Genetica e aspetti neurofunzionali della schizofrenia · Capitolo 5 111 Genetica e aspetti...

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CAPITOLO 5 111 Genetica e aspetti neurofunzionali della schizofrenia Per tutto il corso dell’ultimo secolo, la ricerca sulle cause e sulla fisiopatologia della schi- zofrenia, nonostante i progressi non indifferenti a livello di trattamento, non ha portato a risultati soddisfacenti. Un’importante finestra di indagine su questi aspetti si è aperta negli ultimi due decenni grazie ai progressi fatti dalla ricerca genetica e dalle relative applicazioni nello studio dei disturbi mentali e della schizofrenia in particolare. Le indagini sull’ereditarietà della schizofrenia iniziano durante i primi anni del Nove- cento a Monaco sotto la guida di Emil Kraepelin, i cui risultati sono pubblicati da Ernst Rüdin nel 1916 (“Zur Vererbung und Neuentslehung der dementia praecox”, 1916) (Kendler e Diehl, 1993). Tuttavia, con l’affermarsi del nazionalsocialismo, tali ricerche vengono in seguito utilizzate come basi per l’elaborazione dei concetti di eugenetica e igiene razziale, con conseguenze nefaste, tali da portare psichiatri tedeschi come Karl Leonhard a smettere di porre diagnosi di schizofrenia, per evitare di mettere a rischio la vita dei propri pazienti. Sebbene il genocidio del popolo ebreo da parte dei nazisti durante la Seconda Guerra Mondiale sia ben noto a tutti, il contemporaneo progetto di “eutanasia sociale” dei pazienti psichiatrici lo è molto meno. Si è tentato di stimare il numero di persone con diagnosi di schizofrenia che furono sterilizzate e uccise dai nazisti, nonché di valutarne l’effetto sulla successiva prevalenza e incidenza di schizofrenia. Si stima che furono steri- lizzati o uccisi tra 220.000 e 269.500 soggetti schizofrenici. Questo totale rappresenta una percentuale tra il 73% e il 100% di tutte le persone con schizofrenia che vivevano in Germania tra il 1939 e il 1945. Gli studi sulla prevalenza della schizofrenia in Germania condotti in periodo post-bellico riportavano, come c’era da aspettarsi, tassi molto bassi. Nonostante tutto, i tassi di incidenza di schizofrenia in Germania restavano inaspetta-

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Capitolo 5

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Genetica e aspetti neurofunzionali della schizofrenia

Per tutto il corso dell’ultimo secolo, la ricerca sulle cause e sulla fisiopatologia della schi-zofrenia, nonostante i progressi non indifferenti a livello di trattamento, non ha portato a risultati soddisfacenti. Un’importante finestra di indagine su questi aspetti si è aperta negli ultimi due decenni grazie ai progressi fatti dalla ricerca genetica e dalle relative applicazioni nello studio dei disturbi mentali e della schizofrenia in particolare.Le indagini sull’ereditarietà della schizofrenia iniziano durante i primi anni del Nove-cento a Monaco sotto la guida di Emil Kraepelin, i cui risultati sono pubblicati da Ernst Rüdin nel 1916 (“Zur Vererbung und Neuentslehung der dementia praecox”, 1916) (Kendler e Diehl, 1993). Tuttavia, con l’affermarsi del nazionalsocialismo, tali ricerche vengono in seguito utilizzate come basi per l’elaborazione dei concetti di eugenetica e igiene razziale, con conseguenze nefaste, tali da portare psichiatri tedeschi come Karl Leonhard a smettere di porre diagnosi di schizofrenia, per evitare di mettere a rischio la vita dei propri pazienti. Sebbene il genocidio del popolo ebreo da parte dei nazisti durante la Seconda Guerra Mondiale sia ben noto a tutti, il contemporaneo progetto di “eutanasia sociale” dei pazienti psichiatrici lo è molto meno. Si è tentato di stimare il numero di persone con diagnosi di schizofrenia che furono sterilizzate e uccise dai nazisti, nonché di valutarne l’effetto sulla successiva prevalenza e incidenza di schizofrenia. Si stima che furono steri-lizzati o uccisi tra 220.000 e 269.500 soggetti schizofrenici. Questo totale rappresenta una percentuale tra il 73% e il 100% di tutte le persone con schizofrenia che vivevano in Germania tra il 1939 e il 1945. Gli studi sulla prevalenza della schizofrenia in Germania condotti in periodo post-bellico riportavano, come c’era da aspettarsi, tassi molto bassi. Nonostante tutto, i tassi di incidenza di schizofrenia in Germania restavano inaspetta-

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Impatto della genetica nella schizofrenia: alterazioni del neurosviluppo e coinvolgimento del sistema immunitarioDurante il corso degli anni, vari studi di linkage (che cercano l’associazione fra una deter-minata regione cromosomica e la trasmissione del tratto fenotipico in questione attra-verso successive generazioni) hanno individuato svariati segmenti genomici che potreb-bero essere correlati alla schizofrenia, tuttavia la maggior parte di essi contiene più geni e non è specifica per questo disturbo (Zhang e Malhotra, 2013).Nell’ultimo decennio, molti ricercatori hanno esteso le proprie indagini andando ad analizzare la presenza di variazioni di singoli nucleotidi (Single Nucleotide Polimor-phisms, SNP) all’interno di geni target o a livello di tutto il genoma (Genome-Wide Asso-ciation Study, GWAS), scoprendo molte varianti genetiche potenzialmente coinvolte nell’eziopatogenesi del disturbo (International Schizophrenia Consortium, 2008).Un altro tipo di variazioni genetiche spesso riscontrate sono le cosiddette copy number variations (CNV), ossia variazioni della sequenza genomica che implicano la duplicazione o la delezione anomala di alcuni tratti di DNA, causandone alterazioni della normale organizzazione in doppia copia. Questo tipo di mutazioni sembra avere un effetto causale quantitativamente più rilevante rispetto ai sopra menzionati SNP, tuttavia anche in questo caso non vi è specificità per un unico disturbo (Insel, 2010) (Box 5.1).Tuttavia, nonostante i risultati spesso contraddittori di molti studi, il coinvolgimento di alcuni geni è stato molto spesso dimostrato, almeno in una buona parte degli individui affetti.

tamente alti. Il genocidio nazista dei pazienti psichiatrici rappresenta il maggiore atto criminale nella storia della psichiatria, basato inoltre su quelle che oggi sappiamo essere teorie genetiche errate, dal momento che non ha avuto nessun apparente effetto a lungo termine sulla successiva incidenza di schizofrenia (Torrey et al., 2010). Gli studi familiari e su gemelli effettuati nella seconda metà del secolo scorso e volti a indagare le modalità di trasmissione del disturbo hanno rivelato un elevato grado di ereditabilità, con una concordanza fra gemelli monozigoti di circa il 50% (ben lontani dal 100% caratteristico di una malattia a trasmissione mendeliana), notevolmente superiore rispetto a quella fra gemelli dizigoti e fratelli (Cardno et al., 1999). Tuttavia, la ricerca dei geni o delle alterazioni responsabili non ha portato a risultati troppo soddisfacenti, sottolineando l’esistenza di un modello eziopatogenetico molto più complesso, in cui oltre ad alterazioni genetiche classiche si aggiungono variazioni epigenetiche (l’epige-netica studia l’attività di regolazione ed espressione dei geni che modificano il fenotipo dell’individuo senza alterarne il genotipo) e l’influenza di alcuni fattori ambientali come sofferenze perinatali, migrazione e urbanizzazione, abuso di cannabis (Kristensen e Cadenhead, 2007; Tandon et al., 2008; van Os e Kapur, 2009). Il riconoscimento del ruolo svolto dai fattori genetici e ambientali nello sviluppo della malattia rende necessaria la riconcettualizzazione del fenomeno “schizofrenia”, che alla luce dei suddetti dati, può essere oggi visto come un disturbo, o meglio ancora un insieme di disturbi, a carattere neuro-evolutivo. Tutte le variazioni genetiche riscontrate nei pazienti schizofrenici interferiscono con geni coinvolti in meccanismi di crescita, maturazione e plasticità neuronale. Le interazioni fra ambiente e genoma, in partico-lare durante momenti cruciali della crescita, come i primi periodi di vita o l’adolescenza, andranno a influenzare in maniera sostanziale lo sviluppo del cervello e, di conseguenza, la sua funzionalità (Caspi et al., 2005; van Os e Kapur, 2009; Bossong e Niesink, 2010). Secondo questo modello, la presenza di una suscettibilità genetica, data dalla presenza di alterazioni a livello di alcuni loci, rende alcuni soggetti particolarmente sensibili a tali influenze ambientali e li pone a rischio per lo sviluppo non solo di schizofrenia ma anche di altre patologie, come per esempio il disturbo bipolare.Questa riconcettualizzazione mette in luce due importanti aspetti. Da un lato sottolinea come a essere “ereditata” non sia la patologia in toto, ma solo specifiche alterazioni neuro-biologiche che aumentano la vulnerabilità del soggetto nei confronti dell’espressione di determinate dimensioni sintomatologiche, in presenza di fattori ambientali stressanti; dall’altro lato invece, in virtù delle importanti sovrapposizioni a livello genetico, neuro-biologico e clinico porta a riconsiderare profondamente la dicotomia kraepeliniana, ovvero quella distinzione netta fra disturbo bipolare e schizofrenia che ha permeato la psichiatria per tutto il secolo scorso (Craddock e Owen, 2010).L’utilizzo di queste nuove conoscenze permetterà quindi in un futuro non lontano di cominciare a trattare “le schizofrenie” soprattutto a livello prodromico, quando la sinto-matologia è ancora aspecifica ma è già possibile modificare incisivamente la traiettoria del disturbo e migliorare considerevolmente la prognosi del paziente, come già avviene in parte nel trattamento dei disturbi dello spettro dell’autismo.

EREDITARIETÀ DEI DISTURBI SCHIZOFRENICI

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Impatto della genetica nella schizofrenia: alterazioni del neurosviluppo e coinvolgimento del sistema immunitarioDurante il corso degli anni, vari studi di linkage (che cercano l’associazione fra una deter-minata regione cromosomica e la trasmissione del tratto fenotipico in questione attra-verso successive generazioni) hanno individuato svariati segmenti genomici che potreb-bero essere correlati alla schizofrenia, tuttavia la maggior parte di essi contiene più geni e non è specifica per questo disturbo (Zhang e Malhotra, 2013).Nell’ultimo decennio, molti ricercatori hanno esteso le proprie indagini andando ad analizzare la presenza di variazioni di singoli nucleotidi (Single Nucleotide Polimor-phisms, SNP) all’interno di geni target o a livello di tutto il genoma (Genome-Wide Asso-ciation Study, GWAS), scoprendo molte varianti genetiche potenzialmente coinvolte nell’eziopatogenesi del disturbo (International Schizophrenia Consortium, 2008).Un altro tipo di variazioni genetiche spesso riscontrate sono le cosiddette copy number variations (CNV), ossia variazioni della sequenza genomica che implicano la duplicazione o la delezione anomala di alcuni tratti di DNA, causandone alterazioni della normale organizzazione in doppia copia. Questo tipo di mutazioni sembra avere un effetto causale quantitativamente più rilevante rispetto ai sopra menzionati SNP, tuttavia anche in questo caso non vi è specificità per un unico disturbo (Insel, 2010) (Box 5.1).Tuttavia, nonostante i risultati spesso contraddittori di molti studi, il coinvolgimento di alcuni geni è stato molto spesso dimostrato, almeno in una buona parte degli individui affetti.

EREDITARIETÀ DEI DISTURBI SCHIZOFRENICI

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• Non viene trasmesso il disturbo, ma probabilmente solo alterazioni a carico di alcuni circuiti neuronali che, in combinazione con fattori ambientali, aumentano la suscetti-bilità del soggetto alla comparsa delle relative dimensioni sintomatologiche.

• La riconcentualizzazione della schizofrenia come un insieme di patologie, probabil-mente diverse, del neurosviluppo, pone l’accento sull’importanza del monitoraggio dei soggetti a rischio e della diagnosi precoce.

• Alcune delle evidenze suggeriscono un coinvolgimento del sistema immunitario nel-la fisiopatologia del disturbo.

• Le alterazioni genetiche finora documentate sono state riscontrate anche in pazienti affetti da disturbo bipolare, mettendo in discussione la dicotomia kraepeliniana che ha permeato la psichiatria del secolo scorso.

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gene associati a deficit verbali in soggetti affetti da disturbo dello spettro dell’autismo, anche se sono necessari studi su campioni più ampi (Anitha et al., 2014).Il coinvolgimento del MHC sul cromosoma 6p21.3-22 è invece uno dei risultati più repli-cati degli studi GWAS. È una regione con un’alta frequenza di ricombinazione e codi-fica per geni coinvolti in processi di neurosviluppo o di plasticità neuronale e relativi al sistema immunologico, che forniscono le basi per l’ipotesi di una patogenesi (almeno in parte) immuno-mediata della schizofrenia (Zhang et al., 2010) (Box 5.2). A livello neurotrasmettitoriale, è stata evidenziata una ridotta funzionalità dei recet-tori NMDA e una ridotta sintesi dell’isoforma 67 dell’acido glutammico decarbossilasi (GAD67), responsabile della sintesi dell’acido gamma-aminobutirrico (GABA) (Adell et al., 2012; Pehrson et al., 2013). Questi correlano con le anomalie cognitive tipiche della schizofrenia, soprattutto la memoria di lavoro (working memory) (Eggan et al., 2012). In particolare, si evidenzia una riduzione nei livelli di proteine e di RNA messaggero (mRNA) del recettore cannabinoide CB1 nella DLPFC dei soggetti schizofrenici: l’entità di questa espressione alterata correla con quella dell’mRNA del GAD67, evidenziando

Nel 2000, un importante studio familiare (Millar et al., 2000) ha messo in luce l’associa-zione fra disturbo bipolare e schizofrenia in soggetti con una particolare traslocazione a livello del cromosoma 1. Studi successivi hanno poi dimostrato come questa mutazione andasse a interrompere la sequenza di un gene, denominato poi DISC1 (Disrupted In Schizophrenia-1), i cui prodotti sembrano essere coinvolti in meccanismi citoscheletrici e di plasticità neuronale. Tuttavia, nessun particolare polimorfismo è risultato specifico e il coinvolgimento di DISC1 sembra conferire maggior suscettibilità non solo per la schi-zofrenia, ma anche per la depressione maggiore e in particolare per il disturbo bipolare, con cui sembra condividere molte delle più importanti correlazioni genetiche finora indi-viduate (Hennah et al., 2009; Chubb et al., 2008).Studi di linkage hanno trovato un’associazione fra un aumentato rischio di andare incontro a schizofrenia e alterazioni a livello di NRG1, un gene presente sul cromosoma 8 (Li et al., 2006). I prodotti della trascrizione di questo gene sono coinvolti in svariati meccanismi, quali crescita e migrazione neuronale, plasticità sinaptica e comunicazione intercellulare. Uno studio effettuato su topi geneticamente modificati per NRG1 ha evidenziato funzionalità ridotta dei recettori NMDA (N-metil-D-aspartato) per il glutam-mato, coinvolti molto probabilmente nell’eziopatogenesi della schizofrenia (Bjarnadottir et al., 2007). Nonostante siano stati individuati numerosi polimorfismi a livello di NRG1, nessuno di questi sembra essere però specifico per schizofrenia, anche se potrebbero risultare utili per individuare i soggetti a rischio, come dimostrato da uno studio in cui i portatori (ad alto rischio) di un determinato SNP hanno successivamente effettuato la transizione a un quadro di schizofrenia franca (Kéri et al., 2009). Un altro gene individuato grazie a studi di associazione è stato DTNBP1, codificante per la proteina disbindina, implicata anch’essa in processi di crescita neuronale e trasmissione sinaptica. Allo stesso modo di NRG1, sono molteplici le alterazioni a carico di questo gene, che sembrano però essere correlate a deficit cognitivi, sia in pazienti schizofrenici sia in controlli sani (Burdick et al., 2006; Zhang et al., 2010).Il gene COMT (codificante la proteina catecol-O-metiltransferasi, coinvolta nel metabo-lismo di alcuni neurotrasmettitori, come la dopamina) è presente sul cromosoma 22 in posizione q11. La delezione di questo gene è causa della sindrome velo-cardio-faciale (sindrome di DiGeorge), che associa anomalie facciali a malformazioni cardiache, deficit intellettivo e una sindrome psichiatrica molto simile alla schizofrenia. È inoltre uno dei rari casi in cui una singola mutazione porta a sviluppare una condizione clinica di tipo schizofrenico (Karayiorgou et al., 2010).Successivi studi di associazione a livello dell’intero genoma (GWAS) hanno portato alla luce ulteriori regioni di DNA potenzialmente implicate nella fisiopatologia della schizo-frenia, come il gene ZNF804A o il complesso maggiore di istocompatibilità (MHC). ZNF804A, uno dei primi geni a essere individuato con tale metodica, è presente sul cromosoma 2q32.1 ed è espresso in maniera estesa a livello del SNC, della corteccia, dell’ippocampo e del cervelletto. È coinvolto in meccanismi di trascrizione del gene COMT e interferisce quindi con il metabolismo della dopamina (Girgenti et al., 2012). Più recentemente è stata dimostrata la presenza di alcuni polimorfismi a livello di tale

IL SISTEMA IMMUNITARIO NELLA FISIOPATOLOGIA DEI DISTURBI SCHIZOFRENICI

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gene associati a deficit verbali in soggetti affetti da disturbo dello spettro dell’autismo, anche se sono necessari studi su campioni più ampi (Anitha et al., 2014).Il coinvolgimento del MHC sul cromosoma 6p21.3-22 è invece uno dei risultati più repli-cati degli studi GWAS. È una regione con un’alta frequenza di ricombinazione e codi-fica per geni coinvolti in processi di neurosviluppo o di plasticità neuronale e relativi al sistema immunologico, che forniscono le basi per l’ipotesi di una patogenesi (almeno in parte) immuno-mediata della schizofrenia (Zhang et al., 2010) (Box 5.2). A livello neurotrasmettitoriale, è stata evidenziata una ridotta funzionalità dei recet-tori NMDA e una ridotta sintesi dell’isoforma 67 dell’acido glutammico decarbossilasi (GAD67), responsabile della sintesi dell’acido gamma-aminobutirrico (GABA) (Adell et al., 2012; Pehrson et al., 2013). Questi correlano con le anomalie cognitive tipiche della schizofrenia, soprattutto la memoria di lavoro (working memory) (Eggan et al., 2012). In particolare, si evidenzia una riduzione nei livelli di proteine e di RNA messaggero (mRNA) del recettore cannabinoide CB1 nella DLPFC dei soggetti schizofrenici: l’entità di questa espressione alterata correla con quella dell’mRNA del GAD67, evidenziando

IL SISTEMA IMMUNITARIO NELLA FISIOPATOLOGIA DEI DISTURBI SCHIZOFRENICI

BOX 5.2

• Sono molte ormai le evidenze a favore di un coinvolgimento del sistema immunitario nei meccanismi fisiopatologia della schizofrenia. Studi epidemiologici e clinici sottoli-neano il ruolo di fattori di rischio di alcuni agenti infettivi per lo sviluppo di schizofre-nia e nel liquido cerebrospinale di pazienti affetti sono stati riscontrati livelli aumentati di citochine pro-infiammatorie (Müller, 2014). A livello genetico, invece, uno dei loci più frequentemente coinvolti è in posizione 6p21.3-22, codificante per il MHC.

• L’associazione fra infiammazione cronica e schizofrenia è inoltre rafforzata dal ri-scontro di sintomi psicotici durante il corso di sclerosi multipla, infezioni virali da her-pes virus e morbillo e processi autoimmuni come il lupus eritematoso (Müller, 2014).

• I meccanismi infiammatori a livello del SNC sono mediati da cellule microgliali, cellule astrocitarie (in aggiunta ai linfociti T e B) e dalle citochine pro-infiammatorie da esse rilasciate.

• Un’eccessiva e sregolata risposta infiammatoria a seguito di infezioni o altri stimoli ambientali può da sola essere causa di danno cellulare oppure, molto più frequen-temente, l’iniziale risposta a determinati agenti può portare a una sensibilizzazione del sistema immunitario causando un rilascio aumentato e sproporzionato di citochi-ne pro-infiammatorie in seguito alla ri-esposizione allo stesso agente, oppure anche a fattori stressanti generici. L’importanza di tali meccanismi nella patogenesi della schizofrenia è sottolineata da evidenze che mostrano come le interleuchine IL-1β e IL-6 sembrino giocare un ruolo importante nello sviluppo dei sistemi di neurotra-smissione coinvolti nella patogenesi della schizofrenia (Winter et al., 2009), mentre il riscontro di livelli aumentati di IL-8 nel plasma materno durante la gravidanza (indi-pendentemente dalla causa) sia stato associato a un maggior rischio di sviluppo del disturbo nella prole (Brown et al., 2004).

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particolare per i disturbi psichiatrici. Esempi di questi meccanismi sono la metilazione del DNA, modificazioni a carico degli istoni e regolazioni post-trascrizionali tramite RNA non codificante. Al momento, tuttavia, i dati disponibili in pazienti affetti da schizofrenia e disturbo bipolare non sono sufficienti per dare un’interpretazione univoca del ruolo dell’epigenetica nell’eziopatogenesi e nello sviluppo di tali disturbi; la maggior parte degli studi non è replicata e coinvolge un numero molto ristretto di pazienti, il corredo epigenomico “normale” non è del tutto conosciuto e le tecniche di indagine molecolare necessarie sono ancora in via di sviluppo. Tuttavia, rappresenta una delle branche più interessanti e dotate di ampie possibilità di sviluppo nel futuro (Pishva et al., 2014) (Fig. 5.1). Infine, oltre che per indagare i substrati neurobiologici e le cause della schizofrenia, la ricerca in campo genetico può risultare utile per cercare di capire la (non)risposta agli attuali trattamenti farmacologici (farmacogenomica), in particolare nei casi resistenti (Frank et al., 2014), la predisposizione verso certi effetti collaterali – come l’agranuloci-tosi indotta da clozapina associata a un particolare allele del locus HLA-DQB1 (Athana-siou et al., 2011), la sindrome metabolica e l’aumento di peso (Ellingrod et al., 2007) – e la correlazione di alcune varianti genetiche (per esempio gene DRD3 per il recettore dopa-minergico) all’insorgenza di discinesie tardive (Bakker et al., 2006, 2008; Greenbaum et al., 2007). L’obiettivo è quello di riuscire, in futuro, ad adattare le terapie al singolo paziente.

come entrambi i tipi di trascrizione siano deficitari nella stessa popolazione di neuroni GABA nella DLPFC dei soggetti con schizofrenia (Eggan et al., 2012).Come già menzionato sopra, un’altro meccanismo di alterazione a carico del genoma è rappresentato dalle CNV, che sembrano avere un effetto causale più esteso, anche se ugualmente non specifico, rispetto alle altre variazioni già descritte. Inoltre, le CNV sono molto frequenti in casi sporadici di schizofrenia, possono coinvolgere geni diversi in individui diversi ed essere mutazioni de novo (Singh et al., 2009). Le più frequenti CNV associate a schizofrenia (sia delezioni sia duplicazioni) si riscontrano in posizione 1q21.1, 3q29, 15q11.2, 15q13.3, 16p11.2, 16p13.1, 17p12, 22q11.21. Come nel caso di altre patologie, delezioni e duplicazioni diventano più frequenti all’aumentare dell’età dei genitori e, per quanto riguarda in particolare la schizofrenia, con l’età paterna (Mala-spina et al., 2001). Nonostante sia stato ipotizzato un certo grado di sovrapposizione fra disturbo dello spettro dell’autismo e schizofrenia rispetto a queste varianti, i dati sono ancora incerti e non vi sono evidenze sufficienti (Crespi e Crofts, 2012) (Tab. 5.1).Recentemente, sono aumentate le evidenze riguardo al fatto che fattori ambientali possano alterare l’espressione dei geni attraverso meccanismi epigenetici, ovvero modificazioni chimiche del DNA che influiscono sulla traduzione e trascrizione senza alterarne la struttura. Queste potrebbero essere potenzialmente molto rilevanti, in

Tabella 5.1 Genetica dei disturbi schizofreniciAllele Una delle più varianti di un geneCopy number variant Un tipo di variazione della sequenza del genoma (duplicazioni o

delezioni) che porta ad alterazioni della normale organizzazione in doppia copia del corredo genetico (es. cromosoma soprannumerario)

Associazione genetica Associazione fra una determinata variante genetica e un tratto fenotipico o una malattia

Genoma L’intero insieme di informazione genetica che un organismo possiede

Genome-wide association study

Uno studio che valuta l’associazione fra un tratto fenotipico e il corredo genetico prendendo in considerazione un numero molto elevato di varianti genetiche (fino a 1 milione). Non sono necessarie ipotesi a priori sul gene interessato

Genotipo Costituzione genetica di un individuoEreditabilità (h2) Definisce la proporzione della variazione fenotipica in un tratto

attribuibile a effetti geneticiStudio di linkage

Tipo di studio epidemiologico che cerca un’associazione fra una regione cromosomica e la trasmissione di un particolare tratto fenotipico attraverso più generazioni

Fenotipo Le caratteristiche osservabili di una cellula o un individuo, che sono il risultato del prodotto trascrizionale di un gene

Polimorfismo La presenza di più di 2 varianti dello stesso gene, con frequenza dell’allele meno comune di almeno 1% nella popolazione

FIGURA 5.1 Suscettibilità genetica e fattori ambientali.

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particolare per i disturbi psichiatrici. Esempi di questi meccanismi sono la metilazione del DNA, modificazioni a carico degli istoni e regolazioni post-trascrizionali tramite RNA non codificante. Al momento, tuttavia, i dati disponibili in pazienti affetti da schizofrenia e disturbo bipolare non sono sufficienti per dare un’interpretazione univoca del ruolo dell’epigenetica nell’eziopatogenesi e nello sviluppo di tali disturbi; la maggior parte degli studi non è replicata e coinvolge un numero molto ristretto di pazienti, il corredo epigenomico “normale” non è del tutto conosciuto e le tecniche di indagine molecolare necessarie sono ancora in via di sviluppo. Tuttavia, rappresenta una delle branche più interessanti e dotate di ampie possibilità di sviluppo nel futuro (Pishva et al., 2014) (Fig. 5.1). Infine, oltre che per indagare i substrati neurobiologici e le cause della schizofrenia, la ricerca in campo genetico può risultare utile per cercare di capire la (non)risposta agli attuali trattamenti farmacologici (farmacogenomica), in particolare nei casi resistenti (Frank et al., 2014), la predisposizione verso certi effetti collaterali – come l’agranuloci-tosi indotta da clozapina associata a un particolare allele del locus HLA-DQB1 (Athana-siou et al., 2011), la sindrome metabolica e l’aumento di peso (Ellingrod et al., 2007) – e la correlazione di alcune varianti genetiche (per esempio gene DRD3 per il recettore dopa-minergico) all’insorgenza di discinesie tardive (Bakker et al., 2006, 2008; Greenbaum et al., 2007). L’obiettivo è quello di riuscire, in futuro, ad adattare le terapie al singolo paziente.

Fattori ambientali

Infezioni Ipossia Cannabis Stress

Prenatale Perinatale Adolescenza

Suscettibilità genetica(SNP, CNV, epigenetica)

DTNBP1, NRG1, COMT, DISC1, ZNF804A ecc.

Alterazioneespressione genica

Alterazionedel neurosviluppo

Alterazionedella connettività e dei

circuiti neuronali

Compromissione dellaprocessazione delle

informazioni

Modificazione dellefunzioni cognitive,dell’affettività e del

comportamento

FIGURA 5.1 Suscettibilità genetica e fattori ambientali.

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stimolo a livello sensoriale, mentre potenziali più tardivi sono invece correlati a processi cognitivi più elaborati. Molte sono le alterazioni riscontrate negli anni in pazienti affetti da schizofrenia, nelle componenti sia a corta sia lunga latenza. La componente P50 è ritenuta un’espressione di meccanismi inibitori della processazione delle informazioni in ingresso, poiché evidenzia la messa in atto una sorta di filtraggio sensoriale (“sensory gating”). Viene generalmente studiata somministrando due stimoli uditivi appaiati e nei soggetti sani l’ampiezza del secondo potenziale è ridotta rispetto alla prima, riflettendo un meccanismo di soppressione. In soggetti schizofrenici tale soppressione è spesso ridotta o addirittura assente (Bramon et al., 2004) e tale caratteri-stica è stata riscontrata sia nelle fasi prodromiche (Brockhaus-Dumke et al., 2008) sia nei familiari, anche se in letteratura sono presenti dati discordanti (de Wilde et al., 2007). La componente P300, o P3, è un potenziale positivo che insorge circa 300-500 ms; P3 è composta da due componenti principali P3a eP3b e si ritiene che sia il riflesso di processi riguardanti la valutazione cognitiva e la categorizzazione degli stimoli. P3b viene frequentemente elicitata somministrando al soggetto stimoli target (uditivi o visivi) con bassa probabilità di presentazione durante una serie di stimoli non target ad alta frequenza (“oddball paradigm”) ed è di ampiezza massima sulle regioni parietali; P3a, invece, è solitamente generata sulle aree fronto-centrali in risposta a uno stimolo non frequente o saliente, ma senza che abbia necessariamente uno status di target. P300 è stata una dei potenziali più frequentemente studiati e il riscontro di ampiezza ridotta e latenza aumentata è stato frequentemente replicato (Bramon et al., 2004). Inoltre, vi sono evidenze di come l’ampiezza di P3a sia maggiormente ridotta in pazienti con allu-cinazioni uditive rispetto a pazienti senza tali sintomi (Fisher et al., 2010), riflettendo probabilmente una diminuita capacità di attribuire importanza a stimoli esterni, poiché in quel momento i circuiti neuronali sono impegnati nella processazione dei fenomeni allucinatori (Ford et al., 2012) (Fig. 5.2).Un recente studio di potenziali evocati effettuato su un ampio campione di pazienti bipo-lari, schizofrenici e relativi familiari di primo grado ha individuato alterazioni condivise e peculiari dei due disturbi, mettendo in evidenza come in entrambe le condizioni siano presenti deficit nella processazione delle informazioni, a livello sia sensoriale (compo-nenti precoci) sia cognitivo (componenti tardive). Inoltre, alcune delle variabili analizzate sembrano avere le caratteristiche di marker di rischio genetico per i due disturbi: N100 e P3b specifiche per schizofrenia e P200 per disturbo bipolare (Ethridge et al., 2014).Attualmente si ritiene che le funzioni cognitive siano il risultato dell’attività coordinata e di aree e circuiti neuronali distinti, oltre che di network distribuiti a livello di tutta la corteccia. Il meccanismo fisiologico più adatto per consentire la comunicazione fra gruppi di neuroni distanti, quindi la formazione di queste reti è la modulazione delle oscilla-zioni neuronali, nei diversi spettri di frequenza: le bande di frequenza più alte, come beta e gamma, sembrano essere cruciali per la sincronizzazione a livello locale, mentre le bande a frequenza più bassa stabiliscono connessioni fra aree corticali più distanti. Una gran mole di dati suggerisce che l’alterazione delle oscillazioni possa avere un ruolo centrale nella fisiopatologia della schizofrenia, sia durante l’esecuzione di compiti cogni-

Basi neurobiologiche della schizofrenia: i contributi di neurofisiologia e neuroimagingGrazie ai progressi avvenuti in campo strumentale e metodologico nelle ultime due decadi, sono ormai numerose le evidenze di alterazioni a carico del SNC, a livello sia strutturale sia funzionale, in pazienti affetti da schizofrenia. Sebbene ancora non suffi-cientemente specifiche e sensibili per essere considerate marker diagnostici, tali altera-zioni possono risultare utili nel monitoraggio dei soggetti a rischio e per individuare un modello neurofunzionale del disturbo su cui poter lavorare anche a livello clinico.I metodi di registrazione elettroencefalografica e di imaging funzionale (oltre ai relativi metodi di analisi dei dati) sono le tecniche oggigiorno più utilizzate per indagare i corre-lati biologici dei processi cognitivi e delle manifestazioni psicopatologiche dei diversi disturbi psichiatrici; queste tecniche possiedono caratteristiche diverse e complemen-tari. La prima si avvale della registrazione dei potenziali elettrici generati dal cervello e modulati dalle attività mentali, attraverso elettrodi posti sullo scalpo: permette quindi di misurare la risposta a stimoli sensoriali o compiti cognitivi (potenziali evocati), la distri-buzione spaziale dei potenziali, la connessione funzionale fra gruppi neuronali diversi e più o meno distanti fra loro e la localizzazione dei probabili generatori del segnale elettrico nello spazio tridimensionale. Il maggior pregio di tale strumento è la finissima risoluzione temporale (nell’ordine dei millisecondi), che consente di osservare e misu-rare le variazioni del segnale elettrico in tempo reale e in scala con i processi cognitivi sottostanti. Invece, la tecnica di imaging funzionale più studiata (oltre a PET e SPECT) è la risonanza magnetica, che consente di utilizzare diverse metodiche per misurare le variabili prese in questione, ovvero cambiamenti locali nell’ossigenazione del sangue (Blood Oxygen Level-Dependent changes, BOLD) e della perfusione (Arterial Spin Labe-ling, ALS), la direzione dei tratti di materia bianca (Diffusion Tensor Imaging, DTI) e la concentrazione di determinate molecole (Magnetic Resonance Spectroscopy, MRS) nel tessuto cerebrale. Queste tecniche possiedono tutte un’ottima risoluzione spaziale, nell’ordine dei millimetri, e una risoluzione temporale intorno al secondo. Negli ultimi anni, l’utilizzo di tecniche di registrazione combinata EEG/fMRI ha consentito di sfrut-tare le caratteristiche di entrambe e di ottenere risultati molto interessanti.

Neurofisiologia Gran parte delle attività mentali, come la processazione delle informazioni o l’esecuzione di compiti, causa alterazioni dell’attività cerebrale registrabili attraverso l’utilizzo di un elettroencefalografo. Quando questi cambiamenti seguono un particolare evento, sia esterno sia non, si parla di potenziali evocati o evento-correlati; tali modificazioni sono individuabili come potenziali distinti dall’attività spontanea sottostante. Potenziali regi-strabili a breve latenza dall’evento sono generalmente riferibili alla processazione dello

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stimolo a livello sensoriale, mentre potenziali più tardivi sono invece correlati a processi cognitivi più elaborati. Molte sono le alterazioni riscontrate negli anni in pazienti affetti da schizofrenia, nelle componenti sia a corta sia lunga latenza. La componente P50 è ritenuta un’espressione di meccanismi inibitori della processazione delle informazioni in ingresso, poiché evidenzia la messa in atto una sorta di filtraggio sensoriale (“sensory gating”). Viene generalmente studiata somministrando due stimoli uditivi appaiati e nei soggetti sani l’ampiezza del secondo potenziale è ridotta rispetto alla prima, riflettendo un meccanismo di soppressione. In soggetti schizofrenici tale soppressione è spesso ridotta o addirittura assente (Bramon et al., 2004) e tale caratteri-stica è stata riscontrata sia nelle fasi prodromiche (Brockhaus-Dumke et al., 2008) sia nei familiari, anche se in letteratura sono presenti dati discordanti (de Wilde et al., 2007). La componente P300, o P3, è un potenziale positivo che insorge circa 300-500 ms; P3 è composta da due componenti principali P3a eP3b e si ritiene che sia il riflesso di processi riguardanti la valutazione cognitiva e la categorizzazione degli stimoli. P3b viene frequentemente elicitata somministrando al soggetto stimoli target (uditivi o visivi) con bassa probabilità di presentazione durante una serie di stimoli non target ad alta frequenza (“oddball paradigm”) ed è di ampiezza massima sulle regioni parietali; P3a, invece, è solitamente generata sulle aree fronto-centrali in risposta a uno stimolo non frequente o saliente, ma senza che abbia necessariamente uno status di target. P300 è stata una dei potenziali più frequentemente studiati e il riscontro di ampiezza ridotta e latenza aumentata è stato frequentemente replicato (Bramon et al., 2004). Inoltre, vi sono evidenze di come l’ampiezza di P3a sia maggiormente ridotta in pazienti con allu-cinazioni uditive rispetto a pazienti senza tali sintomi (Fisher et al., 2010), riflettendo probabilmente una diminuita capacità di attribuire importanza a stimoli esterni, poiché in quel momento i circuiti neuronali sono impegnati nella processazione dei fenomeni allucinatori (Ford et al., 2012) (Fig. 5.2).Un recente studio di potenziali evocati effettuato su un ampio campione di pazienti bipo-lari, schizofrenici e relativi familiari di primo grado ha individuato alterazioni condivise e peculiari dei due disturbi, mettendo in evidenza come in entrambe le condizioni siano presenti deficit nella processazione delle informazioni, a livello sia sensoriale (compo-nenti precoci) sia cognitivo (componenti tardive). Inoltre, alcune delle variabili analizzate sembrano avere le caratteristiche di marker di rischio genetico per i due disturbi: N100 e P3b specifiche per schizofrenia e P200 per disturbo bipolare (Ethridge et al., 2014).Attualmente si ritiene che le funzioni cognitive siano il risultato dell’attività coordinata e di aree e circuiti neuronali distinti, oltre che di network distribuiti a livello di tutta la corteccia. Il meccanismo fisiologico più adatto per consentire la comunicazione fra gruppi di neuroni distanti, quindi la formazione di queste reti è la modulazione delle oscilla-zioni neuronali, nei diversi spettri di frequenza: le bande di frequenza più alte, come beta e gamma, sembrano essere cruciali per la sincronizzazione a livello locale, mentre le bande a frequenza più bassa stabiliscono connessioni fra aree corticali più distanti. Una gran mole di dati suggerisce che l’alterazione delle oscillazioni possa avere un ruolo centrale nella fisiopatologia della schizofrenia, sia durante l’esecuzione di compiti cogni-

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fra i maggiori responsabili della generazione dei ritmi gamma sembrano esservi le popo-lazioni di interneuroni GABAergici parvalbumina-positivi (Sohal et al., 2009), il sotto-tipo di interneurone la cui funzione è stata più frequentemente riscontrata alterata in pazienti schizofrenici (Lewis et al., 2005).Tali alterazioni sono generalmente presenti già all’esordio del disturbo e sono in parte geneticamente ereditabili (Uhlhaas e Singer, 2010), suggerendo l’ipotesi che almeno una parte della vulnerabilità genetica per la schizofrenia sia attribuibile e si traduca in una scarsa coordinazione temporale di importanti network neuronali. Infatti, alcuni dei geni menzionati nei paragrafi precedenti (codificanti per disbindina e neuregulina, per esempio) sono implicati nella modulazione delle trasmissioni glutammatergica e GABA-ergica, che sono a loro volta strettamente correlate alla generazione delle oscillazioni neuronali (Lisman et al., 2008). Oltre a indagare le dimensioni cliniche sopracitate, lo studio delle oscillazioni potrebbe risultare molto utile per meglio comprendere il fenomeno di “corollary discharge”, chia-mato in causa per spiegare alcune dimensioni sintomatologiche dello spettro schizo-frenico. È stato spesso descritto negli animali e prevede un collegamento anatomico e funzionale fra le regioni motorie e sensoriali, capace di consentire al soggetto di inter-pretare le azioni come proprie, grazie a una copia del segnale motorio che dalle prime va alle seconde (“efference copy”): tale meccanismo, se alterato, potrebbe sottostare ai processi deficitari di automonitoraggio tipici dei pazienti schizofrenici e all’attribu-zione esterna di processi mentali autogenerati, come per esempio le allucinazioni (Ford e Mathalon, 2008).Recenti evidenze suggeriscono l’ipotesi che questo processo, vista anche la necessità di una sincronia nell’ordine del millisecondo, possa essere mediato dalle attività oscillatorie gamma (Chen et al., 2011).Ulteriori alterazioni a livello elettroencefalografico sono state messe in luce non solo studiando i potenziali evocati o le oscillazioni nelle varie bande di frequenza, ma anche nella configurazione spaziale nel tempo della distribuzione dei potenziali elettrici. Diffe-renti distribuzioni devono avere origine da diverse strutture neuronali, riflettendo quindi anche differenti funzioni cognitive. La segmentazione del tracciato EEG in periodi con topografia stabile mostra che il cambiamento non avviene in maniera continua, ma che i pattern rimangono stabili per almeno circa 200 ms, per poi cambiare molto rapida-mente: questi periodi sono stati chiamati microstati e si ipotizza che possano riflettere l’attività dinamica dei network neuronali durante la processazione delle informazioni (Lehmann, 1989; Strik e Lehmann, 1993; Koenig et al., 2002). In pazienti schizofre-nici, sono state riscontrate durate ridotte di alcune classi di microstati e alterazioni nella concatenazione delle diverse classi (Koenig et al., 1999; Lehmann et al., 2005): tali risul-tati concordano con le evidenze già citate che supportano l’ipotesi di come connessioni funzionali alterate e processazione delle informazioni deteriorate possano costituire alcuni dei substrati neurobiologici delle manifestazioni cliniche della schizofrenia (Tab. 5.2). Inoltre, la durata della stessa classe di microstati sembra essere ridotta in momenti in cui i pazienti sperimentano allucinazioni uditive rispetto ai momenti in cui le disper-

tivi sia a riposo: in quest’ultima condizione, per esempio, è stato riportato un aumento dell’attività a bassa frequenza e una diminuzione di quella ad alta frequenza (Boutros et al., 2008; Rutter et al., 2009), nonché un vero e proprio rallentamento delle frequenze naturali nelle zone prefrontali, come dimostrato da un recente studio di stimolazione magnetica (Ferrarelli et al., 2012). Inoltre, alcune correlazioni individuate con alcuni dei sintomi cardini della schizofrenia rafforzano tale ipotesi: per esempio, uno studio condotto utilizzando stimoli uditivi a frequenza specifica ha rivelato che, in controlli sani e in pazienti schizofrenici non allucinati, una stimolazione a 40 Hz induce modifica-zioni nella medesima banda di frequenza elettroencefalografica (gamma) ben diverse da quelle che induce in pazienti allucinati, suggerendo che nei primi la stimolazione porti all’attivazione di un network che rappresenta l’input sensoriale, mentre nei secondi sia causa invece di interferenza con un’attività intrinseca patologica che starebbe alla base dei fenomeni dispercettivi (Koenig et al., 2012). In particolare, le oscillazioni nella banda gamma sono state frequentemente studiate in quanto direttamente coinvolte in processi cognitivi alterati in pazienti schizofrenici, come attenzione, memoria e processazione sensoriale (Benchekane et al., 2011); inoltre,

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FIGURA 5.2 Media complessiva delle forme d’onda sottratte, che evidenzia la P3a (misurata in μV) nei soggetti HC (controlli sani), HP (pazienti con allucinazioni) e NP (pazienti senza allucinazioni). (Adattata da Fisher et al., 2010.)

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fra i maggiori responsabili della generazione dei ritmi gamma sembrano esservi le popo-lazioni di interneuroni GABAergici parvalbumina-positivi (Sohal et al., 2009), il sotto-tipo di interneurone la cui funzione è stata più frequentemente riscontrata alterata in pazienti schizofrenici (Lewis et al., 2005).Tali alterazioni sono generalmente presenti già all’esordio del disturbo e sono in parte geneticamente ereditabili (Uhlhaas e Singer, 2010), suggerendo l’ipotesi che almeno una parte della vulnerabilità genetica per la schizofrenia sia attribuibile e si traduca in una scarsa coordinazione temporale di importanti network neuronali. Infatti, alcuni dei geni menzionati nei paragrafi precedenti (codificanti per disbindina e neuregulina, per esempio) sono implicati nella modulazione delle trasmissioni glutammatergica e GABA-ergica, che sono a loro volta strettamente correlate alla generazione delle oscillazioni neuronali (Lisman et al., 2008). Oltre a indagare le dimensioni cliniche sopracitate, lo studio delle oscillazioni potrebbe risultare molto utile per meglio comprendere il fenomeno di “corollary discharge”, chia-mato in causa per spiegare alcune dimensioni sintomatologiche dello spettro schizo-frenico. È stato spesso descritto negli animali e prevede un collegamento anatomico e funzionale fra le regioni motorie e sensoriali, capace di consentire al soggetto di inter-pretare le azioni come proprie, grazie a una copia del segnale motorio che dalle prime va alle seconde (“efference copy”): tale meccanismo, se alterato, potrebbe sottostare ai processi deficitari di automonitoraggio tipici dei pazienti schizofrenici e all’attribu-zione esterna di processi mentali autogenerati, come per esempio le allucinazioni (Ford e Mathalon, 2008).Recenti evidenze suggeriscono l’ipotesi che questo processo, vista anche la necessità di una sincronia nell’ordine del millisecondo, possa essere mediato dalle attività oscillatorie gamma (Chen et al., 2011).Ulteriori alterazioni a livello elettroencefalografico sono state messe in luce non solo studiando i potenziali evocati o le oscillazioni nelle varie bande di frequenza, ma anche nella configurazione spaziale nel tempo della distribuzione dei potenziali elettrici. Diffe-renti distribuzioni devono avere origine da diverse strutture neuronali, riflettendo quindi anche differenti funzioni cognitive. La segmentazione del tracciato EEG in periodi con topografia stabile mostra che il cambiamento non avviene in maniera continua, ma che i pattern rimangono stabili per almeno circa 200 ms, per poi cambiare molto rapida-mente: questi periodi sono stati chiamati microstati e si ipotizza che possano riflettere l’attività dinamica dei network neuronali durante la processazione delle informazioni (Lehmann, 1989; Strik e Lehmann, 1993; Koenig et al., 2002). In pazienti schizofre-nici, sono state riscontrate durate ridotte di alcune classi di microstati e alterazioni nella concatenazione delle diverse classi (Koenig et al., 1999; Lehmann et al., 2005): tali risul-tati concordano con le evidenze già citate che supportano l’ipotesi di come connessioni funzionali alterate e processazione delle informazioni deteriorate possano costituire alcuni dei substrati neurobiologici delle manifestazioni cliniche della schizofrenia (Tab. 5.2). Inoltre, la durata della stessa classe di microstati sembra essere ridotta in momenti in cui i pazienti sperimentano allucinazioni uditive rispetto ai momenti in cui le disper-

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cezioni non sono presenti; ciò rappresenta probabilmente una topografia relativa a funzioni di monitoraggio errore-dipendente della processazione delle informazioni, che, in caso di disfunzione (espressa in questa circostanza dalla durata ridotta e dalla terminazione precoce del microstato in questione), potrebbe portare all’erronea attri-buzione a sorgenti esterne di pensieri, generando i fenomeni dispercettivi (Kindler et al., 2011). Risultati preliminari indicano poi un aumento della presenza di una classe di microstati (precedentemente associata a un network neuronale in condizione di riposo con funzione di attribuzione di salienza) in adolescenti affetti da sindrome da delezione 22q11.2 rispetto a controlli sani e un’associazione di questo reperto con sintomi positivi, mettendo in luce un potenziale biomarker di rischio, se i dati dovessero essere confer-mati da studi longitudinali (Tomescu et al., 2014).

NeuroimagingPer quanto riguarda invece le tecniche di indagine relative a fMRI, negli ultimi anni è stata ottenuta una gran mole di dati che ha messo in luce alterazioni significative in pazienti schi-zofrenici sia in condizione di riposo (resting state) sia correlate a diversi compiti cognitivi o dimensioni psicopatologiche. Anche in questo caso, gli sforzi sono rivolti principalmente nel cercare di ottenere marker di malattia sufficientemente sensibili e specifici, che permet-tano in particolare l’individuazione precoce dei soggetti a rischio. Recenti studi, infatti, hanno evidenziato come alcune disfunzioni cognitive tipiche della schizofrenia possano avere dei correlati biologici ben delineabili, che differenziano in maniera statisticamente significativa i pazienti e i relativi familiari dai controlli sani (Di Giorgio et al., 2013): per esempio, sottoponendo questi soggetti a un test cognitivo valutante la memoria dichiara-tiva durante lo scanning in risonanza funzionale, i ricercatori hanno messo in evidenza una minore attivazione nelle regioni paraippocampali, oltre a una minor connettività funzio-nale fra l’ippocampo e alcune aree parietali, nei pazienti affetti e nei familiari rispetto ai controlli. Questi risultati sembrano suggerire come un’alterata funzione (para)ippocam-pale durante la codificazione di nuovi stimoli possa essere un ipotetico endofenotipo legato a un aumento del rischio per schizofrenia (Rasetti et al., 2014). Anche a livello strutturale, recenti evidenze supportano l’ipotesi dell’esistenza di alcune alterazioni presenti già in popolazioni ad alto rischio, in particolare riduzione di volume della materia grigia nelle aree prefrontali, perisilviane (Koutsouleris et al., 2014) e temporolimbiche (Fusar-Poli et al., 2012), anche se sono necessari ulteriori studi per stratificare al meglio i soggetti a rischio. Le alterazioni strutturali a livello prefrontale sembrano essere le più pronunciate e possedere anche correlati funzionali (Smieskova et al., 2013).In soggetti con schizofrenia manifesta la mole di dati è ancora più grande. Si sono riscon-trate alterazioni a livello di alcuni “resting state networks” (RSN), che rappresentano aree cerebrali attive in condizioni di riposo, e in particolare a carico del “default mode network” (DMN), ritenuto implicato in attività mentali autoreferenziali e nella proces-sazione delle emozioni (Gusnard et al., 2001): in particolare un’iperattivazione (ovvero una mancata soppressione durante attività mentali) e un’iperconnettività all’interno del T

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cezioni non sono presenti; ciò rappresenta probabilmente una topografia relativa a funzioni di monitoraggio errore-dipendente della processazione delle informazioni, che, in caso di disfunzione (espressa in questa circostanza dalla durata ridotta e dalla terminazione precoce del microstato in questione), potrebbe portare all’erronea attri-buzione a sorgenti esterne di pensieri, generando i fenomeni dispercettivi (Kindler et al., 2011). Risultati preliminari indicano poi un aumento della presenza di una classe di microstati (precedentemente associata a un network neuronale in condizione di riposo con funzione di attribuzione di salienza) in adolescenti affetti da sindrome da delezione 22q11.2 rispetto a controlli sani e un’associazione di questo reperto con sintomi positivi, mettendo in luce un potenziale biomarker di rischio, se i dati dovessero essere confer-mati da studi longitudinali (Tomescu et al., 2014).

NeuroimagingPer quanto riguarda invece le tecniche di indagine relative a fMRI, negli ultimi anni è stata ottenuta una gran mole di dati che ha messo in luce alterazioni significative in pazienti schi-zofrenici sia in condizione di riposo (resting state) sia correlate a diversi compiti cognitivi o dimensioni psicopatologiche. Anche in questo caso, gli sforzi sono rivolti principalmente nel cercare di ottenere marker di malattia sufficientemente sensibili e specifici, che permet-tano in particolare l’individuazione precoce dei soggetti a rischio. Recenti studi, infatti, hanno evidenziato come alcune disfunzioni cognitive tipiche della schizofrenia possano avere dei correlati biologici ben delineabili, che differenziano in maniera statisticamente significativa i pazienti e i relativi familiari dai controlli sani (Di Giorgio et al., 2013): per esempio, sottoponendo questi soggetti a un test cognitivo valutante la memoria dichiara-tiva durante lo scanning in risonanza funzionale, i ricercatori hanno messo in evidenza una minore attivazione nelle regioni paraippocampali, oltre a una minor connettività funzio-nale fra l’ippocampo e alcune aree parietali, nei pazienti affetti e nei familiari rispetto ai controlli. Questi risultati sembrano suggerire come un’alterata funzione (para)ippocam-pale durante la codificazione di nuovi stimoli possa essere un ipotetico endofenotipo legato a un aumento del rischio per schizofrenia (Rasetti et al., 2014). Anche a livello strutturale, recenti evidenze supportano l’ipotesi dell’esistenza di alcune alterazioni presenti già in popolazioni ad alto rischio, in particolare riduzione di volume della materia grigia nelle aree prefrontali, perisilviane (Koutsouleris et al., 2014) e temporolimbiche (Fusar-Poli et al., 2012), anche se sono necessari ulteriori studi per stratificare al meglio i soggetti a rischio. Le alterazioni strutturali a livello prefrontale sembrano essere le più pronunciate e possedere anche correlati funzionali (Smieskova et al., 2013).In soggetti con schizofrenia manifesta la mole di dati è ancora più grande. Si sono riscon-trate alterazioni a livello di alcuni “resting state networks” (RSN), che rappresentano aree cerebrali attive in condizioni di riposo, e in particolare a carico del “default mode network” (DMN), ritenuto implicato in attività mentali autoreferenziali e nella proces-sazione delle emozioni (Gusnard et al., 2001): in particolare un’iperattivazione (ovvero una mancata soppressione durante attività mentali) e un’iperconnettività all’interno del

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In sintesi

✓ I più recenti studi genetici hanno evidenziato alti tassi di ereditabilità per la schizofrenia.

✓ Non si eredita il disturbo, ma le alterazioni genetiche che, in combinazio-ne con fattori ambientali, determinano la vulnerabilità alla schizofrenia.

✓ Ci sono diversi geni candidati per la schizofrenia: DISC1, NRG1, DTNBP1, COMT.

✓ È stato riscontrato un coinvolgimento del sistema immunitario: sono presenti livelli elevati di citochine pro-infiammatorie e risposte infiam-matorie eccessive e disregolate.

✓ A livello neurofisiologico, nei soggetti con schizofrenia si riscontrano al-terazioni nella componente P50 e P300 e ulteriori anomalie nel tracciato elettroencefalografico.

✓ A livello di neuroimaging, si evidenziano alterazioni delle aree paraippo-campali e una riduzione di volume di materia grigia nelle aree prefronta-li, perisilviane e temporolimbiche.

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