio, e che venne poi gradualmente miglio-

rando.

Ma non era certo così una volta. Og-

gi la cosiddetta asciutta dei Navigli si fa,

come è noto, due volte all’anno, appena

un secolo fa si faceva ogni dieci anni. Si

può immaginare in quali condizioni dove-

va essere il letto del Naviglio dopo un de-

cennio di abbandono. I documenti accen-

nano sempre infatti alla condizione di

quasi assoluta impossibilità di navigazione

quando il termine decennale stava per

spirare.

Per quanto pittoresco fosse il Navi-

glio d’un tempo, con le sue case basse a

larghe grondaie sporgenti sull’acqua, con

le sue macchie verdi di orti e di giardini,

con la teoria multicolore dei suoi cenci

esposti ad asciugare, con le sciostre di le-

gna e di carbone, bisogna pensare che

tutta questa poesia, se poteva essere fra-

grante, ammirata sulla tela di un pittore,

non lo poteva sempre essere al vero. I

proprietari frontisti scaricavano senza al-

cuna preoccupazione le acque di rifiuto

degli stabili, e anche gli scarichi delle tin-

torie e simili industrie finivano nella «Fos-

sa». I più vari residui della vita quotidiana

ne seminavano abbondantemente il letto:

dalle «spregiate crete» del Parini, agli

stracci più immondi, alle ciabatte, alle os-

sa, ai gatti morti. Talvolta affiorava

l’avanzo o la traccia di un delitto, un’arma

rugginosa o il compendio ingombrante e

pericoloso di un furto. Dieci anni erano

più che sufficienti per far dimenticare ogni

sorta di reati e per assicurare, col manto

di quelle provvide acque, l’impunità a

qualche delinquente.

Una delle ragioni per le quali la ripu-

litura della «Fossa» si faceva a così lunghe

scadenze era quella di non compromette-

re l’approvvigionamento della città. Infatti

i Vicari di provvigione avevano cura di av-

vertire molto tempo prima la città

dell’operazione, e avvisavano specialmen-

te i venditori di generi alimentari e com-

bustibili «perché provvedessero a tener

fornite le botteghe e non trovassero pre-

testo dall’asciutta per rincarare i viveri».

Esercenti d’ogni tempo

Nell’Archivio Storico del Comune si con-

serva un avviso in data 23 gennaio 1692,

rivolto a tutti i commercianti di viveri, «di

far arrivare entro il 15 febbraio grano, fa-

rina, legno, carbone e altre vettovaglie

che hanno fuor di Milano incaparrato,

comprato, ammassato, da condursi per

detto Naviglio nel termine suddetto, acciò

la città non ne patisca sotto pena di scudi

50 per ciascuno…», ecc.

Da ciò si può rilevare, anche, come

certe manovre speculative di negozianti

che profittano di tutto per guadagnare

più del bisogno, siano di ogni secolo. Una

volta, anzi, la pulitura fu ritardata di un

anno, avendo il Vicario avuto sentore che

parecchi negozianti non si erano voluta-

mente riforniti di merci e che l’asciutta

avrebbe asciugato anche le tasche della

minuta plebe. Giacché il popolo non ac-

quistava già il carbone, la legna e il vino,

presso le sciostre ove gli esercenti vende-

vano a caro prezzo, ma presso le cosid-

dette barche avventizie, che avevano

presso a poco la funzione delle nostre

carrette a mano dei venditori ambulanti e

che passavano lentamente lungo il Navi-

glio, e sostavano in punti determinati per

rifornire a buon mercato il popolo.

Oggi l’asciutta è semestrale, e si fa in

modo relativamente rapida: vi lavorano 60

operai divisi in tre squadre e il materiale

di espurgo è di circa 400 metri cubi per

volta. Ma da questi ricordi storici si può

desumere quanto sia scaduta, diremmo

forse più appropriatamente finita,

l’importanza d’un tempo del Naviglio.