Giuseppe Parini

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GIUSEPPE PARINO La vita, le opere e il pensiero poetico Tre Brani antologici Critica

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Un lavoro realizzato dagli studenti per illustrare la personalità umana e letteraria di Giuseppe Parini.

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GIUSEPPE PARINO

La vita, le opere

e il pensiero poetico

Tre Brani antologici

Critica

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INDICEINDICE

Indice

La Vita e le Opere

Parini mod ill

Le prime odi

Il mattino e il Mezzogiorno

Le ultime odi e il Neoclassicismo

Il Vespro e la Notte

Antologia pariniana

Critica

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LA VITA

Giuseppe Parino, che cambierà in seguito il suo cognome in Parini, nacque in Brianza, a Bosisio (in provincia di Lecco), presso il lago di Pusiano da Francesco Maria Parino, modesto commerciante di seta, e da Angiola Maria Carpani, sorella del curato di un paese vicino.Quella del poeta era una famiglia di estrazione popolare e numerosa, il padre non potendo permettersi di mantenere il figlio agli studi lo affidò, a dieci anni, alle cure di una prozia che abitava a Milano; qui Giuseppe venne iscritto alle classi inferiori delle Scuole di Sant'Alessandro, o Scuole Arcimbolde, gestite dai padri barnabiti.Nel 1741 la prozia lasciò in eredità al nipote dodicenne una modesta rendita annua in beni immobiliari, a condizione che divenisse sacerdote. Il giovane, che era debole di salute e desiderava continuare gli studi, si avviò suo malgrado al sacerdozio (prenderà i voti nel 1754) e proseguì gli studi senza grande profitto, come risulta dai registri della scuola.Gli scarsi risultati agli studi sono da ricondurre alle difficoltà economiche ( per aiutare i genitori, che nel frattempo erano venuti ad abitare a Milano, il giovane fu costretto a dare lezioni private e a copiare carte per vari studi legali) ma soprattutto a una

spiccata insofferenza verso i metodi rigidi e antiquati dell'insegnamento.Degli anni trascorsi in quella scuola conservatrice anche se prestigiosa, della quale furono allievi anche Pietro Verri e Cesare Beccaria, al poeta rimasero più che altro le letture personali dei classici greco-latini, come Anacreonte, Virgilio, Orazio e quella degli scrittori italiani, Dante, Ariosto oltre ai poeti del settecento.

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La prima raccolta di poesieTerminate le scuole nel 1752, grazie ad una maggiore, anche se modesta, sicurezza economica dovuta alla rendita della prozia (che aveva ottenuto nel 1751 in seguito ad una causa con l'esecutore testamentario, Antonio Rigola), il giovane pubblicò una prima raccolta di rime, dal titolo Alcune poesie di Ripano Eupilino (Ripano è l'anagramma di Parino, Eupili è il nome latino del lago di Pusiano: Parino da Eupili) sottoforma di novantaquattro componimenti di carattere sacro, profano, amoroso, pastorale e satirico, che risentono della sua prima formazione culturale e soprattutto dello spirito bernesco.Da questi versi semplici e non encomiastici, si riscontra l'immagine di un giovane ancora socialmente e intellettualmente isolato che non conosce i dibattiti dell'ambiente lombardo ma che è ancora rivolto all'ambito dell'Arcadia e del classicismo cinquecentesco.Grazie però ad una certa fama acquisita con questa raccolta, il Parini venne accolto nel 1753 nell'Accademia dei Trasformati che si radunava in casa del conte Giuseppe Maria Imbonati ed era formata dal meglio dei rappresentanti della cultura milanese, dove troverà amici e protettori.

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Membro dell'Accademia dei Trasformati e precettore di casa SerbelloniDopo aver ottenuto a Lodi i voti sacerdotali, il 14 giugno del 1754, fu ordinato sacerdote ma le risorse economiche piuttosto scarse per farlo vivere in modo dignitoso, lo costrinsero ad accettare l'aiuto dell'abate Soresi che lo sosterrà nell'entrare al servizio del duca Gabrio Serbelloni come precettore dei suoi quattro figli.Il servizio a casa Serbelloni durò dal 1754 fino al 1762 e, pur non dandogli la sicurezza economica, lo mise a contatto con persone di elevata condizione sociale e di idee aperte, a partire dalla contessa Vittoria, al padre Soresi, al medico di casa, Giuseppe Cicognini (in seguito direttore della facoltà di medicina di Milano).Intanto in casa Serbelloni il Parini osservò la vita della nobiltà in tutti i suoi aspetti ed ebbe modo di assorbire e rielaborare alcune nuove idee che arrivavano dalla Francia di Voltaire, Montesquieu, Rousseau, Condillac e dell'Encyclopédie, che influenzarono gli scritti di questo periodo al quale risale, tra gli altri, il Dialogo sopra la nobiltà (1757), le odi La vita rustica, La salubrità dell'aria (1759) e La impostura (1761).Sempre in questo periodo scrisse, per i Trasformati, una polemica letteraria contro i Pregiudizi delle umane lettere (1756) del padre Alessandro Bandiera con il titolo Due lettere intorno al libro intitolato "I pregiudizi delle umane lettere" e nel 1760 una nuova polemica letteraria contro i "Dialoghi della lingua toscana" del padre barnabita Onofrio Branda.Nell'ottobre del 1762, per aver difeso la figlia del compositore e maestro di musica Giovanni Battista Sammartini che era stata schiaffeggiata dalla duchessa in uno scatto d'ira, fu licenziato e, abbandonata casa Serbelloni, venne presto accolto dagli Imbonati come precettore del giovane Carlo al quale il poeta dedicherà, nel 1764, l'ode La educazione.

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La protezione di Carlo Giuseppe FirmianNel marzo del 1763, incoraggiato dagli amici del gruppo dell'accademia e da conte Firmian pubblicò, anonima, presso lo stampatore milanese Agnelli, il Mattino che otterrà accoglienza favorevole dalla critica e soprattutto dal Baretti che, nel primo numero della rivista La frusta letteraria, uscito il 1° ottobre del 1763, dedicava una critica positiva all'opera.Nel 1765 uscirà, ancora anonimo, il secondo poemetto il Mezzogiorno che, tranne il giudizio negativo di Pietro Verri sul "Caffè", otteneva da altre testate accoglienza positiva.I due poemetti, con la satira della nobiltà decaduta e corrotta richiamarono l'attenzione sul Parini e nel 1766 il ministro Du Tillot lo chiamò per ricoprire la cattedra di eloquenza presso l'università di Parma, cattedra che egli rifiutò nella speranza di poter ottenere una cattedra a Milano. Nel 1768 la fama acquisita gli procurò la protezione del governo di Maria Teresa che era rappresentato in Lombardia dal conte Carlo Giuseppe de Firmian che, intuendo le sue potenzialità poetiche, lo nominò nel 1768 poeta ufficiale del Regio Ducale Teatro e venne incaricato di adattare per la scena lirica la tragedia Alceste di Ranieri de' Calzabigi.Nello stesso anno il conte gli affidò la direzione della "Gazzetta di Milano", organo ufficiale del governo austriaco, e nel 1769 la cattedra di eloquenza e belle arti presso le Scuole Palatine.Tra il 1770 e il 1771 Parini scrisse il testo delle opere teatrali l'Amorosa incostanza e l'Iside salvata, in occasione di due cerimonie di corte, e l'opera pastorale Ascanio in Alba per le nozze dell'arciduca Ferdinando d'Austria con Maria Beatrice d'Este, che verrà successivamente musicata da Mozart, catalogata come opera K111.

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Le traduzioni dal franceseTradusse dal francese la tragedia "Mitridate re del Ponto" (Mithridate nell'originale) di Racine, che Mozart aveva musicato precedentemente - sulla base del libretto ricavato da Vittorio Amadeo Cigna-Santi - ricavandone l'opera omonima K87 rappresentata per la prima (e forse unica) volta sempre a Milano il 26 dicembre 1770.

Nel 1771 tradusse, in collaborazione di alcuni "Accademici trasformati" tra cui il Verri una parte del poemetto "La Colombiade" pubblicato da Anne Marie Du Boccage.

La partecipazione alla riforma scolasticaNel 1774 fece parte di una commissione istituita per proporre un piano di riforma delle scuole inferiori e dei libri di testo e intanto si dedica alla composizione de Il Giorno e delle Odi.

Membro della società patriotticaNel 1776 gli venne attribuita una pensione annua dal papa Pio VI e fu nominato ordinario della Società patriottica istituita da Maria Teresa per l'incremento dell'agricoltura.

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La composizione delle OdiCon il nome di Darisbo Elidonio entrò nel 1777 a far parte dell'Arcadia di Roma proseguendo intanto nella composizione delle odi: La laurea (1777), Le nozze (1777), Brindisi (1778), La caduta, In morte del maestro Sacchini, Al consigliere barone De Marini (1783-1784), Il pericolo (1787), La magistratura (1788), Il dono (1789).Nel 1791 il Parini venne nominato Soprintendente delle Scuole pubbliche di Brera e scrisse l'ode La gratitudine. Nello stesso anno vennero pubblicate ventidue delle sue odi con il titolo Odi dell'abate Parini già divolgate. Le ultime due parti del "Giorno", il Vespro e la Notte, pur risultando promesse in una lettera al Boldoni, saranno invece pubblicate postume.

Gli ultimi anni di vitaTra il 1793 e il 1796 ospite del suo amico marchese Febo D'Adda scrisse altre odi (Il messaggio, A Silvia, Alla Musa, la Musica, L'evirazione) e quando i francesi di Bonaparte occuparono Milano entrò a far parte della Municipalità per tre mesi, rappresentando, insieme al Verri, la tendenza più moderata. Presto egli smise di partecipare alle assemblee della Municipalità e poco dopo venne destituito dalla carica.Come appare nel frammento dell'ode A Delia, scritta tra il 1798 e il 1799, il poeta è avverso alla guerra e alla violenza e rifiuta la richiesta di una "ragguardevole donna" che voleva da lui un'esaltazione poetica delle vittorie francesi perché non poteva cantare "i tristi eroi" e "la terra lorda/ di gransangue plebeo".

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La morteIl poeta si spense nella sua abitazione di Brera il 15 agosto 1799, a pochi mesi di distanza dal ritorno degli Austriaci a Milano, dopo aver dettato il famoso sonetto Predàro i filistei l'arca di Dio.

Predàro i Filistei l'arca di Dio; tacquero i canti e l'arpe de' leviti, e il sacerdote innanzi a Dagon rio fu costretto a celar gli antiqui riti. Al fin di terebinto in sul pendio Davidde vinse; e stimolò gli arditi e il popol sorse; e gli empi al suol natio de' dell'orgoglio loro andar pentiti. Or Dio lodiamo. Il tabernacol santo e l'arca è salva; e si dispone il tempio che di Gerusalem fia gloria e vanto. Ma splendan la giustizia e il retto esempio; tal che Israel non torni a novo pianto, a novella rapina, a novo scempio.

Venne sepolto a Milano nel cimitero di Porta Comasina con funerali molto semplici come egli stesso aveva voluto nel suo testamento:"Voglio, ordino e comando che le spese funebri mi siano fatte nel più semplice e mero necessario, ed all'uso che si costuma per il più infimo dei cittadini".

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PARINI, UN MODERATO ILLUMINISTA

-Parini non condivide il materialismo e le posizione antireligiose ed edonistiche degli illuministi francesi(deismo,non ateismo)-Condivide l’egualitarismo sociale,l’umanitarismo o filantropismo.-Critica la nobiltà degenerata dei suoi tempi per il suo parassitismo sociale.Il nobile è ”colui che da tutti servito a nullo serve”(Vespro)Nel Giorno illustra i tre aspetti per cui la nobiltà è oziosa:*piano economico:vive di rendite provenienti dal lavoro altrui.*piano culturale:non si dedica agli studi utili all’avanzamento della cultura e della scienza.*piano civile:non ricopre cariche e magistrature utili alla “pubblica felicità”.-Non è ostile alla nobiltà in sé,ma al suo degrado.Non auspica quindi l’eliminazione di questa classe,ma una sua rieducazione che la riporti ad assumere il ruolo che le compete e che un tempo possedeva.

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- Dissente dal cosmopolitismo per due ragioni: *Culturale:favorendo il cosmopolitismo,si rischia di snaturare la cultura

italiana. *Linguistico:l’osmosi linguistica con l’introduzione di francesismi contamina

la purezza della lingua italiana. - Si accanisce sul piano letterario e linguistico contro gli uomini del Caffè

perché respingevano il classicismo tradizionale e retorico in nome di una letteratura asservita all’utile,cioè alla diffusione dei “lumi”. Egli invece è fedele ad un’idea classica della letteratura che conservi la dignità formale.

- Fiducia nella scienza che consente il progresso e il miglioramento della vita sociale e il raggiungimento del bene civile. Non approva però che la letteratura diventi subordinata alla scienza e che sia anch’essa destinata a fini puramente pratici.Ma egli invita piuttosto a mescolare l’utile al dilettevole,cioè la letteratura deve essere veicolo di diffusione delle nuove idee ma deve al tempo stesso conservare la sua bellezza formale e la sua dignità.

- Abbraccia la teoria fisiocratica che privilegia l’agricoltura come fonte di una vita semplice,a contatto con la natura che è alla base di ogni ricca nazione in contrasto con gli illuministi,propugnatori del commercio e dell’industria che garantivano il progresso e la ricchezza ma che secondo Parini incrementavano il lusso e quindi la corruzione dei costumi,provocando la decadenza delle civiltà. Con le lodi all’agricoltura,Parini appoggia le forze più conservatrici,in quanto le proprietà agricole erano in possesso della nobiltà,mentre il commercio e l’industria portavano alla ribalta classi nuove ed intraprendenti:la borghesia.

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Parini può essere annoverato tra gli intellettuali riformatori dell’Illuminismo lombardo,ma non bisogna confonderlo con le tendenze più radicali ed estremistiche.Infatti egli era “moderato” e questo spiega i difficili rapporti con Verri,Beccaria e gli illuministi del “Caffè”.

In seguito alle delusioni per le riforme di Giuseppe II,successore di Maria Teresa,che non era un fervente illuminista,e per la Rivoluzione Francese le posizioni di Parini e gli altri illuministi si avvicinarono.

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LE PRIME ODI E LA BATTAGLIA ILLUMINISTICA

L’ode era un genere lirico già introdotto dall’Arcadia, riprendendo modelli della poesia greca e latina, essa assumeva contenuti elevati e toni solenni. Le 22 Odi furono scritte da Giuseppe Parini come poesia d'occasione in un ampio lasso di tempo che va dal 1758 al 1790. La componente arcadica e quella illuministica confluiscono nell’adesione alla sensibilità neoclassica e sono divisibili in tre fasi:-La prima fase giunge agli anni Settanta. È caratterizzata da una forte componente legata alla battaglia illuministica del poeta,in cui la visione del Parini, fondamentalmente classicista, si fonde con riflessioni sul "come" si vive.-La seconda fase ha soprattutto un indirizzo educativo, e possiamo collocare l'inizio di questa fase nel 1777 circa, con La laurea. Ma è La caduta a rappresentare il vero emblema

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della poesia del Parini: il poeta vecchio e malandato cade, un passante lo raccoglie e gli suggerisce di comportarsi più servilmente con i potenti che lo hanno lasciato solo. Il poeta, sdegnato, rifiuta di piegare la testa. -La terza fase è invece prettamente neoclassica, l'animo nobile e la dignità del ruolo del poeta sono al centro delle odi, intrise di bellezza antica, erotismo, sentimenti, che appaiono al poeta, illuminate da una luce calda e ferma che finalmente mostra al poeta ciò che egli ama ma che non riesce a vivere fino in fondo.Diverse furono le edizioni delle odi pariniane:-(1791) Agostino Gambarelli con l’approvazione di Parini pubblicò una prima raccolta delle 22 odi;-(1795)Esce una nuova edizione che comprendeva 3 odi posteriori al 1791;-(1802)Ultima raccolta allestita da Francesco Reina.

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SCHEMA ARGOMENTATIVO DELLE PRIME ODI

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Le tematiche della prima raccolta

La vita rustica: accanto alla tradizionale visione idillica della campagna, si coglie già una visione nuova del lavoro dei contadini, inteso come attività socialmente utile da cui nascono benessere e prosperità, secondo le teorie fisiocratiche. La salubrità dell’aria : torna la stessa visione della campagna. Al centro dell’ode vi è il problema ecologico, cioè dell’igiene e della salute pubblica. L’impostura: Parini si scaglia contro ogni forma di ipocrisia delineando una serie di figurine di impostori con un ironia vicina a quella del Giorno. L’educazione: viene affrontato il problema dell’ istruzione. Parini si indirizza alla formazione del ceto dirigente che vuole riportare all’antica funzione sociale. Al centro vi è un idea di formazione umanistica fondata su un armonia tra corpo e spirito. L’innesto del vaiuolo: Parini si riferisce agli esperimenti in corso a quel tempo esaltando la scienza moderna contro ogni forma di pregiudizio come fattore essenziale non solo dell’incremento delle conoscenze teoriche ma anche del rinnovamento dell’umanità.Il dottor Bicetti ,a cui l’ode è dedicata, diventa il simbolo del nuovo filosofo. Il medico diviene il nuovo eroe della civiltà illuministica. Il bisogno: Parini in consonanza con i principi della giurisprudenza contemporanea, afferma che sono il bisogno e la miseria a determinare la maggior parte dei delitti, e quindi non occorre punirli, quanto prevenirli. Alla base dell’ode sta anche il motivo del filantropismo, un senso di pietà solidale per gli uomini e le loro sofferenze. L’evirazione: o la Musica si scaglia contro il costume di evirare i giovani cantori per mantenere le loro voci di soprano. Qui vi è lo sdegno per una pratica barbara e incivile. Parini indaga le precise cause sociali del fenomeno per trovare il modo di eliminarlo; e le individua nell’egoismo dei potenti, pronti a mutilare l’uomo e annegare la sua dignità per soddisfare la loro ricerca del piacere.

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Le odi pariniane sono odi di battaglia, animate dalla fiducia di poter mutare la realtà con la diffusione di idee giuste. In esse vi è la consapevolezza di rivolgersi ad un pubblico solidale. Nell’affrontare argomenti di stringente attualità, Parini si impegna in un opera di conciliazione secondo il gusto classico, a cui deve competere la poesia. Il poeta utilizza moderatamente un lessico ricavato dalle scienze moderne.

E’ rilevante l’adesione di Parini alla poetica del sensismo. Parini utilizza espressioni vivacemente ardite e realistiche, ricche di forza sensibile, capaci di suscitare immagini intensamente visive, plastiche, tattili, foniche, olfattive.

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La sintassi mira alla complessità del periodare latino e presenta continuamente quelle inversioni che sono proprie della frase degli antichi, in particolare di Orazio. Il poeta è condizionato dall’eredità retorica del letterato tradizionale. Si trova sempre nelle sue odi la preoccupazione di legittimare le materie impoetiche sublimandole attraverso il linguaggio consacrato dalla tradizione classica. Parini è moderatamente riformatore in campo sociale e politico. In poesia introduce importanti innovazioni, avendo cura di conservarne intatti gli elementi caratterizzanti.

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IL giorno

Si articola in tre parti: il Mattino, il Mezzogiorno, e la Sera divisa in Vespero e NotteÈ un poema in endecasillabi scioltiVuole rappresentare satiricamente la nobiltà del tempoDescrive la giornata del “giovin signore” della nobiltà milaneseL’autore, suo precettore, vuole insegnargli come riempire piacevolmente i vari momenti della giornata, vincendo la noia che lo affliggeOsserva la sua realtà al microscopio, in un tempo limitato (fra il risveglio e il tramonto) e in uno spazio chiuso (la stanza, la sala da pranzo, la carrozza)Il tono è ironico, cioè finge di approvare e condividere quello che in realtà vuole criticare aspramente:

IL MATTINO E IL MEZZOGIORNO

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usa termini iperbolici per celebrare il vuoto dell’aristocraziaparagona i nobili a semidei quando compiono i gesti più banali, come sbadigliare o bere una tazzina di caffèall’ozio frivolo dei nobili contrappone l’operosità dei contadini e degli artigiani, che si dedicano ad attività utili alla loro famiglia e a tutta la comunitài plebei sono travolti dalle ruote della carrozza lanciata a folle corsail servo è licenziato per aver dato un calcio alla cagnetta che l’aveva morso e dovrà chiedere l’elemosinai mendicanti affamati si accalcano intorno al palazzo patrizio per annusare almeno l’odore dei cibila nobiltà si preoccupa solo della sua vita futile ed oziosa, ed ignora i drammi del mondo vero, attivo ed operoso ma maltrattato ingiustamente

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Il Mattino: il nobile si sveglia a tarda mattina dopo una notte di bagordi, e, dopo una toeletta lunga e laboriosa (non pulito ma bello), si reca a trovare la sua dama come ogni cavalier serventeIl Mezzogiorno: a pranzo dalla dama con una folla di persone nobili ma volgari e in tintinnio di oggetti preziosiIl Vespero: la passeggiata sul corso, luogo di pettegolezzi ed unica concessione ad uno spazio apertoLa Notte: la visita ad amici malati, occasione per criticare e non per confortare.

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Le scelte stilistiche

Il linguaggio utilizzato è eletto,prezioso,aulico

Vi è un continuo uso di enjambements ed aggettivi in funzione esortativa

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LE ULTIME ODI E IL NEOCLASSICISMO PARINIANO

Le cause dell’allontanamento di Parini dalla militanza civile

Giuseppe II;Autoritarismo assolutistico del sovrano;Sviluppo delle scienze a detrimento delle materie umanistiche;Progresso civile imposto dall’alto;Concezione Dirigistica del sapere;

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Disaccordo di Parini:Le lettere e il bello poetico;Non accetta il primato dato alle scienze; Graduale allontanamento da fini civili nella sua letteratura;La musica, ultima ode “illuminista”;La Laurea, rivendicazione della donna;Il distacco aumenta con La recita dei versi e La caduta (autoapologia).Dignità del poeta, indipendente, contrario ai servilismi cortigiani e pronto ad affrontare la povertà.

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Le Odi GalantiIl pericolo, Il dono, Il messaggio

Immagini sensuali della bellezza femminile;

Scultorea perfezione;

Ammorbidite da un’eleganza tutta settecentesca.

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Temi più universali

Meno fiducia nella speranza di poter cambiare il mondo;

Si apparta, si chiude in sé, sdegnoso, depositario dei più nobili valori e del bello disinteressato;

Temi più calmi ed olimpici;

Distaccata saggezza.

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Verso il Neoclassicismo

Forme più composte e nobili:

Depurazione di ogni sentimento realistico;

Influenza di Ercolano e Pompei;

Winckelmann e l’arte greca come modello perfetto, “nobile semplicità”, assenza di ogni moto passionale troppo violento;

Condivide i gusti dell’Accademia in cui insegna;

Nitidezza, semplicità di linee, armonia, serenità.

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Le cause della svolta

Delusione della politica di Giuseppe II;

Distacco dalla militanza;

Conseguente rifugio in forme ideali.Petronio

Maturazione interiore;

Stato d’animo più equilibrato e armonico;

Conseguente accostamento al Neoclassicismo perché simile nelle idee.

Binni

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IL VESPRO E LA NOTTE

VESPRO (517 VERSI PERVENUTI) Il precettore accompagna un giovin signore e la sua dama in visita ad un amico malato e ad un’amica che ha appena avuto un attacco di nervi,suscitando tra i nobili infiniti pettegolezzi.

NOTTE(673 VERSI ED ALCUNI FRAMMENTI)I due amanti si recano ad un ricevimento. Qui sono evidenziate le consuete attività svolte dagli aristocratici. Si nota,inoltre, una coppia di anziani signori che per combattere la noia giocano a carte.

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Polemica antinobiliare più tenue;

Condanna di una classe oziosa e improduttiva;

Scomparsa della volontà pedagogica;

Descrizione delle attività degli aristocratici;

Il senso dell’inarrestabile declinare dell’età;

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Accentuarsi del classicismo

Scomparsa delle arditezze linguistiche

Fluidità della sintassi

Ricerca di compostezza,equilibrio e armonia

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ANTOLOGIA PARINIANA

La salubrità dell’aria

Il giovin signore inizia la sua giornata

La vergine Cuccia

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Questo componimento fa parte del primo gruppo di Odi scritte da Giuseppe Parini. La tematica principale di questo testo è la differenza di condizioni igienico-sanitarie e generalmente ambientali tra Bosisio e la Brianza con Milano. Il componimento si apre con la descrizione dei luoghi d’origine dell’autore, cioè Bosisio e dintorni. Lì l’aria è pura e giova ai polmoni inquinati indeboliti dall’aria di città. Non arriva né lo Scirocco né la Tramontana perché le montagne che circondando il paese non lo permettono. Non ci sono paludi di acqua stagnante che costituiscono la presenza di insetti portatori di malattie. L’unica acqua che c’è all’infuori dei laghi è quella della rugiada che viene asciugata la mattina con il Sole. A questo punto comincia la condanna dell’autore verso colui che ha provocato l’inquinamento di Milano, dimostrando egoismo non tenendo conto della comunità. Egli,secondo la legge del contrappasso, sarà punito a stare nei fanghi del fiume Stige, con il viso sommerso dalla melma e disperandosi per ciò che fece in passato per lucro. I coltivatori di riso nei dintorni di Milano sono definiti malati e l’autore si rivolge al cittadino chiedendogli di riflettere su questi problemi. Ora l’autore esprime il suo desiderio di passare le giornate dove il clima è piacevole, e dove, anche se lavorano, i contadini sono robusti e sani. Descrive la gente di campagna come gioiosa e felici della loro vita, che si accontentato di semplici cose. Ma anche Milano un tempo era così, cioè senza problemi di inquinamento, ma nessuno dei contadini, che pensavano solo ad arricchirsi hanno pensato di preservare questi doni. Oltre alle putride risaie, hanno deviato anche il corso dei torrenti per allagare i propri campi. In seguito descrive le strade della città di Milano: le definisce come fogne a cielo aperto, perché le persone gettano i contenuti dei vasi da notte per strada; carogne di animali che portano malattie e cattivi odori. Anche se dopo il tramonto, i netturbini puliscono tutto, l’indomani tutto ritorna come prima perché i cittadini non hanno rispetto delle leggi e non si rendono conto che se recano un danno alla comunità la recano a loro stessi.

LA SALUBRITA’ DELL’ARIA

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Analisi ed interpretazione del testo

Il componimento è formato da 132 versi, divisi in 22 strofe di 6 versi ciascuna, o sestine. il metro usato è il settenario piano e le rime sono alternate nei primi 4 versi e baciate negli ultimi 2. Quindi lo schema delle rime è: ABABCC. A livello lessicale abbiamo la presenza di molti termini aulici (austro, rubicondo, purgata, palagi…) e latinismi (Eupili, egri, aere,onde, bieco, quivi…) Una particolarità del testo è data dal fatto che l’autore, pur di non usare termini di stile basso, utilizza termini di quello alto che li richiamano indirettamente (spregiate crete per vaso da notte, pane per grano, languenti cultori per coltivatori malati…). Sono presenti due reminiscenze letterarie: l’espressione oh fortunate genti, che riprende Virgilio, e il termine atomi, che è un richiamo al De rerum natura di Lucrezio. A livello sintattico abbiamo un equilibrio la coordinazione per polisindeto e per asindeto. Prevale la costruzione paratattica e abbiamo numerose inversioni: è molto frequente incontrare il soggetto a fine frase con il verbo. A livello retorico il testo è ricco di metafore per evitare l’utilizzo di termini di stile basso. Eccone alcuni esempi:schiena, spregiate crete, lari plebei. Altre figure retoriche presenti sono: la personificazione e ipallage nel termine Borea; la sineddoche nel termine capi; la metonimia per grano nel termine pane; la sinestesia nel termine calda fantasia.

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L’autore descrive un ambiente perfettamente aderente alla realtà. Egli aggiunge maggiore realismo rispetto agli autori passati, sottolineando la dura vita dei campi, ma anche la felicità dei contadini nel veder crescere il proprio raccolto, definendoli vispi e sciolti.Nel testo inoltre sono presenti alcune osservazione che riguardano la realtà contemporanea all’autore come lo sfruttamento intensivo delle campagne a scopo di lucro; l’alta società milanese impregnata di lusso, avarizia e pigrizia; il disprezzo da parte della classe nobile verso il volgo; il non rispetto delle leggi a Milano. Nell’ultima sestina il poeta fa una dichiarazione: l’utilità degli argomenti trattati, la lotta contro il degrado e l’inciviltà e il sostegno delle riforme devono essere unite ad una forma poetica piacevole. Quindi egli non è d’accordo con gli Illuministi, che vedevano solo utilità nella poesia e non bellezza. Per Parini bisogna adattare la raffinatezza poetica a nuove moderne tematiche. Inoltre in questo componimento il Sensismo è molto accentuato: infatti vengono usati molti aggettivi che richiamano l’uso dei sensi, particolarmente la vista e l’olfatto.

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Oh beato terreno del vago EUPILI mio, ecco al fin nel tuo seno 5 m'accogli; e del natìo aere mi circondi; e il petto avido inondi.

Già nel polmon capace urta sè stesso e scende quest'etere vivace,10 che gli egri spirti accende, e le forze rintegra, e l'animo rallegra.

Però ch'austro scortese quì suoi vapor non mena: 15 e guarda il bel paese alta di monti schiena, cui sormontar non vale borea con rigid' ale.

Nè quì giaccion paludi, 20 che dall‘impuro letto mandino a i capi ignudi nuvol di morbi infetto: e il meriggio a' bei colli asciuga i dorsi molli.

25 Pera colui che primo a le triste ozïose acque e al fetido limo la mia cittade espose; e per lucro ebbe a vile30 la salute civile.

Certo colui del fiume di Stige ora s'impaccia tra l'orribil bitume, onde alzando la faccia 35 bestemmia il fango e l'acque, che radunar gli piacque.

Mira dipinti in viso di mortali pallori entro al mal nato riso 40 i languenti cultori; e trema o cittadino, che a te il soffri vicino. Io de' miei colli ameni nel bel clima innocente passerò i dì sereni 45 tra la beata gente, che di fatiche onusta e vegeta e robusta.

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Quì con la mente sgombra,50 di pure linfe asterso, sotto ad una fresc' ombra celebrerò col verso i villan vispi e sciolti sparsi per li ricolti;

55 E i membri non mai stanchi dietro al crescente pane; e i baldanzosi fianchi de le ardite villane; e il bel volto giocondo60 fra il bruno e il rubicondo,

dicendo: Oh fortunate genti, che in dolci tempre quest'aura respirate rotta e purgata sempre 65 da venti fuggitivi e da limpidi rivi.

Ben larga ancor natura fu a la città superba di cielo e d'aria pura: 70 ma chi i bei doni or serba fra il lusso e l'avarizia e la stolta pigrizia?

Ahi non bastò che intorno putridi stagni avesse;75 anzi a turbarne il giorno sotto a le mura stesse trasse gli scelerati rivi a marcir su i prati

E la comun salute80 sacrificossi al pasto d'ambizïose mute, che poi con crudo fasto calchin per l'ampie strade il popolo che cade.

85 A voi il timo e il croco e la menta selvaggia l'aere per ogni loco de' varj atomi irraggia, che con soavi e cari90 sensi pungon le nari.

Ma al piè de' gran palagi là il fimo alto fermenta; e di sali malvagi ammorba l'aria lenta,95 che a stagnar si rimase tra le sublimi case.

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Quivi i lari plebei da le spregiate crete d'umor fracidi e rei100 versan fonti indiscrete; onde il vapor s'aggira; e col fiato s'inspira.

spenti animai, ridotti per le frequenti vie,105 de gli aliti corrotti empion l'estivo die: spettacolo deforme del cittadin su l'orme!

Nè a pena cadde il sole110 che vaganti latrine con spalancate gole lustran ogni confine de la città, che desta beve l'aura molesta.

115 gridan le leggi è vero; e Temi bieco guata: ma sol di sè pensiero ha l'inerzia privata. stolto! E mirar non vuoi120 ne' comun danni i tuoi?

Ma dove ahi corro e vago lontano da le belle colline e dal bel lago e dalle villanelle,125 a cui sì vivo e schietto aere ondeggiar fa il petto?

Va per negletta via ognor l'util cercando la calda fantasìa,130 che sol felice è quando l'utile unir può al vanto di lusinghevol canto.

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IL GIOVIN SIGNORE INIZIA LA SUA GIORNTA

Il precettore istruisce l’allievo aristocratico, non propenso agli studi e al servizio militare, su come riempire le sue vuote giornate. Parini mette a confronto la vita inutile della nobiltà con quella del contadino e del fabbro costretti a lavorare tutto il giorno per guadagnarsi da vivere.Parini mette in risalto il valore del lavoro giudicato indispensabile per la vita dell’uomo. Il contadino non è solo un lavoratore di campi ma un personaggio fondamentale poiché portatore di valori positivi, quali la famiglia e il lavoro; egli utilizza aggettivi (“buon villan”, “caro letto”) per evocare l’intimità degli affetti e il calore familiare; così come il fabbro, lavoratore di città, con il termine “sonante” viene nobilitato attraverso l’evocazione dell’immagine mitologica del dio Vulcano.

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Emerge la concezione illuministica egualitarista di Parini che intende esaltare la virtù del singolo individuo, conquistata con il lavoro, e condannare la figura del nobile che, a causa della sua vita oziosa, degrada il valore della famiglia.Vi è il contrasto tra il lusso corrotto dei nobili e la semplicità dei lavoratori.Emergono due concezioni antitetiche della figura del lavoratore: da una parte vi è la concezione del nobile che vede il contadino come un animale condannato a una vita misera; dall’altra vi è la concezione del poeta secondo cui il contadino è condannato a questa vita ingiustamente.Parini utilizza un linguaggio ironico per mettere in luce la figura negativa del nobile. Egli finge di provare ammirazione nei confronti del giovin signore utilizzando immagini iperboliche che, risultando sproporzionate con la pochezza del nobile, ridicolizzano la figura di quest’ultimo.Il poeta utilizza per ognuno dei tre personaggi un linguaggio aulico che ha l’effetto di svelare la bassezza aristocratica e di innalzare la figura del fabbro e del contadino.

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La voce che racconta è quella del precettore, narratore inattendibile, in quanto presenta i fatti come l’esatto contrario di quelli che nella realtà sono.Si instaura così una complicità tra e l’autore implicito il lettore che è in grado di ricostruire, grazie a quest’ultimo, la realtà dei fatti.L’autore critica il vuoto e la corruzione del mondo nobiliare, restandone tuttavia affascinato per via della raffinatezza e dell’eleganza di quell’ambiente; ciò determina un’ambiguità del poeta.

L’opera si conclude non più con l’uso dell’ironia ma con quella del sarcasmo che mette in luce l’indignazione del poeta al pensiero che la vita umana possa essere disprezzata a causa della futilità dei piaceri aristocratici.

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LA VERGINE CUCCIA

Nella "Vergine Cuccia", che fa parte del "Mezzogiorno", gli invitati al banchetto parlano di vari argomenti, finchè il discorso cade sulla dieta vegetariana: è un delitto non solo cibarsi di carni d'animali, ma anche offenderli in qualunque altro modo( il tutto mentre i camerieri servono arrosto di tacchino e i commensali gustano fagiani ripieni ).In seguito a questo discorso, la padrona di casa scoppia in lacrime, commossa. Contemporaneamente le ritorna in mente il giorno in cui la sua adorata cagnetta, dopo essere entrata nella sala atteggiandosi, morde un servo con l’eburneo dente; per questo viene scalciata violentemente provocando lo sdegno della padrona, che sviene. Rinsavita punisce duramente il servo, e lo licenzia:egli non potendo opporre resistenza finisce in mezzo alla strada con la moglie e i figli a chiedere l’elemosina. Il brano si chiude in maniera ironica con la cagnetta che finalmente ha ottenuto la sua vendetta tanto bramata.

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- E’ uno tra i brani più sarcastici e insieme più drammatici di tutto il “Mezzogiorno". Il sarcasmo - evidente nel linguaggio della dama che trova adorabile la sua cagnetta (“allora che la sua bella vergine cuccia de le Grazie alunna , giovenilmente vezzeggiando…” vv.518-520 ) e deliziosi i suoi dentini, candidi come avorio, e poi giudica il piede del servitore villano e sacrilego - risalta particolarmente nella scena tragicomica dello svenimento e soprattutto negli ultimi versi dove la cagnetta diviene l’idolo di una società ingiusta e tanto corrotta da anteporre all’uomo un animale e fare di quest’ultimo un dio mentre l’altro perde ogni considerazione.

- Il dramma della cagnetta viene visto persino in chiave mitologica: è come se alla cagnetta, infastidita per il calcio, rispondesse la ninfa Eco impietosita. Il riferimento assume così in questo brano valore ironico perché riferito ad un soggetto ridicolo come la cagnetta.

- Il punto di vista, nel corso della narrazione, muta; riguardo al licenziamento del servo vi è un’ambivalenza: nell’ottica della dama vi è compiacimento per la punizione esemplare inflitta all’empio, mentre in quella dell’autore - tra le righe – vi è sdegno morale per la disumanità della padrona nei confronti del servo.

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Dal momento che Parini inizia a raccontare dal suo punto di vista, il tono si fa serio, drammatico, in quanto deve rappresentare l’infelice sorte e il dolore provato dal domestico, licenziato senza possibilità di trovare altro lavoro perché disdegnato anche dalle altre dame.

- L’alternanza dei punti di vista e l’abilissima tecnica narrativa con cui è portato avanti l’episodio fanno emergere come quel mondo frivolo e insulsonasconda in realtà un fondo di cinismo crudele.

- Il breve ritratto del vegetariano mette in luce come la sua delicatezza d’animo sia solo un’ostentazione snobistica:il nobile ritiene troppo facile e banale, troppo volgare rivolgere la sua pietà verso l’uomo. L’ interesse suo e della dama verso gli animali sacrificati nei banchetti cela una crudele ipocrisia: infatti si sdegna per gli animali che vengono uccisi, ma non per il servo che viene crudelmente licenziato.

- Notevole, da parte dell’autore, è l’utilizzo di aggettivi che accompagnano dei sostantivi per meglio rappresentarli.

- Il metro utilizzato da Giuseppe Parini è l’endecasillabo sciolto.

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Qual anima è volgar la sua pietade serbi per l’uomo; e facile ribrezzo déstino in lui del suo simìle i danni,500 o i bisogni o le piaghe. Il cor di questo sdegna comune affetto; e i dolci moti a più lontano limite sospinge. - Péra colui che prima osò la mano armata alzar su l’innocente agnella,505 e sul placido bue: né il truculento cor gli piegâro i teneri belati, né i pietosi mugiti, né le molli lingue lambenti tortuosamente la man che il loro fato, ahimè!

stringea. -510 Tal ei parla, o signor: ma sorge in

tanto a quel pietoso favellar,  da gli occhi de la tua dama dolce lagrimetta, pari a le stille tremule, brillanti, che a la nova stagion gemendo vanno515 dai palmiti di Bacco, entro commoss al tiepido spirar de le prim’aure fecondatrici. Or le sovviene il giorno, ahi fero giorno! allor che la sua bella vergine cuccia de le Grazie alunna,520 giovenilmente vezzeggiando, il piede villan del servo con gli eburnei denti segnò di lieve nota: e questi audace col sacrilego piè lanciolla: ed ella tre volte rotolò; tre volte scosse525 lo scompigliato pelo, e da le vaghe nari soffiò la polvere rodente:

indi i gemiti alzando: Aita, aita, parea dicesse; e da le aurate volte a lei l’impietosita Eco rispose:530 e dall’infime chiostre i mesti servi asceser tutti; e da le somme stanze le damigelle pallide, tremanti precipitâro. Accorse ognuno; il volto fu d’essenze spruzzato a la tua dama:535 ella rinvenne al fine. Ira e dolore l’agitavano ancor; fulminei sguardi gettò sul servo; e con languida voce chiamò tre volte la sua cuccia: e questa al sen le corse; in suo tenor vendetta540 chieder sembrolle: e tu vendetta

avesti vergine cuccia de le Grazie alunna. L’empio servo tremò; con gli occhi al

suolo udì la sua condanna. A lui non valse merito quadrilustre; a lui non valse545 zelo d’arcani ufici. Ei nudo andonne de le assise spogliato onde pur dianzi era insigne a la plebe: e in van novello signor sperò; ché le pietose dame inorridìro, e del misfatto atroce550 odiâr l’autore. Il misero si giacque con la squallida prole, e con la nuda consorte a lato su la via, spargendo al passeggero inutili lamenti: e tu, vergine cuccia, idol placato555 da le vittime umane, isti superba. 

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CRITICAPietro Verri

Alessandro Manzoni

Attilio Momigliano

Francesco de Sanctis

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CRITICA

Giudizi e testimonianze attraverso i secoli L'aspetto morale della personalità e della poesia del Parini raccoglie su di sé l'attenzione e l'esaltazione dei critici e dei lettori, dal Sismondi al Settembrini, mentre il Manzoni inserisce nell'apologia del Parini la sua preoccupazione per una lingua comprensibile a tutti gli italiani e il Leopardi detta una pagina colma di affetto e di commozione. Le riserve nascono proprio in uno scrittore partecipe dello stesso movimento di idee del Parini: in nome di queste il Verri nega validità all'ironia pariniana e quindi anche efficacia ai suoi intenti morali.

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PIETRO VERRI

Moltissima delicatezza d'ingegno e vivacità d'immaginazione è richiesta in chiunque ricerchi di ben maneggiare la sferza del ridicolo, poiché si tratta di solleticar destramente l'amor proprio degli uomini, e risvegliare, senza che essi pur se ne avveggano, le più care e inseparabili loro passioni a combattere con noi. Fra cento che aspirano all'onore di ben riuscirvi, forse due o tre vi riescono, e la maggior parte degenera o in basse e plebee contumelie, ovvero in ricercate e fantastiche allusioni, che risvegliano tutt'al più uno ímprestato sorriso di convenzione dagli astanti, non un sorriso che parte dalla vera compiacenza del cuore. Taluno vuol porre in ridicolo un giovin nobile, ricco, voluttuoso e spensierato; e, per ciò fare, me lo descrive superbamente vestito, e circondato nella persona di tutta la più squisita eleganza che sappia inventare sulle rive della Senna l'ultimo raffinamento del lusso: l'aria ch'ei fende è imbalsamata da profumi deliziosi che spirano dal suo corpo che non sembra mortale; ci discende le scale dopo aver ricevuto i servigi e gli omaggi di una schiera di salariati adulatori; si gitta entro un dorato cocchio mollemente, e preceduto da riccamente gallonati lacche rapidamente percorrere le strade della città, che lo dividono dalla sua bella, dove riceve l'accoglienza la píù distinta. Dico, che colui che per questa strada prende a maneggiare il ridicolo, manca di giudizio per ben maneggiarlo, poiché nessuno, facendo il confronto di sé medesimo colla pittura di quel ganimede, potrà mai sinceramente sentire la superiorità propria sopra di esso, è ridere di cuore per conseguenza.

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Il solo sentimento che da pitture sí bene espresse può nascere è il desiderio di poter fare altrettanto. Io a quel tale direi: « Volete voi porre in ridicolo quello sventato dissipatore de' suoi beni? dipingetelo in un dialogo col mercante creditore; dipingetelo occupato di mille bassissimi intrighi e cabale in secreto per raccogliere con che sostenere il fasto apparente; dipingetelo in conversazione con un uomo di spirito, che rileva e sferza le sciocchezze che escono dalla bocca di uno stordito, e non si arrestano nella gola quand'anche avesse un brillante in ogni dito, cento libbre di ricamo sull'abito, e dieci staffieri nell'anticamera: questa è la strada per cui potrete farne una pittura tale, che i circostanti, confrontandola a se stessi, la trovino posponibile, e ne ridano, e si compiacciano con voi del trionfo che avete dato al loro amor proprio, atterrando un oggetto che con dispiacere vedevano più alto alzarsi del loro livello. Oltre questa malignità, ne nascerà anche un utile sentimento, per cui si modererà in altri la voglia d'imitare quel brillante e vuoto originale; e conoscendo che il fasto e la profusione non fanno mai nascere negli uomini quei sentimenti di stima che producono la virtú e l'ingegno, e conoscendo a quai duri passi conducano la spensieratezza e la trascuranza d'una nobile economia, si volgeranno a cercare altrove migliori oggetti d'invidia, e cercheranno di formarsi buoni, virtuosi e illuminati cittadini. Questa è la strada che convien battere », direi a quel tale.

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ALESSANDRO MANZONI

Se il poeta non sa adattare lo stile e il suono dello sciolto alla materia, se non è fecondo di immagini, se non sa trovare da sé quello che la rima gli avrebbe suggerito, il suo sciolto sarà certamente peggiore di un'ode rimata, che manchi in egual grado delle altre virtú poetiche. II Parini è sommo scrittore di versi sciolti perché le aveva tutte. Per dipingerlo coi suoi colori, parmi veramente che i suoi versi

da nobil venascendano; e a l'acre focode l'arte imponga la sottil Camena.

Io credo che la meditazione di ciò che è e di ciò che dovrebbe essere, e l'acerbo sentimento che nasce da questo contrasto, io credo che questo meditare e questo sentire sieno le sorgenti delle migliori opere sia in verso che in prosa dei nostri tempi: e molti erano gli elementi di quel sommo uomo. Per nostra sventura, lo stato dell'Italia, divisa in frammenti, la pigrizia e l'ignoranza quasi generale hanno posto tanta distanza tra la- lingua parlata e la scritta, che questa può dirsi quasi lingua morta: Ed è perciò che gli scrittori non possono produrre l'effetto che eglino (m'intendo i buoni) si propongono, d'erudire cioè la moltitudine, di farla invaghire del bello e dell'utile, e di rendere in questo modo le cose un po' più come dovrebbero essere. Quindi è che i bei versi del Giorno non hanno corretto nell'universale i nostri torti costumi più di quello che i bei versi della Georgica di Virgilio migliorino la nostra agricoltura. Vi confesso ch'io veggo con un piacere misto d'invidia il. popolo di Parigi intendere ed applaudire alle commedie di Molière. Ma dovendo gli scrittori italiani assolutamente disperare di un effetto immediato, il Parini non ha fatto che perfezionare di più l'intelletto e il gusto di quei pochi che lo leggono e lo intendono, fra i quali non v'è alcuno di quelli che egli si è proposto di correggere; ha trovato delle belle immagini; ha detto delle verità: ed io son persuaso che una qualunque verità pubblicata contribuisce sempre ad illuminare e riordinare un tal poco il caos delle nozioni dell'universale, che sono il principio delle azioni dell'universale.

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LUCI E OMBRE NELLA POESIA PARINIANA

Attilio Momigliano TRATTO DA: Studi di poesia

Il Parini fu, senza dubbio, un grande poeta: ma non fu uno di quelli con cui siano permesse le idolatrie. Fu un rinnovatore della materia poetica, quale di rado ebbe l'Italia, e un artista capace di atteggiamenti assai disparati. Chi passa dall'Arcadia e dallo stesso Metastasio al Parini, si meraviglia che in quel secolo sia nato un poeta capace di tanta concretezza, e in campi del tutto ignoti alla poesia contemporanea. L'ambiente elegante è sottinteso in gran parte della lirica del tempo: solo nel Parini è descritto. E la sua descrizione non è lo sforzo retorico della poesia didascalica del secolo; ma uno specchio luminoso e preciso. I salotti, i lunghi ordini di sale, gli scaloni, i mobili - il canapè -, gli arnesi e i ninnoli sono ora delineati con un pennello largo e sicuro, ora delimitati e intagliati dalla parola con un nitido rilievo: sicché anche l'ambiente materiale, che di solito è assente dalla poesia o è cosa morta, qui diventa, per questo sguardo attento e chiaro, vera e difficile poesia. Il Parini è forse il più grande poeta descrittore che abbia avuto l'Italia.

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Ed è, con il Porta e con il Folengo, il nostro più grande poeta caricaturista. Ma qui è già più facile notare quella relativa debolezza che le descrizioni, naturalmente, nascondono meglio. In genere le sue caricature sono esteriori, rivelano assai poco dell'anima. Il famoso inchino in più tempi del maestro di ballo si riflette, con varietà non sostanziali, nelle mosse compassate del giovane signore, della giovane dama, di altri nobili. Anche nelle celebri macchiette del divoratore e del vegetariano la parte spirituale è più commento, sia pure arguto, che rappresentazione. Solo l'immortale sfilata degli imbecilli, nella Notte, mostra nel Parini caricaturista la capacità di rispecchiare in un gesto la rovina profonda di una anima: quel nobile incretinito che per ore e ore ridesta gli echi delle sale immense agitando con il suo braccio magistrale la frusta sotto i ritratti dei grandi antenati, è la più geniale e corrosiva immagine fantastica della senilità del mondo rappresentato nel Giorno. Di rado il Parini ha saputo inventare situazioni poetiche così significative e tradurle in una forma così bizzarra e così concentrata.La Notte, veramente, tradisce in lui un altro poeta. Direi che è il suo capolavoro, se il Mezzogiorno non contenesse quella pagina di suprema eleganza, di squisitissima ambiguità fra l'adulazione e la canzonatura, di magistrali trapassi, di prodigiosa densità, di tetro e furibondo dolore che è la scena della «vergine cuccia», e quell'esordio nudo, grandioso, religioso della favola del Piacere.

Il Parini fu insieme il demolitore e il cantore della società contemporanea: forse la Notte è la parte del poema dove si vedono più compiute le due facce. Quell'ambiente, fine, grazioso, sensuale, lo attirava e insieme lo respingeva. Dovette spiare anche lui, rapito, i nascosti candori delle belle dame, e sorridere ai loro svenimenti, e respirare l'aura di solitudine e di peccato che spirava dagli angoli discreti di quelle sale: perciò nessuno come lui ci ha fatto indovinare l'ebrezza tentatrice di quel mondo. Ma, volte le spalle alle dame gentili, non vedeva più in quei palazzi altro che la testimonianza e il teatro di una vita oziosa e corrotta. Quella filza di maniaci che ci passa dinnanzi nella Notte è, dopo tanti anni che egli aveva cominciato a descrivere come il giovin signore potesse ingannare i suoi «noiosi e lenti giorni di vita», l'unica forte prova che egli vedesse bene addentro lo sfacelo di quel tedio.

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La Notte, pur così incompiuta, è l'opera del Parini che ci dà la più larga misura del suo ingegno poetico. Vi si continua, non nel principio - troppo celebrato -, ma nel seguito, la poesia indefinita e meditabonda delle ombre, che già aveva avvolto in un'aura prefoscoliana la fine del Vespro; vi si aggruppa la società nobiliare con l'arte che hanno i grandi pittori nella distribuzione dei personaggi lungo la tela di un quadro affollato. Il concilio dei numi nella sala della vecchia dama è, per parecchie centinaia di versi, d'una singolare ricchezza di motivi caricaturali, descrittivi, sentimentali, e si chiude con la scena del giuoco dei tarocchi e delle carte, che per grandiosità e complessità di linee e di sfumature è il capolavoro delle canzonature pariniane.

Il poeta s'accorge, certo che l'impostazione del Mattino era pericolosa e che non si poteva continuare con quel tono didascalico minuto, con quello scrupolo di maestro a cui non sfuggiva nessuna delle possibili occupazioni del discepolo. Lo prova il fatto che dalla prima all'ultima parte del Giorno l'attenzione del precettore si sposta sempre più risolutamente dal giovin signore alla società in cui egli si muove: ma questo pentimento è perfetto solo nella Notte, assai meglio composta del Vespro. Il Parini, dunque, si accorse che egli poteva sfuggire alla monotonia e alla pedanteria del tema: il De Sanctis, dunque, parla di «fatalità» dell'argomento con troppa indulgenza.

Qui tocchiamo appunto uno dei difetti fondamentali del poema - non il solo -. Non era necessario concepire la descrizione della giornata del giovin signore con quella diligenza pesante con cui la concepì il Parini, specialmente nel Mattino. Bastava descrivere, non tutte le possibili giornate del signore, ma una sola e tipica.

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Con questa semplificazione che più tardi si affacciò alla fantasia del Parini, il tema diventava naturalmente drammatico e mobile invece di essere, come rimase soprattutto nel Mattino, descrittivo e stagnante.Può sembrare angustia di critico notare i legami più retorici che poetici, e l'abilità puramente esteriore nell'enumerare i casi possibili nella giornata del signore: ma è certo che questi sono i segni di una concezione debole e la spiegazione della fatica che si prova in una lettura continuata.Si finisce col ricevere l'impressione che il Parini, perduto dietro quelle quisquilie così simili fra di loro, sia un poeta un po' limitato. Perciò anche quelle descrizioni, ad una ad una nitidissime, finiscono per parere soverchie.

L'altro difetto fondamentale è la mancanza di unità. Una descrizione unitaria della poesia del Giorno è impossibile. Eppure la poesia grandissima impone sempre la ricerca del motivo dominante: non importa che l'impresa sia difficile, che il risultato vari da critico a critico e magari si sposti di esame in esame: tutti sentiamo che la Commedia, i Promessi Sposi, i Sepolcri, hanno motivo poetico che spiega tutti gli altri. Questo nel Parini non accade. La sua coscienza virile spiega una parte del Giorno, non tutto. L'uniformità del poema è più stilistica, voglio dire esteriore, che poetica. Nel Giorno c'é una grande ricchezza di motivi non unificati. Non li ho ancora indicati tutti: posso aggiungere l'aspra poesia del lavoro umano, ritratto con le impronte visibili del travaglio d'ogni giorno; la gradazione dell'ironia, che in certi passi ha una grandiosità davvero sinfonica: l'attitudine alla rappresentazione epica, che talora giova alla canzonatura, talora la rende monotona e forzata, talora costituisce in sé e per sé un passo di alta poesia; uno squisito senso della decorazione... Ma il complesso di questo fine mosaico è frammentario, il disegno è più ordinato che sapiente, la vita intima manca spesso.

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Si è detto: - Il protagonista è un nobile frivolo e vuoto: non poteva e non doveva riuscire un personaggio vivo -. E non è vero. Qualunque anima si presta ad una rappresentazione pensosa: tutto dipende dal poeta che la ritrae. Ma poi non importerebbe nemmeno che il protagonista per sé non fosse un vero personaggio; quello che è necessario è che la vita circoli ininterrotta nel mondo scritto dal Parini; e questo non accade. Il Goldoni ha commedie di ambiente animatissime, pur senza che i singoli personaggi abbiano caratteristiche originali. Il Parini, dunque, non ha osservato quella società con uno sguardo insieme mobile e sicuro, con l'agilità di spirito che sembra necessaria per il suo argomento. Io penso cosa sarebbe riuscito il Giorno se egli avesse avuto, con le altre doti, la facilità di motteggio e la fertilità inventiva che ebbe il Voltaire nei suoi brevi romanzi, o se avesse saputo insinuare fra pagina e pagina l'atmosfera malinconica, tetra dell'ozio dei grandi.

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Francesco de SanctisGiuseppe Parini viene consacrato nella storia letteraria italiana come poeta e uomo di rinnovata moralità grazie anche a queste pagine di Francesco De Sanctis. Già Foscolo, in un passo dell’Ortis, aveva immortalato il mito del vecchio poeta, modello di vita e di letteratura per la generazione dei romantici; qui De Sanctis insiste sulla forza innovatrice della poesia pariniana, perfetto connubio di forma e contenuto, e sublimazione di una profonda umanità, fatta di passioni morali, politiche e sociali, che in modo del tutto naturale si fa grande poesia, lirica (le Odi) e satirica (Il Giorno). In questi tempi di nuove idee e di vecchi uomini nacque Giuseppe Parini, il 22 maggio del 1729. Venuto dal contado in Milano, cominciò i soliti studi classici sotto i barnabiti, e il padre Branda fu suo maestro di rettorica. Il babbo volle farne un prete per nobilitare il casato; ma sul più bello fu costretto per le strettezze domestiche a troncare i suoi studi e a ingegnarsi per trarre innanzi la vita. Fece il copista e il pedagogo, e ne' dispregi e nella miseria si temprò il suo carattere. Come Metastasio e come tutt'i poeti di quel tempo cominciò arcade, e le sue prime rime le leggi in una raccolta di poesie a cura di quegli accademici. Rivelò la sua personalità, combattendo il padre Bandiera e il padre Branda, di cui era stato un cattivo scolare. Pare che nella scuola facesse poco profitto, impaziente soprattutto di quei giuochi di memoria, che erano allora la sostanza degli studi. Padrone di sè, ne' ritagli di tempo obbliava la sua miseria, conversando con Virgilio, Orazio, Dante, Ariosto e Berni. E che cosa dovea parergli il padre Branda col suo toscano, o il padre Bandiera co' suoi periodi? Ma, se aveva a dispetto quella pedanteria, non gli rincresceva meno quel francesizzare de' più, divenuto moda nelle alte e basse classi. Usando per il suo mestiere in case signorili, potè studiare dappresso questa strana mescolanza di vecchio e di nuovo, che costituiva allora la società italiana. Già questo pigliar subito posizione, questo soprastare alla lotta e schivarne tutte le esagerazioni mostra una spiccata personalità. Hai innanzi un carattere. Parini era uomo più di meditazione che di azione. Non aveva il gusto de' piaceri, aveva pochi bisogni, e nessuna cupidigia di onori e di ricchezze.

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La società non avea presa su di lui: rimase indipendente e solitario, inaccessibile alle tentazioni e a' compromessi, e, come Dante, fece parte da sè. Quel mondo nuovo, che fermentava negli spiriti, fondato sulla natura e sulla ragione, e in opposizione al fattizio e al convenzionale del secolo, giuntogli attraverso Plutarco e Dante più che per influssi francesi, rimase in lui inalterato, puro di quelle macchie e ombre che vi sovrappongono le vanità e le passioni e gl'interessi mondani, perciò puro di esagerazioni e ostentazioni. Era in lui una interna misura, quell'equilibrio delle facoltà, che è la sanità dell'anima, quella compiuta possessione di se stesso, che è l'ideale del savio, quella mente rettrice, che sta sopra alle passioni e alle immaginazioni, e le tiene nel giusto limite. La sua forza è più morale che intellettuale; perchè la sua intelligenza si alza poco più su del luogo comune, ed è notabile più per giustezza e misura che per novità e profondità di concetti. Lo alza su' contemporanei la sincerità e vivacità del suo senso morale, che gli dà un carattere quasi religioso, ed è la sua fede e la sua ispirazione. Rinasce in lui quella concordia dell'intendere e dell'atto mediante l'amore, che Dante chiamava sapienza: rinasce l'uomo. E l'uomo educa l'artista. Perchè Parini concepisce l'arte allo stesso modo. Non è il puro letterato, chiuso nella forma, indifferente al contenuto; anzi la sostanza dell'arte è il contenuto, e l'artista è per lui l'uomo nella sua integrità, che esprime tutto se stesso, il patriota, il credente, il filosofo, l'amante, l'amico. La poesia ripiglia il suo antico significato, ed è voce del mondo interiore, ché non è poesia dove non è coscienza, la fede in un mondo religioso, politico, morale, sociale. Perciò base del poeta è l'uomo.

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La poesia riacquista la serietà di un contenuto vivente nella coscienza. E la forma si rimpolpa, si realizza, diviene essa medesima l'idea, armonia tra l'idea e l'espressione. La base del contenuto è morale e politica, è la libertà, l'uguaglianza, la patria, la dignità, cioè la corrispondenza tra il pensiero e l'azione. È il vecchio programma di Machiavelli, divenuto europeo e tornato in Italia. La base della forma è la verità dell'espressione, la sua comunione diretta col contenuto, risecata ogni mediazione. È la forma di Dante e di Machiavelli riverginata con esso il contenuto. Il contenuto è lirico e satirico. È l'uomo nuovo in vecchia società. L'uomo nuovo non è un concetto o un tipo d'immaginazione; ha tutte le condizioni della realtà, è esso medesimo il poeta. Protagonista di questo mondo lirico è Giuseppe Parini, che canta se stesso, esprime le sue impressioni, si effonde, così com'è, nella ingenuità della sua natura. Spariscono i temi astratti e fattizi di religione, di amore, di moralità. Tutto è contemporaneo e vivo e concreto, prodotto in mezzo al movimento de' fatti e delle impressioni. Il poeta, ritirato nella pace della natura e nella calma della mente, sta al di sopra del suo mondo, e sente le sue agitazioni, i suoi piaceri e le sue punture, ma non sì che giungano a turbare l'eguaglianza e la serenità del suo animo. Ci è in questo uomo nuovo una vena d'idillio e di filosofia, come di uomo solitario, più spettatore che attore, avvezzo a vivere tranquillo con sè, a conservare l'occhio puro e spassionato nel giudizio delle cose. Ci è nel poeta un po' del pedagogo, ammaestrando, librando con giusta misura i fatti umani. Ma il pedagogo è trasfigurato nel poeta, e vi perde ogni lato pedantesco e pretensioso. Il suo amore per la vita campestre non è misantropia, anzi è accompagnato con la più tenera sollecitudine per l'umanità. La sua rigidità pel decoro e l'onestà femminile è raddolcita da un vivo sentimento della bellezza. La sua dignità è scevra di orgoglio, la sua severità è amabile, la sua virtù è pudica, piena di grazia e di modestia.

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Ne' suoi concetti e ne' suoi sentimenti ci è sempre il limite, un'armonica temperanza, dov'è la sua perfezione intellettuale e morale di uomo e di poeta. Quando leggi la Vita rustica, la Salubrità dell'aria, il Pericolo, la Musa, la Caduta e la sua Nice e la sua Silvia, provi una soddisfazione più che estetica, senti in te appagate tutte le tue facoltà. La vecchia società è colta non nelle sue generalità rettoriche, come nel Rosa, nel Menzini e in altri satirici, ma nella forma sostanziale della sua vecchiezza, che è la pompa delle forme nella insipidezza del contenuto. Quelle forme così magnifiche, alle quali si dà una importanza così capitale, sono un'ironia, messe allato al contenuto. La Batracomiomachia è l'ironia dell'lliade, la Moscheide è l'ironia dell'Orlando: sono forme epiche applicate a un mondo plebeo. L'ironia è la forma delle vecchie società, non ancora conscie della loro dissoluzione. È il vecchio che vuol farla da giovine, con tanta più ostentazione nelle apparenze quanto più meschina è la sostanza. Questo è il concetto fondamentale del Giorno, fondato su di un'ironia che è nelle cose stesse, perciò profonda e trista. Parini non vi aggiunge di suo che il rilievo, una solennità di esposizione che fa più vivo il contrasto. E perchè sente in quelle mentite forme negato se stesso, la sua semplicità, la sua serietà, il suo senso morale, non ha forza di riderne e non gli esce dalla penna uno scherzo o un capriccio. Ride di mala grazia, e sotto ci senti il disgusto e il disprezzo. L'Italia avea riso abbastanza, e rideva ancora ne' versi di Passeroni e di Goldoni. Qui il riso è alla superficie, sotto alla quale giace repressa e contenuta l'indignazione dell'uomo offeso. La sua interna misura e pacatezza, la sua mente rettrice gli dà la forza della repressione, sì che il sentimento di rado erompe sulla superficie, e l'ironia di rado piglia la forma del sarcasmo. L'ironia de' nostri padri del Risorgimento era allegra e scettica, come nel Boccaccio e nell'Ariosto, perchè era rivendicazione intellettuale dirimpetto alle assurdità teologiche e feudali, rivendicazione accompagnata con la dissoluzione morale: era l'ironia della scienza a spese dell'ignoranza, e l'ignoranza fa ridere. Ma qui l'ironia è il risveglio della coscienza dirimpetto a una società destituita di ogni vita interiore; lì era l'ironia del buon senso, qui è l'ironia del senso morale. Senti che rinasce l'uomo, e con esso la vita interiore. La parola di quella vecchia società era a sua immagine, cascante, leziosa, vuota sonorità, travolta e seppellita sotto la musica. Qui risuscita la parola. E vien fuori faticosa, martellata, ardua, pregna di sensi e di sottintesi. La parola scopre l'ironia, perchè è in antitesi con quella società molle ed evirata che il poeta finge di celebrare.

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