HRVOJE KALEM - bib.irb.hr riflessione di Paul Tillich e Karol ... comprensione più precisa della...
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PONTIFICIA UNIVERSITÀ GREGORIANA
FACOLTÀ DI TEOLOGIA
———————————————————————
LA CORRELAZIONE TRA VANGELO,
CULTURA E PERSONA UMANA
NELLA RIFLESSIONE DI
PAUL TILLICH E KAROL WOJTYŁA
PER UN CRISTIANESIMO RILEVANTE OGGI
HRVOJE KALEM
ESTRATTO DELLA DISSERTAZIONE PER IL DOTTORATO
NELLA FACOLTÀ DI TEOLOGIA
DELLA PONTIFICIA UNIVERSITÀ GREGORIANA
Roma 2017
Vidimus et approbamus ad normam Statutorum Universitatis
Roma, Pontificia Università Gregoriana
06/03/2017
( Prof. Carmelo DOTOLO )
( Rev. Giuseppe BONFRATE )
Imprimatur
Prot. 145/2017
Sarajevo, Arcidiocesi di Sarajevo
07/03/2017
( S.E. Vinko cardinale PULJIĆ )
Arcivescovo Metropolita
Ad maiorem Dei gloriam
INDICE DELL’ESTRATTO
INDICE DELL’ESTRATTO ............................................................................. 5
INTRODUZIONE GENERALE ........................................................................ 7
1. La presentazione dell’estratto ........................................................................ 7
2. Le motivazioni della ricerca ........................................................................... 7
3. L’argomento della tesi .................................................................................... 8
4. L’originalità della tesi .................................................................................. 10
5. Metodo e i limiti della ricerca ...................................................................... 11
6. L’itinerario della ricerca ............................................................................... 12
CAPITOLO II: La religione come dimensione della profondità ........................ 27
1. La fede – esperienza di un valore assoluto .................................................. 27
1.1 La fede come atto centrale ..................................................................... 27
1.1.1 La fede e la ragione ........................................................................ 27
1.1.2 Gli elementi inconsci nell’atto della fede ....................................... 30
1.1.3 L’interesse per assoluto come centro integratore ........................... 31
1.1.4 La soggettività e oggettività della fede ........................................... 33
1.2 La fragilità della fede ............................................................................. 35
1.2.1 Il dubbio, la certezza e il coraggio della fede ................................. 35
1.2.2 La comunità della fede e dubbio .................................................... 38
1.3 La fede simbolica ................................................................................... 41
1.3.1 I segni e i simboli ........................................................................... 41
1.3.2 I simboli religiosi ............................................................................ 42
1.3.3 La verità dei simboli religiosi ......................................................... 46
1.3.4 Il simbolo «Dio» e la teologia negativa .......................................... 48
1.3.5 Il mito e la transmitizzazione ......................................................... 51
1.3.6 La comprensione dei simboli e dei miti ......................................... 53
2. La natura della religione ............................................................................... 55
2.1 La necessità della religione .................................................................... 55
2.1.1 Due sensi della religione ................................................................ 55
2.1.2 La religione e la fede come esperienza dell’interesse ultimo ......... 58
6 LA CORRELAZIONE TRA VANGELO, CULTURA E PERSONA
2.1.3 La religione come dimensione profonda dello spirito umano ........ 62
2.1.4 L’uomo tra linea verticale e orizzontale ......................................... 65
2.1.5 La fine della religione? ................................................................... 70
2.2 L’uomo e la religione ............................................................................. 72
2.2.1 La situazione esistenziale dell’uomo .............................................. 72
2.2.2 La società disintegrata e le sue contradizioni ................................. 75
2.2.3 L’accettazione della religione nella società .................................... 77
3. Sostanza della cultura e forma della religione ............................................. 79
3.1 Divario tra religione e cultura ................................................................ 79
3.1.1 La religione e la cultura nella correlazione .................................... 79
3.1.2 I due modi per superare la rottura .................................................. 81
3.1.3 Verso la cultura teonoma ................................................................ 83
3.1.4 La cultura teonoma ......................................................................... 85
3.1.5 Una cultura aperta all’incondizionato ............................................ 89
3.1.6 Sostrato religioso nell’autonomia ................................................... 90
3.1.7 Dualismo culturale? ........................................................................ 93
4. A modo di conclusione: La fonte inesauribile della cultura ........................ 97
4.1 La religione – atto centrale .................................................................... 98
4.2 La fede simbolica ................................................................................... 98
4.3 La dimensione della profondità ............................................................. 99
4.4 L’interdipendenza tra religione e cultura ............................................. 100
4.5 La cultura teonoma – protettore dell’humanum .................................. 101
CONCLUSIONE GENERALE ..................................................................... 103
BIBLIOGRAFIA DELLA DISSERTAZIONE ............................................. 115
INDICE GENERALE DELLA DISSERTAZIONE ...................................... 145
INTRODUZIONE GENERALE
1. La presentazione dell’estratto
Questa pubblicazione costituisce parte della nostra dissertazione per il
Dottorato dal titolo La correlazione tra Vangelo, cultura e persona umana
nella riflessione di Paul Tillich e Karol Wojtyła per un cristianesimo
rilevante oggi, difesa il 20 febbraio 2017 presso la Facoltà di Teologia della
Pontificia Università Gregoriana di Roma.
Tenendo presento il senso della tesi nel suo insieme, che riguarda i tre
correlati Vangelo-cultura-persona umana, per un cristianesimo rilevante oggi,
abbiamo scelto di pubblicarne il secondo capitolo. In esso, sulla base della
riflessione tillichiana, proponiamo una lettura teologica della cultura nella
quale viene messa in rilievo la religione come dimensione più profonda della
cultura stessa, cioè come ciò che costituisce il terminus ad quem per tutte le
creazioni culturali e le dimensioni spirituali della vita umana. Questo capitolo
mira ad approfondire e chiarire la religione concepita come sostanza della
cultura e la cultura come forma della religione, il che rappresenta una
comprensione più precisa della teologia della cultura di Tillich. Questa
correlazione tra religione e cultura ci spinge a giudicare ogni cosa dal punto
di vista di qualcosa di incondizionato e di ultimo. Proprio questo punto di vista
manca all’uomo contemporaneo, che sta vivendo in un mondo postcristiano.
Siamo della opinione che questo capitolo apra una nuova prospettiva per
poter considerare la rilevanza o meno delle diverse manifestazioni del
messaggio cristiano in un mondo che cambia. Allo stesso tempo questo capitolo
ci rivela, in modo più sintetico, il pensiero di Paul Tillich per quello che riguarda
la sua teologia della cultura, fino ad ora poco studiata e approfondita.
2. Le motivazioni della ricerca
Le motivazioni per cui si intraprendono la ricerca e l’approfondimento
dell’argomento che si intitola La correlazione tra Vangelo, cultura e persona
umana nella riflessione di Paul Tillich e Karol Wojtyła per un cristianesimo
8 LA CORRELAZIONE TRA VANGELO, CULTURA E PERSONA
rilevante oggi nascono dalle attrazioni e dai condizionamenti personali, così
come dallo studio di questi temi presso la Pontificia Università Gregoriana.
Nello svolgimento del ministero sacerdotale, anche se con una esperienza
non lunga, spesso mi sono trovato in difficoltà ad esprimere, spiegare e ridire
il Vangelo, dato una volta per sempre. Ciò mi ha fatto riflettere e mi ha fatto
sorgere la domanda come applicare il messaggio cristiano nella propria
esistenza e come renderlo vivo e rilevante nella quotidianità. Qui si inserisce
però, anche la questione inerente al modo, cioè come avvicinare e penetrare il
senso del contenuto evangelico ed esprimerlo sempre in modo nuovo, senza
tuttavia oscurare la sua luce. Allo stesso tempo si pone la domanda: dove
collocare la religione e quale ruolo essa ha nella cultura? Sapendo che l’uomo
si trova in una cultura sempre mutabile, diventa chiaro che anche il modo del
nostro annuncio del Vangelo deve cambiare, esso non può essere oggi lo
stesso di tanti anni fa. Per rendere rilevante il Vangelo dobbiamo affrontare la
sfida di trovare un modo adatto al mondo policentrico. Questo è un impegno
che richiede saper leggere i segni dei tempi e interpretarli alla luce del
Vangelo. È una impresa molto esigente che richiede l’impegno di ciascuno.
L’interesse accademico per questi temi è stato motivato da alcuni corsi
tenuti alla Pontificia Università Gregoriana e dalle opere che trattavano
argomenti sopra indicati. Durante i corsi Fede ed esistenza, Fede e cultura:
orizzonti teologici e pastorali, La Chiesa al servizio di Dio e dell’umanità
del nostro tempo cercavo di riflettere su questi argomenti. A tali riflessioni è
legato il tema dell’evangelizzazione. Questi sono i temi che conducono alla
scoperta di una nuova teologia apologetica, cioè a una answering theology
ossia alla teologia che dà risposte (e più di risposte). Nella sua
interpretazione del messaggio cristiano essa mostra la propria rilevanza e
rivela la rilevanza del messaggio cristiano.
3. L’argomento della tesi
Partendo dal Concilio Vaticano II si parla della necessità dell’apertura
della Chiesa al mondo e dell’incontro tra Vangelo e cultura, poiché si è
arrivati alla conclusione che:
La rottura tra Vangelo e cultura è senza dubbio il dramma della nostra epoca,
come lo fu anche di altre. Occorre quindi fare tutti gli sforzi in vista di una
generosa evangelizzazione della cultura, più esattamente delle culture. Esse
devono essere rigenerate mediante l’incontro con la Buona Novella1.
1 EN 20.
INTRODUZIONE GENERALE 9
Quest’analisi, con cui del tutto concordiamo, giustifica la scelta della
nostra tesi e allo stesso tempo ne definisce lo scopo. Tenendo presente ciò,
cercheremo di mettere in evidenza la necessità dei tre correlati: Vangelo,
cultura e persona umana. Riteniamo che questa triade Vangelo-cultura-
persona umana sia inscindibile quando pensiamo ad ognuno di questi tre
concetti. Sarebbe una correlazione debole quando ragioniamo del Vangelo
prescindere dalla cultura concreta. Sarebbe altrettanto manchevole concepire
l’uomo senza la possibilità della trascendenza, senza considerarlo capax Dei
o capax infiniti. Senza la correlazione intrinseca tra queste tre realtà
avremmo una correlazione debole sempre a danno sia del Vangelo – che si
incarna in una cultura e che si annuncia alla persona umana compresa nel
suo senso integrale; sia della cultura – di cui l’uomo e autore e artefice, ed
essa ha bisogno del Vangelo, se non vuole terminare in un puro
immanentismo e restare chiusa in se stessa; sia dell’uomo – che non può
vivere senza cultura poiché sempre viene immerso in una cultura determinata
e della quale è padre e figlio. Quest’uomo sente il desiderio che può essere
soddisfatto solo da ciò che lo trascende e che allo stesso tempo si trova in
lui. In questa ottica, la cultura diventa il luogo dell’incontro tra Vangelo e
concreta persona umana.
A nostro parere questo argomento è inesauribile e può essere considerato
da diversi punti di vista. Esso richiede di essere ripensato in ogni momento
della riflessione teologica. Il nostro scopo è mostrare che questi tre correlati
presi insieme, possono contribuire alla rilevanza del cristianesimo per la
nostra epoca. Se riusciamo a trovare un adeguato ruolo della religione nella
cultura vedremo, che tale correlazione è capace di rendere il cristianesimo
significativo e vivo. In tale senso il cristianesimo non resta privo di senso,
un relitto delle antiche esperienze e ripiegato a se stesso, ma diventa ispirante
e promuove gli orizzonti umani; e come tale spinge le donne e gli uomini del
XXI secolo a coinvolgersi. Come tale, esso diventa capace di essere la parte
efficace del progetto della vita umana.
Siamo profondamente conviti che cristianesimo non si è esaurito, né possa
esaurirsi. Esso non ha detto tutto che è capace dire e fare, ma sta facendo i
suoi primi passi. I contenuti della fede: salvezza, liberazione, pace, giustizia,
misericordia non devono essere compresi solo in modo teorico, ma devono
essere applicati alla situazione concreta in cui gli uomini vivono. Da questa
angolatura, il cristianesimo si rivela come realtà vissuta2. Per questa ragione,
è nostro desiderio che questa tesi sia un contributo alla rilevanza del
cristianesimo odierno.
2 Cfr. A. ŠARIĆ, «Kršćanstvo kao kultura», 104-106.
10 LA CORRELAZIONE TRA VANGELO, CULTURA E PERSONA
Dunque, l’obiettivo della nostra tesi è rivolto allo studio della teologia
della cultura e all’importanza della religione come dimensione della
profondità di una cultura. Inoltre, l’obiettivo di questa tesi consiste anche nel
mettere in evidenza l’antropologia integrale o personalistica, cioè quella
che intende l’uomo nel suo senso pieno ed integrale. Il terzo obiettivo
consiste nel mostrare la rilevanza del cristianesimo per il nostro tempo e
sottolineare il suo contributo alla cultura umana, che non può essere pensata
senza radici cristiane.
4. L’originalità della tesi
La nostra tesi si pone nella prospettiva della teologia fondamentale, la
quale fedele al suo programma e compito, «pronti sempre a rispondere a
chiunque vi domandi ragione della speranza che è in voi» (1Pt 3,15), con
«dolcezza e rispetto» (1Pt 3,16), cerca di trattare la rilevanza del messaggio
cristiano per l’uomo di ogni tempo e per la sua esistenza. In tale senso, la
teologia fondamentale, come teologia di frontiera3, si mostra competente non
solo ad intra, ma anche ad extra, in ambito in cui, tra l’altro, tratta il rapporto
tra fede e cultura, che secondo la nostra convinzione, include la correlazione
tra Vangelo, cultura e persona umana.
Senza pretesa di completezza e di esaustività, possiamo dire che,
l’originalità della nostra tesi consiste nell’approccio alla problematica che
riguardi i rapporti tra Vangelo, cultura e persona umana, che è attuale,
soprattutto nel momento in cui cambiano le condizioni del destinatario del
messaggio cristiano. L’originalità consiste anche nel mettere in evidenza la
riflessione dei due autori, ed avendo sullo sfondo la loro riflessione,
effettuare un ulteriore approfondimento di un tipo di evangelizzazione, cioè
quella che mira all’umanizzazione e quella che cerca di dare profondità
all’umanità. Da una parte, considerare la religione come sostanza della
cultura e come dimensione che dà profondità ad ogni settore culturale nella
riflessione di teologo tedesco-americano Paul Tillich (1886-1965), e
dall’altra considerare l’antropologia integrale proposta da Karol Wojtyła
(1920-2005), di fronte ai riduzionismi antropologici, ci apre la pista per
un’evangelizzazione che è capace di dare profondità e significato
all’esistenza umana. Attraverso tale evangelizzazione è possibile verificare
(di nuovo) la rilevanza del cristianesimo, cioè riscontrare che esso ha ancora
qualcosa da dire all’umanità di oggi. Questa nostra analisi ci fa vedere che il
3 Cfr. G. PASQUALE – C. DOTOLO, «Introduzione», 11.
INTRODUZIONE GENERALE 11
messaggio cristiano ha una forza potente e trasformatrice, capace di fare la
differenza qualitativa all’esistenza umana.
La tesi è capace di provocare i nuovi e i diversi sviluppi e mettere in evidenza
l’invito all’interdisciplinarietà della teologia (fondamentale). Essa è ricca di
risorse per la teologia e indica le diverse piste su cui si dovrebbe muovere la
stessa teologia (nel suo ad extra) in quanto cerca di contribuire alla rilevanza
del messaggio cristiano e in quanto vuole rivelare la propria rilevanza.
5. Metodo e i limiti della ricerca
L’impostazione dell’argomento porta alla divisione della tesi in tre parti.
Il materiale principale della nostra ricerca, nella prima parte, sono i libri di
Tillich, che trattano il tema della religione e della cultura. Questi temi sono
diffusi in diversi suoi scritti. La maggior parte si trova nel suo libro Theology
of culture, ma non solo in esso! Questo libro non è ancora tradotto in italiano,
per questa ragione, in questo modo la nostra tesi può contribuire alla
conoscenza dell’idea della teologia della cultura tillichiana. Possiamo
descrivere la teologia della cultura tillichiana come ciò che sta fuori parentesi
rispetto alla sua teologia sistematica. Da questa angolatura, secondo la nostra
convinzione, la teologia della cultura di Tillich spiega tutta la sua teologia
come in una operazione metodica, analoga a quella matematica, dove quello
che sta fuori parentesi spiega meglio e aiuta a comprendere quello in
parentesi. Essa si mostra determinante in tutto suo lavoro teologico e spiega
il suo modo di fare teologia rendendola rilevante e attuale.
Nella seconda parte della nostra ricerca, il materiale principale che
abbiamo usato è l’opera famosa di Wojtyła Persona e atto e saggi integrativi
dell’autore. I nostri interessi confinano anche con l’idea di cultura che
Wojtyła trattò durante il suo pontificato. Ci appoggeremo anche ai materiali
di altri autori che hanno dato il proprio contributo e che riguarda i nostri
interessi. Ognuno dei nostri due autori ha il suo proprio metodo che è visibile
facilmente nelle loro opere. Tillich usa il metodo della correlazione in tutta
la sua teologia, mentre la novità wojtyłana consiste nell’approccio
fenomenologico alla realtà della persona umana.
La terza parte della nostra ricerca non consiste nelle convergenze o
divergenze tra due autori e le loro relative riflessioni. Piuttosto, tenendo
presente i risultati che abbiamo messo in evidenza nelle prime due parti e
appoggiandosi ad essi, volevamo offrire una nostra riflessione sulla
possibilità di un cristianesimo rilevante oggi. A questo proposito,
introduciamo alcuni autori e temi attuali capaci fornire un quadro per un
cristianesimo rilevante nella nostra epoca.
12 LA CORRELAZIONE TRA VANGELO, CULTURA E PERSONA
Oltre al metodo della correlazione e al metodo fenomenologico che sono
presenti negli autori scelti, nella nostra tesi abbiamo utilizzato anche il
metodo analitico-sintetico. Ogni capitolo comincia con una breve
introduzione e finisce con una sintesi del percorso fatto. Questo modo
contribuisce alla integrità e all’unità del lavoro. Introduzione e conclusione
generali, abbreviazioni, indice degli autori e bibliografia costituiscono le
parti sostanziali della dissertazione.
I limiti della dissertazione sono già indicati dal suo soggetto. È assai
difficile considerare la cultura nella sua totalità, poiché ci sono centinaia di
definizioni di cultura, il Vangelo rimane inesauribile nella sua ricchezza e la
persona umana rimane sempre un mistero, anche a se stessa. Un limite si
rileva nel fatto che Tillich è un teologo sistematico e noi non potevamo
abbracciare tutta la sua teologia e prenderla in considerazione in modo
profondo. Così in un altro tempo e in un altro luogo rimane da indagare la
sua antropologia teologica, cristologia, ecclesiologia, pneumatologia ecc.
Noi abbiamo solo accennato a queste discipline in quanto riguardano il tema
della teologia della cultura in modo diretto o meno. Lo stesso limite appare
per quello che riguarda la riflessione su Wojtyła. Per esempio, non potevamo
esaminare l’etica proposta da lui e non potevamo dedicare l’attenzione in
modo sistematico al suo insegnamento sulla persona umana e sulla cultura
svolto durante il suo pontificato. Abbiamo usato solo quello che ci sembrava
più importante e che ci serve come una lettura guidata per quello che
interessa il rapporto tra Vangelo, cultura e persona umana.
Alla fine, sarebbe illusorio aspettarsi una ricetta per dare profondità alla
nostra esistenza e per rendere il cristianesimo rilevante. Non ci è possibile
indagare tutti gli scenari di una cultura determinante per poterli
evangelizzare. Per questo noi cercheremo di indicare solo alcuni punti che
necessitano dell’evangelizzazione. Senza dubbio, ci sono diverse possibilità
e diverse piste per arrivare a questo tentativo. Il nostro tentativo non è né la
prima né l’ultima parola sull’argomento.
6. L’itinerario della ricerca
Il nostro lavoro si compone di tre parti. La prima intitolata Paul Tillich:
teologia della cultura si struttura in due capitoli. Il primo capitolo intende
indicare alcuni presupposti della teologia tillichiana in generale. Dopo aver
fatto questo tentativo, la nostra attenzione si soffermerà sulla teologia della
cultura che mette in luce i temi centrali di questa parte.
La seconda parte della nostra tesi, intitolata Karol Wojtyła: antropologia
integrale è composta da due capitoli. Ci limitiamo a mettere in evidenza il
INTRODUZIONE GENERALE 13
valore dell’antropologia integrale o personalistica proposta da Wojtyła col
suo metodo fenomenologico di fronte all’antropologia materialistica che
cerca di reificare l’uomo considerandolo individuo invece che persona.
La prima e la seconda parte della nostra tesi ci aprono la pista per la terza
parte che ha per titolo La rilevanza del cristianesimo. Questa parte composta
da due capitoli ha come tema l’annuncio del Vangelo in un mondo che
cambia e la necessità di ridirsi per dare risposte adeguate, nonché un tipo
dell’evangelizzazione che ha il compito di dare profondità all’umanità
identificando i luoghi e gli scenari di tale presa. Il cristianesimo con il suo
contributo speciale all’umanità, si rivela ancora rilevante nonostante alcuni
manifestazioni della sua irrilevanza.
PARTE PRIMA
Paul Tillich: teologia della cultura
Capitolo I
Alcuni presupposti della teologia della cultura di Paul Tillich
Per poter entrare nel merito della teologia della cultura tillichiana, necessita
una contestualizzazione storico-teologica dalla quale trae origine la riflessione
di Tillich. La prima sezione di questo capitolo sarà dedicata ad alcuni concetti
importanti per la teologia tillichiana e che ci aiutano per una migliore
comprensione del nostro tema centrale. A tale fine bisogna chiarire il concetto
di confine che ha un ruolo personale e scientifico nella vita del teologo
tedesco-americano. La vita sulla linea di confine determina il tema centrale
della sua teologia, la quale è l’iniziativa di Dio e la situazione dell’uomo. Il
confine importante per la teologia tillichiana è quello tra filosofia e teologia e
che porta Tillich a sottolineare la natura filosofica della teologia.
Una notevole attenzione sarà dedicata al metodo di correlazione che
rappresenta il principio supremo del sistema teologico tillichiano. Questo
metodo era sempre in uso nella filosofia e nella teologico, in modo più o
meno cosciente, ma in Tillich si è mostrato quale metodo specifico di tutto
suo sistema teologico. Nel nostro contesto, questo metodo si mostra utile,
perché aiuta agli uomini ad accogliere il messaggio cristiano che dovrebbe
essere espresso in maniera più comprensibile per l’uomo contemporaneo
ovvero rapportarsi alla sua situazione concreta. In questa sezione
mostreremo l’applicazione del metodo della correlazione nella teologia, il
cui compito sta nella correlazione e mediazione tra verità sempre immutabile
e situazione umana sempre mutabile. Tutto il sistema teologico tillichiano si
muove tra due poli: verità eterna e situazione contingente. Per questo
14 LA CORRELAZIONE TRA VANGELO, CULTURA E PERSONA
possiamo dire che il metodo della correlazione è un collegamento fra
l’esperienza ontologico-esistenziale dell’uomo e l’offerta del Nuovo Essere,
reso presente in Gesù Cristo.
La terza sezione del primo capitolo mira a sottolineare l’esistenzialismo
come alleato della teologia e aiuto nell’analisi dell’esistenza umana.
Dedicheremo la nostra attenzione alla comprensione dell’esistenzialismo
come analisi della situazione umana, perché tale approccio fornisce le forme
espressive attraverso cui l’uomo manifesta la sua esperienza di finitudine, di
angoscia, di non-riconciliazione e di alienazione dal fondamento del proprio
essere, da se stesso e dagli altri. L’analisi della situazione umana apre
all’interesse della teologia tutti gli ambiti della cultura nei quali si esprime il
dramma dell’esistenza umana. Proprio qui sta l’importanza e la grandezza
del pensiero tillichiano, cioè entrare negli ambiti diversi della cultura per far
emergere da loro una domanda di salvezza che è orientata verso la risposta
cristiana. Con questo si arriva ad una teologia esistenzialista che cerca di
raggiungere quello che ci riguarda in modo fondamentale, ultimo,
inevitabile, definitivo e incondizionato.
Nell’ultima sezione del capitolo introduttivo esaminiamo in modo
riassuntivo il significato del Nuovo Essere, l’unico che può liberare l’uomo
dallo stato di alienazione. Il Nuovo Essere viene concepito come l’essere
essenziale nelle condizioni dell’esistenza, intento a superare il distacco tra
essenza ed esistenza. Di grande importanza si rivela anche il concetto
dell’incondizionato (was uns unbedingt angeht), perché questa dimensione
fa parte di ogni settore della vita umana, e grazie ad essa la vita ha la sua
profondità. Renderemo evidente che nel procedimento filosofico-teologico
di Tillich incondizionato non è un essere, ma una qualità che caratterizza
quello che è il nostro interesse (fine) ultimo e perciò incondizionato. Alla
fine di questo capitolo introduttivo esamineremo il concetto di fine ultimo
(ultimate concern) che non è un’astrazione, ma basandosi sul grande
comandamento: «Ascolta Israele: Il Signore è il nostro Dio, unico è il
Signore…» (De 6, 4-6) esclude tutti gli altri fini rendendoli preliminari.
Mostreremo che il fine ultimo è quello che determina il nostro essere o il
nostro non-essere, è quello che per noi ha la capacità di salvare o minacciare
il nostro essere. Esso coinvolge tutta la persona e si presenta come l’aspetto
esistenziale dell’esperienza religiosa.
INTRODUZIONE GENERALE 15
Capitolo II
La religione come dimensione della profondità
Il secondo capitolo inizia con la prima sezione intitolata La fede –
esperienza di un valore assoluto. Esso ha lo scopo di mettere in luce il ruolo
specifico della religione nella cultura. Per questa ragione per primo sarà
esaminata la fede come atto centrale di tutta la persona umana. Mostreremo
che nella concezione della fede concepita in questo modo non c’è
giustapposizione tra fede e ragione, poiché solo un essere che ha la struttura
della ragione è capace di preoccupazione ultima e può fare l’esperienza
dell’assoluto. Nell’atto della fede entrano gli elementi consci e inconsci il
che indica la dimensione esistenziale della fede. Metteremo l’accento sul
fatto che l’interesse per l’assoluto diventa importante nella vita umana
perché dà profondità a tutti gli altri interessi e così diventa il centro
integratore della vita personale, capace di modificare l’intera esistenza
dell’uomo. A tale proposito cercheremo di mettere in tema la concezione
soggettiva e quella oggettiva della fede. Breve attenzione sarà data al tema
della fragilità della fede dove dubbio, certezza e coraggio fanno parte della
totalità della fede. Sottolineiamo che la fede nasce nella comunità.
Se la fede viene vista come esperienza dell’assoluto, allora si pone la
domanda di come esprimere questo assoluto. La forma simbolica e il
linguaggio simbolico sono capaci di esprimere l’assoluto. Tutto questo ci
prepara per la considerazione dei simboli religiosi che appartengono alla
totalità dell’esperienza umana. I simboli religiosi diventano chiave per
esprimere l’esperienza dell’assoluto nella cultura ed aprono nuovi approcci
ad un cristianesimo rilevante e comprensibile nella realtà in cui viviamo. La
domanda decisiva oggi è se i simboli in uso nella Chiesa e nella teologia
hanno ancora potere simbolico o lo hanno perduto. La nostra intenzione è
rendere evidente che i simboli adoperati devono appartenere al tempo, alla
cultura e al mondo dell’uomo a cui viene comunicato il messaggio cristiano.
Il simbolo tillichiano è una modalità di conoscenza partecipativa che
permette di cogliere l’infinito attraverso il finito purificandolo dalla
percezione distorta del soggetto. Dopo aver parlato della distinzione tra i
segni e i simboli e dopo aver sottolineato i simboli religiosi, metteremo in
evidenza la verità dei simboli religiosi. Possiamo affermare che un simbolo
religioso possiede la verità in quanto è adeguato alla rivelazione che esprime.
Trattando il tema dei simboli religiosi, alcuni ritengono che Tillich sta sulla
scia della teologia negativa. Questa valutazione diventa importante
soprattutto quando si parla di Dio. In realtà, nessun concetto, nessuna realtà
finita può esprimere il vero assoluto direttamente e propriamente, perché
16 LA CORRELAZIONE TRA VANGELO, CULTURA E PERSONA
esso trascende infinitamente ogni realtà finita. Così anche Dio trascende il
proprio nome. Questo ci spinge a mettere in evidenza la retta comprensione
dei simboli e dei miti, così come propone il nostro autore.
La seconda sezione di questo capitolo mira a considerare la natura della
religione. Questa sezione avrà lo scopo di mostrare la necessità della
religione nella cultura come anche i due sensi della religione nel pensiero
tillichiano. Renderemo evidente che per il teologo della cultura, la religione
non è una copertura della fede, non è solo quello che è esterno della fede. La
religione, come anche la fede, significa essere afferrati da un’istanza
suprema rispetto alla quale tutte le altre sono preliminari e provvisorie. In
questa sezione preciseremo che la religione non è una funzione speciale, ma
la dimensione più profonda dello spirito umano e di tutte le funzioni. Questa
profondità della religione significa che la religione, in tutte le funzioni
umane, dirige l’esistenza verso qualcosa di ultimo e di incondizionato. Come
tale la religione ha la propria valenza solo se trascende, giudica e trasforma
la nostra situazione. Ci sono due modi in cui la religione deve realizzare
questo superamento: la linea orizzontale e la linea verticale. Alla fine di
questa sezione sottolineiamo che la religione avrà il suo futuro se non diventa
l’alleata della opinione pubblica e se evita di essere religione borghese che
mette in primo piano il possesso, la stabilità e il successo, ma diventa invece
la religione messianica cioè quella che mette in primo piano la conversione,
l’amore, la disponibilità alla sofferenza e alla sequela. Una breve sezione
dedicheremo alla situazione esistenziale dell’uomo in cui l’uomo autonomo
è diventato insicuro della sua autonomia. E ciò lo porta alla disintegrazione
personale e alla disintegrazione della società perché ha perso il centro
integratore su cui basare la propria vita.
L’ultima sezione inizia con il tema che tratta il divario tra religione e
cultura e che è la conseguenza dello spirito della finitudine in cui si trova la
società odierna. Questo divario si può sanare mettendo la religione e cultura
in rapporto di reciproca interdipendenza e non di esclusione. In questa ultima
sezione preciseremo che l’approccio decisivo di Tillich consiste nella
convinzione che non può esserci nessun aspetto della vita senza che sia in
rapporto con qualcosa di assoluto e veramente ultimo e che proprio la cultura
teonoma nelle sue creazioni esprime un interesse ultimo. Le creazioni di tale
cultura sono portatrici di un messaggio spirituale; tutte le forme preliminari
dell’esistenza umana sono pervase da un significato ultimo dell’esistenza.
L’affermazione più precisa della cultura teonoma afferma che la religione è
sostanza della cultura e la cultura è la forma della religione. La cultura non
è capace di far scaturire da sé il suo significato perché il suo terminus ad
quem è finito e proprio per questo motivo deve rapportarsi al trascendente.
INTRODUZIONE GENERALE 17
Ciò implica che le culture dovrebbero fornire alla fede un corpo culturale per
esprimersi. Ogni atto religioso è formato dalla cultura, cioè significa che non
esiste un cristianesimo preesistente a cultura e storia, spogliato da ogni
cultura, cioè un cristianesimo culturalmente nudo. Per verificare la nostra
tesi sulla cultura teonoma, mostreremo la base inevitabilmente teonoma
anche nei periodi dove dominava l’autonomia. Questo ci spinge ad affrontare
il rapporto tra teonomia e autonomia affermando che la teonomia non tende
a sopprimere l’autonomia, ma cerca di rinviare l’autonomia al di là di se
stessa. In fine, la teologia della cultura avrà futuro fino a quando la cultura
non perderà la propria sostanza religiosa. E quando la perde essa si riduce a
una forma che cresce vuota, perché il suo significato non può esistere senza
una fonte inesauribile fornita dalla religione.
Parte II
Karol Wojtyła: antropologia integrale
Capitolo III
L’uomo al centro della cultura
Parlare della crisi della fede e della possibile irrilevanza del cristianesimo,
oggi si dice che questa crisi ha le sue radici nella crisi antropologica.
Tenendo presente ciò, la seconda parte della nostra tesi considera il secondo
correlato del nostra tema, cioè l’uomo come persona, quale sorgente dello
sviluppo della cultura.
Il terzo capitolo, può essere visto come quello che ci introduce al problema
del riduzionismo antropologico che considera l’uomo non come persona, ma
come individuo e che in tale senso diventa oggetto di manipolazione. Lo
scopo di questo capitolo è allora, in modo riassuntivo, quello di considerare
la questione antropologica odierna. A tale scopo metteremo in evidenza che
il soggetto capace di una cultura teonoma è solo l’uomo compreso nella sua
totalità e integralità. Questo implica che l’uomo non può essere ridotto alla
sfera meramente materialistica, economica o a misura d’oggetto. Il nodo di
una nuova questione antropologica sta nel fatto che essa cerca non solo di
interpretare l’uomo, ma di trasformarlo nella sua realtà biologica e psichica,
mediante l’applicazione al soggetto umano degli sviluppi delle scienze e
delle tecnologie. In tale contesto, l’assolutizzazione della tecnologia porta
alla confusione tra fini e mezzi: l’uomo viene minacciato da quello che
produce, diventa oggetto tra gli oggetti e gli viene tolta la possibilità della
trascendenza. Tale antropologia lacunosa o frammentaria non considera
quell’irréductible dans l’homme, cioè quello che è invisibile e interiore
18 LA CORRELAZIONE TRA VANGELO, CULTURA E PERSONA
nell’uomo e che lo rende proprio tale. Renderemo evidente in modo
riassuntivo il cambiamento dell’immagine dell’uomo dal medioevo fino ad
oggi. Un tale cambiamento è provocato dall’oscuramento dell’assoluto e da
una sbagliata divinizzazione dell’uomo. Sarà sottolineato anche che la
visione nella quale l’uomo ritrovava e confermava se stesso come homo
humanus è cambiata nella visione dell’homo technicus e homo oeconomicus,
il che rappresenta l’alienazione dell’uomo dalla sua umanità. Dedicheremo
la nostra attenzione anche alla ricerca di una cultura integrale alla quale
corrisponde la concezione integrale dell’uomo. A tale proposito metteremo
l’accento alla correlazione tra fede, cultura e persona umana in Giovanni
Paolo II. Lui, come anche Tillich, vede proprio nella religione quella
dimensione che dà profondità alla cultura e indica il suo terminus ad quem.
La seconda sezione mira a disegnare il concetto di persona perché la
categoria della persona è il concetto chiave di ogni cultura ed è la categoria
centrale di ogni antropologia cristiana. Una retta concezione della persona ci
permette di superare i riduzionismi antropologici. Mostreremo che la parola
persona è la parola più compromessa nella cultura e nella storia e metteremo
in evidenza le diverse concezioni e interpretazioni della persona, dalla
sostanza all’autocoscienza. Lo scopo di questa sezione è di mostrare la
sussistenza e la relazionalità della persona e il fatto che la persona è aperta
all’infinito, sta nel mondo, ma non come oggetto e mezzo, bensì come
soggetto e come fine. Tenendo presente le diverse e spesso insufficienti
concezioni della persona umana, oggi si sente il bisogno del recupero della
filosofia della persona. Sembra che sia scomparso il vero e pieno significato
della persona umana – parliamo della crisi del soggetto. Per questa ragione,
il contributo di Wojtyła consiste nella lotta contro la spersonalizzazione
della persona umana e nella sottolineatura della sua dignità. Questa
spersonalizzazione oggi si verifica nella frammentaria concezione
dell’uomo, dimenticando che solo la visione integrale dell’uomo può rivelare
il senso dell’esistenza umana. Solo la dimensione teologica impedisce di
ridurre l’uomo a una sola dimensione, a un progetto biologico, ma lo
considera nella sua integralità e nel suo protendersi al di là del tempo e dello
spazio. Solo l’antropologia che afferma la persona umana nella sua totalità,
seppur ispirata al paradigma cristiano, detiene una progettualità qualitativa
singolare che trae la sua originalità dal Vangelo di cui la novità si configura
tra l’altro nel servizio all’uomo e alla sua dignità. Metteremo in evidenza che
il grande merito dell’antropologia integrale consiste nel fatto che attraverso
di essa si verifica il ritorno alla metafisica, perché non si può pensare l’uomo
in modo adeguato senza il riferimento, per lui costitutivo, a Dio.
INTRODUZIONE GENERALE 19
Lo scopo dell’ultima sezione è mostrare la priorità della persona umana
dal punto di vista metafisico e pratico. Affermare la priorità della persona
umana sul lavoro significa affermare l’irriducibilità della persona al mondo,
ossia sottolineare l’autoteleologia dell’uomo, secondo la quale l’uomo è fine
per se stesso e non mai un mezzo. Alla fine di questo capitolo metteremo in
tema il pieno senso della cultura che si manifesta nella connessione tra
humanum e mysterium. Nel contesto di una cultura integrale, cercheremo di
paragonare i trascendentali verum, bonum, pulchrum con il concetto
tillichiano ultimate concern.
Capitolo IV
Le dimensioni fondamentali della persona umana
Ritenere che la persona sia un insieme complesso e strutturato diventa
ovvio soprattutto quando si arriva alla consistenza ontologica della persona,
partendo dall’analisi fenomenologica dei suoi atti. L’atto come momento in
cui la persona si rivela, consente di analizzare la sua essenza e di
comprenderla in modo integrale. L’atto si può intendere come specchio-
finestra, in cui la persona si rivela a se stessa e agli altri, cioè l’uomo si
manifesta attraverso i suoi atti. Per questo, il quarto capitolo, partendo dagli
atti dell’uomo, esamina le dimensioni fondamentali che costituiscono la
persona umana.
Per primo sarà esaminata l’esperienza che viene vista come fonte
antropologica, perché se vogliamo conoscere la persona umana dobbiamo
porci nella situazione in cui essa fa l’esperienza. Partire dall’esperienza
significa far parlare l’uomo di se stesso; essa infatti ci aiuta a comprendere
la soggettività personale dell’uomo. L’esperienza appare come il luogo dove
è possibile ascoltare le sfide della contemporaneità e da dove provengono le
domande esistenziali. Così l’esperienza diventa la via antropologica per
giungere a Dio. Partendo dall’esperienza Wojtyła voleva aprire lo spazio per
Dio non dal di fuori, ma dal di dentro delle istanze, dei problemi e delle
inquietudini della cultura dell’uomo. L’esperienza è la chiave ermeneutica
nell’interpretazione dell’uomo.
Nelle prime pagine di questa sezione dedicheremo la nostra attenzione al
procedimento metodologico di Wojtyła per mostrare che lui non ha
abbandonato la concezione metafisica della persona, ma l’ha integrata col
metodo fenomenologico. Questo procedimento ci permette di evidenziare
due aspetti della persona umana: l’aspetto ontologico che si ha grazie alla
concezione aristotelico-tomistica, e la soggettività che si sperimenta e si
ottiene grazie al metodo fenomenologico. Proprio questa integrazione è
20 LA CORRELAZIONE TRA VANGELO, CULTURA E PERSONA
decisiva, perché la tradizione metafisica non coglie l’esperienza integrale
della persona umana, cioè dimentica l’aspetto soggettivo. Lo scopo del
metodo fenomenologico usato da Wojtyła è di comprendere e spiegare il
fenomeno uomo e indagare la sua soggettività nel senso metafisico ossia nel
senso transfenomenico, poiché la realtà della persona è proprio
transfenomenica e non extrafenomenica.
La seconda sezione di questo capitolo elabora la persona e il suo atto sotto
diversi aspetti. Prenderemo in considerazione prima di tutto la dimensione
della coscienza che viene elaborata non come pura coscienza (Husserl), ma
nella correlazione con la persona e il suo atto, cioè sulla base dell’esperienza.
Preciseremo anche le funzioni della coscienza: rispecchiare e interiorizzare.
Attraverso la coscienza l’uomo si realizza come soggetto reale e non solo
come soggetto metafisico. Grazie all’esperienza vissuta l’uomo si conosce
come autore e causa efficiente dei suoi atti, diventa consapevole di essere
colui che sta all’origine del suo agire. Alla struttura inerente della persona
umana appartiene anche l’autodeterminazione. Attraverso di essa la persona
determina se stessa, decide di se stessa e realizza se stessa, si manifesta come
persona. Proprio nel confronto col progetto post-umano è importante
enfatizzare l’autodeterminazione, poiché la persona viene minacciata dai
mezzi che cercano di possederla, di strapparla dal proprio autodominio e
autopossesso e assoggettarla agi usi e ai domini esterni per renderla una
similmacchina. Il progetto post-umano abolisce tutta la struttura della
persona umana: la sua volontà, la sua libertà, la relazione verso la verità, la
trascendenza e conduce alla disintegrazione della persona.
Una delle dimensioni fondamentali della persona umana è la dimensione
partecipativa, attraverso la quale l’uomo si compie esistendo e operando con
gli altri. In tale senso l’uomo si rivela come un essere in rapporto con gli altri
e non come un essere solpsistico. Questa visione è del tutto opposta alla
visione nichilista ed individualista. L’essenza dell’uomo è essere zwischen,
cioè tra l’io e il tu. La relazionalità della persona umana si comprende in tre
direzioni: l’incontro con l’universo materiale, l’incontro con Dio, che dona
il senso, e la relazione con l’altro. Nell’incontro con gli altri, all’uomo non
viene permesso di considerarsi oggetto, né considerare gli altri come oggetto
o ridurli a livello meramente materialistico. Agendo insieme con gli altri
l’uomo si realizza e si umanizza sempre più rivelandosi come persona
concreta. Dentro la comunità ci sono però degli atteggiamento che possano
ostacolare e limitare la partecipazione, tra i quali l’individualismo e il
totalitarismo. Essi rivelano la concezione a-personalistica e anti-
personalistica della persona umana. Mostreremo che dentro la dimensione
partecipativa della persona umana esistono diversi atteggiamenti autentici
INTRODUZIONE GENERALE 21
quali la solidarietà e l’opposizione, e atteggiamenti inautentici come il
conformismo e l’atteggiamento dello scansarsi. Alla fine di questa sezione
metteremo in tema che la partecipazione indica la dimensione interpersonale
che si attua nella relazione io-tu. Proprio la partecipazione che si attua dentro
una comunità – e ogni comunità si trova dentro la comunità umana – ci
permette di considerare che l’annuncio del Vangelo deve tener conto del
fatto che la comunità cristiana non è fuori dalla comunità umana, ma inserita
in essa. Perciò, ogni annuncio del Vangelo dovrebbe essere l’annuncio che
dà profondità all’umanità e ad ogni uomo in tutta la sua struttura personale.
PARTE III
La rilevanza del cristianesimo
Capitolo V
L’annuncio del Vangelo
Lo scopo dell’ultima parte della nostra tesi è quello di considerare
l’annuncio del Vangelo in un mondo in cui è possibile la cultura teonoma
(Tillich) e in cui è possibile l’antropologia integrale (Wojtyła), ma
nonostante tutto, avvertiamo una resistenza a tale possibilità. È nostra idea
mostrare la rilevanza del cristianesimo e la forza trasformatrice del Vangelo
capace di dare profondità alla vita umana, nonostante i cambiamenti della
situazione del destinatario.
Apriamo il quinto capitolo con la sezione denominata Vangelo e mentalità
contemporanea. Metteremo in tema che il nostro è un mondo del umanesimo
cristiano segnato dal paradosso. Si tratta del mondo postcristiano nel senso
che sono cambiate le condizioni del destinatario del messaggio cristiano.
Questo destinatario non è più capace di considerare le cose dal punto di vista
di qualcosa di ultimo, d’incondizionato e di integrale. Lui ha quasi imparato
a vivere senza Dio e nella concezione frammentaria della realtà. Per questa
ragione, richiamandosi al tentativo di Tillich, cioè partendo sempre dalla
situazione in cui viviamo, notiamo che questa situazione ci invita ad una
reinterpretazione del messaggio cristiano in relazione all’attuale esperienza
storica. A questo tentativo ci spingono certe manifestazioni dell’irrilevanza
del messaggio cristiano. È nostro desiderio rendere evidente che il Vangelo
non può essere considerato come cosa delle tradizioni passate, ma che esso
è la realtà che richiede decisione personale. Per questo bisogna essere attenti
ad annunciare il Vangelo in modo corretto, affinché diventi rilevante per
l’uomo contemporaneo, poiché il futuro del cristianesimo è legato
inscindibilmente all’annuncio del Vangelo.
22 LA CORRELAZIONE TRA VANGELO, CULTURA E PERSONA
Tenendo presente quanto detto, la domanda che poniamo e a cui
cercheremo di rispondere è: come annunciare il Vangelo per un nuovo
umanesimo? Metteremo in evidenza, dunque, la possibilità dell’annuncio del
Vangelo con due modelli teologici: la teologia dello scandalo e la teologia
della mediazione. Osserveremo anche, brevemente, i modelli della
riflessione teologica dopo il Vaticano II, e proporremo una nuova
apologetica che può rispondere alle sfide dell’annuncio del Vangelo in un
mondo culturalmente e religiosamente policentrico.
Dedicheremo l’ultima sezione di questo capitolo al tema della Chiesa e
dell’evangelizzazione, sottolineando il paradosso della Chiesa così come lo
concepisce Tillich. Metteremo in evidenza il compito della Chiesa di fronte
alle nuove sfide e ai nuovi scenari culturali che la spingono ad uscire da se
stessa e a rivolgersi al mondo. Ciò porta alla necessita della riforma
missionaria della Chiesa. Tale riforma dovrebbe essere un processo
permanente che riguarda il confronto dell’immagine ideale della Chiesa e il
volto reale che essa oggi presenta. La Chiesa come sacramento della salvezza
deve mostrare apertura verso il mondo, cioè deve aprire i sentieri che
conducono l’umanità a Dio e trovare una nuova forma più conforme alla
forma Christi e meno alla forma in cui il peso politico e il potere dall’alto
giocano il ruolo decisivo. Essa deve offrire i criteri di riferimento perché il
messaggio cristiano dialoghi con le molteplici situazioni politiche,
economiche e sociali diventando in esse un fluido vitale e una profondità che
le invita ad un processo di discernimento, di cambiamento e di conversione.
Lo scopo di questa sezione è di mettere in evidenza che la Chiesa potrà
offrire criteri di riferimento se saprà ridirsi, ritrovarsi e riproporsi entro i
diversi contesti culturali. Questo ridirsi significa la capacità di
trasformazione perché ogni cosa diventi un canale adeguato per
l’evangelizzazione del mondo attuale. Vogliamo sottolineare che il Vangelo
deve essere riproposto sempre di nuovo nelle sue forme rilevanti e pratiche
legate all’esistenza delle persone nella loro situazione concreta. Alla fine
metteremo in evidenza che il punto originario dell’esistenza della Chiesa è
la trasmissione, cioè la comunicazione della fede. Da tale angolatura,
l’evangelizzazione viene vista come quella che dà vita alla Chiesa.
Metteremo in evidenza che la parrocchia è il luogo privilegiato per realizzare
la missione della Chiesa in rapporto alla vita quotidiana della gente.
INTRODUZIONE GENERALE 23
Capitolo VI
Evangelizzare per umanizzare
Lo scopo dell’ultimo capitolo sta nel rendere evidente che la Chiesa non
può permettersi di vivere un isolamento sociale e culturale. Essa deve offrire,
e lo fa in tutti i tempi, un contributo notevole, anzi più profondo, allo
sviluppo dell’umanità. A tale proposito, intendiamo in questo capitolo
considerare l’evangelizzazione come compito essenziale della Chiesa.
L’oggetto di tale evangelizzazione è tutto ciò che è umano e che serve
all’umanità, perché l’uomo è la via della Chiesa e l’evangelizzazione si
rivolge all’umanità e ad ogni uomo concreto.
La prima sezione di questo capitolo sarà dedicata all’evangelizzazione
sempre nuova, cioè non vogliamo entrare nel dibattito sulla nuova
evangelizzazione, ri-evangelizzazione o evangelizzazione nuova. Piuttosto,
vogliamo esaminare l’evangelizzazione come quella attività della Chiesa che
è sempre capace di ridare qualità all’esistenza umana. In modo più generale
mostreremo alcuni settori culturali da considerare dal punto di vista
dell’evangelizzazione.
Nella seconda sezione di questo ultimo capitolo – avendo alla mente la
critica di Tillich alla società moderna chiusa in se stessa, che respinge la
religione come cosa priva di senso, e avendo alla mente la critica di Wojtyła
al riduzionismo antropologico – dedicheremo la nostra attenzione
all’identificazione di alcuni specifici luoghi e di nuovi scenari che
necessitano l’evangelizzazione.
Senza pretesa di esaustività e di completezza, pensando al paradigma
biblico i segni dei tempi, prenderemo in considerazione solo alcuni settori tra
i quali l’economia, la coscienza e il transumanesimo. Abbiamo scelto di
considerare l’economia e la coscienza poiché la prima sembra imporsi come
unica legge della realtà, mentre la seconda, quale dimensione inerente della
struttura della persona umana, viene minacciata dal secolarismo. Il
transumanesimo appare come una realtà a cui l’evangelizzazione deve
prestare particolare attenzione perché esso apre la strada alla costruzione
dell’homo technicus, al quale vengono tolte tutte le facoltà che lo rendono
un essere personale: autodominio, autopossesso, libertà, volontà ecc. Questo
conduce alla radicale ridefinizione della stessa natura umana e alla sua
spersonalizzazione. Alla base di questi e di tutti gli altri settori sta
un’antropologia squilibrata, la quale è sorgente e madre di notevoli scenari
che necessitano di una dimensione più profonda che darà loro il terminus ad
quem. In tutti questi settori il Vangelo deve essere riproposto come
possibilità di un’esistenza buona e riuscita. Solo in tale senso il cristianesimo
24 LA CORRELAZIONE TRA VANGELO, CULTURA E PERSONA
si rivela nella sua rilevanza. La rilevanza e il significato del cristianesimo si
verificano quando il Vangelo annunciato a tutti i livelli dell’umanità riesce a
trasformare dal di dentro l’umanità redendola nuova. Se il cristianesimo sta
fuori dal contesto culturale rischia lo smarrimento della missione
evangelizzatrice della Chiesa. Questo implica che nel processo di
evangelizzazione si mostra indispensabile la correlazione tra Vangelo e
cultura di cui il soggetto centrale è la persona umana, e che in ultim’analisi
intendiamo sviluppare in tutto questo nostro lavoro.
Il nostro desiderio è di mostrare che l’evangelizzazione mira alla
purificazione dell’’ethos di una cultura che finisce con il distruggere l’uomo
e la sua dignità. Essa infatti punta al discernimento dei modelli di
comportamento alla luce del Vangelo e alla conversione della mentalità; essa
si può auspicare come risveglio dell’umano. L’evangelizzazione ha il
compito di riproporre la fede nell’oggi per il domani attraverso il
rinnovamento dell’esistenza umana e tradurre la speranza del Vangelo in
termini praticabili. In tale senso il Vangelo diventa il centro integratore su
cui basare la propria esistenza nell’apertura all’elemento ultimo e
incondizionato. Non volevamo parlare dei diversi ambiti della società
odierna che necessitano dell’evangelizzazione, senza mettere in chiara luce
un presupposto dell’evangelizzazione. Per questa ragione, alla fine di questa
sezione dedicheremo alcune pagine alla contemplazione quale presupposto e
parte integrale dell’evangelizzazione.
Nell’ultima sezione di questa parte dedicheremo l’attenzione ad alcuni
modelli di relazione che consideriamo un contributo del cristianesimo
all’umanizzazione del genere umano. Proprio attraverso di essi
l’evangelizzazione può dare profondità all’umanità. Senza pretesa di
completezza e di esaustività, dedicheremo la nostra attenzione solo ad alcuni
modelli. Tra questi vi è certamente la cultura della convivialità che manifesta
nuove modalità di relazione con Dio, con gli altri e con l’ambiente.
L’espressione concreta di tale cultura è il dialogo interreligioso e
interculturale capace di stabilire alcune prospettive meta-culturali che
fungano da riferimento comune. Il cristianesimo non si ferma solo a questo
livello per dare profondità all’umanità, ma fa un passo in avanti nel senso
che propone la compassione e la solidarietà tracciate nello stile di Gesù,
come espressioni concrete della dimensione partecipativa della persona
umana. Questi due atteggiamenti rovesciano le logiche socio-culturali e
vanno oltre esse, cioè traducono culturalmente la dimensione teologica della
compassione e della solidarietà. A questi due atteggiamenti si aggiungono
l’ospitalità e la responsabilità. L’ospitalità si mostra come una fede
implicita, cioè non ancora fede esplicita in Dio ma un atto fondamentale ed
INTRODUZIONE GENERALE 25
elementare dell’umanità. Con l’atteggiamento di ospitalità, che in
ultim’analisi è un dono di sé, l’uomo si rivela come persona. Oltre a tutti
questi atteggiamenti, alla fine di questo lavoro, ci richiameremo al Nuovo
Essere quale orizzonte di riferimento in cui troviamo l’immagine essenziale
dell’umanità. Questo orizzonte di riferimento ci accetta facendo sì che noi
accettiamo noi stessi. Il Nuovo Essere traduce l’azione di Dio per gli uomini,
mostrando che Dio accetta l’intera persona umana che si trova nella
situazione storica concreta e cerca di rinnovarla.
Alla fine della nostra indagine segue la Conclusione generale della
disertazione. In essa, in modo sintetico, cercheremo di riassumere i risultati
e le conclusioni più rilevanti del nostro lavoro e indicare alcune prospettive
per un ulteriore approfondimento teologico.
CAPITOLO II
La religione come dimensione della profondità
In questo capitolo vorremmo analizzare la necessità della religione nella
cultura. L’uomo contemporaneo si trova di fronte alla propria
autoreferenzialità nello scegliere e nel decidere, ma non può farlo da solo.
Senza il sostegno di una cultura adeguata l’uomo non è capace di condurre
la propria lotta contro il vuoto interiore. La proposta che vorremmo mettere
in evidenza allora è che la cultura teonoma è quella che aiuta l’uomo liberarsi
dall’autoreferenzialità e dall’individualismo. Per questo intendiamo
mostrare in questo capitolo come la religione sia il centro integratore di tutta
l’esistenza umana e richiamare l’attenzione sulla religione come sostanza
della cultura. Cercheremo di chiarire come la religione sia la dimensione
profonda di tutte le dimensioni dello spirito umano e analizzeremo in
particolar modo il significato della cultura teonoma. Dobbiamo tener
presente che la cultura diventa superflua e perde la sua profondità e il suo
significato senza la religione, ossia senza la realtà dell’ultimo.
1. La fede – esperienza di un valore assoluto
1.1 La fede come atto centrale
1.1.1 La fede e la ragione
Partendo dal rapporto tra fede e ragione è possibile individuare e delineare
la concezione della religione nella riflessione tillichiana. La singolarità della
ragione umana si mostra nel fatto che solo un essere che ha la struttura della
ragione, è capace di preoccupazione ultima o fine ultimo. La vita dell’uomo
è un’unità e non può accadere che due realtà come fede e ragione non si
incontrino mai, perché la vita spirituale dell’uomo non ammette una
28 LA CORRELAZIONE TRA VANGELO, CULTURA E PERSONA
«giustapposizione di elementi. Tutti gli elementi spirituali dell’uomo,
nonostante il loro carattere distinto, si compenetrano»1. La fede non è una
antitesi della ragione, la fede che esclude o distrugge la ragione distrugge lo
stesso uomo. Solo l’uomo, poiché ha la ragione è capace di distinguere le
preoccupazioni preliminari dalla preoccupazione ultima. La ragione
presuppone la fede, ossia è la condizione primaria della fede, essa è finita,
ma non è legata alla sua finitudine in modo inalienabile, anzi pur conscia
della sua finitudine è anche conscia della propria potenziale infinità. La
consapevolezza della propria infinitudine rende la fede una potenzialità
umana che spinge l’uomo verso la realizzazione. In questo modo l’uomo è
spinto verso la fede dalla consapevolezza della sua trascendenza e
dell’infinito al quale appartiene, ma di cui non è padrone2. Dicendo con il
linguaggio agostiniano nell’uomo c’è sempre l’inquietudine dell’cuore.
Nella sua finitudine l’uomo percepisce l’assenza dell’infinito nel cui
spazio è faticoso sostare3. Grazie alla consapevolezza della sua finitudine, la
ragione trascende la sua finitudine e l’uomo sperimenta l’appartenenza
all’infinito e questa consapevolezza si mostra come interesse supremo.
L’infinito che afferra l’uomo diventa materia dell’interesse supremo4. In
questo caso, la ragione non distrugge se stessa, ma viene spinta oltre se stessa
e, allo stesso tempo, rimane ragione finita, perché solo in quanto spinta oltre
i confini della sua finitudine, può sperimentare la presenza dell’assoluto.
Appunto questa esperienza dell’assoluto è la fede. La fede non è un
momento dell’immaturità razionale, ma la razionalità punta verso il dono
della fede e in un certo modo lo presuppone5. Il nostro teologo esprime il
rapporto tra fede e ragione con le seguenti parole: «la ragione è il presupposto
della fede, e la fede è la soddisfazione della ragione. La fede come stato
d’interesse ultimo è la ragione in estasi. Non c’è contrasto tra natura della
fede e la natura della ragione; esse si compenetrano»6.
1 P. TILLICH, Dinamica della fede, 67. 2 Cfr. P. TILLICH, Dinamica della fede, 21-22. 3 Cfr. C. DOTOLO, Abitare i confini: per una grammatica dell’esistenza, 98. Al rapporto
tra fede e ragione è dedicato tutto un capitolo (cfr. Ibid., 97-108). 4 Cfr. P. TILLICH, Dinamica della fede, 68-69. 5 Cfr. R. BERTALOT, Paul Tillich: esistenza e cultura, 65. 6 P. TILLICH, Dinamica della fede, 69. Simili rapporti tra fede e ragione da parte
cattolica possiamo trovarli nell’Enciclica di Giovanni Paolo II Fides et ratio soprattutto
nei paragrafi 36-48, che esprime una grande armonia tra fede e ragione, viste come due
ali. Dal momento che il nostro punto di arrivo è la fede, ossia mostrare che non vi è
sostanziale differenza tra fede e religione nel pensiero di Paul Tillich, questa Enciclica ci
aiuta a vedere alcune concezioni della fede (religione) nel pensiero tillichiano che sono
CAP. II: LA RELIGIONE COME DIMENSIONE DELLA PROFONDITÀ 29
La fede come «una forma di trascendenza estatica della realtà […] si basa
sulla forza di ciò che non si può derivare dall’intera realtà e a cui non si può
accedere con metodi che appartengono interamente alla realtà»7. La fede
viene vista come qualcosa che orienta verso l’incondizionato e l’assoluto,
verso l’interesse supremo, qualcosa che mette l’uomo di fronte all’apertura
alla trascendenza, si tratta della fede soggettiva che si mostra come una
questione di interesse personale che si deve giustificare con le ragioni (cfr.
1Pt 3,15).
La fede, come esperienza di un valore assoluto, rappresenta un significato
molto ampio perché la vita dell’uomo tende verso l’Assoluto. Grazie alla sua
libertà, l’uomo può decidersi per l’Assoluto, ma anche per un falso assoluto.
La fede dell’uomo si mostra manchevole se l’esistenza dell’uomo viene
determinata da qualcosa che non è assoluto. Allora la domanda fondamentale
è: che cosa è supremo, assoluto o ultimo per l’uomo? Egli stesso lo decide e
lo sceglie. In questa decisione corre però il pericolo di poter scegliere
qualcosa di falso che in ultim’analisi è demoniaco e che può distruggere il
suo sistema di progetto della vita8. Accade questo quando ad esempio la
nazione, al tempo del nazismo, divenne la preoccupazione ultima per molti9.
In questo caso notiamo come il primo nemico della fede non sia la ragione,
come qualche volta in passato si è cercato di mostrare, ma è appunto la
superbia, l’hybris, ovvero l’elevazione di una realtà finita al livello di
assoluto. Per questa ragione l’uomo deve essere attento e deve stabilire che
cosa sia veramente ultimo e assoluto da tutto ciò che pretende di essere
ultimo mentre in realtà è preliminare e finito.
molto vicine all’insegnamento cattolico. Riguardo alla fede come la ragione in estasi
sarebbe interessante approfondire la conoscenza di Dio al di là del nous, si tratta di una
reale uscita dell’uomo dai propri confini, un vero superamento, un andare oltre la ragione
(nous), ossia, per dirla con il linguaggio di Tillich, si tratta di una trascendenza della
finitudine della ragione. Lo Pseudo-Dionigi sottolinea come la conoscenza di Dio consista
nel buio dell’intelligenza. Su questo si veda: J. RATZINGER, «Luce», 238-241. Tillich offre
una spiegazione simile, sottolineando come l’estasi non significhi la negazione della
ragione, perché la ragione estatica rimane sempre ragione, ma significhi il trascendimento
della condizione basilare della razionalità finita (cfr. P. TILLICH, Teologia sistematica, I,
133-136). 7 P. TILLICH, L’era protestante, 97. 8 Così il teologo italiano Carmelo Dotolo descrive la cultura (cfr. C. DOTOLO,
Cristianesimo e interculturalità, 58. 60). 9 Se Hitler era da considerarsi il prodotto di una supremazia intellettuale, per Tillich
era un segno che vi era qualcosa di fondamentalmente sbagliato nelle strutture stesse del
pensiero e della cultura d’allora (cfr. R. BERTALOT, Paul Tillich: esistenza e cultura, 10).
30 LA CORRELAZIONE TRA VANGELO, CULTURA E PERSONA
1.1.2 Gli elementi inconsci nell’atto della fede
La fede, come esperienza dell’assoluto è un atto di tutta la persona che
include la partecipazione di molti elementi, anche di quelli inconsci della
struttura della personalità e che vengono in tal modo trascesi costituendo un
atto centrale10. Nell’io dell’uomo convergono e si uniscono come in un
centro tutti gli elementi del suo essere. La fede non è solo un atto di sola
funzione razionale né è un atto dell’inconscio. È un unico atto in cui tutti
questi elementi insieme vengono trascesi quando la ragione viene spinta oltre
se stessa cioè quando si mostra come ragione in estasi. L’uomo intero deve
cercare sempre e continuamente, ogni giorno, di raggiungere ciò che non
potrà mai essere raggiunto, ovvero l’assoluto. E proprio in questo si
rispecchia tutta la dinamica della fede, perché esiste un rapporto o una
infinita tensione tra assolutezza di Dio e relatività della vita umana11.
Per la fede sono di grande importanza gli elementi che costituiscono
l’habitus dell’uomo, cioè tutte le sue predisposizioni, tutto il suo contesto
interiore che spesso non è possibile esprimere pienamente, ma che esiste e
fa parte della nostra personalità. Questi elementi inconsci, di cui parla il
nostro teologo, potrebbero trovare la propria conferma anche nelle
probabilità antecedenti di cui discute il cardinale John Henry Newman. Esse
sono da intendere come qualcosa di preconcettuale rispetto alla riflessione,
ovvero quello che precede una esplicita espressione. Secondo l’idea delle
probabilità antecedenti infatti la fede è influenzata da preavvisi,
precomprensioni e pregiudizi12. La fede, come interesse supremo, è un atto
centrale e non può accadere che solo una delle funzioni, che costituiscono la
totalità della persona umana si identifichi con essa. Se si verifica ciò si altera
il significato della fede, si attuano le differente distorsioni del suo significato
che possono essere le deformazioni intelletualistiche, volontaristiche o
sentimentalistiche13. Dunque, la fede include tutta la persona con tutte le sue
10 Cfr. P. TILLICH, Dinamica della fede, 17-18. 11 Cfr. P. TILLICH, Dinamica della fede, 55-56. Il teologo italiano Bruno Forte parlando
della fede la definisce come qualcosa di continuo, cioè come quello il cui contenuto
(Assoluto) si raggiunge sempre di nuovo: «la fede è un continuo convertirsi a Dio, un
continuo a consegnargli il cuore, cominciando ogni giorno, in modo nuovo, a vivere la
fatica di credere, di sperare, di amar» (B. FORTE, Confessio theologi. Ai filosofi, 39). 12 Cfr. J.H. NEWMAN, «Fede e ragione, due disposizioni mentali opposte», 357; M.P.
GALLAGHER, Mappe della Fede, 15-34. 13 Per approfondire il discorso su di deformazioni della fede sopra menzionati si veda:
P. TILLICH, Dinamica della fede, 36-43.
CAP. II: LA RELIGIONE COME DIMENSIONE DELLA PROFONDITÀ 31
predisposizioni, non dipende né dalla volontà né dal sentimento del credente,
ma è l’unificazione di tutti gli elementi in un unico atto centrale.
1.1.3 L’interesse per assoluto come centro integratore
La fede vissuta come l’esperienza di un interesse per l’assoluto
presuppone che tutti gli interessi preliminari siano sottoposti a questo
interesse assoluto. Per questo motivo l’interesse per l’assoluto è un interesse
che dà la profondità a tutti gli altri interessi e così all’intera persona umana
e alle sue creazioni. La dimensione della profondità contribuisce
all’integrazione di tutta la vita personale dell’uomo e la forza di questa
integrazione è la fede. Nella vita umana l’interesse per l’assoluto è decisivo
perché esso:
È in rapporto con tutti gli aspetti della realtà e tutti gli aspetti della personalità
umana. L’assoluto è uno di questi aspetti, di cui è anche la base. Come
l’assoluto è la base di tutto ciò che è, così l’interesse per assoluto è il centro
integratore della vita personale. Essere senza significa essere senza un centro14.
Ogni uomo ha un centro che rappresenta la base del sistema del progetto
della sua vita e, per questa ragione, non si può ammettere che esista un uomo
senza un interesse supremo. Si pone allora la domanda su quale sia il nostro
interesse supremo. Solo nella fede si mostra che cosa è veramente il nostro
interesse supremo. Ogni preoccupazione tende a diventare la nostra
preoccupazione suprema, il nostro dio. Nella religione dell’AT, Dio della
giustizia si mostra come l’interesse supremo di ogni ebreo15. Per noi cristiani
la preoccupazione suprema è Dio che si è rivelato in Gesù in quanto Cristo
come portatore di una nuova realtà.
L’assoluto come la base di tutta la realtà e l’interesse per assoluto come
centro integratore della vita umana unifica tutti gli elementi della vita
personale dell’uomo, quelli consci e anche quelli inconsci, di cui abbiamo
parlato sopra, perché l’uomo è una unità e non un cocktail o una mescolanza
delle parti. Proprio in questa unificazione di diversi elementi dell’uomo si
mostra che la fede è un movimento centrale di tutta la personalità verso un
valore assoluto16. Solo attorno ad un interesse supremo è possibile costruire
14 P. TILLICH, Dinamica della fede, 89-90. Il corsivo è nostro. 15 Cfr. P. TILLICH, Dinamica della fede, 18. «La fede, per gli uomini del Vecchio
Testamento, è il timore, in dimensione assoluta e incondizionata, di Yahweh e di ciò che
Egli rappresenta nell’istanza, nella minaccia e nella promessa» (Ibid., 18-19). 16 Cfr. P. TILLICH, Dinamica della fede, 90.
32 LA CORRELAZIONE TRA VANGELO, CULTURA E PERSONA
il centro unificatore senza il quale può accadere una disintegrazione della
personalità e della società. Ed è proprio il ruolo della fede quello di unificare
la vita mentale dell’uomo dandole un centro dominante. Se la fede riesce a
fare questo, allora tutte le attività e tutte le creazioni dell’uomo – quelle
consce e quelle inconsce – sono espressioni di un interesse supremo che dà
loro passione ed eros creativo e non possono essere dannose per l’uomo, ma
sono espressioni della trascendenza dell’uomo. Ci sembra che proprio questa
interpretazione di Tillich rappresenti l’essenza del ruolo della religione come
dimensione della profondità di tutte le azioni umane. La religione concepita
così non abolisce il cristianesimo quale religione fondata sulla rivelazione,
come è accaduto nella teologia liberale17, ma fornisce all’uomo la possibilità
della trascendenza.
Rimane ancora, a questo punto, la domanda di come si manifesti e come
si riconosca la fede come stato della esperienza di un valore assoluto, ovvero
quale sia la differenza tra qualcuno che ha l’esperienza di un valore assoluto
e colui che ha esperienza di un valore falso. La risposta è che la fede si
realizza nelle azioni appunto perché la fede implica l’amore e perché
l’espressione dell’amore è l’azione. L’amore pertanto vive nelle opere ed è
reale nelle opere, è la forma dell’esistenza nella riflessione cristiana18, lo si
riconosce nelle opere come afferma il teologo tedesco-americano: «dove c’è
l’interesse supremo, lì c’è il desiderio ardente di realizzare il contenuto del
nostro interesse. “Interesse”, nella sua vera definizione comprende il
desiderio di azione»19. Su questa scia possiamo dire che è vero che la fede
viene dall’ascolto, ma non solo dall’ascolto. La nostra fede è anche una
scuola del vedere, una scuola degli occhi aperti. «Il nostro amore a Dio si
esprime i si conferma nel rapporto che abbiamo con gli altri che
incontriamo»20.
17 Cfr. W. PANNENBERG, Storia e problemi della teologia evangelica contemporanea in
Germania: da Schleiermacher fino a Barth e Tillich, 52. 18 Cfr. C. DOTOLO, Abitare i confini: per una grammatica dell’esistenza, 46. 19 P. TILLICH, Dinamica della fede, 96. L’amore, in quanto impliciti alla fede aiuta alla
fede di superare le proprie possibilità demoniaco-idolatre. Secondo Tillich nessun amore
è vero senza l’unità di eros e agape. «Agape senza eros è obbedienza a una legge morale,
senza calore, senza desiderio, senza riunione. Eros senza agape è desiderio caotico, che
nega la validità del diritto dell’altro a essere riconosciuto come un Io indipendente, capace
di amare ed essere amato. L’amore come unità di eros e agape, è una implicazione della
fede» (Ibid., 96). 20 J.B. METZ, Mistica degli occhi aperti, 92. Metz afferma che Gesù, nelle sue parabole
e immagini, ci ha posto una traccia di come annunciare il messaggio divino, cioè non
ponendo in primo luogo il nostro sguardo alla colpa e al fallimento degli uomini, ma alla
loro sofferenza. Questo sguardo verso gli altri è parte essenziale della fede cristiana che,
CAP. II: LA RELIGIONE COME DIMENSIONE DELLA PROFONDITÀ 33
1.1.4 La soggettività e oggettività della fede
Se la fede è intesa come interesse per l’assoluto, dobbiamo esplicitare che
la parola interesse include due poli: il soggetto che è interessato e l’oggetto
del suo interesse, ambedue parimenti importanti per la verità della fede.
La fede soggettiva contiene in sé l’atto centrale della personalità
dell’uomo, mentre la fede oggettiva contiene un significato nel suo atto.
Comprendiamo così allora che l’interesse incondizionato, che è la fede,
diventa l’interesse per l’incondizionato, la passione infinita diventa la
passione per l’infinito cioè il contenuto della fede si mostra come realmente
assoluto21. Con questo si vede come l’aspetto soggettivo della fede non può
prescindere da quello oggettivo e viceversa, perché non esiste una fede senza
il contenuto verso cui è orientata così come c’è sempre un significato
nell’atto della fede22.
Il fattore soggettivo della fede dipende dalla persona stessa e dalla misura
in cui essa è pronta a coinvolgersi in questo processo; dipende dalla sua
apertura e passione per un interesse supremo. Il fattore oggettivo della fede
dipende invece dall’assenza di elementi idolatri, ovvero in che misura la fede
è orientata verso un vero e non un falso assoluto. Se la fede diviene idolatra,
secondo insegnamento di Gesù, esige di rendere visibile, di non chiudere gli occhi; il
cristianesimo insegna una mistica degli occhi aperti (cfr. Ibid., 92-93, 101-102). 21 Cfr. P. TILLICH, Dinamica della fede, 21. La fede soggettiva riconosce la verità in
ogni autentico simbolo e tipo di fede e rende comprensibile la storia della religione come
storia dell’interesse supremo dell’uomo. La fede oggettiva mostra un criterio di
assolutezza con cui si giudica la storia della religione in termini di un sì o no. Alla fine,
nel contesto della verità della fede, si può dire che la fede possiede la verità in quanto
esprime adeguatamente un interesse supremo (cfr. Ibid., 82). 22 Tillich evita in questo punto parlare di Dio come del significato dell’atto della fede
e spiega che chiamare ciò che viene significato nell’atto della fede Dio o un dio non
sarebbe d’aiuto in quest’analisi, perché si può chiedere cosa nell’idea di Dio costituisca
la divinità e la risposta sarebbe che questo è l’elemento dell’incondizionato e
dell’assoluto, che può essere differente nelle diverse religioni (cfr. P. TILLICH, Dinamica
della fede, 21). Diversamente da Tillich il teologo Rahner in una sua meditazione, afferma
che abbiamo bisogno della parola «Dio» in quanto essa indica la stessa realtà di Dio. Per
questa ragione anche noi riteniamo che Tillich dovrebbe parlare di Dio come significato
dell’atto della fede, perché la parola «Dio» non è una parola tra e come le altre. Essa ci
provoca, ci disturba, è esposta al rimprovero di Wittgenstein, secondo il quale si deve
tacere su ciò di cui non ci può parlare con chiarezza. Se parola «Dio» scomparisse, l’uomo
non si troverebbe più di fronte alla totalità della realtà come tale, né alla totalità della sua
esistenza. Se venisse distrutta la parola «Dio» verrebbe distrutto lo stesso uomo. La stessa
parola «Dio» è una realtà a cui noi non possiamo sfuggire e mette in discussione tutto il
linguaggio (cfr. K. RAHNER, «Meditazione sulla parola “Dio”», 9-19).
34 LA CORRELAZIONE TRA VANGELO, CULTURA E PERSONA
allora essa conduce verso la disintegrazione della persona umana e degli atti
che la rendono tale23. Alla fine, una fede idolatra conduce alla
disintegrazione di una intera società perché idolo su cui si appoggia è per sua
natura provvisorio e che in ultim’analisi nel confronto con l’infinito diventa
demoniaco. Per dirla con linguaggio scolastico il valore assoluto associa la
fides qua creditur – cioè la fede attraverso la quale si crede, l’atto centrale
della personalità ossia l’aspetto soggettivo dell’atto della fede – alla fides
quae creditur, il contenuto della fede, ossia la fede alla quale si crede, la mèta
verso cui l’atteggiamento soggettivo è orientato, cioè l’aspetto oggettivo
dell’atto della fede.
È interessante l’esito dell’uso di termini come supremo, incondizionato,
infinito e assoluto perché, secondo Tillich con questi termini viene superata
la differenza tra soggettività e oggettività della fede. Quello che è
incondizionato e assoluto nell’atto della fede soggettiva si mostra alla fine
essere lo stesso assoluto che viene significato nell’atto della fede. Questo
diviene ovvio nelle esperienze mistiche, quando i mistici affermano che la
loro conoscenza di Dio è la conoscenza che Dio ha di se stesso. I mistici ci
dicono che l’abisso dell’anima umana rappresenta un luogo dove si
incontrano l’assoluto e il finito, ma questo presuppone che l’uomo debba
vuotarsi di tutte le preoccupazioni preliminari per amore della
preoccupazione suprema, deve cioè superare la divisione dell’esistenza e la
divisione tra soggetto e oggetto perché l’assoluto sta al di là di questa
divisione24. In altre parole, questo mostra che «nell’atto della fede ciò che
costituisce l’origine di questo atto è presente al di là della frattura di soggetto
e oggetto. È presente come l’uno e l’altro e al di là dell’uno e dell’altro»25.
Questo criterio della fede ci aiuta a distinguere meglio il vero dal falso
assoluto. Il finito che richiede per se stesso l’infinità non è in grado di
superare lo schema oggetto-soggetto. Una fede idolatra, ovvero una fede che
innalza le realtà preliminari e finite a livello di assoluto, non è in grado di
superare questo schema.
Parlando del fine ultimo, supremo o assoluto si vuole sottolineare anche il
carattere esistenziale della fede e della esperienza religiosa26. Il carattere
esistenziale della fede, messo in evidenza dal nostro teologo, vuole dire che
la fede esprime una passione non limitata, anzi sconfinata, un interesse
appunto infinito. Con la sottolineatura del fine ultimo si mette in evidenza
23 Cfr. P. TILLICH, Dinamica della fede, 92. 24 Cfr. P. TILLICH, Dinamica della fede, 57-58. 25 P. TILLICH, Dinamica della fede, 22. 26 Cfr. P. TILLICH, Teologia sistematica, I, 23.
CAP. II: LA RELIGIONE COME DIMENSIONE DELLA PROFONDITÀ 35
che l’Assoluto sta al di sopra e al di fuori di tutto ciò che è finito e limitato,
al di sopra di tutto ciò che riguarda gli interessi particolari27.
Parlando di soggettività e oggettività della fede dobbiamo distinguere la
visione cattolica dall’approccio di Tillich sopra riportato, il quale a motivo
dei termini usati arriva alla conclusione dell’uguaglianza tra fede oggettiva
e fede soggettiva. Sembra qualche volta che il teologo dell’incondizionato
intenda ridurre la fede solo all’aspetto soggettivo, dove diventa più
importante il modo di credere piuttosto di ciò che si crede, dimenticando così
che non è il modo di credere ciò che stabilisce la differenza fondamentale,
ma l’oggetto.
Il limite della concezione della fede di Tillich consiste nel fatto che
parlando della fede come impegno supremo per l’incondizionato, egli non
fornisce alla fede un oggetto preciso e concreto, evitando persino la stessa
parola «Dio» che esprime un suo significato e un suo contenuto, ma mette
l’accento sull’esperienza religiosa e sulla qualità come anche sul modo in cui
si ha l’esperienza della realtà comune28. L’atteggiamento cattolico infatti
sottolinea che la fides qua non si può identificare con la fides quae, perché
l’esperienza, cioè la fede soggettiva, non è indipendente dal contenuto
dottrinale cioè dalla fede oggettiva. L’aspetto soggettivo della fede non può
esistere senza l’aspetto oggettivo, c’è un nesso ontologico tra i due che
procedono da Dio e tutti e due hanno la grande importanza per la salvezza.
1.2 La fragilità della fede
1.2.1 Il dubbio, la certezza e il coraggio della fede
La fede è una realtà dinamica che ha una vita propria, implica la tensione
tra il credente e il suo interesse per l’assoluto. L’interesse per l’assoluto si
spiega con l’espressione essere afferrati che include il soggetto che viene
afferrato e l’oggetto da cui viene afferrato. La fede è pertanto rischiosa,
include i dubbi e le incertezze, perché può accadere che l’oggetto del nostro
interesse assoluto non sia veramente assoluto, ma idolatrico.
27 Cfr. B. MONDIN, Paul Tillich e la transmitizzazione del cristianesimo, 74.
Analizzando il perché Tillich abbia dedicato tanta attenzione all’argomento della fede,
Battista Mondin, che ne è stato discepolo, ritiene che la ragione principale non sta nel
principio luterano che la giustificazione dipende esclusivamente dalla fede, ma nel fatto
che egli fosse convinto che la fede mostri all’uomo minacciato dall’insicurezza un’uscita
di sicurezza e come utilizzarla (cfr. Ibid., 71). 28 Cfr. T. MANFERDINI, La filosofia della religione in Paul Tillich, 76; B. MONDIN, Paul
Tillich e la transmitizzazione del cristianesimo, 99-100.
36 LA CORRELAZIONE TRA VANGELO, CULTURA E PERSONA
Nell’atto di fede si presuppone la partecipazione a ciò verso cui si è diretti.
Senza partecipazione alla manifestazione di Dio non c’è fede. L’elemento
opposto alla partecipazione è la separazione. Colui che crede deve essere
separato dall’oggetto della sua fede, altrimenti questo oggetto diventa una
certezza immediata e allora non è più fede. La fede include infatti sempre
l’elemento nonostante che fa evitare la presenza dell’evidenza nella fede29.
Nell’atto della fede la partecipazione indica la certezza della fede, mentre
l’atto della separazione include il dubbio implicito nella fede. Questi due
elementi, la certezza e il dubbio, sono essenziali nella natura della fede e la
rendono dinamica. Un elemento non può eliminare l’altro. Una volta prevale
uno, una volta l’altro, se non fosse così la fede sarebbe indifferenza.
La certezza della fede non è l’incerta certezza di un giudizio teoretico, la
fede non è né credenza, né conoscenza con un basso grado di probabilità; la
certezza della fede invece è esistenziale, perché include tutta l’esistenza
umana, cioè l’intero uomo e tutte le sue funzioni30. La fede è una decisione
faticosa, poiché essere credente non significa aver una certezza scientifica.
La fede non appartiene all’ambito del fatto e del fattibile, ma all’ambito delle
decisioni fondamentali. Essa non è l’esperienza di una sicurezza, ma un
rischio che non si appoggia su qualcosa di vuoto, ma sul Mistero, «e niente
come il mistero [l’infinito] affascina e inquieta la mente»31. La fede «consiste
essenzialmente nell’abbandonarsi al non-fatto e mai fattibile da noi il quale
proprio così sorregge e rende possibile tutto nostro fare»32. Il dubbio
esistenziale della fede (e non il dubbio scientifico e metodologico) rende la
fede una realtà dinamica. La fede è rischiosa nel senso esistenziale perché in
essa si decide del senso della vita. Il rischio della fede deriva dall’esistenza
di qualcosa di incondizionato dentro di noi33 ed è il motivo per cui la fede è
una realtà fragile.
29 Cfr. P. TILLICH, Dinamica della fede, 85-86; Ibid., 30. 30 Cfr. P. TILLICH, Dinamica della fede, 39.43. Secondo la concezione di Ratzinger la
fede indica «una certezza di tipo particolare, una certezza, che per certi aspetti, è più
solida della certezza della scienza, ma che, porta in se il momento dell’”ombra e
dell’immagine” il momento del “non ancora”» (J. RATZINGER, «Fede e teologia», 118).
Sulla certezza come caratteristica della fede vedi CCC 157. 31 R. FISICHELLA, La fede come risposta di senso. Abbandonarsi al mistero, 96. «Il
mistero è parte essenziale della vita e non sarà la ragione di distruggerlo. Viviamo del
mistero e siamo un mistero a noi stessi; eppure, niente come il mistero affascina e inquieta
la mente» (Ibid., 96). 32 J. RATZINGER, Introduzione al cristianesimo, 63. «La fede in Dio assume allora
l’aspetto di un mantenersi uniti a Dio, tramite il quale l’uomo acquista un solido appoggio
per la sua vita» (Ibid., 62). 33 Cfr. P. TILLICH, Theology of culture, 27-29.
CAP. II: LA RELIGIONE COME DIMENSIONE DELLA PROFONDITÀ 37
La fragilità della fede è stata provata anche dai grandi santi. Senza entrare
in profondità del tema del dubbio e della fragilità, basta menzionare
l’esperienza della fragilità e del dubbio della fede di Teresa di Lisieux. Essa
era cosciente della sua fragilità, che riguardava anche la fede: «Infine penso
che il Signore vede la nostra fragilità e si ricorda che noi siamo solo
polvere»34. Sperimentare il dubbio e l’angoscia non significa la perdita della
fede35, perché «quando si fanno degli atti di fede, allora si ha la fede»36.
Il dubbio è sempre presente come elemento strutturale della fede e
costituisce la differenza tra la fede e l’evidenza. Esso indica in questo caso
la serietà di un interesse37. Per quanto possa sembrare paradossale, il dubbio
serio è la conferma della fede. Il dubbio rimane sempre nell’atto della fede,
ma viene superato con il coraggio che:
Prende il dubbio in sé come un’espressione della propria finità e afferma il
contenuto di un interesse supremo. Il coraggio non ha bisogno della sicurezza
di una convinzione indiscutibile. Esso racchiude il rischio senza il quale nessuna
vita creativa è possibile. Per esempio, se il contenuto dell’interesse supremo di
qualcuno è Gesù visto come il Cristo, questa fede non è materia di una certezza
senza dubbi, ma materia di coraggio audace accompagnato dal rischio di
sbagliare38.
Questa convinzione ci mostra appunto che il dubbio, superato con il
coraggio, rende la fede viva, non statica e neppure indifferente. La fede
dinamica coinvolge tutta la persona ed è percepita come un atto vivo e
personale, un’avventura della propria crescita, dello sviluppo personale. La
fede dinamica e non statica è quella che può produrre le creazioni culturali
che rappresentano l’esito del nostro stato per l’interesse assoluto. Essa è un
atto dinamico che coinvolge tutta la persona e la porta a fare un optio
fundamentalis, cioè un impegno personale che sempre modifica il nostro
modo di pensare, agire e vivere, ovvero la nostra intera esistenza. Il coraggio
34 Teresa di Gesù Bambino, «Manoscritto A», 196. 35 Cfr. P. TILLICH, Dinamica della fede, 30. 36
G. GAUCHER, «Il cammino di Teresa nel mistero della sofferenza e della incredulità», 18. 37 Cfr. P. TILLICH, Dinamica della fede, 26-30. Abbiamo indicato sopra che esiste un
accorda tra Tillich e Newman riguardo gli elementi inconsci o le probabilità antecedenti
nell’atto della fede, ma per quel che riguarda il dubbio gli approcci dei due teologi sono
del tutto diversi, tanto che Newman rinega il dubbio come elemento nella struttura della
fede, mentre Tillich, come si veda lo ritiene una necessità. Con queste parole Newman
respinge il dubbio nella fede: «Diecimila difficoltà non fanno un solo dubbio» (J.H.
NEWMAN. Apologia pro vita sua, 5). 38 P. TILLICH, Dinamica della fede, 86-87; cfr. ID., Che cos’è il coraggio, 141.
38 LA CORRELAZIONE TRA VANGELO, CULTURA E PERSONA
è già una specie di fede, perché sottintende un’apertura nel senso della
ricerca e del buon comportamento, è già una fede implicita che non esige la
conoscenza esplicita di Dio.
Al contrario, la fede, intesa come atteggiamento tradizionale senza dubbi
e tensioni, non mostra il suo carattere dinamico, essa non è un impegno in
sviluppo, ma è «morto relitto di antiche esperienze per l’assoluto»39. La fede
che viene concepita solo come una forma di accettazione dottrinale non dà
vita agli atti di amore, mentre la fede come stato di esperienza di un valore
assoluto presuppone l’amore che spinge verso il desiderio di riunirsi a ciò
che è separato. Possiamo allora affermare che la fede personale, non si
eredita, ma si deve conquistare, proprio perché è un atto vivo e personale.
Tuttavia la fede tradizionale non è da sottovalutare, perché è fede potenziale
che può diventare reale e rivivere.
1.2.2 La comunità della fede e dubbio
Parlando del dubbio della fede nella comunità, Tillich entra in conflitto
con le definizioni dogmatiche della Chiesa cattolica. Nelle sue riflessioni sul
dubbio nella comunità la questione principale è come possa una comunità
accettare una fede della quale il dubbio è elemento non solo possibile ma
intrinseco40. Il presupposto dal quale parte il teologo tedesco-americano nella
sua risposta è il linguaggio, senza il quale non vi è né l’atto di fede e neppure
l’esperienza religiosa. Il linguaggio religioso si forma nella comunità dei
credenti e fa sì che l’atto della fede abbia un contenuto, perché senza
linguaggio la fede non avrebbe un contenuto verso cui orientarsi. Solo in una
comunità che possiede un linguaggio l’uomo può realizzare la propria fede
e avere un contenuto per il suo interesse supremo. Una comunità di credenti
che esprime in maniera confessionale gli elementi concreti del suo interesse
ultimo, deve ammettere il dubbio se vuole salvaguardare il carattere
dinamico della propria fede.
39 P. TILLICH, Dinamica della fede, 88. Questo mostra come la fede non sia concepita
come decisione personale o un impegno che è sempre in sviluppo, come invece sembra
concepirla Ratzinger. Parlando infatti della fede nella riflessione di Ratzinger, il teologo
Gallagher si accorge che Ratzinger «mette l’accento sulla fede sia come decisione
personale sia come impegno in sviluppo» (M.P. GALLAGHER, Mappe della Fede, 117). 40 Cfr. P. TILLICH, Dinamica della fede, 31. Sulla dimensione comunitaria della fede
si veda: G. TANZELLA-NITTI, Lezioni di teologia fondamentale, 126; J. RATZINGER,
Elementi di teologia fondamentale, 40, dove sottolinea che nessuno possa stabilire da se
stesso che è un credente.
CAP. II: LA RELIGIONE COME DIMENSIONE DELLA PROFONDITÀ 39
Secondo il nostro teologo: «la “infallibilità” di una decisione conciliare o
episcopale o testuale è un concetto che esclude il dubbio come elemento di fede
in coloro che si sottomettono all’autorità di un concilio o di un vescovo o di un
testo»41. Queste decisioni hanno come conseguenza la possibilità che la fede
diventi statica e includa le implicazioni idolatre, perché qualcosa di preliminare
e di relativo, quali sono le decisioni sopra menzionate, si riveste
dell’assolutezza e viene posto al di sopra del rischio e del dubbio. La risposta
che offre Tillich, rispetto a tali concezioni è che le espressioni confessionali
relative all’interesse supremo della comunità devono includere la loro
autocritica, non possono essere chiuse in se stesse, cioè non possono pretendere
di essere assolute. Su questi presupposti egli spiega il principio protestante che
significa «l’elemento critico insito nell’espressione della comunità di fede e
conseguentemente l’elemento del dubbio nell’atto della fede»42.
Sembra che su questo punto Tillich prescinda dal principio cattolico dello
sviluppo del dogma43. La DV 8 parla del progresso della tradizione che non
è altro che lo sviluppo del dogma. Lo sviluppo dogmatico e il progresso del
deposito della fede significano la stessa cosa. Lo sviluppo del dogma è un
aspetto della vita di fede di tutti i giorni, così come la storia della salvezza si
attua ugualmente nella storia generale. Il contenuto del dogma rimane lo
stesso, ma il valore delle formule dogmatiche espresse nelle decisioni
ecclesiali si possono mettere in discussione. Le formule possono spiegarsi in
modo più chiaro e accessibile, ma devono mantenere il senso in cui furono
formulate e usate. Non si esclude pertanto l’eventuale sviluppo delle formule
dogmatiche che le rendono più accessibili44.
Il fatto che le dichiarazioni dogmatiche siano irriformabili non può
significare che non sia ammissibile una loro interpretazione o una
riformulazione, bensì significa che «nel senso in cui furono capite al tempo e
41 P. TILLICH, Dinamica della fede, 34. 42 P. TILLICH, Dinamica della fede, 35; cfr. H. ZAHRNT, Alle prese con Dio, 390-392.
Il principio protestante che è uno dei temi di fondo di Tillich «non è da lui limitato al
Protestantesimo storico. Esso trova la sua esemplificazione ovunque le pretese del finito
di essere più che tale vengano sottoposte al giudizio dell’Incondizionato» (P. TILLICH,
L’irrilevanza e la rilevanza del messaggio cristiano per l’umanità oggi, 75, n. 1). 43 Si deve tener qui presente che Tillich scrive Dinamica della fede: religione e morale
nel 1957, otto anni prima della Costituzione dogmatica DV e dieci anni prima della
spiegazione dello sviluppo di dogma proposta da Alszeghy e Flick dove pongono il
problema del limite tra la sostanza immutabile e la sua formulazione (cfr. Z. ALSZEGHY –
M. FLICK, Lo sviluppo del dogma cattolico, 12). 44 Cfr. Z. ALSZEGHY – M. FLICK, Lo sviluppo del dogma cattolico, 47.
40 LA CORRELAZIONE TRA VANGELO, CULTURA E PERSONA
nel contesto della loro definizione, devono essere considerate come vere»45.
Nell’enciclica Mysterium fidei, Paolo VI sottolinea che nell’annuncio dei
dogmi della fede, la Chiesa usa i concetti e le formule che sono intelligibili
agli uomini di tutti i tempi e di tutti i luoghi, non si serve delle formule che
sono legate a una certa forma culturale o a una scuola teologica46. Questo è
già un invito alla concettualizzazione e alla transconcettualizzazione per
mezzo delle quali si realizza lo sviluppo del dogma.
Il Concilio Vaticano II sottolinea anche che i teologi sono invitati a cercare
i modi più adatti di comunicare la dottrina cristiana agli uomini della loro
epoca, tenendo presente che «altro è il deposito o la verità della fede e altro
è il modo in cui vengono annunziate»47. È anche necessario tener conto che
il mistero di Cristo trascende la possibilità di espressione di ogni epoca
storica e sfugge ad ogni sistematizzazione esclusiva e ad ogni definizione.
Tuttavia il linguaggio delle definizioni dogmatiche non è solo qualcosa di
esterno ma indica in qualche modo l’incarnazione di una verità48. Anche se
le definizioni infallibile di un Concilio o del vescovo di Roma, queste
definizioni non rimangono statiche e neppure vengono negate in un’epoca
successiva, ma sono ordinate nel loro sviluppo e vengono trasmesse e meglio
comprese «sia con la contemplazione e lo studio dei credenti, i quali le
meditano in cuor loro, sia con la profonda intelligenza delle cose spirituali
di cui fanno l’esperienza, sia per la predicazione di coloro che, con la
successione episcopale hanno ricevuto un carisma sicuro della verità»49.
45 G.F. MANSINI, «Dogma», 348. 46 Cfr. MF 24; Ibid., 25. Il contesto più ampio in cui Paolo VI parla di queste formule
dogmatiche è il discorso sul Mistero Eucaristico. 47 GS 62. Nel contesto della cristologia è avvenuto un cambiamento di linguaggio con il
passare del tempo e l’evoluzione della teologia. Le prime comunità cristiane esprimevano la
loro fede nel Verbo Incarnato in categorie mutuate dall’Antico Testamento (figlio dell’uomo,
servo di Jahve, sapienza di Dio), mentre con la diffusione nel mondo ellenistico i cristiani
adoperavano anche altre categorie come quella di Kyrios. Successivamente sono entrate
nell’uso le forme mentali derivate dalle varie filosofie dell’epoca, con concetti quali sostanza,
natura, persona attraverso i quali si predicava il mistero dell’Incarnazione (cfr. Z. ALSZEGHY
– M. FLICK, Lo sviluppo del dogma cattolico, 49-50). 48 Per approfondire lo sviluppo del dogma cattolico suggeriamo il già citato: Z.
ALSZEGHY – M. FLICK, Lo sviluppo del dogma cattolico. 49 DV 8.
CAP. II: LA RELIGIONE COME DIMENSIONE DELLA PROFONDITÀ 41
1.3 La fede simbolica
1.3.1 I segni e i simboli
Il discorso dei simboli religiosi sta in netta connessione con il tema della fede.
La fede nella riflessione di Tillich si potrebbe descrivere come la fede simbolica.
Negli ultimi secoli l’interesse per i simboli si è imposto in diversi campi,
come l’esistenzialismo, la psicanalisi e anche la teologia sente la
responsabilità di dare al cristianesimo un nuovo aspetto simbolico e,
attraverso esso, una nuova rilevanza50. Nel discorso relativo ai simboli si
deve tenere presente che esistono diversi livelli della realtà e che essi esigono
approcci diversi. Non è cioè possibile descrivere e prendere in
considerazione tutta la realtà con un linguaggio e un metodo adatto, ad
esempio, alle scienze matematiche.
Nel campo della teologia un contributo notevole a tale proposito è stato
fornito proprio dal nostro teologo. Prima di spiegare i simboli religiosi che
indicano la realtà dell’assoluto dobbiamo evidenziare che esiste la differenza
tra simboli e segni.
La prima grande distinzione tra segni e simboli consiste nel fatto che i segni
a differenza dei simboli hanno significato naturale o convenzionale e durano
tanto quanto dura la convenzione. Inoltre i segni non partecipano alla realtà di
ciò che indicano, mentre i simboli vi partecipano51. L’importanza della
partecipazione dei simboli è decisiva nella classificazione tra simboli e segni
mentre prima era molto vaga. La partecipazione al soggetto a cui si riferisce,
rappresenta il polo oggettivo del simbolo, mentre il polo soggettivo consiste
nella relazione con il soggetto a cui si riferisce. Inoltre, i segni possono essere
sostituiti o cambiati dopo un certo tempo, mentre i simboli no.
50 Cfr. B. MONDIN, Paul Tillich e la transmitizzazione del cristianesimo, 148-150. La
visone simbolica dell’Assoluto viene adoperata già dalla scuola di Alessandria con Filone
Alessandrino che intendeva le espressioni antropomorfiche applicate a Dio nel loro
significato simbolico o allegorico e non mai letterale. I predicati applicati a Dio non sono
i suoi predicati propri, ma vengono applicati a Dio solo simbolicamente. Similmente a
Filone, anche Clemente Alessandrino riteneva che di Dio si possa avere solo una
conoscenza simbolica. Successivamente fu Sant’Agostino a cercare di spiegare il mistero
della Trinità attraverso l’uso dei simboli, mentre nel Medioevo fu soprattutto Bonaventura
a sottolineare che tutte le cose rispecchiano Dio (cfr. Ibid., 148). 51 Cfr. P. TILLICH, Theology of culture, 54; G. OLIANA, Il progetto teologico di Paul
Tillich: la sfida del coraggio di essere e del realismo credente, 294-297.
42 LA CORRELAZIONE TRA VANGELO, CULTURA E PERSONA
La caratteristica più importante del simbolo sta nel fatto che esso «più che
“dire” qualcosa, “evoca” la realtà simbolizzata»52. Il simbolo inoltre apre i
piani della realtà, che altrimenti non sarebbero raggiungibili. Questa è la
dimensione della profondità della stessa realtà. Così un poema o un quadro
indicano elementi della realtà che non sarebbe possibile cogliere in nessun
altro modo, se non attraverso i simboli53. I simboli aprono le dimensioni della
nostra anima che corrispondono alle dimensioni della realtà: ad esempio le
melodie e i ritmi della musica non possono essere avvertiti se non attraverso
i simboli.
I simboli non sono una cosa convenzionale, non vengono prodotti
intenzionalmente o arbitrariamente, ma nascono necessariamente e
«sorgono dall’inconscio individuale o collettivo e non agiscono se non
vengono accettati dalla dimensione inconscia del nostro essere. Sono creati
o per lo meno accettati dall’inconscio collettivo del gruppo in cui si
manifestano»54. I simboli non possono essere inventati o sostituiti, ma
scompaiono e muoiono con cambiamento delle condizioni, perché in un
tempo non dicono più nulla in un gruppo dove avevano la loro espressione
e il loro significato. È appunto per questo motivo che Tillich insiste sull’uso
di simboli nuovi che meglio spieghino e avvicinino all’uomo moderno la
realtà dell’Assoluto. Questo cambiamento di simboli avviene in base alle
diverse creatività culturali dell’uomo nei diversi campi: nell’arte, nella
politica, nella storia e nella religione.
1.3.2 I simboli religiosi
Per il nostro lavoro è importante il tema dei simboli religiosi, perché essi ci
aprono i nuovi approcci ad un cristianesimo rilevante e comprensibile nella
cultura in cui viviamo. La questione principale è se i simboli religiosi, in uso
nella Chiesa e nella teologia oggi, sono veramente validi oppure no, se hanno
ancora il loro potere simbolico o lo hanno perduto. Si propongono alcuni
nuovi simboli nel parlare di Dio perché l’uomo del nostro tempo riesca a
comprendere e a trovare la rilevanza e il significato del cristianesimo. I simboli
52 R. FISICHELLA, «Simbolo», 1122. Fisichella sottolinea che l’interpretazione
simbolica è divenuta quasi una via eminentiae per la comunicazione del messaggio
cristiano. (cfr. Ibid., 1122). Quasi la stessa persuasione che troviamo in Tillich. 53 Cfr. P. TILLICH, Theology of culture, 56; ID., Dinamica della fede, 44-45. Per un
riassunto ad opera dello stesso Tillich che descrive la diversa natura del simbolo e del
segno così come la dottrina sul simbolismo religioso, si veda il primo volume della sua
Teologia sistematica (cfr. ID., Teologia sistematica, I, 274-276). 54 P. TILLICH, Dinamica della fede, 45; cfr. ID., Theology of culture, 58.
CAP. II: LA RELIGIONE COME DIMENSIONE DELLA PROFONDITÀ 43
adoperati infatti devono pertanto appartenere al tempo, alla cultura, alla
filosofia e al mondo dell’uomo a cui viene comunicato questo messaggio.
Alla base del discorso dei simboli religiosi di Tillich sta la sua passione
per la situazione in cui viene comunicato il messaggio cristiano e dalla quale
non si può prescindere. Se la fede è l’interesse supremo e l’interesse per
l’assoluto, allora si pone la domanda di come esprimere questo interesse
supremo. Il nostro autore ritiene che solo la forma simbolica e il linguaggio
simbolico siano capaci di esprimere l’assoluto. Il linguaggio simbolico
infatti, vuole affermare la capacità dell’uomo di esprimere quello che lo
trascende. La possibilità e la necessità dei simboli si fondano sulla
dimensione partecipatoria, ossia sul fatto che l’uomo non è totalmente
separato dall’essenza, ma partecipa al fondamento del suo essere. Per questo
possiamo dire che «il simbolo tillichiano non è altro che una modalità di
conoscenza partecipativa che permette di cogliere l’infinito attraverso il
finito purificato dalla percezione distorta del soggetto»55.
Siccome Dio è l’essere in sé, il fondamento dell’essere e trascende ogni
realtà finita, allora possiamo conoscerlo solo attraverso la realtà simbolica,
che nella teologia tillichiana corrisponde alla dottrina cattolica
sull’analogia56. Senza l’analogia entis tra il finito e l’infinito non si potrebbe
dire nulla di Dio, ma ciò non significa che tale analogia sia in grado di creare
un teologia naturale. Non è un metodo per scoprire la verità di Dio, ma solo
una forma in cui trova l’espressione ogni conoscenza della rivelazione.
L’analogia entis come anche il simbolo religioso «indica la necessità di
usare materiali tratti dalla realtà finita allo scopo di dare un contenuto alla
funzione conoscitiva della rivelazione»57.
55 Cfr. G. OLIANA, Il progetto teologico di Paul Tillich: la sfida del coraggio di essere
e del realismo credente, 292. Nel discorso sui simboli religiosi tillichiani si capisce che
«tra il creatore e la creatura per quanto grande sia la somiglianza, maggiore è la
differenza» (DH 806). 56 Cfr. A. DE LUCA, L’antropologia teologica di Paul Tillich, 72. La conoscenza di Dio
è sempre simbolica o analogica, poiché Dio trascende infinitamente ogni cosa, ciò include
che da una parte ogni cosa che si conosca dell’uomo può essere applicata a Dio perché è
in Lui in quanto suo fondo creativo, e dall’altra parte, qualsiasi cosa che si conosce
dell’uomo non può essere applicata a Dio perché Dio è totalmente altro ed estaticamente
trascendente (cfr. E. SCABINI, Il pensiero di Paul Tillich, 100). 57 P. TILLICH, Teologia sistematica, I, 155; cfr. ID. Teologia sistematica, II, 15-16; M.
NARO, «L’”apologetica” di Paul Tillich: una teologia definita a partire dal suo metodo»,
193, n. 31. Per vedere un confronto tra analogia di san Tomaso e simbolismo di Tillich si
veda: A. DE LUCA, L’antropologia teologica di Paul Tillich, 73-75, come anche: G.
OLIANA, Il progetto teologico di Paul Tillich: il coraggio di essere e del realismo
credente, 297-300. Sembra che l’approccio di Tillich sia fenomenologico-critico, mentre
44 LA CORRELAZIONE TRA VANGELO, CULTURA E PERSONA
Ci sono due modi di studiare i simboli religiosi: dal punto di vista
teologico e dal punto di vista filosofico. Il filosofo si occupa dei simboli in
se stessi, come anche dell’essere, mentre la teologia si interroga sui simboli
come anche sull’essere in quanto pro nobis, cioè su quale significato hanno
questi simboli per noi o, più precisamente, per la nostra situazione e per il
nostro impegno incondizionato58. I simboli religiosi sono una specie di
simbolo al quale si può applicare tutto quello che si è detto dei simboli in
generale. La conoscenza simbolica non cerca di indebolire la forza spirituale
del linguaggio religioso, ma cerca di dare a Dio e alle sue relazioni con gli
uomini più realtà e potenza di quanto non possa dare l’interpretazione non
simbolica. In altre parole, la nostra conoscenza di Dio non è solo simbolica,
ma è non meno di simbolica59.
La realtà finita della quale si servono i simboli religiosi per esprimere il
nostro rapporto con l’infinito non è un mezzo arbitrario, ma partecipa al
potere dell’assoluto che intende esprimere. In altre parole, un simbolo
religioso da una parte dà rilievo a ciò che simboleggia e, dall’altra dà rilievo
alla realtà finita per mezzo della quale diventa simbolo60. I simboli religiosi
appartengono alla totalità dell’esperienza umana che comprende le situazioni
esistenziali manifestate in diversi ambiti: politici, economici, artistici ecc. La
loro peculiarità è che essi sono non-fondati; nel linguaggio religioso si
potrebbe dire che i simboli sono oggetti di fede e il loro ruolo sta nel
«costituire la rappresentanza del trascendente non intuibile»61. I simboli
religiosi ci dicono come gli uomini hanno compreso la loro propria natura
essenziale e in questo senso sono un linguaggio dell’antropologia giacché ci
dicono qualcosa sulla natura dell’uomo62. Anche i simboli religiosi aprono
di Tommaso sia logico-metafisico. In Tillich il simbolo è risultato dell’incontro creativo
con la realtà che di fatto simboleggia e dipende soggettivamente ed emozionalmente
dall’atto in cui esso si realizza hic et nunc. Per Tommaso l’analogia è oggettiva
indipendente dal soggetto conoscente (cfr. Ibid., 298-299). 58 Cfr. P. TILLICH, Teologia sistematica, I, 21.34-41. Le preoccupazioni del filosofo e
del teologo sono state esaminate nel primo capitolo di questa parte, quando abbiamo
trattato il rapporto tra filosofia e teologia (cfr. Cap. I, sez. 1.2.3). 59 Cfr. E. SCABINI, Il pensiero di Paul Tillich, 100. 60 Cfr. P. TILLICH, L’era protestante, 90. 61 T. MANFERDINI, La filosofia della religione in Paul Tillich, 266. Da questo proviene
che i simboli religiosi sono rappresentanze oggettive del trascendente incondizionato,
cioè che hanno un rapporto reale con ciò che simboleggiano e per questo hanno la validità
semantica oggettiva (cfr. Ibid., 266). 62 Cfr. P. TILLICH, Il futuro delle religioni, 136.
CAP. II: LA RELIGIONE COME DIMENSIONE DELLA PROFONDITÀ 45
le dimensioni della realtà che altrimenti rimarrebbe nascosta63. Per questo
attraverso di essi si rappresenta la dimensione della profondità di tutta la
realtà. I simboli religiosi sono:
La dimensione della realtà che fa il fondamento di ogni altra dimensione e di
ogni altra profondità, che non è una dimensione accanto ad altre, ma è la
dimensione fondamentale, dimensione che è base a tutte le altre dimensioni, la
dimensione dell’essere o il fondamento ultimo dell’essere. I simboli religiosi
aprono l’esperienza della dimensione della profondità nell’anima umana. In
quanto il simbolo religioso cessa di fare questa funzione, muoia. Se nascono i
nuovi simboli, nascono dal rapporto cambiato rispetto a ultimo fondamento
dell’essere, cioè rispetto a Sacro64.
La dimensione della realtà ultima è la dimensione del Sacro e il Sacro, di
cui l’uomo prende coscienza nell’esperienza religiosa, è Dio come
fondamento dell’essere65. Ciò spiega che i simboli religiosi sono allora i
simboli del Sacro e come tali partecipano alla sacralità del Sacro, ma questo
non significa uguaglianza tra simboli religiosi e Sacro. I simboli religiosi
rimandano a ciò che li trascende. In questo senso il sacro è la qualità di ciò
che impegna l’essere umano in modo assoluto, perché solo quello che è sacro
può dare all’uomo un fine ultimo e viceversa, solo ciò che dà all’uomo un
fine ultimo possiede la qualità del sacro66.
Nella religione c’è sempre il pericolo che i simboli religiosi usurpino le
caratteristiche dell’ultimità, ovvero che tutto quello che rappresenta un
interesse supremo e incondizionato si trasformi in un dio. È pertanto
necessario fare attenzione e avere discernimento: se qualche realtà finita e
condizionata, come per esempio il successo o la persona o qualsiasi altra realtà
finita, rappresenta l’interesse supremo per qualcuno, allora questo nome
diventa un nome sacro e si riveste degli attributi divini67. Le realtà finite che
63 Qui possiamo intuire un nesso tra rivelazione e religione poiché Tillich mette in
evidenza che solo quello che è nascosto per essenza e per questo inaccessibile da ogni
altra cognizione, si comunica mediante rivelazione non cessando di essere nascosto. I
simboli ci aprono allora questa realtà nascosta che pur rivelandosi rimane nascosta (cfr.
P. TILLICH, «Offenbarung und Glaube», 31-39. 64 P. TILLICH, Theology of culture, 59. Sulla concezione del Sacro più ampiamente si
veda: L. RACINE, «La critica del sacro nella teologia di Paul Tillich», 507-530. 65 Cfr. L. RACINE, «La critica del sacro nella teologia di Paul Tillich», 512. 66 Cfr. P. TILLICH, Teologia sistematica, I, 248. 67 É vero che esistono oggetti o persone scari o santi, ma guardarli come tali vuole dire
percepire attraverso di loro il significato dell’incondizionato. In tale senso essi anche se
46 LA CORRELAZIONE TRA VANGELO, CULTURA E PERSONA
ricevono gli attributi divini simboleggiano l’assoluto, ma lo fanno in modo
idolatro, perché sacrificano tutti gli altri valori della vita per un predominio
che in realtà è finito nonostante la sua tendenza a diventare assoluto.
Usando il linguaggio simbolico Tillich intende difendere la trascendenza
di Dio contro ogni forma di religione che cerca di assolutizzare i simboli,
dimenticando il loro carattere solo simbolico. In tale senso i concetti che
caratterizzano le realtà ordinarie diventano simboli idolatri dell’interesse
assoluto, allora sono demoniaci68.
1.3.3 La verità dei simboli religiosi
Parlando del discernimento circa simboli religiosi, si deve porre
l’attenzione al criterio di verità dei simboli che esprimono la fede come
esperienza di un valore assoluto. Da questo punto di vista la domanda che si
pone riguarda la verità della fede che si verifica con il criterio
dell’adeguatezza.
La fede possiede la verità in quanto esprime adeguatamente un interesse
supremo. “Adeguatezza” di espressione sta a significare la capacità di esprimere
un interesse supremo in modo tale che esso provochi una risposta, promuova
un’azione e stabilisce un rapporto. Simboli in grado di fare questo sono simboli
vivi. Ma la vita dei simboli è limitata. Il rapporto dell’uomo con l’assoluto è
soggetto a mutamenti […] Simboli che per un certo periodo o in un certo luogo
espressero la verità di fede per un certo gruppo, oggi stanno solo a ricordare la
fede del passato. Hanno perso la loro verità, ed è un problema aperto se si
possano far rivivere i simboli morti […] Il criterio della verità di fede è se essa
sia viva o no. Questo, certamente, non è in senso scientifico un criterio esatto,
ma un criterio prammatico che si può applicare piuttosto facilmente al passato
con tutto il suo corteo di simboli ovviamente morti. Non si può applicare tanto
facilmente al presente, perché non si può mai dire che un simbolo sia
definitivamente morto, se è ancora accettato. Esso dorme, ma può essere
svegliato69.
In altre parole, potremmo affermare che un simbolo religioso possiede la
verità in quanto è adeguato alla rivelazione che esprime e in quanto esprime
adeguatamente la correlazione tra la persona e la rivelazione. Esso è vero in
nominati sacri e santi sono portatrici di quel Santo che li riguarda in modo incondizionato
(cfr. C.J. ARMBRUSTER, The Vision of Paul Tillich, 63-64). 68 Cfr. P. TILLICH, Theology of culture, 59-60; ID., Dinamica della fede, 46. 69 P. TILLICH, Dinamica della fede, 82-83.
CAP. II: LA RELIGIONE COME DIMENSIONE DELLA PROFONDITÀ 47
quanto è l’espressione di una rivelazione70. Sembra che la citazione sopra
riportata punti solamente al polo soggettivo della fede che riconosce la verità
in ogni autentico simbolo della fede, per cui i simboli che sono vivi sono
veri. Viene, infatti sostanzialmente trascurato l’aspetto oggettivo della fede,
che sottolinea come la fede è vera in quanto il suo contenuto è veramente
assoluto. A nostro avviso, Tillich pone maggiormente l’accento al modo con
cui riesce ad esprimere l’interesse per assoluto.
Parlando dei simboli vivi e dei simboli morti, si può dire che questi ultimi
non siano né veri né falsi, come intende Battista Mondin criticando la
concezione tillichiana71. Riteniamo che questo valga solamente parlando dei
simboli in senso generale. Applicando questo alla situazione dell’uomo che
è l’uomo del suo tempo, i simboli che non dicono più nulla sono veramente
morti ma nonostante questo continuano a essere presenti nella mente umana
perché hanno di per se stessi una lunga durata. Per questo anche se morti in
quanto falsi generano confusione nella concezione dell’uomo relativa al
mondo, al divino e a se stesso, poiché questa concezione oggi non è la stessa
di cento o più anni fa.
Un altro criterio di verità del simbolo di fede consiste nella sua capacità
di espressione dell’assoluto che sia veramente assoluto e non di una mera
realtà finita e preliminare, che solamente si riveste con delle qualità
dell’assoluto. Il criterio massimo della verità di simbolo è quello che implica
e che si può permettere una autonegazione, cioè un simbolo che esprime, non
solo l’assoluto, ma anche in un certo senso, la mancanza di assolutezza. Un
simbolo idolatro non ha la capacità di riconoscere i propri limiti e le proprie
mancanze. L’unico simbolo che si permette l’autonegazione è la Croce di
Cristo ed è l’unico simbolo che non ha perduto il suo potere simbolico e che
ancora dà rilevanza al cristianesimo. Il simbolo di Cristo crocifisso è il
simbolo perfetto, perché il Crocifisso ha conservato l’unione con Dio e ha
totalmente rinegato se stesso, ha sacrificato se stesso per non diventare un
idolo e un dio accanto a Dio72.
70 Cfr. P. TILLICH, Teologia sistematica, I, 275. In questo caso l’autore sottolinea il
duplice significato di verità di un simbolo, in quanto esso ha la verità ed è anche vero. 71 Cfr. B. MONDIN, Paul Tillich e la transmitizzazione del cristianesimo, 156. 72 Cfr. P. TILLICH, Dinamica della fede, 83. Nella discussione con Pietro, Gesù accetta
il titolo Cristo, ma sotto la condizione che deve andare a Gerusalemme, dove deve patire
e morire, cioè rinegare se stesso. In base a questo Gesù rinega una tendenza idolatra che
lo riguarderebbe (cfr. ID., Theology of culture, 67).
48 LA CORRELAZIONE TRA VANGELO, CULTURA E PERSONA
1.3.4 Il simbolo «Dio» e la teologia negativa
La domanda principale che si pone riguardo ai simboli religiosi nel
sistema tillichiano verte sull’esistenza di una affermazione non simbolica
che riguarda il referente dei simboli religiosi. Per arrivare alla risposta Tillich
sottolinea che il metodo fenomenologico non è in grado di andare oltre la
descrizione dei fenomeni e che conduce a una parte limitata, cioè non è
capace da solo di raggiungere il referente dei simboli religiosi. Lo è invece
il metodo ontologico che non si occupa dell’esistenza di un ente, ma rileva
il suo carattere di autotrascendenza, poiché il metodo ontologico analizzando
l’essenza dell’uomo nel mondo, analizza la finitudine del finito e allo stesso
tempo scopre che sulla base della quale egli pone la domanda dell’essere
stesso, scopre l’esistenza di un prius fondante di tutto ciò che è. È allora
l’analisi ontologica conduce al referente dei simboli religiosi che si può
denominare come essere stesso, essere in sé, potere dell’essere. Queste
denominazioni non si riferiscono ad un ente, ma significano la qualità di un
essere. Vediamo che il metodo fenomenologico e quello ontologico si
completano a vicenda perché quello che descrizione fenomenologica implica
è allo stesso tempo il punto focale dell’analisi ontologica73.
In realtà, nessun concetto, nessuna realtà finita può esprimere il vero
assoluto direttamente e propriamente, perché esso trascende infinitamente
ogni realtà finita. Così anche Dio trascende il proprio nome e per questo,
l’uso del suo nome diventa un abuso, ciò che ci interessa come una realtà
suprema ha un significato simbolico, «trascende se stesso e nello stesso
tempo partecipa a ciò che indica»74. Se il nome Dio è solo un simbolo di Dio,
al contrario, l’affermazione che Dio è l’essere in sé non è simbolica perché
non indica qualcosa oltre se stessa, ma significa direttamente quello che
afferma. Ogni altra affermazione relativa a Dio, tranne questa che dice che
Dio è l’essere in sé, non è diretta bensì è una affermazione indiretta che
rimanda a qualcosa oltre se stessa, ovvero è simbolica75. Parlare di Dio come
di un essere supremo significa ridurre Dio a un concetto, e ogni concetto è
per sua natura finito. Dio non è un essere accanto agli altri esseri, per questa
ragione ogni affermazione concreta su Dio deve essere simbolica.
73 Cfr. T. MANFERDINI, La filosofia della religione in Paul Tillich, 280-282. Questa
elaborazione dovevamo prestarla dalla autrice Tina Manferdini, essa si riferisce allo
scritto di Tillich «The Meaning and Justification of Religious Symbols» che si trova nel
volume Religious Experiens and Truth, New York 1961, 3-11 (cfr. T. MANFERDINI, La
filosofia della religione in Paul Tillich, 278, n. 19). 74 P. TILLICH, Dinamica della fede, 47. 75 Cfr. P. TILLICH, Teologia sistematica, I, 273-274.
CAP. II: LA RELIGIONE COME DIMENSIONE DELLA PROFONDITÀ 49
Per quel che riguarda i simboli religiosi che esprimono la realtà suprema,
sembra che Tillich sia molto vicino ad alcuni teologi fautori della teologia
negativa o apofatica76. Essi ritengono che sia difficile, se non impossibile,
esprimere la realtà di Dio, perché Egli nonostante tutte le nostre forze rimane
sempre al di là, trascende ogni nostra tentazione di chiamarlo con un nome
che esprime adeguatamente quello che Egli è, cioè la sua essenza e la sua
natura. Questa esperienza è anche molto vicina alle esperienze mistiche. I
Padri della Chiesa avevano già intuito che Dio sta al di là di ogni nome e non
può essere compreso con le nostre categorie. Così Gregorio Nazianzeno, nei
suoi scritti, non indicando il nome di Dio si esprime, a proposito di Dio, con
le seguenti parole: «O Tu, l’al di là di tutto, non è forse tutto quello che si
può cantare di te?»77. Dio rimane al di là di ogni nostra affermazione o
negazione, Egli non è uno degli oggetti che esistono. In una sua meditazione
Karl Rahner scrive: «Come ti posso chiamare, se non Dio della mia vita? Ma
che ho detto mai con questo, quando non c’è nome che ti possa nominare»78.
Dio è solo un simbolo di Dio e perciò né la teologia più precisa, né quella
più devota ci possono spiegare chi o che cosa Dio sia. Il tentativo di chiarire
il concetto di Dio spesso produce un idolo79.
Nella concezione dei simboli religiosi dobbiamo distinguere due livelli
fondamentali, il livello trascendentale che sta al di là di ogni realtà empirica
e il livello immanente che troviamo nell’incontro con la realtà. Dio è il
simbolo fondamentale del livello trascendente. Ciò significa che in Dio
dobbiamo distinguere prima di tutto l’elemento dell’assoluto che è un fatto
di esperienza immediata e non simbolico. Dall’altra part, a livello immanente
76 Cfr. M. MARCOLLA, «Paul Tillich: teologia negativa e negazione della teologia»,
424. Secondo alcuni autori, in Tillich non c’è una teologia negativa in quanto tale perché
lui cerca di combinare gli elementi di teologia positiva e di quella negativa, oppure lui
cerca di mantenere l’equilibrio tra teologia positiva e teologia negativa mediante la via
simbolica (cfr. G. OLIANA, Il progetto teologico di Paul Tillich: la sfida del coraggio di
essere e del realismo credente, 304-305). 77 Citato secondo: A. GEMMA, Fede: cara gioia, 108. Dionigi Areopagita si esprime
così a proposito del nome di Dio: «Il nome di Dio non indica la sostanza né che cosa Dio
è, ma il suo agire benefico verso di noi; noi creiamo i nomi di Dio in base alle
partecipazioni che ci sono date da Dio; ma che cosa è Dio è inconcepibile per tutti, perché
la divina esistenza sarà lodata degnamente in qualche misura quando sarà stata da noi
completamente liberata da ogni attività fortissima intellettuale e ci accoglierà nel santo
silenzio intenti a guardare i doni che provengono da lei» (DIONIGI AREOPAGITA, «Nomi
divini», 276). 78 K. RAHNER, Tu sei il silenzio, 8. 79 Cfr. H. HÄRING, «Sull’attualità della teologia negativa», 187.
50 LA CORRELAZIONE TRA VANGELO, CULTURA E PERSONA
si vuole dire che in Dio esiste un elemento della concretezza che preso dalla
nostra ordinaria esperienza viene simbolicamente applicato a Dio.
A proposito di Dio dobbiamo pertanto affermare due cose: la prima è che
nella nostra nozione di Dio vi è qualcosa di non simbolico ed è quello che ci
dice che Dio è la realtà ultima, l’essere stesso, il fondamento dell’essere, la
potenza dell’essere; la seconda è che Dio è il più grande essere nel quale,
tutto quello che ci appartiene esiste in Lui in modo più perfetto. Se
affermiamo questo, allora affermiamo che abbiamo il simbolo per ciò che
non di simbolico vi è in Dio, cioè per l’essere stesso80.
Nel rapportarci a ciò che è ultimo, dobbiamo usare i simboli, poiché
incontriamo Dio come persona. Parlando di Dio con linguaggio simbolico,
possiamo dire che in Lui incontriamo quello che trascende infinitamente
l’esperienza di noi stessi come persone e incontriamo anche quello che è il
più grande in questa esperienza e per questo possiamo dare del Tu a Dio,
avere cioè una relazione personale con Lui. A livello trascendentale, nei
simboli religiosi, questi due elementi si trovano insieme81.
Il linguaggio della fede è linguaggio di simboli, la fede si esprime
adeguatamente solo attraverso di essi perché è l’esperienza di un valore
assoluto che, come abbiamo visto, non si può spiegare facilmente e neppure
semplicemente nominare. Esistono diversi tipi di simboli della fede. Dio è
simbolo fondamentale del nostro interesse ultimo ed è sempre presente
nell’atto della fede: «dove c’è interesse supremo Dio può essere negato solo
nel nome di Dio. Un Dio può negare l’altro. L’interesse supremo non può
negarsi come supremo»82. Con tele affermazione, Tillich abolisce la
possibilità dell’ateismo, perché «chi nega Dio come materia di interesse
supremo afferma Dio, perché afferma l’assoluto nel proprio interesse»83. La
80 Cfr. P. TILLICH, Theology of culture, 61; ID., Dinamica della fede, 47-48. 81 Cfr. P. TILLICH, Theology of culture, 62. Altri due elementi importanti nel livello
trascendentale riguardano gli attributi divini che provengono dalla nostra esperienza e che
non possono essere applicati a Dio nel senso letterale; e l’elemento dell’azione di Dio che
non si può comprendere letteralmente, ma si deve comprendere simbolicamente (cfr.
Ibid., 62). 82 P. TILLICH, Dinamica della fede, 47. 83 P. TILLICH, Dinamica della fede, 47. Tillich rinega l’attesismo pratico che significa
«L’attestazione di un vuoto che è nulla» (G. RAVASI, L’incontro, 104). Differente da
questo tipo di ateismo è la situazione in cui si sente l’assenza di Dio, che colpisce anche
il credente nel suo cammino della fede, perché, come abbiamo visto la fede comprende
l’assenza, il silenzio, il buio, l’oscurità, la fragilità. Potremmo dire che il primo tipo di
ateismo, dove si nega la storia della salvezza compiuta da Dio è attivo, mentre l’altro,
quanto il credente si sente rifiutato da Dio, è passivo e proprio questo hanno sperimentato
CAP. II: LA RELIGIONE COME DIMENSIONE DELLA PROFONDITÀ 51
provocazione fondamentale ovviamente non è l’esistenza di Dio, ma quale
tra i simboli della fede sia il più appropriato per il significato della fede
stessa, cioè quale simbolo dell’incondizionato esprime l’incondizionato
senza elementi idolatri. Il teologo dell’incondizionato ritiene che questo è il
simbolo di Dio che inteso come l’assoluto, nell’interesse assoluto dell’uomo,
è più certo di ogni altra certezza. Dio simboleggiato in una figura divina è
oggetto della fede audace che include rischio e coraggio84.
Dio è simbolo fondamentale della fede, ma non è l’unico, ci sono anche
altri simboli ricavati dalla nostra esperienza e applicati a ciò che trascende il
finito e l’infinito. Tra questi sono potenza, amore, giustizia ecc85.
1.3.5 Il mito e la transmitizzazione
Nella sua riflessione teologica Tillich collega i simboli della fede ai miti.
I miti sono «simboli di fede combinati in storie sugli incontri del divino con
l’umano»86, oppure mito è una storia di dèi. Dal momento che il linguaggio
della fede è simbolico, allora i miti sono presenti in ogni atto della fede. Il
destino dei miti è di essere attaccati e criticati in ogni religione, così che in
alcune religioni è presente il tentativo di negare il collegamento tra mito e
religione, mentre altri cercano di stabilire una certa identificazione tra i due.
La concezione intellettualistica della religione vede il mito come l’elemento
essenziale della religione, mentre la concezione emozionalistica nega ogni
valore e significato del mito nella religione. Né l’una né l’altra prospettiva
possono offrire le risposte adeguate.
Il teologo della correlazione ricorre al suo metodo per spiegare questo
problema. Secondo tale metodo si ha presente la correlazione tra atto e oggetto
della coscienza religiosa. Ciò implica che ogni atto religioso si rapporta ad un
oggetto religioso e questo significa che non vi è culto né devozione senza
soprattutto i grandi santi tra i quali ricordiamo solamente due: Madre Teresa di Calcutta
e Teresa di Lisieux (cfr. Ibid., 102-104). 84 Cfr. P. TILLICH, Dinamica della fede, 48-49; Cap. II, sez. 1.2.1. 85 Parlando dei simboli che Tillich mette in evidenza, non è nostra intenzione entrare
in profondità nella suddivisione di tali simboli che l’autore riporta in diversi suoi scritti.
Accenniamo solamente al fatto che egli suddivide i simboli in tre gruppi: trascendente, al
quale appartengono i simboli che si riferiscono a Dio e ai suoi attributi; sacramentale, al
quale appartengono i simboli che si riferiscono alla manifestazione del sacro nel tempo e
nello spazio; liturgico, al quale appartengono quei segni che sono elevati al potere
simbolico come per esempio l’acqua, la luce e simili. Su questo si veda più ampiamente:
B. MONDIN, Paul Tillich e la transmitizzazione del cristianesimo, 164-165. 86 P. TILLICH, Dinamica della fede, 49.
52 LA CORRELAZIONE TRA VANGELO, CULTURA E PERSONA
contenuto mitico che è l’oggetto dell’atto religioso, come anche non può
essere religioso un mito che non ha sua vita nel culto e nella devozione87.
La teoria simbolico-realistica del mito proposta da Tillich sembra essere
riuscito a conciliare la spiegazione del mito in chiave metafisica da una parte
e in chiave gnoseologica dall’altra. Secondo questa teoria il mito viene
concepito come:
Un simbolo costituito con elementi ricavati dalla realtà empirica, il quale
rappresenta l’Incondizionato, l’al di là dell’essere, in altri termini l’oggetto
intenzionato dalla coscienza nell’atto religioso. Il mito ha una sua realtà
(Realität), giacché è orientato verso l’incondizionatamente reale, ma questa
realtà non è da concepire come quella di una copia, di una semplice
riproduzione88.
Questo spiega allora che mito viene espresso in un contesto di simboli e
vive nei simboli che partecipano alla realtà che indicano. Ciò include un
nesso stretto tra miti e religione.
Il cristianesimo, come anche le altre religioni, ha bisogno di
demitizzazione, cioè di purificare la storia in cui divino e umano esercitano
un’azione reciproca. La demitizzazione è necessaria se ha come scopo
riconoscere un simbolo come simbolo e un mito come mito, mentre è da
rigettare se cerca di eliminare totalmente i simboli e i miti. I simboli e i miti
infatti sono forme sempre presenti nella coscienza umana. I miti e i simboli
sono il linguaggio della fede e per questa ragione «tutti gli elementi
mitologici della Bibbia, come pure la dottrina e la liturgia, dovrebbero essere
riconosciuti come mitologici, ma conservati nella loro forma simbolica e non
sostituiti con surrogati scientifici. Infatti non c’è surrogato per l’uso dei
simboli e dei miti»89.
Le espressioni culturali e anche quelle mitologiche della fede hanno
significato solo se capiscono il loro carattere simbolico. Sono i simboli che
mantengono l’esperienza del sacro. Senza i simboli scomparirebbe anche
l’esperienza del sacro.
87 Cfr. T. MANFERDINI, La filosofia della religione in Paul Tillich, 256-257. Per Tillich
il mito è la forma espressiva per il contenuto rivelato (cfr. Ibid., 256). 88 T. MANFERDINI, La filosofia della religione in Paul Tillich, 256. 89 P. TILLICH, Dinamica della fede, 51.
CAP. II: LA RELIGIONE COME DIMENSIONE DELLA PROFONDITÀ 53
1.3.6 La comprensione dei simboli e dei miti
La comprensione dei simboli e dei miti è di importanza fondamentale: la
loro concettualizzazione e anche la loro critica costituiscono uno dei compiti
della teologia.
Vi sono due pericoli riguardo alla concezione dei simboli e dei miti dai
quali la teologia deve guardarsi: il letteralismo e il suo opposto, il misticismo.
I simboli presi nel senso letterale privano Dio della sua assolutezza e
abbassano Dio al livello di ciò che non è assoluto, cioè al livello del finito e
del condizionato. La stessa fede, se prende i propri simboli alla lettera
diventa idolatra, ma se è consapevole del loro carattere simbolico rende a
Dio la gloria e l’onore che gli sono dovuti. Se il letteralismo identifica i
simboli con l’Assoluto, il misticismo invece, cercando di unirsi a Dio,
elimina ogni simbolo. Su questa scia, alcuni autori ritengono che il discorso
teologico di Tillich sulla natura dei simboli ha avuto un influsso sulla
teologia nera sottolineando che: «parlare della teologia nera è parlare avendo
in mente la nozione tillichiana di simbolo»90.
Tutto quello che abbiamo detto sulla concezione dei simboli e sul pericolo
della loro interpretazione letterale o mistica vale anche per il mito: se viene
preso alla lettera, viene respinto come assurdo o trasformato in una filosofia
della religione o senza religione. Tuttavia se il mito viene interpretato come
una espressione simbolica dell’interesse supremo diventa non assurdo, ma la
creazione fondamentale di ogni comunità religiosa91. In questo caso il mito
non può essere rimpiazzato con nessun altro concetto e allo stesso tempo
mantiene viva la fede. Senza i miti la fede sparirebbe e con essa sparirebbe
l’interesse supremo dell’uomo, e si creerebbe il posto per una morale
autonoma che prenderebbe il ruolo e il posto della fede92.
Dobbiamo essere attenti anche a due modalità del mito che Tillich spiega
con la parola infrangere. Con essa spiega il mito non infranto (non spezzato)
cioè quello che intende una totalità inglobante del mito che contiene in sé
tutti gli aspetti di compattezza originaria del mito: la teologia, la cosmologia,
l’antropologia, la scienza, la storia. Il primo attacco al mito così concepito è
avvenuto dalla religione della trascendenza che si realizza nel profetismo
giudaico. Esso ha portato all’esito che al posto del mito non infranto (non
spezzato) è entrato il mito infranto dalla coscienza della incondizionata
trascendenza del divino. A partire dal mito infranto l’aspetto mitico diventa
90 Cfr. F. ARDUSSO – al., La teologia contemporanea, 618. 91 Cfr. P. TILLICH, Dinamica della fede, 100. 92 Cfr. P. TILLICH, Dinamica della fede, 101.
54 LA CORRELAZIONE TRA VANGELO, CULTURA E PERSONA
un elemento necessario di ogni religione93. Secondo Tillich il mito infranto
cerca di salvaguardare la trascendenza nonostante tutti simboli, mentre il
mito non infranto nega la trascendenza e riduce il divino al livello
condizionato e lo fa percepibile entro le categorie dello spazio e del tempo94.
Il compito della teologia sta nel vegliare sulla retta spiegazione dei miti e
dei simboli mettendo in rilievo che essi esprimono la trascendenza del Sacro
in tensione con la sua immanenza95. La teologia deve essere attenta per poter
accorgersi quando nella storia le strutture simboliche non funzionano più e
non rendono più intelligibile il contenuto del messaggio cristiano, ma senza,
per questo cambiare il contenuto! Il ruolo della teologia consiste nel tentativo
di trasformare i simboli, ormai passati in simboli nuovi che meglio
esprimano l’intenzione del cristianesimo e che di esso parlino in maniera più
chiara, intelligibile e rilevante. Occorre che il cristianesimo parli con simboli
che corrispondano alla realtà che rappresentano.
L’importanza della trasformazione dei simboli consiste nel tradurre il
messaggio cristiano in un nuovo linguaggio comprensibile per l’uomo
contemporaneo. La demitizzazione, come processo permanente, risulta
93 Cfr. T. MANFERDINI, La filosofia della religione in Paul Tillich, 258. 94 Cfr. P. TILLICH, «Mythos und Mythologie», 190. 95 Cfr. B. MONDIN, Paul Tillich e la transmitizzazione del cristianesimo, 168. Ci sembra a
questo punto doveroso aggiungere che Tillich ha cercato di riformare il simbolismo cristiano.
Il successo del suo lavoro dipende dalle diverse concezioni teologiche o dal tempo e dai
gruppi sociali in cui vengono accolte. Alcuni ritengono che tutta la sua cristologia sia eretica
(Tavard) appunto a causa della sua dottrina sul simbolismo religioso, perché non è biblico,
non è in accordo con la tradizione della Chiesa ed è un prodotto del protestantesimo liberale
nel quale il principio ontologico prende il posto dell’enfasi morale (cfr. Ibid., 168, n. 70).
Fedele alla propria convinzione che alla teologia spetti di trasformare della struttura
simbolica, Tillich lo ha fatto sulla base di una nuova ontologia. Così nel suo sistema il nostro
teologo trasforma dei simboli di Dio, e non parla più di Dio, ma di dell’essere stesso, del
fondamento dell’essere, e della potenza dell’essere. Egli suggerisce che se la parola «Dio»
che significa la profondità di ogni essere, non ha più il significato, allora è necessario tradurla
e parlare della profondità della propria vita, perché chi conosce la profondità, conosce Dio
(cfr. P. TILLICH, The shaking of the foundations, 63). Ci è già nota la sua cristologia, dove si
parla di Cristo come del Nuovo Essere che è comparso con l’apparizione di Gesù, (cfr. ID.,
Teologia sistematica, II, tutta dedicata a questo tema). Tillich ha cercato anche di presentare
la transmitizzazione deli simboli della Chiesa, e della Chiesa parla nei termini di comunità
spirituale (cfr. ID., Teologia sistematica, IV, soprattutto 77-107). Parlando dello Spirito Santo
Tillich parla della Presenza spirituale (cfr. ID., Teologia sistematica, III, 123-309). Dobbiamo
tener presente che Tillich usa questo linguaggio ontologico perché in precedenza aveva
esplicitamente affermato che i destinatari della sua teologia sono le persone che conoscono
la filosofia, l’arte, la politica, la cultura e la scienza, ma sono semplici nella conoscenza
religiosa (cfr. B. MONDIN, Paul Tillich e la transmitizzazione del cristianesimo, 206).
CAP. II: LA RELIGIONE COME DIMENSIONE DELLA PROFONDITÀ 55
necessaria perché si assicura che un simbolo, cioè una realtà finita, non
occupi il posto dell’Assoluto e diventa in tal modo idolatra. Alla base della
demitizzazione così concepita, sta il principio protestante proposto da
Tillich, che rifiuta l’assolutizzazione di qualsiasi realtà finita. Uno dei motivi
della demitizzazione è anche la necessità di liberare il messaggio cristiano
da una veste mitica che non corrisponde più alla concezione scientifica che
l’uomo moderno ha del mondo – tentativo effettuato da Rudolf Bultmann96.
Bultmann infatti non abolisce l’assoluta trascendenza di Dio, ma vuole solo
risolvere il problema di come l’uomo può comprendere il messaggio di Dio,
poiché l’uomo non è un ascoltatore passivo, ma viene interpellato dalla
parola di Dio e sollecitato a prendere decisioni. Grazie alla precomprensione
della esistenza fornita dalla filosofia esistenzialistica, è possibile l’apertura
all’ascolto dell’messaggio cristiano97. L’incontro del cristianesimo con le
diverse culture e i diversi modi di pensare porta ad una certa demitizzazione
non solo del messaggio cristiano, e spinge alla demitizzazione «del nostro
modo di intendere l’universale come sistema di certezze indubitabili,
invitandoci alla scuola di una sana tolleranza»98.
2. La natura della religione
2.1 La necessità della religione
2.1.1 Due sensi della religione
Negli scritti di Tillich si possono ravvisare due tipi della religione
concepita nel senso esistenziale: la religione come elemento fondato e la
religione come elemento fondante. Nella prima elaborazione del pensiero
tillichiano, la religione assumeva un ruolo fondante e assoluto, essa era un
96 Oltre alla valutazione del tentativo di Rudolf Bultmann, per il quale alcuni ritengono
che in questo caso sia più scienziato che teologo, noi vogliamo solo affermare
l’importanza della demitizzazione del messaggio cristiano perché esso possa diventare
più comprensibile all’uomo contemporaneo. Secondo Bultmann, è appunto il compito
della teologia quello di demitologizzare il messaggio cristiano perché esso non è più
credibile all’uomo contemporaneo, in quanto quest’ultimo ha superato da tempo
l’immagine mitica del mondo che esisteva prima. Per approfondire si vede: R.
BULTMANN, Nuovo Testamento e mitologia: il manifesto della demitizzazione, 103-129. 97 Cfr. F. ARDUSSO - al., La teologia contemporanea, 15-16. 98 C. DOTOLO, Cristianesimo e interculturalità, 93.
56 LA CORRELAZIONE TRA VANGELO, CULTURA E PERSONA
primum. In questa concezione si metteva in evidenza come la religione sia
«il fluido vitale, l’intimo potere, il significato ultimo di tutta la vita»99.
È necessario evidenziare come Tillich in questa visione non conferisca a
Dio, all’assoluta azione di Dio, alla rivelazione divina il significato ultimo
di tutta la vita, ma lo conferisca alla religione100. In questo caso la religione
viene rivestita di un valore di per sé assoluto e fondante. La domanda che ne
deriva è allora come questa attribuzione di valore assoluto alla religione,
possa eludere la tendenza all’autodivinizzazione demoniaca. La risposta si
trova nel fatto che il nostro autore ha elaborato una nuova configurazione
della teonomia dopo il suo incontro con la teologia dialettica. Questo porterà
Tillich a una chiara distinzione tra rivelazione come elemento assoluto e
fondante e religione come elemento fondato e relativo. A tale proposito,
dopo la maturazione del suo pensiero, si può dire che Tillich voleva
affermare la dipendenza della religione dalla rivelazione e respingere:
Ogni pretesa di assolutezza o di autofondazione della religione e rivendicare il
valore di fondamentalità e di primalità al “momento” della rivelazione che è
appunto l’automanifestazione di Dio all’uomo. Ciò presuppone una distinzione
essenziale fra rivelazione e religione, in quanto il primo elemento è fondante,
assoluto e primale rispetto al secondo, che è fondato, relativo e derivato. Ogni
volta quando la religione tende a porsi come primum, come assoluto
fondamento di sé medesima, essa determina con ciò la propria estinzione, che
ha luogo mediante il suo totale dissolvimento nel contesto della cultura101.
Come si vede la religione qui viene giudicata in rapporto alla rivelazione,
che è categoria determinante della religione stessa, e la religione non è più
99 P. TILLICH, L’era protestante, 72. In seconda fase del suo pensiero Tillich
sottolineerà che la religione dal momento che crea una propria sfera e si organizza in un
sistema quasi paraculturale, si mostra come qualcosa finito. Egli, dunque non parla più
della religione in termini assolutistici (cfr. ID., Theology of culture, 9). 100 Qui è ovvio l’influsso di Schleiermacher su Tillich. Schleiermacher infatti
privilegia una fondazione antropologica della religione e una relativizzazione della
rivelazione. Su questo argomento si veda: F.D.E. SCHLEIERMACHER, Sulla religione:
discorsi a quegli intellettuali che la disprezzano. Si veda anche: S. SPERA, «Un approccio
culturale alla religione e al cristianesimo», 24-25. 101 T. MANFERDINI, La filosofia della religione in Paul Tillich, 47. Il corsivo è nostro.
Nulla come la religione corre il pericolo di auto-assolutizzarsi. Questo pericolo deriva
dalla tendenza autarchica, sempre presenta nell’intimo dell’uomo, il quale è spinto dal
desiderio e dalla pretesa di essere il principio e il fondamento di se stesso oppure
addirittura di essere il dio di se stesso. Questa tendenza autarchica si spiega appunto con
il fatto che sussiste una connessione strutturale tra il Principio assoluto dell’essere e l’io
cosciente (cfr. Ibid., 47-48).
CAP. II: LA RELIGIONE COME DIMENSIONE DELLA PROFONDITÀ 57
vista come principio essenziale del rapporto teonomico rispetto alla cultura,
ma è posta allo stesso livello di condizionatezza e di relatività della cultura.
Anche se parla di un’opposizione tra due poli, Tillich non ha mai affermato
una negazione del momento religioso come ha invece fatto Barth. Il teologo
tedesco-americano infatti ha messo in evidenza una necessaria
relativizzazione del momento religioso, tuttavia del tutto diverso dalla
esagerata negazione proposta da parte di alcuni fautori della teologia
dialettica in generale. Con questa relativizzazione della religione non si
voleva negare la religione, ma solo rifiutare le possibili deformazioni, come
l’auto-assolutizzazione e il pericolo eteronomico102.
La prima concezione della struttura teonomica proposta da Tillich si
basava sulla reciproca interferenza dinamica dei due soli poli della cultura e
della religione e come tale non poteva assicurare al loro rapporto
l’irreversibilità e univocità. Questa prima concezione della struttura
teonomica, dalla quale dipende la concezione della religione, la si può
trovare negli scritti tillichiani sul socialismo religioso, come anche nel suo
noto scritto «Über die Idee einer Theologie der Kultur» (1919) e anche nel
suo intervento in una conferenza del 1922 dal titolo «Kairos» poi pubblicata
nel libro L’era protestante.
Solo dopo la maturazione del suo pensiero Tillich potrà affermare che la
criteriazione teonomica non è data dalla religione, ma dalla rivelazione divina
che sul piano dell’essenza deontologica abolisce la contrapposizione tra
religione e cultura; ovvero, mentre dal punto di vista dell’essenza (dem Wesen
nach) religione e cultura sono una cosa sola, sul piano dell’esistenza e della
realtà storica invece religione e cultura non possono realizzare il divino se non
nella forma della reciproca contrapposizione o giustapposizione103.
Dunque, solo nella prospettiva in cui la rivelazione viene affermata come
primum rispetto alla religione, evidenziando la sua assolutezza e la relatività
della religione, si può parlare della religione come fluido vitale e il significato
ultimo della vita. Per questo quando si afferma che la religione è lo stato di chi
è afferrato da qualcosa di ultimo, si afferma che non è la religione ad essere
qualcosa di ultimo e di incondizionato, ma vi è qualcosa oltre e sulla quale si
102 Cfr. T. MANFERDINI, La filosofia della religione in Paul Tillich, 124. Armbruster,
accorge che Tillich usa la stessa definizione per la fede, religione e rivelazione senza
esplicitazione. Probabilmente la fede come preoccupazione ultima riguarda la personalità
di ogni singola persona, mentre la religione come preoccupazione ultima dedica
l’attenzione più al espressione simbolica, e la rivelazione insiste più nella manifestazione
della preoccupazione ultima dentro alla correlazione con un momento speciale (cfr. C.J.
ARMBRUSTER, El pensamiento de Paul Tillich, 88-89). 103 Cfr. T. MANFERDINI, La filosofia della religione in Paul Tillich, 113-122.
58 LA CORRELAZIONE TRA VANGELO, CULTURA E PERSONA
fonda la religione. Nel momento in cui la religione assolutizza se stessa diventa
un’espressione del demoniaco. Per evitare questo atteggiamento idolatrico è
necessaria una continua lotta della religione contro la religione104, ossia una
purificazione della religione e un’autocritica della religione sotto l’aspetto
dell’incondizionato e dell’ultimo. Il ricorso all’esperienza nel discorso
teologico sottolinea che essa assicura l’aderire all’oggetto studiato105. Alla
stessa maniera, solo una religione che si fonda sulla rivelazione può conferire
un’inesauribile profondità alla vita e un significato profondo alle creazioni
culturali. In questo lavoro parliamo della religione da quest’ottica.
2.1.2 La religione e la fede come esperienza dell’interesse ultimo
Nella riflessione tillichiana non si avverte una distinzione radicale tra
religione e fede, come accade nelle riflessioni teologiche di Karl Barth. Per il
teologo della cultura la religione non è una copertura della fede, non è solo
quello che è esterno della fede. La religione, come anche la fede, significa essere
afferrati da un’istanza suprema rispetto alla quale tutte le altre sono preliminari
e provvisorie. La religione è ciò che si mostra come trascendenza. La religione
concepita come funzione particolare può essere abolita dalla profanazione
riduttiva, ma la religione intesa come qualità che si trova in tutte le funzioni
dello spirito umano, ovvero come qualità del fine ultimo non può essere mai
eliminata106. Sarebbe assai sbagliato osservare la religione solo come un
sistema di simboli speciali, riti ed emozioni rivolti ad un essere supremo.
Questo può accadere in alcuni sistemi secolari nei quali i miti e i riti cercano di
esprimere un interesse supremo. La religione è la condizione esistenziale di chi
è preso da qualcosa di incondizionato, sacro e assoluto107. Come risposta totale
della persona a quello che chiamiamo sacro, «la religione è la fede»108.
104 Cfr. P. TILLICH, L’irrilevanza e la rilevanza del messaggio cristiano per l’umanità
oggi, 76. 105 Cfr. A. BLANCO – A. CIRILLO, Cultura & teologia: la teologia come mediazione
specifica tra fede e cultura, 160. L’importanza dell’esperienza si vede nel fatto che essa
allo stesso tempo garantisce e implica la realizzazione dell’alterità (cfr. Ibid., 160, n. 41). 106 Cfr. P. TILLICH, Teologia sistematica, III, 113. Con questa concezione della religione
Tillich respinge l’idea di Hegel che vede la religione solo nella sfera teorica, respinge l’idea
di Kant che la vede nella sfera pratica e respinge l’idea di Schleiermacher che lega la religione
con la sfera emozionale (cfr. C.J. ARMBRUSTER, El pensamiento de Paul Tillich, 82). 107 Cfr. P. TILLICH, L’era protestante, 87. A proposito dei sistemi secolari Tillich
afferma che nei sistemi antireligiosi e anticristiani vi è sempre un «interesse ultimo,
incondizionato e determinante, qualcosa di assolutamente serio e perciò sacro, anche se
espresso in termini secolari» (Ibid., 87). 108 E. VILANOVA, Storia della teologia cristiana, III, 538.
CAP. II: LA RELIGIONE COME DIMENSIONE DELLA PROFONDITÀ 59
Confrontando il testo della Dinamica della fede dove si definisce la fede
come esperienza di interesse supremo, con i passi di L’era protestante nei quali
l’autore usa parola religione e la concepisce allo stesso modo, risulta ovvio che
egli eguaglia la fede e la religione109. In entrambi i concetti l’accento viene
messo sull’interesse supremo110.
Prendere in considerazione la religione dal punto di vista esistenziale
significa comprendere la religione come lo stato di chi è afferrato da qualcosa
di ultimo. Nel cristianesimo si può affermare, che Dio che si manifesta in
Gesù Cristo è l’oggetto di impegno ultimo e incondizionato. Il cristianesimo
lo può fare a motivo del suo carattere specifico sul quale è fondato, cioè la
creazione della nuova realtà nella quale Gesù, rimanendo in unione con Dio,
è il portatore di questa nuova realtà, e la Chiesa diventa l’incarnazione storica
di questa nuova realtà111.
Tenendo presente che la religione è lo stato di chi è afferrato da qualcosa
di ultimo, essa non può essere considerata una invenzione arbitraria della
mente umana come ritenevano i marxisti, perché non esiste un uomo che non
abbia il suo interesse supremo. La differenza consiste solamente in quale sia
l’oggetto del suo interesse supremo: carriera, nazione, potere economico,
universo, tecnica, stelle o Dio. Allora la religione non è un prodotto né della
ragione né della fede, «ma è l’esito dell’incontro fra tutt’e due»112, dopo il
quale l’uomo assume un atteggiamento davanti all’Assoluto permettendo
che tutte le sue azioni vengano plasmate da questo Assoluto.
109 Per vedere questa uguaglianza tra fede e religione nella concezione tillichiana si
veda: P. TILLICH, Dinamica della fede, 17; ID., L’era protestante, 87. Battista Mondin a
tale proposito afferma: «Nell’indagine del problema della fede il Tillich non distingue la
fede religiosa in generale dalla fede cristiana» (B. MONDIN, Paul Tillich e la
transmitizzazione del cristianesimo, 72). Quanto sopra diviene evidente se si prenda in
considerazione la cristologia tillichiana, dove si mette in evidenza che Gesù in quanto
Cristo è portatore del Nuovo Essere è colui che salva l’uomo dall’alienazione. 110 Cfr. D. MACKENZIE-BROWN, Ultimate concern: Tillich in dialogue, 4. 111 Cfr. P. TILLICH, Theology of culture, 40-41. A questo proposito Tillich sottolinea
con forza che la pretesa incondizionata del cristianesimo non riguarda la Chiesa cristiana,
ma l’evento sul quale essa è fondata. Questo significa che la stessa Chiesa deve essere
soggettata al giudizio che annuncia, in caso contrario essa diventa l’idolo di se stessa. La
Chiesa fa parte del mondo ed essa stessa è sottomessa al giudizio con il quale giudica il
mondo – questo vale soprattutto nel confronto con la cultura. In quanto portatrice della
nuova realtà in Cristo, la Chiesa deve essere giudicata sotto l’ottica di questa nuova realtà,
altrimenti perde il diritto di giudicare e trasformare la cultura e la situazione esistenziale
dell’uomo (cfr. Ibid., 41). Per la comprensione più ampia della Chiesa e dell’ecclesiologia
nella riflessione teologica di Tillich si veda: P. TILLICH, Teologia sistematica, IV. 112 B. MONDIN, «Religione e religioni nel pensiero di Paul Tillich», 19.
60 LA CORRELAZIONE TRA VANGELO, CULTURA E PERSONA
Per sua natura l’uomo è homo religiosus. La religione è una dimensione
reale dello spirito umano ed è sempre presente113, per questo la religione non
è una sovrastruttura, ma ha le radici più profonde, cioè nello spirito umano.
Il principio religioso potrebbe significare la capacità trascendentale
dell’uomo per ricevere la rivelazione, ma anche può significare «qualche
cosa di più sostanziale e vitale, e che scuote tutte le forme finite che cercano
di limitarlo»114. L’affermazione della religione come dimensione dello
spirito umano va in due direzioni: da una parte contro la concezione
esclusivista di Barth e dall’altra contro cosiddetti atei cristiani.
Diversamente dal biblicismo fideistico di Barth, che esclude dalla fede ogni
condizione umana, fino a negare tutto ciò che è umano, e a concepire la fede
come opera esclusiva di Dio, contrapponendo l’interpretazione della Parola di
Dio alla religione che riteneva lo sforzo futile dell’uomo per salire fino a
Dio115, Tillich non prescinde dall’elemento umano. Egli mette in rilievo che
la fede non è possibile senza la partecipazione dell’uomo, poiché l’uomo è
l’unico possibile soggetto della fede e appunto questo fa della fede una
possibilità umana116. La rivelazione e la teologia non possono prescindere
113 Cfr. P. TILLICH, Theology of culture, 3; R. LUCAS LUCAS, Orizzonte verticale. Senso
e significato della persona umana, 126. 114 G. OLIANA, Il progetto teologico di Paul Tillich: il coraggio di essere e del realismo
credente, 40. 115 Cfr. P. TILLICH, Il futuro delle religioni, 117-118; ID., Lo spirito borghese e il
kairos, 165. Il punto di partenza di Barth era la convinzione che nell’esistenza sia presente
un’insuperabile differenza ontologica tra il Creatore e la sua creatura. Per approfondire
l’atteggiamento di Barth relativamente al giudizio negativo sulla religione e sulla cultura,
e per studiare la sua concezione della teologia dialettica si veda: K. BARTH, L’Epistola ai
Romani. Riguardo la relazione tra religione e fede ci sembra opportuno a questo punto
mettere in evidenza la concezione di teologo svizzero François Varone che giustifica la
concezione tillichiana. Varone distingue la religione nel senso oggettivo cioè insieme dei
riti, testi, organizzazioni sociali attraverso i quali l’uomo concretizza il suo rapporto con
Dio. La fede implica religione al livello oggettivo. Al livello oggettivo non c’è rottura tra
religione e fede; religione come istituzione rappresenta per la fede quello che il corpo è
per l’anima. Religione soggettiva è quella nella quale l’uomo vive il rapporto concreto
con Dio, ma indipendentemente dalla religione oggettiva, proiettando su Dio ciò che
avviene tra gli uomini. In qualsiasi religione oggettiva si arriva alla fede convertendosi
radicalmente dalla religione soggettiva (cfr. F. VARONE, Un Dio assente?, 19-20). 116 Cfr. P. TILLICH, Dinamica della fede, 15. Più sulla linea di Tillich che quella di
Barth, il teologo italiano Dotolo ritiene che la distinzione tra religione e fede è esagerata
e inadatta se tende a una separazione troppo ostentata. Mantenendo la centralità del
termine fede, come indicatore della relazione religiosa, Dotolo sottolinea che le religioni
riconoscono di costituirsi come risposta a un appello, in tale senso l’esperienza religiosa
e credente si pone sulle trace di Qualcuno, la conseguenza è che il credere può
CAP. II: LA RELIGIONE COME DIMENSIONE DELLA PROFONDITÀ 61
dalla religione, perché nell’uomo è insita la tensione verso l’infinito. La
rivelazione è appunto la realizzazione di tale tensione: essa è una risposta alla
domanda di infinito implicita nell’uomo ed è per questo che non si dà nessuna
rivelazione senza religione, anche se questo non significa la loro identità. Non
si può trascurare che il divino si incarna in una realtà concreta e storica, ed è
appunto questo che sottintende la religione cioè la coscienza dell’uomo
relativa alla propria tendenza verso l’infinito117. Per mettere in rilievo
l’importanza dell’elemento umano nella religione, Tillich afferma che si deve
tener presente che tutte le religioni118 si basano su qualcosa che è dato ad un
uomo in qualsiasi posto egli viva. L’uomo è colui che ha ricevuto la
rivelazione, ma l’ha ricevuta nella propria condizione umana limitata e
alienata, che include l’accettazione della rivelazione in una forma deformata
comprendere un nuovo paradigma della realtà. L’esperienza religiosa significa essere
toccati dall’esistenza che proviene dal incontro con il meraviglioso, l’ignoto e il sacro
(cfr. C. DOTOLO, La fede, incontro di liberta: a chi crede di non poter credere, 62-65). 117 Cfr. P. TILLICH, «Biblische Religion und die Frage nach dem Sein», 138. 118 Parlando della relazione del cristianesimo con le altre religioni Tillich respinge la
posizione tradizionale che opponeva la vera religione alle false, oppure l’alternativa
barthiana tra rivelazione e religioni, ovvero l’affermazione che la propria religione sia
rivelazione, mentre le altre religioni sono semplicemente un vano tentativo umano di
raggiungere Dio. Il nostro teologo ritiene che l’istanza suprema sia universale, affermando
la presenza universale del Logos, che è il principio universale dell’autorivelazione in tutte
le religioni. Con sant’Agostino egli afferma che la vera religione è sempre esistita ma che
è chiamata cristiana solo dopo la manifestazione di Cristo. Affermando la presenza della
rivelazione in tutta la storia umana non si vuole escludere che possa esserci nella storia della
religione un evento centrale, a partire dal quale sia possibile unificare gli elementi positivi
delle altre religioni e farne il criterio di tutte le esperienze religiose (cfr. P. TILLICH, Il futuro
delle religioni, 118-119). Nel tentativo di spiegare una teologia della storia della religione
Tillich si serve dell’accostamento dinamico-tipologico che afferma l’assenza di un continuo
sviluppo e l’esistenza di elementi nell’esperienza del Sacro che sono sempre presenti. Il
fondamento religioso universale è l’esperienza del Sacro entro il finito, il secondo elemento
fondamentale potrebbe essere il misticismo mentre il terzo elemento potrebbe essere quello
etico o profetico (cfr. Ibid., 127-128). Per un breve sguardo sul dialogo con le altre religioni,
nel quale, tra l’altro si porta un nuovo approccio nel dialogo interreligioso, affermando che
una discussione interreligiosa non dovrebbe iniziare con un confronto delle diverse
concezioni di Dio, dell’uomo, della storia o della salvezza, ma con il problema dello scopo
dell’esistenza, con il télos di ogni cosa esistente, si veda: M. ELIADE «Paul Tillich e la storia
delle religioni», 35-42. Potremmo essere d’accordi con Chapey il quale sottolinea come in
quanto filosofo Tillich definisce la fede/religione come essere afferrati dall’istanza suprema
mentre come teologo cristiano la definisce come il fatto di essere chiamati in causa in modo
definitivo da Gesù in quanto Cristo (cfr. F. CHAPEY, «Paul Tillich», 61).
62 LA CORRELAZIONE TRA VANGELO, CULTURA E PERSONA
e distorta119. Per tutti questi motivi non si può escludere la condizione umana
dalla religione come intendeva invece escluderla Karl Barth.
2.1.3 La religione come dimensione profonda dello spirito umano
Nel parlare della religione si pone la questione se essa sia una dimensione
dello spirito umano oppure un dono della rivelazione. I teologi che negano
la religione come dimensione dello spirito umano, ritengono che essa sia un
dono della rivelazione. In questo caso l’uomo non può arrivare a Dio, ma è
Dio che si comunica all’uomo. Ciò ha come conseguenza che lo spirito
umano è creativo solo in quello che riguarda lo stesso uomo e il mondo e non
rispetto a Dio. Al contrario, i filosofi (soprattutto Comte) e gli scienziati che
spiegano la religione come una delle caratteristiche speciali dello sviluppo
umano a livello mitologico, la vedono come una costruzione dello spirito
umano e non come la qualità essenziale dell’uomo. I teologi e gli scienziati
allora intendono la religione come relazione con degli esseri divini. Proprio
qui è il problema, perché così descritta la religione, anche se non sopprime
la relazionalità, concepisce Dio come oggetto accanto agli altri oggetti e della
cui esistenza si può discutere120.
Tillich si oppone anche ai teologi della morte di Dio121 e ai fautori
dell’ateismo cristiano, che volevano eliminare il concetto di Dio dal
linguaggio umano e stabilire un linguaggio teologico senza Dio122 costruendo
119 Cfr. P. TILLICH, Il futuro delle religioni, 118-119. Dal punto di vista della
rivelazione, nella misura in cui la religione si fonda sulla rivelazione essa è priva della
ambiguità, ma nella misura in cui riceve la rivelazione la religione è ambigua (cfr. P.
TILLICH, Teologia sistematica, III, 115). Nel primo caso ogni religione in quanto
rivelazione può essere assoluta, poiché la rivelazione è l’irruzione dell’incondizionato
nella sua incondizionatezza (cfr. T. MANFERDINI, La filosofia della religione in Paul
Tillich, 40). 120 Cfr. P. TILLICH, Theology of culture, 3-4. L’affermazione o la negazione
dell’esistenza di Dio non nega l’esistenza della religione, poiché il contenuto della parola
Dio si può esprimere e ripensare in un modo nuovo (cfr. Ibid., 5). Tillich porta avanti una
critica alla concezione di Dio delle chiese e delle religioni, che lo hanno ridotto ad un
oggetto o cosa, e preferisce invece la descrizione di Dio come realtà ultima che sfugge a
ogni concettualizzazione (cfr. L. RACINE, «La critica del sacro nella teologia di Paul
Tillich», 508s). Vale la pena aggiungere qui che tra quelli che hanno difeso l’esistenza
dell’homo religiosus e la sua dimensione trascendentale come costitutiva dell’uomo era
anche Mirce Eliade. Per approfondire si veda: M. ELIADE, Trattato di storia delle religioni. 121 La teologia della morte di Dio viene superata dai suoi stessi fautori. Per
approfondire questo argomento suggeriamo: P. VAN BUREN, Alle frontiere del linguaggio. 122 Cfr. P. TILLICH, Il futuro delle religioni, 117. Si tratta dell’ultima lezione pubblica
tenuta da Paul Tillich il 12 ottobre 1965 presso l’Università di Chicago, dove, parlando
CAP. II: LA RELIGIONE COME DIMENSIONE DELLA PROFONDITÀ 63
così una teologia senza i termini che indicano la trascendenza, e affermando
che la religione dovesse essere abrogata in quanto motivo del fatto che l’uomo
trascura i problemi del mondo e dell’umanità. Egli invece afferma con forza
che la religione fa parte della stessa natura dell’uomo, anzi essa è la
dimensione più profonda e più importante dello spirito umano. Come tale non
può ostacolare l’uomo nei suoi impegni mondiali, ma in un certo senso invece
corrobora gli impegni secolari dell’uomo e dimostra l’integralità dell’uomo.
È la dimensione religiosa (quella religione che si fonda sulla rivelazione) il
posto originale dell’incontro tra Dio, uomo e il suo mondo123.
Descrivere la religione come la dimensione (aspetto, funzione = aspect)
dello spirito umano di per sé significa che lo spirito umano è religioso dal
punto di vista della profondità della vita umana spirituale. E il teologo della
cultura lo afferma sottolineando che «la religione non è una funzione
speciale dello spirito umano, ma è la dimensione della profondità di tutte le
funzioni»124. Essa non sta accanto ad altre dimensioni o sfere della vita
umana. Essere la dimensione della profondità di tutte le funzioni significa
infatti che la religione nella ricerca della propria dimora da una funzione
spirituale al altra non riesce trovare la propria dimora, essa viene respinta da
ogni altra funzione e non trova un luogo adeguato né nella morale, né nella
funzione di conoscenza, né nell’estetica come neanche nella sfera affettiva.
Alla fine sperimentando tutte queste funzioni la religione riconosce che non
ha bisogno di un luogo proprio, perché essa è ovunque a casa propria, anzi
nella profondità di tutte le funzioni dello spirito umano. Dunque, essa è
operante in ogni funzione dell’attività spirituale.
Se la religione diventa solo una sfera della vita umana che determina la
cultura accanto alle altre, in questo caso essa partecipa alla relatività e viene
vista come creazione umana. Se una religione rifiuta il riferimento alla
trascendenza, o il suo elemento fondante e si situa sul piano meramente
umano, allora si riduce ad essere mera religione, cioè qualcosa che viene
ridotto a una forma di attività culturale, storicamente condizionata; la
del futuro delle religioni afferma il proprio distacco dalla teologia che rifiuta tutte le altre
religioni tranne la propria mentre dall’altra rifiuta il paradosso (contradictio in adjecto)
di una religione della non-religione, ossia una teologia senza theos, chiamata anche
teologia secolare. Durante la stessa lezione egli ricorda agli attacchi a Schleiermacher per
il suo uso del concetto di religione per il cristianesimo (cfr. Ibid., 117-118). 123 Cfr. S. BIANCHETTI, «Paul Tillich (1886-1965)», 44. 124 P. TILLICH, Theology of culture, 5-6. Il corsivo è nostro.
64 LA CORRELAZIONE TRA VANGELO, CULTURA E PERSONA
religione non può darsi il proprio oggetto reale, ma lo riceve dall’azione
autorivelatrice e salvifica di Dio125.
La profondità significa che la religione in tutte le funzioni umane dirige
l’esistenza umana verso qualcosa di ultimo e incondizionato. La religione può
fare questo proprio perché essa è l’elemento fondato sulla rivelazione che alla
religione concede questa profondità, cioè l’atteggiamento fondamentale e
immanente in ogni funzione di significato. Né economia, né cultura, né
politica, né arte sono gli elementi fondati dalla rivelazione e per questo non
hanno la profondità che è concessa alla religione. Nel senso più ampio, la
religione è impegno ultimo, preoccupazione suprema (ultimate concern). La
preoccupazione suprema esiste in tutte le funzioni creative dello spirito
umano: nella morale, nell’estetica e nella conoscenza. Respingere la religione
in nome di una di queste funzioni, significa respingere la religione in nome
della stessa religione. La religione come lo stato della preoccupazione
suprema è il fondamento, la sostanza e la profondità dello spirito umano e per
questo non si può con la serietà respingere la religione126. Dunque, la religione
come la intende il teologo del ultimate concern è l’esperienza
dell’incondizionato inteso non come un essere assoluto, ma come il significato
fondamentale e ultimo che conferisce senso e significato a ogni realtà non
accanto o al di sopra della realtà finita e condizionata, ma attraverso di essa
come sua intrinseca qualificazione significativa127.
Come esperienza dell’incondizionato, allora la religione deve essere in
grado di trascendere tutto quello che è quotidiano e provvisorio, tutto quello
che dicono i giornali, i diversi oratori e i fautori delle diverse ideologie. Se
125 Cfr. T. MANFERDINI, La filosofia della religione in Paul Tillich, 24.30.107. Con
l’affermazione del riferimento alla trascendenza Tillich vuole sottolineare che il principio
e il fine di tutto non è la religione, ma Dio. La religione perde Dio se non si pone sul piano
della Parola rivelante perché impossibile est sine deo discere deum (cfr. Ibid., 47). La
visione religiosa di Tillich è basata su a priori religioso che è informato dall’argomento
ontologico di Anselmo e perpetuato dalla tradizione agostiniana e francescana e dopo
ripreso da Troeltsch (cfr. G. OLINA, Il progetto teologico di Paul Tillich: la sfida del
coraggio di essere e del realismo credente, 52). 126 Cfr. P. TILLICH, Theology of culture, 6-8. 127 Cfr. T. MANFERDINI, La filosofia della religione in Paul Tillich, 94. Qui dobbiamo
tener presente che Tillich parla della religione come primum, come fondamento della
teonomia, mentre dopo l’incontro critico con la teologia dialettica antireligiosa cambierà
la concezione della struttura teonomica dove ha relativizzato e subordinato la religione e
la cultura al principio vero e sostanziale, cioè al principio cristologico. Dopo questo non
si parla più della bipolarità tra religione e cultura, ma si tratta di una struttura
tridimensionale dove il principio cristologico rappresenta il vertice della dimensione
verticale e diventa il criterio normativo della teologia della cultura (cfr. Ibid., 96-98).
CAP. II: LA RELIGIONE COME DIMENSIONE DELLA PROFONDITÀ 65
essa non riesce a fare questo, non vale la pena ascoltarla; se essa non ha una
parola per il nostro tempo e per la situazione in cui si trova l’uomo allora non
è degna di attenzione. La religione ha la propria valenza «soltanto se trascende
e quindi giudica e trasforma la nostra situazione»128. Su questa base possiamo
dire che la religione deve essere una spada spirituale capace di giudicare,
trasformare e trascendere ogni entusiasmo e ogni certezza umana.
Ci sono due possibilità o due linee del significato dell’esistenza umana in cui
la religione deve realizzare questo superamento: la linea verticale e la linea
orizzontale. In entrambe le direzioni la religione è importante per dire qualcosa
della situazione umana. La linea verticale rappresenta il significato eterno come
tale, la mistica, che è propria di ogni religione, fa parte di questa linea. La linea
verticale include l’atteggiamento del nonostante e si riferisce a ciò che
possiamo chiamare sfera religiosa129. La linea orizzontale invece rappresenta
la realizzazione temporale della linea verticale; l’azione è raffigurata dalla linea
orizzontale. Essa rappresenta l’atteggiamento del perciò e si riferisce a quello
che possiamo chiamare imperativo religioso. La religione come la dimensione
della profondità non può prescindere né da una né dall’altra direzione, ma deve
trascendere, giudicare e trasformare la situazione umana nelle entrambe
direzioni, in un rapporto di interdipendenza reciproca130.
2.1.4 L’uomo tra linea verticale e orizzontale
Nella cultura contemporanea e nella visione che l’uomo ha di se stesso, è
evidente la tendenza a togliere il valore verticale dell’esistenza umana e allo
128 P. TILLICH, L’era protestante, 214. Il nostro teologo esprime un giudizio negativo
sulla relazionalità della religione, affermando che durante la storia essa spesso è stata una
consacrazione di determinante situazioni e azioni che non venivano né giudicate né
trasformate. «La religione, ad esempio, ha consacrato l’ordine feudale e la sua chiara
partecipazione ad esso senza trascenderlo; ha consacrato il nazionalismo senza
trasformarlo; ha consacrato la democrazia senza giudicarla, ha consacrato la guerra e le
armi della guerra senza usare contro di essa le sue armi spirituali…» (Ibid., 213-214). Per
questo motivo Tillich ritiene che la prima parola che la religione debba dire sia contro la
religione stessa, cioè contro le istituzioni religiose. 129 I traduttori in italiano de L’era protestante, Flavio Sarni e Franco Giampiccoli
preferiscono l’espressione inglese religious reservation, che traducono come riserva
religiosa, mentre alcuni altri traduttori la traducono con sfera religiosa (cfr. B. MONDIN,
«Religione e religioni nel pensiero di Paul Tillich», 22). Noi preferiamo usare la seconda
traduzione o talvolta la parola dimensione, perché riteniamo che sia più chiara ed esprima
meglio l’interpretazione per cui la religione non è una sfera o una dimensione umana
accanto alle altre ma è la dimensione della profondità. 130 Cfr. P. TILLICH, L’era protestante, 214-215.
66 LA CORRELAZIONE TRA VANGELO, CULTURA E PERSONA
stesso tempo ad esaltare la linea orizzontale di tale esistenza, dimenticando che
la realizzazione a livello orizzontale è frammentaria. Mettendo in evidenza che
la storia è il campo dove l’uomo determina se stesso e viene determinato dal
destino contro la sua libertà, Tillich fa una brillante descrizione della situazione
umana quando viene trascurata la dimensione religiosa:
In un tempo come questo, in cui il destino dell’individuo non conta più nulla, in
cui il valore della vita umana è altrettanto basso quanto quello tre secoli fa, al
tempo delle guerre di religione; in un tempo come questo in cui, praticamente
in tutti i paesi del mondo, l’insicurezza è diventata la caratteristica
predominante, così com’era nell’età più primitiva dello sviluppo umano […] In
un periodo come questo, dunque, porre l’accento sulla linea orizzontale, cioè
su quello che potremmo e dovremmo fare, non ha più senso, perché tutti sentono
che qualunque cosa si faccia, per quanto buona, non potrà non confermare un
destino storico che ci rivela la sua forza distruttiva, ma ci nasconde il suo potere
costruttivo131.
Una delle cause di questa situazione umana sopra descritta sta nel
predominio, che emerge a partire dal Rinascimento, della vita attiva rispetto
a quella contemplativa. La vita attiva che modella il mondo e trascura gli
ideali della vita contemplativa porta con sé un interesse per le scienze
tecniche che di fatto assumono il predominio nella interpretazione del mondo
dove il telos diventa lo scopo dell’esistenza umana132. In tale situazione di
insicurezza e di disperazione, caratterizzata anche dall’aver trascurato la
dimensione religiosa, l’uomo deve ritrovare la sfera (riserva) religiosa che
non si consegna alla tragedia della storia, ma gli offre un significato eterno.
La domanda critica che pone Tillich è se la sostanza religiosa è ancora
presente nella società, oppure sia scomparsa e se le chiese e i gruppi religiosi
siano preparati a mostrare questa sfera religiosa o no.
131 P. TILLICH, L’era protestante, 215. Il corsivo è nostro. Dobbiamo tener presente
che Tillich ha scritto questo testo negli Stati Uniti nel 1942, ma riteniamo che questa
descrizione non perda la sua attualità neanche oggi. 132 Cfr. P. TILLICH, Il futuro delle religioni, 48-49. Con lo sviluppo dell’astronomia
durante il Rinascimento e la letteratura utopistica, il dominio della dimensione orizzontale
rispetto a quella verticale diventa sempre più ovvio (cfr. Ibid., 49). Nella postmodernità
con la scomparsa della trascendenza verticale, al singolare, appaiono diverse trascendenze
orizzontali in plurale, che producono la nascita delle mistiche politiche o cercano di
divinizzare la realtà naturale. Queste trascendenze orizzontali faticano a reggersi da sole
senza un punto di appoggio verticale (cfr. I. SANNA, L’antropologia cristiana tra
modernità e postmodernità, 324.329).
CAP. II: LA RELIGIONE COME DIMENSIONE DELLA PROFONDITÀ 67
Il teologo della cultura cerca di rispondere a queste domande affermando
che la nostra cultura e il nostro stile di vita sono caratterizzati dallo spirito
della società industriale da una parte, e da una resistenza a tale movimento
dall’altra. Due sono le caratteristiche dell’uomo nella società industriale da
cui trae le radici la nostra società odierna. Per prima cosa è evidente che
l’uomo si è dedicato alla trasformazione tecnica del mondo, compresa la
trasformazione dello stesso uomo. Quale conseguenza di tale trasformazione
si avverte la perdita della dimensione profonda (Verlorene Dimenison)
nell’incontro con la realtà. La realtà che l’uomo produce viene privata della
trascendenza. L’universo è diventato autosufficente ed è possibile pertanto
migliorarlo secondo i desideri dell’uomo. In tale situazione Dio viene
rimosso dal campo delle attività umane, perché in tale società Dio dà fastidio:
lo si deve escludere dalla società perché in una società tecnica Dio potrebbe
disturbare i piani dell’uomo. In ultim’analisi la caratteristica di una società
industriale consiste nel fatto che Dio è diventato superfluo e l’uomo è
diventato il padrone dell’universo133.
La seconda caratteristica della società industriale, deriva dal fatto che
quando Dio è cacciato dalla società, l’uomo attribuisce a se stesso quelle
attività che appartenevano a Dio, compresa la creatività (assoluta). Dunque,
si tratta «dello scontro tra quello che l’uomo essenzialmente è e tra quello
che in realtà diventa, la sua alienazione, oppure dicendo in termini
tradizionali il suo stato della caduta diviene trascurato»134. L’uomo della
società industriale non parla della morte e del senso di colpa perché esse
impedirebbero la sottomissione dell’uomo al mondo che sta per creare.
L’uomo sente le manchevolezze, ma esse non vengono espresse in termini
di peccato, che scompare dal linguaggio di questa società. L’universo
sostituisce Dio e al suo centro l’uomo sostituisce Cristo. In tale società non
si riconosce più la dimensione della profondità, essa è sparita e questo risulta
ovvio in tutte le creazioni culturali della società industriale135.
133 Cfr. P. TILLICH, Theology of culture, 43-44; V. LUCIANO, «La dimensione
dimenticata. Città globale e postmoderno», 206. 134 P. TILLICH, Theology of culture, 44. Sembra che l’uomo si sia vendicato di Dio.
Come Dio ha scacciato l’uomo dal paradiso, a causa del peccato, così l’uomo nella società
industriale prende il posto di Dio, scaccia Dio dal suo paradiso umano. 135 Cfr. P. TILLICH, Theology of culture, 44-45. Potremmo dire che l’annullamento di
Dio ha condotto all’annullamento dell’uomo. Senza Dio l’uomo non può soddisfare le
proprie aspettative. La crescita della propria potenza non modifica e non elimina la sua
costitutiva finitezza, anzi in tale prospettiva l’uomo sente la sua limitatezza
insopportabile. L’uomo moderno sente la mancanza di Dio, man non riesce più credere e
68 LA CORRELAZIONE TRA VANGELO, CULTURA E PERSONA
Descrivendo la società americana degli anni quaranta del secolo scorso,
ma in una certa misura vale anche per l’oggi, Tillich sottolinea che la
dimensione religiosa è trascurata e prevale solo l’imperativo religioso:
Non c’è più un volgersi verso la riserva religiosa, ma soltanto esigenza morale,
attività umanitaria e partigianeria politica. Comunque sia [..] resta l’imperativo
che la religione pone all’uomo; che cioè egli sia non soltanto nella storia ma
anche al di sopra della storia. E, poiché questo imperativo è valido e rappresenta
la prima parola che la religione deve dire alla gente del nostro tempo, può
trasformare radicalmente i metodi e le istituzioni della nostra vita religiosa136.
La tendenza verso l’attivismo che oggi prevale non può adempiere
all’imperativo religioso. Quest’attivismo riduce l’uomo alla sfera meramente
materiale togliendogli la capacità della trascendenza. L’istanza religiosa rimane
sempre nell’uomo perché egli è al di sopra della storia, anche se non cosciente
di questo fatto. Inoltre l’attivismo ben presto si rivela solo come tentativo di
sfuggire a se stessi ed esso non può riempire il vuoto e togliere l’assurdità che
l’uomo sente dentro di sé, non può dare soddisfazione all’uomo.
Se la linea orizzontale dell’esistenza umana si svaluta e se si vuole evitare
la linea verticale, o ignorarla, essa rimane vuota e si deforma. Essa ha infatti
il senso pieno solo se viene congiunta alla dimensione verticale che dà il
significato dell’eterno alla esistenza umana. Questa linea verticale allora si
realizza nella linea orizzontale e diventando dinamica si mostra come una
guida137. Se l’uomo si arrende esclusivamente alla linea verticale perde la
possibilità di esprimersi in qualsiasi modo e di agire in un’altra direzione. E
quello che non è espresso o manifestato rimane potenziale e non diventa
reale138. D’altra parte se l’uomo si abbandona, in modo esclusivo, alla linea
orizzontale perde la possibilità di qualsiasi contenuto significante e
dell’assoluto. La conseguenza di tale perdita di assoluto e di un significato
questo lo porta alla disperazione. Su questo tema si veda anche: S. NATOLI, Il
cristianesimo di un non credente. 136 P. TILLICH, L’era protestante, 216. 137 Cfr. P. TILLICH, L’era protestante, 217; ID., L’irrilevanza e la rilevanza del
messaggio cristiano per l’umanità di oggi, 55; ID., Il futuro delle religioni, 45-67, dove,
nel capitolo «Gli effetti dell’esplorazione dello spazio sulla condizione e dimensione
dell’uomo», Tillich sottolinea la mancanza di equilibrio nel progresso tra linea orizzontale
e linea verticale. 138 Cfr. P. TILLICH, L’irrilevanza e la rilevanza del messaggio cristiano per l’umanità
oggi, 84.
CAP. II: LA RELIGIONE COME DIMENSIONE DELLA PROFONDITÀ 69
sono l’indifferenza, il cinismo e la disperazione che devono essere sconfitte,
e l’unico modo per sconfiggerle consiste nel trascenderle139.
Il prevalere della linea orizzontale con lo sviluppo della tecnica e delle
altre scienze, nella società industriale ha eliminato o almeno ha cambiato la
visione del mondo entro la quale l’uomo vedeva se stesso come gli era
suggerito dalla letteratura biblica e dall’insegnamento ecclesiastico. Ogni
innovazione cambia l’ambiente umano, disturba i livelli della percezione e
ristruttura la coscienza. Nonostante questo affermiamo insieme con nostro
autore che non è cambiato il rapporto divino-umano, non è stato eliminato il
desiderio dell’uomo per il divino e la dinamica orizzontale non ha
soppiantato quella verticale.
Il progresso della linea orizzontale ha i suoi vantaggi ed essa è necessaria,
per questo il suo progresso non può e non deve essere abrogato, ma integrato
con i criteri derivanti dalla linea verticale, in quanto questa mette in guardia
la responsabilità degli scienziati per i possibili catastrofi per l’umanità. Non
si tratta della responsabilità per la salvezze delle anime, ma della stessa
esistenza umana, cioè per quello che è comune allo stesso modo sia a quelli
che credono che a quelli che non credono.
Il progresso senza limite e senza fine non può essere un significato della
vita, lo potrebbero essere i kairoi ossia i grandi momenti nella storia in cui
accade qualcosa di nuovo. Per questa ragione Tillich preferisce sostituire la
parola progresso della linea orizzontale con due concetti: il concetto di
momento decisivo, giusto o kairos e il concetto di maturazione in termini di
potenzialità140. La natura umana non è espressa nelle sue piene potenzialità
solo dalla linea orizzontale e pertanto non può essere soddisfatta solamente
dalla tale linea. Questa insoddisfazione implica una rivolta della natura
umana contro il dominio della linea orizzontale, perché prima o poi la
sperimenta non integra e non completa141.
139 Cfr. P. TILLICH, Il futuro delle religioni, 58-59. 140 Cfr. P. TILLICH, Il futuro delle religioni, 107-111. 141 Cfr. P. TILLICH, Il futuro delle religioni, 60-61.67. Il progresso della linea orizzontale
nel diciannovesimo secolo è divenuto, in un certo senso, un dogma inconscio. Tillich riporta
un esempio straordinario di questo accadimento: «Quando giunsi in questo paese [Stati
Uniti] nel 1933 e parlai con studenti di teologia, e criticai certe idee di Dio, di Cristo, dello
Spirito e della Chiesa o di peccato e di salvezza, non li colpii molto, ma quando criticai
l’idea di progresso essi mi dissero: “In che cosa possiamo credere? Che cosa ne è della
nostra vera fede?” E questi erano studenti di teologia. Significa che tutti i dogmi cristiani
erano stati trasformati nel loro inconscio in fede nel progresso» (Ibid., 98).
70 LA CORRELAZIONE TRA VANGELO, CULTURA E PERSONA
2.1.5 La fine della religione?
Nel caso in cui la religione è un’alleata della opinione pubblica e ripete
quello che dicono tutti, essa perde la propria dignità e diventa inutile, diventa
una sfera umana accanto a tante altre e si dissolve nella cultura dominante.
Essa deve evitare il pericolo di trasformarsi dalla religione messianica della
Bibbia in religione borghese. La religione non conferma il futuro borghese,
ma lo interrompe nel senso che al posto dei primi vengono gli ultimi (Mt 20,
16), al posto dell’avere viene la legge dell’amore142. Essa deve essere in
grado di sovrastare l’utopismo che propongono le diverse ideologie e un
certo opportunismo rimanendo sempre coerente. La religione deve essere
attenta a non ammantarsi di un atteggiamento illusorio, a non cadere nel
pericolo di consacrare le diverse situazioni dell’esistenza umana senza
giudicarle, trasformarle e trascenderle. Più concretamente, questo vuole dire
che la prassi religiosa (cristiana) deve essere attenta di non trasformarsi nella
prassi borghese.
Il ruolo della religione consiste nel dire alle persone qualcosa che non può
essere udito in altri luoghi: innanzitutto parole di speranza, la quale è
l’antitesi dell’utopismo e che «non muore mai, perché è l’applicazione
dell’audace “nonostante” alla tragedia dell’azione umana. La speranza
riunisce la linea orizzontale e quella verticale, la riserva religiosa e
l’imperativo religioso»143. L’utopia, diversamente dalla speranza porta le
delusioni e dietro di sé: «l’amarezza del disappunto e dell’idolatria nella
misura in cui ha dato un valore ultimo e incondizionato a ciò che soltanto
penultimo e condizionato nel tempo e nello spazio»144.
La religione, anche se cosciente della tragedia storica, non si ritrarrà mai
da essa perché lavora per il bene e per la verità e lo fa sempre con
l’atteggiamento nonostante. Tale religione avrà sempre un futuro, non
sparirà mai. Dall’altra parte, quando la religione assume solo il ruolo di
esaltare la grandezza e la divinità del mondo, allora diventa una delle tante
ideologie e le persone la disprezzano perché diventa solo una seccatura. Dal
momento che la religione opera sempre per la verità, essa è un giudizio
critico del secolare, ma può esserlo solamente se ha un giudizio critico anche
su se stessa, usando il secolare come strumento della propria autocritica
142 Cfr. J.B. METZ, Al di là della religione borghese, 8. Interruzione di cui parla Metz
mira allora alla conversione del cuore, alla metanoia. 143 P. TILLICH, L’era protestante, 219. 144 R. BERTALOT, Paul Tillich: esistenza e cultura, 20. Qui si veda anche la distinzione
tra religione che offre la speranza e il marxismo che offre l’utopia incapace
dell’autotrascendenza.
CAP. II: LA RELIGIONE COME DIMENSIONE DELLA PROFONDITÀ 71
religiosa145. Se questo non succede si afferma il carattere ambiguo della
religione e la stessa religione diventa profana146.
La religione deve alzare la sua voce perché essa sa qualcosa della storia e
dell’uomo, conosce la tragedia e la speranza del temporale poiché conosce
l’eterno e per questo essa può e deve, essendo la dimensione della profondità,
fornire il fondamento e i criteri ultimi delle decisioni esistenziale e sociali147.
Essa non può essere eliminata, ma risulta dimensione necessaria all’esistenza
umana. Infatti, la religione è necessaria in ogni cultura, anche in quella
autonoma e più secolarizzata, non solo come dimensione ultima e più
profonda, ma anche come struttura dei simboli, miti e riti rivolti a un essere
supremo. Questa necessità proviene «dal fatto che lo spirito richiede
un’incarnazione per diventare reale ed effettivo»148. Ciò implica che la
religione e distinguibile da ogni cultura, perché se qualcosa si incarna o entra
in una realtà, allora è necessario che essa abbia la possibilità di essere fuori.
Quello che è dentro (la religione) e quello in cui è dentro (cultura) sono
distinguibili. Fino a questo punto la religione avrà un suo futuro149.
Questo ci mostra che Tillich non aveva intenzione di ridurre la religione
all’ambito della cultura, ossia ai fenomeni culturali, ma voleva stabilire le
norme teologiche che vanno a favore dell’uomo e della stessa teologia. La
religione non può mai finire perché la questione che riguarda il significato
ultimo della vita non può mai essere assorbita fin tanto che esistono gli
uomini. La domanda sul significato ultimo appare in tutte le epoche, con
questa domanda compare la religione. Essa non può svanire nella cultura
moderna o postmoderna perché l’uomo è homo religiosus150. La domanda
del significato ultimo è sempre presente.
145 Cfr. P. TILLICH, Il futuro delle religioni, 119-120. La religione, nella comunicazione
della verità e del bene, è anche essa destinata alla purificazione, soprattutto in caso di crisi
della fede in una cultura. Essa è chiamata a ripensare la comprensibilità dei propri concetti
di un tempo. Questo riguarda soprattutto la fede nel processo dell’evangelizzazione (cfr.
F. COSENTINO, Sui sentieri di Dio, 123). 146 Cfr. C.J. ARMBRUSTER, El pensamiento de Paul Tillich, 103. 147 Cfr. P. TILLICH, L’era protestante, 218-219. Essendo il criterio ultimo delle
decisioni importati, questo mostra il ruolo esistenziale della religione, perché essa è lo
stato di un interesse ultimo e non si può prescindere da questo stato nelle decisioni
esistenziali. Tutte le decisioni dovrebbero essere pervase dalla religione. 148 P. TILLICH, Il futuro delle religioni, 121. 149 Cfr. P. TILLICH, Il futuro delle religioni, 120-121; B. MONDIN, Filosofia della
cultura e dei valori, 38. 150 Cfr. M. ELIADE, Il sacro e il profano, 128. In favore al argomento dell’uomo
religioso Eliade sostiene che le situazioni assunte dall’uomo religioso delle società
primitive e delle civiltà arcaiche sono superate dalla storia, ma le tracce sono rimaste ed
72 LA CORRELAZIONE TRA VANGELO, CULTURA E PERSONA
2.2 L’uomo e la religione
2.2.1 La situazione esistenziale dell’uomo
In ogni epoca l’uomo possiede una visione di sé e del mondo, visione non
indipendente dal mondo stesso, ma plasmata dalla situazione culturale in cui
egli si trova. Grazie alla sua libertà, l’uomo ha la possibilità di determinare,
preservare e trasformare la propria visione del mondo e il mondo stesso, ma
non può fuggire dal mondo di cui fa parte. Egli costruisce la cultura in cui
vive, con le proprie energie creative, operando in diversi campi, plasma tale
cultura e viene plasmato da essa. Sembra che l’autonomia per la quale
l’uomo ha lottato non gli abbia portato quella sicurezza e libertà che invece
sperava e a cui tendeva. Al contrario «è l’uomo autonomo diventato insicuro
della sua autonomia»151.
Questa sua insicurezza si mostra nella visione del mondo e dell’uomo che
non viene più intesa come insieme di solide convinzioni nei confronti di Dio,
del mondo e di se stesso. In tale mondo l’uomo è alienato da quello che è
essenzialmente e ha perso la vera dignità del suo essere152. L’uomo ha perso
la sicurezza che riguarda il senso e il significato della propria vita e della vita
in generale. Dobbiamo qui riconoscere il ruolo decisivo dell’esistenzialismo,
che ha protestato contro la situazione dell’uomo all’interno del sistema della
produzione e del consumo. In questa situazione l’uomo non è più padrone
dell’universo e di se stesso, ma è diventato l’oggetto tra gli altri oggetti,
l’ingranaggio di una machina universale con la quale si deve armonizzare se
non vuole essere distrutto153.
esse sempre fanno parte della sua storia. A tele proposito si può affermare che gli uomini
areligiosi non sono veramente liberi da comportamenti religiosi, da teologie e da
mitologie. L’influsso religioso esiste almeno nel loro inconscio senza per questo arrivare
a una certa esperienza e visione religiosa, ma nel senso che questo inconscio religioso
può risolvere le difficoltà della loro esistenza (cfr. Ibid., 127-135). Forse quello inconscio
di cui parla Eliade si può intendere come fede implicita. A questo proposito si può
richiamare anche al Catechismo della Chiesa Cattolica che afferma che l’uomo può essere
definito un essere religioso (cfr. CCC 27-28). 151 P. TILLICH, L’era protestante, 221. 152 Cfr. Cap. I, sez. 3.1. 153 È di notevole importanza la protesta contro l’oggettivizzazione dell’uomo portata
avanti da Martin Buber. Egli protesta contro la possibilità che un Io diventi un Esso, ossia
che l’uomo diventi una cosa oppure un oggetto. Buber distingue tra relazione Io-Tu e
quella Io-Esso. La domanda principale che pone Buber è come essere o diventare Io e non
Esso, cioè come essere e diventare persona e non oggetto, come essere libero e non
determinato: in altre parole, come strappare la concezione della persona che ci ha imposto
CAP. II: LA RELIGIONE COME DIMENSIONE DELLA PROFONDITÀ 73
Diventando una cosa tra le altre l’uomo è diventato il mezzo di un fine che
esso stesso è un mezzo. In tale situazione all’uomo sfugge il vero fine ultimo
e la sua mancanza produce in lui la disperazione, l’angoscia e la mancanza
del senso. L’uomo non percepisce più la realtà come qualcosa di sensato
poiché essa stessa non parla più all’uomo154. Essa ha perso in ultim’analisi
la sua profondità. Il ruolo importante dell’esistenzialismo nella situazione in
cui l’uomo era ridotto a sfera meramente materialistica, è stato nel fatto che
esso ha avuto il coraggio di sollevare le domande riguardanti l’esistenza
dell’uomo, pur essendo consapevole di non poter offrire le risposte e che le
risposte derivano da qualche altra sorgente. Le risposte alle domande
esistenziali dell’uomo possono essere date dalla teologia, attingendole dalla
rivelazione ed esprimendole mediante i simboli155.
La visione del mondo precedente non esiste più e nessuno dei movimenti
successivi ha sviluppato una visione globale del mondo o un’interpretazione
adeguata della vita umana156. Né la cosiddetta filosofia della vita di
Nietzsche (Lebensphilosophie), né la filosofia dell’inconscio che comincia
con Freud, né i movimenti filosofici e teologici ispirati alla filosofia di
Kierkegaard, hanno prodotto di fatto una nuova visione globale del mondo e
della vita umana. Al contrario questi movimenti hanno distrutto le vecchie
concezioni del mondo, non offrendone in cambio le nuove157. L’enigma
dell’esistenza umana sino ad oggi non è stato sciolto, perché sembra che
l’uomo moderno sia divenuto privo della visione del mondo che esisteva
prima e si sia convinto di poter risolvere l’enigmaticità della propria
la società industriale. La risposta di Buber è che Io può esistere e diventare se stesso solo
tramite l’incontro e accettazione di un Tu. Non c’è l’altro modo per incontrare e accettare
un Tu tranne nell’incontro e nell’accettazione di un eterno Tu in un Tu finito Questa
filosofia esistenzialista Io-Tu di Buber permette la vittoria di Tu e Io sopra Esso. È
importante di non avere un rapporto manipolativo verso eterno Tu sia nel campo morale,
sia nei dogmi o nel culto, perché altrimenti il Tu divino diventa Esso e perde la propria
divinità (cfr. P. TILLICH, Theology of culture, 188-199). In questo senso, secondo Tillich,
la filosofia esistenzialista Io-Tu di Buber rappresenta una sfida alla teologia liberale e alla
teologia ortodossa. 154 Cfr. P. TILLICH, Theology of culture, 46. 155 Cfr. E. VILANOVA, Storia della teologia cristiana, III, 538; Cap. I, sez. 3.1. 156 Si deve tener presente che Tillich scrive L’era protestante nel 1953. Egli sottolinea
che «Solo due decenni fa la nostra letteratura pullulava di discussioni sulla visione
moderna del mondo e sui conflitti tra le varie tendenze all’interno di questa. Non si può
vedere nulla di simile oggi; si trovano soltanto i frammenti delle passate visioni del
mondo» (P. TILLICH, L’era protestante, 222). 157 Cfr. P. TILLICH, L’era protestante, 222.
74 LA CORRELAZIONE TRA VANGELO, CULTURA E PERSONA
esistenza senza una visione integrale del mondo e senza un centro integratore
su cui basare la propria vita.
Neppure il messaggio cristiano e la sua interpretazione hanno prodotto per
l’uomo moderno un centro su cui basare la propria vita, anche se il
cristianesimo è potenzialmente significativo poiché si fonda sull’evento di
Gesù Cristo. Occorre che il potenziale in esso contenuto diventi reale
mediante una manifestazione significativa, cioè Gesù non potrebbe
manifestarsi come portatore del Novo Essere senza coloro che lo ricevono
come tale158. L’uomo autonomo relativizza il messaggio cristiano e non lo
riconosce come visione integrale del mondo e dell’uomo ma lo vede solo
come una delle tante interpretazioni del mondo e della vita.
Nonostante la sua frustrazione e disperazione l’uomo non è ancora pronto
a rinunciare del tutto questa sua autonomia. Tuttavia tale situazione di
insicurezza e disperazione lo porta sulla linea di confine rappresentata dal
limite della possibilità umana sia nella sfera religiosa che secolare. Quando la
stessa esistenza umana viene sottoposta ad una minaccia estrema l’uomo viene
condotto al confine del suo essere. Nella situazione della rottura della propria
autonomia, l’uomo è pronto di ripensare alla religione (del messaggio
cristiano) e a riaffermarla dinanzi alle molte offerte di sicurezza159. Solo allora
può liberamente decidere se centrare la propria vita su quello che propone il
cristianesimo oppure su altre offerte. Ci sono tante possibilità, ma «l’angoscia
del possibile ci rende inquieti»160. La libertà dalla quale non si può fuggire
158 Cfr. P. TILLICH, L’irrilevanza e la rilevanza del messaggio cristiano per l’umanità
d’oggi, 84; Cap. I, sez. 2.1.3. Il cristianesimo come potenzialmente significativo
sull’evento di Gesù Cristo si trova in linea con GS 1 (cfr. G. OLIANA, Il progetto teologico
di Paul Tillich: la sfida del coraggio di essere e il realismo credente, 8). 159 Cfr. P. TILLICH, L’era protestante, 224-227. Secondo Tillich, la chiesa protestante
che propone il proprio messaggio all’uomo debba essere una chiesa diversa da quelle che
rifiutano di farsi turbare nella loro sfera spirituale. Tale chiesa deve assoggettarsi a una
critica radicale ed eliminare ogni cosa che diminuisce il peso della situazione di confine.
Se una chiesa afferma di possedere la verità e la pura dottrina, allora significa che rifiuta
la situazione della confine e con essa il suo significato e il suo potere. Il compito della
chiesa (Tillich pensa in primo luogo alla chiesa protestante) non è la difesa di un dominio
religioso, ma la proclamazione di un una situazione di confine in cui si pone in
discussione ogni dominio secolare e religioso. Lo scopo di tale proclamazione consiste
nel spingere nella situazione di confine tutto ciò che rappresenta una pretesa ultima, sia
culturale, sia religiosa (cfr. Ibid., 228-229). 160 P. TILLICH, Il Nuovo Essere, 99. Parlando dell’angoscia della libera decisione e
dell’aiuto della parola di Dio in tale decisione, Tillich afferma che Dio, dal quale
cerchiamo una parola, vuole che decidiamo da soli, Egli non ci offre una via sicura.
CAP. II: LA RELIGIONE COME DIMENSIONE DELLA PROFONDITÀ 75
provoca l’inquietudine della nostra vita e minaccia l’esistenza, ma alla fine
proprio questa libertà inevitabile fa la differenza per la nostra esistenza, per
ciò che decidiamo di fare e su che cosa vogliamo centrare la propria esistenza.
A questo punto per l’uomo moderno, che ha perso il sentimento per Dio e per
il sacro, si apre la possibilità anche per la fede cristiana.
2.2.2 La società disintegrata e le sue contradizioni
Il dominio del secolarismo rappresenta una minaccia non solo per il
cristianesimo, ma per tutte le religioni161. La domanda che si pone allora è se
la Chiesa può cambiare il proprio atteggiamento davanti a una tale realtà. La
situazione del mondo descritta da Tillich è caratterizzata da una certa
insicurezza percepita sia dalle nazioni che dagli individui. In tale situazione
anche la fede in progresso si è esaurita; il conflitto tra le scienze naturali e la
religione è quasi superato; l’ateismo individualistico è in declino. Tutta
questa situazione porta il nostro teologo a sottolineare che la religione sia
oggi più forte, almeno nel sentimento e nel desiderio della gente, ma
nonostante tutto questo il cristianesimo non sia diventato più forte162. Il
motivo lo si trova appunto nell’atteggiamento cristiano, che non può
sopravvivere ad un periodo di disintegrazione e di collettivismo di massa che
è causato dal capitalismo avanzato.
La disintegrazione di massa significa «la situazione in cui le formazioni
di gruppo, sorte nel periodo del feudalesimo e del primo capitalismo si
sfasciano e cedono il campo a masse amorfe in cui operano le leggi della
psicologia di massa»163. La massa perde la propria interiorità e si basa su una
L’uomo può sbagliare e aver torto, ma tenendo presente che davanti a Dio l’uomo ha
sempre torto, può darsi che il nostro torto si dimostri bene (cfr. Ibid., 99-100). 161 Per approfondire il tema del secolarismo come un processo di eliminazione
deliberata di qualsiasi riferimento religioso cfr. C. DOTOLO,
«Secolarismo/Secolarizzazione», 937-938; S. LEFEBVRE, «Secolarità», 1088-1102. 162 Cfr. P. TILLICH, L’era protestante, 251. A questo proposito Aleksander Men, un
prete russo, ucciso dalla KGB nel 1990 diceva: «Solo uomini limitati possono
immaginarsi che il cristianesimo si è compiuto, che si è completamente costruito… il
cristianesimo non ha fatto che i suoi primi passi, passi timidi nella storia del genere
umano. Molte parole di Cristo non sono ancora comprensibili… La storia del
cristianesimo non fa che cominciare» (V. PAGLIA, A un amico che non crede, 7). 163 P. TILLICH, L’era protestante, 252. La massa non significa un certo numero delle
persone ma nasce nel momento in cui gli uomini sono condizionati da un destino
inevitabile per ogni individuo, quando per esempio tutti lavorano in massa nelle grandi
fabbriche, ricevono lo stesso salario, condividono le stesse possibilità materiali e
intellettuali… (cfr. Ibid., 252). Nelle masse sottoposte alle leggi della psicologia delle
76 LA CORRELAZIONE TRA VANGELO, CULTURA E PERSONA
struttura meccanica, diventa l’espressione solo della parte della società senza
un contenuto veramente vivente, non possiede un centro integratore. In tale
situazione essa viene soggetta alla finitezza e diventa meccanicizzata. Senza
il centro integratore di una società, una parte della società si trova nella
situazione di poter manipolare con questa massa disintegrata. Così, la società
borghese che si oppone alla massa possiede tutti i mezzi della cultura, ma li
usa nel modo manipolativo, cioè li usa o per affermare il proprio dominio
razionale sulla natura e sulle masse o per un’affermazione personale senza
responsabilità metafisica per sé e per la società. Questa mancanza di ogni
responsabilità metafisica e il dominio razionale mostra in modo evidente
come la società abbia spezzato la relazione con l’Eterno164. La tragedia
consiste appunto nel passaggio dai gruppi formati alle masse amorfe, perché
in tale situazione vengono dimenticate le tradizioni e i simboli del loro
potere; una tale disintegrazione porta verso una esistenza insignificante.
La situazione sociale è improntata anche dalle contradizioni nella società
moderna. Secondo Tillich si possono individuare tre contraddizioni
fondamentali: la prima riguarda il fatto della disoccupazione strutturale
causata dal rapido progresso tecnico e dalla dipendenza della vita umana dal
lavoro; la seconda consiste nella crescente povertà delle masse causata dal
potere della produzione che sta in contrasto con le possibilità di acquisto da
parte delle masse; la terza contradizione fondamentale nella società e che ha
le proprie radici nella società industriale consiste da una parte nella presunta
libertà di ogni individuo e dall’altra nella dipendenza delle masse dalle leggi
del mercato165. In questa situazione non c’è posto per la trascendenza della
vita che scompare con la secolarizzazione. La dimensione religiosa viene
perduta. Quello che è necessario allora è una reintegrazione di tale società.
La reintegrazione è possibile con un’organizzazione di massa sui diversi
piani: economico, politico, intellettuale e sociale. Ma questo non basta,
perché una tale organizzazione presuppone un potere e un’autorità
centralizzati non solo nei suddetti ambiti, ma anche nell’educazione e nella
religione. La reintegrazione non è possibile soltanto attraverso cambiamenti
istituzionali e politici, ma richiede cambiamenti nell’atteggiamento
personale e negli atteggiamenti più profondi166. Esige una dimensione più
profonda che diriga tutte le altre dimensioni dell’esistenza umana. Di questo
masse non c’è azione, ma sollo accadere che si ha sotto l’influsso degli altri (cfr. K.
WOJTYŁA, «Persona e atto», 1179-1180). 164 Cfr. P. TILLICH, Lo spirito borghese e il kairos, 78. 165 Cfr. P. TILLICH, L’era protestante, 253. 166 Cfr. P. TILLICH, L’era protestante, 253.268.
CAP. II: LA RELIGIONE COME DIMENSIONE DELLA PROFONDITÀ 77
è capace la religione perché essa è «auto-trascendenza della vita sotto la
dimensione dello spirito»167.
Proponiamo allora, insieme con Tillich la religione come l’interesse per
assoluto, come centro integratore della vita personale dell’uomo e della società
disintegrata. Infatti solo così è possibile unificare tutti gli elementi della vita
personale dell’uomo. Nell’unificazione dei diversi elementi dell’uomo, quelli
consci come anche quelli inconsci, la religione si manifesta come centro di tutta
la personalità verso un valore assoluto. Solo attorno a un interesse supremo è
possibile costruire il centro unificatore che contribuisce alla reintegrazione della
persona umana e di tutta la società disintegrata168.
2.2.3 L’accettazione della religione nella società
Parlare della religione in una società significa parlare della religione in
due sensi: la religione pubblica, cioè nel senso stretto, e la religione del
cuore, cioè la religione nel senso più largo che presuppone una religione
organizzata – questa si esprime come lo stato della preoccupazione ultima.
Questi due sensi della religione sono inseparabili e interdipendenti tra di loro.
La religione come lo stato della preoccupazione ultima diventa reale negli
individui e allo stesso tempo si incarna nelle istituzioni sociali e diventa
efficace nelle azioni. In tale senso la religione si esprime nella società e non
resta astratta, essa si incarna in una cultura e diviene ovvia in tutte le
creazioni culturali, permea tutta la realtà169.
L’accettazione della religione è diverso nelle diverse società. La società
Sovietica ad esempio ha cercato di sfruttare la religione in Russia nel senso
che con essa cercava di soddisfare i bisogni psicologici della sua società.
Nella società americana invece la religione (protestantesimo e cattolicesimo)
rappresenta una effettiva potenza sociale che influisce sul modo di vivere e
cerca di influenzare i processi democratici170. Su questa base Tillich afferma,
167 P. TILLICH, Teologia sistematica, III, 107. 168 A proposito della fede come interesse per l’assoluto e come centro integratore vedi:
Cap. II, sez. 1.1.3. 169 Cfr. P. TILLICH, Theology of culture, 177-178. Per mostrare come la religione si
incarna e quale ruolo assume nelle diverse società, Tillich porta due esempi di tale
incarnazione, in Russia e negli Stati Uniti. Così, egli descrive la Chiesa ortodossa come
la Chiesa del misticismo sacramentale e non come una Chiesa con gli ideali sociali e
politici, come ad esempio il protestantesimo e il cattolicesimo (cfr. Ibid., 180). 170 Cfr. P. TILLICH, Theology of culture, 180-181. La Chiesa ortodossa è ripiegata su
se stessa e chiusa a forme di progresso e di sviluppo sociale, è chiusa alla modernità e
non accetta le sfide della cultura e della tecnologia moderna (cfr. I. SANNA,
L’antropologia cristiana tra modernità e postmodernità, 52, n. 13).
78 LA CORRELAZIONE TRA VANGELO, CULTURA E PERSONA
che la religione ortodossa, in quanto religione del misticismo sacramentale,
mette in rilievo la presenza del sacro, del divino, mostra una perfezione
liturgica, speculazione teologica ed elevazione mistica, «trascende lo stato
esistente, senza cercare di trasformarlo»171. Ed è qui che si nota la mancanza
di tale religione, perché trascura le proprie implicazioni sociali e politiche. E
ciò può essere pericoloso per essa stessa e per la società nella quale si trova,
sino al punto che tale negligenza può distruggere tutto quello che è trascurato
ma anche tutto il sistema sacramentale. La mancanza delle implicazioni
sociali e politiche del cristianesimo russo è stata quello di essere stato
superato dal marxismo.
Il problema della società americana invece, giudicandola con l’ottica della
preoccupazione ultima, non è il comunismo come tale, ma la disintegrazione
della sua conformità democratica che si manifesta nell’autonomia religiosa
e culturale. Queste due autonomie indicano lo stato dell’auto-alienazione
della natura umana172. Per superare le reazioni a tale disintegrazione Tillich
sottolinea come sia proprio la natura del sacro ad indicare una possibile
soluzione, poiché il sacro, messo in evidenza dalla religione ortodossa,
implica due aspetti: la sacralità di quello che deve essere sacro, personale,
sacramentale e l’aspetto sociale che include il mistero e la ragionevolezza di
esistere. In altre parole, rimane ancora aperta la questione se la risposta alla
disintegrazione umana possa essere l’unione della sostanza spirituale
dell’Oriente con le forme personali e sociali dell’Occidente173.
Trattando questa problematica Tillich si pone come l’araldo
dell’ecumenismo174.
171 P. TILLICH, Theology of culture, 182. Ricordiamo le parole del nostro autore
secondo il quale la religione ha valore solo se «trascende e quindi giudica e trasforma la
nostra situazione» (ID., L’era protestante, 214). 172 Cfr. P. TILLICH, Theology of culture, 178-185. 173 Cfr. P. TILLICH, Theology of culture, 187. Ci si accorge anche qui che, come ci
suggerisce Tillich, questi temi appartengono anche alla filosofia esistenzialista, perché gli
esistenzialisti pongono domande sull’alienazione e sulla finalità umana, sulla sua
angoscia e disperazione. Gli esistenzialisti alzano la sua voce contro la riduzione
dell’uomo a una cosa, e anche se qualche volta lo fanno questo in termini antireligiosi,
ateistici, cinici ecc., essi esprimono la preoccupazione ultima religiosa (cfr. Ibid., 186). 174 In favore a Tillich come araldo dell’ecumenismo si riconosce che lui tratta la
questione delle fonti (in plurale) che è una cosa sorprendente se si considera la sua
formazione luterana. Contro la lezione dialettica di Barth insieme alla Scrittura Tillich
annovera anche altri luoghi teologici: tradizione dottrinale delle chiese, la storia delle
religione e delle culture e l’esperienza esistenziale dell’uomo (cfr. P. TILLICH, Teologia
sistematica, I, 60-61).
CAP. II: LA RELIGIONE COME DIMENSIONE DELLA PROFONDITÀ 79
3. Sostanza della cultura e forma della religione
3.1 Divario tra religione e cultura
3.1.1 La religione e la cultura nella correlazione
Esistono diverse definizioni di cultura in generale molto ampie.
L’intenzione del nostro lavoro non è di analizzarle175. La concezione della
cultura in rapporto alla religione che Tillich sostiene può essere ricondotta
alla ben conosciuta definizione di cultura quale forma della religione,
mentre la religione rappresenta la sostanza della cultura. Oltre a questa
descrizione, fondamentale per l’obbiettivo del nostro tema, il teologo della
cultura spiega che la cultura, nel senso più ampio, è ciò che si prende cura di
qualcosa, lo mantiene vivo e lo fa crescere:
In tal modo l’essere umano può coltivare qualsiasi cosa che incontra, ma nel
farlo, non lascia l’oggetto coltivato senza cambiamento; ne fa qualcosa di
nuovo: in modo materiale, come nella funzione tecnica; in modo ricettivo come
nelle funzioni della theoría; o in modo reattivo, come nella funzione della
prâxis. In ognuno di questi tre casi la cultura crea qualcosa di nuovo al di là
della realtà incontrata176.
Da questa concezione risulta che Tillich concepisce la cultura nel senso
del termine tedesco Kultur che comprende i frutti dello spirito creativo
dell’uomo cioè non riguarda solo la filosofia, la poesia e la musica, ma
175 C. Kluckhohn e A. Kroeber hanno individuato 164 definizioni diverse di cultura
con un significato molto ampio (cfr. C. KLUCKHOHN – A. KROEBER, Il concetto di cultura,
320); M. MONTANI, Filosofia della cultura, 39. Il teologo Dotolo riporta anche diverse
concezioni della cultura partendo dalle diverse dimensioni basilari (cfr. C. DOTOLO,
Cristianesimo e interculturalità, 59-60). Battista Mondin, attraverso le notazioni storiche,
mette in evidenza diverse concezioni della cultura prendendo in esame alcuni pensatori
tra i quali: J.G. Herder, G. Hegel, E. Cassirer, J. Maritain, R. Guardini, P. Tillich, W.
Pannenberg (cfr. B. MONDIN, Filosofia della cultura e dei valori, 13-41). Tra l’altro vedi
anche: M.P. GALLAGHER, Fede e cultura. Un rapporto cruciale conflittuale, 19; H.
CARRIER, «Contributo del Concilio alla cultura», 1438s; ID., Vangelo e culture, 14-19.
Una reciprocità tra cultura e fede viene ovvia anche nella concezione di Rino Fisichella.
Per lui: «Cultura e fede, comunque quando tendono al bene ultimo e vero dell’uomo, non
possono entrare nel conflitto, devono riconoscersi reciprocamente almeno sulla base di
questa aspirazione comune che li pone al servizio dell’autentico progresso duraturo
dell’umanità» (R. FISICHELLA, «Cultura», 256-257). 176 P. TILLICH, Teologia sistematica, III, 66: Le simili concezioni della cultura in senso
generale si possono trovare in A.F. BEDNARSKI, Introduzione alla teologia della cultura, 7-14.
80 LA CORRELAZIONE TRA VANGELO, CULTURA E PERSONA
l’economia, la politica, la scienza ecc177. Una correlazione tra religione e
cultura non dovrebbe essere l’oggetto della sola speculazione, ma
semplicemente una realtà che deve essere vissuta, proprio perché la cultura,
come anche la religione, appartiene alla sfera dello spirito umano (Geist), e
in questa maniera sia delineata la funzione di una teologia della cultura178.
Per questa ragione Tillich propone una visione del mondo in cui
convergono religione (cristianesimo) e pensiero moderno179.
Ma, purtroppo, analizzando la situazione in cui si trova l’uomo moderno,
risulta ovvio che esista un profondo divario tra cultura e religione ossia tra
cultura e tradizione religiosa o come diceva Paolo VI tra «Vangelo e
cultura»180 che rappresenta il dramma della nostra epoca. Questa rottura
deriva dal fatto che la situazione culturale è la situazione nella quale si
sperimenta lo spirito della finitudine conclusa in se stessa, che non mostra
alcun interesse per rapporto con l’Eterno. Infatti, in una tale situazione, il
rapporto con la religione è un rapporto di tolleranza, nel quale la religione è
esclusa dalla comunità sociale. La relazione con l’Eterno è spostata dalla vita
pubblica a quella privata. Con questa rimozione la vitalità immediata con la
quale la religione forniva la vita pubblica è messa da parte181.
Per cercare di risolvere questa rottura il teologo tedesco-americano applica
il suo metodo di correlazione. Questo metodo si è mostrato efficace, perché
è riuscito a conciliare queste due realtà quando dominavano due
atteggiamenti opposti e entrambi dannosi, sia per la religione sia per la
cultura. Da una parte vi era la posizione di Barth, che escludeva la valenza
della cultura, ritenendola irrilevante per ciò che concerne il divino182, mentre
177 Cfr. E. VILANOVA, Storia della teologia cristiana, III, 538. 178 Cfr. C.J. ARMBRUSTER, El pensamiento de Paul Tillich, 95-99. 179 Cfr. E. VILANOVA, Storia della teologia cristiana, III, 537. Il teologo nel nome della
religione può porre le domande che emergono dalla vita della cultura e preservare così la
Chiesa dal tradizionalismo e positivismo (cfr. P. TILLICH, Teologia sistematica, I, 46). 180 EN 20. 181 Cfr. P. TILLICH, Lo spirito borghese e il kairos, 87-89. 182 Ci sembra opportuno qui evidenziare come Barth abbia cambiato la sua posizione
riguardo alla cultura. In una conferenza ad Aarau nel 1956, partendo dalla cristologia, egli
sottolineò che la divinità di Dio ha il suo senso e la sua forza solo nel contesto della sua
storia e del suo dialogo con l’uomo. In Gesù Cristo è deciso che Dio non è senza l’uomo.
Secondo questa concezione di Barth, che anche Tillich ha accorto, noi possiamo
incontrare Dio solo nei limiti, da Lui determinati, dell’umano. Dio non ripudia ciò che è
umano. Alla fine più chiaro Barth mette in evidenza ancor più chiaramente che la cultura
in se stessa si mostra come tentativo dell’uomo di essere uomo, di valorizzare e di mettere
all’opera il dono della sua umanità. Per questo la cultura teologica ha il compito di
occuparsi né di Dio in sé, né dell’uomo in sé, ma di Dio che incontra uomo e dell’uomo
CAP. II: LA RELIGIONE COME DIMENSIONE DELLA PROFONDITÀ 81
dall’altra parte vi era l’opposizione di Adolf von Harnack, che considerava
la religione come un epifenomeno della cultura stessa, ossia solo una
transitoria espressione della cultura183.
Tillich si accorge della grande rottura tra religione e cultura che
nell’Europa centrale e orientale diviene evidente soprattutto dopo la Prima
guerra mondiale. Si avvertiva infatti una crisi profonda che riguardava i
valori tradizionali e la mancanza di una unità organica nella cultura184. La
responsabilità di questa rottura appartiene alla religione (alle diverse
confessioni cristiane) che respingeva i mutamenti culturali, perché in essi
vedeva una espressione ribelle e pericolosa di autonomia secolare. Neppure
i movimenti culturali di impronta rivoluzionaria sono tuttavia privi di
responsabilità per quanto riguarda questo divario, perché rifiutavano la
religione e le chiese cristiane quali espressione di una eteronomia
trascendente185. Le conseguenze di tale opposizione e reciproca esclusione
erano dannosi sia per la religione (e conseguentemente per la teologia) che
per la cultura186.
3.1.2 I due modi per superare la rottura
Questa rottura, secondo convinzione del nostro teologo, poteva essere
sanata con quello che viene definito socialismo religioso al quale lo stesso
Tillich apparteneva e con una corretta interpretazione della reciproca
immanenza tra religione e cultura.
che incontra Dio. Barth ovviamente non ha rinegato la propria condanna della religione
come un tentativo futile dell’uomo di raggiungere Dio, ma parlando della cultura
teologica che si occupa dell’uomo che incontra Dio, egli ci mostra un certo cambiamento
(cfr. K. BARTH, L’umanità di Dio, 29-67). A proposito dell’osservazione di Tillich si veda
si veda: P. TILLICH, L’era protestante, 89. 183 Cfr. B. MONDIN, «Religione e religioni nel pensiero di Paul Tillich», 24-25. 184 Cfr. A. BANFI, «Punto di vista del “kaiors”», 9. 185 Cfr. P. TILLICH, L’era protestante, 84. Tillich parla della situazione religiosa nelle
chiese, mettendo accento sulla chiesa cattolica e sul protestantesimo. Per comprendere la
situazione religiosa è necessario analizzare e comprendere la situazione dello spirito e
della società occidentale del suo tempo, che egli chiama la borghesia (siamo negli anni
’20 del XX secolo) e dopo osservare l’atteggiamento delle chiese di fronte a tale
situazione. Un’analisi abbastanza ampia è riportata in P. TILLICH, Lo spirito borghese e il
kairos, 133-166. 186 Cfr. F. ARDUSSO – al., La teologia contemporanea, 9.
82 LA CORRELAZIONE TRA VANGELO, CULTURA E PERSONA
L’essenza del socialismo religioso187 consiste nella convinzione che senza
fondamento religioso nessuna società può salvarsi dalla distruzione188. Si
tratta di un’interpretazione teonoma della realtà, alla luce del kairos. Il
socialismo religioso proclama di essere in grado, con l’analisi della
situazione esistenziale sulla base degli eventi contemporanei di dare un
significato alla trasformazione del mondo attuale189. Infatti riteneva che il
settore economico non si può considerare come settore indipendente sul
quale dovrebbe poggiare tutta la realtà190. Il settore economico dipende da
ogni altro settore: sociale, intellettuale e spirituale. L’intenzione per tanto era
di dare un’immagine della struttura totale dell’esistenza umana. Il socialismo
religioso nella cultura d’allora si presentava come la forza spirituale e non
come un partito politico. Tillich afferma infatti: «noi guardammo al
socialismo non come a un problema di salari ma come a una nuova teonomia
187 Per vedere il nucleo del socialismo religioso si veda: P. TILLICH, «Christentum und
soziale Gestaltung», 91-131. Per spiegare l’importanza del socialismo religioso, Tillich
comincia rilevando una certa concordanza tra cristianesimo e marxismo sul fatto che la
natura dell’uomo non può essere determinata al di fuori della storia e che l’esistenza
storica dell’uomo è decisiva per ogni dottrina dell’uomo. Una concordanza esiste anche
sul fatto che l’uomo fa parte di un mondo caduto e questa caduta si esprime sia in termini
sociologici che in religiosi. Ma la differenza fondamentale tra il marxismo e il socialismo
religioso proposto da Tillich sta nel loro diverso atteggiamento di fronte all’idea della
trascendenza. La trascendenza di marxismo non è la trascendenza assoluta del
cristianesimo, essa rimane nel tempo e nello spazio e dipende dai processi immanenti,
trascende il tempo presente, ma non il tempo come tale, non sa nulla dell’eternità che
irrompe nel tempo. Al contrario, il socialismo religioso segue invece il messaggio
cristiano affermando il carattere trascendente, invisibile ed eterno del compimento ultimo
della storia e della vita umana. La storia trova il suo compimento al di sopra della storia
e non all’interno della storia. In quest’ottica è evidente che per il socialismo religioso,
nell’idea di Tillich doveva sanare la rottura tra religione e cultura, la svolta della storia
non è rappresentata dall’idea del proletariato, ma dal desiderio di dare un nuovo
significato e un nuovo potere alla vita nell’auto-manifestazione divina (cfr. P. TILLICH,
L’era protestante, 264-268). La spiegazione esplicita della distinzione tra marxismo e
socialismo religioso vedi anche: Ibid., 13-16. 188 Un percorso riassuntivo del socialismo religioso in Francia e Inghilterra, come
anche alcuni appelli di questo movimento e le idee principali in diversi autori si veda in:
W. DERESCH (a cura di), La fede dei socialisti religiosi/Antologia dei testi. 189 P. TILLICH, L’era protestante, 270; cfr. Ibid., 77. 190 Tillich parla del settore economico, perché descrivendo la situazione esistenziale
del suo tempo ritiene che la società borghese è nata con la liberazione dell’economia dai
legami della forma sociale, costruendo così un’economia autonoma soggetta solo a leggi
proprie (cfr. P. TILLICH, Lo spirito borghese e il kairos, 73). A questo proposito
rimandiamo alle parole di papa Francesco che esorta all’attenzione che riguarda uno
sviluppo integrale al vantaggio della persona umana e di tutta la società (cfr. EG 203).
CAP. II: LA RELIGIONE COME DIMENSIONE DELLA PROFONDITÀ 83
in cui il problema salari e sicurezza sociale compare insieme al problema
verità e sicurezza spirituale»191. Questo movimento ha fallito, perché giunse
troppo tardi per aver successo, dal momento che le ideologie secolari e i
partiti operai avevano già occupato il posto. Il nostro teologo rimase sempre
fedele all’idea di questo movimento, che continuò a sviluppare nella sua
teologia. L’altra ragione per cui è fallito è che non ha saputo applicare la
critica contro se stesso192.
Il secondo elemento con il quale si intendeva sanare la rottura tra religione
e cultura consisteva nell’analizzare la loro immanenza reciproca, cosa che
cominciò a sviluppare in una conferenza a Berlino fornendo così il primo
abbozzo di una teologia della cultura193. Dopo la Prima guerra mondiale si
avvertiva che, nonostante tutte le sofferenze e le conseguenze della guerra,
vi era un periodo di trasformazioni radicali e un nuovo principio oppure per
dirla con un linguaggio biblico, il kairos. Nella rovina della civiltà borghese
in Europa si riscontrava una nuova opportunità creativa, una possibilità per
ricongiungimento della religione alla cultura secolare. L’intenzione era
infatti di dare una base filosofica e teologica a quello per cui lottava il
socialismo religioso. Dal momento che la religione aveva respinto
l’autonomia secolarizzata della cultura moderna e i movimenti rivoluzionari
avevano tralasciato l’eteronomia trascendente della religione, Tillich arriva
alla necessità di una cultura teonoma che divenne il principio della sua
filosofia della religione e della cultura e che allo stesso tempo si mostrava
capace di sanare la rottura tra religione e cultura, ossia trovare il fondamento
ultimo in ogni settore umano194.
3.1.3 Verso la cultura teonoma
I rapporti tra religione e cultura possono essere giudicati attraverso tre
concetti: autonomia, eteronomia e teonomia. Etimologicamente questi tre
concetti rispondono al problema della legge o del nomos. L’autonomia
significa l’obbedienza alle leggi della ragione che l’uomo come essere
razionale e relazionale trova in se stesso. In questo senso l’uomo è legge a se
191 P. TILLICH, L’era protestante, 15. 192 Cfr. R. BERTALOT, Paul Tillich: esistenza e cultura, 17. 193 Cfr. P. TILLICH, Theology of culture, V. 194 Cfr. P. TILLICH, L’era protestante, 84-85; E. SCABINI, Il pensiero di Paul Tillich,
127; Appunto questo dovrebbe essere il compito di un teologo della cultura, cioè trovare
il fondamento ultimo in ogni campo dello scibile (cfr. Ibid., 127).
84 LA CORRELAZIONE TRA VANGELO, CULTURA E PERSONA
stesso e come tale anche fonte e misura della cultura e della religione195.
L’autonomia si rispecchia nella formula nicciana io voglio.
L’eteronomia afferma una legge estranea a tutte le funzioni della ragione;
l’uomo non è in grado di agire secondo la ragione universale e opponendosi
a sua realizzazione autonoma, si assoggetta allo stesso tempo ad una legge a
lui estranea e superiore196.
Teonomia significa infatti un’autonomia unita alla propria profondità: «in
una situazione teonoma la ragione si attualizza osservando le sue leggi
strutturali e mediante il potere del suo stesso fondamento inesauribile»197. In
altre parole, la teonomia afferma che esiste una legge superiore, che è allo
stesso tempo la legge più profonda dell’uomo. Questa legge ha radici divine
e umane, essa è un paradosso perché è una legge che trascende l’uomo, ma
allo stesso tempo è la sua legge198.
Se applichiamo questi tre concetti al rapporto tra religione e cultura,
possiamo concludere che una cultura autonoma è quella che crea una civiltà, le
forme e le creazioni della vita senza riferimento al fine ultimo, tralasciando così
il riferimento all’incondizionato. La cultura autonoma si manifesta come una
creazione del tutto indipendente dal rapporto con l’Eterno. Essa agisce solo in
base alle leggi della razionalità. Alla fine, la civiltà creata da una cultura
autonoma si esaurisce, diventa spiritualmente vuota, svuotata di senso, perde
progressivamente il suo significato e tende così alla disperazione199.
Una cultura eteronoma si esprime nel tentativo di dominare dall’esterno,
cioè essa assoggetta le forme, le leggi intellettualistiche e le creazioni umane
ai criteri autoritari di una religione o semi-religione politica. Questa cultura
eteronoma è pericolosa perché è pronta a distruggere le strutture razionali a
195 In un certo senso l’uomo è autonomo perché possieda la capacità di autogestire e
di integrare il suo intero sviluppo. In questo senso la sua autonomia è relativa e non
assoluta. L’uomo gode una libertà autonoma, ma non autarchica, la sua autonomia implica
dipendenza costitutiva che non però distrugge la sua autonomia (cfr. R. LUCAS LUCAS,
Orizzonte verticale. Senso e significato della persona umana, 59-60). 196 Cfr. E. VILANOVA, Storia della teologia cristiana, III, 538. 197 P. TILLICH, Teologia sistematica, I, 103. 198 Cfr. P. TILLICH, L’era protestante, 85; ID., Teologia sistematica, I, 101-103. Per
Tillich, la chiave per comprendere lo sviluppo del pensiero filosofico greco e moderno
consiste nella comprensione del conflitto tra autonomia ed eteronomia. La storia della
filosofia comincia con un periodo pre-filosofico teonomo (mitologia e cosmologia) e
continua con diverse epoche filosofiche in cui ogni volta prevale l’autonomia,
l’eteronomia, o la teonomia, spesso come reazione una dell’altra (cfr. Ibid., 103-104). 199 Cfr. R. BERTALOT, «Teologia e cultura», 456-457.
CAP. II: LA RELIGIONE COME DIMENSIONE DELLA PROFONDITÀ 85
proprio vantaggio200. Essa impone alla mente dell’uomo una legge estranea,
religiosa o secolare. La religione in quanto si assoggetta alle leggi eteronome
diventa eteronoma e si mostra arrogante e senza fiducia. Una tale religione,
che stringe l’alleanza con le leggi eteronome, non costituisce più la sostanza,
la linfa vitale, il potere intimo di una cultura201. Essa, opponendosi
all’autonomia di fatto si compromette.
3.1.4 La cultura teonoma
L’approccio decisivo di Tillich sta nella convinzione che non può esserci
alcun aspetto della vita senza che sia in un rapporto con qualcosa di assoluto
e veramente ultimo. In altre parole, il nostro teologo era convinto della
necessità di una profonda penetrazione dei valori religiosi in tutte le sfere
culturali. Solo agendo in questa modo si suscita una chiesa «”laicamente
operante” [in cui esiste una profonda unità di] tutte le universali funzioni
culturali e il loro contenuto religioso»202. Con le seguenti parole Tillich
esprime questa sua convinzione: «la religione, come Dio, è onnipresente; la
sua presenza come quella di Dio può essere dimenticata, negletta, negata. Ma
è sempre reale, e conferisce un’inesauribile profondità alla vita e
un’inesauribile significato ad ogni creazione intellettuale»203.
Con questa sua riflessione Tillich è giunto ad una cultura teonoma, che
nelle sue creazioni esprime un interesse ultimo204. Le creazioni di tale cultura
sono portatrici di un messaggio spirituale e tutte le forme finite e preliminari
dell’esistenza umana sono pervase da un significato ultimo dell’esistenza205.
Questo significato ultimo e trascendente non è una legge estranea all’uomo,
200 Cfr. P. TILLICH, L’era protestante, 13-14.85. Ci sono sempre stati i periodi in cui la
base teonoma della cultura è stata evidente, come per esempio nei periodi arcaici e
nell’alto Medioevo; il tempo dell’eteronomia era invece nel tardo Medioevo, mentre la
base autonoma della cultura era presente soprattutto nel Rinascimento e nell’Illuminismo,
come anche nel XIX secolo (cfr. Ibid., 85). 201 Cfr. P. TILLICH, L’era protestante, 75. 202 S. BIANCHETTI, «Paul Tillich (1886-1965)», 47. 203 P. TILLICH, L’era protestante, 13. 204 Cfr. P. TILLICH, L’irrilevanza e la rilevanza del messaggio cristiano per l’umanità
oggi, 87. 205 Jessica DeCou, esaminando la teologia della cultura popolare di Karl Barth ritiene
che la differenza tra la teologia della cultura di Barth e quella di Tillich, dal punto di vista
escatologico, consiste nell’enfasi di “non ancora” che propone Barth, mentre questo “non
ancora”, secondo Barth, Tillich lo ha trasformato in “già”. Per Barth questo è troppo bello
per essere vero (cfr. J. DECOU, Playful, Glad, and Free. Karl Barth and a Theology of
Popular Culture, 96).
86 LA CORRELAZIONE TRA VANGELO, CULTURA E PERSONA
ma è la legge più profonda dell’uomo, è il suo fondamento spirituale; e per
questo una cultura teonoma non è solo possibile, ma realizzabile anche in
fase pre-escatologica, cioè entro la dimensione storica206, proprio perché la
religione è concepita come lo stato di chi è afferrato da qualcosa di ultimo e
di incondizionato e perché fondata sulla manifestazione divina.
L’affermazione più precisa di una cultura teonoma sottolinea che: «la
religione è la sostanza della cultura e la cultura è la forma della religione»207.
Questa reciprocità essenziale della religione e della cultura mette in evidenza
che la religione attinge dalla cultura tutte le forme attraverso le quali si
esprime. La religione si serve della cultura per volgersi dalle forme temporali
e finite all’Eterno e all’infinito208. La cultura appare come vero pilastro di
ciò che è religioso e la manifestazione universale dell’assoluto209. Sembra
che per Tillich non sia la Chiesa il corpo della fede, ma la cultura210. La
cultura diventa superficiale, perde la sua profondità senza la religione, ossia
senza l’ultimità dell’ultimo211.
Nel rapporto reciproco tra religione e cultura, la religione in quanto
preoccupazione suprema, viene vista come sostanza della cultura che
fornisce il senso alla cultura stessa, mentre la cultura fa parte della totalità
delle forme nelle quali si esprime la religione. In altre parole, la cultura
raccoglie, ordina e classifica tutto quello che è in circolazione (lo spirito di
un popolo, Volkgeist di Hegel) e gli dà una forma condivisibile da tutti gli
uomini, sia credenti che non credenti212. La cultura non è capace di far
206 Cfr. T. MANFERDINI, La filosofia della religione in Paul Tillich, 55-56. 207 P. TILLICH, Theology of culture, 42. Il corsivo è nostro; cfr. ID., L’era protestante,
14; Ibid., 85. Dobbiamo mettere in evidenza che questa espressione si trova quasi in tutti
scritti di Tillich dove egli esamina questo problema, partendo dal 1919. 208 Cfr. P. TILLICH, Lo spirito borghese e il kairos, 163. Il Vaticano II sottolinea anche
una certa reciprocità tra religione e cultura proponendo il scambio vitale tra la Chiesa e
le diverse culture (cfr. GS 44). 209 Cfr. J. MOLTMANN, Che cos’è la teologia?, 98. Per tale ragione Moltmann osserva
tutta la teologia tillichiana come la teologia della cultura. 210 Cfr. J. MOLTMANN, Che cos’è la teologia?, 103. In questo argomento Tillich segue il
protestantesimo liberale e la teoria della chiesa latente, per dimostrare la tesi sopradetta.
Moltmann afferma che Rahner riprese questa teoria a modo suo nella teoria dei cristiani
anonimi, si tratterebbe di un concetto esistenziale della religione rispetto il concetto di
religione della chiesa ma lo trascende, riconoscendo che fuori dalla chiesa ci sono molte
forme della cultura per esprimere ciò che ci riguarda in modo incondizionato (cfr. Ibid., 104). 211 Cfr. P. TILLICH, Teologia sistematica, III, 265-266. 212 Cfr. R. BERTALOT, «La teologia della crisi e la cultura europea in Paul Tillich»,
205. A questo proposito Bertalot mette in evidenza la specificità della cultura tibetana
condivisa da musulmani e buddisti. «In tale senso, la cultura ha una portata “unificante”;
CAP. II: LA RELIGIONE COME DIMENSIONE DELLA PROFONDITÀ 87
scaturire da sé il suo significato, perché il suo terminus ad quem è finito e
proprio per questo motivo deve rapportarsi al trascendente213. Per questo la
cultura e le singole culture dovrebbero fornire alla fede un corpo culturale
per esprimersi214. La reciprocità tra religione e cultura abolisce un certo
dualismo e l’opposizione tra religione e cultura e le mette in rapporto di
correlazione, di reciproca dipendenza. Tillich afferma in maniera forte che
ogni atto religioso è formato dalla cultura, ovvero che non esiste un atto
religioso che non sia incarnato nella cultura. Ciò vuol dire che «non esiste
un cristianesimo preesistente a cultura e storia, spogliato da ogni cultura, un
cristianesimo culturalmente nudo»215. Il teologo Ratzinger è della opinione
simile quando afferma: «non esiste la nuda fede o pura religione. In termini
concreti, quando la fede dice all’uomo chi egli è e come deve incominciare
ad essere uomo, la fede crea cultura. La fede è essa stessa la cultura»216.
Né Tillich, né Ratzinger vogliono affermare l’uguaglianza tra religione e
cultura, ovvero che la religione si pone come una cultura accanto ad altre.
Non vogliono neanche ignorare la presenza e l’autonomia degli altri elementi
strutturali della cultura ed esagerare il ruolo della religione come ritenevano
alcuni217. Si vuole sottolineare solamente che la religione, in quanto onesta,
e presupponendo la rivelazione, deve riconoscere che nelle sue espressioni
culturali, c’è una buona opera dell’umano che dovrebbe essere purificata e
aperta. Questo umano nella religione consiste almeno nel linguaggio che è la
creazione fondamentale umana con il quale l’uomo esprime i suoi atti
religiosi. Senza il linguaggio umano religione fondata alla rivelazione
rimarrebbe priva di significato per l’uomo. Ciò dimostra che la religione non
può essere un elemento secondario della cultura, ma quello più profondo che
pur tenendo conto delle “particolarità”, ci libera dai ”particolarismi” che alimentano
superstizioni e fanatismi» (cfr. Ibid., 206). 213 Cfr. E. SCABINI, Il pensiero di Paul Tillich, 128. 214 Cfr. J. RATZINGER, «Cristo, la fede e la sfida delle culture», 105. 215 J.B. METZ, Mistica degli occhi aperti, 225. 216 J. RATZINGER, «Cristo, la fede e la sfida delle culture», 103. È interessante anche
un’altra coincidenza tra Tillich e Ratzinger. Similmente a Tillich anche Ratzinger afferma
che la povertà dell’uomo è essere all’oscuro della verità che rende false le nostre azioni,
appunto perché siamo alienati da noi stessi e sradicati dalla radice del nostro essere, che
è Dio. La comunicazione della Verità porta alla liberazione dall’alienazione e dalla
divisione e ci fornisce il criterio universale di giudizio che conduce la cultura alla verità,
poiché ogni cultura è in fondo, attesa della verità. La Verità che libera l’uomo dalla sua
alienazione nella riflessione di Ratzinger coincide infatti con il Nuovo Essere nella
riflessione tillichiana (cfr. Ibid., 102-103; P. TILLICH, Teologia sistematica, II, 22). 217 Cfr. A. BLANCO – A. CIRILLO, Cultura & teologia: la teologia come mediazione
specifica tra fede e cultura, 16-17.
88 LA CORRELAZIONE TRA VANGELO, CULTURA E PERSONA
caratterizza e interagisce con gli altri elementi culturali218. Dall’altra parte,
non esiste una creazione culturale senza preoccupazione ultima espressa in
essa. Colui che può riconoscere il significato della cultura può trovare in essa
la sua sostanza religiosa219.
Nella terza parte del suo sistema teologico dedicato alla pneumatologia
Tillich ha portato una rielaborazione della cultura teonoma, cioè una
riflessione della cultura sotto la Presenza Spirituale220. Secondo questa
rielaborazione la cultura teonoma è una cultura determinata e diretta dallo
Spirito. Essa infatti dirige e trasforma l’indefinitezza umana e la dà un
terminus ad quem cioè verso dove. La cultura teonoma non è anti-
umanistica, ma orienta l’uomo con le sue creazioni verso una direzione che
trascende ogni finitezza umana221.
È difficile parlare delle caratteristiche generali di una cultura teonoma
separata dalle sue funzioni particolari, però si possono ravvisare alcune
qualità della teonomia. Tra queste sono lo stile e la forma che esprimono
l’ultimità del significato. Allora, «la qualità di una cultura teonoma sta nel
comunicare, in tutte le sue creazioni, l’esperienza della santità, di qualcosa di
ultimo nell’essere e nel significato»222. La qualità della cultura teonoma sta
nell’affermazione delle forme autonome nel loro processo creativo. Questo
implica che la teonomia non può respingere e negare una conclusione logica
e valida in nome dell’ultimo, verso il quale tende l’autonomia. Non esiste la
teonomia là dove una valida richiesta di giustizia viene respinta nel nome del
sacro: si tratterebbe di eteronomia. La teonomia consiste nella permanente
lotta contro l’eteronomia e contro l’autonomia ed è questo che salva la fede e
la rende provocatoria, profonda e rilevante. La teonomia è precedente e
posteriore all’autonomia e all’eteronomia, poiché esse tendono a riunirsi nella
teonomia dalla quale derivano. Laddove l’influsso della Presenza Spirituale è
efficace si crea la teonomia e viceversa, la teonomia è presente dove e quando
sono presenti le tracce dell’influsso della Presenza Spirituale223.
218 Cfr. A. BLANCO – A. CIRILLO, Cultura & teologia: la teologia come mediazione
specifica tra fede e cultura, 17. 219 P. TILLICH, Theology of culture, 42-43. 220 Per approfondire la concezione della pneumatologia tillichiana nella quale egli usa
il termine Presenza Spirituale per indicare la Terza Persona della Trinità suggeriamo: P.
TILLICH, Teologia sistematica, III. La Presenza Spirituale risponde alle domande
implicite nelle ambiguità di tutte le dimensioni della vita e vengono superate la
separazione temporale e spaziale. 221 Cfr. P. TILLICH, Teologia sistematica, III, 267. 222 P. TILLICH, Teologia sistematica, III, 268. 223 Cfr. P. TILLICH, Teologia sistematica, III, 268-269.
CAP. II: LA RELIGIONE COME DIMENSIONE DELLA PROFONDITÀ 89
L’intenzione finale di Tillich era infatti di porre i fondamenti di una
concezione della vita e dello spirito che riconoscano l’assoluta validità
dell’eterno e che dall’eterno attingano la propria libertà e potenza creatrice e
non dal temporale e dal finito224.
3.1.5 Una cultura aperta all’incondizionato
L’esistenza umana ha due possibilità: rivolgersi verso se stessa o verso
l’infinito. La prima possibilità conduce ad un isolamento in se stesso.
Rivolgersi invece verso l’infinito significa accettare l’idea che l’eterno si
manifesta in un momento speciale della storia, significa l’apertura verso
l’incondizionato. Si tratta del momento del kairos. Per capire l’idea di una
cultura teonoma capace di risolvere la rottura tra religione e cultura, si deve
accettare il significato di kairos. Con kairos si intende un momento saliente
nel procedere del tempo, un momento ricco di contenuto, il tempo giusto,
oppure «un momento in cui l’eterno irrompe nel temporale scuotendolo e
trasformandolo e cercando una crisi nelle radici più profonde dell’esistenza
umana»225. Kairos non significa la convinzione di una iniziale instaurazione
del regno di Dio come ritenevano gli umanisti americani226. Esso è concepito
come «una svolta decisiva della storia in cui l’eterno giudica e trasformi il
temporale […] il kairos è l’avvento di una nuova teonomia sulle rovine di
una cultura autonoma ormai svuotata o secolarizzata»227. È chiaro che per
224 Cfr. A. BANFI, «Punto di vista del “kairos”», 11. 225 P. TILLICH, L’era protestante, 74. Il corsivo è nostro. Un’elaborazione più ampia
del concetto di kairos di fronte a chronos, l’interpretazione della storia sulla base di
kairos, l’esigenza di un’azione nel presente nello spirito del kairos sono affrontati in un
intero capitolo in: P. TILLICH, L’era protestante, 61-80; cfr. R. BERTALOT, «Paul Tillich:
storia e kairos», 237-242. 226 Cfr. T. MANFERDINI, La filosofia della religione in Paul Tillich, 53. Qui Tillich
prende la distanza dalla dottrina degli umanisti americani che identificavano il regno di
Dio con il regno della pace di cui davano per avvenuta la realizzazione. Si tratta del
movimento teologico-politico Vangelo Sociale che era la reazione alla crisi sociale negli
Stati Uniti (cfr. Ibid., 54, n. 10). 227 Cfr. P. TILLICH, L’era protestante, 75. In una breve sintesi Tillich spiega il
collegamento tra il kairos e le interpretazioni dialettiche della storia, affermando che le
categorie assolute che caratterizzano un vero kairos possono associarsi alla relatività del
processo universale della storia appunto perché la storia proviene da periodi e procede
verso periodi di teonomia. La teonomia riunisce l’elemento assoluto e l’elemento relativo
nell’interpretazione della storia, cioè l’esigenza che tutto ciò che è relativo si faccia
portatore dell’assoluto (cfr. Ibid., 75-77; ID., Teologia sistematica, III, 267).
90 LA CORRELAZIONE TRA VANGELO, CULTURA E PERSONA
noi cristiani il momento decisivo è l’evento di Gesù in quanto Cristo, cioè
l’evento del Nuovo Essere.
Quando un periodo della storia o un’età sono aperti all’incondizionato,
questo momento fa sì che la consapevolezza della presenza
dell’incondizionato permea o conduce tutte le funzioni e forme culturali. In
tale situazione il divino non è problema per le creazioni e funzioni culturale,
ma un presupposto228. In questo senso la religione non diventa una sfera o
una dimensione accanto ad altre sfere dell’esistenza umana, ma «è fluido
vitale, intimo potere, il significato ultimo di tutta la vita. Il “sacro” o il
“santo” infiamma, imbeve, ispira tutta la realtà e tutti gli aspetti
dell’esistenza»229. Allora, nessuna realtà, né economica, né politica può
essere indipendente da un fluido vitale e da ciò che dà significato ultimo a
tutta l’esistenza umana, cioè dalla religione fondata sulla rivelazione. Non
esiste una creazione culturale, nel senso più ampio, che possa coprire il
sostrato religioso dalla sua forma. Si tratta appunto di una situazione
teonoma di cui il nostro teologo della cultura era persuaso. Essa significa il
tempo in cui tutte le forme dell’esistenza umana sono aperte e dirette verso
l’incondizionato, in ultim’analisi verso il divino. Nel caso che tale funzioni
e creazioni culturali non siano orientate verso l’incondizionato significa che
appartengono al periodo dell’autonomia.
3.1.6 Sostrato religioso nell’autonomia
Redendosi conto della situazione dopo la Prima guerra mondiale,
caratterizzata tra l’altro dalla fine del periodo trionfante della borghesia,230
l’intenzione di Tillich era di mostrare la base inevitabilmente teonoma non
solo là dove essa era più ovvia, ma anche nei periodi dove dominava
l’autonomia o l’eteronomia.
228 Cfr. P. TILLICH, L’era protestante, 71-72. Con un periodo o un’età aperta verso
l’incondizionato non si vuole affermare un’età in cui la maggioranza è attivamente
religiosa. Il numero di persone attivamente religiose può essere più alto in un periodo
giudicato “irreligioso” che non in un “religioso” (cfr. Ibid., 72). 229 P. TILLICH, L’era protestante, 72. Il corsivo è nostro. Richiamiamo qui l’attenzione
alla concezione della religione di Tillich. Così descritta la religione viene presentata nei
primi testi tillichiani. Questo è del 1922, allora prima dell’arrivo a una nuova concezione
tra religione e rivelazione (cfr. Cap. II, sez. 2.1.1; T. MANFERDINI, La filosofia della
religione in Paul Tillich, 113-122). 230 Per borghesia o spirito della società borghese non si intende, secondo Tillich, lo
spirito delle singole persone, e neppure lo spirito di una classe o di un partito, bensì il
simbolo di una tipica e fondamentale concezione del mondo e della vita (cfr. P. TILLICH,
Lo spirito borghese e il kairos, 14).
CAP. II: LA RELIGIONE COME DIMENSIONE DELLA PROFONDITÀ 91
Tra autonomia e teonomia esiste una relazione che mostra la presenza di
una base teonoma anche nei periodi di autonomia. Dal punto di vista della
cultura teonoma si percepisce che «nel profondo di ogni cultura autonoma è
implicito un interesse ultimo, qualcosa d’incondizionato e di sacro»231.
L’autonomia totale non ha senso, perché l’uomo non è causa di se stesso, né
la fonte primaria e unica della sua legge232. L’autonomia non è sinonimo
dell’assenza assoluta delle leggi, ma significa anche l’obbedienza al logos
immanente, alla ragione universale del mondo, obbedienza ai princìpi che
hanno una validità incondizionata. Essa include accettazione della verità,
della giustizia, della bellezza e dell’ordine. L’autonomia è sempre operante
e agisce sotto la superficie di ogni teonomia233. In altre parole, l’autonomia
non è in contraddizione con la teonomia in quanto non nega il senso
dell’incondizionato sul quale si fonda; l’incondizionato è presente
nell’autonomia come suo fondamento vitale.
La teonomia nasce da un approfondimento dell’autonomia in se stessa
sino a rinviare all’al di là di se stessa234. Bisogna solo trovare nelle
espressioni di una cultura autonoma quale sia il loro significato religioso,
nonostante la loro tendenza alla secolarizzazione. Una cultura autonoma
diventa secolarizzata nella misura in cui essa stessa ha perso il proprio
riferimento ultimo e il proprio significato. Nel periodo del Rinascimento,
dell’Illuminismo o dell’attuale dominio della tecnica si afferma
un’autonomia secolarizzata, «ma anche in questo periodo si può notare un
certo sostrato religioso, un residuo di qualcosa ultimo che ha reso possibile
l’esistenza transitoria di una tale cultura»235.
Nella prospettiva del kairos, la teonomia risolve il problema implicito
dell’autonomia, cioè il problema della sostanza religiosa e del significato ultimo
del sistema del progetto della vita. La teonomia fornisce all’autonomia la
propria sostanza, poiché l’autonomia vive sui residui della teonomia:
231 P. TILLICH, L’era protestante, 86. 232 Cfr. R. LUCAS LUCAS, Orizzonte verticale. Senso e significato della persona umana,
58-63. 233 Cfr. P. TILLICH, L’era protestante, 73-74. Nonostante la presenza dell’autonomia,
la situazione teonoma può essere così forte che non si può neppure parlare di autonomia,
come nel esempio delle culture primitive. 234 Cfr. W. PANNENBERG, Storia e problemi della teologia evangelica contemporanea
in Germania, 425. 235 P. TILLICH, L’era protestante, 86. Cfr. ID., Teologia sistematica, III, 267. Nella
separazione dalla religione la cultura come anche il morale diventano “secolari” (cfr.
Ibid., 108).
92 LA CORRELAZIONE TRA VANGELO, CULTURA E PERSONA
L’autonomia vive finchè può attingere alla tradizione del passato, a ciò che resta
dalla perduta teonomia. Ma sempre più va perdendo questo fondamento
spirituale; diventa più vuota, più formalistica, si limita al puro fatto, è spinta
verso lo scetticismo, il cinismo e la perdita di uno scopo e di un significato. La
storia delle culture autonome è la storia di un continuo sciupio di sostanza
spirituale. Alla fine di questo processo l’autonomia guarda nostalgicamente
all’indietro verso la perduta teonomia, oppure guarda avanti verso una nuova
teonomia in un atteggiamento di attesa creativa fino al momento in cui giunge
il kairos236.
Sarebbe sbagliato concludere che la teonomia voglia sopprimere
l’autonomia e la sua libertà creativa – in questo caso non si tratterebbe di
teonomia, ma di eteronomia. La teonomia non è anti-umanistica. Essa non
impedisce l’autonomia, ma risponde solo al suo problema implicito, dandole
un significato ultimo dell’esistenza. La teonomia si attualizza quando la
religione diventa la sostanza intrinseca della cultura e quando la religione
cessa di essere una sfera accanto o sopra la sfera culturale237. In altre parole
si vuole dire che c’è la teonomia quando la religione viene concepita come
lo stato di chi è afferrato da qualcosa incondizionato e ultimo, cioè quando
la religione non viene vista solo come un sistema dei simboli e dei miti e di
atti culturali rivolti ad un essere supremo. Agire secondo il kairos significa
muoversi verso la teonomia, cioè muoversi da quello che non è ancora vera
teonomia verso la sua piena realizzazione, significa inoltre considerare le
cose dal punto di vista dell’Eterno, ossia ciò che esse significano nella
situazione attuale di fronte all’Eterno238. La teonomia non contraddice la
conoscenza autonoma, ma quella che pretende di essere autonoma, perché in
realtà si tratta di una teonomia distorta239. La teonomia ha i suoi nemici e può
essere perduta: «finchè esiste un regime di teonomia, non c’è alternativa;
quando questo regime è sovvertito, non lo si può ristabilire come prima e la
via dell’autonomia deve essere percorsa sin in fondo, cioè sino al momento
in cui apparirà una nuova teonomia in un nuovo kairos»240.
Appunto perché l’autonomia non svanisce mai, essa è sempre presente
come tendenza ed è operante, ma essa appare solo nel contesto del finito, non
236 P. TILLICH, L’era protestante, 75. 237 Cfr. T. MANFERDINI, La filosofia della religione in Paul Tillich, 56. 238 Cfr. P. TILLICH, Lo spirito borghese e il kairos, 14. Considerare le cose dal punto
di vista dell’Eterno ovviamente presupporne una vivente comunione con esse, cioè non
fuggire dinanzi alle situazioni. 239 Cfr. P. TILLICH, Teologia sistematica, III, 274. 240 P. TILLICH, L’era protestante, 74.
CAP. II: LA RELIGIONE COME DIMENSIONE DELLA PROFONDITÀ 93
è aperta al divino, per questo ha bisogno di teonomia. La teonomia allora non
può mai essere vittoriosa, ma neppure sconfitta. La sua vittoria è
frammentaria a causa dell’alienazione esistenziale dell’uomo, e dall’altra
parta essa non può mai essere sconfitta perché la natura umana è
essenzialmente teonoma241.
Dunque, dal punto di vista della cultura teonoma vediamo che, nei
movimenti non religiosi, oppure antireligiosi e anticristiani, che prevalgono
in un periodo di autonomia, esiste sempre un interesse ultimo, qualcosa di
serio e per questo sacro. La differenza essenziale tra cultura autonoma e
cultura teonoma tuttavia consiste nel fatto che in una cultura autonoma tutte
le creazioni e tutte le forme culturali si presentano nel loro contesto finito,
trascurano il loro implicito interesse ultimo in un certo senso lo negano;
dall’altra parte la cultura teonoma con tutte le sue creazioni appare in
rapporto con l’incondizionato, è aperta e diretta all’infinito e in ultim’analisi
al divino. L’autonomina rappresenta il principio dinamico della storia,
mentre teonomia è la sostanza e il significato della storia242.
3.1.7 Dualismo culturale?
La religione, in quanto, come abbiamo affermato, l’interesse ultimo e lo
stato di chi è afferrato da qualcosa di incondizionato, investe di un significato
più profondo la cultura e così dal tessuto culturale fa una sua propria cultura,
cioè una cultura religiosa. Se la religione è la dimensione della profondità
di tutte le funzioni dello spirito umano, allora si pone la domanda del perché
la religione abbia sviluppato la propria sfera nella pietà, nelle istituzioni, nel
mito ecc. In questo senso abbiamo due poli di cultura: una cultura religiosa
che ha dato una forte impronta alla cultura, e una cultura secolare che di
fatto proviene fuori da questo fondamento religioso, ma che si separa dalla
religione. Il dualismo fra cultura religiosa e cultura secolare diviene allora
ovvio. Appunto qui sta il problema del divario tra cultura e religione, cioè
l’esistenza di una cultura religiosa accanto una cultura secolare. Tillich
chiarisce questo dualismo culturale con le seguenti parole:
Se mi si chiede quale è la prova della caduta del mondo, mi piace rispondere: la
religione stessa, cioè una cultura religiosa accanto ad una cultura secolare, un
241 Cfr. P. TILLICH, Teologia sistematica, III, 267. 242 Così ad esempio esprime Tillich questo paragone: «La scienza autonoma, per
esempio, si occupa delle forme logiche e dei dati di fatto materiale delle cose; la scienza
teonoma si interessa, al di là di questo, del loro significato ultimo e del loro valore
esistenziale» (P. TILLICH, L’era protestante, 74).
94 LA CORRELAZIONE TRA VANGELO, CULTURA E PERSONA
tempio accanto ad un municipio, una Santa Cena accanto ad un pasto
quotidiano, la preghiere accanto al lavoro, la meditazione accanto alla ricerca,
la caritas accanto all’eros243.
Questo dualismo tra religione e cultura si spiega allora in chiave
ontologico-esistenziale244. Esso esiste a motivo della tragica alienazione
della vita spirituale dell’uomo dalla sua propria profondità. Tillich mette in
evidenza che non si deve confondere la situazione in cui il dualismo si fa
sempre più insanabile con una situazione in cui si riconosce dualismo come
qualcosa che non dovrebbe essere e che è frammentariamente vinto per
mezzo di una anticipazione in un periodo teonomico, mediante kairos245. Il
teologo tedesco-americano mira al brano di Apocalisse dove si dice che in
Gerusalemme celeste non vi è un tempio (cfr. Ap 21, 22), poiché Dio sarà
tutto in tutte le cose (cfr. 1Cor 15, 28). In seguito non sarà neanche la sfera
secolare e per questa ragione neppure sfera religiosa. La religione sarà ciò
che è per sua essenza, cioè il fondamento onnideterminante e la sostanza
della vita spirituale umana246. Anche qui è possibile notare che la religione
nel periodo pre-escatologico non può essere un settore o una dimensiona
accanto ad altri: deve esistere una dimensione della profondità dalla quale
attingono le proprie ispirazioni tutte la attività e tutte le creazioni umane, una
dimensione che permea tutto, che si trova in tutti i settori della vita umana.
Se non lo è una religione, che cosa potrebbe essere: un’altra religione? Se
non lo è Dio, chi potrebbe essere un altro dio?
La religione, in quanto auto-trascendenza della vita non può diventare una
funzione della vita accanto alle altre, perché la vita è concepibile solo nella
sua totalità, e come tale non può essere trascesa solo in una delle sue
funzioni247. La definizione esistenziale della religione non ci permette di
ridurla a un settore speciale che esiste accanto ad altri. Essere afferrati
incondizionatamente riguarda ogni momento e ogni settore dell’esistenza
umana: «l’universo è il santuario di Dio. Ogni giorno lavorativo è un giorno
243 P. TILLICH, L’era protestante, 87. È interessante evidenziare un esempio che porta
Tillich rispetto a questo problema. Egli si accorge che in una cultura secolarizzata la
salvezza religiosa e la guarigione medica sono separate. Si prescinde allora dal fato che
la salvezza è una forma di guarigione nel senso più profondo: è una guarigione cosmica
e universale. Dall’altra parte in una cultura teonoma la guarigione è una espressione della
salvezza come tale può diventare un simbolo del potere di salvezza dell’assoluto (cfr.
Ibid., 90). 244 Cfr. T. MANFERDINI, La filosofia della religione di Paul Tillich, 59-60. 245 Cfr. P. TILLICH, L’era protestante, 87-88. 246 Cfr. P. TILLICH, Theology of culture, 8. 247 Cfr. P. TILLICH, Teologia sistematica, III, 107.
CAP. II: LA RELIGIONE COME DIMENSIONE DELLA PROFONDITÀ 95
del Signore, ogni cena è la cena del Signore, ogni opera adempimento del
compito divino, ogni gioia è gioia di Dio»248. Questa concezione della
religione implica che in ogni nostra preoccupazione preliminare è presente
la preoccupazione ultima che consacra quelle preliminari. Da questo
proviene che sacro e secolare non sono separati, ma che in un certo senso si
trovano l’uno nell’altro, il che non vuole dire che il secolare cerca di
assimilare quello religioso (in questo caso si tratterebbe del secolarismo) e
viceversa. Qui dobbiamo essere attenti. La religione, allora deve pronunciare
un no verso forme culturali demoniacamente distorte, condizionate
storicamente e deve ritirarsi in se stessa per proteggersi (riservatum
religiosum). Dall’altra parte, siccome la religione non può esprimersi senza
forme culturali, essa deve pronunciare un sì verso la cultura (obligatum
religiosum). In questo senso la relazione tra religione e cultura deve essere
un’unità dialettica tra sì e no249.
Il modo come funzionano le cose nella società contemporanea è un po’
diverso. Siamo testimoni che spesso (partendo dall’Illuminismo) il secolare
tende a separarsi dal sacro e stabilire la propria realtà e dall’altra parte il
sacro tende stabilire a sua volta la propria realtà, così che abbiamo due realtà
separate e spesso opposte tra loro. Questo divario mostra la condizione dello
stato dell’esistenza umana, questa è la condizione dell’alienazione dell’uomo
dal proprio fondamento. Così, la religione si mostra come qualcosa di finito,
perché esiste a motivo dell’alienazione dell’uomo dal proprio essere; tuttavia
essa trova il proprio posto nelle dimensioni più profonde dell’uomo, offrendo
il discernimento ultimo in tutte le funzioni dello spirito umano. In quanto
resta chiusa nella propria sfera, la religione mostra la sua vergogna perché
disprezza l’ambito secolare e cerca di assoggettare a se stessa tutta la realtà.
In questo senso qualcuno potrebbe ben dire che l’esistenza della religione,
come sfera propria che si organizza in un sistema para-culturale è la prova
migliore della caduta dell’uomo250.
248 P. TILLICH, Theology of culture, 41. Il motivo della separazione di queste cose
consiste nella nostra struttura psichica che ci conduce a separare le cose per averne piena
consapevolezza delle cose che nella loro realtà (in re) non sono separate, ma
reciprocamente immanenti, cioè l’una dentro l’altra. In tale situazione siamo costretti a
separare contenuto dalle forme, la sostanza religiosa dalle configurazioni culturali e
quindi dare una consistenza separata ad una sfera specificamente sacra e religiosa (cfr. T.
MANFERDINI, La filosofia della religione in Paul Tillich, 95). 249 Cfr. G. OLIANA, Il progetto teologico di Paul Tillich: la sfida del coraggio di essere
e del realismo credente, 45, n. 63. 250 Cfr. P. TILLICH, Theology of culture, 42; cfr. anche: Ibid., 9.
96 LA CORRELAZIONE TRA VANGELO, CULTURA E PERSONA
Sembra che l’approccio ontologico della filosofia della religione, che
mette in evidenza che «l’uomo è immediatamente consapevole di qualcosa
di incondizionato»251, e l’implicazione indiretta dell’approccio cosmologico
della religione siano capaci di riconciliare l’abisso tra religione e cultura e i
loro diversi ambiti comuni. L’incondizionato, come abbiamo detto nel primo
capitolo di questa parte, non esprime un essere, neanche l’essere supremo,
né Dio, perché Dio non è condizionato: proprio questo lo rende Dio, tuttavia
l’incondizionato non è Dio252. La parola «Dio» si esprime con diversi simboli
con i quali l’umanità esprime il proprio impegno supremo, cioè un
coinvolgimento incondizionato che non è una cosa, ma una qualità, una
potenza che è previa a tutto ciò che esiste.
Il dualismo tra cultura religiosa e cultura secolare non può essere superato
nel tempo e nello spazio, ma dovrebbe essere vinto con l’anticipazione di un
periodo teonomico. La cultura e la religione unite, nella loro unità essenziale
ci dicono che non c’è un atto culturale che non sia contemporaneamente un
atto di auto-trascendenza religiosa. La religione e la cultura, insieme con la
morale, costituiscono secondo la loro natura essenziale l’unità dello spirito.
E i loro elementi sono distinguibili, ma non separabili. Tuttavia nella realtà
della vita, improntata alla perdita della innocenza sognante non c’è questa
unità, ma vi è come abbiamo descritto una cultura separata, con le sue
ambiguità e vi è una religione separata con le proprie ambiguità253.
La persona umana deve essere attenta a questo periodo teonomico, a un
nuovo kairos. Per poter vincere questo dualismo la religione stessa deve
essere una spada spirituale capace di giudicare, trasformare e trascendere
ogni situazione umana e non conformarsi alle altre dimensioni dell’esistenza
umana, bensì essere la loro dimensione di profondità. La religione non può
diventare un alleato delle diverse sfere dell’esistenza umana, economica,
politica e così via, ma deve essere una voce critica, la voce capace di
251 P. TILLICH, Theology of culture, 22. Nello studio della religione è possibile
ravvisare due possibilità di approccio a Dio, che coincidono con due tipi di filosofia della
religione. Il tipo ontologico della religione include superamento dell’alienazione quando
l’uomo nella scoperta di Dio, scopre se stesso, cioè qualcosa uguale a se stesso, anche se
esso lo sovrasta. Nel tipo ontologico della religione l’uomo scopre qualcosa dal quale è
alienato, ma non separato. Il tipo cosmologico della religione indica che l’uomo,
nell’incontro con Dio, incontra un straniero e in tale incontro egli non può fare
un’affermazione genuina della natura di questo straniero (cfr. Ibid., 10-11). 252 Forse in inglese questa convinzione di Tillich suona meglio ed è più chiara: «God
is unconditioned, that makes him God; but the “unconditional” is not God» (P. TILLICH,
Theology of culture, 24). 253 Cfr. P. TILLICH, Teologia sistematica, III, 106-107.
CAP. II: LA RELIGIONE COME DIMENSIONE DELLA PROFONDITÀ 97
purificare quello che si chiude in se stesso, quello che si chiude in suo
contesto finito.
Se la cultura non accetta la religione come sua dimensione più profonda
rischia di cadere in puro immanentismo, diventa autoreferenziale. Questo
viene ovvio nell’analisi concreta del vuoto interiore della maggior parte delle
espressioni culturali moderne. Si pensi soprattutto alle espressioni culturali
dopo la Seconda guerra mondiale, quado si è sperimentata la mancanza di
senso in tutte le creazioni e si è avvertita l’angoscia e la disperazione. La
religione in questa epoca è stata ridotta alla sfera privata e la sua importanza
messa in secondo piano. Qualora la cultura perde la propria sostanza
religiosa essa si riduce a una forma che cresce vuota, perché il suo
significato non può esistere senza quella fonte inesauribile di significato che,
in ultim’analisi, fornisce la religione. «L’elemento religioso nella cultura è
inesauribile profondità di una creazione genuina. Si può definirlo: sostanza
o fondamento di cui vive la cultura. Si tratta dell’elemento d’ultimità di cui
la cultura in quanto tale è priva, ma verso il quale tuttavia tende»254.
Secondo l’analisi del teologo della cultura sembra che nelle creazioni
culturali, come anche nella filosofia, nella politica, nell’educazione e nello
sviluppo personale e comune, si senta la mancanza di qualcosa di ultimo: si
potrebbe dire che manca un centro integratore su cui fondare la propria
esistenza. Siamo testimoni di questo atteggiamento soprattutto nella nostra
epoca. Manca la dimensione ultima in tutti i nostri interessi. La cultura che
trascura e nega il proprio interesse ultimo e incondizionato perde il suo
terminus ad quem, cioè il «verso che cosa»255. Se la cultura cessa di essere
teonoma e pretende di essere solo autonoma e autarchica diventa vuota e si
(auto)distrugge256.
4. A modo di conclusione: La fonte inesauribile della cultura
La teologia della cultura di Tillich costituisce il punto di vista da cui
osservare tutta la sua teologia sistematica; diremmo che è allo stesso tempo
l’introduzione e il riassunto della sua teologia. Essa cerca di analizzare la
254 P. TILLICH, Teologia sistematica, III, 106. Il corsivo è nostro. Dopo la Seconda
guerra mondiale, sembra che Tillich abbia preso una certa distanza rispetto alla cultura,
proprio a causa di un vuoto nel ambito della cultura che egli sentiva profondamente e che
era connesso con il rifiuto della religione (cfr. E. ŠEPERIĆ, «Tillichova “Teologija kulture”
kao teologija posredovanja», 197-198). 255 Cfr. P. TILLICH, L’era protestante, 93. 256 Cfr. P. TILLICH, L’era protestante, 88. Della religione come centro integratore
abbiamo parlato all’inizio del secondo capitolo di questa parte.
98 LA CORRELAZIONE TRA VANGELO, CULTURA E PERSONA
teologia «che soggiace a tutte le espressioni culturali, per scoprire il fine
ultimo nel fondamento di una filosofia, di un sistema politico, di uno stile
artistico di un insieme di princìpi etici o sociali»257. Si tratta di un compito
più analitico che sintetico e come tale la teologia della cultura tillichiana è
una preparazione per il lavoro del teologo sistematico.
La maggioranza dei suoi scritti teologici vuole mostrare proprio il modo
come si rapporta il cristianesimo verso la cultura secolare che si oggi
presenta con svariate contraddizioni e ambivalenze. Al termine di questa
parte vorremmo evidenziare alcuni punti salienti relativi al perché la teologia
della cultura di Tillich sia importante ancora oggi.
4.1 La religione – atto centrale
Parlare della teologia della cultura significa riflettere della cultura dal
punto di vista teologico. Tale riflessione intende la netta correlazione tra
cultura e religione. Detto questo dobbiamo sottolineare che la teologia della
cultura di Tillich intende la religione come l’interesse per assoluto che dà
profondità a tutti gli altri interessi. La religione, così concepita, è importante
perché appunto questo interesse per assoluto è il fondamento che diventa il
centro integratore dell’esistenza umana – qualità che manca all’uomo
contemporaneo – e come tale è garante di una società che non si può perdere
nella disintegrazione. La religione come interesse per assoluto è un atto di
tutta la personalità e include tutti gli elementi della struttura della personalità
che formano un atto centrale – questa concezione in modo particolare
afferma l’aspetto esistenziale della fede.
4.2 La fede simbolica
La concezione tillichiana della fede è in uno stretto nesso con i simboli
religiosi, poiché la domanda principale in tale contesto è: come esprimere
l’interesse per assoluto? Tillich cerca di chiarire che solo la fede simbolica e
il linguaggio simbolico siano in grado di esprimerlo. I simboli religiosi sono
quelli che indicano la realtà dell’Assoluto. Per l’argomento da noi scelto,
questo è importante, perché i simboli religiosi aprono nuove prospettive per
un cristianesimo che sia più comprensibile nella cultura in cui la teologia
cerca di rendere rilevante il messaggio cristiano. Bisogna mettere in evidenza
che le diverse culture hanno bisogno di simboli diversi che indichino la realtà
257 P. TILLICH, Teologia sistematica, I, 53.
CAP. II: LA RELIGIONE COME DIMENSIONE DELLA PROFONDITÀ 99
dell’assoluto. I simboli infatti non possono essere validi per ogni cultura, ma
muoino con il cambiamento della cultura258.
4.3 La dimensione della profondità
Il contributo straordinario della teologia della cultura di Tillich consiste
nel fatto che essa ci mostra una certa necessità della religione, ma non come
un settore che sta accanto ad altri settori, bensì come la dimensione reale
dello spirito umano, appunto perché l’uomo è homo religiosus. La necessità
della religione in qualsiasi cultura diviene ovvia perché nella struttura della
persona umana è inserita una tensione verso l’infinito che non può essere
soddisfatta con le categorie preliminari e finite. Nello sperimentare la propria
finitezza, l’uomo è spinto verso l’infinito e verso qualcosa di ultimo. Le cose
provvisorie non possono dare effettiva soddisfazione all’uomo: questo
diviene ovvio nell’analisi dell’uomo autonomo che alla fine diventa insicuro
della sua autonomia. Anzi, la nostra società contemporanea si può definire
strutturalmente incerta in se stessa, insieme con i grandi sistemi collettivi di
interpretazione: religione, ideologie ecc259. Una cultura che dà la precedenza
ai prodotti e che si concentra su ciò che l’uomo consuma, oppure una cultura
nella quale è importante avere più che essere è una cultura destinata verso lo
smarrimento dell’uomo.
L’uomo del nostro tempo è l’uomo spaesato e solitario. Nonostante tutti i
mezzi di comunicazione a sua disposizione e nonostante il fatto che l’uomo
sia diventato un cittadino del mondo globalizzato, egli si sente solo e perso
nel mondo autonomo che, paradossalmente, egli stesso ha creato. La ragione
principale di questo non consista solamente nello sviluppo necessario del
mondo (linea orizzontale), ma piuttosto nel fatto che l’uomo ha perso un
centro su cui fondare la propria esistenza. Egli, trascurando la sua linea
verticale, ha cancellato l’equilibrio tra linea verticale e la linea orizzontale
della sua esistenza. L’uomo si è dedicato al progresso economico e lo ha
posto al livello di qualcosa ultimo e incondizionato, al livello della unica
legge. In tale situazione l’uomo sente la mancanza del senso e del significato
ultimo260, e questo lo ha portato alla disperazione e all’angoscia. Quest’uomo
ha perso il centro integratore ovvero il centro unificatore e la conseguenza di
ciò è la disintegrazione personale e la disintegrazione dell’intera società.
258 Su questo argomento si veda più ampiamente: P. TILLICH, «Die Frage nach dem
Unbedingte», 187-244. 259 Cfr. C. THEOBALD, Trasmettere un Vangelo di libertà, 130. 260 Per approfondire questo tema si consiglia: P.L. BERGER – T. LUCKMANN, Lo
smarrimento dell’uomo moderno.
100 LA CORRELAZIONE TRA VANGELO, CULTURA E PERSONA
Potremmo dire che l’uomo ha perso quello che vi è di più profondo nella sua
esistenza e lo ha sostituito con cose che non hanno profondità.
In tale situazione, l’approccio decisivo della teologia della cultura
tillichiana consiste nelle due domande: che cosa è quello che ci impegna in
maniera totale e incondizionata, e come ciò che ci impegna così determina il
nostro vivere. Quello che ci impegna in maniera ultima costituisce la
religione di ognuno di noi. Queste domande sono rilevanti in ogni epoca e
trovano anche il loro luogo nella nostra società contemporanea in cui l’uomo
decide difficilmente per una cosa sola. Così concepita la teologia della
cultura è necessaria, perché in tale orizzonte l’uomo non può essere ridotto
alla sfera meramente materialistica. Essa spinge l’uomo a riconoscere che
egli è capace della trascendenza.
4.4 L’interdipendenza tra religione e cultura
Nella prospettiva della religione, come voce critica, diventa chiara la
proposta fondamentale di Paul Tillich. Per lui è insopportabile che ci sia un
divario tra religione e cultura. La responsabilità di questo divario, appartiene
da una parte alla religione che ha respinto le diverse rivoluzioni culturali,
perché in esse vedeva una autonomia secolare pericolosa, e dall’altra ai
movimenti culturali che hanno rifiutato la religione come l’espressione di
un’eteronomia trascendente. Alla base di tutto, infatti, vi è il fatto che la
società borghese, dalla quale trae origine la nostra società odierna, non
mostrava nessun interesse per rapporto all’Eterno: ha prevalso lo spirito di
finitezza, dove la fede nel progresso e nell’economia ha preso il sopravvento.
Per superare questo divario disastroso, che in ultim’analisi non è necessario,
si propone una cultura teonoma.
Tillich è convinto, e lo afferma chiaramente, che senza fondamento
religioso nessuna società può salvarsi dalla disintegrazione e dalla
distruzione. Il suo intento consisteva nel dare una immagine della struttura
totale dell’esistenza umana. Più concretamente questo significa che il settore
economico o qualsiasi altro non può essere un settore indipendente sul quale
si dovrebbe appoggiare tutta la realtà. Esso dipende da altri settori tra cui
quello spirituale. Il mistero del reale non è esauribile solamente da parte della
conoscenza, ma c’è bisogno delle relazioni più profonde e articolate alle
quali partecipa anche la conoscenza religiosa261.
261 Cfr. C. DOTOLO, «Nel mistero della realtà», 5-7.
CAP. II: LA RELIGIONE COME DIMENSIONE DELLA PROFONDITÀ 101
4.5 La cultura teonoma – protettore dell’humanum
Il contributo rilevante della cultura teonoma consiste nel fatto che le sue
creazioni sono portatrici di un messaggio spirituale. Attraverso le sue
creazioni (praxis) l’uomo esprime non soltanto un interesse ultimo, ma anche
se stesso, forma se stesso e in un certo modo crea se stesso e la cultura262. In
quanto capace dell’autotrascendenza allora l’uomo la esprime attraverso il
suo agire, ma anche attraverso la cultura si costituisce la prassi umana.
All’intima autotrascendenza corrisponde la manifestazione dell’essere
infinito nella finitezza263. Per questo è importante la cultura in cui viviamo.
Nella cultura teonoma, proposta da Tillich, la religione si serve della cultura
per volgersi dalle forme temporali e finite all’eterno e all’infinito. La
religione come l’interesse per assoluto offre l’ultimità dell’ultimo alla
cultura umana. Una cultura teonoma dirige l’uomo e gli dà un terminus ad
quem, ovvero orienta l’uomo e le sue creazioni verso una direzione che
trascende ogni finalità umana e afferma l’uomo come l’essere veramente e
concretamente capace della trascendenza.
Il compito della teologia della cultura consiste nel fatto che essa abbraccia
le distinte funzioni culturali e allo stesso tempo supera il contrasto tra esse e
la religione. In tale senso il compito di un teologo della cultura sta
nell’indicare la direzione nella quale egli scopre la possibile realizzazione di
un sistema culturale veramente religioso. Ciò significa che non spetta al
teologo della cultura creare un tale sistema perché diventerebbe il produttore
della cultura e in ultima analisi cadrebbe in un sistema eteronomo. Al teologo
della cultura spetta di trovare e di mostrare il fondamento ultimo in ogni
campo culturale. In tale senso, sulla scia anche ecumenica e interreligiosa,
ogni teologia dovrebbe aprirsi a una teologia della cultura che trova anche
fuori della Chiesa quello che ci riguarda incondizionatamente, in quanto
l’incondizionato viene concepito come quello che apre la porta a Dio.
262 Già Gregorio Nisseno metteva in evidenza che noi stessi siamo, in un certo modo,
i nostri stessi genitori perché ci creiamo come vogliamo e con la nostra scelta ci diamo la
forma che vogliamo (cfr. GREGORIO DI NISSA, La vita di Mosè, 65). 263 Cfr. J. MOLTMANN, Che cos’è la teologia?, 102. Moltmann sottolinea che Tillich
formula l’autotrascendenza allo stesso modo di Rahner (cfr. Ibid., 102).
CONCLUSIONE GENERALE
Al termine della nostra ricerca vorremmo stendere una conclusione di
quanto abbiamo fatto. Dato che, dopo ogni singolo capitolo, abbiamo già
proposto la relativa conclusione, poniamo quanto segue come breve sintesi
conclusiva con eventuali proposte per un approfondimento ulteriore.
È abbastanza difficile parlare della rilevanza del cristianesimo senza
considerare il contesto che accoglie il messaggio cristiano. Questo contesto
di accoglienza del messaggio cristiano è la cultura nella quale esso viene
espresso, nonché la persona umana alla quale esso viene annunciato.
Soprattutto nell’epoca postmoderna, quando il postmodernismo cerca di
instaurare la legge della frammentarietà, dell’apatia, degli stili fluttuanti di
vita, dell’immanenza, del narcisismo, dell’isolamento, della desolazione
culturale, risulta decisivo mettere in evidenza l’idea della correlazione
concepita nel senso tillichiano, cioè come interdipendenza dei diversi
elementi. Nel nostro caso si tratta della correlazione tra religione, cultura e
persona umana. La correlazione che abbiamo preso in esame è in grado, nel
suo significato e nella sua intenzionalità, di combattere la liquidità,
l’autonomia, la frammentarietà e le altre tendenze del postmodernismo. Il
metodo della correlazione cerca di collegare e di mettere insieme le diverse
cose, di allargare gli orizzonti e si oppone all’isolamento e alla parzialità.
Con il metodo della correlazione diviene possibile tenere insieme i vari
aspetti della realtà. Diviene infatti possibile trovare il centro integratore e
l’orizzonte di senso capace di dare profondità a tutti gli aspetti della vita
umana. La divisione o rottura tra le diverse realtà, come anche l’autonomia
e l’isolamento dei frammenti a sé stanti, a cui tende il postmodernismo,
recano sempre danno sia al singolo che a tutti gli elementi.
Da questa angolatura, la mancanza di correlazione, o più precisamente, la
rottura tra religione e cultura, porta la cultura all’asfissia, così che essa
diventa superficiale e perde la sua profondità. Allo stesso tempo la rottura
tra religione e cultura riduce la religione a una pura idea, poiché la religione
diventa realtà vissuta solo nella cultura. La religione si incarna nella cultura,
104 LA CORRELAZIONE TRA VANGELO, CULTURA E PERSONA
diventa sperimentabile, viva ed efficace solo nel grembo della cultura. Non
esiste una religione acculturale o pre-culturale. La correlazione tra religione
(cristiana) e cultura, nonostante la permanente metamorfosi di alcune forme
culturali, appartiene alla stessa natura delle cose. La religione è l’anima della
cultura, essa è capace infatti di dare una differenza qualitativa alla cultura,
perché ha l’esperienza dell’assoluto. Quando la religione entra in una cultura,
la cultura diventa terreno fertile per un’umanità più ricca e pronta
all’apertura agli altri e a Dio.
Durante la nostra ricerca abbiamo mostrato come fosse proprio la
dimensione religiosa della cultura ciò che Tillich e anche Wojtyła volevano
mettere in risalto nelle loro riflessioni. Questo desiderio scaturiva dal fatto
che ambedue erano consapevoli che l’esclusione della religione dall’ambito
pubblico rende difficile l’incontro tra le persone, tra le diverse culture, così
come la loro collaborazione per l’umanità. L’obbiettivo supremo della
cultura infatti è l’umanizzazione. L’esclusione della religione e della teologia
dalla vita pubblica porta invece ad una comprensione riduttiva dell’uomo,
che viene considerato individuo piuttosto che persona. In quest’ottica la
questione antropologica sulla persona umana, in tutte le sue dimensioni,
costituisce la sfida per la nostra contemporaneità, per l’essenza di ogni
cultura e per il fondamento della vita sociale. Questa questione
antropologica può essere posta anche come questione religiosa, cioè
questione relativa al senso e significato dell’esistenza. Questo interrogativo
potrebbe così essere espresso: è possibile mostrare che nell’esistenza umana
vi è qualcosa che è dato originariamente e che condiziona ogni uomo?
La religione può essere vista anche come la coscienza della cultura in
quanto la cultura cerca di essere all’altezza del proprio compito, cioè in
quanto permette e assicura all’uomo di vivere una vita veramente umana. La
cultura è un modo specifico dell’esistere dell’uomo ed elaborazione del
significato dell’esistenza. La cultura non può esere intesa solo come un
problemma conoscitivo, ma essa è il luogo della maturazione della nostra
esistenza. Non esiste un altro luogo dove l’uomo possa attuare la propria
esistenza se non nella cultura che gli è propria. L’uomo infatti vive sempre
secondo una cultura che gli è propria. Ciò vuole dire che la cultura non ha
diritto di chiudere la porta alla religione, perché in tale situazione toglierebbe
all’uomo la possibilità e il diritto di allargare i propri orizzonti e quindi di
vivere pienamente la propria umanità. La religione si radica proprio
nell’esistenza umana. Una cultura che è hostis (nemica) della trascendenza e
della dimensione religiosa dell’uomo è una cultura antiumanistica: essa
depaupera l’uomo, in quanto l’uomo è homo religiosus e in quanto tale
capace della trascendenza, lo limita a un semplice essere e non gli riconosce
CONCLUSIONE GENERALE 105
le facoltà che possiede la persona umana. La cultura contemporanea, se vuole
essere una cultura a misura d’uomo, ha bisogno della rivelazione cristiana,
poiché la cultura non è capace di far scaturire da sé il proprio significato, dal
momento che il suo terminus ad quem è finito, e per questa ragione deve
rapportarsi al trascendente. Il rapporto con trascendente (divino) viene
sempre culturalmente mediato.
Per poter contribuire al progresso integrale e per dare profondità
all’umanità non è sufficiente che la religione (cristiana) entri semplicemente
nella cultura, diventando una sfera o una dimensione accanto ad altre, ma
occorre che essa diventi la dimensione della profondità, fluido vitale e linfa
vitale, la dimensione che dà profondità a tutte le altre dimensioni della vita
umana: politiche, economiche, artistiche e quotidiane. Così la religione si
mostra operativa nella cultura oggettiva, nella cultura soggettiva esplicita e
nella cultura soggettiva implicita. In altre parole, ciò significa che i valori
religiosi devono penetrare in tutte le sfere culturali perché la religione
conferisca un’inesauribile profondità alla vita e un’inesauribile significato
ad ogni creazione culturale. In tale senso la religione (la fede) crea cultura.
Questo rapporto tra religione e cultura porta ad una cultura teonoma che
nelle sue creazioni e nella sua praxis esprime l’interesse ultimo. Senza il
sostegno di una cultura teonoma, l’uomo posto di fronte
all’autoreferenzialità, rinchiuso nel proprio io e senza orizzonti profondi, non
è capace di sopportare tale peso.
Affermare una cultura teonoma, allo stesso tempo, significa rifiutare una
cultura neutrale, poiché una tale cultura non può esistere nella prassi. Spesso
succede infatti che la cultura, sotto la maschera della neutralità, respinga la
religione, la concezione integrale della persona umana e la sua dimensione
trascendentale. Ciò ci dice solo che tale cultura ha scelto un’altra via, un
qualcos’altro di incondizionato e di ultimo, e allora non è neutrale. Questo
altro incondizionato e ultimo della cultura così detta neutrale può portare alla
negazione e alla lotta contro ciò che è veramente incondizionato e ultimo. In
tale caso si tratterrebbe di una cultura demoniaca e non neutrale. In quanto la
cultura vuole essere neutrale, si pone la domanda: perché non vive etsi Deus
daretur invece che etsi Deus non daretur poiché la domanda di Dio (Assoluto,
essere stesso, fondamento dell’essere, essere in sé, potere dell’essere) non può
essere neutrale. Nella sua prassi la cultura deve decidersi tra queste due
possibilità. Una cultura che rimuovesse dal suo campo come non scientifica
la ricerca di Dio, sarebbe una cultura che rinuncia alle sue possibilità più alte,
condurrebbe al collasso della ragione e conseguentemente al tracollo
dell’umanesimo. L’uomo non può trascurare semplicemente la questione di
Dio, poiché questa domanda non è puramente teorica, ma del tutto pratica,
106 LA CORRELAZIONE TRA VANGELO, CULTURA E PERSONA
esistenziale. La risposta a tale domanda ha delle conseguenze per tutta
l’esistenza umana. Da questa prospettiva sorge la domanda sulla credibilità
della cultura. La credibilità di una cultura consiste proprio nel decidersi per e
non nel nascondersi dietro l’impossibilità della conoscenza e la neutralità. Il
decidersi per un qualcosa di veramente ultimo porta con sé un rischio, ma il
rischio viene vinto con il coraggio, ed esso fa parte del dinamismo culturale.
Una cultura che si presenta come neutrale non può essere credibile. Il
fondamento di ogni cultura vera (credibile) sono la ricerca di Dio (l’Assoluto,
l’Ultimo, il Definitivo) e la disponibilità di ascoltarlo, come in un suo discorso
sottolineava il papa emerito Benedetto XVI.
La religione come sostanza della cultura trova la propria giustificazione
nell’aiutare la cultura ad adempiere il prorio compito, cioè a mirare alla
perfezione integrale dell’uomo, ed è per questo che la cultura non può
permettersi il lusso della neutralità. Il cristianesimo, facendosi rilevante,
rende rilevante anche la cultura fornendole il senso, dandole profondità e
redendola aperta a qualcosa di veramente incondizionato e di ultimo. Evitare
di precisare in che cosa consiste l’impegno ultimo, a nostro avviso, non può
essere ritenuto come una forma di relativismo, ma piuttosto come una
richiesta di una decisione personale e poi come apertura verso una teologia
negativa sempre benvenuta e necessaria nella cornice di una teologia della
cultura. Infatti la teologia negativa riesce a contrastare ogni tentativo di
manipolazione e di sfruttamento del divino.
La cultura teonoma è quella che aiuta l’uomo a liberarsi
dall’autoreferenzialità, dall’individualismo e dalla chiusura a un tu. È in
questa prospettiva che il cristianesimo del nostro tempo deve collocarsi. Si
tratta di un cristianesimo rivolto al mondo, più esattamente all’uomo e alla sua
situazione concreta segnata da una gamma di esperienze. Di fronte agli
sviluppi delle culture, con tutti i loro squilibri, il cristianesimo di oggi è
chiamato a ridefinire e tutelare la dignità umana, come ha fatto nel corso dei
secoli, e a coltivare una retta visione dell’uomo contemporaneo. L’uomo come
imago Dei può essere visto quale chiave ermeneutica per la comprensione
della complessità della persona umana, e come fondamento di una nuova
cultura che comprenda l’uomo nella sua integralità. Il soggetto capace di una
cultura teonoma è solo l’uomo inteso nella sua totalità e integralità, che
include anche quello invisibile e interiore dell’uomo. L’antropologia che non
considera quell’irréductible dans l’homme è un’antropologia frammentaria.
Una tale concezione parziale dell’uomo conduce alla spersonalizzazione, al
non riconoscere più la persona come soggetto portatore di trascendenza. Di
contro alla spersonalizzazione abbiamo invece sottolineato come la persona
umana sia aperta all’infinito. Solo un’antropologia che considera la persona
CONCLUSIONE GENERALE 107
umana nella sua totalità detiene una progettualità qualitativa singolare. Proprio
il metodo fenomenologico, che partendo dagli atti umani arriva alla
consistenza ontologica della persona, ci permette di comprendere l’uomo in
modo integrale.
La situazione nella quale si trova l’uomo odierno (che gioca sulla natura e
il significato del suo essere e sulla questione del senso) mostra la necessità
di una profonda evangelizzazione per umanizzare, e in essa si individuano
gli scenari specifici che sono necessari di tale presa. Tenendo presente la
situazione umana concreta, la teologia entra nei diversi ambiti culturali per
far emergere da essi una domanda di salvezza orientata verso la risposta
cristiana. Proprio perché christianum supponit humanum il compito della
religione cristiana consiste nell’umanizzazione di tutto ciò che è umano.
Umanizzare i processi del mondo globalizzato evangelizzandoli significa
renderli a misura d’uomo, cioè metterli in una cornice più ampia. Detto con
le parole del Vangelo, questa cornice più ampia significa che l’uomo vive
non solo di pane (cfr. Mt 4, 4), non solo del suo progresso e del suo avere,
ma del proprio rapporto con Dio, di una vera correlazione con Dio, di una
dipendenza dal suo Creatore: l’uomo vive secondo una legge che è la sua
legge più profonda e che allo stesso tempo lo trascende. È proprio questa
legge che è capace di dare profondità all’umanità.
Dopo aver visto la collocazione della religione nella cultura e il ruolo che
essa ha in una cultura e per l’uomo, inteso nel senso di un’antropologia
integrale, abbiamo riflettuto su come rendere il messaggio cristiano rilevante
nelle sue manifestazioni. Riteniamo che proprio il messaggio cristiano
possiede la forza trasformatrice in grado di dare profondità all’umanità. Ma
prima di annunciare il messaggio cristiano occorre conoscere la persona, le
condizioni di vita di colui a cui viene rivolto l’annuncio. Abbiamo messo in
luce questo tema, partendo appunto dal fatto che la missione della Chiesa
viene orientata verso una evangelizzazione capace di dare profondità
all’umanità. L’uomo di ieri non è l’uomo di domani – con questa espressione
si potrebbe sintetizzare il fatto che nel tempo in cui stiamo vivendo sono
cambiate le condizioni del destinatario del messaggio cristiano. Per questa
ragione la Chiesa e la teologia devono servirsi di modelli teologici diversi
per annunciare le verità sempre immutabili nella situazione sempre
mutabile. In primo luogo, il Vangelo deve essere annunciato in modo tale da
suscitare l’inquietudine del cuore e da porre la questione della decisione. Per
raggiungere tale obbiettivo deve essere annunciato e inserito nel dinamismo
dell’ambiente culturalmente policentrico. Esso deve parlare all’uomo nella
sua situazione concreta storica. Solo così il Vangelo può diventare sale della
cultura. Ciò implica che il messaggio cristiano deve essere ridetto in modo
108 LA CORRELAZIONE TRA VANGELO, CULTURA E PERSONA
tale cha abbia un riscontro per l’uomo odierno nei diversi contesti culturali.
In altre parole, ciò significa che il cristianesimo, se vuole essere rilevante e
significativo, deve essere rivolto e attento alla situazione umana concreta, il
che porta ad una rinnovata ermeneutica della religione cristiana.
La situazione culturale odierna che crea disagio, rappresenta per la Chiesa
e per la teologia un kairos che emerge ogni qualvolta si riconosce la rottura
nelle dimensioni antropologiche della cultura. Questo kairos può essere
considerato come il tempo opportuno per la Chiesa per entrare nei processi
ermeneutici e in dialogo con il mondo. Dall’altra parte questo kairos fa sì
che la crisi della fede nella Chiesa costituisca un’occasione di cambiamento
e di purificazione delle forme storiche del nostro credere affinché Dio diventi
accessibile. La Chiesa annunciando Christus totus, caput et corpus, si mostra
bisognosa di purificazione, perché purificandosi essa diventa più fedele alla
volontà di Dio. In tutti i suoi membri la zizzania del peccato si trova
mescolata al buon grano del Vangelo. Per questa ragione la stessa Chiesa
necessita dell’evangelizzazione, anzi essa deve evangelizzare prima di tutto
se stessa. La Chiesa si rivela così allo stesso tempo come il contenuto
dell’evangelizzazione (una, santa, cattolica ed apostolica) e il destinatario (i
suoi membri e non solo). Il Vangelo annunciato in forme e linguaggi sempre
nuovi custodisce l’umano dell’uomo e così il cristianesimo origina nuova
cultura. In tale senso il cristianesimo si presenta come l’offerta di un
orizzonte di liberazione in accordo umano.
L’evangelizzazione, come processo permanente della Chiesa, salva la
cultura dalla superficialità, dandole profondità, poiché il Vangelo
contribuisce all’umanizzazione piena dell’umanità in quanto indirizza
l’attenzione sui valori che non possono esaurirsi in alcuna cultura.
L’evangelizzazione possiede la chiave con la quale aprire la via alla
rigenerazione e trasformazione della cultura, e siccome l’uomo è la via della
Chiesa, l’evangelizzazione tutela l’integralità della persona umana da
antropologie lacunose e dal transumanesimo, risvegliando l’humanum nelle
donne e negli uomini di ogni tempo. Evangelizzare una cultura significa
partecipare alla creatività di un’umanità migliore.
Se il cristianesimo riesce ad adattarsi ai diversi e sempre mutabili contesti
culturali, senza tuttavia perdere nulla del proprio contenuto, risulta allora
possibile che il messaggio che esso annuncia dia profondità all’umanità. Se
invece il messaggio cristiano diventa irrilevante nelle sue diverse
manifestazioni e non dice più nulla all’uomo concreto, rischia di diventare una
sfera accanto ad altre, una dimensione che non dà significato all’esistenza
umana. L’annuncio del Vangelo diventa dunque decisivo poiché da esso
dipende il ruolo e il futuro del cristianesimo nei diversi contesti culturali.
CONCLUSIONE GENERALE 109
L’evangelizzazione deve sorgere dal desiderio di manifestare la vera identità
del cristianesimo fondato sulla rivelazione. Per sviluppare una
evangelizzazione rilevante per un cristianesimo rilevante oggi, bisogna saper
riconoscere i segni dei tempi e utilizzarli, bisogna immergersi nella situazione
nella quale si trova l’uomo concreto. Occorre riconoscere gli scenari che
circondano l’uomo e sforzarsi di evangelizzarli, cioè liberare l’uomo dalla
superficialità, dall’indifferenza e dall’autoreferenzialità e aprire lo spazio per
ciò che darà profondità alla sua esistenza.
Dal punto di vista antropologico, l’evangelizzazione che mira
all’umanizzazione deve tenere conto delle diverse minacce a cui è
stottoposto l’uomo moderno. Sono minacce che lo rendono schiavo dei suoi
prodotti e lo riducono alla sfera meramente materialistica per cui la persona
umana viene valutata solo in base al criterio della produttività. Il
cristianesimo è capace di dare profondità all’umanità perché offriva e
continua ad offrire al mondo la cultura della convivialità, la cultura della
compassione, della solidarietà e dell’ospitalità, contributi che sono stati
sempre al centro dell’operare cristiano. Questi atteggiamenti non sono solo
una semplice scelta di vita orientata ai valori morali, ma hanno le loro radici
nel comportamento di Dio verso l’umanità, che ha il suo culmine
nell’incarnazione di Cristo. Il principio dell’incarnazione e della redenzione
è un principio che vale anche per il rapporto tra religione e cultura.
L’orizzonte cristologico non è presentato esplicitamente in Persona e atto di
Wojtyła, poiché si tratta di un’opera filosofica in cui viene applicato il
metodo fenomenologico, ma ne è senza dubbio il presupposto. È proprio
questa antropologia che conduce verso la cristologia sviluppata più
ampiamente nei documenti papali di Giovanni Paolo II, mentre Tillich
include ed esplicita questo orizzonte cristologico (Nuovo Essere) e lo mostra
come l’orizzonte di riferimento. La rivelazione cristiana illumina e
approfondisce le verità ontologico-antropologiche che uomo raggiunge
mediante l’analisi della propria esperienza (indipendentemente dalla
rivelazione come ci fa vedere l’analisi wojtyłana). La pienezza della
rivelazione, cioè l’incarnazione di Cristo rivela l’uomo a se stesso. In Cristo
la verità sull’uomo diventa palese. Da qui proviene una prospettiva
cristologica dell’evangelizzazione umanizzante. Infatti l’evangelizzazione
orientata all’umanizzazione esige come fondamento un modello teologico
con cui è possibile incontrare il mondo contemporaneo: tale modello è la
teologia cristocentrica in dialogo con la cultura contemporanea.
Il fatto che ambedue gli autori presi in esame, nelle loro impostazioni
metodologiche, abbandonino l‘influenza del metodo deduttivo e si
appoggino al metodo euristico, partendo dalla condizione umana e quindi
110 LA CORRELAZIONE TRA VANGELO, CULTURA E PERSONA
dalla persona umana concreta, indica che anche l’annuncio del messaggio
cristiano deve considerare l’uomo nella sua situazione culturale, storica e
mondiale. Ciò ci dice che l’evangelizzazione ha l’obbligo di intraprendere
una rilettura dell’uomo di oggi, immergendosi nella sua situazione, e di
aprire tutti gli accessi dell’uomo per proporsi come l’orizzonte capace di
annunciare la liberazione dall’isolamento, dall’egoismo, dallo spettacolo,
dalla superficialità, dalla illusorietà, dal narcisismo, dall’apatia, dalla
depressione e dalla rassegnazione. In tale senso, questa tesi, mettendo in luce
la vera correlazione tra Vangelo, cultura e persona umana, ha voluto essere
un contributo alla rilevanza e al futuro del cristianesimo il cui messaggio
rappresenta centro integratore sul quale basare la propria esistenza
nell’apertura all’elemento veramente ultimo e incondizionato.
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a. articolo (articulum) della STh
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AA.VV. autori vari
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AF Archivio di Filosofia, Roma
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Angel Angelicum, Roma
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ATI Associazione Teologica Italiana
CA GIOVANNI PAOLO II, «Centessimus annus»
Cap. Capitolo/i di questo lavoro
CCC Catechismo della Chiesa cattolica
CEI Conferenza Episcopale Italiana
cfr. confronta
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CivCatt La Civiltà Cattolica, Roma
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n. nota/e
N.d.T. nota di traduttore
NArp Il Nuovo Areopago, Bologna
NPG Note di pastorale giovanile, Roma
NT Nuovo Testamento
NU Nuova Umanità, Roma
num. numero/i
orig. originale
orig. franc. originale francese
orig. ingl. originale inglese
orig. oland. originale olandese
orig. spagn. originale spagnolo
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q. questione (quaestio) della STh
Regno Il Regno. Attualità, Bologna
RFN Rivista di filosofia neo-scolastica, Milano
RH GIOVANNI PAOLO II, «Redemptor hominis»
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RTM Rivista di teologia morale, Bologna
s. seguente/i
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INDICE GENERALE DELLA DISSERTAZIONE
INTRODUZIONE GENERALE ...................................................................................... 5
1. Le motivazioni della ricerca ............................................................................... 5
2. L’argomento della tesi ........................................................................................ 6
3. L’originalità della tesi ......................................................................................... 7
4. Metodo e i limiti della ricerca ............................................................................ 8
5. L’itinerario della ricerca ................................................................................... 10
PARTE PRIMA:
PAUL TILLICH: TEOLOGIA DELLA CULTURA
CAPITOLO I: Alcuni presupposti della teologia della cultura di Paul Tillich ...... 27
1. Un pensiero sulla linea di confine .................................................................... 27
1.1 I diversi confini ......................................................................................... 27
1.1.1 Dalla teologia liberale alla teologia dialettica ................................... 27
1.1.2 La teologia dialettica di Karl Barth ................................................... 29
1.1.3 Quale è la vera dialettica? .................................................................. 32
1.2 Il teologo sulla linea di confine ................................................................. 34
1.2.1 L’ambiguo significato del concetto «confine» .................................. 34
1.2.2 Il confine come luogo della conoscenza ............................................ 37
1.2.3 Il confine tra filosofia e teologia........................................................ 39
1.2.4 Alcuni punti deboli del sistema teologico tillichiano ........................ 43
2. Il metodo della correlazione ............................................................................. 46
2.1 L’interdipendenza reale ............................................................................. 46
2.1.1 La correlazione prima e dopo Paul Tillich ........................................ 46
2.1.2 Il metodo specifico del sistema teologico di Tillich .......................... 47
2.1.3 L’applicazione del metodo della correlazione ................................... 49
2.2 La valutazione del metodo della correlazione ........................................... 54
3. Teologia esistenziale ........................................................................................ 55
3.1 L’esistenzialismo come analisi della situazione umana ............................ 55
3.1.1 L’esistenzialismo ............................................................................... 55
146 LA CORRELAZIONE TRA VANGELO, CULTURA E PERSONA
3.1.2 La teologia esistenziale ...................................................................... 57
3.1.3 Lo stato dell’esistenza umana ............................................................ 61
3.2 Il Nuovo Essere – la liberazione dall’alienazione ..................................... 63
3.3 Incondizionato ........................................................................................... 66
3.4 Ultimate concern ....................................................................................... 68
4. Sintesi: Dalle domande esistenziali alle risposte teologiche ............................ 72
CAPITOLO II: La religione come dimensione della profondità ............................ 75
1. La fede – esperienza di un valore assoluto ....................................................... 75
1.1 La fede come atto centrale ........................................................................ 75
1.1.1 La fede e la ragione ............................................................................ 75
1.1.2 Gli elementi inconsci nell’atto della fede .......................................... 78
1.1.3 L’interesse per assoluto come centro integratore .............................. 79
1.1.4 La soggettività e oggettività della fede .............................................. 81
1.2 La fragilità della fede ................................................................................ 84
1.2.1 Il dubbio, la certezza e il coraggio della fede .................................... 84
1.2.2 La comunità della fede e dubbio........................................................ 87
1.3 La fede simbolica ...................................................................................... 89
1.3.1 I segni e i simboli ............................................................................... 89
1.3.2 I simboli religiosi ............................................................................... 91
1.3.3 La verità dei simboli religiosi ............................................................ 95
1.3.4 Il simbolo «Dio» e la teologia negativa ............................................. 96
1.3.5 Il mito e la transmitizzazione ........................................................... 100
1.3.6 La comprensione dei simboli e dei miti .......................................... 101
2. La natura della religione ................................................................................. 104
2.1 La necessità della religione ..................................................................... 104
2.1.1 Due sensi della religione .................................................................. 104
2.1.2 La religione e la fede come esperienza dell’interesse ultimo .......... 107
2.1.3 La religione come dimensione profonda dello spirito umano ......... 111
2.1.4 L’uomo tra linea verticale e orizzontale .......................................... 115
2.1.5 La fine della religione? .................................................................... 119
2.2 L’uomo e la religione .............................................................................. 122
2.2.1 La situazione esistenziale dell’uomo ............................................... 122
2.2.2 La società disintegrata e le sue contradizioni .................................. 125
2.2.3 L’accettazione della religione nella società ..................................... 127
3. Sostanza della cultura e forma della religione ................................................ 129
3.1 Divario tra religione e cultura ................................................................. 129
3.1.1 La religione e la cultura nella correlazione ..................................... 129
3.1.2 I due modi per superare la rottura .................................................... 132
3.1.3 Verso la cultura teonoma ................................................................. 134
3.1.4 La cultura teonoma .......................................................................... 135
3.1.5 Una cultura aperta all’incondizionato.............................................. 139
INDICE GENERALE DELLA DISSERTAZIONE 147
3.1.6 Sostrato religioso nell’autonomia .................................................... 141
3.1.7 Dualismo culturale? ......................................................................... 144
4. A modo di conclusione: La fonte inesauribile della cultura ........................... 148
4.1 La religione – atto centrale ...................................................................... 149
4.2 La fede simbolica .................................................................................... 149
4.3 La dimensione della profondità ............................................................... 150
4.4 L’interdipendenza tra religione e cultura ................................................ 151
4.5 La cultura teonoma – protettore dell’humanum ...................................... 152
PARTE SECONDA:
KAROL WOJTYŁA: ANTROPOLOGIA INTEGRALE
CAPITOLO III: L’uomo al centro della cultura ................................................. 155
1. La questione antropologica contemporanea ................................................... 156
1.1 L’uomo tra immanenza e trascendenza ................................................... 156
1.1.1 Un’antropologia lacunosa ................................................................ 156
1.1.2 Il cambiamento dell’immagine dell’uomo ...................................... 159
1.1.3 Verso la morte dell’homo humanus ................................................. 162
1.2 Il ruolo della fede nella cultura ............................................................... 165
1.2.1 Nella ricerca di una cultura integrale ............................................... 165
1.2.2 Correlazione tra fede, cultura e persona umana in G. P. II ............. 168
2. La reciprocità tra persona, atto e cultura ........................................................ 172
2.1 Il più perfetto in tutta la natura ................................................................ 172
2.1.1 Persona – la parola più compromessa nella cultura odierna............ 172
2.1.2 Il significato della categoria «persona» ........................................... 174
2.1.3 Dalla sostanza all’autocoscienza ..................................................... 178
2.1.4 Contro la spersonalizzazione dell’uomo ......................................... 179
2.1.5 Il ritorno alla metafisica ................................................................... 182
2.2 Diventare più uomo attraverso la cultura ................................................ 184
2.2.1 La priorità metafisica della persona umana ..................................... 184
2.2.2 La priorità praxeologica della persona umana ................................. 186
2.2.3 Il pieno senso della cultura .............................................................. 189
2.2.4 Verum, bonum, pulchrum e ultimate concern ................................. 193
3. Per non concludere ......................................................................................... 197
CAPITOLO IV: Le dimensioni fondamentali della persona umana ..................... 199
1. Manifestazione della persona e la fenomenologia ......................................... 199
1.1 L’esperienza come fonte dell’antropologia ............................................. 199
1.1.1 Dall’esperienza alla persona ............................................................ 199
1.1.2 Il tesoro dell’esperienza ................................................................... 202
1.2 La realtà transfenomenica della persona ................................................. 206
148 LA CORRELAZIONE TRA VANGELO, CULTURA E PERSONA
1.2.1 L’approccio fenomenologico ........................................................... 206
1.2.2 La necessità della transfenomenologia ............................................ 211
2. La persona e atto sotto diversi aspetti............................................................. 214
2.1 La dimensione della coscienza ................................................................ 214
2.1.1 Le funzioni della coscienza ............................................................. 214
2.1.2 L’uomo sta all’origine del suo agire ................................................ 218
2.2 Complementarità tra trascendenza e integrazione ................................... 220
2.2.1 L’autodeterminazione contraddice il progetto post-umano ............. 220
2.2.2 La trascendenza come proprium personae ...................................... 223
2.2.3 La libertà per.................................................................................... 225
2.2.4 La verità come fondamento della trascendenza ............................... 226
2.2.5 L’integrazione dei diversi dinamismi della persona ........................ 229
2.3 La dimensione della partecipazione ........................................................ 232
2.3.1 Nessuno è un’isola ........................................................................... 232
2.3.2 La limitazione della partecipazione ................................................. 235
2.3.3 I diversi atteggiamenti inerenti alla partecipazione ......................... 237
2.3.4 Un tu come l’altro io ........................................................................ 239
3. A modo di conclusione ................................................................................... 241
3.1 L’uomo rispetto a se stesso e ai suoi atti ................................................. 241
3.2 Le diverse dimensioni della persona umana nel suo autocompimento ... 243
3.3 L’uomo rispetto agli altri ......................................................................... 244
PARTE TERZA:
LA RILEVANZA DEL CRISTIANESIMO
CAPITOLO V: L’annuncio del Vangelo ............................................................... 249
1. La rilevanza nonostante l’irrilevanza ............................................................. 250
1.1 Il Vangelo e la mentalità contemporanea ................................................ 250
1.1.1 Lo sfondo cristiano dell’umanità ..................................................... 250
1.1.2 Le manifestazioni dell’irrilevanza del messaggio cristiano ............ 253
1.1.3 Il Vangelo, una questione della decisione ....................................... 256
2. L’annuncio del Vangelo in alcuni modelli teologici ...................................... 259
2.1 Riflessione teologica e prassi cristiana .................................................... 259
2.1.1 L’annuncio del Vangelo tra scandalo e mediazione ........................ 259
2.1.2 Modelli di riflessione teologica ....................................................... 261
2.1.3 Una nuova apologetica .................................................................... 263
3. La Chiesa e l’evangelizzazione ...................................................................... 265
3.1 La Chiesa nell’uscita ............................................................................... 265
3.1.1 Il paradosso delle Chiese ................................................................. 265
3.1.2 La Chiesa semper reformanda ......................................................... 266
3.1.3 Ridirsi per dare risposte adeguate .................................................... 269
3.1.4 Il punto originario della Chiesa ....................................................... 271
INDICE GENERALE DELLA DISSERTAZIONE 149
4. Per non concludere ......................................................................................... 274
CAPITOLO VI: Evangelizzare per umanizzare .................................................... 277
1. Evangelizzare per dare profondità all’umanità .............................................. 277
1.1 Il Vangelo come possibilità di un’esistenza riuscita ............................... 277
1.1.1 Il compito essenziale della Chiesa ................................................... 277
1.1.2 L’evangelizzazione sempre nuova................................................... 281
1.1.3 Ridare qualità all’esistenza umana .................................................. 284
1.1.4 Alcuni settori culturali da considerare ............................................. 287
2. I nuovi scenari e l’evangelizzare .................................................................... 288
2.1 Identificare i luoghi e i nuovi scenari da evangelizzare .......................... 288
2.1.1 L’evangelizzazione e i segni dei tempi ........................................... 288
2.1.2 L’evangelizzazione dell’economia e della coscienza ...................... 291
2.1.3 Transumanesimo ed evangelizzazione ............................................ 293
2.1.4 Un presupposto dell’evangelizzazione ............................................ 296
3. Evangelizzazione e alcuni modelli di relazione ............................................. 298
3.1 Il contributo del cristianesimo ................................................................. 298
3.1.1 Per una cultura della convivialità .................................................... 298
3.1.2 Il dialogo come espressione della cultura della convivialità ........... 300
3.1.3 La compassione e la solidarietà come partecipazione ..................... 303
3.1.4 Per una cultura dell’ospitalità e della responsabilità ....................... 307
3.1.5 Il Nuovo Essere come orizzonte di riferimento ............................... 309
4. Sintesi: L’uomo davanti alla forza trasformatrice del Vangelo ..................... 313
CONCLUSIONE GENERALE ................................................................................... 317
SIGLE E ABBREVIAZIONI ...................................................................................... 325
BIBLIOGRAFIA ..................................................................................................... 329
1. Opere di Paul Tillich ...................................................................................... 329
2. Opere di Karol Wojtyła/Giovanni Paolo II .................................................... 330
3. Altri scritti....................................................................................................... 334
INDICE DEGLI AUTORI ......................................................................................... 359
INDICE GENERALE ............................................................................................... 365
150 LA CORRELAZIONE TRA VANGELO, CULTURA E PERSONA