“I COLORI DEL LAGO”
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Comunità Montana dei Laghi Bergamaschi Ambito ALTO SEBINO
Comuni di:
Bossico, Castro, Costa Volpino, Fonteno, Lovere, Pianico, Riva di Solto, Rogno, Solto Collina e
Sovere
Istituti Scolastici Comprensivi di:
Costa Volpino, Lovere, Tavernola Bergamasca e Sovere
Istituti Superiori:
Polo Liceale “Decio Celeri” Lovere, Polo Tecnico “Ivan Piana” Lovere,
Associazioni:
Associazione Culturale di Costa Volpino, Al Gesr di Costa Volpino
“I COLORI DEL LAGO”
Progetto territoriale per l‟inclusione degli alunni non madrelingua
negli istituti comprensivi e superiori dell‟Alto Sebino
Anno Scolastico 2017/18
“I COLORI DEL LAGO”
1. Premessa
1.1 l‟avanzare della seconda generazione
2. La legislazione italiana nei confronti degli alunni stranieri
2.1 Il modello italiano per l‟integrazione
2.2 La didattica individualizzata come didattica dell‟integrazione
2.3 Quale individualizzazione per alunni non madrelingua?
2.4 Gli strumenti per una didattica individualizzata
3. Il consulente in didattica L2
4. Il mediatore culturale
4.1 Quali sono i compiti del mediatore culturale?
4.2 Il mediatore in contesti d‟insegnamento plurilingue
4.3 Il mediatore e il rapporto con la famiglia
5. Il laboratorio L2
6.1 A che tipo di laboratorio aspirare
6. Inserimento e gestione alunni NAI
6.1 Sintesi indicazioni operative per l‟accoglienza degli alunni NAI
6.2 L‟alunno neo-arrivato: suggerimenti pratici per le prime fasi dell‟inserimento
6.3 La valutazione degli alunni non madrelingua
7. Alunni non madrelingua nella scuola dell‟infanzia
7.1 Come intervenire con una programmazione didattica adeguata
7.2 Il gioco come strumento di conoscenza
7.3 L‟interazione in classe e il parlato modificato dell‟insegnante
7.4 Esempi di attività
7.5 Strategie didattiche per l‟apprendimento dell‟italiano L2
7.6 Oltre l‟apparenza
7.7 Verso la scuola primaria
7.8 Il consulente in didattica L2 alla scuola dell‟infanzia
8. Alunni non madrelingua alla scuola primaria e secondaria di 1^grado
8.1 Prima emergenza
8.2 Apprendimento della lingua orale e scritta
8.3 Lingua per lo studio
8.4 Progettazione, personalizzazione e valutazione del percorso didattico
8.5 Il consulente in didattica L2 nella scuola primaria
8.6 Il consulente in didattica L2 nella scuola secondaria di 1^ grado
9. Alunni non madrelingua alla scuola secondaria di 2^ grado
9.1 Parte1^: l‟analisi della situazione iniziale
9.2 Parte 2^: l‟adattamento della programmazione e dei metodi
9.3 Il consulente in didattica L2 nella scuola secondaria di 2^ grado
1. PREMESSA
1.1 L‟avanzare della “seconda generazione”
I bambini e ragazzi stranieri che siedono oggi sui banchi delle nostre scuole hanno storie di
migrazione e biografie linguistiche molto differenti. Una parte di loro ha vissuto direttamente la
migrazione e lo spostamento da un luogo di vita ad un altro, e in momenti diversi della loro vita;
un‟altra parte, sempre più consistente, è nata in Italia e conosce la migrazione solo attraverso il
racconto e le memorie famigliari.
Quando si tratta il tema dell‟italiano seconda lingua, si tendeva finora a riferirsi in maniera
specifica ai minori di recente immigrazione che hanno la necessità di apprendere il nuovo
codice per comunicare e per studiare, e non a coloro che sono nati in Italia o vi risiedono da
tempo, i quali sono precocemente immersi nella situazione di italofonia. Vent‟anni di pratiche
di italiano seconda lingua nella scuola italiana hanno contribuito a sedimentare e diffondere
approcci metodologici e modalità organizzative più o meno efficaci, materiali didattici destinati
ad apprendenti di livello ed età diversi, tracce di programmazione declinate sulla base degli
stadi di interlingua e dei bisogni linguistici differenti. Esse riguardano soprattutto coloro che
diventano italofoni in seguito alla migrazione diretta e che entrano nelle classi come alloglotti
“senza conoscere una parola di italiano”, per riprendere un‟espressione largamente usata dagli
insegnanti. Poca attenzione è stata finora dedicata a coloro che sono nati qui e che acquisiscono
l‟italiano grazie alla situazione di immersione precoce, gli scambi comunicativi quotidiani nei
luoghi di vita, l‟inserimento nei servizi educativi per la prima infanzia.
E tuttavia ,questa seconda situazione linguistica, propria delle cosiddette seconde generazioni,
sarà sempre più diffusa, dal momento che tendono a diminuire coloro che arrivano da Paese
d‟origine in seguito al ricongiungimento famigliare, mentre aumenta invece di anno in anno la
quota dei nati in Italia .
I dati , tratti dai dossier statistici del Ministero dell‟Istruzione, lo confermano (MIUR 2015). Ad
ogni anno scolastico, i bambini e ragazzi che varcano la soglia della scuola italiana per la prima
volta - i cosiddetti NAI, alunni neoarrivati in Italia - ammontano a poco più dell‟8% delle
presenze totali e la loro percentuale declina ad ogni anno scolastico (erano l‟8.7% l‟anno
precedente). Essi si collocano soprattutto nella fascia di età preadolescenziale e adolescenziale e
vengono inseriti nella scuola secondaria di primo e secondo grado e nei corsi di formazione
professionale. Nelle fasce di età più basse,prevalgono nettamente i nati in Italia: fra i bambini
che frequentano la scuola dell‟infanzia, costoro rappresentano il 75% circa dei piccoli
stranieri (essi costituiscono la totalità dei bimbi inseriti all‟asilo nido).
Parlare di “alunni stranieri”, in maniera generica come fossero un gruppo omogeneo, è dunque
fuorviante e inefficace,dal momento che le storie personali, le situazioni scolastiche, le biografie
linguistiche,l‟accesso alla cittadinanza sono segnate sempre di più dalla pluralità e da
importanti differenze. Due sono oggi le situazioni prevalenti : da un lato, le ragazze e i ragazzi
che arrivano in Italia per ricongiungersi ai famigliari, in un‟età cha va dagli undici/dodici anni e
oltre, non italofoni e impegnati a ricominciare da capo nella nuova scuola e attraverso la seconda
lingua, con grande fatica e numerosi ostacoli. Dall‟altro lato,vi sono le bambine e i bambini, di
età più bassa,che sono nati in Italia e che sono, in larga parte,già immersi nelle parole e nei
suoni dell‟italiano -accanto a quelli della loro lingua materna- fin dalla prima infanzia.
Coloro che necessitano di un intervento linguistico specifico e intensivo,perché neoarrivati e
non italofoni,costituiscono dunque una parte significativa, ma non prevalente degli alunni
stranieri,ai quali vanno presumibilmente aggiunti anche gli apprendenti che sono stati inseriti a
scuola durante i due anni precedenti,i quali possono avere , in certi casi, ancora la necessità di
poter contare su un supporto linguistico importante (ciò dipende da fattori diversi :l‟età, la
lingua d‟origine, la qualità della scolarità precedente,le modalità e la classe di inserimento , la
densità degli scambi in italiano fuori dalla scuola, le caratteristiche individuali…).
La distinzione fatta fra le diverse situazioni di italofonia è ovviamente tratteggiata a grandi
linee; chi insegna sa quanto sia consueto e sorprendente , al tempo stesso , confrontarsi con la
grande variabilità dei cammini di apprendimento e la multiformità dei tragitti individuali. Così
due alunni inseriti nello stesso momento e con situazioni linguistiche di partenza molto simili,
potranno, nel giro di qualche mese, diversificare i loro percorsi : l‟uno precocemente coinvolto
negli scambi con i pari e l‟altro ancora nella fase di silenzio ; l‟uno impegnato a comprendere
termini ed espressioni specifici della lingua dello studio, l‟altro a memorizzare formule e routine
comunicative ricorrenti cercando di carpirne il significato.
Per i bambini nati in Italia e inseriti precocemente nei servizi educativi per l‟infanzia, l‟italiano
non rappresenta una seconda lingua in senso stretto, ma piuttosto una lingua “adottiva”,
un‟altra lingua madre, dentro la quale e attraverso la quale essi imparano da subito a parlare,
giocare, interagire. Per loro, la nostra lingua può essere inoltre definita anche come lingua
filiale : sono infatti i figli che capovolgono le tradizionali modalità di trasmissione
intrafamigliari e che portano dentro la dimora le parole, i significati e le narrazioni che hanno
appreso e vissuto in italiano.
L‟insegnamento e apprendimento dell‟italiano seconda lingua in contesti educativi
multiculturali e plurilingui si sviluppa dunque oggi verso due direzioni e sviluppa cammini
variegati .Da un lato, è una proposta specifica e in transizione , destinata ai minori immigrati
che entrano in classe “senza parola” e dall‟altro lato, deve prestare attenzione alla situazione e ai
bisogni dei figli degli immigrati, già o futuri cittadini italiani, che sono esposti all‟italiano fin da
piccoli, insieme al codice materno. Nella classe multiculturale, l‟eterogeneità linguistica è
diventata la norma e anche il linguaggio degli insegnanti è cambiato di conseguenza, sulla base
dell‟evolversi della situazione. Così , accanto agli alunni definiti ancora “non italofoni che non
sanno una parola di italiano”, nella descrizione della classe compaiono sempre di più anche
coloro che “sono di madrelingua non italiana”. Le trasformazioni e i mutamenti della scuola
che registrano l‟assestamento e il radicamento degli immigrati ,richiedono dunque uno sguardo
nuovo in grado di cogliere le diverse situazioni, dare una risposta efficace ai bisogni linguistici
di ciascuno e indirizzare gli interventi didattici in maniera mirata.
2. LA LEGISLAZIONE ITALIANA NEI CONFRONTI DEGLI ALUNNI STRANIERI
I più recenti documenti di programmazione indicano nell‟individualizzazione dell‟insegnamento la
modalità per realizzare l‟integrazione degli alunni stranieri nella scuola. L‟esame della normativa ci
mostra come nella scuola italiana convivano due modelli di individualizzazione.
Questi modelli sono l‟individualizzazione vera e propria, che prevede il raggiungimento di standard
minimi comuni, e la personalizzazione, che propone un adattamento degli obiettivi di apprendimento
ai bisogni specifici dell‟apprendente: la scelta del nostro paese di non rinunciare a obiettivi standard
nazionali si accompagna alla possibilità di utilizzare, per gli alunni stranieri che non sono in grado di
raggiungerli, correttivi in sede di valutazione.
Per quanto riguarda gli strumenti per l‟individualizzazione la normativa lascia ampia libertà
decisionale e attuativa alle scuole. Tra gli strumenti che si possono utilizzare troviamo: il POF, il
Protocollo di Accoglienza degli alunni stranieri, il Piano Educativo Individualizzato/Personalizzato,
l‟Unità di Apprendimento/Didattica.
2.1 Il modello italiano per l’integrazione
Il diritto d‟accesso a scuola dei minori stranieri è tutelato dalla legge sull‟immigrazione n. 40 del 6
marzo 1998 e dal D.Lgs. del 25 luglio 1998 “Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina
dell‟immigrazione e norme sulla condizione dello straniero” in cui, nell‟Art. 38 (Istruzione degli
stranieri. Educazione interculturale), si legge:
1. I minori stranieri presenti sul territorio sono soggetti all‟obbligo scolastico; ad essi si applicano
tutte le disposizioni vigenti in materia di diritto all‟istruzione, di accesso ai servizi educativi, di
partecipazione alla vita della comunità scolastica.
2. L‟effettività del diritto allo studio è garantita dallo Stato, dalle Regioni e dagli enti locali anche
mediante l‟attivazione di appositi corsi e iniziative per l‟apprendimento della lingua italiana.
3. La comunità scolastica accoglie le differenze linguistiche e culturali come valore da porre a
fondamento del rispetto reciproco, dello scambio tra le culture e della tolleranza; a tal fine
promuove e favorisce iniziative volte all‟accoglienza, alla tutela della cultura e della lingua
d‟origine, e alla realizzazione di attività interculturali comuni.
Secondo il DPR 394/99, art. 45, comma 2 e 3, inoltre:
“I minori stranieri soggetti all‟obbligo scolastico vengono iscritti alla classe corrispondente
all‟età anagrafica, salvo che il Collegio dei Docenti deliberi l‟iscrizione a una classe diversa,
tenendo conto:
a. dell‟ordinamento degli studi del Paese di provenienza dell‟alunno, che può determinare
l‟iscrizione ad una classe immediatamente inferiore o superiore rispetto a quella
corrispondente all‟età anagrafica;
b. dell‟accertamento di competenze, abilità e livelli di preparazione dell‟alunno;
c. del corso di studi eventualmente seguito dall‟alunno nel Paese di provenienza;
d. del titolo di studio eventualmente posseduto dall‟alunno.”
“Il Collegio del Docenti formula proposte per la ripartizione degli alunni stranieri nelle classi: la
ripartizione è effettuata evitando comunque la costituzione di classi in cui risulti predominante la
presenza di alunni stranieri.”
Come evidenziato dalla normativa e ribadito nei documenti di programmazione ministeriali Linee
guida per l’accoglienza e l’integrazione degli alunni stranieri (2014) e La via italiana per la scuola
interculturale e l’integrazione degli alunni stranieri (2007) il modello educativo scelto dall‟Italia è di
tipo inclusivo e di valorizzazione delle differenze: nel nostro paese non esistono “classi speciali” di
nessun tipo e tutti gli studenti, compresi gli stranieri, vengono inseriti direttamente nelle classi
insieme ai coetanei, promuovendo in questo modo “ (…) la piena integrazione di tutti nella scuola e
l‟integrazione culturale come orizzonte culturale.” Tale modello non solo considera “le diversità” un
elemento fondamentale dal punto di vista educativo quale base per lo scambio culturale e la
convivenza civile, ma pone l‟accento anche sulle potenzialità formative delle diversità come fonti di
costruzione e incremento delle conoscenze. Il gruppo classe socialmente e culturalmente eterogeneo,
proprio della scuola pubblica italiana, le esperienze di integrazione degli alunni “diversamente abili”
avvenute a partire dagli anni settanta, rappresentano alcune delle declinazioni pratiche del modello, da
cui attingere per affrontare la sfida che si presenta alla scuola oggi: progettare e realizzare
l‟accoglienza e l‟inserimento degli alunni stranieri.
2.2 La didattica individualizzata come didattica dell’integrazione
Parallelamente al processo di democratizzazione della scuola si è sviluppato in Italia il tema della
flessibilità dell‟insegnamento. E‟ considerato fondamentale in questo senso il passaggio dal concetto
di “programma” a quello di “programmazione”, sancito per la scuola media nei programmi del 1979,
grazie ai quali, fatti salvi determinati obiettivi complessivi, il docente ha la possibilità di progettare la
sua azione didattica tenendo conto del contesto reale. Per rispondere ai bisogni di alunni con un
retroterra culturale e sociale differenziato vengono proposte metodologie quali l‟insegnamento
individualizzato, il lavoro di gruppo, le classi aperte, la metodologia della ricerca come sostitutiva
della lezione frontale.
Nonostante siano passati quasi trent‟anni le istanze di individualizzazione dell‟insegnamento non si
sono affatto esaurite. Infatti, l‟Atto di indirizzo del Ministero della Pubblica Istruzione per l’anno
2008, esorta a realizzare:
“strategie educative e didattiche che tengano conto della singolarità di ogni persona, della sua
articolata identità, delle sue capacità e delle sue fragilità, nelle varie fasi di sviluppo e di
formazione, ponendo lo studente al centro dell‟azione educativa in tutti i suoi aspetti cognitivi,
affettivi, corporei, etici e spirituali”;
inoltre, nelle Indicazioni per il curricolo per la scuola dell’infanzia e per il primo ciclo di istruzione
(2007: 16) si legge:
“Le trasmissioni standardizzate e normative delle conoscenze, che comunicano contenuti
invariati pensati per individui medi, non sono più adeguate. Al contrario la scuola è chiamata a
realizzare percorsi formativi sempre più rispondenti alle inclinazioni personali degli studenti,
nella prospettiva di valorizzare gli aspetti peculiari della personalità di ognuno.”
Per quanto riguarda gli studenti stranieri il DPR 394/99 art. 45 comma 4 fa esplicitamente riferimento
alla possibilità di individualizzazione dei percorsi; in esso infatti si legge:
“Il Collegio dei Docenti definisce, in relazione al livello di competenza dei singoli alunni
stranieri, il necessario adattamento dei programmi di insegnamento, allo scopo possono essere
adottati specifici interventi individualizzati o per gruppi di alunni, per facilitare l‟apprendimento
della lingua italiana, utilizzando, ove possibile, le risorse professionali della scuola. Il
consolidamento della conoscenza e della pratica della lingua italiana può essere realizzata altresì
mediante l‟attivazione di corsi intensivi di lingua italiana sulla base di specifici progetti, anche
nell‟ambito delle attività aggiuntive di insegnamento per l‟arricchimento dell‟offerta formativa.”
Nel documento La via italiana per la scuola interculturale e l’integrazione degli alunni stranieri
(2007: 12) viene inoltre illustrato il processo attraverso il quale arrivare alla programmazione
individualizzata:
“Vengono rilevati durante i primi giorni dell‟inserimento i bisogni linguistici e di apprendimento, in
generale, e anche le competenze e i saperi già acquisiti e, sulla base di questi dati, si elabora un piano
di lavoro individualizzato.”
Per quanto riguarda l‟aspetto della valutazione, coerentemente con le sollecitazioni a una
programmazione individualizzata, le Linee guida per l’accoglienza e l’integrazione degli alunni
stranieri (2006: 22) esortano a privilegiare la dimensione “formativa” rispetto a quella “certificativa”
e a prendere in considerazione
“il percorso dell‟alunno, i passi realizzati, gli obiettivi possibili, la motivazione e l‟impegno e,
soprattutto, le potenzialità di apprendimento dimostrate.”
Tale necessità viene ribadita nella nota n. 5695 del 31 maggio 2007 che ha come oggetto ulteriori
specificazione sulla Circolare Ministeriale n. 28 del 15 marzo 2007 sull‟Esame di Stato conclusivo del
primo ciclo di istruzione, confermata per l‟anno scolastico 2007/08 dalla C.M. 32 del 14 marzo 2008.
In esse, benché non siano previste prove differenziate per gli alunni stranieri:
“Si conferma l‟opportunità che le sottocommissioni esaminatrici adottino particolari misure di
valutazione, soprattutto in sede di colloquio pluridisciplinare, nei confronti di quegli alunni con
cittadinanza non italiana di recente scolarizzazione che non hanno potuto conseguire le
competenze linguistiche attese. In tali circostanze è opportuno procedere prioritariamente
all‟accertamento del livello complessivo di maturazione posseduto prima ancora di valutare i
livelli di padronanza strumentale conseguiti.”
“Pur nella inderogabilità della effettuazione di tutte le prove scritte e del colloquio
pluridisciplinare previsti per l‟esame di Stato, le sottocommissioni vorranno considerare la
particolare situazione di tali alunni e procedere a una opportuna valutazione dei livelli di
apprendimento conseguiti, in particolare nella lingua italiana, delle potenzialità formative e della
complessiva maturazione raggiunta.”
2.3 Quale individualizzazione per gli alunni non madrelingua?
Attualmente nella scuola italiana convivono e spesso si confondono due modelli che si ispirano a
sfumature differenti del concetto di individualizzazione: l‟individualizzazione vera e propria e la
personalizzazione. Per Baldacci (2006: 11) l‟individualizzazione “si riferisce alle strategie didattiche
che mirano ad assicurare a tutti gli studenti il raggiungimento delle competenze fondamentali del
curricolo, attraverso una diversificazione dei percorsi di insegnamento”. La personalizzazione “indica
invece le strategie didattiche finalizzate a garantire ad ogni studente una propria forma di eccellenza
cognitiva attraverso possibilità elettive di coltivare le proprie potenzialità intellettive”.
L‟individualizzazione, praticata ad esempio dal Mastery Learning, e a cui si ispirano gli obiettivi di
apprendimento e i traguardi per lo sviluppo delle competenze presenti nelle Indicazioni per il
curricolo, la prova nazionale prevista per il 2008 nell‟esame di Stato a conclusione del primo ciclo di
istruzione, il sistema dei debiti e i corsi di recupero della scuola media superiore, si basa quindi
sull‟assunto ideale, difficilmente riscontrabile in una classe plurilingue ad abilità differenziate, che
tutti, con i dovuti accorgimenti, possano raggiungere obiettivi uguali; la personalizzazione prevede
invece un adattamento degli obiettivi e dei contenuti calibrato sulle effettive capacità o esigenze
individuali, siano esse eccellenze o deficit. Per identificare il modello di individualizzazione più
idoneo a favorire l‟integrazione degli alunni stranieri è importante partire dai loro particolari bisogni
e dagli obiettivi che si intendono raggiungere. Le Linee guida per l’accoglienza e l’integrazione degli
alunni stranieri (2014), riprendendo la distinzione di Cummings tra BICS (Basic Interpersonal
Communication Skills) e CALP (Cognitive Academic Language Proficiency), identificano come
priorità l‟acquisizione della lingua italiana nei due aspetti di lingua per comunicare e lingua dello
studio. La competenza linguistica viene considerata un prerequisito indispensabile sia per l‟inclusione
sociale sia per il successo scolastico, concetto complesso quest‟ultimo, che però non può prescindere
dall‟acquisizione di conoscenze e competenze afferenti alle varie discipline, soprattutto ai livelli più
alti di scolarità.
Per quanto riguarda la competenza linguistica, gli studi di glottodidattica hanno messo in luce come
siano in media necessari dai 6 mesi ai 2 anni di esposizione alla lingua per apprendere l‟italiano della
comunicazione (BICS) e fino a 5/7 anni di studio ed esposizione alla lingua della scuola per
raggiungere il livello di uno studente italiano nella lingua per lo studio (CALP). E‟ quindi evidente
che, per una parte consistente del percorso scolastico obbligatorio, un alunno straniero si troverà
svantaggiato rispetto ai coetanei italiani per motivi linguistici, con rischi di abbandono, demotivazione
e percorsi di istruzione al di sotto delle effettive capacità come sta accadendo attualmente.
Il concetto di individualizzazione intesa come diversificazione delle strategie didattiche per
raggiungere obiettivi standard minimi fa parte dei principi che hanno guidato il processo di
democratizzazione della scuola, ma non appare adeguato per le classi ad abilità differenziate, perché
gli obiettivi standard non corrispondono ai bisogni educativi di tutti gli alunni come, ad esempio, gli
stranieri. Il raggiungimento di standard minimi, infatti, soprattutto ai livelli più alti di istruzione,
richiede comunque prerequisiti come la padronanza linguistica, che non tutti gli studenti della scuola
italiana hanno, anche se solo in via transitoria, e rende necessaria di conseguenza l‟introduzione di
“correttivi” in sede di valutazione, rinunciando nei fatti a riconoscere le competenze raggiunte e a
valorizzare il percorso formativo effettivamente svolto. Il concetto di personalizzazione appare invece
in grado di eliminare la connotazione negativa legata al concetto di differenza, unendo in maniera più
diretta il binomio obiettivo/apprendente, slegandolo da quello di standard minimo, che risulta
riduttivo per coloro in grado di superarlo e privo di senso per coloro che non hanno la possibilità di
raggiungerlo o per i quali non è significativo. La personalizzazione, inoltre, prevedendo percorsi
didattici diversificati per raggiungere obiettivi personali, può garantire, anche ai ragazzi stranieri
appena arrivati, l‟esercizio, fin dal primo momento, delle competenze personali, ad esempio attraverso
la possibilità di frequentare, per un maggior numero di ore, lezioni in cui vengono valorizzati mezzi
espressivi alternativi alla lingua italiana, come disegno, musica, lingue straniere, educazione motoria,
con ricadute positive sul proprio senso di autoefficacia e motivazione.
Occorre però un grande esercizio di responsabilità da parte dei docenti, infatti adottare la
personalizzazione può portare, come denuncia Vertecchi (2003), a rinunciare troppo facilmente a
raggiungere e superare lo standard minimo anche dove questo sarebbe possibile e soprattutto
significativo per il percorso educativo e formativo del singolo studente.
2.4 Gli strumenti per una didattica individualizzata
Nelle Indicazioni per il curricolo per la scuola dell’infanzia e per il primo ciclo di istruzione,
nonostante venga evidenziata la necessità di realizzare forme di individualizzazione
dell‟insegnamento, non compaiono riferimenti ad alcun strumento di attuazione. Cercando però tra le
esperienze scolastiche di integrazione più recenti e significative si può far riferimento all‟inserimento
degli allievi disabili, regolato attualmente dalla legge 104/92, che può essere considerato
fondamentale dal punto di vista della sperimentazione di metodologie e strumenti legati
all‟individualizzazione dell‟insegnamento. Si pensi ad esempio all‟unicità nel panorama degli
ordinamenti scolastici più avanzati della figura dell‟insegnante di sostegno o all‟obbligatorietà di
progettare e realizzare un Piano Educativo Individualizzato con il contesto classe come punto di
riferimento. La rielaborazione di questa esperienza all‟interno di un modello scolastico che mira a
estendere il concetto di individualizzazione a tutti gli studenti ha portato a individuare alcuni
strumenti - il Piano di Studio Personalizzato, l‟Unità di Apprendimento, il Portfolio delle Competenze
Individuali, il Tutor - presenti nella Legge n.53/2003 e nelle Indicazioni Nazionali per i Piani di
Studio Individualizzati che però non hanno superato una prima fase di sperimentazione in larga scala
e non sono attualmente obbligatori, ma il loro utilizzo è demandato all‟autonomia delle singole
istituzioni scolastiche.E‟ possibile utilizzare questi strumenti ai fini dell‟integrazione degli studenti
stranieri e con quali modalità? Esistono altri strumenti già in uso all‟interno della scuola che possano
essere adattati per far si che rispondano anche ai bisogni educativi di questa nuova tipologia di
utenza? Gli strumenti a disposizione sono molteplici e coinvolgono i diversi livelli
dell‟organizzazione scolastica e diverse fasi del processo educativo.
Il Piano dell’Offerta Formativa comunemente chiamato POF è il documento che sintetizza la
progettualità educativa propria di ogni istituzione scolastica: esso presenta, oltre agli obiettivi
generali, le opportunità formative in termini di discipline, attività, progetti, obbligatori o opzionali,
disponibili per gli studenti. E‟ possibile prevedere per gli stranieri percorsi di accoglienza, laboratori
di italiano L2, moduli di recupero disciplinare, progetti di intercultura ..
Il Piano di studi Personalizzato/Individualizzato (PDP), che si ispira al documento previsto dalla
Legge 104/92 per gli alunni disabili, costituisce il documento di programmazione preventiva riferito
all‟alunno straniero: esso descrive e formalizza gli interventi predisposti per l‟alunno in un
determinato periodo di tempo, costituito generalmente dall‟anno scolastico, per la realizzazione del
diritto all‟educazione e all‟istruzione. Può ricalcare, esplicitandone le fasi, il processo messo in atto
dall‟insegnante in maniera spesso automatica e globale rispetto all‟alunno e alla classe per arrivare
alla programmazione; è finalizzato cioè ad indagare e documentare attraverso una procedura analitica:
chi è l‟alunno, che cosa sa e sa fare, come lo fa, cosa può realisticamente imparare, come lo può
imparare, come valutare gli apprendimenti. .
L’Unità di Apprendimento o Unità Didattica è un altro strumento di programmazione che può
essere utilizzato ai fini dell‟individualizzazione dell‟insegnamento in classi plurilingue e plurilivello.
Nell‟accezione in cui compare nelle Indicazioni Nazionali per i Piani di Studio Individualizzati essa
può essere individuale e/o di gruppi di livello, di compito o elettivi; viene inoltre specificato che può
essere costituita da “obiettivi formativi adatti e significativi per i singoli allievi, definiti anche con i
relativi standard di apprendimento”, da svilupparsi “mediante appositi percorsi di metodo e di
contenuto”. Si fa strada quindi l‟idea che le UdA/UD non solo possano variare da alunno ad alunno,
ma anche che quelle comuni non debbano essere necessariamente standard per tutta la classe, ma
possano contenere differenziazioni all‟interno della propria articolazione, cioè negli obiettivi, nei
contenuti e nei metodi. Tale concetto generale viene ripreso nell‟Unità Stratificata e Differenziata
proposta da D‟Annunzio e Della Puppa (2006). Gli alunni stranieri a scuola sono infatti per gran parte
del tempo sottoposti a stimoli non pensati appositamente per loro, ma per gli italofoni che
costituiscono la maggior parte della classe: la sfida per l‟insegnante consiste quindi nel far processare
a più livelli lo stimolo proposto attraverso la progettazione di attività stratificate e differenziate.
3. IL CONSULENTE IN DIDATTICA L2 / FACILITATORE LINGUISTICO/ DOCENTE
SPECIALIZZATO IN L2
Il primo elemento fondamentale per la costituzione di un progetto scolastico è il facilitatore L2, ossia
il „regista‟ dell‟accoglienza e dell‟integrazione degli alunni non madrelingua. Per moltissime scuole la
ricerca e l‟individuazione di risorse di facilitazione L2 sono diventate un bisogno irrinunciabile.
Spesso, però, quello che manca non sono i fondi ma figure professionali competenti, qualificate e
reperibili a cui affidare stabilmente progetti d‟inserimento dei minori immigrati e d‟intercultura.
Finora il panorama dell‟insegnamento L2 è stato un confuso „farwest‟, affidato a volontari, docenti in
pensione, insegnanti su progetto o distaccati, docenti di sostegno, laureati, mediatori culturali,
educatori di Enti Locali; tutte figure alle quali spesso non vengono richieste competenza e esperienza
specifiche nel campo L2. Nonostante i lodevoli propositi e gli sforzi di tutti, ci sembra che i tempi
siano ormai maturi affinché la scuola italiana onori l‟obbligo che ha verso gli studenti e le famiglie
immigrate (oltre che verso quelli italiani), uscendo dalla casualità e frammentarietà delle politiche e
delle misure finora adottate per garantire a ciascuno il diritto all‟istruzione, dotandosi finalmente di
progetti lungimiranti e consapevoli e di soluzioni e risorse di facilitazione ad hoc.
Le riflessioni teoriche, che ci aiutano a delinearne il profilo professionale in base a competenze
integrate:
disciplinari e educative di base: pedagogo e glottodidatta con specifiche e certificate
conoscenze dell‟insegnamento L2 ed esperienze in classe plurilingue;
relazionali: facilitatore di relazioni, figura positiva di raccordo tra classe e laboratorio che
lavora in cooperazione con allievi e docenti;
riflessive: insegnante-ricercatore che mette in discussione e innova la propria pratica didattica;
(inter)culturali: mediatore tra culture diverse;
gestionali: progettista del curricolo e dell‟organizzazione spazio-temporale del laboratorio;
giuridico-normative: conoscitore della legislazione del settore e del territorio;
linguistiche (eventuali): laureato in lingue straniere e orientali, per cui può anche agire da
promotore, valorizzatore della cultura e lingua d‟origine in laboratorio e in classe;
e in base alle funzioni o ambiti d‟intervento :
Verso gli alunni non
madrelingua
Verso i
docenti
Verso
l’amministrazi
one scolastica
Verso gli
alunni
italiani
Verso le
famiglie di
origine
straniera
Verso se
stesso
Gestione/collaborazione
all‟accoglienza tramite
reperimento della
biografia linguistica e
analisi dei bisogni.
Cooperazion
e sinergica
nella
semplificazi
one della
lingua per lo
studio, nella
progettazion
e specifica,
nel
monitoraggi
o e nella
valutazione
degli alunni
stranieri
Cura della
documentazion
e
dell‟esperienza
di facilitazione
(schede di
valutazione
degli alunni,
registro del
facilitatore,
materiali
allestiti dai
ragazzi in
laboratorio L2)
Sollecitazio-
ne di un
clima
positivo
d‟accoglienz
a e
integrazione
Collaboraz
ione
nell‟interaz
ione
scuola-
famiglie
Partecipa-
zione a corsi
d‟ aggiorna-
mento e
formazione
specifici
Organizzazione della
facilitazione 1.
scolastica (esporre
regole dell‟istituto), 2.
linguistica (curricoli,
spazio tempi, materiali,
tecniche) per i vari
livelli di
alfabetizzazione, prima
comunicazione e lingua
per lo studio; 3. socio-
relazionale.
Soluzione
dei conflitti
cognitivi e
relazionali
attraverso
una
mediazione
forte e
positiva tra
laboratorio e
classe
Consulenza su
materiali (testi,
audiovisivi,
multimediali) e
attrezzature da
acquistare per il
laboratorio L2
e lo scaffale
multiculturale
Interventi
interculturali
o di
informazione
su L1
Pratica della
Ricerca-
Azione
Collaborazione/sollecita
zione di attività
interculturali e di
promozione della
dimensione plurilingue.
Sollecitazion
e di lezioni
interdiscipli
nari o
interculturali
Consulenza per
progetti L2 o di
intercultura da
predisporre con
POF o fondi
degli Enti
Locali
Coinvolgime
nto della
classe in
attività di
Cooperative
Learning
(CL) e
tutoring
Aggiornament
o sulla
normativa
Valutazione formativa e
finale
Consigli di
materiali,
tecniche.
Da questa sintesi emerge il profilo di un facilitatore di laboratorio L2 altamente specializzato e
poliedrico, ancora raramente diffuso. Quella del facilitatore è una mediazione educativa esperta e
complessa: le sue potenzialità non si esplicano soltanto nell‟attento e puntuale allestimento spazio-
temporale, tecnico-didattico e disciplinare del laboratorio L2, costruito intorno ai bisogni affettivi e
cognitivi di ciascun alunno, ma sono preziose risorse di raccordo positivo tra laboratorio/classe e
facilitatore/docenti, tanto che potremmo definirla una figura passepartout d‟integrazione socio-
linguistica, a beneficio dell‟intera comunità scolastica. Tuttavia l‟insegnamento dell‟italiano L2 in
classe o laboratorio plurilingue necessita, per una buona riuscita, un lavoro in team con la
partecipazione attiva di tutte le figure coinvolte (docenti di classe, mediatore, facilitatore, genitori e
studenti). Come evitare il diffuso rischio di delega (didattica, relazionale, gestionale) in cui le scuole
finiscono per scivolare nei confronti del facilitatore, incrinando l‟interazione con i colleghi docenti e
la continuità dell‟acquisizione che va garantita agli alunni alloglotti? Un riconoscimento ufficiale del
proprio ruolo, una chiara definizione dell‟interazione tra insegnanti e facilitatori e una serie di
accorgimenti tecnici potrebbero essere alcune delle soluzioni da adottare.
4. IL MEDIATORE CULTURALE
È difficile rintracciare una definizione universalmente riconosciuta applicabile alla mediazione
linguistica culturale e al ruolo del mediatore. L‟abilità di questo professionista è impiegata
attualmente in contesti diversi e con ruoli eterogenei.
Neppure l‟indagine del quadro normativo, ci aiuta poiché propone riferimenti piuttosto evasivi e
generici che non delineano un profilo chiaro della figura del mediatore.
La proposta di legge 1355 depositata in data 20 giugno 2008, alla Camera dei Deputati e che
riguarda l‟impiego dei mediatori in ambito scolastico, intitolata “Istituzione della figura
professionale del mediatore linguistico culturale nella scuola dell‟obbligo e disposizioni per
l‟aggiornamento dei docenti” focalizza l‟attenzione su quegli aspetti che mettono a dura prova le
relazioni in ambito scolastico.
Coloro che hanno concepito e redatto la suddetta norma, affermano la necessità di un intervento
sistematico di mediatori qualificati che condividano la lingua e il retroterra culturale dello studente
e della sua famiglia e che possano intervenire attraverso presenze e contributi strutturali e
sistematici per far fronte alla difficoltà degli insegnanti, dei dirigenti scolastici e degli apprendenti.
Stando al testo di legge, il mediatore corrisponde ad una figura in grado di facilitare il percorso di
apprendimento linguistico di orientamento e di socializzazione all‟interno dell‟ambiente scolastico.
Tra le funzioni da attribuire al mediatore, all‟articolo 3 della suddetta norma si legge:
“provvede all‟accoglienza e all‟inserimento degli studenti stranieri nelle classi della scuola
dell‟obbligo al fine di fornire ai docenti un adeguato supporto... favorisce il rapporto tra
l‟istituzione scolastica e le famiglie svolgendo, in collaborazione con i docenti e, in ogni caso, con
il loro apporto, funzioni di orientamento in ordine alle attività educative e didattiche e al tutorato
degli studenti; supporta la comunicazione tra studenti e docenti e tra docenti e famiglie, nonché la
comprensione dei linguaggi disciplinari e il consolidamento degli apprendimenti; promuove la
valorizzazione della lingua e della cultura di origine degli studenti; propone progetti di educazione
interculturale; partecipa alle attività extrascolastiche per gli studenti al fine di integrare ed estendere
l‟attività educativa in continuità e in coerenza con l‟azione della scuola; collabora agli scambi
culturali ai sensi dell‟articolo 394 del testo unico delle disposizioni legislative vigenti in materia di
istruzione, relative alle scuole di ogni ordine e grado, di cui al decreto legislativo 16 aprile 1994, n.
297. Funzioni analoghe si possono evincere dalla lettura del disegno di legge 2976 C della XV
Legislatura che dichiara la necessità di qualificare la figura del mediatore linguistico culturale al
fine del “potenziamento delle misure dirette all‟integrazione dei migranti, concepita come
inclusione, interazione e scambio e non come coabitazione tra comunità separate anche attraverso la
definizione della figura e delle funzioni dei mediatori culturali e consentendo agli enti locali
interventi straordinari di accoglienza per situazioni di emergenza”.
L‟elemento che accomuna le suddette norme è il collegamento diretto che si riconosce, e si intende
rafforzare, tra il bisogno di integrazione e la potenzialità della risorsa di mediazione interculturale.
Tuttavia, il ruolo e la funzione che il tempo e la pratica quotidiana hanno cucito addosso al
mediatore, in alcuni contesti si allontana molto da quelle che erano le linee di azione e le piste di
intervento auspicate dalla legislazione.
Se vogliamo quindi, descrivere più da vicino il ruolo del mediatore linguistico-culturale e ipotizzare
azioni che possano valorizzare questa figura, dobbiamo riferirci non alla legge ma alle
testimonianze dirette e alla letteratura sulla mediazione.
La definizione del ruolo del mediatore all‟interno della letteratura dedicata al tema dell‟intercultura
è oggetto di diversi contributi preziosi:
“il mediatore svolge non solo un’attività socio – culturale di accompagnamento e di facilitazione
delle relazioni; non è tuttavia un esperto di “culture” e neppure un esperto di intercultura: è un
“atleta” dell’incontro e della comunicazione mediata, è un “agente” di riconoscimento dell’altro
come persona, della sua storia, dei suoi riferimenti culturali, dei suoi diritti … e attraverso il suo
intervento consente di aprire spazi, passaggi e pertugi ad una partecipazione consapevole. (Luatti
2011: 6)
(…) all’interno di un quadro così debole e confuso, è difficile capire (e valutare) qual è l’effettivo
con- tributo del mediatore interculturale. In quanto “tecnico” della comunicazione in ambito
interculturale egli deve possedere una conoscenza e un sapere pratico che gli permettano di
interpretare, decodificare la domanda e di favorire l’incontro tra storie, linguaggi, culture e stili
comunicativi diversi”. (Luatti 2011: 13).”
E ancora:
“l’apprendimento/insegnamento dell’italiano come seconda lingua richiede nuove attenzioni
didatti- che, scelte metodologiche precise, una programmazione individualizzata, modalità
organizzative che si- ano in grado di fornire all’alunno non italofono le competenze necessarie per
capire e comunicare. É un percorso didattico che si compie in tempi e luoghi e che deve essere
esplorato e sperimentato basandosi anche su esperienze, proposte e materiali già diffusi e
consolidati. Un compito che non può certamente essere delegato al mediatore. Questa figura infatti
non ha esperienza e formazione come insegnante e non ha avuto modo di seguire dei corsi specifici
per insegnare a bambini e ragazzi neoarrivati l’italiano come seconda lingua”.
Queste riflessioni proposte da Favaro e Luatti introducono alcune riflessioni fondanti:
1. il mediatore non è un docente di lingua straniera né di italiano lingua seconda;
2. il mediatore è un tecnico della comunicazione interculturale che
favorisce l‟incontro tra persone, linguaggi, culture e stili comunicativi;
Ma come si realizzano praticamente tale funzioni del mediatore all‟interno di un contesto di
apprendimento plurilingue?
E quali forme può assumere la collaborazione tra mediatore e docenti?
5.1 Quali sono i compiti del mediatore linguistico-culturale?
Il mediatore interviene quando gli alunni non madrelingua e/o i docenti che si relazionano con loro
segnalano difficoltà di comunicazione o situazioni di disagio che nessuna delle due parti coinvolte è
in grado di governare in maniera efficace.
L‟ostacolo più evidente è ovviamente quello costituito dalla lingua anche se non è l‟unico. La
mancanza di condivisione del codice linguistico impedisce l‟efficace scambio di messaggi e la
mediazione linguistica riapre, migliora e garantisce la comunicazione.
L‟autonomia e la possibilità di self-empowerment degli alunni non madrelingua però, vale la pena
ricordarlo, non dipende esclusivamente da difficoltà solo di natura linguistica. La lontananza tra
modelli culturali di riferimento – si pensi a quelli di organizzazione sociale e familiare – e modelli
culturali veicolati dal contesto che accoglie causa difficoltà concrete di comunicazione e relazione
nel quotidiano.
Per questa ragione, il mediatore non può farsi mero interprete linguistico, ma è colui che riesce a
mediare tra software mentali e contribuisce così ad evitare scontri interculturali.
Il mediatore ideale, inoltre, dovrebbe aver fatto esperienza diretta della migrazione.
Questo ci appare un requisito fondamentale anche se, spesso, nella realtà, viene di fatto trascurato o
addirittura ignorato. Una persona che non abbia vissuto essa stessa l‟esperienza della migrazione,
può comprendere e gestire dinamiche e problemi legati alla condizione specifica di migrante?
Se siamo d‟accordo sul ritenere fondamentale tale aspetto, possiamo innanzitutto definire il
mediatore come una persona straniera che abbia vissuto in prima persona l’esperienza della
migrazione.
È noto come e per quali aspetti l‟esperienza della migrazione coinvolga emotivamente e
psicologicamente i soggetti e in alcuni casi determinando ricadute pesanti sia a livello psicologico sia
sulle dinamiche di apprendimento linguistico.
Inoltre, tra gli attori della mediazione si è affermata e diffusa in maniera spontanea la missione
interculturale. Questa consiste nella possibilità da parte del mediatore, di favorire occasioni di
conoscenza e scambio reciproco. Come acutamente osserva P. Balboni:
“in alcuni ambiti la mediazione è un’azione strumentale, neutra, quasi meccanica, in altri il
mediatore è attore catalizzatore di un processo di relazione che, senza il suo intervento, non
diventerebbe attuale, resterebbe potenziale.”
Nel primo caso, il mediatore fa opera di mediazione mettendo in relazione elementi non-opachi,
trasparenti senza dover interpretare significati. Costui come lo definisce Balboni, è un mediatore di
contatto che mette in relazione elementi senza interferire sul significato.
Nel secondo caso invece, si tratta sempre secondo Balboni,
“(…) un mediatore catalizzante senza il quale la relazione non esiste. Costui è un mediatore
semantico che interpreta significati e valori ma è anche un mediatore pragmatico che interpreta le
intenzioni e guida i partecipanti nella comprensione dei rispettivi scopi segni linguistici e culturali.
è un traduttore che non traduce da segno a segno ma da scopo comunicativo a scopo
comunicativo.”
Il carattere ideale di questa figura e il profilo opaco che la realtà riserva alla figura del mediatore
linguistico-culturale ci conduce alla raccolta e all‟analisi delle esperienze dei mediatori stessi per
delineare un profilo più realistico di questa professione.
La competenza linguistica e comunicativa nelle lingue coinvolte rappresenta come abbiamo visto
uno dei requisiti di base per l‟esercizio della professione.
Alain Goussot afferma:
“la lingua non è solo strumento funzionale alla comunicazione utilitaristica, ma anche veicolo
degli universi simbolici, che funziona con dei codici e produce una concezione del mondo. Il
linguaggio, poi, è di importanza decisiva per il mondo interiore della persona: organizza la sua
mappa mentale e struttura il suo sistema cognitivo”
Da questo assunto scaturisce l‟importanza della lingua in uso come padronanza di “lingua nella
comunicazione in contesto”. Ci riferiamo all‟importanza di leggere correttamente i significati che
passano attraverso il linguaggio del corpo, la prossemica, l‟abbigliamento e tutto quanto rientra
nell‟extra-verbale. Non è quindi sufficiente sapere la lingua per sostenere una conversazione
interculturale.
È necessario infatti conoscere profondamente sia la propria cultura – considerando tuttavia che tale
conoscenza culturale è fortemente sfaccettata dal momento che si è chiamati a mediare in favore di
connazionali, anche appartenenti a regioni diverse e dunque culturalmente distanti dalla propria – sia
con la cultura ospitante (dell‟Italia nel nostro caso) per prevedere reazioni e darne una interpretazione
corretta. L‟immagine poeticamente evocata da Graziella Favaro della lingua come “luogo da
abitare” rafforza l‟idea che a farsi rappresentante di un determinato mondo possa essere
esclusivamente una persona che da quel mondo proviene e si è formato. Tuttavia, talvolta accade che
questi preferiscano rivolgersi ad italiani che conoscono profondamente la lingua e la cultura del paese
coinvolto, piuttosto che ad un madrelingua. A causa della carenza di risorse e di mediatori formati e a
fronte di una domanda sempre più consistente di interventi di mediazione, chi offre il servizio e chi
lo chiede non valuta necessariamente il livello di competenza, la formazione e l‟esperienza dei
mediatori. La situazione di emergenza poi, spinge le istituzioni e i docenti a richiedere innanzitutto
un mediatore che abbia il ruolo di mero interprete.
Osservando la pratica della mediazione si rivela nelle diverse realtà italiane, che l‟impiego del
mediatore è assai diversificato per mansioni e modalità.
Possiamo affermare che, nel corso degli anni novanta, al mediatore veniva attribuito esclusivamente
un ruolo di interprete linguistico e gli venivano quindi richiesti interventi di traduzione di
documenti o di conversazioni, traduzioni di lezioni disciplinari, di spiegazioni, ecc… Si intendeva il
suo intervento confinato alla conversazione stessa, e quindi si doveva risolvere nella precisa
traduzione delle battute e degli scambi verbali o scritti tra le parti:
Chiaretti a proposito della mediazione meramente linguistica scrive:
“è l’esercizio di una competenza, che avviene sotto il segno dell’urgenza ed è funzionale al
compiersi di un atto burocratico, compilativo. Chi pone la domanda e chi deve dare un risposta
devono comunicare quanto basta per dare avvio alla procedura. […] non lascia spazio alla
relazione, non avvia un dialogo vero e proprio”.
Questa descrizione centra efficacemente il carattere, isolato, episodico e di emergenza che
caratterizza purtroppo ancora oggi in molte realtà italiane l‟intervento dei mediatori.
Più recentemente, si è consolidata la consapevolezza che la natura delle difficoltà insite nel dialogo
risiedano anche in distanze di natura culturale o nelle asimmetrie di potere, e conseguentemente il
ruolo del mediatore è andato, in alcuni contesti, modificandosi.
Proprio a partire dalle esperienze più efficaci e mature il ruolo del mediatore si definisce come chi:
“sta in mezzo, non solo tra i due, come più usualmente pensiamo, ma anche in mezzo ai due poli
opposti [...] ossia in mezzo ai molteplici e possibili posizionamenti che vanno dalla competenza
linguistica a un lavoro interculturale”.
Il lavoro di mediazione è, infatti, sempre più interculturale.
Si tratta quindi di agire sui copioni comunicativi che riproducono relazioni impari squilibrate e
strutture rigide per introdurre e proporre modelli di interazione tra culture, promuovendo il
potenziale di ricchezza insito nella diversità.
Infine, come sappiamo, il posto che il mediatore occupa all‟interno di un servizio si trasforma a
seconda della tipologia del servizio stesso.
Ricorriamo alla proposta di Graziella Favaro per riassumere i piani del suo intervento che è di tipo:
orientativo e informativo
linguistico e comunicativo
culturale e interculturale
psicosociale e relazionale
e che gli permette di espletare le seguenti funzioni:
eliminare gli ostacoli (linguistici, comunicativi, informativi) che si frappongono all‟accesso e
all‟uso dei servizi per tutti;
apportare nuovi saperi, linguaggi e informazioni e migliorare la prestazione dei servizi, in
termini sia quantitativi che qualitativi;
creare uno spazio di incontro intermedio e aprire nuove possibilità comunicative.
L‟osservazione delle esperienze reali però evidenziano una certa distanza da questa
rappresentazione ideale della figura del mediatore nel suo agire.
L‟intervento di mediazione, concepito come mera forma di traduzione e/o adattamento linguistico,
è riduttivo e sterile. È necessario individuare pratiche didattiche che coinvolgano quindi il
mediatore non solo all‟interno di eventi comunicativi conflittuali o in situazioni di emergenza, ma
anche all‟interno di un progetto di promozione linguistica più ampio che conduca, docenti,
mediatori e studenti tutti verso pratiche di empowerment per education. In un certo senso, la causa
dell‟empowerment attraverso l‟interculturalità costituisce la naturale vocazione del mediatore. In tal
senso l‟azione del mediatore diventa educativa, illuminante, necessaria alla riscoperta delle
congruenze, delle somiglianze, tra popoli, lingue, culture, software mentali.
5.2 Il mediatore in contesti di insegnamento plurilingui
Compito e sfida attuali di chi opera in contesti plurilingui saranno quelli legati al come promuovere
l‟educazione linguistica e al come facilitare l‟apprendimento linguistico in un ambiente
“interculturale” caratterizzato appunto da diversi repertori linguistici e sociolinguistici nonché dalle
inevitabili dinamiche e contaminazioni che si possono registrare tra questi repertori. Docenti e
mediatori potranno ad esempio collaborare per descrivere e conoscere i profili linguistici degli
apprendenti e individuare per poi valorizzarle le competenze linguistiche pregresse di cui gli
studenti sono portatori.
L‟approccio interculturale applicato all‟educazione linguistica si pone allora come chiave elettiva di
conoscenza. Tale approccio, in sintesi, ci sembra utile a far emergere la connotazione di educazione
linguistica come asse educativo trasversale che coinvolge tutte le lingue presenti nel repertorio degli
studenti. La manipolazione di lingue e linguaggi e l‟esposizione a codici diversi realizzerebbe
pienamente una tra le finalità dell‟educazione interculturale: lo sviluppo della transitività cognitiva.
Confrontarsi con lingue diverse significa innanzitutto, riconoscere la specificità di un linguaggio e
insieme i punti di contatto, gli spazi di relazione tra codici e linguaggi differenti, significa
riconoscere terreni elettivi di applicazione dei diversi linguaggi. Sarebbe auspicabile, nella
prospettiva di realizzare un approccio interculturale all‟educazione linguistica, la costruzione di un
curricolo di educazione linguistica che aiuti gli studenti a superare l‟idea di lingua trattata come
oggetto di studio, ad oltrepassare le nicchie consuete di riferimento con l‟obiettivo di sviluppare
quell‟atteggiamento interculturale – o, meglio, transculturale – capace di attraversare più codici
linguistici. Il processo di avvicinamento e di conoscenza di differenti sistemi linguistici potrebbe
costituire uno stimolo alla sintesi di più significativi e complessi percorsi cognitivi, affettivi,
relazionali. A partire da tali istanze, dunque, una possibile forma di collaborazione che valorizzi in
chiave interculturale le diverse competenze rintracciabili all‟interno di due profili differenti come
sono quello del mediatore da un lato (che ricordiamo non è docente) e quello del docente (che non è
mediatore) dovrebbe mirare a rendere efficaci per l‟apprendimento, pratiche interattive e discorsive
che gli studenti e i docenti mettono in gioco naturalmente in aula.
4.3 Il mediatore e il rapporto con la famiglia
Nella relazione con la scuola entrano in crisi i fondamenti culturali che connotano la relazione
genitori-figli:
• La lingua
• Le regole e valori (autonomia e dipendenza), abitudini e pratiche (alimentazione, tecniche di
cura..)
• Le aspettative
• Le esperienze precedenti (sistemi scolastici diversi, ordini assenti, analfabetismo)
Quando si riscontrano difficoltà nel rapporto con una famiglia di origine straniera bisognerebbe
chiedersi:
• sono stati esplicitati gli obiettivi educativi (della scuola e della famiglia)?
• c‟è stata una comprensione chiara delle richieste della scuola e un accordo su quanto la
famiglia può dare (analfabetismo, assunzione di ruoli non consueti..)?
• le modalità relazionali e comunicative hanno facilitato una relazione di fiducia e
valorizzazione reciproca?
Quindi è necessario facilitarne la partecipazione:
- Evitare stereotipi sullo scarso interesse e considerare invece:
• senso di inadeguatezza
• dissonanza cognitiva
- Porre attenzione alle modalità di convocazione (modulistica in lingua)
- Creare anche momenti di incontro non «istituzionali» per favorire la conoscenza reciproca e
«agganciare» le famiglie (feste di inizio anno, attività interculturali in classe..)
Prevenire l‟incomprensione ricorrendo al mediatore culturale:
- Perché dialogare tenendo conto della lingua della famiglia è una forma di accoglienza che
motiva la partecipazione e l‟instaurazione di una relazione di fiducia.
- Perché «parlare un pochino» l‟italiano non consente ai genitori di capire il messaggio
pedagogico e di agire da soggetti competenti ponendo domande pertinenti.
- Perché se le possibilità comunicative non sono equivalenti non vi è alcun confronto.
Si conclude sottolineando l‟importanza che questa figura ricopre all‟interno della didattica quando si ha a che fare con alunni e rispettive famiglie non madrelingua.
Il coinvolgimento del mediatore non deve essere pertanto limitato alla fase di un nuovo inserimento
ma deve accompagnare tutto il percorso scolastico di un alunno e della sua famiglia e della vita in
classe per studenti e docenti.
5. IL LABORATORIO L2
Il laboratorio di italiano L2 rappresenta una realtà dinamica, in continua evoluzione, mai uguale a se
stessa: il turnover, l‟alternarsi, l‟inserimento continuo degli alunni nel corso dell‟anno scolastico,
diventano caratteristiche peculiari che lo diversificano e lo rendono unico rispetto ad altre tipologie di
laboratorio.
Le attività che vi si svolgono necessitano di un‟organizzazione articolata e continua, in grado di
soddisfare i diversi bisogni comunicativi dei discenti. Partendo proprio dai presupposti legati agli
approcci e alle metodologie che appartengono all‟area umanistico-affettiva è necessario far leva su
tecniche capaci di incentivare e mantenere alta la motivazione. Per questo vanno tenuti in giusta
considerazione e valorizzati i saperi, le preconoscenze, la cultura d‟origine e il vissuto della persona
in quanto tale, creando un clima di apprendimento disteso, non ansiogeno, in grado di portare l‟allievo
a conquistare e aumentare l‟autostima e la fiducia nelle proprie capacità.
A questo proposito è possibile predisporre e organizzare il lavoro in modo modulare attraverso
l‟impiego di unità di apprendimento. La scelta di articolare le attività in unità di apprendimento,
piuttosto che in unità didattiche, è favorita dalle peculiari caratteristiche di flessibilità ed elasticità di
questo modello, che consente un adattamento facile e graduale a situazioni e contesti, sulla base di
criteri non solo cognitivi ma anche affettivi e psicologici. In tal modo il docente è in grado di
coinvolgere e motivare alunni dotati di competenze eterogenee e con culture d‟origine differenti,
adattando di volta in volta funzioni comunicative e strutture alle realtà linguistiche quotidiane. L‟unità
di apprendimento consente, attraverso attività diverse, di riproporre, consolidare e rinforzare
periodicamente funzioni comunicative, strutture ed elementi lessicali già incontrati. Essa permette,
inoltre, di utilizzare con creatività materiale didattico autentico, diversificabile sulla base dei livelli di
competenza, dei contenuti e del grado di difficoltà. A questo proposito anche le attività ludiche e di
cooperazione, come giochi e lavori di gruppo che prevedono l‟utilizzo di oggetti concreti e la
condivisione di capacità ed esperienze, assumono rilevanza particolare. Esse possono essere inserite
con successo nella progettazione delle unità di apprendimento e affiancate ai momenti di lavoro
individuale in quanto, essendo poco ansiogene, permettono agli alunni di socializzare, confrontarsi e
instaurare relazioni tra pari.
Alla luce di quanto evidenziato il laboratorio di italiano L2 si pone, quindi, come uno spazio pensato e
gestito per facilitare l‟apprendimento e lo studente, con tutto il proprio vissuto culturale ed emotivo,
ne diventa protagonista. L‟insegnante assume invece il ruolo di tutor, una guida capace di proporre
attività e creare stimoli che favoriscono l‟acquisizione di nuove conoscenze.
Chi lavora in laboratorio sa benissimo che il primo obiettivo dell‟applicazione di questo dispositivo
„ponte‟ è la necessità di garantire l‟integrazione agli alunni non madrelingua (soprattutto neo-arrivati)
per accedere alla comunicazione nella classe e all‟orientamento nella nuova scuola, ma sa anche che
la pratica didattica laboratoriale non è esente da ostacoli. Come rapportarsi ai vantaggi e agli
inconvenienti del laboratorio L2?
Dallo schema sotto, emerge chiaramente il fatto che tali limiti o rischi non dipendono né dalla misura
didattica in sé, né dai destinatari, ma sono solitamente imputabili a una scarsa organizzazione e
sinergia tra gli adulti che lo gestiscono; limiti dunque che sarebbero facilmente superabili adottando
una concordata e progettata politica d‟integrazione che abbia il suo motore in un laboratorio L2
pienamente integrato.
Vantaggi Limiti
Rapidità: risposta urgente a bisogni urgenti. Rischio che l‟urgenza o la reiterazione degli
interventi trasformino il laboratorio in una
classe/ghetto.
Efficacia: si focalizzano la specificità dei
bisogni e i percorsi d‟apprendimento di ciascun
minore straniero in tempi e spazio privilegiati.
Rischio di delega esclusiva ai docenti del
laboratorio di un compito proprio di tutta la scuola.
Intervento mirato e propedeutico alla
facilitazione dell‟integrazione: aiuta a contenere
e prevenire disagio, emarginazione, ritardi e
abbandoni attraverso il superamento graduale
delle difficoltà linguistiche e di orientamento
scolastico, garantendo maggiore ascolto e
attenzione nella delicata fase dell‟accoglienza.
Rischio (anche momentaneo) di privare i ragazzi
non madrelingua del contatto con i parlanti nativi o
con le altre discipline, ritardando il processo globale
di socializzazione, inserimento e confronto.
Importanza socio-affettiva e identitaria: luogo-
ponte che favorisce lo „sblocco‟, il
riconoscimento e la valorizzazione delle
competenze possedute, la crescita in autostima
e la motivazione grazie all‟abbassamento dei
filtri affettivi.
Rischio di allestimento improvvisato delle attività e
dei docenti di laboratorio.
5.1 A che tipo di laboratorio aspirare
L‟optimum a cui tendere dovrebbe essere un laboratorio permanente, in un ambiente stabile e accogliente, con un orario annuale e un docente facilitatore professionale fisso, ossia un luogo
educativo „contenitore‟ di tutti i tipi di interventi e percorsi linguistici (alfabetizzazione, prima
comunicazione, lingua per lo studio) e interculturali indirizzati agli studenti non madrelingua e
all‟intera classe. Una strutturazione del genere garantirebbe la continuità e la progressione cognitiva e
affettiva essenziale ai ragazzi non madrelingua e al loro diritto all‟istruzione, e assicurerebbe alla
scuola anche una preziosa crescita in competenza ed efficacia, intervento dopo intervento, arrivando
all‟ottimizzazione delle risorse umane e strutturali, e del clima interculturale della scuola.
Nonostante negli ultimi anni si sia avuta un‟evoluzione significativa nel campo dell‟insegnamento
dell‟italiano L2, ossia il passaggio dalla fase dell‟emergenza improvvisata a quella dell‟integrazione
strutturata di cui la diffusione dei laboratori L2 è un chiaro segnale, alcuni temi centrali rimangono
ancora indefiniti e vaghi. In primo luogo occorre interrogarsi sul profilo e sul ruolo della risorsa
umana responsabile della costruzione e gestione del clima idoneo all‟espressione personale, allo
scambio, al rinforzo non solo linguistico, ma anche affettivo e culturale del laboratorio: il docente
specializzato in L2.
6 . INSERIMENTO ALUNNI NAI
1. COLLOQUIO INIZIALE
L‟insegnante referente o il consulente in didattica L2, dopo le procedure amministrative da parte della
Segreteria, riceve la famiglia dell‟alunno e acquisisce le informazioni necessarie per conoscere la
situazione scolastica pregressa. In questa fase è vivamente consigliato avvalersi della presenza di un
mediatore culturale.
La commissione delegata nell‟assegnazione alla classe si attiene ai criteri fissati dal D.P.R.31/8/99 n.°
394 che prevedono di:
- evitare la concentrazione degli alunni stranieri in una classe e in un solo corso, favorendo la loro
equa distribuzione in tutte le classi e in tutti i corsi.
- tener conto, secondo le indicazioni dell‟addetto di segreteria responsabile, del numero massimo di
alunni consentito in rapporto alla cubatura dell‟aula,
- tener conto del numero di alunni della classe e del numero di alunni non italofoni già inseriti,
Per la raccolta delle informazioni necessarie si segue la traccia dell‟allegato C, il fascicolo peronale
dell‟alunno, per la rilevazione dei dati anagrafici e le competenze linguistiche ( vedi allegato C).
Affinché il colloquio sia chiaramente avvertito come un momento di incontro, di scambio, nettamente
differenziato dagli aspetti più propriamente amministrativi, il docente incaricato dell‟inserimento
dell‟alunno cerca di condurre un‟intervista di tipo “aperto”:
oltre a chiedere informazioni per la compilazione della scheda si creano le condizioni per un colloquio
ampio e utile a fondare una relazione costruttiva e di disponibilità reciproca con genitori e alunno/a ;
si incoraggiano i genitori ad esprimere le proprie aspettative nei confronti della scuola e del percorso
scolastico dei figli.
In questa occasione, si segnala anche alla famiglia il nome di un docente di plesso a cui fare riferimento
per ogni eventuale necessità, con il quale i genitori potranno intrattenere i primi rapporti di scambio di
informazioni .
Subito dopo il colloquio, se si ritiene necessario, nella classe di primo inserimento e a cura del docente di
lingua italiana e delle discipline logico matematiche, si possono proporre le prove d‟ingresso per rilevare
la conoscenza della lingua italiana o le conoscenze pregresse con il supporto del mediatore linguistico.
2. PROVE D’INGRESSO
Le prove di ingresso, svolte in L1 con il supporto del mediatore culturale ed il consulente in didattica L2
o del docente referente, rappresentano solo un primo passo per l‟accertamento delle competenze, dei
saperi posseduti dall‟alunno che richiede tempi di osservazione più lunghi, all‟interno della classe, ed
hanno perciò carattere molto limitato.
Esse costituiscono invece un momento di incontro molto importante con il bambino che comincia a
conoscere, prendere confidenza, con la nuova realtà scolastica, prima della “full immersion”.
Per la stessa ragione, nei primi mesi di attività scolastica si realizza solo un primo passo per
l‟elaborazione di un percorso individualizzato per la cui programmazione è necessario raccogliere un
maggior numero di informazioni relative alla scolarità precedente, ai bisogni di apprendimento, agli
interessi e ai talenti del singolo alunno/a.
3. DETERMINAZIONE DELLA CLASSE
Il docente referente, o il consulente in didattica L2, presenta la relazione al Dirigente e la integra con
tutte le altre eventuali informazioni utili all‟inserimento.
Il Dirigente Scolastico raccolte tutte le informazioni e dopo un confronto con i docenti del plesso
interessato all‟inserimento, stabilisce la classe più adeguata all‟accoglienza dell‟alunno/a.
Sulla base di quanto previsto dall‟art. 45 del DPR 31/8/99 n° 394 :
” …I minori stranieri soggetti all'obbligo scolastico vengono iscritti alla classe corrispondente
all'età anagrafica, salvo che il collegio dei docenti deliberi l'iscrizione ad una classe diversa,
tenendo conto:
dell'ordinamento degli studi del Paese di provenienza dell'alunno, che può determinare l'iscrizione
ad una classe immediatamente inferiore o superiore rispetto a quella corrispondente all'età
anagrafica;
dell'accertamento di competenze, abilità e livelli di preparazione dell'alunno;
del corso di studi eventualmente seguito dall'alunno nel Paese di provenienza;
del titolo di studio eventualmente posseduto dall'alunno…”
Il Collegio dei Docenti dell‟Istituto può deliberare di privilegiare l‟inserimento nella classe
corrispondente all‟età anagrafica, anche quando l‟alunno, per ragioni dovute all‟ordinamento scolastico
del paese di provenienza (es. Ecuador: inizio dell‟obbligo a 5 anni), avrebbe diritto ad essere iscritto alla
classe immediatamente precedente. L‟inserimento in una classe di coetanei consente infatti al
neoarrivato/a di instaurare rapporti più significativi, “alla pari” con i nuovi compagni e di contare su
tempi di inserimento più distesi.
La varietà delle situazioni e delle biografie scolastiche degli alunni neo arrivati, mette comunque in
evidenza la difficoltà di indicare con chiarezza i criteri di riferimento da seguire per l‟assegnazione alla
classe.
Sono evidenti i margini di flessibilità attribuiti alla scuola e la delicatezza del compito del Dirigente
Scolastico.
I principi di fondo si possono definire invece con estrema precisione:
- evitare il ritardo scolastico;
- reperire tutte le opportunità e le risorse nella scuola e nell‟extra-scuola per la riuscita scolastica e
per l‟integrazione degli alunni stranieri.
La scelta della classe/sezione dovrà così tener conto dei seguenti elementi:
- numero di alunni totale già presente nella classe
- seconda lingua
- presenza nella classe di altri alunni stranieri;
- criteri di rilevazione della complessità delle classi (disagio, handicap,
dispersione ecc.)
- ripartizione degli alunni nelle classi evitando la costituzione di classi/sezioni con predominanza di
alunni stranieri o provenienti tutti dallo stesso paese.
4. ACCOGLIENZA IN CLASSE E A SCUOLA
L‟insegnante presente al primo giorno d‟ingresso nella scuola, accoglierà il nuovo arrivato presentandolo
alla classe e favorendo il suo inserimento nel gruppo già esistente.
Alla prima accoglienza non venga attribuita eccessiva enfasi attraverso attività straordinarie che
potrebbero imbarazzare l‟alunno ed ottenere l‟effetto paradosso di farlo sentire maggiormente estraneo e
“osservato”.
Il programma della giornata viene modificato per fare spazio ad alcuni momenti per la prima conoscenza
dei nomi dei compagni e per l‟esercitazione dei “comandi” più frequenti nel linguaggio della classe.
Il Team docenti, composto dagli insegnanti della classe di assegnazione agisce:
- favorendo l‟integrazione nella classe e promovendo attività di piccolo gruppo;
- rilevando i bisogni specifici d‟apprendimento;
- individuando modalità di semplificazione o facilitazione linguistica per ogni disciplina.
Il Team docenti in collaborazione con il consulente in didattica L2, programma i percorsi di facilitazione
che potranno essere attuati sulla base delle risorse disponibili:
- il monte ore e il percorso previsto nei laboratorio di italiano L2 con il consulente in didattica L2;
- i progetti di utilizzo di eventuali ore di compresenza dei docenti;
- eventuali progetti di attività di recupero in orario aggiuntivo dei docenti.
- Laboratori linguistici di italiano come L2
- Impiego del mediatore linguistico/culturale per tenere monitorata l‟evoluzione linguistica
- Le ore di alternativa alla religione Cattolica.
6.1 Sintesi indicazioni operative per l’accoglienza degli alunni NAI
ISCRIZIONE
COMPITI DELLA SEGRETERIA:
- Iscrizione dell‟alunno/a
- Raccolta della documentazione relativa alla precedente scolarità
- Annotazione della scelta o meno di avvalersi dell‟insegnamento della religione cattolica
- Presentazione del tempo scuola
- Consegna dei moduli relativi al servizio mensa e al servizio di trasporto (se richiesti)
- Consegna di materiali plurilingue (se necessari per ulteriori chiarimenti)
- L‟incaricato della segreteria informa tempestivamente il Dirigente Scolastico e il docente referente
per l‟integrazione perché si possano organizzare le fasi successive.
- Una volta scelta la classe di assegnazione e la data di ingresso dell‟alunno/a, l‟addetto della
segreteria lo comunica alla famiglia.
DOCUMENTI DA RICHIEDERE ALL‟ATTO DELL‟ISCRIZIONE (C.M. 01/03/06 _.24):
- Documenti anagrafici
- Documenti sanitari
- Documenti scolastici precedenti
- Permesso di soggiorno
- Recapiti telefonici della famiglia
COMPITI DEL DIRIGENTE SCOLASTICO, DEL CONSULENTE IN DIDATTICA L2 E DEL TEAM
DOCENTI
PROPOSTA DI ASSEGNAZIONE ALLA CLASSE
- Nell‟incontro iniziale il Dirigente Scolastico propone la classe di assegnazione per il nuovo alunno,
sulla base dell‟età anagrafica, della scolarità pregressa e del sistema scolastico del paese di provenienza,
degli accertamenti e delle informazioni raccolte. - La scelta della sezione tiene conto delle caratteristiche delle classi presenti nell‟istituto.
- Il docente referente elabora una relazione per informare i docenti di classe del nuovo ingresso e
fornisce al coordinatore tutti i dati raccolti nelle scheda rilevazione dati dell‟alunno/a.
L’INSERIMENTO NELLA CLASSE
- Gli insegnanti di classe favoriscono l‟integrazione nella classe promovendo attività di
piccolo gruppo, di cooperative learning, di tutoring, in base alle effettive esigenze del
gruppo classe.
- Individua modalità di semplificazione o facilitazione linguistica per ogni disciplina.
- Rileva i bisogni specifici di apprendimento
- Elabora, eventualmente, percorsi didattici di italiano/L2 con l‟aiuto dei mediatori linguistico/culturali e del consulente in didattica L2.
- Per l‟esame di Stato elabora prove graduate e colloquio d‟esame adeguato al percorso
scolastico e di maturazione dell‟alunno/a
INTERVENTI DIDATTICI
Programma dei percorsi di facilitazione che potranno essere attuati sulla base delle risorse disponibili
come segue:
- monte ore a disposizione per laboratori di alfabetizzazione
- progetti di utilizzo delle ore di compresenza dei docenti, ottimizzo delle ore dell‟attività
dell‟alternativa
- eventuale stesura o analisi di progetti per corsi di recupero in orario aggiuntivo dei docenti
(laboratori linguistici di italiano come L2)
COLLABORAZIONE COL TERRITORIO:
- Attiva e mantiene tutti i canali di informazione, monitoraggio e verifica con le realtà
territoriali che operano in un‟ottica interculturale.
- Collabora con le scuole del territorio e diffonde in tutto l‟istituto informazioni in merito alle
iniziative di sensibilizzazione che vengono attuate.
- Mantiene i contatti con le associazioni che operano nel territorio
- Attiva collaborazioni con le amministrazioni locali per costruire percorsi comuni di
formazione.
COLLABORAZIONE CON LE FAMIGLIE:
Promuove occasioni di incontro con le famiglie degli alunni non madrelingua per favorire la
reciproca conoscenza e collaborazione finalizzata all‟integrazione e allo scambio reciproco.
6.2 L’alunno neo-arrivato: suggerimenti pratici per le prime fasi dell’inserimento
L’osservazione
L‟osservazione è uno strumento di lavoro professionale per sottrarsi alla casualità, per non
limitarsi ad uno sguardo superficiale, generalmente basato su impressioni fugaci. Questo
elemento è intrinseco alla professione insegnante, ma è spesso dato per scontato e talvolta
anche disatteso.
Nessuno può conoscere in modo completo e definitivo chi ha davanti.
L‟esercizio all‟osservazione e all‟ascolto nei confronti dei bambini/ragazzi non madrelingua si
conferma come prima regola da adottare.
Spesso ciò che accompagna l‟esperienza del nuovo studente è lo spaesamento, la nostalgia, la
separazione da affetti, da abitudini, da certezze, da ruoli.
Sovente si tratta di un cambiamento non desiderato, a volte segnato da ricongiunzioni o nuove
configurazioni familiari.
Non sappiamo ancora quanto e come questo status si intreccia con la sua storia personale e se il
cambiamento è percepito come una prova, una minaccia, un sollievo, se la cerchia famigliare lo
accompagna in questo cambiamento, o subisce essa stessa gli eventi; se il nuovo ambiente è
riconosciuto come amichevole o come un labirinto dai segni indecifrabili.
Quasi nulla sapremo come ha imparato e se gli è piaciuto imparare, le storie che ha ascoltato e
quelle che hanno lasciato un segno, i discorsi che ha intrecciato; ciò che ha imparato ad
esprimere e ciò di cui ha imparato a tacere…
È possibile che questo nuovo alunno scelga a tutti i costi di “adattarsi” e di essere uno scolaro
“bravo” come era nella scuola del suo paese di origine.
È possibile che lo smarrimento prevalga, e il periodo di “silenzio” divenga troppo lungo tanto
da sembrarci impenetrabile: impenetrabile agli stimoli didattici, alle voci dei compagni…
oppure lo renda del tutto invisibile.
È possibile invece che lo scolaro voglia “esserci” a tutti i costi; ma poiché padroneggiare la
lingua come gli altri compagni può essere percepito come un traguardo irraggiungibile, allora si
imporrà allo sguardo con la fisicità, una fisicità non sempre opportuna o socialmente
accettabile, specialmente a scuola.
Nelle classi dove l‟inserimento di un nuovo alunno si presenta con forte impatto problematico,
l‟urgenza di trovare soluzioni alle difficoltà linguistiche porta diritto alla ricerca di strumenti ed
operatività, accontentandosi generalmente di una percezione ed interpretazione approssimativa
della situazione.
La valutazione iniziale delle competenze degli alunni non italofoni o bilingui è necessaria per
poter garantire un adeguato inserimento all‟interno del percorso scolastico che permetta la
miglior valorizzazione dell‟allievo e la diagnosi dei suoi bisogni.
Solo dopo la fase di osservazione e rilevamento conviene ragionare sui dispositivi di sostegno e
/o da mettere in atto.
La rilevazione delle competenze linguistiche
È bene non affidarsi esclusivamente a procedimenti quantitativi tipo test, perché attraverso tali
strumenti vengono verificate solo conoscenze o abilità settoriali; inoltre, essendo per definizione
procedure che cercano di ridurre la complessità del reale per ottenere risultati confrontabili, i
test non forniscono indicazioni sulla potenzialità del soggetto, non tengono conto delle
competenze linguistiche legate al contesto sociale e situazionale.
Le prove strutturate in L2, sono consigliabili dai 10 anni poi. Al contrario, prove strutturate in
L1 per le diverse discipline sono possibili anche per soggetti più giovani; tali prove dovrebbero
essere costruite dagli insegnanti delle specifiche aree disciplinari in collaborazione con i
mediatori linguistici.
Diviene fondamentale integrare le strumentazioni di osservazione usando:
- materiali disponibili sul mercato didattico
- materiali ricavati dall‟attività didattica corrente
- materiali sviluppati appositamente per meglio individuare le difficoltà specifiche di quel
determinato soggetto.
Il percorso di rilevazione prevede alcuni momenti di conversazione individuale sollecitando una
comunicazione spontanea con l‟aiuto di illustrazioni piacevoli che rappresentano il vissuto
quotidiano del bambino.
Inserire nella conversazione inviti all‟azione e semplici domande personali per verificare le
capacità di comprensione orale.
Verificare che lo strumento linguistico sia veramente in grado di fornire dati utili per
individuare bisogni e per potere programmare gli interventi di aiuto più appropriati.
La diagnosi iniziale va riproposta in tempi diversi durante tutto il percorso di apprendimento. È
di maggiore rilevanza l‟analisi del processo nel suo evolversi nel tempo che non la semplice
diagnosi dello status quo, che non fa comprendere le dinamiche di cambiamento, gli ostacoli, le
accelerazioni e i rallentamenti.
Formulare le consegne in maniera chiara e semplice usando il più possibile linguaggi non
verbali.
Fin dall‟inizio del colloquio è consigliabile manifestare un ascolto autentico, partecipe, curioso,
di tipo empatico.
Evitare le valutazioni negative ed eccessivamente positive che possono inibire il bambino, e
attivare meccanismi di difesa che rendono difficile la comunicazione successiva.
E consigliabile rivolgere al bambino domande ben formulate, chiare e brevi e porre una
domanda per volta. E‟ bene che le domande non contengano termini ambigui o passibili di
interpretazione personale che implicano un modo individuale di intendere questi termini.
6.3 La valutazione degli alunni non madrelingua
L‟inserimento degli alunni non madrelingua ha sempre comportato evidenti problemi in merito alla
valutazione degli apprendimenti, sia per la mancanza di conoscenza dell‟italiano come lingua di
studio, sia per l‟inserimento in un percorso di studi già avviato e diverso da quello intrapreso nel
paese d‟origine, ma anche per i problemi di integrazione che spesso impediscono l‟instaurarsi di un
clima sereno.
L‟elaborazione di un percorso formativo non può che essere personalizzato, evitando di cadere in
generalizzazioni o in schemi validi per tutti.
Va posta sicuramente attenzione alla cultura di provenienza dei minori, ma anche alle capacità e alle
caratteristiche individuali di ciascuno di essi, dato che le differenze inter-individuali sono altrettanto
e forse anche più rilevanti di quelle inter-culturali (rischio degli „stereotipi‟).
Al momento del loro presentarsi a scuola i minori hanno già una loro storia culturale e differenti
condizioni maturate nel caso di pregresso soggiorno nel nostro Paese ( "si devono distinguere i
soggetti di recente immigrazione da quelli il cui arrivo è più remoto", ricordava la C.M. 301/89).
L‟art.115 del T.U, richiamando la Direttiva CEE n.77/486, precisa che per i figli di stranieri dei
Paesi della Comunità europea la "programmazione educativa deve comprendere apposite attività di
sostegno o di integrazione, in favore dei medesimi, al fine di :
- adattare l‟insegnamento delle lingua italiana e delle altre materie di studio alle loro specifiche
esigenze;
- promuovere l‟insegnamento della cultura del paese d‟origine coordinandolo con
l‟insegnamento delle materie obbligatorie comprese nel piano di studi.
NORMATIVA DI RIFERIMENTO
- D.P.R. N. 75 art. 4, 8, 10, 17 Regolamento per l‟autonomia didattica organizzativa e della ricerca
- C.M. 85/04 Indicazioni per la valutazione degli alunni e certificazione delle competenze
- Art.115,16 del T.U.
- D. L.vo n. 59/2004 art. 8 e 11
- Indicazioni nazionali per i piani di studio personalizzati
- Prontuario per la somministrazione delle prove INVALSI e relative circolari
CRITERI DI VALUTAZIONE DEGLI ALUNNI NON MADRELINGUA
L‟alunno deve essere valutato nelle discipline previste nel suo piano di studi personalizzato.
Per gli alunni non madrelingua che non sono in grado di seguire la programmazione di classe si deve
elaborare un piano di studi personalizzato nel quale siano indicati gli obiettivi di apprendimento che
saranno sviluppati e le relative metodologie didattiche per la semplificazione dei contenuti/testi.
Nel documento di valutazione si cercherà di valutare l‟alunno in tutte le discipline. Per il primo
quadrimestre solo in casi particolari , in cui vi sia l‟impossibilità di collegare l‟alunno ai contenuti
relativi a talune discipline , per valide motivazioni ( neo arrivato) si valuteranno solo le discipline
attinenti al suo piano di studi personalizzato e si riporterà la dicitura “ non valutabile” per quelle non
incluse nel suo PDP. Nel secondo quadrimestre in vista dello scrutinio finale ciascun docente per a
propria disciplina predisporrà una programmazione personalizzata al fine di poter valutare l‟alunno
in tutte le discipline , utilizzando anche testi facilitati.
Il giudizio sarà espresso in relazione agli obiettivi del PDP dell‟alunno. I giudizi esprimibili nel
documento i valutazione sono gli stessi previsti per gli altri alunni .
Gli alunni che hanno acquisito una competenza minima della lingua italiana possono seguire il Piano
di studi della classe con eventuali semplificazioni di contenuti e/o metodologie, pertanto verranno
valutati con gli stessi criteri degli alunni della classe.
7. GLI ALUNNI NON MADRELINGUA NELLA SCUOLA DELL’INFANZIA
In molti documenti europei (nel Libro Verde “Migrazione e mobilità: le sfide e le opportunità per i
sistemi di istruzione europei”, Commissione delle Comunità Europee 2008; nelle
“Raccomandazioni sulla scolarità dei figli degli immigrati ai Ministri dell’Istruzione Europei,
Commissione delle Comunità Europee 2009), l‟inserimento dei bambini figli di immigrati nella
scuola dell‟infanzia è ritenuto una delle priorità ai fini del processo di positiva integrazione.
E‟ importante accompagnare e promuovere il loro sviluppo linguistico fin dalla scuola dell’infanzia,
osservandone il cammino di acquisizione, dando risposta alle criticità, sollecitando la loro presa di
parola. Il tempo dell‟infanzia, fra zero e sei anni è infatti cruciale ai fini della competenza linguistica
e comunicativa. A questo proposito, un obiettivo prioritario è quello di promuovere e facilitare in
vario modo la frequenza della scuola dell‟infanzia da parte dei figli di immigrati. Per ragioni
soprattutto economiche, una parte consistente e crescente di bambini con background migratorio figli
di immigrati non frequenta la scuola dell‟infanzia, oppure lo fa in maniera saltuaria e ridotta. I
programmi educativi rivolti all‟infanzia, soprattutto a carattere linguistico, si rivelano cruciali ai fini
del futuro benessere di tutti, dal momento che le disparità osservate fra i più piccoli già a tre anni, in
termini di comprensione e produzione di lessico, sono significative e preoccupanti. Il divario iniziale
si attenua nel corso della scolarità, ma il gap rimane comunque importante e persiste nel tempo.
Un‟attenzione privilegiata deve essere inoltre data alla promozione delle pratiche narrative
quotidiane a casa e a scuola, sia in italiano che nelle lingue di origine, ai fini di uno sviluppo linguistico
positivo in situazione bilingue.
Investire sul futuro di tutti significa dunque investire prima di tutto sull’educazione dei bambini, di
tutti i bambini. Fin da piccoli, fin dai primi anni di vita. La ricchezza di input, l‟imitazione e la
pratica vengono ancora ritenute strategie di per sé sufficienti per l‟acquisizione di qualsiasi lingua
anche senza l‟adozione di particolari metodologie di insegnamento ma, invece, la full immersion
linguistica e culturale non è sufficiente da sola a garantire l‟apprendimento dell‟italiano L2 per i
bambini della fascia 0-6 anni. Quello delle strutture educative prescolastiche è effettivamente un
ambiente educativo molto ricco di input, un ambiente in cui i bambini non madrelingua realizzano
da subito, insieme allo sviluppo cognitivo, l‟apprendimento delle due lingue, lingua materna in
famiglia e l‟italiano nel servizio educativo. Qui i bambini imparano giocando i fondamenti stessi
della lingua, assimilano il gioco fonetico, le strutture grammaticali di base e il vocabolario, ma la
padronanza di una lingua è sempre legata alle esperienze vissute e quindi la “qualità”, oltre che alla
quantità di quelle esperienze, può fare la differenza. La scuola d‟infanzia è un ambiente in cui la
dimensione orale della lingua diviene una condizione fondamentale della comunicazione e dello
sviluppo del linguaggio, soprattutto per i bambini non madrelingua il cui input in lingua italiana è
spesso solo quello della scuola. Diventa quindi necessario sviluppare nuove strategie perché
l‟obiettivo dei servizi educativi per l‟infanzia è quello dello sviluppo dell‟identità personale del
bambino sotto il profilo corporeo, cognitivo, psicologico, affettivo ma anche linguistico. Il bambino
è al primo posto, con i suoi bisogni e interessi, le sue specifiche condizioni, la formazione di un
proprio autonomo stile di vita, e l‟inserimento dei bambini non madrelingua, soprattutto quelli di
seconda generazione, ha reso evidenti nuovi bisogni che si riferiscono alla formazione dell‟identità
culturale legata alla propria lingua d‟origine vista in relazione con lingua e modelli di vita
differenti. I bambini che frequentano le strutture educative prescolastiche si presentano così diversi
per cultura e per lingua, è più forte per gli insegnanti l‟esigenza di sviluppare nuove strategie
educative e riorganizzare i propri saperi e modalità didattiche. Modificare la didattica, le abitudini e
le prassi professionali, rimettere in discussione le certezze diventa quindi indispensabile per
soddisfare tutte le nuove esigenze sia degli alunni non madrelingua che degli autoctoni di fronte ad
una realtà segmentata come la comunità scuola.
7.1 Come intervenire con una programmazione didattica adeguata
Per prima cosa è necessaria una riflessione su come le insegnanti delle strutture educative per la
prima infanzia possano intervenire per garantire quella ricchezza strutturale e funzionale della lingua
italiana necessarie al futuro successo scolastico dei bambini stranieri. Come sostiene Cummins il
bambino deve attraversare due fasi di tipo linguistico e cognitivo ben distinte prima di accedere alla
scuola dell‟obbligo in cui avviene l‟accesso ai contenuti disciplinari: nella prima fase (BICS, Basic
Interpersonal Comunicative Skills) il bambino acquisisce le competenze comunicative di base nella
L2, competenze necessarie a soddisfare i propri bisogni e interagire con gli altri nelle situazioni di
vita quotidiana, strettamente legate al contesto e poco esigenti dal punto di vista cognitivo. Nella
seconda (CALP, Cognitive Academic Language Proficiency) deve invece sviluppare e far emergere
le proprie abilità logico-cognitive e una padronanza linguistico- comunicativa avanzata tali da
consentirgli di svolgere compiti cognitivi complessi che la scuola richiede, come studiare,
comprendere le lezioni scolastiche e leggere i libri di testo. L‟insegnante, quindi, non deve limitarsi
ai bisogni primari della comunicazione ma deve cercare di creare dimensioni dinamiche durante le
attività didattiche attraverso input linguistici e paralinguistici anche più complessi e variabili,
creando contesti di apprendimento interattivo e proponendo attività motivanti che creino nuovi
bisogni linguistici. La velocità con cui le lingue d‟origine perdono terreno a favore dell‟italiano
rende poi necessario un intervento di valorizzazione delle lingue materne per creare le condizioni
necessarie per lo sviluppo delle competenze bilingui dei bambini.
7.2 Il gioco come strumento di conoscenza
I servizi educativi per l‟infanzia si configurano come gli ambienti privilegiati per osservare e
promuovere lo sviluppo delle capacità comunicativo-linguistiche: il contesto motivante, la
presenza quotidiana e la possibilità di lavorare con il piccolo gruppo consentono all‟insegnante
di intraprendere un percorso didattico coerente, cioè che assicuri elementi quali la ripetizione, la
progressione, la sistematicità e la pertinenza. L‟impossibilità di mantenere l‟attenzione dei
bambini per un lungo tempo, a differenza di un pubblico più avanzato, rende necessario trovare
forme diverse per raggiungere lo stesso obiettivo. Occorre quindi proporre attività e giochi che
creino interesse, motivazione, coinvolgimento, e scegliere materiali che prevedano una gamma
di opportunità per sperimentare lingue e linguaggi in contesti che favoriscono e valorizzano la
creatività. Alla scuola d‟infanzia la ludicità, più che un metodo didattico, costituisce la modalità
di conoscenza del bambino che, attraverso il gioco fa esperienza dell‟ambiente, esplora e
comprende il mondo in un atteggiamento caratterizzato da libertà, gratuità, piacere, creatività,
manipolazione e sperimentazione. Il gioco, che costituisce lo sfondo per qualsiasi attività
didattica, consente al bambino non madrelingua di affrontare in un modo naturale e familiare
anche l‟apprendimento dell‟italiano L2 e di coinvolgere nel processo tutte le sue capacità.
L‟insegnante deve quindi incentrare la didattica sulla “persona” considerando le caratteristiche
particolari di questa tipologia di apprendenti:
• dare spazio alla dimensione operativa della lingua, cioè “far fare delle cose” ai bambini
usando la lingua che diventa uno strumento per l‟apprendimento;
• fare leva sui meccanismi di memoria implicita, proponendo un percorso di acquisizione
linguistica in cui la lingua svolge il ruolo di veicolo per la crescita complessiva del bambino
(cognitiva, culturale, sociale, semiotica, affettiva);
• coinvolgere il bambino in tutta la sua persona, attraverso stimolazioni neurosensoriali che
attivino più canali sensoriali, favorendo la formazione e la stabilizzazione di precisi canali
nervosi, e la fissazione delle informazioni nelle strutture della memoria implicita.
7.3 L’interazione in classe e il parlato modificato dell’insegnante
I servizi educativi rappresentano un contesto di apprendimento particolare: l‟interazione in classe,
dove è presente un‟intensa relazione affettiva tra l‟insegnante e i bambini, può essere caratterizzata
da modalità espressive tipiche dell‟interazione adulto/bambino (baby-talk) ma anche
dell‟interazione istituzionale asimmetrica scolastica, tipiche del rapporto tra docente e allievo
(teacher-talk). La presenza di bambini non madrelingua può caratterizzare, inoltre, la comunicazione
espressiva con strategie di adattamento linguistico tipiche dell‟interazione del nativo nei confronti
del non nativo (foreigner-talk). In queste strutture educative, in maniera completamente diversa
rispetto agli altri contesti scolastici, il parlato del docente e l‟input sonoro a cui sono esposti
contemporaneamente bambini italofoni e non, ha un ruolo determinante proprio perché, non potendo
avvalersi ancora del codice della scrittura piuttosto che fare una riflessione metalinguistica, tutto lo
sviluppo del linguaggio e l‟acquisizione di una o più lingue passa esclusivamente dall‟oralità e dalle
immagini. Si tratta di un‟oralità fortemente condizionata quindi dalle variabili diafasiche della
comunicazione, legata al contesto comunicativo e ai reciproci ruoli degli interlocutori; un‟oralità che
varia fra teacher-talk, foreigner-talk e baby talk, che si differenzia notevolmente a seconda della
situazione, dell‟attività svolta, della relazione affettiva tra adulto e bambino e delle capacità di
gestione della classe dell‟insegnante. L‟idea che le insegnanti dei servizi prescolastici usino
principalmente la varietà linguistica del baby talk è, a torto, ampiamente diffusa nella collettività ma
trova scarsi riscontri nella realtà. Questa varietà linguistica è usata piuttosto dai genitori, familiari in
genere o da adulti che occasionalmente si trovano a contatto con i bambini; le insegnanti considerano
i bambini piuttosto come interlocutori attivi nello scambio comunicativo perché prima che di
bambini si tratta di individui e sono solite rivolgersi a loro così come verso gli adulti in un rapporto
paritario e con modalità autentiche. Il ricorso al baby talk avviene nei momenti di intimità, in quelle
interazioni sociali nelle quali l‟attenzione si focalizza l‟uno sull‟altro, in un‟interazione faccia a
faccia che implica sguardi, contatti fisici, vocalizzazioni. Fin dalla scuola dell‟infanzia c‟è
l‟attenzione dell‟insegnante a non immobilizzare il bambino in una comunicazione costantemente
impoverita come può essere talvolta quella delle routine quotidiane o relegarlo sempre allo stesso
ruolo. L‟insegnante non si limita solo ai bisogni primari della comunicazione ma cerca di creare
dimensioni dinamiche durante le attività didattiche attraverso input linguistici e paralinguistici anche
più complessi e variabili, creando contesti di apprendimento interattivo e proponendo attività
motivanti che creino nuovi bisogni linguistici. Parlare al bambino durante le attività, sia di routine
sia didattiche, è essenziale per un migliore sviluppo del linguaggio e variare le situazioni di
interazione col bambino è determinante per rendergli familiari le diverse funzioni del linguaggio.
7.4 Esempi di attività:
Lettura ad alta voce di libri illustrati. La lettura ad alta voce di libri illustrati e di storie crea
l‟abitudine all‟ascolto, aumenta i tempi di attenzione, sviluppa la fantasia e contribuisce, oltre che
all‟amore per la lettura, allo sviluppo di una migliore capacità linguistica e all‟alfabetizzazione
visuale. La lettura dialogica, quella fatta ad alta voce con il bambino che ascolta e l‟adulto che legge,
influisce positivamente sulla vita relazionale e sullo sviluppo cognitivo migliorando le capacità e le
conoscenze, precursori del linguaggio recettivo ed espressivo. I libri permettono di nominare oggetti
e persone, interrogarsi su cause e effetti e avviare con i piccoli una conversazione sulle esperienze
quotidiane; un libro comunica attraverso una molteplicità di codici e l‟insegnante deve farsi
interprete della qualità della storia che racconta e del modo migliore per portare i diversi codici di
comunicazione al massimo livello. La lettura di un libro illustrato attraverso la verbalizzazione delle
immagini, propone al bambino un insieme coerente di frasi: parole e loro pronuncia fonetica, sintassi
grammaticale e concetti.
Giochi didattici: la tombola. La tombola è un gioco didattico (come puzzle e memory) che spinge a
concentrarsi sia sul processo per sviluppare correttamente l‟attività attraverso il rispetto delle regole,
sia sul risultato: il successo, il fare “tombola”, è uno dei motivi che spinge a giocare e che mantiene
alta la motivazione con l‟unico premio della soddisfazione finale dell‟aver vinto. Il gioco della
tombola può essere usato come tecnica per ripassare elementi acquisiti in precedenza o per acquisire
ed esercitare strutture linguistiche specifiche. La tombola è lo strumento che consente di sviluppare
la capacità rappresentativo-simbolica e di condividere con l‟adulto e i compagni i significati,
attraverso la descrizione e il commento dell‟insegnante degli elementi rappresentati nella tombola.
Attraverso la lettura “visiva” delle immagini e l‟attività di ascolto del parlato dell‟insegnante, i
bambini affinano le loro abilità di comprensione e applicheranno concetti e strutture linguistiche
proprie della lingua italiana fino a manifestare emozioni che successivamente riusciranno a
verbalizzare. Per i bambini di questa fascia d‟età il linguaggio verbale, infatti, non è più soltanto un
mezzo per esprimere desideri o tensioni o per stabilire con gli altri una forma iniziale di
comunicazione, ma diventa anche uno strumento indispensabile per lo sviluppo delle attività
percettive come, per esempio, una maggiore ricchezza di vocabolario che permette di vedere in modo
nuovo e più differenziato la realtà.
L’esplorazione attraverso i canali sensoriali: le spezie. L‟attenzione alla creatività si unisce alla
fiducia nella didattica esperienziale, nel learning by doing, che attraverso la manipolazione,
costruzione e realizzazione pratica coinvolge tutti i canali sensoriali, per passare poi gradualmente al
livello astratto della lingua. L‟attività di esplorazione attraverso l‟uso dei sistemi sensoriali, abilità
propedeutica ad ogni esperienza, risponde a molti bisogni dei bambini, stimola la loro creatività e
sviluppa le competenze. Il bambino è costantemente immerso in una realtà fatta di svariati stimoli
sensoriali (visivi, uditivi, tattili, olfattivi, gustativi) e l‟uso dei sistemi sensoriali funge da pilastro per
lo sviluppo cognitivo perché è toccando, osservando, ascoltando, gustando e annusando che il
bambino inizia ad esplorare ed a scoprire il mondo che lo circonda. Si tratta di un‟attività che
favorisce non solo la conoscenza e la sperimentazione dei materiali diversi che vengono proposti, ma
stimola la curiosità dei bambini che scoprono così di poter intervenire sul mondo modificandolo.
Simili esperienze didattiche favoriscono la capacità di esprimere sensazioni ed emozioni perché i
bambini, stimolati ad usare le mani e la bocca come strumenti di conoscenza della realtà e a toccare e
assaggiare materiali dalle consistenze insolite, sperimentano nell‟immediato il rapporto tra gesto e
segno, causa ed effetto. Nell‟apprendimento il bambino, infatti, attiverà tutti i canali sensoriali e potrà
meglio acquisire le parole se le assocerà ad oggetti concreti, odori, sapori, esperienze sensoriali,
rimanendo legato all‟interpretazione del mondo concreto.
7.5 Strategie didattiche per l’apprendimento dell’italiano L2
I bambini non madrelingua nelle scuole dell‟infanzia possono essere divisi in gruppi con
caratteristiche linguistiche differenti:
I bambini con interlingua basica
Sono ancora in una fase semi-silenziosa e di prime produzioni, caratterizzate dall‟uso di
parole/chiave, di termini passepartout che vengono loro in soccorso per denominare oggetti,
persone, luoghi … Le unità lessicali che sono ancora in numero limitato, sono per lo più fisse e
invariabili, mentre il verbo compare spesso all‟infinito. Gli enunciati non sono prodotti in
maniera autonoma, ma sono il risultato di una co-costruzione tra interlocutore e parlante.
I bambini con interlingua post-basica
Sono coloro che posseggono un‟ interlingua più evoluta e presentano maggiore autonomia nel
costruire le frasi . Le loro produzioni sono fluenti, pur se risultano comprensibili solo grazie al
contesto e alle immagini. Nelle frasi si notano inoltre molti tentativi e tracce di flessione; i verbi
sono espressi in tempi diversi: infinito, presente, passato prossimo, imperfetto; l‟ausiliare è
presente anche se non sempre nella forma adeguata. La maggiore differenza rispetto al gruppo
precedente consiste nell‟ampiezza lessicale e nello sviluppo grammaticale.
I bambini con interlingua avanzata
Questi bambini sono in grado di esprimersi in italiano in maniera pressoché simile ai
coetanei nativi. La differenza sostanziale rispetto al gruppo precedente sta nella maggiore
influenza narrativa e nella più sicura padronanza grammaticale: i nomi sono flessi per genere e
numero e vi è accordo nei sintagmi nominali tra articolo , nome e aggettivo. L‟espressione della
temporalità prevede l‟uso di verbi al presente, passato prossimo, imperfetto. Compaiono
inoltre le frasi subordinate: temporali , causali , relative. Il lessico è ampio e composto sia da
parole piene “referenziali” (nomi e azioni), che da termini espressivi (aggettivi).
7.6 Oltre l’apparenza
La suddivisione in tre gruppi dei bambini non madrelingua sulla base delle loro produzioni in
italiano è naturalmente orientativa, dal momento che le variabili individuali sono molteplici e i
confini fra gli stadi interlinguistici sono fluidi e porosi. Molti sono inoltre i fattori che entrano
in gioco in una situazione di osservazione che possono far sì che le produzioni siano più limitate
e ridotte di quanto non avvenga in una situazione spontanea e non ansiogena. Le timidezze dei
bambini,la presenza di un‟intervistatrice esterna, la situazione comunicativa inconsueta: tutti
fattori che giocano un ruolo importante.
Può tuttavia essere utile a delineare situazioni/tipo utili per poter orientare l‟osservazione e
l‟intervento didattico. L‟analisi delle parole e degli enunciati dei bimbi non madrelingua, a
partire da input e sollecitazioni comuni e controllati,così come i loro silenzi protratti nel tempo,
possono costituire un‟occasione importante e fornirci materiali ed esempi per riflettere sullo
sviluppo dell‟interlingua e poter agire promuovendo condizioni positive per l‟apprendimento
dell‟italiano. E‟ necessario andare oltre la cosiddetta “facciata linguistica” che i bambini
esibiscono, cioè la fluenza superficiale e immediata che connota il flusso orale, per poter
cogliere in maniera più mirata eventuali elementi di criticità, strutture linguistiche ancora non
interiorizzate, esitazioni lessicali. Tutti elementi che entreranno in gioco l‟anno successivo nel
momento dell‟italiano lingua scritta. Ci consentono anche, viceversa, di registrare il lavoro
incessante di costruzione della nuova lingua, tra regolarità ed eccezioni, tentativi più o meno
riusciti di applicare una regola,creatività e invenzioni .
Prendersi il tempo ogni tanto per capire che cosa sta succedendo lungo il tragitto
dell‟acquisizione della nuova lingua aiuta infatti a:
-cogliere le situazioni di silenzio e di difficoltà comunicativa di alcuni bambini e comprenderne
le cause. A questo proposito, si può notare che alcuni bambini non madrelingua riescono a
“sopravvivere” intere giornate in classe senza essere sollecitati dalle situazioni di interazione a
prendere la parola e senza che vi fosse la necessità di doverlo fare. Le attività quotidiane,
ripetute e trasparenti, che li coinvolgono all‟interno del grande gruppo, consentono loro di
rimanere silenziosi, pur partecipando e “facendo” insieme agli altri;
-capire a che punto si trova il bambino non madrelingua, in quale stadio di interlingua si
colloca, per poter proporre input linguistico adatto alla situazione: né troppo complesso perché
non sarebbe comprensibile; né troppo semplice perché non adatto ed efficace a far fare
all‟apprendente un passo avanti:
-cogliere le incertezze, le esitazioni , le eventuali difficoltà di articolazione e pronuncia ;
-rilevare quali sono le strutture grammaticali già acquisite e quelle che sono ancora incerte e che
chiedono di essere riprese e rinforzate;
-fotografare la situazione attuale e confrontarla in senso diacronico con le produzioni dello
stesso bambino raccolte qualche tempo prima e con quelle che raccoglieremo più avanti , per
registrarne i progressi e gli impacci persistenti.
Analizzando le produzioni dei bambini si possono cogliere i fattori che sembrano giocare un
ruolo positivo nell‟acquisizione della L2.
Fra questi :
I fattori individuali
- le caratteristiche di ogni bambino e l‟attitudine verso l‟apprendimento delle lingue;
- l‟inserimento precedente nell‟asilo nido;
- le caratteristiche e la tipologia della lingua materna;
- la situazione di bilinguismo
I fattori famigliari e sociali
- la presenza di fratelli e sorelle più grandi, già inseriti a scuola;
- la qualità e la quantità degli scambi in italiano nel tempo extrascolastico;
- un atteggiamento positivo della famiglia verso la seconda lingua;
- la disponibilità a casa di “beni linguistici” adatti ai bambini: testi illustrati, narrazioni,
racconti , immagini (in L1).
I fattori scolastici e di contesto
- un “clima” positivo in classe e buone interazioni fra bambini e fra adulti e bambini;
- la programmazione di attività quotidiane mirate allo sviluppo linguistico/alla narrazione
condotte anche in piccolo gruppo;
- la possibilità reale per ciascun bambino di prendere la parola e di essere destinatario di
messaggi diretti e personali ;
- il riconoscimento e la valorizzazione delle diverse lingue d‟origine e delle situazioni di
bilinguismo;
- l‟attenzione allo sviluppo della competenza narrativa da parte di tutti i bambini (spazio alla
narrazione; tempi dedicati ; presenza di libri, racconti, storie…)
Naturalmente sono questi ultimi fattori a riguardarci in maniera diretta perché su di essi possiamo
agire per creare nella scuola le condizioni migliori perché i bambini non madrelingua possano
apprendere l‟italiano di qualità e crescere bilingui.
7.7 Verso la scuola primaria
I bisogni linguistici degli alunni non madrelingua nati in Italia e che entrano nella scuola
primaria non sono, in genere, legati ai bisogni comunicativi di sopravvivenza e sono di
“secondo livello”. Proprio per questo risultano talvolta più difficili da cogliere e individuare.
Non si tratta più solo di trasmettere input per l‟acquisizione delle parole e strutture di base della
lingua per comunicare, ma di arricchire il loro vocabolario, curare la grammatica e la forma,
potenziare la capacità di espressione e di narrazione. Anche coloro che sono nati in Italia
necessitano di attenzioni e sollecitazioni didattiche per raggiungere i quattro obiettivi principali,
propri dell‟italiano L2 di “secondo livello” e che hanno a che fare con :
- la comunicazione quotidiana con interlocutori diversi e su temi differenti;
- l‟ingresso nella lingua scritta;
- la comunicazione scolastica;
- la lingua veicolare che trasmette saperi e contenuti disciplinari.
La questione dell‟integrazione scolastica, ovvero di una buona riuscita a scuola, è direttamente
collegata alla progressiva padronanza delle varietà dell‟italiano e dei discorsi disciplinari. Si
tratta di costruire, fra i discorsi quotidiani e informali e i discorsi più formali, delle forme
intermedie che possono via via condurre verso la formulazione di enunciati più “esperti” :
passaggi che possono assicurare percorsi di appropriazione e di costruzione di senso. Sostenere
dunque la costruzione di “interdiscorsi ”, simili agli stadi di interlingua individuati per la
comunicazione interpersonale, che muovano dalle forme quotidiane dell‟orale verso quelle dello
proprie dello scritto. I bambini stranieri ( e anche gli italiani ) devono essere resi precocemente
consapevoli della varietà dei discorsi e della loro maggiore o minore informalità/formalità, a
seconda delle situazioni e degli interlocutori. Per tale scopo , si possono proporre attività
diverse già nella scuola dell‟infanzia per lo sviluppo di competenze differenti.
Ecco alcuni esempi :
Sollecitare usi diversi della lingua orale:
- Tu mi detti, io scrivo… A partire dai più piccoli,si può chiedere di raccontare un fatto,un
evento, una storia, che l‟insegnante provvederà poi a mettere in forma scritta. La situazione di
dettatura sollecita i bambini a ricercare una forma più adeguata, ricca dal punto di vista
lessicale, esplicita rispetto ai soggetti, i personaggi ,le azioni. Li sollecita inoltre a confrontarsi
fra loro e a co-costruire gli enunciati scegliendo la forma più adatta.
- Uno stesso fatto raccontato ai compagni e presentato al telegiornale. Si invitano i bambini
non madrelingua a riferire un fatto, prima ai compagni, usando un linguaggio più informale e
concreto e poi a presentarlo nella rubrica della cronaca del telegiornale , curando la forma , la
successione cronologica , l‟accuratezza dei fatti.
Porre la narrazione al centro:
- Due storie al mese. La programmazione delle attività di sviluppo dell‟italiano L2 può prevedere
la presentazione di due storie al mese , scelte fra i testi narrativi più adatti - per forma , contenuto,
interesse, illustrazioni - all‟età e al livello linguistico dei bambini non madrelingua. Possono
essere scelte anche narrazioni in forma bilingue ,individuate fra quelle scritte nella lingua
d‟origine degli alunni non italofoni presenti in classe. L‟insegnante legge più volte ad alta voce la
storia , ne presenta le sequenze attraverso le illustrazioni; mette in evidenza i personaggi, gli
ambienti, le parole/chiave. Successivamente si chiede ai bambini di ascoltare e riascoltare il
racconto, mettere in ordine la storia,individuare i protagonisti e le scene/chiave; proporre i
dialoghi e le didascalie per ogni singola scena; ri-raccontare la storia, registrando le produzioni e
riascoltandole più e più volte .
- La descrizione. Al fine di arricchire il lessico, introdurre e far usare nuovi termini , rendere in
maniera efficace i personaggi ,le situazioni e gli stati d‟animo, vengono proposte ai bambini non
madrelingua attività di descrizione sulle “storie del mese” : come sono i protagonisti ;quali
caratteristiche hanno gli ambienti, come sono gli oggetti presenti nella storia.
- Racconti in scena. Per memorizzare i racconti e allenare i bambini a sviluppare sempre di più
la capacità di narrare, essi vengono sollecitati a “mettere in scena” le storie , ri- raccontandole ai
loro compagni più piccoli , alternando i dialoghi alla voce narrante, caratterizzando personaggi ,
scambiando le parti.
Prestare attenzione alla forma
- Album personali. I bambini raccolgono le fotografie e le immagini della loro giornata/tipo o di
un evento, un‟uscita, un‟esperienza, in album autobiografici. Concordano con l‟insegnante la
didascalia da scrivere per ogni fotografia (tu mi detti ; io scrivo ) così potranno “rileggere” il
loro album ripercorrendo i fatti sia al presente che al passato prossimo. Le immagini devono
rappresentare anche i loro compagni di classe, non so loro stessi, così che gli enunciati possano
prevedere l‟uso dei pronomi diversi singolari e plurali .
- Cerca le differenze. Per allenare i bambini a produrre i sintagmi nominali e a concordare gli
articoli, i nomi, gli aggettivi si possono proporre immagini quasi simili da confrontare fra di
loro. Prima il bambino individua le differenze e poi le verbalizza (ci sono due palloni verdi; c’è
un pallone verde e un pallone giallo …)
- Gioco dell’oca. I bambini preparano un grande gioco dell‟oca della classe, producendo ognuno
una casella sui temi scelti ( i nostri giochi , le paure , i sogni , gli animali , i cibi che ci
piacciono ….) e componendo poi le diverse caselle nel percorso del gioco. I bambini tirano i
dadi e quando vanno a finire nella casella devono raccontare, riferendo il tema a se stessi o agli
altri, collocandolo al presente o al passato.
Valorizzare le lingue d‟origine:
E‟ di fondamentale importanza conoscere la situazione linguistica dei bambini non
madrelingua. Quale lingua praticano a casa con i genitori e i famigliari? Quali scelte
linguistiche hanno fatto i genitori stranieri nei confronti dei loro figli? E come può la scuola
sostenere il bilinguismo dei piccoli nella situazione di immigrazione ?
La scelta di narrazioni bilingui consente di presentare a tutti i bambini la ricchezza delle
lingue, di dare visibilità a scritture e alfabeti diversi , di stimolare l‟apprendimento di alcune
parole nelle diverse lingue da parte di tutti i bambini . L‟ingresso a scuola delle mediatrici
linguistico-culturali e di alcuni genitori in qualità di narratori consente inoltre di valorizzare le
situazioni di bilinguismo dei bambini stranieri che sanno dare più parole al mondo.
7.8 IL CONSULENTE IN DIDATTICA L2 ALLA SCUOLA DELL’INFANZIA
Mese Responsabile Incarico
Settembre Dirigente Scolastico, docente referente
e/o consulente didattica L2
Proposta e spiegazione del
nuovo progetto territoriale
per gli alunni non
madrelingua
Ottobre Team docenti, Dirigente Scolastico,
consulente didattica L2 ed eventuali
mediatori linguistici
Incontro con genitori di
origine straniera per
illustrare il percorso nella
scuola dell‟infanzia
Da settembre a giugno Consulente didattica L2 Sportello di consulenza per
tutti i team docenti
Ottobre Coordinatore di classe, referente di
plesso
Rilevazione migranti
(allegato A)
Ottobre Team docenti Compilazione richiesta di
consulenza didattica L2
(allegato B)
Ottobre Consulente didattica L2 e/o docente di
classe
Osservazione e divisione
in gruppi degli alunni
segnalati dal team docenti
( anni 5) per futuri
laboratori l2
Novembre/Dicembre
Febbraio/marzo
Consulente didattica L2 o docente di
classe
Laboratori L2
Nel mese di settembre si svolgerà un incontro dove il Dirigente scolastico, il docente referente
degli alunni non madrelingua dell‟istituto e il consulente in didattica L2 espongono agli insegnanti
il nuovo protocollo per l‟inserimento e l‟inclusione in classe degli alunni non madrelingua.
A fine settembre, inizio ottobre, si organizzerà un incontro tra il Dirigente scolastico, il consulente
in didattica L2 , le docenti del plesso e tutti i genitori di alunni non madrelingua per illustrare il
percorso e le richieste della scuola dell‟infanzia.
Nel mese di ottobre ogni insegnante di sezione avrà il compito di completare l‟allegato A con la
presenza di alunni non madrelingua nella sua classe. Il modello compilato andrà consegnato in
formato digitale al referente d‟istituto degli alunni non madrelingua.
Quest‟ultimo invierà tutti i moduli compilati per mail a: [email protected] , affinché
tutti i dati delle scuole vengano inseriti in un database comune e si possa tenere monitorata la
presenza di alunni non madrelingua su base territoriale.
All‟inizio del mese di ottobre le docenti di tutte le classi, dovranno compilare ed inviare tramite
mail al consulente in didattica L2 la richiesta di consulenza per organizzare i laboratori L2.
Nel mese di ottobre, se necessario e in accordo con le docenti di classe, il consulente in didattica
L2 sarà presente nelle varie sezioni per osservare e valutare le competenze linguistiche dei
bambini di 5 anni.
Da settembre a giugno, sarà a disposizione uno sportello di consulenza didattica L2 per offrire
consulenza sulla didattica inclusiva.
Lo sportello di consulenza didattica L2 si inserisce in una progettualità più ampia che si pone
come finalità la prevenzione del disagio scolastico e il riconoscimento dei BiLS (Bisogni
Linguistici Specifico) nell‟ottica di una scuola inclusiva.
Gli obiettivi generali sono:
- Offrire ai docenti momenti di consulenza in merito a situazioni concrete che necessitano di interventi mirati (individuali e sistemici).
- Trasmettere ai docenti indicazioni relative a strumenti e metodologie facilitanti.
- Promuovere il confronto sulle diverse chiavi di lettura nell‟affrontare la didattica L2.
Gli obiettivi specifici sono:
AMBITO D‟
INTERVENTO
DESTINATARI FINALITA‟ ATTIVITA‟ PREVISTE
Svantaggio
linguistico
Bambini/e
segnalati dal
consiglio di
classe
Intervenire nelle situazioni
a “rischio” e di difficoltà
linguistica
1-Osservazioni mirate in base a
specifiche esigenze.
2-Colloqui con le insegnanti
per raccogliere informazioni
ulteriori.
Supporto di
consulenza
didattica L2 ai
docenti e
formazione
permanente
Insegnanti 1-Consentire momenti di
confronto e di riflessione
sulle modalità di interventi
didattici in rapporto ai
bisogni linguistici.
2-Acquisire strumenti
specifici di rilevazione e
osservazione
3-Tracciare percorsi mirati
di intervento
Sportello:
1-restituzione osservazioni
2-ricerca di strategie
glottodidattiche
3-trasmissione di strumenti
specifici
8. GLI ALUNNI NON MADRELINGUA NELLA SCUOLA PRIMARIA E
SECONDARIA DI 1^ GRADO
Dopo la delicata fase dell‟accoglienza, nella scuola primaria e secondaria, è necessario organizzare
l‟intervento linguistico. Prima di attivare delle modalità di lavoro, è indispensabile
prevedere fin dall‟inizio dell‟anno scolastico, oltre a percorsi di primo sostegno linguistico da
svolgere durante le attività curricolari in classe, l‟organizzazione di laboratori L2 a diversi livelli
(prima alfabetizzazione – intermedio 1 – intermedio 2) in orario curricolare, in base alle
competenze specifiche e alle situazioni comunicative reali di ciascun alunno non madrelingua.
I livelli possono essere divisi in tre gruppi:
- LIVELLO PRIMA ALFABETIZZAZIONE
È la fase della “prima emergenza” alla quale è necessario dare risposta in tempi brevi:
un pronto intervento linguistico per soddisfare il bisogno primario di comunicare con
compagni ed insegnanti: è la fase che riguarda l‟apprendimento dell‟italiano orale, della
lingua da usare nella vita quotidiana per esprimere bisogni e richieste, per capire ordini e
indicazioni.
- LIVELLO INTERMEDIO 1
È la fase dell’apprendimento della lingua orale e scritta non più rivolta alla sola
dimensione della vita quotidiana e delle interazioni di base, ma della lingua per narrare,
esprimere stati d‟animo, riferire esperienze personali, raccontare storie, desideri, progetti.
- LIVELLO INTERMEDIO 2
È la fase della lingua dello studio, dell‟apprendimento della lingua delle discipline,
dell‟italiano come lingua dello sviluppo cognitivo e mezzo di costruzione dei saperi. È
il percorso per la comprensione dei testi di studio, attraverso le fasi successive della:
semplificazione/comprensione/appropriazione/decontestualizzazione.
I percorsi di alfabetizzazione sono strutturati in accordo con gli insegnanti di classe e sono
adattabili “in itinere” in base alle esigenze dei singoli alunni e ai bisogni via via emergenti.
8.1 Prima emergenza
L’italiano per comunicare e per riuscire (dall‟osservatorio nazionale per l‟integrazione degli alunni
stranieri e per l‟intercultura , Favaro)
A proposito dei minori, la situazione di non italofonia al momento dell‟inserimento riguarda ancora una
parte significativa dei bambini e dei ragazzi di nazionalità non italiana, ma è diventata nel frattempo
minoritaria, dal momento che coloro che entrano nella scuola italiana subito dopo il loro arrivo dall‟estero
(i cosiddetti alunni NAI, neoarrivati in Italia) costituiscono oggi una piccola percentuale del totale degli
alunni non madrelingua e diminuiscono di anno in anno.
Per una parte degli alunni non madrelingua, l‟italiano rappresenta dunque sempre di più una lingua
adottiva piuttosto che una seconda lingua. Tuttavia anche i nati in Italia necessitano di attenzioni e
sollecitazioni didattiche per raggiungere i quattro obiettivi principali dell‟italiano di qualità.
E‟ dunque il tempo di allargare lo sguardo: da un lato, diffondere e qualificare l‟intervento didattico
specifico rivolto agli apprendenti non italofoni e, dall‟altro, accompagnare e sostenere lo sviluppo
linguistico degli alunni stranieri nati qui o inseriti da tempo, per consentire loro di narrare, descrivere,
definire, spiegare, riflettere sulla lingua, studiare e argomentare in maniera efficace.
8.2 Apprendimento della lingua orale e scritta
“OGNI BAMBINO E’ SINGOLARE E PLURALE”
Di Graziella Favaro in "A scuola nessuno è straniero" su come creare una scuola inclusiva.
Lo schema, elaborato da Graziella Favaro è molto puntuale e certamente orientativo per
un'organizzazione della didattica della lingua seconda.
L2 orale COMUNICARE - Comunicare negli scambi interpersonali di base.
- Arricchire il lessico, descrivere, narrare, comprendere messaggi e
prendere la parola in situazioni comunicative quotidiane e ricorrenti.
L2 scritta
LEGGERE – SCRIVERE
- Padroneggiare le tecniche di base della lettura-scrittura
(decodifica e trascrizione).
- Comprendere e produrre testi scritti.
L2 orale e
scritta
STUDIARE
- Comprendere testi e messaggi orali relativi alle diverse discipline
(consegne, spiegazioni, parole chiave, glossari, ecc.).
- Comprendere testi riferiti allo studio.
L2 orale e scritta
RIFLETTERE SULLA L2
- Usare in modo corretto le strutture della lingua.
- Riflettere sulle strutture (anche usando termini metalinguistici).
L2 orale e scritta
MANTENERE E
SVILUPPARE LA L1
- Mantenere e sviluppare le competenze nella lingua d‟origine
e/o di scolarità, orale e scritta.
8.3 La lingua per lo studio
Come viene bene evidenziato nel documento europeo 5/2014 del 2 aprile 2014 del Comitato dei Ministri
”Raccomandazione sull’importanza delle competenze nella(e) lingua(e) di scolarizzazione per l’equità e
la qualità nell’istruzione e per il successo scolastico”. Imparare la lingua dello studio richiede tempi
lunghi e conquiste cognitive importanti che vanno di pari passo con l‟acquisizione del nuovo codice, non
più solo ristretto alla comunicazione “qui e ora”. Richiede inoltre che tutti i docenti agiscano come
facilitatori di apprendimento. Apprendere l‟italiano per studiare comporta passaggi interlinguistici
successivi: dall‟informale al formale; dai messaggi contestualizzati e concreti all‟astrazione e
decontestualizzazione; dalla lingua immediata del “qui e ora” alle microlingue delle diverse aree
disciplinari. Tutti i docenti devono essere consapevoli del fatto che, nel momento in cui trasmettono i
contenuti disciplinari, essi trasmettono anche la microlingua della loro disciplina. E quindi agiscono,
sia come insegnanti della disciplina, sia come docenti di lingua dello studio coniugando la didattica
dell‟italiano L2 con la didattica dell‟insegnamento disciplinare.
L‟etichetta verbale “lingua per lo studio” sottolinea la necessità – ormai universalmente riconosciuta
dalla letteratura e dalla ricerca in campo glottodidattico – di distinguere tra l‟elaborazione linguistica
necessaria nella comunicazione faccia a faccia (“lingua per comunicare”) e quella richiesta nelle
situazioni scolastiche.
Nelle situazioni scolastiche, invece, prevale un tipo di comunicazione decontestualizzata (scrivere un
tema, ascoltare una lezione di scienze, eseguire delle consegne per svolgere un compito, leggere un testo
ecc.) (Favaro: 1999 e Tosi: 1995: 4.3 e 4.4). Se per acquisire la lingua per comunicare sono sufficienti
due, tre anni di esposizione alla lingua seconda, per apprendere la lingua astratta propria delle discipline
e della scuola, sono necessari più anni di esposizione per ottenere risultati pari a quelli degli allievi
madrelingua (Favaro: 1999: 123).
8.4 Progettazione, personalizzazione e valutazione del percorso didattico
In molti casi emergerà la necessità di ricorrere ad una programmazione specifica per gli alunni non
madrelingua (PDP) che non sono ancora in grado di seguire la programmazione curricolare prevista per
il resto della classe. Attraverso questi percorsi personalizzati si dovrà cercare di portare l‟alunno a
migliorare le sue competenze rispetto all‟italiano legato alla vita scolastica per avviarlo e prepararlo a
quello che sarà il passo successivo cioè dello studio.
OBIETTIVO: L‟AUTONOMIA NELL‟APPRENDIMENTO
Le competenze legate allo studio in italiano richiedono percorsi strutturati e mirati e azioni di rinforzo e
di facilitazione; e l‟acquisizione dei mezzi e delle strategie di studio costituisce una tappa fondamentale
di tale percorso, che ha come meta la padronanza della lingua e dei contenuti microdisciplinari. Ed è a
tale tappa che in particolare va riconosciuta all‟interno del percorso di studi la maggiore attenzione da
parte dei docenti, non solo per gli studenti non madrelingua, ma per questi ultimi a maggior ragione.
Senza la maturazione di strategie di studio adeguate alla comprensione e all‟analisi della lingua e dei
contenuti microlinguistici da essa veicolati, non vi può essere progresso verso l‟autonomia
nell‟apprendimento, ultimo obiettivo dell‟azione didattica.
Infatti, è proprio attraverso percorsi didattici che hanno come obiettivo l‟acquisizione di strategie
metacognitive di autoregolazione, che è possibile soddisfare il bisogno di autonomia e quello di
competenza, due dei tre bisogni che, se soddisfatti, concorrono al benessere dell‟individuo, secondo la
teoria dell‟autodeterminazione di Deci e Ryan (Deci e Ryan: 1985).
Il comportamento rivolto all‟obiettivo richiede dunque, tra l‟altro, che l‟allievo impari ad adottare
strategie di autoregolazione via via sempre più raffinate e perfezionate, che gli consentano di valutare
e utilizzare al meglio le risorse di cui dispone per raggiungere obiettivi di padronanza. Il processo di
interiorizzazione di regole, procedure e comportamenti - che sta alla base del processo attraverso cui un
comportamento regolato dall‟esterno può, via via nel corso del tempo, divenire sempre più autonomo e
autodeterminato - fa sì che vengano esauditi proprio quei bisogni di cui parlano Deci e Ryan;
attraverso le diverse forme di interiorizzazione di regole, procedure e comportamenti l‟uomo si libera
infatti dal controllo esterno, divenendo indipendente nello svolgimento delle sue attività, nonché abile
e competente nel gestire compiti sempre più complessi.
Prima di entrare dunque nel merito della lingua e dei contenuti microdisciplinari, il docente ha il
compito di verificare il livello di padronanza di tali abilità, e di approntare dei percorsi ad hoc per
facilitarne l‟apprendimento. Come indicato da G. Favaro (cfr. Grassi, 2003: cap.1), gli obiettivi della
fase “ponte”, hanno a che fare con lo l‟acquisizione di tre componenti:
- I contenuti del curricolo proprie della classe di inserimento, selezionando per ciascuna disciplina i
concetti chiave, quelli epistemologicamente fondanti, e valorizzando concetti e saperi già acquisiti in
L1, che devono costituire dei punti di ancoraggio per lo sviluppo e l‟ampliamento dei concetti da
apprendere.
- Le competenze linguistiche in L2 (lessico, strutture, sintassi…), il cui apprendimento, cognitivamente
impegnativo, va supportato tramite strategie e tecniche didattiche che ne
facilitino la comprensione (uso di supporti non linguistici presenti nel paratesto, ridondanza delle
informazioni, operatività…).
- Le strategie di apprendimento, cioè imparare ad imparare.
METODOLOGIE E TECNICHE DIDATTICHE
Da quanto detto, emerge dunque che le tecniche di facilitazione da utilizzare nell‟ambito della didattica
della L2 per lo studio richiedono che si intervenga:
- sulla lingua dei testi disciplinari, tramite tecniche quali la semplificazione, l‟integrazione e la
riscrittura;
- sui contenuti, tramite una loro distillazione;
- sulla metodologia, prediligendo una didattica cooperativa, esperienziale, ludica che consenta la
creazione di un clima collaborativo, l‟esposizione ad input non troppo slegati dal contesto, l‟uso della
multimedialità (Mezzadri: 2003: capp.3,4,13,14), anche allo scopo di abbassare il filtro affettivo e
sostenere la motivazione dell‟alunno;
oltre ai processi cognitivi che presiedono all‟organizzazione dell‟informazione, anche la motivazione e le
emozioni sono fattori imprescindibili nei processi di acquisizione. E dunque un contesto motivante così
come la proposta di input comprensibili e adeguati al livello di sviluppo del discente, sono fattori che
favoriscono l‟attivazione dei processi mnestici implicati nell‟acquisizione linguistica.
VALUTAZIONE
La valutazione degli studenti stranieri, come definiti dall‟articolo 2 del decreto del Presidente della
Provincia 27 marzio 2008, n. 8-115/Leg (Regolamento per l‟inserimento e l‟integrazione degli studenti
stranieri nel sistema scolastico ed educativo provinciale (articolo 75 della legge provinciale 7 agosto
2006, n. 5) deve tener conto della necessaria coerenza con l’eventuale percorso didattico
personalizzato, previsto dall’articolo 10 del decreto medesimo, e con gli elementi valutativi
acquisiti.”
8.5 IL CONSULENTE IN DIDATTICA L2 NELLA SCUOLA PRIMARIA
Mese Responsabile Incarico
Settembre Dirigente scolastico, docente referente e
consulente didattica L2
Proposta e spiegazione del
nuovo progetto territoriale
per gli alunni non
madrelingua
Da settembre a giugno Consulente didattica L2 Sportello di consulenza per
tutti i team docenti
Ottobre Coordinatore/docente di classe, Rilevazione alunni non
madrelingua (allegato A)
Ottobre Team docenti Compilare richiesta di
consulenza didattica L2
(allegato B)
Da novembre Consulente didattica L2 Eventuale
somministrazione test
CISL ad alunni segnalati
dal team docenti nella
richiesta di consulenza
Ottobre Team docenti classi 1^, dirigente
scolastico, consulente didattico ed
eventuali mediatori linguistici
Incontro con genitori di
origine straniera per
conoscenza della nuova
realtà scolastica.
Novembre/Dicembre
Febbraio/marzo
Consulente didattica L2 o docente di
classe
Laboratori L2
Maggio Consulente didattica L2 Somministrazione test
CILS per certificare la
competenza linguistica in
uscita dal primo ciclo, con
passaggio competenze ai
docenti della scuola
secondaria
Nel mese di settembre si svolgerà un incontro dove il Dirigente scolastico, la docente referente degli
alunni non madrelingua dell‟istituto e il consulente in didattica L2 espongono agli insegnanti il
nuovo protocollo per l‟inserimento e l‟inclusione in classe degli alunni non madrelingua.
Nel mese di ottobre un insegnante di classe avrà il compito di completare l‟allegato A con la
presenza di alunni non madrelingua nella sua classe. Il modello compilato andrà consegnato in
formato digitale al referente d‟istituto degli alunni non madrelingua.
Quest‟ultimo invierà tutti i moduli compilati per mail a: [email protected] , affinché tutti i
dati delle scuole vengano inseriti in un database comune e si possa tenere monitorata la presenza di
alunni non madrelingua su base territoriale.
Nel mese di ottobre il team docenti, di tutte le classi, dovrà compilare ed inviare tramite mail al
consulente in didattica L2 la richiesta di consulenza per organizzare i laboratori L2.
A partire dal mese di novembre il consulente in didattica L2, se necessario e se richiesto dai docenti,
somministrerà a tutti gli alunni non madrelingua segnalati nella richiesta di consulenza, il “test
CILS” livello A2, profilo BAMBINI per accertarne le competenze linguistiche.
Nel mese di maggio a tutti gli studenti non madrelingua delle classi 5^ verrà somministrato il test
CILS livello A2/B1, profilo BAMBINI per accertare le competenze linguistiche in uscita e riportare
i risultati anche ai docenti della scuola secondaria di 1^ grado al fine di formare delle classi il più
possibile equilibrate.
A partire da novembre, saranno predisposti Laboratori L2, in base ai bisogni emersi dalle richieste di
consulenza, tali laboratori potranno essere attivati dai docenti di classe attraverso le ore del forte
flusso migratorio oppure dal consulente in didattica L2.
Da settembre a giugno, sarà a disposizione uno sportello di consulenza didattica L2 per offrire
consulenza sulla didattica inclusiva e per intervenire in merito alla documentazione per alunni con
BES e svantaggi linguistici.
Lo sportello di consulenza didattica L2 si inserisce in una progettualità più ampia che si pone come
finalità la prevenzione del disagio scolastico e il riconoscimento dei Bisogni Linguistici Specifici
(BiLS), nell‟ottica di una scuola inclusiva.
Gli obiettivi generali sono:
- Offrire ai docenti momenti di consulenza in merito a situazioni concrete che necessitano di interventi mirati (individuali e sistemici).
- Trasmettere ai docenti indicazioni relative a strumenti e metodologie facilitanti.
- Promuovere il confronto sulle diverse chiavi di lettura nell‟affrontare la didattica L2.
Gli obiettivi specifici sono:
AMBITO DI
INTERVENTO
DESTINATARI FINALITA‟ ATTIVITA‟ PREVISTE
Svantaggio
linguistico
Ragazzi/e
segnalati dal
consiglio di
classe
Intervenire nelle
situazioni a “rischio” e
di difficoltà linguistica
1-Osservazioni mirate in base
a specifiche esigenze.
2-Colloqui con le insegnanti
per raccogliere informazioni
ulteriori.
Supporto di
consulenza
didattica L2 ai
docenti e
formazione
permanente
Insegnanti 1-Consentire momenti
di confronto e di
riflessione sulle
modalità di interventi
didattici in rapporto ai
bisogni linguistici.
2-Acquisire strumenti
specifici di rilevazione
e osservazione
3-Tracciare percorsi
mirati di intervento
Sportello:
1-restituzione osservazioni
2-ricerca di strategie
glottodidattiche
3-trasmissione di strumenti
specifici.
4-eventuale supporto nella
realizzazione di PDP.
4- Affiancare i docenti nella produzione di
materiale ad hoc.
8.6 IL CONSULENTE IN DIDATTICA L2 NELLA SCUOLA SECONDARIA DI 1^ GRADO
Mese Responsabile Incarico
Settembre Dirigente Scolastico, docente referente
e/o consulente didattica L2
Proposta e spiegazione del
nuovo progetto territoriale
per gli alunni non
madrelingua
Da settembre a giugno Consulente didattica L2 Sportello di consulenza per
tutti i team docenti
Ottobre Coordinatore di classe, referente
d‟istituto
Rilevazione alunni non
madrelingua (allegato A)
Ottobre Consulente didattica L2 Possibile
somministrazione test
CISL ad alunni segnalati
dal team docenti nella
richiesta di consulenza
Ottobre Team docenti Compilare richiesta di
consulenza didattica L2
(allegato B)
Novembre/Dicembre
Febbraio/marzo
Consulente didattica L2 e/o docente di
classe
Laboratori L2
Maggio/giugno Consulente didattica L2 Aiuto nella stesura e
nell‟elaborazione orale
della tesina in vista
dell‟esame di stato
Gennaio Team docenti, dirigente scolastico,
consulente didattico ed eventuali
mediatori linguistici
Incontro con genitori di
origine straniera per
orientamento
Aprile/maggio Consulente didattica L2 Somministrazione test
CISL agli alunni di 3^
media per il passaggio di
informazioni ai futuri
insegnanti degli istituti
superiori
Nel mese di settembre si svolgerà un incontro dove il Dirigente scolastico, la docente referente degli
alunni non madrelingua dell‟istituto e il consulente in didattica L2 espongono agli insegnanti il
nuovo protocollo per l‟inserimento e l‟inclusione in classe degli alunni non madrelingua.
Nel mese di ottobre ogni coordinatore di classe avrà il compito di completare l‟allegato A con la
presenza di alunni non madrelingua nella sua classe. Il modello compilato andrà consegnato in
formato digitale al referente d‟istituto degli alunni non madrelingua.
Quest‟ultimo invierà tutti i moduli compilati per mail a: [email protected] , affinché tutti i
dati delle scuole vengano inseriti in un database comune e si possa tenere monitorata la presenza di
alunni non madrelingua su base territoriale.
Nel mese di ottobre il consiglio di classe, di tutte le classi, dovrà compilare ed inviare tramite mail al
consulente in didattica L2 la richiesta di consulenza per organizzare i laboratori L2.
A partire da novembre, saranno predisposti Laboratori L2, in base ai bisogni emersi dalle richieste di
consulenza in didattica L2, gestiti dai docenti di classe in collaborazione coi consulenti didattica L2,
oppure dagli stessi consulenti.
Nel mese di gennaio ci sarà un incontro tra il team docenti che si occupa di orientamento, il Dirigente
Scolastico il mediatore linguistico-culturale, per spiegare e supportare le famiglie di origine straniera
nella scelta adeguata per la scuola secondaria di 2^grado.
Nei mesi di aprile/maggio il consulente in didattica L2 somministrerà a tutti gli alunni non
madrelingua della classe 3^ media il “test CILS” livello B1, profilo ADOLESCENTI, per accertare
le competenze linguistiche in uscita dalla scuola secondaria di primo grado e trasmetterle ai futuri
insegnanti delle scuole secondarie di secondo grado.
Nei mesi di maggio e giugno, il consulente in didattica L2, svolgerà dei laboratori L2 con gli alunni
di classe 3^, per sostenerli nell‟elaborazione della tesina in vista dell‟esame di stato.
Da settembre a giugno, sarà a disposizione uno sportello di consulenza didattica L2 per offrire
consulenza sulla didattica inclusiva e per intervenire in merito alla documentazione per alunni con
BES e svantaggi linguistici.
Lo sportello di consulenza didattica L2 si inserisce in una progettualità più ampia che si pone come
finalità la prevenzione del disagio scolastico e il riconoscimento dei Bisogni Linguistici Specifici
(BiLS), nell‟ottica di una scuola inclusiva.
Gli obiettivi generali sono:
- Offrire ai docenti momenti di consulenza in merito a situazioni concrete che necessitano di interventi mirati (individuali e sistemici).
- Trasmettere ai docenti indicazioni relative a strumenti e metodologie facilitanti.
- Promuovere il confronto sulle diverse chiavi di lettura nell‟affrontare la didattica L2.
Gli obiettivi specifici sono:
AMBITO D‟
INTERVENTO
DESTINATARI FINALITA‟ ATTIVITA‟ PREVISTE
Svantaggio
linguistico
Ragazzi/e
segnalati dal
consiglio di
classe/team
docenti
Intervenire nelle
situazioni a “rischio” e
di difficoltà linguistica
1-Osservazioni mirate in base
a specifiche esigenze.
2-Colloqui con le insegnanti
per raccogliere informazioni
ulteriori.
Supporto di
consulenza
didattica L2 ai
docenti e
formazione
permanente
Docenti 1-Consentire momenti
di confronto e di
riflessione sulle
modalità di interventi
didattici in rapporto ai
bisogni linguistici.
2-Acquisire strumenti
specifici di rilevazione
e osservazione.
3-Tracciare percorsi
mirati di intervento.
4- Affiancare i docenti
nella produzione di
materiale ad hoc.
Sportello:
1-restituzione osservazioni
2-ricerca di strategie
glottodidattiche
3-trasmissione di strumenti
specifici
4- eventuale supporto nella
realizzazione del PDP.
9. GLI ALUNNI NON MADRELINGUA NELLA SCUOLA SECONDARIA DI 2^ GRADO
PARTE 1^ - ANALISI DELLA SITUAZIONE INIZIALE
La scolarità pregressa
a- Studente NAI ( 0-2 anni in Italia)
b- Studente da tre a cinque anni in Italia
c- Studente nato/scolarizzato in Italia
PARTE 2^ - L‟ADATTAMENTO DEI PROGRAMMI E DEI METODI
La conduzione della lezione in classe
La scelta del metodo di lavoro
Le verifiche
La comprensibilità dei testi
La valutazione
Come semplificare lo scritto
9.1 PARTE 1^: ANALISI DELLA SITUAZIONE INIZIALE
LA SCOLARITA’ PREGRESSA
a- STUDENTE NAI, DA 0 A 2 ANNI IN ITALIA (NAI:Neo Arrivato in Italia)
COMPETENZE LINGUISTICHE:
Nessuna o scarsa competenza nelle diverse funzioni linguistiche orali/scritte in italiano ( livello A1)
Buona conoscenza della lingua materna, delle eventuali altre lingue parlate in casa e nel paese
d‟origine.
Conoscenza delle lingue apprese nella scuola del paese d‟origine.
NECESSITA’:
Lo studente ha la necessità di raggiungere la competenza del livello A2 del framework europeo. I
tempi dipendono da molti fattori, come il tipo di lingua praticata, la possibilità di parlare italiano in
altri contesti.
Il livello A2, tuttavia, non garantisce ancora prestazioni adeguate alle richieste della scuola superiore.
Lo studente infatti presenta difficoltà nel sostenere un monologo, un‟interrogazione, stendere una
relazione compiuta.
Si rende quindi necessario un secondo livello di intervento da parte della scuola, per garantire l‟uso
indipendente della lingua italiana, al livello B1, per ottenere il quale possono servire diversi anni.
Egli inoltre ha la necessità di orientarsi rispetto al metodo di studio e alla strutturazione generale
richiesti dalla scuola (studio e compiti a casa – compiti in classe – eventuali stage esterni – ora di
religione...).
COSA E’ OPPORTUNO FARE:
- CONTATTARE LA FAMIGLIA
Per verificare se hanno scelto la scuola giusta rispetto alle loro aspettative/possibilità/progetto
migratorio (importante il supporto del mediatore l.c.).
Succede a volte che i genitori inseriscano i ragazzi alla scuola superiore con il desiderio che
apprendano in fretta la lingua italiana e che proseguano l‟indirizzo di studi appena lasciato, ma senza
avere una chiara consapevolezza delle reali difficoltà che il figlio/a potràincontrare.
A volte l‟investimento sul figlio/a può essere sovrastimato rispetto alle reali possibilità di
quest‟ultimo/a di farcela, ma servire come conferma della riuscita del progetto migratorio, mentre le
frustrazioni vissute dal ragazzo/a possono venire, al contrario, sottostimate.
L‟abbandono degli studi può essere metabolizzato dalla famiglia attraverso la rassegnazione ad un
destino di scarso successo a cui sarebbero destinati gli immigrati nei paesi d‟accoglienza o in vista di
un posto di lavoro: tutto questo non facilita il superamento di ostacoli, di natura emotiva o logistica,
che lo studente sta incontrando.
Occorre spendere tempo ed energie per spiegare il tipo di impegno richiesto nello studio (a volte
gli studenti a casa si occupano direttamente dell‟andamento familiare e non trovano tempo,
concentrazione e spazi necessari allo studio – oppure presso altri sistemi scolastici l‟impegno richiesto
è diverso o si esaurisce quasi tutto nel tempo scuola).
E‟ necessario presentare il funzionamento e le iniziative della scuola, comprese quelle a favore dei
migranti, i diritti e doveri.
- VALUTARE LA SCOLARITA’ PREGRESSA E I PRE-REQUISITI DISCIPLINARI
Mai dare per scontato che a parità di corso di studi e di anno scolastico corrispondano le competenze, i
contenuti e i metodi. Il mediatore può aiutarci ad individuare, almeno a grandi linee, i saperi acquisiti
e le eventuali aree critiche.
I saperi acquisiti, se superiori a quelli richiesti (o diversi, come ad esempio il possesso di una lingua
non insegnata nell‟istituto, un‟abilità particolare, come una competenza musicale, motoria…),
andranno a confluire nel sistema dei crediti e comunque potranno essere utilizzati per valorizzare lo
studente, la sua cultura e lingua d‟origine, per sostenere la motivazione allo studio.
- ALFABETIZZARE
E‟ indispensabile organizzare corsi di prima alfabetizzazione inseriti nell‟orario curricolare dello
studente, condotti da personale interno alla scuola o esterno, opportunamente formato.
Non è pensabile aspettare i tempi e i modi dell‟alfabetizzazione spontanea.
Per tutti questi passaggi, è necessario darsi dei tempi per le prime osservazioni, dopo aver stabilito
nella propria disciplina quali siano i pre-requisiti di base necessari per affrontare il programma
dell‟anno.
Si raccomanda la collaborazione con il mediatore linguistico culturale (al quale vanno dati
orientamenti precisi e fatte richieste molto chiare, perché non è un insegnante e non ha, nella maggior
parte dei casi, frequentato la scuola in Italia).
b- STUDENTE DA DUE A CINQUE/SETTE ANNI IN ITALIA
COMPETENZE LINGUISTICHE:
Conserva la conoscenza della lingua materna, delle eventuali altre lingue parlate in casa e nel paese
d‟origine.
Con ogni probabilità, se è stato regolarmente scolarizzato nel paese d‟origine ed in Italia, la sua
competenza nella lingua italiana si colloca tra il livello A2 e B1 del framework europeo.
La correttezza ed ampiezza della conoscenza dipende da numerosi fattori, tra cui riveste particolare
importanza il tipo di insegnamento ricevuto nella scuola italiana da cui proviene (ma non solo:
l‟apprendimento scolastico nella migrazione dipende da variabili diverse, alcune delle quali
indipendenti dalla scuola).
La lingua italiana può presentare delle “fossilizzazioni”, ovvero apprendimenti sbagliati che si sono
fissati nella memoria, e che vanno corretti con molti esercizi di ripetizione.
Un alunno migrante può parlare un italiano fluente ma avere grossi limiti nel pensiero alfabetizzato,
se ha ricevuto un‟alfabetizzazione parziale o superficiale (la scuola superiore raccoglie “il testimone”
passato dalla scuola media e ne eredita pregi e difetti).
NECESSITA’:
Lo studente ha la necessità di arrivare ad un uso indipendente della lingua (pieno possesso del livello
B1 del framework europeo – al livello B2 si accede all‟Università; per arrivarci occorrono dai 2 ai 5
anni di studio e una adeguata pratica della lingua italiana).
Necessita dell‟acquisizione di competenze nella lingua delle discipline (a livello lessicale/concettuale
e nei pre-requisiti di base).
COSA E’ OPPORTUNO FARE:
- VERIFICARE
Tramite appositi test il livello la competenza linguistica posseduta nelle diverse funzioni ed abilità.
- PRENDERE VISIONE
Del giudizio degli insegnanti italiani, ed eventualmente mettersi in contatto direttamente con loro, per
avere una serie di notizie utili sugli apprendimenti, la preparazione raggiunta dallo studente ed anche
per sapere quale tipo di alfabetizzazione sia stata proposta nella scuola.
- INSEGNARE LA LINGUA ITALIANA
Per portare lo studente al livello adeguato.
- LAVORARE SULLA LINGUA DELLO STUDIO
In classe ed in tutte le discipline, rendendo comprensibili la lezione ed i testi scritti;
Nei laboratorio l2. E‟ importante sapere che questo è il passaggio più delicato: si impara a ragionare in
L2 con la lingua astratta delle discipline; un insuccesso a questo livello, compromette la prosecuzione
degli studi.
- ADATTARE I PROGRAMMI DI STUDIO
Per il periodo necessario, semplificando linguisticamente i testi. Organizzando verifiche orali e scritte
adeguate all‟alunno/a.
- SOSTENERE L’ALUNNO E LA FAMIGLIA
Di fronte alle difficoltà incontrate, la famiglia migrante spesso non si capacita delle ragioni di una
valutazione negativa della scuola sulle competenze linguistico/disciplinari, quando il ragazzo/a in
realtà fa da interprete ai genitori stessi e si mostra molto motivato ed impegnato verso lo studio;
spesso svolge un ruolo di responsabilità in casa ed è visto come un adulto o quasi rispetto alla capacità
di auto-gestione dei propri doveri. E‟ molto utile il supporto del mediatore linguistico culturale.
Lo studente migrante ha bisogno di instaurare un rapporto positivo con l‟adulto e deve sentirsi seguito
ed incoraggiato.
Va curato anche l‟inserimento nel gruppo dei pari (questo vale per ogni ragazzo non madrelingua,
indipendentemente dall‟uso della lingua italiana, con sfumature diverse dipendenti dal tempo trascorso
in Italia).
c- STUDENTE NATO/SCOLARIZZATO IN ITALIA
COMPETENZE LINGUISTICHE:
Non è automatico che chi è stato scolarizzato completamente o quasi in Italia abbia conseguito una
preparazione pari a quella di un autoctono. Possono infatti verificarsi difficoltà nell‟apprendimento e
nelle prestazioni, perché molto spesso la lingua italiana è stata appresa fin da bambini in maniera
decontestualizzata culturalmente, ovvero non c‟è stata la possibilità di radicarla nell‟esperienza diretta
o non è stato possibile riferirla al vissuto personale, familiare o sociale. Inoltre può verificarsi,
soprattutto in questa tipologia di studenti, la scarsa conoscenza della lingua materna, senza il cui pieno
possesso non si apprende bene nessun‟altra lingua (semilinguismo).
Una buona prospettiva di successo scolastico si ha in presenza di un completo bilinguismo e di
un‟intelligenza emotiva ben sviluppata, che abbia quindi fatto i conti (nel caso specifico) con il
superamento del trauma migratorio, con condizioni familiari ed ambientali equilibrate.
Succede che bambini migranti che fino alla scuola elementare e, parzialmente, alla media “andavano
bene”, mostrino i primi segni di cedimento di fronte all‟accresciuta richiesta di operazioni astratte, le
quali sono possibili soltanto in presenza di uno sviluppo linguistico adeguato nel ragionamento e nel
possesso lessicale.
Si deve inoltre tener conto che la scuola italiana, storicamente monoculturale, nei programmi ed ancor
più nel parlato e nell‟agito quotidiano, fa riferimento a conoscenze ed impliciti socio-culturali dati per
scontati per un autoctono (impliciti che più spesso si rivelano nell‟uso metaforico della lingua, nei
linguaggi specialistici, in riferimenti a situazioni ed ambiti esperienziali tipici di un ragazzo/a medio
italiano).
NECESSITA’:
Va controllato il livello della lingua italiana posseduta ed eventualmente integrato attraverso laboratori
L2 e facilitazioni linguistiche all‟interno della classe.
COSA E’ OPPORTUNO FARE:
- SOSTENERE IL PROCESSO DI APPRENDIMENTO
Avendo cura di verificare se l‟eventuale insuccesso o difficoltà dipendano dai fattori sopra esposti o
da una vera demotivazione allo studio.
Predisporre recuperi disciplinari.
- DEDICARE DELLO SPAZIO INDIVIDUALE
Alla relazione docente/allievo per chiarire eventuali problemi.
9.2 PARTE 2^ : L’ADATTAMENTO DEI PROGRAMMI E DEI METODI
La scuola superiore è strettamente vincolata allo svolgimento dei programmi, e segue “tabelle di
marcia” piuttosto rigorose. Questa caratteristica rende problematica la necessaria individualizzazione
dei percorsi, come è più volte indicato nella normativa scolastica vigente (è quanto, ad es.,
raccomanda il D.P.R. 394/99, riportato in appendice).
Il rischio di “perdere” l‟alunno/a non madrelingua è alto. Egli/la infatti presenta degli elementi critici
che possono creare frustrazione e demotivazione irreversibili.
Tuttavia il suo desiderio di riuscita è molto forte, sia per l‟investimento familiare, sia per la
motivazione assolutamente autonoma di trovare un buon inserimento personale nella società italiana.
Questo fattore può a sua volta sostenere l‟insegnante nell‟impresa, non certo facile, di adattare il
proprio metodo di lavoro alle nuove esigenze.
COSA E’ OPPORTUNO FARE:
Non si tratta di rallentare o cambiare la “tabella di marcia” prevista fin dall‟inizio dell‟a.sc. (anche se
è raccomandabile una revisione dei curricula in chiave multiculturale e l‟introduzione di attività
interculturali rivolte a tutta la classe, indipendentemente dalla presenza di alunni/e stranieri).
Occorre invece introdurre delle attenzioni particolari al modo di
condurre la lezione, di interrogare, di assegnare i testi di studio, di relazionarsi con lo studente;
occorre inserire nel suo curriculum attività mirate, percorsi paralleli.
Si tratta quindi di introdurre un cambiamento di ordine metodologico e relazionale, di accettare tappe
graduali che leghino l‟apprendimento linguistico a quello disciplinare e che in ogni caso tutto venga
circoscritto al periodo necessario.
IL PRELIMINARE DELLA LINGUA:
Si è già ampiamente detto come in ogni caso, per i ragazzi non italofoni, sia indispensabile procedere
fin da subito ad un accertamento del livello di competenza linguistica in italiano.
Non è possibile pensare che sia sufficiente la sola permanenza in classe, anche ripetuta, per far
conseguire i progressi necessari.
LA CONDUZIONE DELLA LEZIONE IN CLASSE
- L’USO DELLA LAVAGNA/LIM
L‟uso della lavagna/lim aiuta a sintetizzare la lezione che si andrà a svolgere, scrivendo prima di tutto
il titolo o l‟idea fondamentale, seguiti da una mappa concettuale; si useranno parole chiave e finestre
di chiarimento del contesto e del lessico.
E‟ importante far ricopiare a tutta la classe quanto si scrive. Questo fa bene agli alunni/e italiani che si
esercitano nella tecnica della sintesi e del ripasso. Serve agli alunni/e non madrelingua, che inoltre
potranno riprendere a casa i termini e i concetti nuovi.
- DARE UN TITOLO ALLA LEZIONE DEL GIORNO
Si fornisce in questo modo un appiglio utile ad individuare l‟argomento, a condizione che:
il titolo/ l‟idea fondamentale siano estremamente sintetici, se ne chiariscano immediatamente gli
impliciti relativi al contesto e al lessico (una docente citava il caso di un‟alunna che non mostrava di
capire il senso della monaca di Monza fino a quando non si è scoperto che non riusciva a
contestualizzare il ruolo delle monache, che non esistevano nella sua cultura d‟origine).
- UTILIZZARE MAPPE CONCETTUALI
Si rivelano estremamente utili la schematizzazione visiva dei concetti che si andranno
successivamente a trattare e la puntualizzazione dei loro legami sequenziali o logici, tramite frecce ed
indicatori di priorità.
- USARE PAROLE-CHIAVE E FINESTRE LESSICALI
Gli argomenti citati nella mappa concettuale devono essere indicati attraverso parole-chiave
opportunamente scelte, che saranno riprese poi nel corso della lezione vera e propria ed individuate
alla fine nel testo di studio.
Vanno evidenziate le difficoltà e le ambiguità lessicali che si incontrano, ad esempio le diverse
accezioni d‟uso di uno stesso termine.
- GRADUARE GLI OBIETTIVI E GLI ARGOMENTI
La scarsa competenza linguistica rende difficile all‟alunno/a non madrelingua immagazzinare la
quantità di contenuti inseriti normalmente nei programmi.
Si deve quindi mettere cura nella presentazione degli argomenti disciplinari, che vanno somministrati
alla classe nella loro interezza, ma, in fase di studio-interrogazione-verifica-valutazione dell‟alunno
non madrelingua, ridotti entro criteri di priorità ed ineliminabilità.
- LA SPIEGAZIONE E L’USO DEL TESTO
Si fa riferimento a quanto visualizzato sulla lavagna/lim, seguendo quindi l‟ordine dato nella mappa
concettuale.
Occorre fare attenzione a riprendere le parole-chiave, senza paura di ripetersi. La ridondanza del
messaggio aggiunge efficacia alla comunicazione, in caso di scarsa competenza
linguistica dell‟ascoltatore.
Vanno scelti i termini del vocabolario di base.
E‟ consigliabile utilizzare il più possibile immagini (dal testo, da cartine, foto, oggetti…).
E‟ determinante curare la relazione alunno-insegnante, ad esempio tenendo il contatto visivo durante
la lezione.
- L’USO DEL TESTO
Si possono far evidenziare le parole-chiave ed i concetti – chiave sul testo normalmente in uso.
C‟è la possibilità di usare testi semplificati (non testi degli ordini inferiori di scuola o brani ridotti
nella lunghezza, ma testi su cui sia stato fatto un lavoro sulla lingua tale da rendere più chiaro e
comprensibile il messaggio).
LA SCELTA DEL METODO DI LAVORO
Oltre alla tradizionale lezione frontale condotta come sopra descritto, è raccomandabile lavorare con il
cooperative learning, che si rivela molto utile nei casi di classi con più livelli di apprendimento e di
motivazione allo studio.
Un altro metodo efficace è il tutoring, che va svolto tenendo conto, quando possibile, di cambiare i
ruoli in modo che chi riceve possa in qualche altra situazione dare. Le forme di tutoring vanno
concordate a livello di consiglio di classe per coordinare al meglio gli interventi.
Per le esercitazioni individuali, sia nei compiti in classe che a casa, può essere utile assegnare esercizi
graduati, esercizi di comprensione del testo, lavoro sul lessico (questo vale per ogni disciplina).
LE VERIFICHE
- L’INTERROGAZIONE
Se lo studente non padroneggia il livello indipendente della lingua (B1), non sarà possibile per lui
sostenere un monologo.
L‟interrogazione può allora essere condotta per domande successive, a risposta chiusa o aperta.
Il linguaggio dell‟insegnante terrà conto delle parole-chiave, dei concetti di base espressi nella mappa
concettuale e forniti al momento della lezione, in modo da fornire appigli linguistici di orientamento.
- IL COMPITO SCRITTO
Anche per lo scritto vale lo stesso ragionamento. Meglio parcellizzare la prova in domande, magari
graduate per complessità.
Meglio invitare l‟alunno/a ad esprimersi attraverso brevi pensieri scritti in maniera comprensibile,
piuttosto che trovarsi poi a cercare le risposte in un ammasso di strafalcioni difficilmente correggibili.
Restituire un compito devastato da sottolineature rosse e blu eseguite nell‟encomiabile tentativo di
evidenziare espressioni linguistiche “tremende”, può ottenere un effetto boomerang, perché lo
studente con scarsa padronanza linguistica non riesce a raccapezzarsi e rischia alla lunga di
demotivarsi.
LA COMPRENSIBILITA’ DEI TESTI
- EVIDENZIARE TERMINI E CONCETTI CHIAVE
I testi in uso presentano normalmente livelli di difficoltà molto elevati per gli studenti non
madrelingua, sia per la complessità linguistico- concettuale, sia per i riferimenti, talvolta impliciti, al
contesto storico e culturale italiano ed europeo.
Questi riferimenti vanno accuratamente esplicitati.
Si possono anche utilizzare i momenti di ripresa degli impliciti storico-culturali (che non fanno male
nemmeno al resto della classe) per invitare lo studente non madrelingua a presentare qualche
analogia con il suo contesto di riferimento originario, sempre che egli/la non mostri segni di vergogna
per le sue origini.
Va molto bene anche la semplice tecnica, di applicazione quasi immediata e già abbastanza in uso, di
far individuare nel testo scritto le parole-chiave ed i concetti di base.
L‟elemento di novità in presenza di alunni/e non madrelingua consiste nel riutilizzare le parole ed i
concetti chiave con la stessa formulazione usata nella mappa concettuale, precedentemente scritta alla
lavagna/lim (l‟uso ridondante della lingua è fondamentale nel periodo di apprendimento della L2).
La riformulazione trascritta a margine del testo, la sottolineatura, possono essere seguite dal
compagno tutor o dallo stesso docente.
La verifica immediata di quanto appreso può far parte di una breve ed immediata esercitazione orale
tra compagni di banco o in gruppo, in cui ciascuno, meglio se a turno, spiega quanto appreso al
vicino.
- RIELABORARE I TESTI
Con appunti a margine del libro, oppure su fogli consegnati durante la lezione che possono essere
raccolti in vere e proprie dispense, si assegnano ai ragazzi/e non madrelingua (e, a volte, anche agli
italiani in difficoltà) i testi di studio rielaborati dal docente.
L‟insegnante ha bisogno di formazione adeguata e di pratica, per riuscire a padroneggiare le modalità
di “semplificazione” (che non significa riduzione del testo, bensì restituzione dei concetti chiave allo
stesso livello linguistico dell‟apprendente).
Ciascun docente può rielaborare i testi a seconda delle necessità.
LA VALUTAZIONE
- LA VALUTAZIONE DI PARTENZA
Questo tipo di valutazione va specialmente approfondita per i ragazzi che non presentano una
adeguata competenza linguistica, e serve sia a scegliere la classe di inserimento (comunque vicina il
più possibile all‟età anagrafica), sia a stabilire fin dall‟inizio le misure ed i tempi necessari per portare
lo studente al livello di competenza utile a seguire il programma del resto della classe.
Non si ripeterà mai abbastanza come siano necessari due tipi di indagine: quella a livello linguistico e
quella sulle conoscenze apprese nella scolarità pregressa, relativamente ai pre-requisiti richiesti dalla
disciplina per affrontare il programma dell‟anno.
- LA VALUTAZIONE IN ITINERE E FINALE
La valutazione dei progressi e l‟avvicinamento graduale ai livelli linguistici prefissati dovrà
necessariamente discendere da questa prima valutazione di base, che avrà indicato obiettivi, tempi e
modi per il recupero linguistico – disciplinare.
E‟ bene avere sempre presente che questo sistema di valutazione è da intendersi assolutamente
temporaneo e che lo studente va tenuto nella giusta tensione perché da una parte non si demotivi e
dall‟altra non si adagi.
L‟altro presupposto di fondo perché l‟insegnante valuti con una certa tranquillità d‟animo, è che lo
studente, in questo periodo di adeguamento agli standard, abbia potuto usufruire delle strategie
necessarie (corsi paralleli di lingua, facilitazione dei testi di studio… e tutto quanto è stato fin qui
indicato).
L‟ammissione all‟anno successivo, se cade nel periodo di transizione verso la “normalità”, dovrà
riferirsi all‟insieme dei progressi conseguiti durante l‟intero percorso individualizzato (e quindi
verranno valutati anche i laboratori linguistici ed i corsi di recupero).
L‟ottica è quella di concedere fiducia e parimenti indicare un percorso chiaro.
- IL COINVOLGIMENTO DELLA FAMIGLIA E DELLO STUDENTE NELLA VALUTAZIONE
E‟ sempre estremamente difficile coinvolgere le famiglie migranti, per mille ed uno motivi.
Soprattutto nella scuola superiore, i ragazzi possono essere ritenuti abbastanza grandi per cavarsela da
soli, oppure non dappertutto si usa colloquiare con i docenti. Anche l‟impossibilità di seguirli nel
percorso scolastico o di rispondere alle richieste ed aspettative della scuola, possono rendere reticenti i
genitori.
Un buon periodo ed un buon motivo per contattarli è quello ad inizio d‟anno, dopo che si sono
effettuate le necessarie prove di competenza linguistica e disciplinare, si è scelto in quale classe
andranno inseriti e si sono approntate le misure necessarie di sostegno in entrambi gli ambiti.
In quello stesso momento, con l‟utile apporto del mediatore l.c., si cercherà di presentare l‟impegno
scolastico richiesto, gli sbocchi professionali possibili e si proverà ad accertare se, come si diceva
sopra, la scelta della scuola sia stata adeguata alle aspettative/possibilità della famiglia.
Non sempre i familiari si presentano alla chiamata della scuola: in quel caso, occorre scrivere
l‟avviso in una delle lingue conosciute a casa esplicitando molto bene i motivi della chiamata e, da
ultimo, far intervenire il mediatore stesso.
Si dirà che ci saranno altre occasioni in cui verranno restituiti i progressi e le difficoltà del figlio/a, e
che nella scuola italiana è molto importante che i genitori siano messi direttamente al corrente di
questo, nei colloqui periodici con gli insegnanti.
Successivamente i genitori potranno essere convocati (sempre che non si presentino spontaneamente)
proprio sulle valutazioni in itinere e un po‟ di tempo prima di quella finale. Poiché non è sempre facile
per loro capire fino a che punto la causa delle difficoltà del figlio/a siano da attribuirsi a sue mancanze
o a difficoltà inerenti la migrazione stessa, o, ancora, fino a che punto siano superabili, sarà molto
importante esplicitare gli eventuali progressi e l‟impegno dello studente, accanto alla puntuale
precisazione delle difficoltà.
Lo studente, infine, dovrà essere messo al corrente dei suoi progressi e delle lacune da superare,
richiedendo la sua collaborazione al programma allestito per lui/lei a scuola e fornendo supporti utili
per il recupero nel tempo extra-scuola.
COME SEMPLIFICARE LO SCRITTO
Ecco alcune indicazioni per la semplificazione dei testi
- Le informazioni vengono ordinate in senso logico e cronologico.
- Le frasi sono brevi e i testi in media non superano le 100 parole.
- Si usano quasi esclusivamente frasi coordinate.
- Si fa molta attenzione all‟uso del lessico, utilizzando solo il vocabolario di base e fornendo
spiegazione delle parole che non rientrano nel vocabolario di base.
- Il nome viene ripetuto, evitando i sinonimi e facendo uso limitato dei pronomi.
- Nella costruzione della frase si rispetta l‟ordine SVO (Soggetto, Verbo, Oggetto).
- I verbi vengono per lo più usati nei modi verbali finiti e nella forma attiva.
- Si evitano le personificazioni, così ad esempio “il Senato” diventa “i senatori”.
- Non si usano le forme impersonali.
- Il titolo e le immagini sono vivamente consigliate come rinforzo alla comprensione del testo.
10.3 IL CONSULENTE IN DIDATTICA L2 NELLA SCUOLA SECONDARIA DI 2^ GRADO
Mese Responsabile Incarico
Settembre Dirigente scolastico, docente referente e
consulente didattica L2
Proposta e spiegazione del
nuovo progetto territoriale
per gli alunni non
madrelingua
Da settembre a giugno Consulente didattica L2 Sportello di consulenza per
tutti i team docenti
Ottobre Coordinatore di classe, referente
d‟istituto
Rilevazione alunni non
madrelingua (allegato A)
Ottobre Consulente didattica L2 Somministrazione test
CISL ad alunni segnalati
dal team docenti nella
richiesta di consulenza
Ottobre Team docenti Compilare richiesta di
consulenza didattica L2
(allegato B)
Ottobre Consulente didattica L2 Laboratori L2
Nel mese di settembre si svolgerà un incontro dove il Dirigente scolastico, la docente referente degli
alunni non madrelingua dell‟istituto e il consulente in didattica L2 espongono agli insegnanti il nuovo
protocollo per l‟inserimento e l‟inclusione in classe degli alunni non madrelingua.
Nel mese di ottobre ogni coordinatore di classe avrà il compito di completare l‟allegato A. Il modello
compilato andrà consegnato in formato digitale al referente d‟istituto degli alunni non madrelingua.
Quest‟ultimo invierà tutti i moduli compilati per mail a: [email protected] , affinché tutti i
dati delle scuole vengano inseriti in un database comune e si possa tenere monitorata la presenza di
alunni non madrelingua su base territoriale.
Nel mese di ottobre il consulente in didattica L2 somministrerà a tutti gli alunni non madrelingua delle
classi 1^ il “test CILS” livello B1, profilo ADOLESCENTI, per accertare le competenze in entrata.
Qualora ci fossero nuovi inserimenti nelle classi superiori alla prima di alunni non madrelingua, si
potranno accertare le competenze linguistiche nelle medesime date (da concordare con il Dirigente
Scolastico).
Nel mese di ottobre il consiglio di classe, di tutte le classi, dovrà compilare ed inviare tramite mail al
consulente in didattica L2 la richiesta di consulenza per organizzare i laboratori L2.
Da settembre a giugno, sarà a disposizione uno sportello di consulenza didattica L2 per offrire
consulenza sulla didattica inclusiva e per intervenire in merito alla documentazione per alunni con
BES e svantaggi linguistici.
Lo sportello di consulenza didattica L2 si inserisce in una progettualità più ampia che si pone come
finalità la prevenzione del disagio scolastico e il riconoscimento dei Bisogni Linguistici Specifici,
nell‟ottica di una scuola inclusiva.
Gli obiettivi generali sono:
- Offrire ai docenti momenti di consulenza in merito a situazioni concrete che necessitano di interventi mirati (individuali e sistemici).
- Trasmettere ai docenti indicazioni relative a strumenti e metodologie facilitanti.
- Promuovere il confronto sulle diverse chiavi di lettura nell‟affrontare la didattica L2.
Gli obiettivi specifici sono:
AMBITO
D‟INTERVENTO
DESTINATARI FINALITA‟ ATTIVITA‟ PREVISTE
Svantaggio
linguistico
Ragazzi/e
segnalati dal
consiglio di
classe
Intervenire nelle
situazioni a “rischio” e
di difficoltà linguistica
1-Osservazioni mirate in
base a specifiche
esigenze.
2-Colloqui con le
insegnanti per
raccogliere informazioni
ulteriori.
Supporto di
consulenza
didattica L2 ai
docenti e
formazione
permanente
Insegnanti 1-Consentire momenti
di confronto e di
riflessione sulle
modalità di interventi
didattici in rapporto ai
bisogni linguistici.
2-Acquisire strumenti
specifici di rilevazione e
osservazione
3-Tracciare percorsi
mirati di intervento
Sportello:
1-restituzione
osservazioni
2-ricerca di strategie
glottodidattiche
3-trasmissione di
strumenti specifici
4- eventuale supporto
nella realizzazione di
PDP.