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Filosofia Michael Sandel Giustizia 2009 PERCHÉ LEGGERE QUESTO LIBRO In Giustizia (2009) Sandel compie una appassionata disamina delle maggiori concezioni filosofiche in materia di giustizia. All’esposizione di ogni teoria e dei suoi punti di forza seguono le possibili obiezioni e gli esempi di situazioni in cui tale teoria risulta in difficoltà. Questa modalità, che collega i grandi interrogativi filosofici a situazioni concrete e di attualità storica e politica, unità a un modo chiaro e diretto di scrivere, rende il libro particolarmente appassionante e facile da seguire. In una sorta di crescendo Sandel finisce esponendo la sua critica comunitarista alle teorie esaminate, giudicare troppo individualiste. Giustizia è un libro appassionante, di ampio respiro, che sollecita sia l’emozione che il senso critico del lettore.

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Filosofia

Michael Sandel

Giustizia

2009

PERCHÉ LEGGERE QUESTO LIBRO

In Giustizia (2009) Sandel compie una appassionata disamina delle maggiori concezioni

filosofiche in materia di giustizia. All’esposizione di ogni teoria e dei suoi punti di forza

seguono le possibili obiezioni e gli esempi di situazioni in cui tale teoria risulta in difficoltà.

Questa modalità, che collega i grandi interrogativi filosofici a situazioni concrete e di

attualità storica e politica, unità a un modo chiaro e diretto di scrivere, rende il libro

particolarmente appassionante e facile da seguire. In una sorta di crescendo Sandel

finisce esponendo la sua critica comunitarista alle teorie esaminate, giudicare troppo

individualiste. Giustizia è un libro appassionante, di ampio respiro, che sollecita sia

l’emozione che il senso critico del lettore.

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PUNTI CHIAVE

Esistono molti modi diversi di pensare la giustizia e ogni teoria ha punti di forza e

di debolezza

L’utilitarismo pone l’accento sulla massimizzazione della felicità generale

Il libertarismo insiste sul diritto di proprietà e sul rispetto degli accordi volontari

L’etica kantiana accentua l’importanza dell’autonomia, anche dai desideri e dagli

interessi contingenti

Il liberalismo di Rawls si affida ai principi che condivideremmo trovandoci dietro

un velo d’ignoranza

Ma ciascuna di queste teorie si fonda su una visione eccessivamente

individualistica

Esistono degli obblighi che vincolano i membri di una comunità al di là del loro

consenso

Sulla base di questo riconoscimento il comunitarismo si oppone al liberalismo

nelle sue varie forme

RIASSUNTO

Utilitarismo, Bentham e Mill

I modi di pensare e concepire la giustizia possono essere molto diversi. Alcuni mettono la

giustizia in relazione al rispetto della libertà, altri al benessere e all’utilità, altri ancora alla

virtù. Ad esempio: le filosofie utilitariste sostengono la ricerca del maggiore benessere

possibile per il maggior numero di persone; i liberali e i libertari pongono l’accento sul

rispetto dei diritti individuali e sulla libertà; altri, come Aristotele nell’antichità o come

diverse confessioni religiose, mettono in relazione la giustizia alla pratica della virtù. Nella

vita delle società democratiche odierne le divergenze in materia di giustizia sono molte,

hanno grande rilevanza politica e sono spesso oggetto di aspri scontri. Sono questioni su

cui si vincono e si perdono le elezioni.

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L’utilitarismo è una corrente filosofica, nata con Jeremy Bentham, che ritiene che

la giustizia corrisponda alla massimizzazione della felicità. Bentham formulò tale teoria

nella convinzione che gli uomini siano, e non possano che essere, governati dal piacere e

dal dolore. Il principio fondamentale dell’etica in accordo con tale natura umana è

aumentare la felicità e diminuire il dolore: una decisione che produce maggiore felicità è

più giusta di una che ne produce meno. Si tratta di una filosofia etica che ritiene la

giustizia una questione di calcolo. Anche se istintivamente possiamo provare una certa

avversione a questo modo di impostare la questione, l’utilitarismo sostiene che si tratta

dell’unica davvero razionale.

Gli utilitaristi credono nell’azione politica, se si risolve in maggiore felicità collettiva.

Secondo l’utilitarismo il legislatore deve compiere un “calcolo felicifico”, per determinare

quali azioni intraprendere. Si tratterà di portare avanti quelle riforme che porteranno alla

collettività maggiori effetti positivi, a discapito di minori effetti negativi. Dopo Bentham,

John Stuart Mill tentò di ripensare l’utilitarismo per rispondere alle critiche che erano

state mosse alla sua precedente formulazione. Egli fu allo stesso tempo un utilitarista e un

grande sostenitore dei diritti, delle libertà individuali e della minimizzazione del ruolo

dello Stato.

Per lui finchè una persona non fa male ad altri deve essere libera di fare qualsiasi cosa

desideri. Cercò di conciliare i due aspetti sostenendo che il calcolo dell’utilità deve essere

fatto guardando alla collettività e al lungo periodo, e che rispettando le libertà individuali,

si arriverà al massimo della felicità umana. Ad esempio la soppressione delle minoranze

dissenzienti, potrebbe forse apportare maggiore felicità nel presente, ma sarebbe un

fallimento nel lungo periodo. L’opinione dei dissenzienti potrà rivelarsi vera, o vera in

parte, e anche se così non fosse, avrà generato una discussione utile e aiutato la

maggioranza a non fossilizzarsi nel dogmatismo e nel pregiudizio.

Obiezioni all’utilitarismo

L’obiezione principale all’utilitarismo è che negando i diritti individuali e affidandosi

unicamente all’idea della massimizzazione della felicità, finisce per affidarsi criticamente

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alla maggioranza. La maggioranza potrà fare delle minoranze ciò che vuole: per

esempio, se nel vedere un cristiano divorato dai leoni, migliaia di romani provano

appagamento, il calcolo dell’utilitarista dirà che la giustizia richiede di dare i cristiani in

pasto ai leoni.

Molte persone pensano che un benessere, sia pure per molti, fondato sulla sofferenza e

lo sfruttamento di pochi, non sia affatto giusto, ma al contrario moralmente inaccettabile.

Per molti il motivo per non aggredire chi è in minoranza è che così facendo gli si farebbe

torto e non per un calcolo di maggiore o minore convenienza generale.

Il libertarismo

Per i libertari la giustizia ha a che fare con il rispetto della libertà di ciascuno, e l’unico uso

lecito della forza è quello per la difesa di tale libertà. Ne deriva che lo Stato ha la sola

funzione di difendere la proprietà, far rispettare i contratti, e garantire l’ordine pubblico.

Ogni altra funzione è illegittima. In accordo con queste idee i libertari giudicano

inaccettabili gran parte di ciò che oggi fanno gli Stati: dal paternalismo delle leggi fatte per

evitare che le persone si facciano del male, alla redistribuzione della ricchezza, dalla

regolamentazione del mercato, al sistema del welfare, dalle leggi volte a imporre una

morale, agli interventi militari all’estero.

Per i libertari la giustizia non a che fare con la massimizzazione della felicità e neanche

con una precisa distribuzione delle risorse, essa riguarda piuttosto il modo in cui le risorse

sono acquisite e scambiate. Si tratta di una concezione procedurale della giustizia: se una

persona ha ottenuto ciò che possiede in modo legittimo, cioè tramite il proprio lavoro e lo

scambio volontario, è giusto che lo possieda. Non è dunque ammissibile derubare i ricchi

per dare ai poveri, qualsiasi cosa dica il calcolo felicifico: possiamo tutti auspicare che i

ricchi aiutino i bisognosi, ma devono farlo volontariamente.

Robert Nozick in Anarchia, Stato, Utopia ha illustrato e difeso con maestria il libertarismo.

Secondo Nozick la semplice osservazione delle disuguaglianze economiche non ci dice

nulla sulla giustizia della distribuzione delle risorse, perché per pronunciarci su di essa

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dobbiamo considerare come esse sono state acquisite. In questo modo si

determina chi ne sia il legittimo proprietario. E proprio la difesa della proprietà, a partire

dal fatto che ciascun uomo è proprietario di sé, è il cuore del libertarismo. Se qualcuno ha

diritto a sottrarmi parte dei frutti del mio lavoro, è come se avesse diritto a costringermi a

lavorare per lui e per i suoi scopi e dunque io sarei, almeno in parte, proprietà di questa

persona.

Obiezioni al libertarismo

Molti critici del libertarismo mettono in luce come non tutto ciò che un uomo si procura

derivi dal suo lavoro e dalla sua capacità, o comunque da meriti individuali. Ad esempio

Michael Jordan ha senza dubbio lavorato duro, ma non ha meritato il suo talento, ed è

stato fortunato anche a nascere in una società che dà grande valore all’abilità nel giocare

a basket. Il suo successo riposa dunque anche sulla fortuna e sulla collettività.

Il concetto di auto-proprietà inoltre, se portato fino in fondo, ha molte implicazioni

discutibili, con cui gran parte delle persone avrebbe dei problemi morali. Permetterebbe

di vendere i propri organi, e di farlo anche nel caso in cui il venditore non potrebbe

sopravvivere senza di essi. Permetterebbe dunque il suicidio ed anche il suicidio assistito,

come forma di contratto fra adulti consenzienti. Consentirebbe persino il cannibalismo

consensuale.

Il mercato

Uno dei problemi che più spesso viene affrontato nelle discussioni sulla morale è quello

del mercato. Esistono beni che il denaro non può o non dovrebbe potere comprare?

Alcune persone non ritengono libere le scelte degli attori nel mercato e ritengono che

alcuni beni risulterebbero sviliti o pervertiti dalla compravendita. Ad esempio è più giusto

un esercito di leva o a pagamento? La leva obbligatoria è sempre stata molto odiata e

avversata, e fu una delle questioni che motivavano l’opposizione alla guerra nel Vietnam.

D’altronde un esercito di volontari può risultare insufficiente per le esigenze cui si vuole

rispondere, per cui in assenza di leva occorre rivolgersi al mercato del lavoro e assoldare

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professionisti della guerra e imprese private, che acconsentono a svolgere il lavoro

in cambio di stipendi e benefit.

Le obiezioni principali al mercato sono due. La prima mette in questione l’equità e la

libertà. Chi è guidato dalla necessità non è libero di scegliere. Se chi si arruola nell’esercito

lo fa perché non ha altre possibilità, nella sua scelta non vi è più libertà e l’esercito è di

volontari solo in apparenza. La seconda obiezione riguarda le virtù civili e il bene comune.

Secondo questa obiezione il servizio militare è un mestiere diverso dagli altri, è un obbligo

civile verso il proprio paese e in quanto tale riguarda tutti i cittadini. È l’esempio che

esistono beni e servizi particolari che andrebbero sottratti al mercato.

Kant

Kant credeva nell’universalità dei diritti umani, e nel dovere di rispettare tutti gli esseri

umani in quanto tali. Anche la sua idea di giustizia si rifà alla libertà, come il libertarismo,

ma la concezione kantiana di libertà è diversa. Essa non si fonda né sull’auto-proprietà, né

su Dio e non ha che fare con il libero commercio. Kant ribatte all’utilitarismo che

l’approvazione della maggioranza non ci dice affatto se una legge sia giusta o meno, e che

il principio della felicità non dà alcun contributo alla fondazione di un’etica. Inoltre

sostiene che sebbene gli uomini siano guidati dal piacere e dal dolore, non lo sono

sempre: quando è la ragione a comandare essi si sottraggono al dominio dei desideri

dettati dal piacere e del dolore ed è allora che agiscono liberamente. Per Kant libertà è

scegliere razionalmente i propri fini anziché seguire desideri innati.

Il valore morale di un’azione non è dettato dalle sue conseguenza, ma dall’intenzione con

cui essa viene compiuta. Quando agiamo secondo una norma che diamo liberamente a

noi stessi, senza obbedire a fini esterni, quando facciamo qualcosa semplicemente perché

è giusto, allora ciò che facciamo ha valore morale. La norma che non obbedisce a nessun

fine esterno è chiamata da Kant “imperativo categorico”. Le riflessioni di Kant sull’etica si

traducono in una posizione politica che rifiuta l’utilitarismo come fondamento delle leggi,

e sposa invece una teoria della giustizia fondata sul contratto sociale. Per Kant il

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legislatore deve operare come se esistesse un contratto sociale ed essere dunque

vincolato al consenso dei cittadini.

Rawls

Secondo Rawls il modo corretto di pensare la giustizia è chiedersi a quali principi

daremmo il nostro consenso trovandoci in una situazione iniziale di uguaglianza. Se ci

riunissimo per scegliere i principi in base ai quali governare la nostra vita collettiva, e ci

trovassimo in uno stato di uguaglianza, ignorando quale ruolo avremo nella società cosa

sceglieremmo?

Non sceglieremmo l’utilitarismo, perché ciascuno avrebbe timore di appartenere a una

minoranza oppressa. E non sceglieremmo il liberismo per paura di ritrovarci nei panni di

una persona povera, in un sistema che lascia i poveri privi di mezzi e soccorsi. Secondo

Rawls adotteremmo due principi: il riconoscimento delle libertà fondamentali a tutti i

cittadini e l’accettazione di quelle sole disuguaglianze economiche che favoriscono i più

poveri.

La disuguaglianza fra le posizioni e il potere contrattuale delle parti rendono i contratti

che si stipulano nella realtà spesso non equi. Rawls propone un contratto stipulato in una

situazione ideale di assoluta parità fra le parti, dovuta a un immaginario velo d’ignoranza

capace di nasconderci chi saremo nella società che siamo chiamati a fondare. Rawls

ritiene sbagliato lasciare che reddito e ricchezza siano distribuiti dalla storia, dalla

posizione sociale, dalla fortuna o dalla naturale attribuzione di capacità e talenti.

Questi sono criteri arbitrari e casuali, che non soddisfano alcuna esigenza di giustizia. Nel

contempo, è inaccettabile un semplice livellamento egualitario dei redditi, che penalizza

chi ha talenti e capacità. Ciò cui Rawls aspira è un sistema che incoraggi chi è più dotato

ad usare le sue doti, ma introduca dei correttivi, riconoscendo che i compensi ottenuti sul

mercato dai talentuosi devono essere condivisi con la comunità, perché non sono

interamente merito loro.

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La discriminazione positiva

Una questione particolarmente controversa è quella riguardante la “discriminazione

positiva”. L’uso di riservare quote privilegiate d’ingresso nelle università e nelle aziende, a

minoranze discriminate. Questa pratica viene giustificata come un risarcimento per

l’oppressione che alcune componenti della società hanno dovuto subire. Tuttavia essa è

da molti percepita come ingiusta, nel senso che penalizza il merito e che utilizza, sia pure

al contrario, gli stessi metodi di discriminazione etnica e razziale che condanna.

È vero però che nessuno ha diritto a un posto in una università o in un azienda per

qualche sua caratteristica innata, ma che il criterio di accoglienza o di assunzione dipende

dalla missione dell’ente in questione e dal modo in cui i suoi dirigenti scelgono di

perseguirla. Un’università può benissimo decidere di voler privilegiare altri criteri oltre ai

risultati nei test, se ritiene questa la scelta migliore. Il vero scopo di una università è

contribuire al bene comune attraverso l’insegnamento e la ricerca. Anche se queste

attività sono costose e un’università deve reperire molti fondi, la motivazione legata al

denaro non dovrebbe diventare predominante.

La giustizia e la virtù

Le moderne teorie della giustizia cercano di tenere separati i diritti dalla virtù e dal merito

morale. Ma questo può essere messo in discussione. Ad esempio Aristotele presenta una

concezione teleologica della giustizia: dobbiamo indagare sullo scopo di un bene per

sapere come sia giusto usarlo e a chi spetti. Nel caso di una università, o di ogni altra

istituzione sociale, dobbiamo interrogarci su quale sia il suo fine. Per Aristotele il fine della

politica, il motivo per cui i cittadini si sono associati in una comunità, è imparare a vivere

una vita buona. Favorire il benessere economico o garantire la difesa fanno parte dei

compiti di uno Stato, ma non li esauriscono, perché lo scopo di uno Stato è “il vivere

bene”.

Per comprendere cosa sia il bene è necessario il confronto: è parlandone insieme con gli

altri che impariamo a discernere il bene e il male e a deliberare in merito, è questa la

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funzione della associazione politica. La convivenza, la partecipazione politica e le

leggi, formano il carattere e le virtù civili. Una simile concezione della giustizia viene

rifiutata dalle teorie moderne nel nome della libertà: il problema non è mettere la

persona giusta al posto giusto, ma riconoscere alle persone la possibilità di scegliere per

sé stesse.

Liberalismo e comunitarismo

Nelle moderne teorie della giustizia prevale una impostazione individualistica in cui il

consenso ha un grande peso. Per Locke gli uomini sono per natura liberi, uguali e

indipendenti, per cui non possono essere sottoposti forzosamente a un ordine politico

senza il loro consenso. Per Kant gli uomini devono essere autonomi, cioè governati da una

legge che essi stessi si danno, secondo ragione. Per Rawls dobbiamo cercare il consenso

reciproco sui principi generali della giustizia astraendoci dalla nostra identità particolare.

Per i filosofi moderni dunque si tratta innanzitutto di stabilire diritti e doveri.

L’individualismo moderno ritiene che l’uomo sia un essere morale in quanto capace di

scegliere e valorizza innanzitutto la sua libera scelta.

Kant, Rawls, i libertari e tutti coloro che si rifanno al liberalismo accettandone

l’impostazione individualista non riconoscono abbastanza spazio ai legami comunitari

dell’individuo. Non riconoscono cioè che vi siano obblighi ed esigenze etiche cui si è

soggetti pur non avendoli scelti e che derivano dal fatto di far parte di una comunità. Il

liberalismo non riesce a dare conto degli obblighi reciproci che abbiamo in quanto

cittadini, riconosce solo gli obblighi specifici che ci assumiamo col consenso o quelli

universali che ogni uomo ha verso ogni altro uomo.

Il “comunitarismo” si oppone al liberalismo in quanto riconosce che esistono degli

obblighi di solidarietà che non richiedono uno specifico consenso individuale, perché

appartengono a ogni membro di una comunità in quanto tale. E a partire da questo

riconoscimento propone una “politica del bene comune”, determinata ragionando

insieme sulla vita buona, e decisa a prendere sul serio le questioni etiche e spirituali e a

permettere che prevalgano su quelle meramente economiche. Deve essere il dibattito

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politico a decidere le regole e i confini etici entro cui il mercato, gli individui e il

consenso possono operare.

CITAZIONI RILEVANTI

L’utilitarismo

«Tutti noi amiamo il piacere e rifiutiamo il dolore, e questo è il fatto che la filosofia

utilitaristica riconosce e stabilisce come fondamento della vita morale e politica.

Accrescere al massimo l’utilità è un principio dominante non solo per i singoli, ma anche

per i legislatori; nel decidere quali leggi approvare o quali politiche perseguire, un

governo deve adottare qualsiasi comportamento serva a rendere più felice la comunità

nel suo insieme.» (p.43)

Libertarismo

«I libertari auspicano un mercato svincolato da qualsiasi freno e sono contrari a ogni

forma di regolamentazione imposta dal governo, in nome non dell’efficienza economica,

ma della libertà degli esseri umani. La loro idea primaria è che ciascuno di noi ha un

diritto fondamentale alla libertà, quello di usare le cose di sua proprietà in qualunque

modo gli piaccia, purché rispetti il diritto degli altri di fare lo stesso.» (p.71)

L’etica Kantiana

«Dunque se siamo capaci di libertà dobbiamo essere in grado di agire non secondo una

legge che ci è data o ci è imposta, ma in base a una norma che siamo noi stessi a darci; ma

quale potrebbe essere l’origine di una norma simile? Kant risponde: la ragione. Noi non

siamo soltanto esseri senzienti, dominati dal piacere e dal dolore trasmessi dai nostri

sensi; siamo anche esseri raziocinanti, capaci di ragione. Se è la ragione a determinare la

mia volontà, allora la volontà diventa il potere di scegliere in autonomia rispetto ai

dettami della natura o dell’inclinazione» (p. 136)

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John Rawls

«Rawls è convinto che dal contratto ipotetico scaturirebbero due principi di giustizia. Il

primo assicura a tutti i cittadini le libertà fondamentali e paritetiche: di parola, di

coscienza, di religione eccetera; è un principio che ha la precedenza sulle considerazioni

di utilità sociale e di benessere generale. Il secondo principio riguarda l’eguaglianza

sociale ed economica; non esige che il reddito e la ricchezza siano distribuiti alla pari, ma

consente solo quelle disuguaglianze sociali ed economiche che finiscono col favorire i

membri della società meno avvantaggiati.» (p. 162)

Il comunitarismo

«Il punto debole della concezione liberale della libertà è strettamente connesso a ciò che

la rende attraente; se concepiamo noi stessi come soggetti liberi e indipendenti, senza

nessun vincolo etico che non sia stato scelto da noi, non possiamo darci ragione di tutta

una serie di obblighi politici e morali che in via ordinaria riconosciamo e addirittura

apprezziamo. Sono compresi fra questi i doveri di solidarietà e lealtà, la memoria storica e

la fede religiosa: esigenze morali nate dall’appartenenza a una comunità e tradizioni che

plasmano la nostra identità [..]» (p. 248)

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L’AUTORE

Michael Sandel (Minneapolis, 1953) è un filosofo politico statunitense, famoso per i suoi

studi sulla teoria della giustizia e in particolare per la sua critica alla teoria della giustizia di

John Rawls. Sandel è un comunitarista, si oppone cioè al liberalismo, al capitalismo e

all’individualismo, per sposare una visione che accentua l’importanza della comunità. Per

Sandel e per il comunitarismo la politica deve mirare a promuovere la virtù e la vita

buona, intesi come fini superiori al mero benessere materiale ed economico, e dunque

intervenire per limitare il mercato a questo fine.

NOTA BIBLIOGRAFICA

Michael Sandel, Giustizia. Il nostro bene comune, Feltrinelli, Milano, 2010, p. 332,

traduzione di Tania Gargiuolo.

Titolo originale: Justice. What’s the right thing to do?