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www.iss.it Volume 18 - Numero 4 Aprile 2005 I VACCINI DELLE POVERTÀ Approcci per lo studio di un nuovo vaccino antitubercolare Il vaccino contro l’HIV e l’AIDS La messa a punto di un vaccino antimalarico: progressi e problemi Il profilo delle malattie della povertà: il caso dell’ospedale Lacor (Nord Uganda) Poste italiane S.p.A. – Spedizione in abbonamento postale 70% DCB Lazio – Roma Inserto BEN Bollettino Epidemiologico Nazionale Esiti a breve termine di interventi di by-pass aorto-coronarico nelle cardiochirurgie italiane La valutazione del rischio cardiovascolare globale assoluto: utilizzo del programma cuore.exe ISSN 0394-9303 NUMERO SPECIALE

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Volume 18 - Numero 4Aprile 2005

I VACCINI DELLE POVERTÀ

Approcci per lo studio di un nuovovaccino antitubercolare

Il vaccino contro l’HIV e l’AIDS

La messa a punto di un vaccino antimalarico:progressi e problemi

Il profi lo delle malattie della povertà: il caso dell’ospedale Lacor (Nord Uganda)

Nei prossimi numeri:

Il consumo di farmaci nel Servizio Sanitario Nazionale

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Inserto BEN Bollettino Epidemiologico Nazionale

Esiti a breve termine di interventi di by-passaorto-coronarico nelle cardiochirurgie italiane

La valutazione del rischio cardiovascolare globaleassoluto: utilizzo del programma cuore.exea cura del Settore Attività Editoriali

ISSN 0394-9303

NUMERO

SPECIALE

iente può illustrare meglio che un po’ dinumeri il drammatico rapporto frap ove rtà e malattie infettive. St i m e

dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS),dell’UNAIDS e di altri enti internazionali indicanoin più di tre miliardi le persone infette da uno o piùdei tre agenti più diffusi: il plasmodio della malaria,il micobatterio della tubercolosi, il retrovirus dell’im-munodeficienza acquisita. Per più del 90% questeinfezioni sono concentrate nei Paesi poveri, con red-diti pro capite annui inferiori a 100 dollari. Le stimedi mortalità sono consequenziali: circa 5 milioni didecessi ogni anno, che si aggiungono ai numerosialtri provocati da altri agenti infettivi (Figura). Nelloro complesso, e insieme ad altre malattie infettivequali morbillo, meningiti e gastroenteriti, esse costi-tuiscono la prima causa di morte al mondo, e

comunque la seconda, dopo le malattie cardiovasco-lari, anche limitatamente ai Paesi ricchi e sviluppati.Ancor più grave nella gravità, le malattie dellapovertà dei Paesi poveri colpiscono soprattutto lafascia di età giovanile, minando quindi alla base lapossibilità di crescita economica di questi Paesi einstaurando un perverso circolo vizioso fra povertà emalattia. Crisi sociali e guerre accompagnano erinforzano le epidemie nei Paesi poveri, come amara-mente dimostrato nel caso del Lacor Hospital, inuno degli articoli pubblicati in questo Notiziario daicolleghi del Centro di Epidemiologia, Sorveglianza ePromozione della Salute dell’Istituto Superiore diSanità (ISS).

Si deve onestamente riconoscereche tutti i tentativi di mettere sottocontrollo queste malattie con le misu-re di prevenzione non-specifica, la dia-gnosi e la chemioterapia sono certa-mente utili ma niente affatto decisivi.Ad esempio, l’OMS sposta continua-mente in avanti i target della lotta allatubercolosi; dalla fine degli anni ’80non si riesce a raggiungere neanche il50% delle diagnosi e il 70% delle cure,un sostanziale fallimento che negliultimi anni si sta accompagnando a unfenomeno di straordinaria gravitàquale l’emergenza della multiresistenzaai farmaci antitubercolari. Scarsadisponibilità di farmaci antiretroviralie resistenze sono fattori già emersianche per l’AIDS e la malaria, ed è evi-dente che le big pharma hanno seriproblemi con il loro azionarato a

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investire su nuovi farmaci di basso costo per i Paesipoveri. In aggiunta, i Paesi ricchi hanno negli ulti-mi anni destinato meno quote del loro PIL allacooperazione internazionale, e non solo quelli chehanno sofferto di una bassa crescita economica edi una qualche forma di instabilità politica.Inoltre, non è pensabile che anche la migliore col-laborazione pubblico-privato possa risolve remalattie di cotale incidenza in ambienti diseredaticon i soli interventi chemioterapici. Con le attualiarmi nessuno nelle alte sfere della sanità pubblicainternazionale si permette più di parlare di “elimi-nazione” di queste malattie (ricordo però che se neparlava negli anni ’70, quando presunzione e igno-ranza abbondavano fra gli infettivologi: ormaiabbiamo sconfitto le malattie infettive, si diceva).

L’umanità conosce una sola strada per un verocontrollo se non l’eradicazione di una malattia infet-tiva a larga diffusione: un buon vaccino. Consensounanime su questo, ma per queste infezioni la stra-da è molto ardua e difficile da percorrere, per moti-vi che risiedono essenzialmente nella biologia diquesti agenti. HIV, Mycobatterio e Plasmodio sonogli esempi massimi di una capacità di deviare l’im-munità dell’ospite a proprio vantaggio, di liberarsidalle stringhe delle risposte immunitarie, anche le

più potenti, attraverso una plasticità genetica, didiversa natura per i diversi agenti, ma che permetteloro una lunga convivenza con l’ospite e/o nell’am-biente fino alla malattia conclamata. Anzi, nel casodell’HIV, si tratta di un agente capace di colpire alcuore il meccanismo centrale della stessa rispostaimmunitaria. Si capisce così come tutto quello cheabbiamo conosciuto finora sui vaccini efficaci parenon si applichi a questi agenti, quantunque essisiano ormai i microrganismi più studiati al mondo.E tuttavia sono proprio le avanzatissime conoscenzeche si sono recentemente accumulate su questiagenti e sul loro rapporto con l’ospite, a costituire lapiù valida speranza che almeno un vaccino terapeu-tico contro l’HIV e un nuovo vaccino preventivoper la tubercolosi polmonare nell’adulto possanoessere (a breve?) generati. In questo numero delNotiziario, i colleghi Ensoli, Fattorini e Majori illu-strano sinteticamente a quale stadio sono arrivate leloro ricerche e quelle della comunità scientifica nelsuo complesso nella generazione di tali vaccini. IlDipartimento di Malattie Infettive, Parassitarie edImmunomediate dell’ISS è in prima linea in questericerche, in particolare per il vaccino anti-HIVbasato sull’uso della proteina regolatrice Tat, che hadi fatto completato la fase 1. Da esse ci aspettiamoa breve novità importanti che possano proiettarel’ISS e il nostro Paese all’avanguardia in questa dif-ficile impresa. ■

a tubercolosi (TB) è una malattia infet-tiva che può interessare tutti gli organima che colpisce prevalentamente i pol-

moni e, nell’infanzia, le meningi, causata da unbatterio, Mycobacterium tuberc u l o s i s (MTB) (1). Ilrischio di trasmettere la malattia da un malato auna persona ricettiva è in funzione del numerodei bacilli emessi, della durata del contatto e del-la quantità di aria condivisa. A seguito dell’inala-zione di MTB si possono avere varie conseguen-ze quali l’eliminazione del batterio, un’infezionesubclinica, una malattia (TB primaria) limitatanel tempo o estremamente grave. È da sottoli-n e a re che, nell’uomo infetto, MTB non vienequasi mai completamente eliminato, anzi è capa-ce di rimanere vitale anche per tutta la vita in unafase detta di dormienza (TB latente) che non in-duce nel soggetto alcun segno clinico o patologi-c o. Alcuni fattori di rischio quali mancanza dicondizioni igieniche, malnutrizione, vecchiaia eindebolimento delle difese immunitarie consen-tono la riattivazione di MTB e lo sviluppo dellamalattia. Dati epidemiologici indicano che circail 90% dei soggetti infetti non sviluppa la T Bmentre il 5% va incontro a malattia nei due annisuccessivi all’infezione e il 5% sviluppa la malat-tia in un momento successivo della vita. La pre-senza di infezione può essere rivelata mediante untest cutaneo (intradermoreazione secondo Man-toux) che indica l’ a v venuto contatto con MTBma non la malattia in atto.

L’ Organizzazione Mondiale della Sa n i t à(OMS) stima che a livello mondiale le persone in-fette da MTB siano 2 miliardi, ov ve ro un terzo del-l’umanità, e che ogni anno circa 8 milioni svilup-pino la malattia e 1,8 milioni (5.000 al giorno)

muoiano a causa di essa, di cui il il 98% nei Paesip overi. Si calcola che, soprattutto in Africa, un ter-zo delle persone infette con HIV siano infette an-che con MTB e che la TB sia responsabile dellamorte di un paziente su tre affetto da AIDS. Seb-bene le aree in cui la TB è endemica siano preva-lentemente le aree povere del mondo, il problemadella TB non lascia immuni i Paesi più industria-lizzati, sia a causa dei movimenti immigratori daPaesi poveri, sia per il turismo, sia infine per la pre-senza di sacche di pove rtà e di condizioni di vita in-salubri che caratterizzano molti Paesi occidentali.A livello individuale, la TB è abbastanza control-labile dalla terapia antibiotica ma il trattamento,per essere efficace, deve essere condotto con unascelta accurata di antibiotici e per un tempo con-s i d e re vole (6 mesi). Questo regime terapeutico èrelativamente semplice da mantenere nei Paesi oc-cidentali, ma la situazione è più complessa nei Pa e-si poveri e l’OMS compie sforzi enormi per

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d i f f o n d e re quanto più possibile in Africa, Asia enei Paesi dell’ex Unione Sovietica la cosiddetta “t e-rapia direttamente osservata” (DOT) allo scopo diassicurare che i pazienti assumano veramente i far-maci antitubercolari sì da limitare il numero deimalati e lo sviluppo di batteri resistenti agli anti-biotici.

Purtroppo, agli sforzi terapeutici assolutamen-te meritevoli da parte dell’OMS non corrispondesempre un controllo efficace della TB e delle sueforme resistenti nei vari Paesi. Non vi è alcun dub-bio, pertanto, che a livello di popolazione, comeper altre malattie infettive, il vero controllo dellaTB potrà essere ottenuto solo attraverso l’uso di unvaccino efficace che impedisca il propagarsi dellamalattia.

L’unico vaccino antituberc o l a re attualmentein uso è un vaccino vivo attenuato, il bacillo diCalmette-Guérin (BCG). Il BCG deriva da unceppo di Mycobacterium bovis selezionato da Al-bert Calmette e Camille Guérin negli anni chevanno dal 1908 al 1921. Il ceppo, dopo moltipassaggi in vitro per ridurne la patogenicità, ve n-ne somministrato per la prima volta a un neona-to nel 1921. Tra il 1921 e il 1927, in altri 969bambini vaccinati con il BCG solo il 3,9% morìdi TB mentre nei bambini non vaccinati la mor-talità fu del 32,6%. Nel corso del tempo, l’origi-nario ceppo di BCG, in seguito a processi di se-lezione e mantenimento in coltura, si è ulterior-mente diversificato, dando origine a ceppi (Pa-s t e u r, Copenhagen, Gl a xo, Brazil, Japan, Ru s s i a )con variegate caratteristiche antigeniche. Finorapiù di 3 miliardi di persone sono state vaccinatecon i vari ceppi derivanti dall’originario BCG,per cui, dopo più di 80 anni di somministrazio-ne, se non si hanno dubbi sulla sua sicurezza idati di efficacia sono piuttosto contraddittori.Molti trials clinici indicano che quando il BCGviene somministrato in età neonatale l’efficacia èlimitata nel tempo in quanto la popolazione sem-bra essere protetta fino a 5-10 anni di vita so-prattutto verso la TB meningea e miliare. Il vac-cino non è invece efficace nell’adulto né per laprevenzione della TB polmonare né per impedi-re la riattivazione della TB latente. Le cause del-la mancanza di protezione nell’adulto non sono

note. Non si sa, ad esempio, se insorgano fatto-ri come le differe n ze del sistema immunitario trabambino e adulto o la part i c o l a re capacità diMTB di instaurare nel tempo una serie di stra-tegie per evadere o deviare la risposta immunita-ria, che in un primo momento nei bambini ri-sulta essere protettiva. Nonostante il BCG abbiauna limitata efficacia pre ve n t i va e non contri-buisca a eliminare la malattia, il suo uso allo sco-po di debellare almeno nei bambini la TB è rac-comandato dall’OMS nei Paesi in cui la malat-tia è endemica e dove la spesa sanitaria non puòpermettersi gli elevati costi del trattamento anti-biotico.

In Italia, un Paese a bassa prevalenza in cui iltasso annuo di malattia tubercolare è inferiore a10 casi su 100.000, il DPR n. 465 del 7 no-vembre 2001, pubblicato sulla Gazzetta Ufficia -l e n. 7 del 9 gennaio 2002, ha stabilito che lavaccinazione antitubercolare è obbligatoria sol-tanto per: a) neonati e bambini di età inferiorea 5 anni, con test tubercolinico negativo, convi-venti o aventi contatti stretti con persone affet-te da TB in fase contagiosa, qualora persista ilrischio di contagio; b) personale sanitario, stu-denti in medicina, allievi infermieri e chiunque,a qualunque titolo, con test tubercolinico nega-tivo, operi in ambienti sanitari ad alto rischio diesposizione a ceppi di MTB multifarmacoresi-stenti oppure che operi in ambienti ad alto ri-schio di TB e non possa, in caso di cuticonver-sione, essere sottoposto a terapia preventiva per-ché presenta controindicazioni cliniche all'usodi farmaci specifici.

Recentemente sono stati fatti notevoli progres-si nella comprensione dell’immunogenicità delBCG e molte proteine comuni al BCG e al MTB- ricordiamo, ad esempio, il complesso antigenico85 - sono state caratterizzate e studiate per la lorocapacità di indurre risposte immunitarie. Il BCG,sia in modelli animali che nell’uomo, è altamenteimmunogenico, cioè contiene ed esprime potentiantigeni riconosciuti dal sistema immune dell’ o-spite, con risposte umorali e cellulari. Ed è pro p r i ola capacità di attiva re la risposta cellulo-mediata al-la base dei meccanismi di protezione poiché è pos-sibile trasferire la pro t ezione dell’animale immu-nizzato a quello non immunizzato attraverso linfo-citi attivati ma non attraverso gli anticorpi presen-ti nei sieri immuni. Sebbene si concordi che la ri-sposta protettiva debba possedere la capacità di at-tivare la risposta detta T helper 1 (Th1) e indurrelinfociti specifici con capacità di uccidere MTB ei macrofagi dove esso cresce e si replica, non è an-cora noto un parametro immunologico/clinicocorrelabile con l’efficacia della vaccinazione. Ciò èd ovuto alla complessità della risposta verso i mi-cobatteri, mutevole a seconda delle varie fasi dellapatologia, con risposte che possono essere per cer-ti versi protettive e in altre condizioni invece dele-terie. Lo studio della risposta immunitaria verso laTB è quindi uno strumento importante per iden-tificare le strategie di profilassi antitubercolare, ac-canto allo sviluppo di nuove formulazioni va c c i-nali (2). La mancanza di un parametro clinico cor-relabile con la protezione vaccinale è anch’esso ung rosso limite per la valutazione di nuovi va c c i n i ,

poiché per valutarne l’efficacia si deve ricorrere amodelli di infezione nell’animale (principalmentetopo e cavia) con un forte dispendio di risorse eco-nomiche e lunghi tempi di sperimentazione.

Un tentativo di classificare i numerosi vacciniper uso profilattico attualmente in studio nel mon-do è quello di TM Do h e rty (3) dello Statens Se ru mInstitut di Copenhagen, il quale li ha divisi in duegrandi gruppi, quelli da usare per il “p r i m i n g” equelli per il “boosting”. I primi, pensati per sosti-tuire il BCG e adatti per la vaccinazione dei neo-nati naïve in Paesi ad alta endemia di TB, sono co-stituiti da micobatteri vivi quali, ad esempio, BCGricombinanti, iperproduttori dell’antigene 85B, eMTB auxotrofi, incapaci di sintetizzare aminoaci-di (4). Il principio su cui si basano i BCG inge-gnerizzati è che, avendo il BCG perduto geni im-munologicamente importanti durante la selezioneiniziale, l’aggiunta e/o l’aumentata espressione diuno o più geni può rendere il vaccino più protet-tivo del BCG stesso; un approccio promettente èanche quello basato sull’uso di ceppi di BCG pri-vi di ureasi e produttori di listeriolisina in grado diindurre in modo particolare linfociti citotossici. IBCG ingegnerizzati, così come alcuni MTB auxo-t rofi, hanno dimostrato di essere un pò più pro-tettivi del BCG negli animali; resta però da chiari-re la sicurezza di tali preparazioni soprattutto perquello che concerne gli MTB auxotrofi.

Tra i vaccini sperimentali pensati per “boosta-re”, ovvero ristimolare nell’adolescente e nell’adul-to la risposta immunitaria indotta dal BCG, van-no ricordati i vaccini a subunità e a DNA, prepa-rati, rispettivamente, con proteine ricombinanti ocon plasmidi in grado di esprimere geni codifican-ti per proteine immunologicamente rilevanti qua-li antigene 85B, antigene 85A, proteina di fusione85B-ESAT6 (Ibrido 1), proteina di fusione 72f. Inquesto gruppo vanno annoverati anche i vaccini avettori vivi contenenti virus quali “vaccinia viru sAnkara (MVA)” e adenovirus, o batteri (Salmonel -la typhimurium), ingegnerizzati per pro d u r re gliantigeni 85A o ESAT6. Per molti di questi vacciniè stata accertata una buona risposta immunologi-ca e protettiva in sperimentazioni di tipo “prime-boosting” in cui il “priming” veniva effettuato conBCG oppure, a seconda dei casi, con proteine oDNA plasmidico, o altre combinazioni.

Un piccolo numero di studi ha anche affronta-to il tema dei vaccini terapeutici (chiamati anche di“p o s t - e x p o s u re” rispetto all’ i n f ezione da MTB,

in contrapposizione a quelli profilattici o di “post-exposure” di cui è parlato sopra) allo scopo di con-trollare la riattivazione della TB latente, molto dif-fusa nei Paesi poveri, ma finora, a parte rare ecce-zioni, i risultati non sono stati di grande rilievo.

Recentemente, alcune istituzioni pubbliche ep r i vate hanno contribuito con notevoli aiuti fi-nanziari alla ricerca nel campo dei vaccini antitu-bercolari. Tra questi, ricordiamo il finanziamentodella fondazione Bill & Melinda Ga t e s( h t t p : / / w w w.aeras.org/) coordinato dai “Centersfor Disease Control and Pre vention (CDC)” e ifondi della Commissione Europea sia nel 5° pro-gramma quadro (T BVAC) (http://www. p a s t e u r. f r /recherche/EC_TBvaccine/html/Game.html) chenel 6° programma quadro, quali il nuovo TBVAC( h t t p : / / e u ro p a . e u . i n t / c o m m / re s e a rc h / f p 6 /index_en.html) e il progetto MUVA P R E D( h t t p : / / w w w. m u c o s a l i m m u n i t y. o r g / m u va p re d / ) .Qu e s t’ultimo riguarda i vaccini mucosali (intra-nasali o orali) che, non dovendo usare aghi, sareb-b e ro certamente importanti per i Paesi poveri ad al-ta endemia di TB e HIV in cui alto è il rischio dicontrarre l’infezione da HIV per via parenterale.

In conseguenza di tali finanziamenti e del con-tributo di alcune aziende farmaceutiche, nel 2004-2005 alcuni vaccini dimostratisi part i c o l a r m e n t eprotettivi almeno nel topo e nella cavia (BCG ri-combinante iperpro d u t t o re di 85B, MVA - 8 5 A ,Ibrido 1, 72f), sono entrati in studi di fase 1 su vo-

lontari umani. Ovviamente per le fasi 2 e soprat-tutto per la fase 3 (verifica della protezione) occor-reranno molti anni per sapere se qualcuno di que-sti vaccini proteggerà l’uomo meglio del BCG. Inogni modo è stato già riportato che MVA-85A po-tenzia significativamente nell’uomo la risposta im-munologica indotta dal BCG (5). Accanto a questivaccini sperimentali che hanno già raggiunto la fa-se clinica, la ricerca di base sta andando avanti percercare di capire quale sia il tipo di risposta immu-nitaria che occorre sviluppare per ottenere una ri-sposta in grado di contro l l a re l’ i n f ezione e lo svi-luppo della patologia tubercolare nel tempo.

All’ISS sono in corso ricerche volte ad aumenta-re le conoscenze sulla risposta immunitaria dell’uo-mo verso l’infezione da MTB e sui meccanismi cheil micobatterio sfrutta per la sua persistenza nell’in-dividuo che sono strumentali all’identificazione diuna strategia più generale per la profilassi della TB.Contemporaneamente, nel modello murino, sonoallo studio nuovi presidi antitubercolari basati sia suvaccini a DNA codificanti per l’antigene 85B e perl’Ibrido 1 sia sull’uso di sistemi di delivery vaccina-le per via parenterale e mucosale quali i viro s o m i .Questi ultimi studi vengono condotti nell’ a m b i t odel progetto europeo MUVAPRED. Altre ricercher i g u a rdano l’uso combinato di proteine della dor-mienza e di proteine precoci di MTB. ■

ati dell’ Or g a n i z z a z i o n eMondiale della Sa n i t à(OMS) e dello Jo i n t

United Nations Programme onHIV/AIDS (UNAIDS) indicanoche nel 2004 oltre 40 milioni di in-dividui al mondo risultano infettaticon il virus HIV, l’agente eziologicod e l l’immunodeficienza acquisitaumana (AIDS). Ol t re il 95% di que-sti individui è residente nei Paesi invia di sviluppo, principalmente inAsia e in Africa. Le terapie più avan-zate per questa malattia (a base difarmaci inibitori della proteasi diHIV) si sono dimostrate molto effi-caci per il controllo della malattia.Tuttavia, il loro costo elevato e lacomplessità del monitoraggio clinicoe di laboratorio, necessario per il cor-retto controllo sanitario dei soggettiin trattamento rende estremamente

difficile e, per alcune aree geografi-che impossibile, il loro efficace uti-l i z zo nei Paesi in via di sviluppo.Inoltre, terapie parziali o incomple-te, conseguenti all’assenza di infra-s t ru t t u re, potre b b e ro sostenere la ra-pida emergenza di varianti virali re-sistenti a tali farmaci. L’allestimentodi un vaccino anti-HIV rappresentaquindi l’unica alternativa re a l i s t i c aper contro l l a re la diffusione del vi-rus nella popolazione umana.

La principale causa dell’ i n s u c c e s s onello sviluppo di un vaccino control’HIV risiede nell’elevata variabilitàdel virus, dovuta all’attività dellaTrascrittasi In versa (RT), l’ e n z i m ache caratterizza la famiglia Retrovi -ridae, di cui l’HIV fa parte. Si è sti-mato che circa un miliardo di nuo-ve particelle virali vengono prodot-te ogni giorno nell’individuo infet-

tato da HIV e che ognuna diqueste particelle è potenzial-mente diversa a causa dellabassa fedeltà della RT nellatrascrizione inversa dell’ R N Agenomico in DNA. Per que-sto motivo per l’HIV si pre-ferisce parlare di “q u a s i s p e-c i e” per indicare un insiemedi virus simili ma genetica-mente distinti. A causa del-l’ e l e vata variabilità per cia-

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scun tipo di HIV (HIV-1 e HIV-2)sono finora stati identificati nume-rosi sottotipi e ricombinanti e al-l’interno di ogni sottotipo e ricom-binante esiste un numero estrema-mente elevato di varianti virali.

Le strategie utilizzate finora neltentativo di allestire un vaccino ef-ficace contro l’HIV si sono fonda-mentalmente basate sull’ u t i l i z zodelle proteine del rive s t i m e n t oesterno del virus (detto e n ve l o p e) ,scelte come target ottimale per l’in-duzione di anticorpi neutralizzanti,cioè capaci di bloccare l’entrata delvirus nelle cellule. Questi approccisono purt roppo falliti a causa del-l’ e l e vata variabilità virale, soprattut-to delle proteine del rive s t i m e n t oesterno.

Pertanto, si è fatta strada l’ipotesidi perseguire nuovi approcci vacci-nali che, invece di mirare all’indu-zione di un’immunità sterilizzante,cioè in grado di prevenire l’infezio-ne, ave s s e ro come scopo primario losviluppo di un’immunità capace dic o n t ro l l a re efficacemente la re p l i c a-zione virale e, conseguentemente, dii m p e d i re l’insorgenza e la pro g re s-sione della malattia. Per questo tipodi approccio, i bersagli principali so-no rappresentati da proteine del vi-rus le cui attività presiedono alla re-golarizzazione della replicazione vi-

rale durante le varie fasi dell’ i n f e-zione. Molti degli approcci va c c i n a-li di ultima generazione utilizzanoora queste proteine, da sole o incombinazione con altre pro t e i n estrutturali del virus.

Sulla base di questo razionale, laproteina Tat di HIV-1 è stata iden-tificata come un possibile bersaglioper allestire un vaccino in grado dicontrollare l’infezione e di bloccarela progressione verso la malattia. LaTat è, infatti, una proteina re g o l a-trice di origine virale essenziale perla replicazione del virus fin dalle pri-missime fasi dell’ i n f ezione, poiché ènecessaria per stimolare l’espressio-ne dei geni di HIV. Inoltre, duran-te l'infezione acuta, la Tat è rilascia-ta nell’ambiente extracellulare ed èin grado di entrare nelle cellule cir-costanti, infette o non infette, dovepuò indurre l’ e s p ressione di geni, siacellulari che virali, che, a loro volta,f a voriscono la trasmissione cellu-la/cellula, la progressione dell’infe-zione e lo sviluppo dell’immunode-ficienza.

È di part i c o l a re importanza l’ o s-s e rvazione che la proteina Tat è ingrado di indurre una risposta im-mune, sia anticorpale che cellulo-mediata. Tale risposta è associata al-lo stato asintomatico dell’infezioneda HIV, è presente con maggior fre-quenza nei Long Term Non Progres -sors (LTNP), cioè nei soggetti infet-tati da almeno 7 anni, persistente-mente asintomatici, con un nume-ro elevato di cellule CD4-positive ebassa carica virale, e correla con unapiù lenta pro g ressione verso le fasiconclamate della malattia.

Di notevole rilevanza è, infine, l’ e-videnza che la proteina Tat risultac o n s e rvata nelle regioni funzionalie bersaglio della risposta immuneper differenti sottotipi e varianti vi-rali. Questa caratteristica è di fon-damentale importanza poiché unvaccino basato sulla proteina Ta t

Inserto BENBollettino Epidemiologico Na z i o n a l e

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Figura - Stima del rischio di mortalità aggiustato a 30 giorni dall’intervento di by-pass per Centro diCardiochirurgia ( = intervallo di confidenza al 95%)

Riferimenti bibliografici

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3. Nota 13. Gazzetta Ufficiale n. 305del 30 dicembre 2004. Allegato 1:100.

Figura - Percentuale dei medici registrati sul totale dei medici di medicinagenerale per regione

p o t rebbe indurre una risposta im-mune efficace contro differenti sot-totipi virali, ciò consentirebbe di su-p e r a re le principali limitazioni do-vute alla variabilità virale, incontra-te con altri approcci vaccinali.

Con questo razionale, il RepartoAIDS ha sviluppato un vaccino ba-sato sulla proteina Tat nativa ri-combinante, ottenuta da un ceppo(IIIB) del sottotipo B di HIV-1 (Ta tBH-10). In studi preclinici su nu-m e rosi piccoli animali (topi e cavie)e su scimmie Macaca fascicularis, ilvaccino, sia come proteina che co-me DNA, si è dimostrato non tos-sico e in grado di indurre una ri-sposta immune, sia umorale che cel-lulo-mediata, che è stata efficace nelc o n t ro l l a re la replicazione virale eimpedire lo sviluppo della malattianelle scimmie vaccinate e successi-vamente infettate con un virus pa-togeno (vaccinazione pre ve n t i va ) .In o l t re, il vaccino si è dimostratonon tossico e immunogenico quan-do somministrato a scimmie già in-fette, che presentavano una marca-ta immunodeficienza (vaccinazioneterapeutica).

Sulla base dei promettenti risul-tati ottenuti dagli studi pre c l i n i c i ,l’ Istituto Su p e r i o re di Sanità (ISS)ha quindi sponsorizzato trial clinicidi Fase I con la proteina Tat in Ita-lia, sia su soggetti sieronegativi (va c-cinazione preventiva) che su indivi-dui già infettati da HIV (va c c i n a-zione terapeutica). La sperimenta-zione, iniziata nel mese di nove m-bre 2003, è mirata a verificare l’as-senza di tossicità e l’ i m m u n o g e n i-cità della preparazione va c c i n a l en e l l’ u o m o. Entrambi i trial (va c c i-nazione pre ve n t i va e va c c i n a z i o n eterapeutica) sono in doppio cieco,randomizzati, e controllati con pla-cebo. I volontari sono stati sottopo-sti a 5 immunizzazioni (0, 4, 8, 12,16 settimane) per via sottocutanea(con adiuvante), o per via intrader-mica (senza adiuvante), con 3 diffe-renti dosi vaccinali (0, 4, 8, 12, 16settimane) o con solo il placebo (lasoluzione fisiologica utilizzata perrisospendere il vaccino, in presenzadi adiuvante nel caso della sommi-nistrazione sottocute). L’ e n d p o i n tprimario dello studio è rappre s e n t a-to dalla verifica dell’ i n n o c u i t à

della preparazione vaccinale, men-t re l’e n d p o i n t secondario è rappre-sentato dalla immunogenicità delp reparato vaccinale. Gli arru o l a-menti sono stati completati nel me-se di novembre 2004 e i risultati ri-g u a rdanti l’assenza di tossicità el’entità e il tipo di risposta immuneindotta dal vaccino saranno resi no-ti entro l’estate 2005.

La prosecuzione della sperimenta-zione clinica prevede l’allestimentodi trial clinici di fase II su volontaris i e ronegativi e sieropositivi, e avràcome obiettivo primario la caratte-rizzazione della risposta immune( i d e n t i f i c a-zione del do-saggio e viadi sommini-strazione mi-g l i o re) e ulte-riori va l u t a-zioni dell’ i n-n o c u i t à .Questa speri-m e n t a z i o n ec o m p re n d e r àalcune centi-naia di vo-lontari ec o i n vo l g e r àindividui sie-ronegativi arischio di infezione e individui sie-ropositivi in differenti stadi di pro-g ressione della malattia e avrà unadurata di circa due anni dal suo ini-zio. Essa sarà condotta non solo inItalia ma anche nei Paesi africani,con i quali il gruppo del Re p a rt oAIDS sta collaborando da tempo aquesto scopo e per i quali il vaccinoè maggiormente necessario. Pro-grammi in collaborazione tra l’ I S Se centri clinici in Kampala (Ugan-da), Johannesburg (Sudafrica) eMbabane (Swaziland) sono stati av-viati con il coinvolgimento del Mi-n i s t e ro degli Affari Esteri (MAE),allo scopo di effettuare studi preli-

minari epidemiologici, virologici eimmunologici, per la pre p a r a z i o n ealla conduzione della sperimenta-zione vaccinale in quei Paesi e valu-tarne i parametri di fattibilità neiluoghi prescelti. Tali programmi so-no finanziati dal progetto euro p e oAVIP (AIDS Vaccine In t e g r a t e dProject), del quale l’ISS è coordina-tore e che include 15 gruppi di ri-c e rca in sei Paesi europei (It a l i a ,Francia, Germania, Finlandia, Sve-zia, Gran Bretagna) e il Su d a f r i c a ,dal MAE e dal Programma Nazio-nale per la Ricerca sull’AIDS.

La sperimentazione sull’uomo sic o n c l u d e r àquindi conl’ e s e c u z i o n edei trial di fa-se III per laverifica del-l’efficacia delva c c i n o. Ta l itrial avrannoluogo solodopo il com-p l e t a m e n t odella fase II ei n c l u d e r a n n oun numeroelevato di in-dividui (alcu-ne migliaia)

sia in Italia (per l’ a p p roccio tera-peutico) che in Africa (per l’ a p-p roccio pre ve n t i vo). Il completa-mento di fase III richiederà alcunianni.

Poiché i tempi di allestimento econduzione delle varie fasi (I-II-III)necessarie alla sperimentazione delvaccino sono necessariamente lun-ghi, si è dato avvio agli studi per lap reparazione di nuove generazionivaccinali basate sulla Tat. L’ISS hap e rtanto iniziato numerosi pro-grammi diretti alla conduzione disperimentazioni vaccinali, volti a ge-nerare vaccini di seconda e terza ge-nerazione basati sulla combinazio-

ne di proteine re g o-latrici di HIV e sucombinazioni di pro-teine regolatrici ep roteine stru t t u r a l iallo scopo di stimo-lare una risposta im-mune, la più ampiaelicitabile, sia a livel-lo sistemico che mu-cosale. Questi pro-grammi includono ilgià citato AV I P, lacollaborazione It a-lia/USA per lo svi-luppo congiunto diun vaccino control’HIV/AIDS, inizia-ta nel 1998 con unaccordo tra l’allora Presidente degliStati Uniti d’America, Bill Clinton,e l’allora Primo Mi n i s t ro italiano,Romano Prodi, e recentemente rin-n ovata, e l’ I C AV (Azione Concert a-ta Italiana per lo Sviluppo di unVaccino contro l’AIDS), coord i n a t adall’ISS, all’interno del ProgrammaNazionale AIDS e, infine, l’ a c c o rd oISS/Chiron, per lo sviluppo di stra-tegie vaccinali atte a indurre immu-nità mucosale. Altri programmi so-no in via di definizione o sono statirecentemente concordati, quali ilrecente accordo tra l’ISS e il Mini-stero della Sanità del Sudafrica perprogetti collaborativi di interventonel controllo della diffusione del-l’infezione da HIV in Sudafrica.

La speranza di tutti è che un gior-no si possa arriva re a ottenere unvaccino efficace contro l’AIDS. Larealtà è che questo vaccino non è an-cora disponibile. Di questo è neces-sario prendere atto e, nel frattempo,a t t u a re politiche pre ve n t i ve per li-m i t a re la diffusione dell’ i n f ezione trale popolazioni. Questo è fondamen-tale tanto nei Paesi sviluppati, dovealla paura di questa malattia è su-bentrata nel tempo, l’errata perc e-zione che la sua diffusione nella po-

polazione stia rallentando, comeconseguenza dei risultati ottenuticon i farmaci antiretrovirali, quantonel mondo in via di sviluppo, dove,nonostante un’ e l e vata pre valenza eincidenza dell’ i n f ezione da HIV,molti governi non compre n d o n oancora appieno le conseguenze sani-tarie, economiche e sociali di questamalattia. Una strategia di successoc o n t ro l’AIDS coinvolge quindi tut-ti, ricchi e poveri del mondo, e vaoltre il contesto di una semplice vit-toria contro una seppur terribile ma-lattia; tale successo, come ha evi-denziato Wangari Maathai, premioNobel per la pace nel 2004, può ave-re benefici effetti economici e poli-tici: “In Africa non possiamo vince-re la battaglia contro l’ H I V / A I D Sda soli. Occorre che il mondo inte-ro abbia una chiara perc ezione diquello che è il contesto culturale, ol-tre che la consapevolezza della soli-darietà e del sostegno concreto di cuiabbiamo bisogno (…) per una mag-giore possibilità di accesso alle tera-pie, per l’eliminazione della povertàe per un migliore stato nutrizionaledella popolazione. Si tratta di unasfida globale posta ai leader sia poli-tici che religiosi”. ■

el 1955 l’ Or g a n i z z a-zione Mondiale dellaSanità (OMS) lanciò

la campagna mondiale di eradi-cazione della malaria basata sul-l’impiego del DDT applicato al-l’interno delle abitazioni controgli anofeli vettori e sull’uso deifarmaci antimalarici per l’ e l i m i-nazione del plasmodio nell’ u o-mo. La campagna di lotta portò,verso la fine degli anni ’60, all’e-radicazione della malaria in tutti

i Paesi sviluppati (Paesi del Me-diterraneo, molte regioni dei tro-pici, ecc.), laddove la parassitosiera endemica, e all’ i n t e r ru z i o n edella trasmissione in gran part edelle aree dell’Asia tropicale ed e l l’America Latina (ad esempio,in Brasile il numero dei casi di-m i n u i rono da 6 milioni a37.000). Per quanto riguarda l’ A-frica, la campagna interessò sol-tanto tre Paesi poiché, sulla basedei risultati di progetti pilota,

non fu ritenuta fattibile la suaestensione nella restante parte delcontinente. I primi risultati del-la lotta antimalarica furo n os t r a o rdinari, ma negli anni suc-cessivi non si re g i s t r a rono mi-glioramenti derivanti dalla stra-tegia di lotta adottata, anzi la re-sistenza dei vettori al DDT e delplasmodio alla clorochina, far-maco insuperabile per efficaciaed economicità, influirono pe-santemente sull’andamento del

N

p rogramma di eradicazione, alpunto che numerose aree ex-en-demiche furono re i n vase dallaparassitosi.

Nel 1969 l’OMS abbandonòla strategia dell’eradicazione persostituirla con quella del con-trollo, ossia una riduzione pro-grammata della morbosità em o rtalità. Nel 1992 elaborò unan u ova strategia di lotta con prio-rità massima al controllo dellamalattia più che dell’ i n f ez i o n e ,e quindi enfasi alla diagnosi pre-coce e al trattamento immedia-to nell’ambito di programmi ge-stiti dal sistema sanitario di ba-se. In molti Paesi, quali T h a i-landia, Cina, Brasile, Isole Salo-mone, Filippine, Vietnam, i ri-sultati ottenuti in termini dic o n t rollo sono stati buoni, manon si può dire lo stesso per tan-ti altri, e soprattutto per quellidell’Africa Sub-sahariana.

La messa a punto di un vacci-no antimalarico è un obiettivoinseguito da più di 30 anni aquesta parte, ma non ancoraraggiunto.

L’immunità naturale siottiene lentamente e sol-tanto a seguito di unacontinua esposizione al-l’ i n f ezione. Un neonatoin zona endemica haun’immunità passiva chegli deriva dalla madre fi-no all’età di 6 mesi. Suc-c e s s i vamente, è soggettoa l l’ i n f ezione. L’ i m m u n i t àantimalarica che la popo-lazione acquisisce coltempo non è un’ i m m u-nità sterilizzante. Ta l eimmunità, chiamata dal-la scuola francese “p re m u n i z i o n e” ,è in buona sostanza una “pace ar-mata” che dura e si irrobustisce fi-no a che vi è esposizione al pla-s m o d i o. L’immunità, ottenuta co-sì faticosamente, si perde in brevetempo dopo aver lasciato le zonemalariche. Inoltre essa è legata aivari ceppi di P. falciparum.

È immediata a questo punto laseguente riflessione: si riuscirà am e t t e re a punto un vaccino anti-malarico più potente dell’ i n f e-zione naturale?

È stato osservato che mentre ri-petute somministrazioni naturali dis p o ro zoiti non sviluppano un’ i m-mediata immunità, una singolasomministrazione di sporo zoiti ir-radiati/attenuati produce nell’ u o-mo, nei primati e nei roditori un’immunità parziale o totale.

I soggetti che vivono in zone adalta trasmissione malarica acqui-stano nel tempo un’immunità

clinica, inizialmente nei con-f ronti della severità dell’ i n f ez i o-ne e successivamente anche dellasintomatologia clinica in sé.

I soggetti infettati sviluppanouna parziale immunità nei con-fronti dei parassiti, al punto chegli adulti presentano una parassi-temia di solito non elevata e sen-za manifestazioni cliniche.

L’immunità può essere trasferi-ta passivamente da un soggettoimmune a uno non immune me-diante somministrazione di im-munoglobuline, con evidente di-mostrazione che l’immunità neic o n f ronti degli stadi ematici èmediata da anticorpi.

La prima pubblicazione sullavaccinazione nell’uomo con spo-ro zoiti irradiati risale al 1973.Esaurita l’iniziale fase di studiosulla protezione antimalarica consomministrazione di sporo zoiti ir-radiati, questa metodologia è sta-ta abbandonata. Da allora sonostati fatti progressi enormi, ma ilcammino per la messa a punto diun vaccino antimalarico è ancoral u n g o. L’uso della tecnologia delDNA ricombinante per generarevaccini a base di sub-unità protei-che, il completamento del se-

quenzamento del genoma di P.falciparum, la conoscenza semprem a g g i o re del polimorfismo delDNA, dell’RNA messaggero e deiprofili di espressione delle protei-ne hanno consentito di fare passiavanti sulla conoscenza delle inte-razioni molecolari parassita-ospitee vettore-parassita.

Per poter sviluppare un vaccinocontro la malaria si richiede mol-to di più della conoscenza degliaspetti molecolari, patogenetici edepidemiologici delle specie pla-smodiali: bisogna capire in chemodo la risposta immunitaria del-l’ospite interagisce con il parassita.Tale conoscenza consente di pro-g e t t a re candidati vaccini che sti-molano l’esatto effettore del siste-ma immunitario e che assicuranou n’immunogenicità e pro t ez i o n enei confronti dei vari stadi del pa-rassita malarico.

Negli ultimi 20 anni sonostati effettuati più di 40 speri-mentazioni cliniche usando pep-tidi sintetici o proteine ricombi-nanti basate su antigeni malaricidi P. falciparum. Dei circa 5.300antigeni codificati di P. falcipa -rum, soltanto di 20 se ne conosceil ruolo protettivo nei confronti

dell’infezione e restaancora da chiarirel’esatta natura dellarisposta immunep ro t e t t i va. Sa p-piamo che lo sporo-zoite, libero di muo-versi in circolo perpochissimo tempo,dovrà essere aggredi-to rapidamente daun anticorpo a titoloelevato e di elevataspecificità, per evita-re che ogni sporo-zoite non neutraliz-zato dall’ a n t i c o r p odia luogo, una volta

raggiunto il fegato, a più di40.000 merozoiti che continua-no poi a svilupparsi nei globulirossi. Nella fase epatica, inoltre,potrà interve n i re un’ i m m u n i t àcellulare (risposta di tipo Th1)con stimolazione di linfociticitotossici (sia CD4+ che CD8+)che possono identificare ed i s t ru g g e re le cellule epaticheinfette e i parassiti in essa conte-nuti. Durante la fase ematica, ilparassita si nasconde nell’eritro-cita. Dal momento che i globulirossi non esprimono peptidiMHC di classe I o MHC di clas-se II, la risposta immune dipen-de dai processi anticorpali asso-ciati. Ad esempio, le cellule cito-tossiche e il complemento liticopossono avere un ruolo nell’eli-minazione degli eritrociti infetti,e l’infezione naturale può eserci-tare un’azione di richiamo.

Considerando il ciclo di svi-luppo del plasmodio malarico,sono stati considerati essenzial-mente sei bersagli per la messa apunto di un vaccino:

• gli sporo zoiti (gli anticorpianti-sporozoiti bloccano l’in-vasione degli epatociti);

• gli stadi epatici (l’ I F N -γ r i l a-sciato dai CD8+ induce pro-duzione di NO - potente so-stanza antiparassitaria - da par-te degli epatociti; i linfociti Tcitotossici CD8+ e le celluleNK esercitano una citotossi-cità e inducono apoptosi; lecellule NK più gli anticorpie s e rcitano citotossicità cellula-re anticorpo-dipendente);

• i mero zoiti (gli anticorpibloccano l’invasione dei glo-buli rossi);

• le tossine (gli anticorpi bloc-cano le tossine impedendol’insorgere della sintomatolo-gia clinica della malaria noncomplicata e grave);

• i globuli rossi infettati (gli an-tigeni plasmodiali espre s s isulla superficie delle emazieinfettate diventano “v i s i b i l i”agli anticorpi e l’azione sis volge mediante opsonizza-zione, citotossicità cellulareanticorpo-dipendente, lisic e l l u l a re mediata dal comple-mento, citochine secrete daCD4+ e da monociti);

• gli stadi sessuati (gli anticorpibloccano la fertilizzazione o ilpassaggio dell’oocinete attra-verso la parete dello stomacodella zanzara).

L’effetto del vaccino dipended a l l’antigene/i selezionati. Sono inmolti a ritenere che il vaccino, peressere efficace, debba essere com-posto da più stadi del ciclo di svi-luppo del plasmodio.

Gli antigeni presi in considera-zione come possibili candidativaccini sono quelli delle seguentip roteine: proteina circ u s p o ro zo i-

tica (CSP) e sporo zoitica (SSP-2);t rombospondina (TRAP); antige-ne dello stadio epatico (LSA-1);p roteina di superficie del mero-zoita (MSP-1 e MSP-2); proteineassociate alle rhoptrie (RAP-1 eRAP-2), gli antigeni leganti glieritrociti (EBA-175) e apicali del-la membrana degli stadi asessuati(AMA-1); antigeni dell’ o o c i n e t ePfs 25 e antigene specifico del ga-metocita Pfg27.

Gli studi sperimentali effettua-ti in questi ultimi decenni sonostati indirizzati verso 3 tipi divaccini:• Vaccini pre-eritrocitari - Se effi-

caci al 100%, essi proteggereb-bero dall’invasione delle cellu-le epatiche e/o distruggerebbe-ro i parassiti negli epatociti in-fettati. L’ospite non avrà nessu-na infezione malarica e quindinessuna manifestazione clinicae nello stesso tempo si bloc-c h e rebbe la trasmissione dellamalaria. Sa rebbe ideale per iviaggiatori non immuni che sirecano in zone malariche.

• Vaccini eritro c i t a r i - I va c c i n idegli stadi ematici indurrebbe-ro la produzione di elevati tito-li anticorpali in grado di pre ve-nire sia l’invasione dei globulirossi da parte dei merozoiti sial’eliminazione delle emazie pa-rassitate e sia la sequestrazionedegli eritrociti parassitari che èalla base dell’ ez i o p a t o g e n e s idella malaria grave.

• Vaccini che bloccano la tra -smissione della malaria - Essii n d u r re b b e ro immunità neic o n f ronti degli stadi che in-fettano il ve t t o re con conse-guente impedimento dellatrasmissione della malaria.Questi vaccini, non pre ve-nendo l’ i n f ezione nel va c c i-nato, vanno sotto il nome di“vaccini altruisti”.

Vi sono oggi da 25 a 75 candi-dati vaccini. In genere non più del20% raggiunge la fase 1 e solo il20% raggiunge la fase 3. La fasedi sperimentazione clinica 2a/ba c c e rta la sicurezza, la risposta im-munitaria e dà indicazione preli-m i n a re sull’efficacia (la fase 3 ri-guarda sicurezza e efficacia, la fa-se 4 il follow-up sulla sicurezza eefficacia). Il ciclo completo di spe-rimentazione dura in genere dai10 ai 12 anni e richiede la speri-mentazione su 50.000-100.000volontari, con un costo totale sti-mato in più di 500 milioni didollari USA.

La recente collaborazione tra laGlaxo-Smithkline e l’US WalterReed Army Institute of Researchha consentito la produzione diuna proteina ricombinante(RTS,S/AS02) formata dalla fu-sione della proteina circ u m s p o-ro zoitica (CSP), con l’antigene dis u p e rficie dell’epatite B (HbsAg).L’ a d i u vante impiegato è statol’AS02.

Il vaccino pre - e r i t ro c i t a r i oRTS,S/AS02 in sperimentazione èun potente induttore di cellule ditipo Th1 che generano alte con-centrazioni di IgG verso la regioneripetuta CSP e di risposta in ter-mini di proliferazione di linfocitialla RTS,S. Il vaccino, in tre dosiintramuscolari, è stato sperimenta-to nel mese di agosto 2004 nel suddel Mozambico su una popolazio-ne di 2.022 bambini di 1-4 anni. Irisultati più interessanti sono statiuna riduzione del 30% di attacchidi malaria e del 60% di malariagrave, con una protezione di circasei mesi. Il messaggio più incorag-giante è stato quello di aver trova-to una procedura promettente e ri-p roducibile, che consentirà sicura-mente di migliorare il prodotto intermini di efficacia e di durata pro-tettiva. ■

e disuguaglianze e la pove rtà di molti Pa e-si africani si riflettono sull’alta mortalitàe sul profilo sanitario della popolazione.

Queste disuguaglianze sono esacerbate dai conflit-ti e dalle epidemie in corso in diverse zone dell’A-frica sub-sahariana dove, tra le molte necessità diservizi sanitari in un contesto di risorse limitate, siè obbligati a scelte difficili.

Per identificare le priorità di sanità pubblica eper utilizzare le poche risorse disponibili in modoequo ed efficiente è necessario avere informazioniaffidabili sul profilo delle malattie, mentre la mag-gior parte dei dati disponibili in Africa sub-saha-riana provengono da indagini saltuarie e da siste-mi informativi largamente incompleti.

In questo contesto, dati facilmente disponibilie raccolti utilizzando pro c e d u re standardizzate, co-me i dati registrati abitualmente nelle cartelle didimissione ospedaliera, sono estremamente im-p o rtanti perché possono fornire indicazioni sullasituazione sanitaria in una cer-ta area e possono essere otte-nuti a basso costo e in modosostenibile a lungo termine.

L’ o b i e t t i vo del pre s e n t estudio, svolto nel quadro dellacollaborazione decennale tra ilC e n t ro Nazionale di Ep i-demiologia, So rveglianza ePromozione della Sa l u t ed e l l’ Istituto Su p e r i o re diSanità (ISS) e il St. Mary’sHospital di Lacor (denomina-to “Lacor Hospital”), è quello

di descrivere il profilo sanitario della popolazionedel Nord Uganda nel corso degli ultimi 12 anni,in un contesto di crisi economica, guerra ed epi-demie, e di valutare la risposta dell’ospedale Lacorin questa situazione di emergenza. Per maggioriinformazioni consultare il sito http://www.lacorhospital.org

Attraverso l’analisi epidemiologica della bancadati dell’ospedale Lacor, che raccoglie i dati dellec a rtelle cliniche dei 182.115 pazienti ammessipresso l’ospedale dal 1992 al 2003, viene descrittala frequenza e l’andamento delle principali malat-tie nel Di s t retto di Gulu (No rd Uganda) in cui l’ o-spedale è ubicato.

L’analisi è limitata alle 181.766 (99,8%) car-telle complete di dati demografici e clinici, che in-cludono 12.293 (99,4%) delle 12.365 cartelle di

pazienti deceduti in ospedale.Inoltre, è stata considerata so-lo la causa principale di am-missione, codificata secondo ilsistema informativo del Mini-s t e ro della Sanità ugandese chesi basa sulla decima re v i s i o n edella Classificazione In t e r n a-zionale della Malattie (ICD-10). Durante il periodo in stu-dio, le pro c e d u re di raccolta,a rchiviazione e inserimentonella banca dati computerizza-ta non sono cambiate.

L

L’ospedale Lacor è un ospedale privatosenza scopo di lucro, organizzato in quat-t ro re p a rti: medicina generale, chiru r g i a ,pediatria, ostetricia-ginecologia. Il nume-ro dei posti-letto è aumentato negli annida 356 nel 1992, a 446 nel 1993-97, a 460nel 1998-2002, fino a raggiungere 474 let-ti nel 2003.

Sono presenti una vasta gamma di ser-vizi diagnostici, terapeutici e di prevenzio-ne, basati anche sul territorio. Ol t re a di-versi ambulatori, è presente un Di p a rt i-mento di medicina di comunità e un Di-p a rtimento per la ricerca e la documenta-zione. Tra medici, tecnici, impiegati e ope-rai sono circa 550 i dipendenti dell’ospedale, tuttiugandesi, mentre oltre 250 sono gli studenti che se-guono i numerosi corsi d’ i s t ruzione e formazione sa-nitaria. L’ospedale è sede dell’internato obbligatorioper i neolaureati ed è sito sentinella per la sorve-glianza nazionale dell’infezione da HIV.

La politica dell’ospedale è di dare priorità al-l’accessibilità di servizi di qualità per le fasce piùp ove re e vulnerabili della popolazione, offrendo unampio spettro di servizi sanitari a un prezzo sov-venzionato a tariffa unica.

Secondo il censimento del 2002, il Distretto diGulu ha una popolazione di 468.407 individui.Fin dal 1986, il Distretto è afflitto da una guerracivile e a part i re dal 1996-97, in cui c’è stato un in-tensificarsi delle attività dei ribelli, circa il 70% del-la popolazione ha dovuto abbandonare la propria

residenza e oltre la metà vive in “campi protetti”.Anni di conflitto hanno causato la decadenza del-le infrastru t t u re e il crollo del sistema di riferi-mento sanitario.

L’epidemia di HIV continua ad affliggere la po-polazione con una prevalenza che, sebbene sia di-minuita dal 27,1% nel 1993 all’11,5% nel 2003,risulta essere maggiore sia della media nazionale siadi quella re l a t i va ai centri urbani. Tra ottobre 2000e febbraio 2001, il Distretto di Gulu è stato colpi-to dalla più grande epidemia di Ebola mai cono-sciuta, con 393 casi di cui 203 fatali: la metà dei pa-zienti sono stati ricoverati presso l’ospedale Lacor,dove sono decedute 12 persone, a seguito di con-tagio, tra cui il Di re t t o re Sanitario, Ma t t h ewLukwiya.

Il numero di ammissioni nel periodo in stu-dio raddoppia da 12.702 nel 1992 a 29.877 nel2003, con uno spro p o rzionato aumento delleammissioni pediatriche (che triplicano da 5.266a 18.741). È interessante notare che le ammis-sioni hanno subito un forte incremento a segui-to dell’acuirsi del conflitto civile nel 1996-97,che ha causato massicci spostamenti di popola-zione e il collasso del sistema di riferimento sa-nitario. Al contrario, nel 2000-01 si osserva unadiminuzione delle ammissioni a causa della tem-poranea chiusura di alcuni reparti per la creazio-ne di un adeguato isolamento per i malati affet-ti da Ebola. Un nuovo aumento delle attività bel-liche nel 2002-03 ha prodotto una nuova cresci-ta del numero di ammissioni fino a livelli mairaggiunti in precedenza.

Tale aumento delle ammissioni è stato realizza-to dall’ospedale Lacor in parte incrementando i po-sti letto (da 356 nel 1992 a 474 nel 2003), ma so-prattutto dimezzando la durata media di degenza(da 17,4 giorni nel 1993 a 7,6 giorni nel 2003) eraddoppiando il turnover dei pazienti (da 24,7 am-missioni per letto nel 1993 a 64,0 ammissioni perletto nel 2003), mantenendo così stabile il tasso dioccupazione dei posti letto oltre il 100%.

La Tabella mostra il numero di ammissioni e digiorni-letto e la durata media di degenza per le die-ci cause principali di ammissione, mentre la Figu-ra 1 illustra l’andamento nel tempo delle ammis-sioni e dei giorni-letto.

La causa principale delle ammissioni è da im-putare alla malaria (27,3%), che fa anche registra-re il maggiore aumento nelle ammissioni passandoda 1.643 a 9.124 casi dal 1992 al 2003 (Figura 1).

La polmonite e la malnutrizione ve d o n oun pro g re s s i vo aumento dei casi fino a rag-giungere l’apice nel 2003 (3.446 e 1.275casi rispettivamente) attribuibile al pro-gressivo abbandono dei campi e alla con-seguente sempre maggior gravità della ca-restia e al peggioramento delle condizioniigienico-sanitarie generali.

Le ferite e i traumi imputabili alla si-tuazione di conflitto mostrano fluttuazio-ni nel corso degli anni associabili all’ i n-tensità delle ostilità (con due picchi di 744ammissioni nel 1997 e 485 nel 2002),mentre infezioni emergenti e riemergenti,quali HIV/AIDS e tubercolosi, sono pa-

tologie che comportano un pesante carico per lapopolazione in termini di giorni di degenza (il19,4% dei giorni-letto sono dovuti alla tubercolo-si), anche se l’andamento delle ammissioni perHIV/AIDS è diminuito dopo la realizzazione diservizi ambulatoriali e di comunità e il numero digiorni-letto dovuto alla tubercolosi è sceso dopol’adozione del protocollo terapeutico breve, cono-sciuto come DOTS (Figura 1B).

Il profilo degli utenti dell’ospedale mostra chei gruppi di popolazione considerati maggiormen-te vulnerabili (donne e bambini fino a 4 anni) rap-presentano l’80,6% di tutte le ammissioni, con unaumento dal 75,5% nel 1992 all’85,4% nel 2003.In particolare, i bambini fino a 4 anni hanno fat-to re g i s t r a re il 52,7% delle ammissioni, mentrerappresentano solo il 16,3% della popolazione delDistretto di Gulu.

La distribuzione specifica per età della percen-tuale di ammissioni per alcune patologie è illustra-ta nella Figura 2. Quattro patologie (malaria, pol-monite, malnutrizione, morbillo) fanno registrarepiù della metà delle ammissioni tra i bambini. Inp a rt i c o l a re, la malaria rappresenta il 45% delleammissioni fino a 4 anni e poi diminuisce con l’ e t à ,con la progressiva acquisizione dell’immunità na-turale. Ne l l’età adulta, invece, il parto è la causaprincipale di ammissione tra i 14 e 34 anni, men-

t re la tubercolosi diventa lapatologia più import a n t etra i 35 e i 44 anni. Oltre i45 anni, emergono pato-logie quali i tumori e lemalattie cardiovascolari.

Le dieci cause princi-pali di decesso ospedalieroricalcano le ragioni diospedalizzazione, a ecce-zion fatta per il parto, itraumi e le malattie dellevie respiratorie superioriche vengono rimpiazzateda patologie più gravi qua-li meningite, AIDS e ane-mia. Malaria e malnutri-zione causano un quart odi tutti i decessi in ospeda-le, seguiti da patologie in-f e t t i ve quali polmonite(9,4% dei decessi), me-ningite (6,7%), tuberc o l o-si (6,6%) e diarrea (6,1%).Interessante notare che inconcomitanza con l’ a g g r a-varsi del conflitto civile nel1996-97 e nel 2002-03, sinotano dei picchi nellamortalità non solo dovutaa traumi (la maggior parted ovuti alla guerra), ma an-che per malaria, malnutri-zione e polmonite.

L’analisi della letalitàmostra la gravità dei casiammessi in ospedale: uncaso su 4 di AIDS e me-ningite muore durante ilricovero, 1 bambino mal-nutrito su 5 e 1 bambino

con il morbillo su 6 muoiono durante il ricovero.Nel corso degli anni, d’altra parte, il tasso di leta-lità diminuisce per la maggior parte delle patolo-gie: un segnale di miglioramento nella qualità del-le cure fornite dall’ospedale stesso. L’età più vulne-rabile in termini di mortalità è quella pediatricache fa registrare il 60,2% dei decessi durante i ri-coveri e il maggior numero di decessi avviene nelprimo anno di vita (4.495 sui 13.619 decessi tota-li nel 1992-2003).

Le cartelle cliniche ospedaliere sono una fonteimportante di dati, in quanto disponibili ed eco-nomici, per pianificare e valutare i servizi ospeda-lieri. In o l t re, nonostante le limitazioni dovute alfatto che sono essenzialmente uno strumento digestione e non di ricerca, possono essere utilizzateper descrivere l’andamento delle patologie nel cor-so del tempo.

Nel caso in studio, i dati tratti dalle cartelle cli-niche dell’ospedale Lacor possono essere utilizzatianche per descrive re il profilo sanitario nel Di-stretto di Gulu, facendo un’inferenza alla popola-zione, permessa dal fatto che l’accesso all’ospedalenon è limitato dalla disponibilità economica del-l’utente.

Nel complesso, i risultati mettono in evidenza co-me le complesse relazioni tra guerra, situazione socio-economica, carestia, epidemie e crisi umanitaria de-terminano quello che potremmo chiamare il “profi-lo delle malattie della povertà”. In particolare, men-t re i ricoveri per ferite e traumi tra i civili possono es-s e re il risultato diretto delle operazioni militari, lamaggior parte dell’impatto della guerra sulla salute èindiretto, attraverso l’effetto combinato dell’abban-dono dei campi e della conseguente mancanza di ge-neri alimentari, delle cattive condizioni igienico-sa-nitarie dei campi protetti, del ridotto accesso ai ser-vizi sanitari sia per la distruzione e l’abbandono dimolti centri periferici sia per l’insicurezza che carat-terizza gli spostamenti nell’area. Si instaura così un

c i rcolo vizioso senza fine, dove la guer-ra porta povertà e malattie, e queste al o ro volta contribuiscono ad aumenta-re il sotto-sviluppo.

Infatti, un limitato numero dimalattie trasmissibili e pre ve n i b i l icontribuisce in modo spro p o rz i o-nato agli alti livelli di malattia del-la popolazione e colpisce soprattut-to donne e bambini, che rappre s e n-tano le fasce più vulnerabili: ecco il“p rofilo delle malattie della po-vertà”. Molto di questo carico po-trebbe essere drammaticamente ri-dotto da misure preventive e cura-tive a bassi costi, come nel caso del-la malaria, morbillo, diarrea e infe-zioni respiratorie.

In questa situazione dove la ne-cessità di servizi sanitari è pratica-mente illimitata e le risorse sono

scarse, l’ospedale Lacor ha fatto fronte alla cre-scente domanda di servizi con l’aumento delle am-missioni ospedaliere reso possibile dalla riduzionedella durata di degenza, avvenuta senza compro-mettere la qualità della cura, come dimostrato dal-la diminuzione del tasso di letalità per la maggio-ranza delle patologie.

Si può concludere che l’ospedale Lacor ha sfru t-tato al massimo e nella maniera più efficace le ri-sorse a sua disposizione ma che, al fine di rispon-d e re in maniera adeguata alla sempre crescente do-manda di servizi sanitari della popolazione di Gu-lu, non occorre solo incrementare le risorse a di-sposizione, ma sono urgenti azioni tese alla pacifi-cazione e allo sviluppo dell’area. ■