Fra Dolcino
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Fra Dolcino
Dolcino da Novara, o fra Dolcino come venne chiamato dalla storiografia
ottocentesca, (Prato Sesia, circa 1250 –
Vercelli, 1º giugno 1307) è statoun predicatore millenarista italiano. Accusato di eresia dall'Inquisizione, fu
catturato e ucciso sul rogo nell'estate del 1307.
Biografia
Le notizie storicamente accertate sulla figura e l'opera di Dolcino sono poche e
incerte e le fonti sono prevalentemente di parte avversa ai dolciniani .
Secondo alcune di esse il suo vero nome era Davide Tornielli. Il suo effettivo luogo di nascita è sconosciuto, anche se vieneconvenzionalmente indicato in Prato Sesia; così come la data di nascita. Si suppone tuttavia che sia nato nell'alto novarese (è
stato affermato, infatti, che il cognome Tornielli sia originario di Romagnano Sesia, mentre una torre nel territorio
di Trontano, in Ossola, porta quel nome).
Alcune ricostruzioni posteriori, per squalificarne la nascita, sostennero che Dolcino fosse il frutto dell'unione di una donna
del posto con un prete, forse il parroco di Prato Sesia.
Nel 1291 Dolcino entrò a far parte del movimento degli Apostolici, guidato da Gherardo Segalelli. È dubbio in tal senso come
la definizione di "frate", con cui spesso anche Dolcino viene definito, debba essere intesa, perché non si è affatto sicuri che
egli abbia mai pronunciato voti religiosi: si limitò forse ad autodefinirsi "fratello" nell'ambito del movimento ereticale. Gli
Apostolici, in sospetto di eresia e già condannati da papa Onorio IV nel 1286, furono repressi dalla Chiesa cattolica e il
Segalelli fu arso sul rogo il 18 luglio 1300.
La predicazione di fra' Dolcino si svolse anzitutto nella zona del lago di Garda, con un soggiorno accertato presso Arco di
Trento. Nel 1303, predicando nei dintorni di Trento, Dolcino conobbe la giovane Margherita Boninsegna nativa di Cimego,
donna che i cronisti posteriori, per sottolinearne il fascino in qualche modo perverso, concordano nel definire bellissima.
Margherita divenne la sua compagna e lo affiancò nella predicazione.
Dolcino si rivelò dotato di grande fascino e comunicativo e, sotto la sua guida, il numero degli Apostolici riprese a crescere. Si
attirò le ire della Chiesa per i contenuti della predicazione, apertamente ostile a Roma e a papa Bonifacio VIII, di cui
profetizzava la prossima scomparsa. Durante gli spostamenti effettuati in Italia settentrionale per diffondere le proprie
convinzioni e accrescere il numero dei seguaci, Dolcino e i suoi furono ospitati tra il Vercellese e la Valsesia.
Qui, a causa delle severe condizioni di vita dei valligiani, le promesse di riscatto dei dolciniani furono accolte positivamente.
Per questo, dopo un breve ritorno nel Bresciano, approfittando del sostegno armato offerto da Matteo Visconti,
nel 1304 Dolcino decise di occupare militarmente la Valsesia e di farne una sorta di territorio franco dove realizzare
concretamente il tipo di comunità teorizzato nella propria predicazione. Dolcino si stanziò per un lungo periodo nella località
denominata parete calva situata presso Rassa (VC).
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Di qui, il 10 marzo 1306, tutti i seguaci, abbandonati dal Visconti, si concentrarono sul Monte Rubello sopra Trivero (poco
distante dal Bocchetto di Sessera, nel Biellese), nella vana attesa che le profezie millenaristiche proclamate da Dolcino si
realizzassero.
Contro di loro fu bandita una vera e propria crociata, proclamata da Raniero degli Avogadro vescovo di Vercelli e che
coinvolse anche milizie del Novarese. I dolciniani resistettero a lungo, ma infine, provati dall'assedio e dalla mancanza di
viveri, che la popolazione locale, divenuta oggetto di vere razzie, non poteva né voleva più fornire loro, furono sconfitti e
catturati nella settimana santa del 1307. Quasi tutti i prigionieri furono passati per le armi; fra' Dolcino, processato e
condannato a morte, fu giustiziato pubblicamente il 1º giugno, dopo avere assistito al rogo di Margherita e del suo
luogotenente Longino da Bergamo.
Setta degli Apostolici
« Gesù e gli apostoli non avevano mai posseduto niente »
(Fra Dolcino)
La setta degli "Apostolici", fondata da Segalelli verso il 1260, rientra nel novero dei
movimenti pauperistici e millenaristici che fiorirono numerosi in quel periodo.
Essi conducevano una vita con frequenti digiuni e preghiere, lavorando o chiedendo la carità, senza praticare il celibato
forzoso: la cerimonia di accettazione dei nuovi seguaci prevedeva che pubblicamente si spogliassero nudi, per rappresentare
la propria nullità davanti a Dio, come avrebbe fatto san Francesco; predicavano l'ubbidienza alle Scritture, che portava alla
disobbedienza ai pontefici, la predicazione ambulante dei laici, l'imminenza del castigo celeste provocato dalla corruzione
dei costumi ecclesiastici, l'osservanza dei precetti evangelici e la povertà assoluta. Quest'ultimo punto, ovviamente, portò
alle ire della Chiesa di Roma ed i dolciniani stessi furono accusati di depredazioni e accaparramenti decisamente maggiori di
quelli che furono strettamente necessari a garantire la loro semplice sopravvivenza.
Dolcino espose la sua dottrina in una serie di lettere (tutte ricostruite sulla base di documenti di parte avversa) indirizzate
agli Apostolici: ispirandosi a Gioacchino da Fiore egli riteneva che la storia della Chiesa si dividesse in quattro epoche, e che
fosse imminente l'avvento dell'ultima, un tempo finale in cui si sarebbe ristabilito finalmente l'ordine e la pace dopo le
degenerazioni della Chiesa del tempo, e annunciò l'approssimarsi della fine dei tempi e la discesa dello Spirito sugli apostoli .
Alcuni teologi della Riforma videro in Dolcino un loro antesignano e, nella diffusione della Parola di Dio legata alla
liberazione del nord Europa dal giogo papale, l'adempimento della sua profezia.
La Crociata contro i dolciniani
La Crociata contro Dolcino fu bandita, come detto, dal vescovo di Vercelli Raniero (o Rainero) degli Avogadro, con il
beneplacito di papa Clemente V nel 1306. A lungo si è ritenuto che i valligiani tra il Biellese e la Valsesia l'avessero addirittura
anticipata aderendo allo Statutum Ligae contra Haereticos (cosiddetto statuto di Scopello), redatto già il 24 agosto 1305.
Studi più recenti, tuttavia, hanno dimostrato che il documento è un falso, confezionato alla fine del sec. XVIII in ambienti
clericali per dimostrare l'esistenza di un movimento popolare antidolciniano sin dalle origini della sua predicazione nel
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Biellese. Nello Statuto si pretendeva che numerosi rappresentanti delle genti delle tre principali valli valsesiane, riuniti
nella chiesa di San Bartolomeo a Scopa, avessero giurato sui Vangeli di scendere in armi contro i dolciniani fino al loro totale
sterminio. Chiunque indossi la veste con croce e si appresti a partire verso le valli del Novarese e Vercellese per combattere
l'eresia dolciniana - questo il senso della disposizione delle autorità ecclesiastiche - avrà rimessa la totalità dei peccati . Come
detto, tuttavia, lo Statutum è un falso.
Il movimento guidato da Dolcino contava, al massimo della sua espansione, tra i 5000 ed i 10000 aderenti, benché simili
numeri possano anche essere considerati l'esagerazione di alcuni autori: per fare un confronto, infatti, la città
di Novara contava al tempo circa 5000 abitanti e l'alta Valsesia meno di 500. Nell'organizzazione della loro difesa i dolciniani
costruirono fortificazioni le cui vestigia sul Monte Rubello sarebbero state ancora rinvenute da scavi archeologici recenti.
Scorribande improvvise e sortite notturne nelle campagne della Valsesia e del Biellese permisero un misero sostentamento
ai fuggiaschi, verso i quali crebbe però l'ostilità dei valligiani depredati. Un rigido inverno contribuì a ridurre ulteriormente le
forze e le riserve alimentari. I vescovili dal canto loro potenziarono il proprio esercito assoldando, tra gli altri, anche un
contingente di balestrieri genovesi. Le alture circostanti, tra le quali il Monte Rovella, vennero fortificate con lo scopo di
isolare Dolcino e i suoi seguaci. Nella settimana Santa (23 marzo) del 1307, le truppe di Raniero riuscirono a penetrare nel
fortilizio fatto costruire da Dolcino, dove ancora resistevano disperatamente gli ultimi superstiti del gruppo ormai falcidiato.
Secondo le fonti di epoca successiva lo spettacolo che si presentò agli assalitori fu drammatico: gli assediati, per
sopravvivere, si erano cibati dei resti dei compagni morti. Tutti i dolciniani, comunque, vennero immediatamente passati per
le armi eccetto Dolcino, Longino e Margherita.
Il processo e l'esecuzioneFra' Dolcino fu processato a Vercelli e condannato a morte. L'Anonimo Fiorentino (uno dei primi commentatori della Divina
Commedia) riferisce che egli rifiutò di pentirsi e anzi proclamò che, se lo avessero ucciso, sarebbe resuscitato il terzo giorno.
Margherita e Longino furono arsi vivi sulle rive del torrente Cervo, il corso d'acqua che scorre vicino a Biella, dove la
tradizione identifica ancora una sorta di isolotto detto appunto "di Margherita". Un cronista annota che Dolcino, costretto
ad assistere al supplizio dell'amata, "darà continuo conforto alla sua donna in modo dolcissimo e tenero". L'Anonimo
Fiorentino, all'opposto, afferma che Margherita fu giustiziata dopo di lui.
Per Dolcino si volle procedere ad un'esecuzione pubblica esemplare: secondo Benvenuto da Imola (un altro anticocommentatore dantesco), egli fu condotto su un carro attraverso la città di Vercelli, venne torturato a più riprese con
tenaglie arroventate e gli furono strappati il naso e il pene. Dolcino sopportò tutti i tormenti con resistenza non comune,
senza gridare né lamentarsi. Infine fu issato sul rogo e arso vivo a sua volta. Con molta probabilità il rogo avvenne
nell'attuale zona del Tribunale di Vercelli, una volta letto del fiume Sesia.
Fra' Dolcino nella Divina Commedia
Dante ricorda fra' Dolcino nella Divina Commedia con questi versi:
« Or di' a fra Dolcin dunque che s'armi,
tu che forse vedrai lo sole in breve,
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s'egli non vuol qui tosto seguitarmi,
sì di vivanda, che stretta di nevenon rechi la vittoria al Noarese,ch'altrimenti acquistar non sarìa lieve. »
(Inferno XXVIII, 55-60)
Dante destina fra' Dolcino alla bolgia dei seminatori di discordie e degli scismatici; poiché però l'azione della Commedia è
ambientata nel 1300, quando egli era ancora vivo, Dante non lo incontra durante la sua visita all'Inferno, ma è Maometto,
che si trova in quella stessa bolgia, a preannunciargli il suo arrivo. Si tratta di una delle numerose "profezie" che Dante inserì
nel poema per poter citare personaggi ancora viventi nel 1300 o eventi posteriori a tale data (ma già avvenuti, ovviamente,
nel momento in cui egli scriveva).
La notorietà dell'episodio, che nell'economia del poema è assolutamente marginale, è dovuta soprattutto all'orgoglio un po'
campanilistico con cui, nel XIX secolo, gli intellettuali dell'area tra il Biellese e la Valsesia sottolinearono la presenza di un
accenno alle loro terre nel capolavoro dantesco: un fenomeno analogo è osservabile nell'esagerato rilievo che la cultura
vercellese ha sempre dato ai versi - di poco successivi - relativi "al dolce piano / che da Vercelli a Marcabò dichina" (Inferno
XXVIII, 73-74). Essi, infatti, costituiscono solo una precisazione geografica e non certo una lode del capoluogo eusebiano.
Il "mito" di Dolcino
Il "mito" di Dolcino è in buona sostanza una riscoperta ottocentesca. Tutte le menzioni precedenti, da leggere nell'ambito di
una storiografia fortemente confessionale e di matrice cattolica, avevano sottolineato in varie forme il ruolo positivo della
Crociata vercellese contro gli eretici, a tutela dell'unità della fede cristiana e dell'integrità dell'ordine sociale esistente. Nel
clima laico che seguì l'Unità d'Italia la revisione della tradizione clericale portò a presentare Dolcino come un simbolo della
lotta al potere temporale della Chiesa.
Nel 1907, per il seicentesimo anniversario della morte di Dolcino, alla presenza di una folla di diecimila persone riunitesi sui
luoghi dell'ultima battaglia, un obelisco alto dodici metri fu eretto in memoria dei dolciniani. Promotore dell'iniziativa era
stato Emanuele Sella, letterato ed economista che vantava trascorsi in seno al socialismo: fu soprattutto lui a suggerire un
accostamento tra le istanze dolciniane e quelle socialiste. Nonostante il successo ottenuto nella ricorrenza non vi fu alcuna
reale adesione popolare al "mito di Dolcino" e già l'anno successivo, nel 1908, le celebrazioni andarono pressoché deserte.
Nel 1927 l'obelisco fu abbattuto da un gruppo di fascisti. La volontà di riedificare il monumento acquistò grande valore
simbolico dopo la caduta del Regime fascista e nel 1974 un monumento più piccolo fu edificato nello stesso punto del monte
Rubello. Da allora ogni anno, nella seconda domenica di settembre, viene organizzato un convegno dolciniano.
Il settecentesimo anniversario della morte di fra' Dolcino ha posto in essere, tra la fine del 2005 e l'inizio del 2007, molte
manifestazioni in suo ricordo.