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SU PEIRCEInterpretazioni, ricerche, prospettiveA cura di Massimo A. Bonfantini, Rossella Fabbrichesi, Salvatore Zingale
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Su PeirceInterpretazioni, ricerche, prospettive
Charles Sanders Peirce (1839-1914) è il massimo filosofo americano. Inventore del senso di tre termini cruciali, pragmatismo, semiosi, abduzione, Peirce è al contempo il padre della semiotica e l’autore di una originale interpretazione del mondo. Gli scritti di questo volume nascono da seminari e convegni tenuti a Milano nel centenario della morte, sotto l’egida del Club Psòmega, dell’Università Statale e del Politecnico. È un volume che rappresenta tutte le correnti degli studi peirceani in Italia: dagli aspetti e problemi teoretici e ontologici, alle relazioni e influenze di Peirce su filosofi e semiotici contemporanei, sino alle applicazioni e reinterpretazioni della sua riflessione alla realtà odierna. Il libro si apre con tre introduzioni alla discussione e considerazione complessiva di Peirce: tre visioni d’insieme su questioni centrali – una ricognizione sulla “semiosi progettuale” nel progresso della ricerca peirceana, di Massimo Bonfantini; la difesa della fondamentalità dell’icona, ovvero dell’“iconismo primario”, da parte di Umberto Eco; e una “nuova antropologia pragmatica”, che si ispira a Peirce, ma non solo, di Rossella Fabbrichesi.
Massimo A. Bonfantini ha insegnato Semiotica a Bologna, Napoli e Milano. Curatore delle Opere di Peirce (Bompiani, 2003), è fra l’altro autore di La semiosi e l’abduzione (Bompiani, 1987) e del Breve Corso di Semiotica (Esi, 2000). Dal 1985 è coordinatore del Clup Psòmega.
Rossella Fabbrichesi insegna Ermeneutica Filosofica all’Università degli Studi di Milano. Le sue opere più recenti su Peirce e il pragmatismo sono In comune. Dal corpo proprio al corpo comunitario (Mimesis, 2012) e Peirce e Wittgenstein. Un incontro (Mimesis, 2014).
Salvatore Zingale è ricercatore e docente di Semiotica del progetto al Politecnico di Milano, Dipartimento di Design. La sua pubblicazione più recente è Interpretazione e progetto. Semiotica dell’inventiva (FrancoAngeli, 2012).
IL CAMPO SEMIOTICOA cura di Umberto EcoST
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www.bompiani.eu25,00
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SU PEIRCEInterpretazioni, ricerche, prospettive
A cura di Massimo A. Bonfantini, Rossella Fabbrichesi, Salvatore Zingale
Bompiani
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ISBN 978-88-452-8033-7
© 2015 Bompiani / RCS Libri S.p.A.Via Angelo Rizzoli, 8 – Milano
Prima edizione Studi Bompiani ottobre 2015
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INDICE
I
SUL SENSO DI PEIRCE:
TRE INTRODUZIONI
Massimo A. Bonfantini PEIRCE E LA CENTRALITÀ DELLA SEMIOSI PROGETTUALE: UN BREVE VIAGGIO DI RICOGNIZIONE 13
Umberto Eco PEIRCE E L’ICONISMO PRIMARIO 23
Rossella Fabbrichesi L’ORIZZONTE DI UNA NUOVA ANTROPOLOGIA PRAGMATICA 41
II
UNDERSTANDING PEIRCE:
ASPETTI E PROBLEMI
Rosa M. Calcaterra EPISTEMOLOGIA DEL SÉ
NOTE DALL’ESTERNALISMO DI PEIRCE 59
Giovanni Maddalena PEIRCE, L’ANTI-KANTISMO E L’INTENZIONE SINTETICA DEL PRAGMATISMO 69
Maria Regina Brioschi IL CONCETTO DI REALTÀ SECONDO PEIRCE: TRA ATTESA E SORPRESA 79
Marco Stango LA LOGICA DEL RICONOSCIMENTO ONTOLOGICO IN CHARLES S. PEIRCE 91
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Claudio Paolucci LOGICA DEI RELATIVI, SEMIOTICA E FENOMENOLOGIA
PER UN PEIRCE “NON-STANDARD” 107
Emanuele Fadda PEIRCE E LE LINGUE 127
III
PEIRCE E GLI ALTRI:
FILOSOFIA E SEMIOTICA
Paolo Facchi DA PEIRCE A VAILATI 141
Susan Petrilli PEIRCE E WELBY 149
Filippo Silvestri PEIRCE/HUSSERL: IPOTESI PER UN CONFRONTO 167
Arturo Martone PEIRCE/SAUSSURE IL CASO DELLA METAFORIZZAZIONE 177
Cosimo Caputo PEIRCE VS HJELMSLEV 193
Augusto Ponzio PEIRCE E BACHTIN 201
Felice Cimatti IL NOCCIOLO DEL REALE, DA LACAN A PEIRCE 213
IV
PEIRCE OLTRE PEIRCE:
INVESTIGAZIONI E PROGETTI
Valentina Pisanty LE TESTIMONIANZE SONO PROVE? PEIRCE E LA STORIA 229
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Daniele Goldoni ABITARE L’IMPROVVISAZIONE 239
Giampaolo Proni DA PEIRCE A SENNETT: PRAGMATISMO E PROGETTO 247
Salvatore Zingale “THIS IS MY DESIGN”
LO SPAZIO DELL’ABDUZIONE NELLA PROGETTUALITÀ 257
Massimo A. Bonfantini PEIRCE E IL MATERIALISMO STORICO PRAGMATICISTA 269
Bibliografia 281
Gli Autori 313
107
127
141
149
167
177
193
201
213
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CE
SALVATORE ZINGALE
“THIS IS MY DESIGN”LO SPAZIO DELL’ABDUZIONE NELLA PROGETTUALITÀ
Gli animali di tutte le specie si innalzano al di sopra
del livello generale della loro intelligenza in quelle azioni
che costituiscono la loro propria funzione, come il volo e
la costruzione del nido negli uccelli; e qual è la funzione
propria dell’uomo se non incarnare idee generali nelle
creazioni artistiche, nelle cose utili e soprattutto nella
conoscenza teoretica?
Charles S. Peirce
(CP 6.476; tr. it. Opere: 1248, corsivo mio)
1. Le direzioni dell’abduzione
Nella sequenza iniziale della serie televisiva Hannibal,1 il profiler
dell’Fbi Will Graham osserva intensamente la scena di un atroce
delitto. Will ha la straordinaria capacità di immedesimarsi nei serial
killer, di entrare nelle loro menti attraverso una profonda empatia.
Il suo compito è ricostruire quanto è avvenuto, il come e il perché
di un omicidio. Alla fine dell’intensa osservazione la mente di Will
si sovrappone a quella del serial killer. Da qui la conclusione di ogni
ragionamento con una frase rituale: “This is my design”.
Il design in quanto ‘industrial design’, in questo caso, non c’en-
tra. Non ancora. Il design è qui una strategia, un’intenzione, una
procedura per il conseguimento di un risultato: è il disegno di un
1 La serie è basata sui romanzi di Thomas Harris e sviluppata per il network
statunitense NBC da Bryan Fuller.
la fecondità inventiva, il saper produrre eventi e oggetti concreti
traendoli dalle proprie forze, che è ignorato dal sistema produt-
roppo spesso i risultati concreti delle nostre
banalizzati,
riducendoli a una semplice misura di moneta che, chissà quando
Il pragmatismo o pragmaticismo progettuale, nato da Peirce,
può dare alla crisi del post-modernismo una risposta più soddisfa-
E può aiutarci a un atto di impegno per un’evoluzione umana,
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piamo infatti che è per via di continue interpretazioni che la mente
procede
grandi
organizziamo la nostra vita quotidiana e diamo forma all’
terpretativo e progettuale, e il pensiero progettuale come una disposi
zione della mente. L
mento di conclusione momentanea e di riavvio della semiosi, non può
essere immaginata senza il
di tale salto avremmo altre forme di interpretazione, come quelle che si
limitano a una decrittazione deduttiva o a una verifica induttiva.
do
relazione futuro-presente è triadica, mentre quella passato-presente è
solamente diadica (cfr
zione occupa la mente per la gran parte del tempo, se non altro perché
spesso legata alle sensazioni, alla risposta all’ambiente, alle percezioni,
all’azione inconsapevole, come da Peirce argomentato in
e abduzioneduzione è un’attività ineliminabile: pensiamo e agiamo a partire da ciò
di cui disponiamo
della scoperta di ciò di cui
sperimentalmente
e anche quando del tutto lucidamente calcolata, essa presenta pur
sempre un’apertura in grado di accogliere tanto il caso (serendipi
tà), quanto il meraviglioso (arte) e il libero gioco (musement).
modo anche una forma di
ne, come nell’irritazione
‘a riposo’, sia perché l’abduzione è una tensione verso un assente:
possibile,
generata dal travaglio della scelta, confortato forse solo dalla fiducia
nella forza logica di ciò che in
come
progettuale è quella “caccia al sapere” di chi ha il “desiderio della
scoperta” (CP 1.8; tr
piano d’azione. Will ricostruisce, attraverso l’indagine visuale,
quanto il serial killer avrebbe predisposto.
Ciò che noi spettatori però possiamo notare, è la duplice dire-
zione del pensiero abduttivo: il serial killer progetta ciò che dovrà
essere fatto, prepara le cause che produrranno effetti; Will osserva
le tracce di questi effetti e ne ricostruisce le cause. L’abduzione è
un’attività mentale che si volge verso ogni direzione, è sia composi-
zione sia ricomposizione. Davanti alla mente, ogni fatto – il surpri-sing fact, o la curious circumstance: ogni fatto che interessa la mente
e che per essa diventa rilevante – si presenta come segno di un fatto
ulteriore. Se un fatto ci sorprende è perché abbiamo necessità di
capire la ragione della sua esistenza, e questa ragione la possiamo
scoprire solo attraverso un altro fatto che lo interpreta.
Questa attività mentale e abduttiva – progettuale – in gran parte
concorda con la comune nozione di design, anche se in tale nozione
si trovano due vie spesso in contraddizione fra loro: da un lato, il
design come esempio di processo inventivo necessario alla soprav-
vivenza fisica e sociale (dal rifugio abitativo al cibo, dall’efficienza
degli strumenti di lavoro ai sistemi di comunicazione); dall’altro,
come progettazione esteticamente accurata e come strategia di fa-
scinazione per il consumo vistoso (Veblen 1899).
Il design di cui qui parlerò è, in primo luogo, la forma storica e
culturale che insieme ad altre ha dato corpo alla nostra disposizione
all’agire progettuale, e che nel tempo ha fornito agli artefatti – alle
“cose utili” di cui si parla nell’exergo – una dimensione di habit analoga a quella delle opinioni e delle credenze.
2. Il dono dell’abduzione
Il pensiero abduttivo e l’attitudine progettuale sono, per così di-
re, il vero dono che Adamo ed Eva ricevettero una volta cacciati
dall’Eden, insieme alle “tuniche di pelle” per coprire la nudità e
proteggersi dal freddo. È il dono di uno strumento per sopravvive-
re nell’ambiente, una volta diventati anche loro “bestie selvatiche”.
Il dono della progettualità, stando all’allegoria biblica, appartiene a
tutta la specie umana, come coscienza e consapevolezza dei nostri
limiti di fronte alla durezza del mondo-ambiente. Da Peirce sap-
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piamo infatti che è per via di continue interpretazioni che la mente
procede nella formazione di abiti, e abiti sono anche i piccoli o
grandi artefatti che accompagnano il nostro operare e attraverso cui
organizziamo la nostra vita quotidiana e diamo forma all’habitat.Proviamo allora a vedere l’abduzione soprattutto come schema in-
terpretativo e progettuale, e il pensiero progettuale come una disposi-
zione della mente. L’interpretazione, che vede nell’Interpretante il mo-
mento di conclusione momentanea e di riavvio della semiosi, non può
essere immaginata senza il salto abduttivo. O meglio, senza l’intervento
di tale salto avremmo altre forme di interpretazione, come quelle che si
limitano a una decrittazione deduttiva o a una verifica induttiva.
Se il pensiero è inferenziale, l’abduzione è l’unica inferenza in gra-
do di farlo procedere, di pensare all’“essere in futuro”, perché solo la
relazione futuro-presente è triadica, mentre quella passato-presente è
solamente diadica (cfr. CP 2.86). È anche per tale ragione che l’abdu-
zione occupa la mente per la gran parte del tempo, se non altro perché
spesso legata alle sensazioni, alla risposta all’ambiente, alle percezioni,
all’azione inconsapevole, come da Peirce argomentato in Pragmatismo e abduzione (CP 5.180-212; tr. it. Opere: 439-454). In altri termini, l’ab-
duzione è un’attività ineliminabile: pensiamo e agiamo a partire da ciò
di cui disponiamo ora; ma se pensiamo o agiamo, lo facciamo in vista
della scoperta di ciò di cui ancora non disponiamo.
Del resto, in quanto inferenza né meccanicamente condotta né
sperimentalmente controllata, l’abduzione è spesso inconsapevole;
e anche quando del tutto lucidamente calcolata, essa presenta pur
sempre un’apertura in grado di accogliere tanto il caso (serendipi-
tà), quanto il meraviglioso (arte) e il libero gioco (musement).
In quanto stato di ricerca permanente, l’abduzione è però a suo
modo anche una forma di inquietudine. Sia perché nell’abduzio-
ne, come nell’irritazione del dubbio, la mente non si trova affatto
‘a riposo’, sia perché l’abduzione è una tensione verso un assente:
possibile, ma ancora da raggiungere. Questa tensione è a sua volta
generata dal travaglio della scelta, confortato forse solo dalla fiducia
nella forza logica di ciò che in Il fissarsi della credenza Peirce indica
come metodo scientifico. Come nella scienza, infatti, la tensione
progettuale è quella “caccia al sapere” di chi ha il “desiderio della
scoperta” (CP 1.8; tr. it. Opere: 52).
ill ricostruisce, attraverso l’indagine visuale,
Ciò che noi spettatori però possiamo notare, è la duplice dire-
ciò che dovrà
ill osserva
’abduzione è
un’attività mentale che si volge verso ogni direzione, è sia composi-
surpri-: ogni fatto che interessa la mente
– si presenta come segno di un fatto
ulteriore. Se un fatto ci sorprende è perché abbiamo necessità di
possiamo
Questa attività mentale e abduttiva – progettuale – in gran parte
concorda con la comune nozione di design, anche se in tale nozione
si trovano due vie spesso in contraddizione fra loro: da un lato, il
design come esempio di processo inventivo necessario alla soprav-
vivenza fisica e sociale (dal rifugio abitativo al cibo, dall’efficienza
degli strumenti di lavoro ai sistemi di comunicazione); dall’altro,
come progettazione esteticamente accurata e come strategia di fa-
storica e
nostra disposizione
all’agire progettuale, e che nel tempo ha fornito agli artefatti – alle
habit
Il pensiero abduttivo e l’attitudine progettuale sono, per così di-
re, il vero dono che Adamo ed Eva ricevettero una volta cacciati
dall’Eden, insieme alle “tuniche di pelle” per coprire la nudità e
proteggersi dal freddo. È il dono di uno strumento per sopravvive-
re nell’ambiente, una volta diventati anche loro “bestie selvatiche”.
appartiene a
tutta la specie umana, come coscienza e consapevolezza dei nostri
limiti di fronte alla durezza del mondo-ambiente. Da Peirce sap-
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260 SU PEIRCE “
medium” (
per progettare
particolare,
intenzioni di Peirce, non mi pare azzardato dire che tale
è la nostra capacità di
figurazionila disciplina del design.
4. Un movimento oscillante
te della mente in ricerca, che sposta lo sguardo fra passato, presente
e futuro. Quando guarda verso il passato, la mente esplora le cause
o le origini (gli antecedenti) che hanno portato a un determinato
stato
dente. Quando guarda verso il futuro, invece, la mente immagina
il superamento di uno stato problematico. Non è alla ricerca di un
antecedente storico (ciò che
antecedente possibile (ciò che
tensione verso il futuro rende l’abduzione
2012). Nel primo caso il ragionamento abduttivo
sisenso
e
una
da
futura.
Figura 1. Retroduzione e abduzione progettuale.
3. Il tempo dell’abduzione
Ma perché il futuro? Ricordiamo che la formula dell’abduzione
comporta il procedere da un conseguente a un antecedente: da un
adesso a un prima. In questo senso, il termine etimologicamente più
appropriato sarebbe quello di retroduction, lo sguardo all’indietro,
termine cui Peirce ricorre in diverse occasioni.
Ma l’abduzione ha la propria forza proprio nello scalzare il resi-
duo di ‘temporalità’ proprio del ragionamento sillogistico canoni-
co. Nell’abduzione viene considerato innanzitutto ciò che percepia-
mo o di cui abbiamo esperienza (anche mentale); a partire da ciò,
quindi, andiamo alla ricerca di una motivazione che renda ragione
di tale esperienza.
La logica inferenziale del se… allora… nell’abduzione non segue
necessariamente la linea temporale; certamente non nell’abduzione
vista come schema interpretativo e progettuale. In generale, l’ante-
cedente logico dell’abduzione è tanto ciò che è stato quanto ciò che potrebbe essere. L’antecedente abduttivo è un esistente (non impor-
ta in quale tempo) correlato a un possibile (indipendentemente dal
suo essere realizzato o meno). A sua volta, il conseguente è sempre
ciò che ora mi spinge all’indagine.
La spiegazione dell’abduzione sfugge anche all’ordine gramma-
ticale. Il solo tempo verbale che può rendere conto del pensare ab-
duttivamente è il futuro anteriore – non a caso un ossimoro –, la for-
ma verbale che indica eventi che, pur considerati come compiuti, si
trovano nell’ambito del possibile o dell’incerto.
Questa inversione temporale – o meglio la reciproca interpretan-
za fra passato e futuro – è un carattere ineliminabile dell’abduzione:
“Dire che il futuro non influisce sul presente è una teoria insoste-
nibile. È come dire che non vi sono cause finali, o fini. Il mondo
organico è pieno di smentite di questa affermazione. L’azione deter-
minata dalla causa finale costituisce infatti l’evoluzione” (CP 2.86;
tr. it. Opere: 119).
Tuttavia, in quale maniera il futuro ha influenza sul presente?
Peirce risponde poco dopo: “Ma è vero che il futuro non influi-
sce sul presente nel modo diretto, dualistico, secondo cui il passato
influisce sul presente. Si richiede un meccanismo [machinery], un
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medium” (ibidem). Se l’idea del futuro guida le azioni nel presente,
per progettare le azioni future abbiamo bisogno di una machinery
particolare, di una forma di mediazione. Anche se non era nelle
intenzioni di Peirce, non mi pare azzardato dire che tale machinery
è la nostra capacità di allestire progetti, la capacità di produrre pre-figurazioni del possibile. Ciò che appunto è, o che dovrebbe essere,
la disciplina del design.
4. Un movimento oscillante
L’abduzione può essere allora vista come un movimento oscillan-
te della mente in ricerca, che sposta lo sguardo fra passato, presente
e futuro. Quando guarda verso il passato, la mente esplora le cause
o le origini (gli antecedenti) che hanno portato a un determinato
stato di cose, il quale si presenta come fatto singolare e sorpren-
dente. Quando guarda verso il futuro, invece, la mente immagina
il superamento di uno stato problematico. Non è alla ricerca di un
antecedente storico (ciò che non può non essere stato), ma di un
antecedente possibile (ciò che può essere).
Se così la retroduzione rimarca lo sguardo verso il passato, la
tensione verso il futuro rende l’abduzione progettuale (cfr. Zingale
2012). Nel primo caso il ragionamento abduttivo presume in ipote-si l’antecedente possibile: è un atto di ‘presunzione’, non solo nel
senso della congettura, ma anche in quello della fiducia in se stessi
e nella capacità di vedere giusto. Nel secondo caso l’abduzione è
una ‘assunzione’ di responsabilità: perché accetta l’onere della sfi-
da e perché su ciò che assume in ipotesi proietta la propria azione
futura.
Possiamo visualizzare in un grafo questo movimento oscillante:
Figura 1. Retroduzione e abduzione progettuale.
Ma perché il futuro? Ricordiamo che la formula dell’abduzione
comporta il procedere da un conseguente a un antecedente: da un
etimologicamente più
, lo sguardo all’indietro,
Ma l’abduzione ha la propria forza proprio nello scalzare il resi-
duo di ‘temporalità’ proprio del ragionamento sillogistico canoni-
ciò che percepia-
mo o di cui abbiamo esperienza (anche mentale); a partire da ciò,
ragione
nell’abduzione non segue
nell’abduzione
vista come schema interpretativo e progettuale. In generale, l’ante-
ciò che impor-
(indipendentemente dal
suo essere realizzato o meno). A sua volta, il conseguente è sempre
La spiegazione dell’abduzione sfugge anche all’ordine gramma-
ticale. Il solo tempo verbale che può rendere conto del pensare ab-
– non a caso un ossimoro –, la for-
ma verbale che indica eventi che, pur considerati come compiuti, si
Questa inversione temporale – o meglio la reciproca interpretan-
za fra passato e futuro – è un carattere ineliminabile dell’abduzione:
insoste-
nibile. È come dire che non vi sono cause finali, o fini. Il mondo
’azione deter-
minata dalla causa finale costituisce infatti l’evoluzione” (CP 2.86;
uttavia, in quale maniera il futuro ha influenza sul presente?
Peirce risponde poco dopo: “Ma è vero che il futuro non influi-
sce sul presente nel modo diretto, dualistico, secondo cui il passato
un
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cosa produrre e che cosa no. Se poi concordiamo nel ritenere, come
abbiamo detto, che i beni di consumo sono
questi
tere
(CP 5.487; tr
di rendere la nostra vita più agevole, una volta immessi nel circuito
socio-culturale, non sono affatto oggetti neutri, opere da contem
plare; sono dei quasi-soggetti
di
sistemi culturali e valoriali. Gli artefatti sono ‘organismi semiotici’
in grado di condizionare le nostre rappresentazioni mentali: gusti e
credenze, giudizi e pregiudizi, modi di pensare e di agire.
cita nella massima pragmatica, perché gli effetti della concezione
di ogni oggetto sono implicati nella sua
cezione di un qualsiasi
la possibilità dei suoi effetti. Detto altrimenti, è la considerazione
degli effetti di un oggetto (conseguente), e delle loro conseguenze
pratiche, che ci porta alla totalità della
tecedente). È quindi solo attraverso l’immaginazione progettuale
di
ossia di un artefatto che comporti, inferenzialmente, quegli effetti
–
posizione
nostra concezione: ogni
e prepara altri. Ciò che concepiamo – una teoria così come una
nuova lampada o un vestito – non è mai solamente
ma soprattutto
grado di determinare.
attività che contribuisce alla forma della cultura, allora esso non
può non dirsi pragmatista, perché fra ambiente e cultura (la qua
le comprende la produzione di beni) vi è un rapporto di recipro
ca
nostre relazioni con l’ambiente; l’ambiente, l’
Considerato nella progettualità, quando punta verso un fatto,
lo sguardo abduttivo coglie in esso il passaggio che permette di
transitare verso un altro fatto. Come in uno dei casi di serendi-
pità maggiormente noti, quello dell’invenzione della penna Biro,
idea che (si narra) venne in mente a László József Bíró alla i-
ne degli anni Trenta del Novecento, dopo aver osservato alcuni
bambini giocare a biglie sulla strada – e le biglie lasciare una scia
bagnata dopo essere transitate per una pozzanghera. Ma, come
direbbe Louis Pasteur, l’abduzione richiede non solo capacità di
osservazione – o percezione orientata – ma anche una “mente
preparata”. Una mente già impegnata in uno sforzo di ricerca.
Una mente che sa di cercare anche se non sa che cosa può trovare.
Bíró sapeva di cercare un tipo di penna che non lasciasse macchie
sul foglio, come avveniva con le costose stilograiche; osservando
quei ragazzi giocare riuscì a concepire come sarebbe stato ciò che
stava cercando.
5. Concepibile
Per inquadrare meglio la vitalità del pensiero abduttivo, e acco-
starla alla progettualità, non possiamo non far entrare in scena la
massima pragmatica del 1878, dove in forma di verbo, sostantivo
e avverbio, l’idea del concepire (to conceive) vi appare ben cinque
volte in poche righe. E se i sinonimi sono interpretanti che, nell’in-
sieme, deiniscono il senso di un termine, ecco che cosa vuol dire
‘concepire’: pensare, comprendere, intendere, ideare, immaginare, creare, generare, inventare, progettare.
Ciò mi spinge a tre osservazioni. La prima: che nella concezione
del pragmatismo l’idea del progetto sia già presente, incorporata.
Abduzione e pragmatismo sono necessari al design. Non solo per-
ché possono aiutare a guidare il processo progettuale – come me-
todo procedurale e come stimolo inventivo –, ma anche perché il
design ha sempre più una responsabilità sociale e una dimensione
che non possiamo non chiamare ‘politica’. Ciò che si progetta non
sono solamente le cose, ma soprattutto le conseguenze delle cose. Si
pensi, ad esempio, all’incidenza dei mezzi e delle forme di comuni-
cazione nella ricerca del consenso; o agli indirizzi strategici su che
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cosa produrre e che cosa no. Se poi concordiamo nel ritenere, come
abbiamo detto, che i beni di consumo sono habits, allora anche di
questi beni possiamo dire che si tratta di abiti che “avranno il po-
tere di inluenzare il comportamento effettivo nel mondo esterno”
(CP 5.487; tr. it. Opere: 270).
Gli artefatti, i prodotti e gli strumenti attraverso cui cerchiamo
di rendere la nostra vita più agevole, una volta immessi nel circuito
socio-culturale, non sono affatto oggetti neutri, opere da contem-
plare; sono dei quasi-soggetti che si comportano come trasmettitori
di valori e in quanto tali danno forma, in the long run, ai nostri
sistemi culturali e valoriali. Gli artefatti sono ‘organismi semiotici’
in grado di condizionare le nostre rappresentazioni mentali: gusti e
credenze, giudizi e pregiudizi, modi di pensare e di agire.
La seconda osservazione invita a vedere l’abduzione come impli-
cita nella massima pragmatica, perché gli effetti della concezione
di ogni oggetto sono implicati nella sua stessa concezione. La con-
cezione di un qualsiasi oggetto comporta anche la concezione del-
la possibilità dei suoi effetti. Detto altrimenti, è la considerazione
degli effetti di un oggetto (conseguente), e delle loro conseguenze
pratiche, che ci porta alla totalità della concezione dell’oggetto (an-
tecedente). È quindi solo attraverso l’immaginazione progettuale
di un effetto che possiamo arrivare alla concezione di un oggetto,
ossia di un artefatto che comporti, inferenzialmente, quegli effetti
– come fra l’altro insegnava Edgar Allan Poe in Filosofia della com-posizione (cfr. Bonfantini e Terenzi 2004).
La terza osservazione riguarda l’apertura interpretativa di ogni
nostra concezione: ogni oggetto della nostra concezione ne prevede
e prepara altri. Ciò che concepiamo – una teoria così come una
nuova lampada o un vestito – non è mai solamente ciò che è oggi, ma soprattutto ciò che sarà d’ora in poi, e ciò che d’ora in poi sarà in
grado di determinare.
Torniamo allora al design. Per osservare che se lo si intende come
attività che contribuisce alla forma della cultura, allora esso non
può non dirsi pragmatista, perché fra ambiente e cultura (la qua-
le comprende la produzione di beni) vi è un rapporto di recipro-
ca consequenzialità: la cultura è la conseguenza dell’insieme delle
nostre relazioni con l’ambiente; l’ambiente, l’habitat, è a sua volta
fatto,
lo sguardo abduttivo coglie in esso il passaggio che permette di
fatto. Come in uno dei casi di serendi-
dell’invenzione della penna Biro,
idea che (si narra) venne in mente a László József Bíró alla i-
renta del Novecento, dopo aver osservato alcuni
bambini giocare a biglie sulla strada – e le biglie lasciare una scia
bagnata dopo essere transitate per una pozzanghera. Ma, come
, l’abduzione richiede non solo capacità di
ma anche una “mente
preparata”. Una mente già impegnata in uno sforzo di ricerca.
può trovare.
Bíró sapeva di cercare un tipo di penna che non lasciasse macchie
sul foglio, come avveniva con le costose stilograiche; osservando
ciò che
Per inquadrare meglio la vitalità del pensiero abduttivo, e acco-
starla alla progettualità, non possiamo non far entrare in scena la
massima pragmatica del 1878, dove in forma di verbo, sostantivo
) vi appare ben cinque
che, nell’in-
vuol dire
immaginare,
concezione
del pragmatismo l’idea del progetto sia già presente, incorporata.
per-
ché possono aiutare a guidare il processo progettuale – come me-
todo procedurale e come stimolo inventivo –, ma anche perché il
dimensione
che non possiamo non chiamare ‘politica’. Ciò che si progetta non
. Si
pensi, ad esempio, all’incidenza dei mezzi e delle forme di comuni-
cazione nella ricerca del consenso; o agli indirizzi strategici su che
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ce
fattoa sé un ossimoro: la presenta di un’assenza. Un fatto che produce
insoddisfazione o disagio. In generale, un problema. Se così la se
miosi
progettualità prende avvio da un Oggetto problematico.
7. L
l’occasione materiale che avvia l’abduzione. Il problema è la ‘realtà’
da cui ogni progetto prende le mosse. Il problema è l’Oggetto dina
mico di ogni processo progettuale (cfr
dove processo semiosico e inferenza
non escludendo dalla semiosi altre forme inferenziali né altri per
corsi di produzione del senso. Il triangolo dell’abduzione proget
tuale si presenta così:
Figura 2. T
problematico,
del Representamen dalla Prefigurazione, ossia da una mediazione
segnica (la
viamo l’Artefatto interpretante, collocato in un tempo indetermina
to e in una realtà possibile.
le
via via modellato dalla presenza della nostra azione semiosica sul
mondo.
6. La montagna di Cézanne
Ma da dove prende le mosse l’inventiva progettuale? Diciamo
che il percorso dell’abduzione ha il suo punto di origine non solo in
un conseguente o percepito (il fatto sorprendente), ma nel fatto che
tale conseguente si presenti – così come accade per l’icona – come
una possibilità, la quale a sua volta viene colta dalla mente a partire
dalla sensazione o percezione di una qualità.
Voglio allora portare un aspetto dell’arte di Paul Cézanne quale
esempio che riguarda la progettualità in senso ampio e che ci porta
direttamente sul tracciato dell’invenzione artistica: quello che dalla
qualità (primità), passando per una esperienza singolare (secondi-
tà), conduce verso ciò che oggi chiamiamo produzione testuale e
artefattuale (terzità). Questo percorso a mio avviso, almeno nelle
arti e nel design, ossia in contesti dove la sostanza dell’espressione
(à la Hjelmslev) è decisiva, non può essere altrimenti. Anche nei ca-
si in cui una terzità interpreta un’altra terzità (ad esempio in opere
transtestuali), il ritorno alla qualità (e la ripartenza dalla primità) è
obbligato.
Cézanne dipinse decine di volte la montagna Sainte-Victoire, da
diverse posizioni e in diverse condizioni atmosferiche. “Ho bisogno
di conoscere la geologia, come la Sainte-Victoire si radica – diceva al
poeta e critico d’arte Joachim Gasquet –, il colore geologico delle terre,
tutto ciò mi commuove, mi rende migliore” (Doran 1978: 124). Senza
l’interesse per queste due qualità – morfologia e colore –, forse non
avremmo avuto gran parte della pittura di Cézanne.
Così come Peirce individua nella lotta e nella ricerca il guado che
permette di passare dal dubbio alla credenza, Cézanne individua
nei limiti della visione il suo proprio dubbio, la propria inquietudi-
ne intellettuale, che diventa la ragione della sua pittura. E ritorna a
guardare, ossessivamente, quella montagna, i suoi caratteri, la luce
e la pietra; per poi ogni volta riprendere l’ostinata ricerca di una
rappresentazione in grado di interpretare al meglio ciò che osser-
vava.
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265CE “THIS IS MY DESIGN”
Il caso dell’insoddisfazione di Cézanne ci dice che ciò che Peir-
ce ha chiamato fatto sorprendente può presentarsi anche come un
fatto mancante. L’occhio progettuale è quello che scorge davanti
a sé un ossimoro: la presenta di un’assenza. Un fatto che produce
insoddisfazione o disagio. In generale, un problema. Se così la se-
miosi prende avvio da un Oggetto dinamico, potremmo dire che la
progettualità prende avvio da un Oggetto problematico.
7. L’oggetto-problema
Non vi è infatti abduzione se non vi è un problema, il quale è
l’occasione materiale che avvia l’abduzione. Il problema è la ‘realtà’
da cui ogni progetto prende le mosse. Il problema è l’Oggetto dina-
mico di ogni processo progettuale (cfr. Zingale 2012).
Azzardo così una reinterpretazione del triangolo della semiosi,
dove processo semiosico e inferenza abduttiva coincidono – pur
non escludendo dalla semiosi altre forme inferenziali né altri per-
corsi di produzione del senso. Il triangolo dell’abduzione proget-
tuale si presenta così:
Figura 2. Triangolo dell’abduzione progettuale.
La posizione dell’Oggetto dinamico è occupata dall’Oggetto
problematico, percepito nel tempo della realtà attuale; la posizione
del Representamen dalla Prefigurazione, ossia da una mediazione
segnica (la machinery); infine, nella posizione dell’Interpretante tro-
viamo l’Artefatto interpretante, collocato in un tempo indetermina-
to e in una realtà possibile.
In ogni attività progettuale vi è così una realtà attuale – o effettua-le – che preme in quanto problema riscontrato nel mondo-ambien-
via via modellato dalla presenza della nostra azione semiosica sul
Diciamo
origine non solo in
un conseguente o percepito (il fatto sorprendente), ma nel fatto che
tale conseguente si presenti – così come accade per l’icona – come
, la quale a sua volta viene colta dalla mente a partire
oglio allora portare un aspetto dell’arte di Paul Cézanne quale
esempio che riguarda la progettualità in senso ampio e che ci porta
direttamente sul tracciato dell’invenzione artistica: quello che dalla
singolare (secondi-
tà), conduce verso ciò che oggi chiamiamo produzione testuale e
artefattuale (terzità). Questo percorso a mio avviso, almeno nelle
arti e nel design, ossia in contesti dove la sostanza dell’espressione
Hjelmslev) è decisiva, non può essere altrimenti. Anche nei ca-
si in cui una terzità interpreta un’altra terzità (ad esempio in opere
transtestuali), il ritorno alla qualità (e la ripartenza dalla primità) è
ictoire, da
diverse posizioni e in diverse condizioni atmosferiche. “Ho bisogno
ictoire si radica – diceva al
poeta e critico d’arte Joachim Gasquet –, il colore geologico delle terre,
tutto ciò mi commuove, mi rende migliore” (Doran 1978: 124). Senza
l’interesse per queste due qualità – morfologia e colore –, forse non
il guado che
permette di passare dal dubbio alla credenza, Cézanne individua
nei limiti della visione il suo proprio dubbio, la propria inquietudi-
ne intellettuale, che diventa la ragione della sua pittura. E ritorna a
quella montagna, i suoi caratteri, la luce
e la pietra; per poi ogni volta riprendere l’ostinata ricerca di una
rappresentazione in grado di interpretare al meglio ciò che osser-
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266 SU PEIRCE “
dente della nostra cognizione, può anche essere messo in crisi o in moto da
fattori a essa esterni. Del resto, la credenza è un abito che “come altri
abiti se
qualche sorpresa che dà principio alla sua dissoluzione” (CP 5.417;
tr
nel bel mezzo di un altro programma. Come un
mettersi di traverso, provocare una frattura); o appunto come un
blema
L
do dell’esperienza e delle mere relazioni –, ossia dello scontro duro
e
di
di
volta
ged steam whistle” (EP2: 4). Questo esempio di Peirce, ripreso con
variazione anche in una lettera a Lady W
novella di Luigi Pirandello
racconta di come un frammento del reale, un fischio di treno, ir
rompe in una coscienza “circoscritta”, svegliandola e aprendo oriz
zonti e immaginazione. Facendo così finalmente iniziare un nuovo
progetto di vita.
8. Conclusione: l’abduzione sospesa
soprattutto quando un pezzo di realtà si presenta per farci vedere
ciò che manca; per farci notare dove sta l’anomalia.
realtà. Se non altro perché il design non può non partire dalla co
scienza
è stato storicamente prodotto. Non si tratta del passaggio dall’im
perfezione mondana a una perfezione ideale. Si tratta di vedere lo
sviluppo della storia culturale – e del design quale arte delle ‘cose
utili’ – come un continuo tendere verso una consonanza fra biso
gni e mezzi di soddisfazione. Si tratta cioè di trarre le conseguenze
te, per trasformarsi poi in una realtà possibile quale frutto interpre-
tante della prefigurazione.
La prefigurazione, come già accennato, è qui intesa come il mec-
canismo mediatore che Peirce auspica per spiegare l’influenza (tria-
dica) del futuro sul presente. Prefigurare significa porre una figura
davanti a sé – tenendo conto che ‘figura’ deriva da fingere, e cioè
plasmare e formare, come nelle arti visive. Prefigurare è fingere una
scena: è il come se. La prefigurazione è un modello di ciò che po-
trebbe essere e non è impossibile che sia: è il may-be. E se togliamo
il trattino, may-be diventa maybe: il ‘forse è così’, che è la conclusio-
ne ipotetica e incerta di ogni abduzione.
Ma come abbiamo detto, la mente non inizia a prefigurare nulla,
nessun segno interpretante, se non sollecitata – svegliata – da un
problema che ne intralcia il cammino. Che si tratti di avvertire il
problema per via emotiva (timore, speranza, incredulità) o in ma-
niera deliberata e controllata (consapevolezza, criticità, decisione)
non fa differenza. In Pragmatismo e abduzione (1903) Peirce si sof-
ferma in modo specifico sulle connessioni fra percezione, giudizio
percettivo e abduzione; e con questo anche fra i diversi livelli di
‘avvio’ dell’interpretazione abduttiva: da ciò che si trova “sotto la
soglia di percepibilità” fino a ciò che è sorretto da “sistemi adeguati
di interpretazione” (CP 5.185; tr. it. Opere: 441).
Per l’attività progettuale è indifferente a quale livello si trovi il
problema. O meglio, ogni differente livello in cui un problema viene
individuato comporta risposte progettuali differenti. In questo sen-
so, ad esempio, la psicoanalisi, in quanto procedura di mediazione
che individua i problemi nella profondità della psiche, prevede an-
ch’essa un impianto progettuale: il progetto della felicità psichica.
Così come progettuali sono le scienze cognitive e organizzative che
cercano di ridurre i rischi di infortuni sul lavoro e altre catastrofi
maggiori, scienze che individuano le situazioni problematiche in
alti livelli di terzità (ossia di sistemi già a loro volta progettati).
Ciò mi spinge a dire che un fatto – oggetto, evento, condizione – è
sorprendente non solo perché contraddice un’aspettativa, ma anche
perché si presenta come un incidente fra due o più procedure abituali
opposte o in collisione. L’incidente può essere doloroso, ma anche
virtuoso (si pensi alla serendipità, che non esisterebbe senza un acci-
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267CE “THIS IS MY DESIGN”
dente fortuito). L’abito, cioè, non solo può essere mutato dall’interno
della nostra cognizione, può anche essere messo in crisi o in moto da
fattori a essa esterni. Del resto, la credenza è un abito che “come altri
abiti se ne sta perfettamente soddisfatto di sé sino a quando incontra
qualche sorpresa che dà principio alla sua dissoluzione” (CP 5.417;
tr. it. Opere: 404). Come se un programma si inserisse obliquamente
nel bel mezzo di un altro programma. Come un diavolo (dia-bàllein,
mettersi di traverso, provocare una frattura); o appunto come un pro-blema (pro-bàllein, mettersi davanti, impedire il cammino).
Non si tratta solo di metafore che si appoggiano all’etimologia.
L’irruzione della ‘forza bruta’ – come spesso Peirce chiama il mon-
do dell’esperienza e delle mere relazioni –, ossia dello scontro duro
e costrittivo con le cose, è ciò che obbliga la mente all’elaborazione
di azioni di risposta, di strategie di sopravvivenza: all’elaborazione
di una reazione, come avviene al sognatore di What is a Sign? una
volta che nel suo stato di pure feeling irrompe “a loud and prolon-
ged steam whistle” (EP2: 4). Questo esempio di Peirce, ripreso con
variazione anche in una lettera a Lady Welby del 1904, ricorda la
novella di Luigi Pirandello Il treno ha fischiato, del 1914, dove si
racconta di come un frammento del reale, un fischio di treno, ir-
rompe in una coscienza “circoscritta”, svegliandola e aprendo oriz-
zonti e immaginazione. Facendo così finalmente iniziare un nuovo
progetto di vita.
8. Conclusione: l’abduzione sospesa
L’allegoria pirandelliana sembra suggerire che si ha progettualità
soprattutto quando un pezzo di realtà si presenta per farci vedere
ciò che manca; per farci notare dove sta l’anomalia.
Anche la progettualità del design necessita di un’irruzione di
realtà. Se non altro perché il design non può non partire dalla co-
scienza dell’inadeguatezza del mondo artefattuale così come esso
è stato storicamente prodotto. Non si tratta del passaggio dall’im-
perfezione mondana a una perfezione ideale. Si tratta di vedere lo
sviluppo della storia culturale – e del design quale arte delle ‘cose
utili’ – come un continuo tendere verso una consonanza fra biso-
gni e mezzi di soddisfazione. Si tratta cioè di trarre le conseguenze
quale frutto interpre-
La prefigurazione, come già accennato, è qui intesa come il mec-
canismo mediatore che Peirce auspica per spiegare l’influenza (tria-
figura
, e cioè
, come nelle arti visive. Prefigurare è fingere una
po-
togliamo
: il ‘forse è così’, che è la conclusio-
prefigurare nulla,
nessun segno interpretante, se non sollecitata – svegliata – da un
problema che ne intralcia il cammino. Che si tratti di avvertire il
ma-
niera deliberata e controllata (consapevolezza, criticità, decisione)
(1903) Peirce si sof-
ferma in modo specifico sulle connessioni fra percezione, giudizio
anche fra i diversi livelli di
“sotto la
soglia di percepibilità” fino a ciò che è sorretto da “sistemi adeguati
Per l’attività progettuale è indifferente a quale livello si trovi il
problema. O meglio, ogni differente livello in cui un problema viene
individuato comporta risposte progettuali differenti. In questo sen-
mediazione
che individua i problemi nella profondità della psiche, prevede an-
ch’essa un impianto progettuale: il progetto della felicità psichica.
Così come progettuali sono le scienze cognitive e organizzative che
cercano di ridurre i rischi di infortuni sul lavoro e altre catastrofi
maggiori, scienze che individuano le situazioni problematiche in
Ciò mi spinge a dire che un fatto – oggetto, evento, condizione – è
sorprendente non solo perché contraddice un’aspettativa, ma anche
fra due o più procedure abituali
’incidente può essere doloroso, ma anche
acci-
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268 SU PEIRCE
MP
1. Perché neo-peirceano
commentandolo, discutendolo, spiegandolo a lezione, il mio dialo
go con il suo pensiero si è andato a poco a poco ordinando intorno
a una trama unitaria d’interpretazione.
ture che altri non condivideranno, o addirittura caratteri che altri
non riconosceranno. Ma contiene anche una tesi che, magari con
diverse formulazioni, ritengo molto diffusa e quasi ovvia.
to da sei nuclei fondamentali: da sei princìpi-guida che si coinvolgo
no l’uno con l’altro in vario modo e in
si come fili di una fune che connettendosi come anelli di una catena.
quasi tutti i conoscitori di Peirce saranno d’accordo che almeno i
sei seguenti sono princìpi-guida fondamentali per gli sviluppi del
suo pensiero: nuclei che troviamo,
temente presenti al fondo della sua riflessione matura.
ca come teoria generale del ragionamento ovvero dell’inferire;
concezione del processo cognitivo e del processo psichico in generale
come processo segnico, come semiosi;
e
verità come necessariamente approssimata;
tegorie quali princìpi ordinatori dell’universa esperienza;
pragmatica, che raccomanda di interpretare ogni concetto in termini di
della metafora peirceana della credenza quale semicadenza, la quale
“chiude una frase musicale nella sinfonia della nostra vita intellet-
tuale” (CP 5.397; tr. it. Opere: 382). La semicadenza, detta anche
cadenza sospesa, non conclude mai un brano; se il pensiero si trova
“per un momento a riposo”, è solo per una sosta temporanea, per-
ché ogni credenza “è anche un nuovo punto di partenza per il pen-
siero” (ibidem). Il fulcro della semiosi è pur sempre l’Interpretante:
momento di approdo e insieme di ripartenza.
Anche nell’abduzione c’è quindi qualcosa di ‘sospeso’. O qual-
cosa che ci lascia sospesi: tra l’affanno della ricerca e l’euforia della
scoperta. In mezzo c’è l’“oscuro travaglio” della prefigurazione, il
“primo stadio dell’indagine”:
L’intera serie di esecuzioni mentali comprese tra l’osservazione del fe-
nomeno straordinario e l’accettazione dell’ipotesi, durante le quali l’intel-
letto, solitamente docile, sembra non rispondere più alle briglie e averci
alla sua mercé, la ricerca di circostanze pertinenti e la loro scoperta, a
volte senza che ce ne rendiamo conto, l’esame di esse, l’oscuro travaglio,
l’esplodere improvviso della congettura inattesa, il rendersi conto che si
adatta con precisione all’anomalia, mentre la si rigira avanti e indietro co-
me una chiave nella serratura, e la stima finale della sua Plausibilità; credo
che tutto ciò componga il Primo Stadio dell’Indagine (CP 6.469; tr. it.
Opere: 1246).
Per questo è bene proseguire nell’esplorazione dello spazio
dell’abduzione. Perché è vero che l’abduzione inquieta, ma è anche
vero che tiene svegli. Perché è l’unico modo che conosciamo per
comporre e ricomporre il nostro mondo. This is our design.
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