HR106_TORNARE A CEDAR COVE

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Tornare a Cedar Cove Debbie Macomber

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Debbie Macomber

Tornare a Cedar Cove

Titolo originale dell'edizione in lingua inglese: 1105 Yakima Street

Mira Books © 2011 Debbie Macomber

Traduzione di Barbara Piccioli

Tutti i diritti sono riservati incluso il diritto di riproduzione integrale o parziale in qualsiasi forma.

Questa edizione è pubblicata per accordo con Harlequin Enterprises II B.V. / S.à.r.l Luxembourg.

Questa è un'opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o persone della vita reale è puramente casuale.

Harmony è un marchio registrato di proprietà

Harlequin Mondadori S.p.A. All Rights Reserved.

© 2012 Harlequin Mondadori S.p.A., Milano Prima edizione Harmony Romance

agosto 2012

Questo volume è stato stampato nel luglio 2012 presso la Mondadori Printing S.p.A.

stabilimento Nuova Stampa Mondadori - Cles (Tn)

HARMONY ROMANCE ISSN 1970 - 9943

Periodico mensile n. 106 del 15/08/2012 Direttore responsabile: Alessandra Bazardi

Registrazione Tribunale di Milano n. 72 dello 06/02/2007 Spedizione in abbonamento postale a tariffa editoriale

Aut. n. 21470/2LL del 30/10/1981 DIRPOSTEL VERONA Distributore per l'Italia e per l'Estero: Press-Di Distribuzione

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contattando il Servizio Arretrati al numero: 199 162171

Harlequin Mondadori S.p.A. Via Marco D'Aviano 2 - 20131 Milano

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Il sole entrava a fiotti dalle finestre del Bremerton Café, sul lungofiume. Seduta in un separé, Rachel Peyton contem-plava la strada, bevendo di tanto in tanto un sorso di succo di mela. Era il tardo pomeriggio di venerdì e, dopo il lavo-ro, aveva raggiunto il locale per incontrare un amico. I suoi pensieri, tuttavia, non si allontanavano mai troppo da Bruce e dalla rapidità con cui la loro unione si era disintegrata. Dal matrimonio, deciso d'impulso nel dicembre passato, al-la separazione, erano trascorsi meno di dieci mesi. Volse la testa in direzione di Cedar Cove. La cittadina si trovava sull'altra sponda del Sinclair Inlet, ma per quanto la riguar-dava avrebbe potuto trovarsi al di là del Pacifico. Rachel sentiva di non poter tornare a Cedar Cove – e a Yakima Street – ma che alternative aveva? Se n'era andata dopo l'ultimo litigio con Jolene, la figliastra. Pur consapevole della tensione esistente fra le due, Bru-ce non l'aveva mai affrontata di petto, persuaso che il tem-po avrebbe composto ogni dissidio. Certo, aveva avanzato la proposta poco convinta di rivolgersi a un consulente fa-miliare con, o più probabilmente senza, Jolene. Ma era sta-to troppo poco, e la proposta era arrivata troppo tardi. Nulla era cambiato, e come risultato, a casa, la situazione era fini-ta per diventare intollerabile. Sapendo di essere incinta, Rachel se n'era andata... per salvaguardare il suo equilibrio mentale non meno che la sua salute e quella del bambino.

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Aveva mentito a Bruce, sostenendo che sarebbe stata o-spite di un'amica non meglio identificata. Invece, alloggia-va in un albergo di Bremerton. Il problema era che avrebbe avuto bisogno del proprio lavoro se voleva mantenere il piccolo, e questo significava cercare un appartamento a Cedar Cove o nelle immediate vicinanze. A complicare il tutto, la gravidanza procedeva fra mille complicazioni. Sof-friva di nausee violente e aveva la pressione sanguigna pe-ricolosamente alta. Comprensibile, se si pensava a quello che aveva passato. Non fosse stato per il bambino, Rachel avrebbe forse trovato la forza di tener testa a Jolene. Sareb-be stata disposta a dedicare tutte le sue energie a risolvere il complicato groviglio di emozioni dell'adolescente e offrirle le rassicurazioni di cui tanto sembrava avere bisogno. Ma da quando Jolene aveva saputo che era incinta, tutto era di-ventato perfino più difficile. Non solo vedeva in Rachel una rivale per l'affetto di Bruce, ma ora lei aveva commes-so l'imperdonabile errore di aggiungere un nuovo membro alla famiglia, privandola dell'attenzione totale del padre. Ciò di cui Rachel non riusciva a capacitarsi era la vici-nanza che lei e la ragazzina avevano condiviso prima del suo matrimonio con Bruce. Cresciuta lei stessa senza ma-dre, aveva subito provato un interesse speciale per Jolene, in parte materno, in parte amicale. La loro amicizia risaliva a quando la bambina aveva appena sei anni e la madre era morta in un incidente stradale da uno. Bruce l'aveva portata al centro estetico per farle tagliare i capelli e lei aveva con-fidato a Rachel quanto ne sentisse la mancanza. Il cuore della donna si era subito sciolto. Non aveva dimenticato il dolore che quella perdita le aveva provocato, né il tempo trascorso con la zia materna, che quasi non conosceva. Nel corso degli anni, il rapporto fra le due si era ulterior-mente approfondito – fino a quando Rachel aveva commes-so l'errore di sposare Bruce. Doveva essere sincera; Jolene aveva dichiarato di preferire che aspettassero finché lei non

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si fosse sentita pronta, ma Bruce non aveva inteso ragioni. Voleva sposare Rachel, e al più presto. Né lei la pensava diversamente, anche se aveva fatto un tentativo per convin-cerlo a rimandare. Poi... be', l'entusiasmo aveva preso loro la mano. All'inizio, Rachel non aveva considerato Bruce più di un semplice amico. Era il padre di Jolene e contava su di lei perché gli desse una mano con la figlia. Per anni, nessuno dei due aveva manifestato il benché minimo interesse ro-mantico per l'altro. Rachel, anzi, frequentava Nate Olsen, un ufficiale di Marina conosciuto durante una serata per raccogliere fondi in favore della locale associazione umani-taria – la Dog and Bachelor Auction. Poco dopo il matri-monio, Nate era stato inviato in un altro stato, ma adesso era tornato e proprio lui era l'amico con cui Rachel aveva appuntamento. Per qualche tempo, lei e Nate avevano pen-sato seriamente al matrimonio, ma quando lui glielo aveva infine proposto, lei aveva ormai capito di essere innamorata di Bruce. Sorprendentemente, miracolosamente, Bruce ri-cambiava i suoi sentimenti. Da quel momento, tutto si era mosso in fretta. Troppo in fretta... Ora, Rachel era costretta a riconoscere la correttezza di quanto si diceva sui matrimoni affrettati. Era stata fin trop-po pronta a credere alle rassicurazioni di Bruce secondo cui Jolene si sarebbe adattata al cambiamento. Dopotutto, le aveva fatto notare lui, Rachel non era esattamente un'estra-nea. Ma Jolene non si era adattata. Qualunque affetto avesse provato per l'amica, si era tramutato in un comportamento passivo-aggressivo per sfociare poi in aperta ostilità. Restia a turbare il marito, Rachel aveva fatto il possibile per argi-nare quel risentimento. Quando era rimasta inaspettata-mente incinta, avrebbe voluto tenere nascosta alla figliastra la gravidanza almeno per qualche mese, ma Bruce aveva insistito perché ne venisse informata subito.

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Era stato l'ultimo errore. La porta del locale si aprì, ma Rachel non alzò gli occhi finché Nate Olsen non ebbe preso posto di fronte a lei. «Rachel?» Lei gli rivolse un accenno di sorriso e lo vide socchiude-re gli occhi azzurri. «Stai bene?» Sembrava preoccupato. «Non hai bisogno di dirlo. Ho un aspetto orribile.» «No, non orribile. Sei solo... molto pallida.» Di ritorno a Bremerton, Nate le aveva mandato un'e-mail per comunicarle la sua presenza in città, desideroso di av-vertirla prima che si incontrassero per caso. Con tutto quel-lo che stava succedendo nella sua vita, Rachel non aveva prestato molta attenzione al messaggio; Nate era semplice-mente una persona che aveva amato in passato e adesso lei era una donna sposata. Un giorno in cui aveva avuto fin troppo tempo libero, si era seduta al computer a disposizione dei clienti dell'alber-go dove alloggiava e si era collegata al proprio server di posta. D'impulso, aveva risposto all'e-mail di lui raccon-tandogli che il suo matrimonio stava andando a rotoli. In seguito, si erano scambiati qualche altro messaggio, fino a quando lui aveva proposto che si incontrassero. Rachel a-veva accettato. «All'ultimo controllo, ho scoperto di avere una carenza di ferro.» Né le era di aiuto il fatto che mangiasse pochissi-mo. La nausea mattutina la tormentava in realtà per buona parte della giornata, e invece di ingrassare aveva perso pe-so. «Sono contento che tu ti sia messa in contatto con me.» «Forse non avrei dovuto farlo.» La verità era che Rachel non aveva saputo a chi altri rivolgersi. Certo non alle sue amiche; erano le prime che Bruce avrebbe avvicinato. E la loro separazione era già abbastanza difficile senza che ve-nissero coinvolte altre persone.

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«Dico sul serio» ribadì Nate. «Se dovessi avere bisogno di qualcosa, chiamami. Sai che farò tutto quanto è in mio potere per aiutarti.» A quelle parole, una lacrima spuntò negli occhi di Ra-chel. Nate riempì le tazze dalla cuccuma portata dalla came-riera. «Allora, c'è qualcosa che posso fare?» Rachel non era sicura di saperlo. «Come ti ho scritto, ho... ho lasciato Bruce e Jolene.» Non c'era bisogno di ag-giungere che la sua decisione si adattava perfettamente ai piani della figliastra. Jolene era senza dubbio al settimo cie-lo ora che aveva il padre di nuovo tutto per sé. «E adesso cosa conti di fare?» Rachel abbassò la testa e i capelli le ricaddero sul viso. «Ho parlato con Teri e... lei vuole che vada a stare da lei.» «Ci andrai?» «Non posso. È il primo posto in cui Bruce mi cercherà. A lui ho detto che mi trasferivo da un'amica... allora pensa-vo che avrei potuto accettare l'offerta di Teri, ma non posso farle questo. Lei e Bobby hanno già il loro da fare con i tre gemelli.» «Tre?» «Già.» Nate rise. «Fa sempre tutto in grande, eh?» commentò. Conosceva Teri, e sapeva che se c'era qualcuno in grado di gestire una situazione simile era proprio lei. Ma per quanto energica e capace, in quel momento la neomamma non a-veva certo bisogno di un'amica infelice di cui prendersi cu-ra. «Dove pensi di andare, allora?» chiese. «Io non... non lo so.» In un primo momento, aveva pen-sato solo ad andarsene da casa il più rapidamente possibile, ma l'albergo era troppo costoso perché potesse considerarlo una soluzione permanente. A quel ritmo, avrebbe prosciu-gato il suo conto in banca nel giro di una settimana. Per di più, Bruce non avrebbe impiegato molto a scoprire dove si

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trovava e prevedibilmente avrebbe fatto di tutto per persua-derla a tornare. E Rachel non voleva che accadesse, non con Jolene ancora così turbata. Nate sorseggiava il caffè, pensieroso. Alla fine disse: «Potresti trasferirti da me». Rachel sollevò di scatto la testa. Impossibile. Se Bruce fosse venuto a saperlo, si sarebbe sentito ingannato. E Jolene avrebbe avuto altre munizioni da usare contro di lei. «Ti sono grata dell'offerta, davvero, ma proprio non posso.» «Perché no?» «Nate, non posso... cosa penserebbe Bruce?» «C'è bisogno che tu glielo dica?» «Io...» Rachel aprì la bocca per rispondere, ma esitò. «Vorrà saperlo» disse soltanto. «Ovvio, ma non sei obbligata a dirgli tutto. La cosa im-portante, ora come ora, è che tu abbia un posto dove sentirti al sicuro e poterti prendere cura di te.» Lei lo fissò. «Mi stai suggerendo di mentire a mio mari-to?» «Non mentire, non esattamente. Diciamo piuttosto di non riempire tutte le lacune. Si dà il caso che al momento io abiti da un amico. Io occupo una stanza, ma ce n'è una terza libera. Purtroppo, al momento Bob è stato distaccato altrove, quindi saremo noi due soli. Se per te è un proble-ma, capirò.» Rachel esitò. L'idea dell'amico sembrava buona, ma lei non faticava a immaginare come avrebbe reagito il marito se fosse venuto a saperlo. Per ovvie ragioni, fra i due uomi-ni non correva buon sangue. «Forse ti sarà di aiuto sapere che mi vedo con una perso-na» aggiunse a quel punto Nate. Lo era, in effetti. «È una cosa seria?» domandò Rachel. Lui si strinse nelle spalle. «Abbastanza, direi. Esco con Emily tre o quattro sere alla settimana. Dunque avresti la

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casa tutta per te per la maggior parte del tempo.» «Quanto chiede Bob di affitto?» La cifra che Nate menzionò era più che ragionevole. «E non saresti tenuta a cucinare, fare le pulizie o cose del ge-nere, se è a questo che stai pensando» puntualizzò. «Oh.» Rachel si mordicchiava il labbro inferiore, incerta. Nate le aveva proposto un'opzione del tutto inattesa ma an-che allettante. «Perché prima di decidere non vieni a dare un'occhiata alla casa?» Lei esitava ancora. «Hai bisogno di andartene per un po', giusto?» Era vero, e lui lo sapeva. «In un posto dove Bruce e sua figlia non verrebbero mai a cercarti?» Rachel annuì di nuovo. «Non devi preoccuparti per me» ribadì Nate. «Ti ho a-mata, ti ho amata davvero, ma è storia passata. Continuo a volerti bene, però, e questo è il motivo della mia proposta. Se a preoccuparti è quello che potrebbe succedere vivendo nella stessa casa, lascia che ti rassicuri subito. Non accadrà proprio nulla.» «Okay» si decise finalmente a dire Rachel. «Vediamo la casa.» Nate lasciò sul tavolo i soldi per pagare le consumazioni e si alzò. Quando lo imitò, Rachel provò un improvviso gi-ramento di testa. Sarebbe caduta, se l'amico non l'avesse sorretta. «Quando è stata l'ultima volta che hai mangiato?» chiese Nate. «Un po' di tempo fa. Ma sto bene.» «Non direi proprio. Niente storie, d'accordo? Una volta che avrai visto la casa, ti preparo qualcosa.» «Sai cucinare?» «Rachel, mi sorprende come tu abbia già dimenticato

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che sono un uomo dai molti talenti.» Il sorriso di lui era l'ancora di cui aveva bisogno, la sua amicizia l'albero mae-stro che l'avrebbe sostenuta finché nella sua vita avesse im-perversato la tempesta. La casa dove Nate la condusse era a Bremerton, non lon-tana dal locale e comoda per chi lavorava presso la base na-vale. Costruita dopo la Seconda Guerra Mondiale, era a due piani e aveva una grande veranda sul davanti e persiane al-le finestre. Una casa concepita per una famiglia. Rachel si sentì invadere da un'emozione improvvisa. Era nata da una madre single e la zia che in seguito l'aveva ac-colta non si era mai sposata. Per tutta la vita lei aveva ane-lato a una famiglia sua e sposando Bruce si era illusa di a-vere trovato il proprio posto nella vita. Aveva un marito e una figliastra a cui la legavano profondi vincoli d'affetto. Non ci era voluto molto perché il sogno si infrangesse e lei si ritrovasse ancora una volta sola... Il bambino si mosse dentro di lei, che d'istinto si portò una mano al ventre. Spe-rava che un giorno suo figlio avrebbe conosciuto l'amore di una madre, un padre e una sorella maggiore. «Entriamo?» propose Nate. La sosteneva gentilmente per il gomito, come se lei fosse una cosa fragile, facile a spez-zarsi. Senza parlare, Rachel lo seguì su per gli scalini. «Faccio del mio meglio per tenerla in ordine» riprese lui. «Ma devi tenere a mente che sono un uomo e che le fac-cende di casa sono piuttosto in basso nella mia lista delle priorità.» «Me lo ricorderò» assicurò Rachel dedicandogli una par-venza di sorriso. La casa, tuttavia, non era in uno stato disastroso. Qual-che rivista e giornali sparsi in giro, ma nel lavello non c'e-rano piatti sporchi e il soggiorno era in ordine. Quanto ai mobili, scuri e massicci, Rachel non li avrebbe mai scelti, ma erano robusti e svolgevano la loro funzione.

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«Ti mostro la stanza libera» disse Nate, e subito dopo ri-dacchiò. «Cosa c'è?» chiese Rachel, incuriosita. «Ho promesso che fra noi non ci sarebbe stato nulla di romantico, e la prima cosa che faccio è portarti in camera.» Scosse la testa. «Buffo, non trovi?» Rise anche lei. «Immagino che suoni un po'... compro-mettente.» La stanza era spartana e impersonale come una camera d'albergo. Un letto, un cassettone e un comodino erano gli unici mobili e alle pareti non un quadro, non una fotografia che rivelasse che un tempo qualcuno l'aveva occupata. Il copriletto appariva consunto; con ogni probabilità, era stato acquistato molti anni prima. «Come ti avevo detto, niente di speciale» commentò Na-te. «La tua dov'è?» chiese lei, notando le varie porte che si aprivano sul corridoio. «Di sopra. Dove sono tutte le altre camere.» Questo rendeva piuttosto improbabile che si imbattesse-ro l'uno nell'altro in piena notte, e saperlo la fece sentire un po' meno in colpa nei confronti del marito. «Allora» fece Nate, appoggiandosi allo stipite della por-ta, le braccia conserte. «Che te ne pare?» Rachel esitò ancora, mentre tornava a immaginare come avrebbe reagito Bruce se fosse venuto a saperlo. Sarebbe stata un'ulteriore complicazione in una situazione già abba-stanza ingarbugliata. D'altro canto, Nate aveva ragione; non c'era bisogno che lo sapesse, non subito, per lo meno. A Bruce doveva dire una cosa soltanto: che era al sicuro e a-veva un tetto sopra la testa. «Sei un buon amico, sai?» Lo pensava davvero. La stava aiutando, anche se lei lo aveva lasciato per Bruce. Nate fece una risatina. «Farei qualunque cosa per te, Ra-chel. Te l'ho detto.»

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«D'accordo, allora. Hai una nuova coinquilina. Ma a una condizione.» «Quale?» «Non devi dire a nessuno, e intendo proprio a nessuno, che vivo qui.» Nate si accigliò. «Dato che la casa appartiene a Bob, non posso esimermi dall'avvertirlo e vorrei parlarne anche a Emily, ma posso chiedere a entrambi di non farne parola con altri.» «D'accordo per Bob ed Emily, a condizione che siano di-screti.» Lui le tese la mano. «Affare fatto, allora.» «E terrò fede alla mia parte dell'accordo» riprese Rachel. «Pagherò puntualmente l'affitto e...» «Non è questo a preoccuparmi» la interruppe Nate. «Pe-rò non potrai informare Teri, immagino.» Quello sì che sarebbe stato difficile. Rachel era abituata a dire tutto a Teri. Era la sua migliore amica e lo era da an-ni. Ma Nate aveva ragione: non poteva permettersi di la-sciarsi sfuggire neppure una parola, neanche con lei. Sareb-be stata la prima persona a cui Bruce si sarebbe rivolto e Rachel non poteva correre il rischio che l'amica si tradisse. Molto meglio tenerla all'oscuro. «No, temo di no.» Per quanto dura potesse essere, non a-veva scelta.

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Tornare a Cedar Cove di Debbie Macomber

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