Forza e Energia

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FORZA ED ENERGIA REALTÀ O APPARENZE? RELAZIONE TRATTA DAI VOLUMI “LA TEORIA DELLE APPARENZE” E “PSICOBIOFISICA” DEL PROF. ING. DOTT. MARCO TODESCHINI A cura di Fiorenzo Zampieri Circolo di Psicobiofisica “Amici di Marco Todeschini”

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FORZA ED ENERGIA

REALTÀ O

APPARENZE?

RELAZIONE

TRATTA DAI VOLUMI “LA TEORIA DELLE APPARENZE”

E “PSICOBIOFISICA”

DEL

PROF. ING. DOTT.

MMAARRCCOO TTOODDEESSCCHHIINNII

A cura di

Fiorenzo Zampieri

Circolo di Psicobiofisica

“Amici di Marco Todeschini”

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FORZA ED ENERGIA, REALTÀ O APPARENZE?

E’ probabile che fra gli ormai numerosissimi documenti fin qui pubblicati nel

nostro Sito internet, ve ne sia qualcuno che già contiene gli argomenti in oggetto;

in questo documento però vogliamo approfondire quello che essi rappresentano,

nella scienza todeschiniana, nel mondo fisico materiale e nel mondo psichico

immateriale.

FORZA.

Questa dissertazione la possiamo benissimo iniziare citando quanto scrisse in

merito il grande Leonardo da Vinci:

“forza dico essere una virtù spirituale, una potenza invisibile…” dimostrando

anche con questa frase l’acume scientifico che lo contraddistingueva.

Per tutti noi, però, che veniamo da studi scolastici, nel corso dei quali abbiamo

affrontato questi argomenti, della forza ci hanno insegnato una ben determinata

definizione che possiamo riassumere così:

La forza (definizione scolastica) Agente fisico che tende a modificare lo stato di quiete o di moto di un corpo. Una forza è una grandezza vettoriale definita da intensità, punto di applicazione,

direzione e verso.

La forza è la grandezza fisica su cui si fonda la dinamica (principi di Newton).

1a legge della dinamica o principio d’inerzia: un corpo tende a mantenere il proprio stato di quiete o di moto rettilineo uniforme fino a quando non interviene

una forza esterna,

2a legge della dinamica: quando ad un corpo di massa m viene applicata una F esso acquista una accelerazione a con verso e direzione coincidente alla forza per cui F = m a 3a legge della dinamica: ad ogni azione corrisponde una reazione uguale e contraria.

Grandezze fisiche quali l’accelerazione e la velocità, spesso non sono sufficienti a

descrivere il moto di un corpo. Infatti se si pensa all’urto tra due sfere, una sfera

ferma e l’altra in movimento, la velocità che verrà impressa alla sfera ferma in

seguito all’urto dipende dalla velocità della sfera in moto, ma anche dalle relative

masse. La sfera di massa minore acquista, in seguito all’urto, una velocità

maggiore rispetto ad una di massa più grande. Per tenere conto di questo fatto in

fisica viene introdotta una nuova grandezza vettoriale, la quantità di moto, indicata con p, data dal prodotto della velocità v di un corpo per la sua massa m:

p = m v

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La 2^ legge della dinamica scritta in termini di quantità di moto esprime la legge

di conservazione della quantità di moto: la quantità di moto di un corpo sottoposto a forze di risultante nulla è costante nel tempo. Si definisce impulso, I, di una forza F il prodotto della forza applicata a un corpo per un intervallo di tempo t nel quale dura l’applicazione:

I = F t

Per cui la 2^ legge della dinamica si può scrivere come:

I = p = m v

E cioè che l’impulso di una forza applicata ad un corpo è uguale alla variazione

della quantità di moto del corpo stesso.

La forza (secondo la PsicoBioFisica) La fisica scolastica non dà una definizione esaustiva della forza enunciandola

genericamente come azione senza definirne l’origine.

In PsicoBioFisica si dimostra che la forza quale ente fisico non esiste e lo spiega

in tal modo:

supponiamo che una sfera di massa m1 subisca una certa decelerazione a1

nel’urtare contro un’altra sfera immobile avente massa m2 e le imprima una

accelerazione a2 come accade nel gioco del biliardo. Immaginiamo che nell’urto

non vi sia alcuna dispersione in calore, suono, ecc. e che la sfera urtante, dopo

l’urto resti immobile. Questo per semplificare i calcoli. Possiamo rappresentare

questo fenomeno con la seguente uguaglianza:

m1 a1 = m2 a2

sia il primo che il secondo membro esprimendo il prodotto di una massa per una

accelerazione, per il principio d’inerzia di Newton, sono equivalenti entrambi ad

una forza F. Orbene si tratta di accertare se nell’urto la massa m1 ha impresso alla massa m2

una forza o una accelerazione, oppure se le ha impresso forza ed anche

accelerazione. Se fosse vero quest’ultimo caso, nella massa m2 dopo l’urto, si

dovrebbe trovare sia la forza F, sia l’accelerazione a2 per cui si dovrebbe trovare:

m2 a2 + F

Questa inerzia essendo stata comunicata dalla decelerazione a1 della massa m1

contro la sfera urtata, per l’equilibrio dovremo avere:

m1 a1 = m2 a2 + F

ma essendo:

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F = m1 a1 = m2 a2

avremo:

m1 a1 = 2 m1 a1

che costituisce un assurdo matematico, essendo invece:

m1 a1 < 2 m1 a1

che non è un assurdo matematico ma costituisce un assurdo fisico perche dice che

la sfera urtata ha una forza d’inerzia doppia di quella che le ha ceduto quella

urtante. Se questo fosse, sarebbe possibile generare il moto perpetuo, cioè ottenere

forze maggiori da forze minori, il che è assurdo.

Ritenendo quindi che alla massa urtata sia stata impressa una forza ed anche una

accelerazione cadiamo in un assurdo matematico od in un assurdo fisico. Bisogna

dunque concludere che la massa urtante abbia ceduto a quella urtata solamente

una forza oppure solamente una accelerazione.

Ora, poiché dopo l’urto nella sfera urtata troviamo realmente la sua massa m2 e la

accelerazione a2, ne segue che tra le due sfere non si è trasmessa forza ma

solamente una accelerazione di massa. L’unica realtà esistente nel mondo fisico,

dopo l’urto è la massa materiale urtata che accelera e non possiamo sostituire questa realtà fisica con una forza astratta, benché questa sia equivalente al prodotto di quella massa per la sua accelerazione secondo la relazione:

F = m2 a2

Se dal lato matematico risulta lecito sostituire il prodotto della massa urtante per

la sua accelerazione con la forza equivalente come postulato dal Newton, dal lato

fisico invece tale sostituzione appare ingiustificata poiché senza la realtà oggettiva

del corpo che decelera contro il corpo urtato, questo non si muove.

Altro aspetto da considerarsi nell’applicazione delle forze è quello per il quale si

può affermare che una forza può esistere solamente se dura un certo tempo, in

quanto se non è applicata per un periodo di tempo, sia pur piccolo a piacere, essa

non manifesta i suoi effetti, cioè non esiste.

Ma il prodotto di una forza per un certo tempo non ha più gli attributi di una

forza, ma bensì quelli di un impulso:

I = F t

il quale con le opportune sostituzioni produce una quantità di moto:

I = m v

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Con questo resta dimostrato che se è vero che una forza è proporzionale

all’accelerazione, non è meno vero che in pratica si possono applicare solo degli

impulsi che fisicamente provocano delle velocità. Infatti, in un mezzo resistente,

per mantenere ad un corpo una determinata velocità per un certo tempo si deve

mantenergli applicata una determinata forza per quello stesso periodo di tempo.

Se consideriamo ora il moto nel vuoto in cui si verifica la legge d’inerzia:

F = m a

si vede parimenti che non si può applicare detta forza alla massa m se l’applicazione non permane almeno per un determinato periodo di tempo t, ma con ciò diventa:

Ft = m v

che essendo identica alla:

I = m v

dimostra che anche nel vuoto, come in un mezzo resistente, l’applicazione di una

forza non potendo essere fatta che per un certo tempo, produce sempre delle

velocità, smentendo quanto ritenuto da Galilei - Newton che nel vuoto le forze

producono accelerazioni e nel pieno delle velocità.

Da ciò risulta che la formula:

F = m a (1)

è irrealizzabile, mentre la:

I = m v (2)

dovrebbe essere presa a fondamento della meccanica.

Per provare quest’ultima asserzione vediamo di fare un esempio. Supponiamo di

considerare un corpo che per spostarsi trovi attrito, ad esempio un automezzo che

subisce la resistenza opposta dall’aria al suo movimento e l’attrito radente delle

sue ruote sul terreno. Se per un certo periodo di tempo, l’automezzo è soggetto ad

una forza di trazione F, esso assumerà una certa velocità v, tale da verificare la (1). Evidentemente se si potesse diminuire la densità dell’aria, diminuirebbe la

resistenza che essa oppone al moto del veicolo, e questo aumenterebbe la propria

velocità che diverrebbe massima nel vuoto assoluto. Resterebbe però l’attrito tra

le ruote e il terreno. Diminuendo anche questo attrito, diminuisce l’aderenza al

suolo e quindi le ruote subirebbero uno slittamento tanto più grande quanto

minore è l’attrito. In breve: con un suolo perfettamente liscio e copertoni

assolutamente lisci, cioè privi di attrito, si avrebbe slittamento completo tra ruote

e terreno e l’automezzo non si sposterebbe, cioè resterebbe immobile rispetto alla

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strada. Dunque in assenza di aria ed in assenza di attrito, cioè nelle condizioni del

vuoto assoluto, la velocità v di qualsiasi veicolo sarebbe nulla e quindi la (1) diviene:

m v = 0

e derivando questa equazione rispetto al tempo si ha:

m dv / dt = m a = F = 0

la forza F sarebbe nulla e perciò si scopre che nel vuoto assoluto non è possibile né produrre forze, né accelerazioni, né velocità, da cui ne consegue che poiché la legge d’inerzia (1) risulta universalmente e sperimentalmente accettata, essa

dimostra che nell’universo non esiste spazio vuoto assoluto, ma solamente spazio

vuoto ponderale, avente cioè una determinata densità.

La 1a legge della dinamica o principio d’inerzia va perciò modificata come segue: la materia tende ad assumere ed a mantenere lo stato di moto o di quiete

che ha lo spazio vuoto ponderale immediatamente circostante in cui è immersa.

La 2a legge della dinamica rimane invece invariata, poiché anche nello spazio vuoto ponderale, per far variare la velocità di un corpo in esso immerso occorre

applicare sempre una forza.

Anche la 3a legge della dinamica rappresenta una evidenza della esistenza di uno spazio vuoto ponderale anziché di uno spazio vuoto assoluto in quanto affinché vi

sia una reazione l’azione deve reagire su qualcosa di fisicamente e realmente

esistente e resistente.

Dimostrato tutto ciò con argomenti strettamente fisico-matematici, vogliamo ora

passare all’aspetto spirituale che in maniera del tutto logica e naturale, scaturisce

da quelle argomentazioni.

Cosa rappresenta quindi l’equazione F = m a ? Scrive Todeschini che essa rappresenta l’unione esistente tra il mondo fisico materiale, rappresentato dal suo

secondo membro, ed il mondo psichico immateriale, al primo membro. A

sostegno di questo fatto porta il seguente pensiero.

Da una serie di esperimenti effettuati sugli animali e sull’uomo egli ha potuto

dimostrare che solamente quando i movimenti di materia solida, liquida, gassosa

o sciolta alla stato di spazio fluido, si infrangono contro i nostri organi di senso,

provocano in questi delle correnti elettriche, le quali trasmesse dalle linee nervose

al cervello, suscitano nella nostra psiche, ed esclusivamente in essa, le sensazioni

di luce, calore, elettricità, suono, odore, sapore, forza, ecc.. Queste sensazioni non esistono quindi nel mondo fisico oggettivo, sono apparenze di esso, pur essendo

realtà psichiche soggettive incontestabili perché sorgono veramente nella nostra

psiche e da essa sono percepite direttamente. Al contrario, lo spazio fluido ed i

suoi movimenti che costituiscono tutti i fenomeni materiali, sono delle realtà del

mondo fisico oggettivo che occupano e si svolgono nelle tre dimensioni

volumetriche e perciò non sono reperibili nella psiche che non occupa spazio, se

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non sotto forma delle corrispondenti sensazioni. Ad ogni fenomeno fisico,

costituito da un particolare movimento di spazio fluido, corrisponde quindi uno

speciale fenomeno psichico, costituito dalla sensazione suscitata nella nostra

psiche, allorché quel movimento colpisce i nostri organi di senso.

Con 10 equazioni psico-fisiche che generalizzano la legge d’inerzia F = m a del Newton, e cioè:

sensazione di forza F = m1 a1

sensazione di peso P = m2 a2

sensazione magnetica H = m3 a3 sensazione elettrica F = m4 a4 sensazione elettromotrice Fe = m5 a5 sensazione acustica S = m6 a6 sensazione termica T = m7 a7 sensazione luminosa L = m8 a8 sensazione odorosa O = m9 a1 sensazione saporosa Sa = m10 a10

Todeschini ha dimostrato la corrispondenza fra le decelerazioni della materia

contro il corpo umano e le sensazioni che sorgono nella psiche, svelando che non

è solamente la Forza che corrisponde al prodotto di una massa (m) per una accelerazione (a), ma bensì anche tutte le altre sensazioni (Sn) equivalgono al prodotto Sn = m a. Questo principio generale di equivalenza tra sensazioni ed inerzia ha una portata

ben più vasta e significativa di quello unilaterale postulato esclusivamente tra

gravità ed inerzia, poiché estende l’equivalenza di quest’ultima alle forze di

qualsiasi natura e chiarisce inoltre che i primi membri delle 10 equazioni in parola

contemplano delle sensazioni (Sn) che sono delle qualità secondarie e delle realtà immateriali reperibili esclusivamente nella nostra psiche; mentre i secondi

membri indicano i corrispondenti prodotti di masse per le loro accelerazioni, che

sono tutti della stessa natura e sono reperibili esclusivamente nella materia del

mondo fisico.

L’enorme importanza di ciò, consiste nel fatto che si vengono ad introdurre nella

scienza esatta, oltre ai fenomeni fisici, anche i corrispondenti fenomeni fisiologici

e psichici soggettivi, da sempre trascurati. Così ad esempio il suono è un

fenomeno fisico oggettivo se si considera solamente l’onda atmosferica silenziosa

a bassa frequenza che si propaga dalla sorgente oscillante sino ai nostri orecchi; è

invece un fenomeno fisiologico soggettivo se si considera solo la relativa corrente

elettrica provocata lungo il nervo acustico sino ai centri cerebrali; è infine un

fenomeno psichico se si considera solo la corrispondente sensazione acustica che

sorge nella nostra psiche, allorché quella corrente arriva all’apparecchio rivelatore

del telencefalo.

Per il che noi possiamo registrare con idonee apparecchiature le onde

atmosferiche silenti, che possiamo misurare e vedere le correnti elettriche che

percorrono il nervo acustico e che infine percepiamo direttamente la sensazione

del suono, siamo sperimentalmente certi di tutte tre le realtà e cioè sia del

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fenomeno fisico, sia di quello fisiologico, sia infine di quello psichico.

Contrariamente a quanto ritenuto, l’esistenza dei fenomeni psichici è quindi

sperimentabile quanto quella dei fenomeni fisici. Risulta perciò inadeguato il

cosiddetto metodo scientifico galileiano di voler considerare solo i fenomeni fisici

oggettivi poiché esso non conduce alla comprensione della realtà oltre che

rischiare di attribuire ai fenomeni fisici qualità che non hanno, quali sono le

sensazioni, proiettando queste ultime sulle cose, il che porta ad una falsa scienza

dell’oggetto.

Infatti i fenomeni fisici, rappresentati dai movimenti di materia solida, liquida,

gassosa o sciolta allo stato di spazio fluido, che si infrangono contro il nostro

corpo, non solo vengono alterati nella loro intensità dalla struttura fisiologica dei

nostri sensi e trasformati in correnti elettriche, ma vengono altresì modificati in

fenomeni di natura incorporea (sensazioni) dalla nostra psiche che li percepisce e

valuta esclusivamente sottoforma di rappresentazione intellettiva inestesa e cioè

immateriale.

Ogni fenomeno è perciò funzione di tre variabili: fisica, biologica e mentale e

bisogna di conseguenza precisare in che consiste ciascuna delle tre componenti se

si vuole distinguere la realtà oggettiva da quella soggettiva.

Ritornando al tema principale di questo nostro discorso e cioè la Forza, dopo aver appurato che essa non esiste nel mondo materiale, quali sono le considerazioni

che se ne possono trarre? Esse in verità sono molte e passiamo qui di seguito

illustrarne alcune.

Le forze sono di natura “spirituale”. E’ molto difficile convincere che le forze sono di natura spirituale perché sinora

esse sono state considerate come il “non plus ultra” delle realtà materiali

veramente reperibili nel mondo fisico oggettivo. Ma contro tale errata concezione

sta la chiara evidenza e dimostrazione che se un corpo urta un altro corpo, a

quest’ultimo viene trasmesso non una forza ma una accelerazione. Solamente se

una massa urta contro il nostro corpo umano, provocano nei nostri organi di tatto

delle correnti elettriche che trasmesse dalle linee nervose al cervello suscitano

nella nostra psiche la sensazione spirituale di forza. Poiché ci hanno insegnato a

rappresentare le forze con delle frecce chiamate vettori, abbiamo finito di ritenere

che tali vettori abbiano consistenza materiale ed azione fisica e che possiamo

prenderli con le mani e applicarli ad un corpo. Ma non è così infatti quando si

dice di applicare una forza ad un corpo, in realtà lo si urta con un altro corpo

solido, liquido o gassoso.

Le 10 equazioni psico-fisiche citate sono valide sia leggendole da destra a sinistra

che viceversa. Infatti, la prima di esse (F = m a) ci dice che, come un corpo urtando contro un nostro organo di tatto produce una corrente elettrica che la

psiche trasforma in sensazione di forza (F) , parimenti la nostra psiche emettendo una sensazione di forza, scatena una corrente elettrica lungo il nervo che fa

muovere uno dei nostri arti, cioè per imprimere alla sua massa (m) una accelerazione (a). Le forze spirituali della nostra psiche possono dunque

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imprimere accelerazione a messe materiali del mondo fisico oggettivo. Ma le

piccole forze della nostra psiche non possono scatenare che l’energia elettrica

concentrata nella materia grigia della spina dorsale, che non è certo sufficiente a

muovere le masse dell’Universo e perciò bisogna ammettere che le forze immense

necessarie a questo scopo provengono da entità spirituali ben più potenti di quelle

in possesso dell’uomo.

Il movimento della “materia”. In base a questa certezza una domanda sorge immediatamente: come nasce e si

conserva il moto rotatorio dell’elettrone, particella basilare della materia? I fisici

non sanno rispondere a questa domanda e neppure se la pongono. Todeschini

risponde così: le forze che imprimono il movimento agli elettroni, che sono sfere

di spazio fluido in rapidissima rotazione su se stesse, sono immateriali, come tutte

le forze e perciò provengono dal mondo spirituale. Le stesse forze hanno dato

perciò origine all’Universo, ponendo e mantenendo in moto rotatorio i positroni e

gli elettroni che attraendosi per effetto Magnus hanno formato i nuclei, e questi gli

atomi, e questi le molecole e così via, sino ai vortici immensi che costituiscono i

sistemi solari, le galassie e le super-galassie.

Conservazione della quantità di moto. Le forze del mondo spirituale applicate e mantenute allo spazio fluido ne hanno

prodotto quindi tutti i movimenti particolari nei quali si identificano tutti i

fenomeni del mondo fisico. La conservazione della quantità di moto in questo

mondo è quindi dovuta alla conservazione dell’equivalente impulso delle forze

corrispondenti da parte del mondo spirituale, (Ft = m v). più chiaramente, nell’Universo il movimento dello spazio fluido si può solamente trasferire da un

punto all’altro, ma non si può né creare, né distruggere automaticamente, poiché

la quantità di moto di un sistema isolato come il Cosmo, resta quella che è, resta

costante. Bisogna quindi convenire che il movimento non si è creato da sé dentro

l’Universo, ma vi è stato provocato da una causa esterna ad esso. La causa è

costituita appunto dalle forze immateriali del mondo spirituale e la loro

permanente applicazione nel tempo, provoca la costanza della quantità di moto

dell’Universo. La causa prima del movimento essendo esterna all’Universo è

quindi trascendente, ed essendo immateriale, è di natura spirituale.

Forze nel vuoto Riprendendo quanto illustrato precedentemente e cioè che la relazione:

F = m a (1)

è irrealizzabile, mentre la:

I = m v (2)

lo è sempre, per dimostrare a quali sconvolgimenti porta questa scoperta,

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facciamo un esempio esemplificativo.

Supponiamo di considerare un corpo che per spostarsi trovi attrito, ed esempio un

autocarro che subisce la resistenza opposta dall’aria al suo movimento, e l’attrito

radente delle sue ruote sul terreno. Se per un certo periodo di tempo, l’automezzo

è soggetto ad una forza di trazione F, esso assumerà una certa velocità v di traslazione, tale da verificare la (2). Evidentemente se si potesse diminuire la

densità dell’aria, diminuirebbe la resistenza che essa oppone al moto del veicolo,

e questo aumenterebbe la propria velocità che diverrebbe massima nel vuoto

assoluto, nel quale la resistenza è nulla.

Resterebbe però l’attrito tra le ruote ed il terreno. Diminuendo anche questo

attrito, diminuisce l’aderenza al suolo e quindi le ruote subirebbero uno

slittamento tanto più grande quanto minore è l’attrito. Quindi con un suolo

perfettamente liscio e copertoni assolutamente lisci, cioè privi di attrito, si

avrebbe slittamento completo tra ruote e terreno e l’automezzo non si sposterebbe,

cioè rimarrebbe immobile rispetto alla strada.

Dunque in assenza di aria ed in assenza di attrito alle ruote, cioè nelle condizioni

del vuoto assoluto, la velocità v di qualsiasi veicolo sarebbe nulla, cioè la (2) diviene:

m v = 0 (3)

derivando questa equazione rispetto al tempo si ha:

m d v / d t = m a = F = 0 (4)

la forza F sarebbe nulla. Questo ci dice che: nel vuoto assoluto non è possibile né produrre forze, né accelerazioni, né velocità. In altre parole affinché la (1) sia valida occorre che lo spazio sia ponderale, cioè

avente una determinata densità. Solamente in esso si può imprimere e mantenere

una velocità v ad una massa m, applicando e mantenendo la forza F, secondo la (2) che realizza contemporaneamente la (1).

In conclusione si può affermare che:

-- nel vuoto imponderale, nessuna forza, né accelerazione, né velocità può

imprimersi ad una massa e che perciò è errato ritenere valida la (1) ed il primo

principio d’inerzia nel vuoto assoluto (imponderale);

-- la validità della legge d’inerzia (1) sperimentalmente ed universalmente

accettata, dimostra che nell’Universo non esiste spazio vuoto assoluto, ma

solamente spazio vuoto ponderale, avente cioè una determinata densità.

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ENERGIA

Chiunque di noi, persone normali o scienziati, nel discorrere o nello studiare,

incontriamo e usiamo il termine “energia”, nei contesti più vari, sia che siano

scientifici, filosofici, o di qualsiasi altro genere. In realtà, a parer mio, questo

termine viene usato molto spesso a sproposito, non conoscendone l’esatto

significato. Infatti: cosa significa e cosa rappresenta la parola “energia”?

Lasciando da parte i contesti filosofici e quelli usuali nel discorrere superficiale,

concentriamoci sul significato che ne dà la scienza ed in particolare nella fisica in

quanto, a ben vedere, risulta senz’altro quello a cui si riferiscono tutte la altre

branche del sapere.

Vediamo perciò, per cominciare, come viene definita nei libri di fisica:

L’Energia (definizione scolastica) Grandezza fisica che conferisce a un sistema la capacità di compiere lavoro. E’ presente nei sistemi in forme diverse, che possono essere trasformate l’una

nell’altra anche se il valore complessivo dell’energia rimane costante.

Dopo aver detronizzato la Forza, poiché abbiamo dimostrato che essa se non dura

un certo tempo non esiste, ma se dura diventa un impulso e quindi non è più forza,

vediamo un’altra entità dinamica parimenti famosa che, come questa, troneggia

inattaccabile nella scienza, cioè l’energia.

L’Energia (secondo la PsicoBioFisica) Esiste l’energia? Oppure è un’astrazione fisico-matematica irrealizzabile nel

mondo fisico ed in quello psichico?

Anche per rispondere a queste domande bisogna chiarire prima di tutto che cosa si

intende per energia, cioè bisogna chiarire quali sono gli attributi che la

definiscono e determinare poi se tali attributi sono sufficienti a concretarne

l’esistenza nei due mondi in parola.

In meccanica si definisce l’energia cinetica W come il semi-prodotto della massa

m per il quadrato della sua velocità v, secondo la relazione:

W = 1 / 2 m v2 (7)

Ora notiamo subito che se le masse possono assumere delle velocità, e passare

dall’una all’altra, cioè se possono assumere delle accelerazioni, mai nella

sperimentazione e mai nella Natura si è riscontrato che esse masse possono

assumere velocità al quadrato. Nel mondo fisico quindi, il secondo membro della

(7) non si verifica mai. Ma poiché il movimento della materia è quello che

provoca le sensazioni corrispondenti nella psiche, se mai avviene che una massa

assuma una velocità al quadrato, mai avverrà la sensazione corrispondente nella

psiche. La (7) quindi è irrealizzabile sia nel mondo fisico che in quello psichico.

Tale equazione è quindi una pura astrazione matematica insussistente. L’energia è

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irreperibile sia nel mondo fisico che nel mondo psichico.

Come mai allora si parla di energia come della cosa più certa dell’Universo, anzi

si è giunti a considerarla l’unica cosa che non si può creare ne distruggere mai?

Che l’energia non esista nella psiche come sensazione speciale, è dimostrato dalla

10 equazioni psico-fisiche, le quali ci dicono che le varie sensazioni in esse

contemplate, corrispondono tutte a forze nel mondo fisico e non ad energie. Che

essa non esista nel mondo fisico lo dimostreremo ancor meglio ora.

Per far questo è necessario risalire a precedenti storici. Cartesio, che non ci

stancheremo mai di ammirare, entra anche in questa interessantissima questione

per i fatti che esporremo.

Egli sosteneva che i rapporti di forza vanno valutati mediante rapporti di quantità

di moto. Egli considerava forze costanti agenti per uno stesso periodo di tempo,

per cui il rapporto di due forze F1, F2, agenti su masse uguali, risultava:

F1 / F2 = m1 v1 / m2 v2 (8)

Liebniz, invece, sosteneva che i rapporti di forze vanno valutati mediante rapporti

di energie cinetiche. Egli considerava forze costanti per uno stesso percorso del

punto mobile, per cui il rapporto di due forze F1, F2, agenti su due masse uguali,

risultava:

F1 / F2 = m1 v12 / m2 v2

2 (9)

Quale delle due equazioni trova rispondenza nella realtà fisica? Rispondere a

questa domanda significa definire se in natura si conservi la quantità di moto

oppure si conservi l’energia.

Entrambe non possono conservarsi, poiché o è vera a (8), o è vera la (9).

Allo stesso dilemma si perviene partendo dal principio di azione e reazione.

Considerando infatti che una massa m1, con velocità v1, urti la massa m2

immobile, sì che questa dopo l’urto assuma la velocità v2, mentre quella urtante

ritorni in quiete assoluta, avremo:

m1 v1 = m2 v2 (10)

se invece, una massa cede all’altra tutta la sua forza viva (energia cinetica) sarà:

m1 v12 = m2 v2

2 (11)

Evidentemente queste due ultme equazioni si verificano contemporaneamente

solo se m1 = m2, caso in cui anche v1 = v2. Se invece m1 ≠ m2, o si verifica la

(10), o si verifica la (11), ma non tutte e due contemporaneamente.

Ora in netto contrasto con questo inoppugnabile dilemma matematico, gli

scienziati ammettono invece che anche in questo caso di masse disuguali si

verificano contemporaneamente la (10) e la (11). Per sostenere questo assurdo

matematico essi hanno contemplato gli impulsi e le forze vive di due sfere prima e

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dopo l’urto, specificando che vi sono da considerare due casi ben distinti a

secondo che le sfere sono anelastiche od elastiche.

Nel primo caso essi hanno calcolato che la quantità di moto od impulso I del sistema si conserva uguale prima e dopo l’urto, mentre invece l’energia cinetica

dopo l’urto risulta minore.

Per spiegare questa contraddizione al principio della conservazione dell’energia,

essi ammisero che una parte di questa si trasformi nel calore acquistato dai due

corpi per effetto dell’urto.

Facciamo subito notare che questo modo di ragionare porta ad un assurdo e ad

una contraddizione.

L’assurdo è questo: se è vero che una parte dell’energia si è trasformata in calore

nei due corpi, cioè si è trasformata in movimento delle molecole internamente ad

essi, allora è vero anche che la quantità di moto od impulso ∆I corrispondente al movimento impresso a tali molecole, va aggiunta a quella I che il sistema aveva prima dell’urto, cioè dopo l’urto la quantità di moto totale è quella dei due corpi I più quella acquistata dalle loro molecole ∆I, cioè:

Itot = I + ∆I (12)

Ne segue immediatamente che:

I < Itot (13)

Cioè l’impulso I, o quantità di moto, prima dell’urto è minore dell’impulso I, o quantità di moto, dopo l’urto. Questa conclusione ci porterebbe alla possibilità

del moto perpetuo, con guadagno anzi di quantità di moto ad ogni urto, il che

essendo assurdo è da scartare, tanto più che è in contrasto anche col principio che

l’azione è sempre uguale alla reazione.

La contraddizione poi in cui cadono gli scienziati è questa: che essi hanno

sostenuto che la quantità di moto si conserva prima e dopo l’urto, mentre invece,

come si vede dalla (13), ciò non si verifica.

Ora noi chiediamo: perché si dovrebbe conservare costante l’energia del sistema e

non la quantità di moto? Si risponde in genere a questa domanda asserendo che

altrimenti non si potrebbe spiegare il calore generato dall’urto dei due corpi. Ma

in base alla (13) noi sosteniamo allora che parimenti non si può spiegare come la

quantità di moto del sistema dopo l’urto sia maggiore di quella che il sistema

aveva prima del’urto. Per spiegare il calore riscontrato dopo l’urto si è quindi

ricorso ad una assurdo fisico-matematico. Non si poteva invece spiegare invece

senza ricorrere in tale assurdo? In verità gli esperimenti che si sono compiuti sono

sempre stati fatti sull’urto di sfere che nessun calore hanno sviluppato dopo di

esso e quindi la quantità di moto prima e dopo l’urto risultava uguale, in quanto

∆I = 0. Se si fossero fatti esperimenti di urto nei quali vi fosse stato sviluppo di calore rilevabile, per cui ∆I ≠ 0, si sarebbe constatato che la quantità di moto del sistema prima e dopo l’urto non sarebbe risultata uguale e che la quantità

mancante dopo l’urto era proprio corrispondente a quella spesa per generare il

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calore riscontrato dopo l’urto.

Che le cose siano proprio come da noi ora spiegato lo dimostrano due

considerazioni inoppugnabili:

1°) che in base alle 10 equazioni psico-fisiche il calore essendo una sensazione Q ha le dimensioni di una forza e quindi il suo perdurare nel tempo t, ha le dimensioni di un impulso o quantità di moto, in armonia con esse, e quindi il

calore che si riscontra dopo l’urto per un certo tempo corrisponde ad una quantità

di moto e non ad una energia;

2°) che considerando l’urto di due corpi elastici, anziché anelastici, cioè di due

corpi che non hanno calore in più dopo l’urto, la quantità di moto del sistema si

conserva costante prima e dopo l’urto.

La sofisticheria di distinguere i corpi in elastici ed anelastici non risolve quindi la

questione nel senso voluto dagli scienziati sino ad oggi, ma bensì la risolve a tutto

favore della nostra tesi.

Per chiarire bene quanto sopra esposto, consideriamo dei casi semplici e cioè

quello in cui una sfera di massa m1 avente velocità rettilinea v1, incontra un’altra

sfera di massa m2, immobile, e supponiamo che quest’ultima dopo l’urto parta

con una velocità v2, mentre quella urtante rimanga immobile dopo l’urto, come

avviene a volte nel gioco del biliardo.

Evidentemente, la quantità di moto, prima dell’urto, è data dal prodotto della

massa m1 della sfera urtante per la sua velocità v1, cioè l’impulso I1 sarà:

I1 = m1 v1 (14)

Poiché dopo l’urto la massa urtante resta immobile e quella urtata parte con la

velocità v2, se non si è sviluppato calore nell’incontro, sarà:

I2 = m2 v2 (15)

La (14) essendo uguale alla (15) diviene:

m1 v1 = m2 v2 (16)

la quale ci dice che la quantità di moto prima e dopo l’urto sono uguali, se i due

corpi sono elastici, cioè se non hanno subito deformazioni permanenti con

produzione di calore.

Se viceversa essi hanno subito deformazioni permanenti ed hanno sviluppato

calore, allora sempre nel caso considerato, la (15) diventa:

n m3 v + m2 v’2 = I1 (17)

nella quale v è la velocità media delle n molecole di massa m3 che hanno prodotto

il calore Q per il tempo t, cioè:

Q t = n m3 v (18)

Page 15: Forza e Energia

14

Posto n m3 = M si ha:

Q t = M v (19)

La (14) e la (17) essendo uguali, sarà:

m1 v1 = M v + m2 v’2 (20)

la quale ci dice che anche nel caso di urti di corpi anelastici la quantità di moto

del sistema si conserva sempre costante prima e dopo l’urto.

E’ chiaro che in questo caso la velocità v’2 che assume la sfera urtante è minore di

quella che v2 assumerebbe se i corpi fossero perfettamente elastici; infatti dal

confronto della (16) con la (20) si ha immediatamente:

v2 = m1 v1 / m2 e v’2 = (m1 v1 - M v) / m2

da cui:

v2 < v’2 (21)

La (16) e la (20) ci dicono che vi è equilibrio tra l’azione e la reazione; infatti

possiamo scrivere tali due reazioni nel seguente modo:

m1 v1 – m2 v2 = 0 m1 v1 – ( M v + m2 v’2 ) = 0 (22)

Se ora volessimo considerare le energie che hanno le masse, dovremmo elevare al

quadrato tutti i termini che esprimono velocità e con ciò avremmo:

m1 v2

1 – m2 v2

2 ≠ 0 m1 v2

1 – ( M v2 + m2 v’2

2 ) ≠ 0 (23)

le quali (23) ci dicono che: l’energia non si conserva costante prima e dopo l’urto

di due masse, sia che esse siano perfettamente elastiche, sia che esse siano

anelastiche.

Le (22) ci dicono invece che: la quantità di moto si conserva costante prima e

dopo l’urto di due masse, sia che esse siano perfettamente elastiche, sia che esse

siano anelastiche.

Dalla dimostrazione di cui sopra segue quindi che: nell’urto dei corpi si conserva

la quantità di moto e non si conserva invece l’energia.

La legge della conservazione dell’energia sinora ritenuta il non plus-ultra delle

realtà scientifiche, è quindi un errore grossolano in contrasto con la fisica e la

matematica ed altresì con la realtà sperimentale.

Se si pensa che l’unico fenomeno possibile nel mondo fisico è il movimento e

l’urto della materia, si comprende subito come in tutti i fenomeni si conservi la

quantità di moto, ma non l’energia, e come questa scoperta assuma una portata

Page 16: Forza e Energia

15

universale.

Dunque, pel fatto che le masse non possono assumere che accelerazioni o velocità

e mai velocità al quadrato, noi non possiamo rintracciare in esse energia.

Pel fatto che le sensazioni sono corrispondenti a quantità di moto e non ad

energia, noi non possiamo rintracciare nella psiche l’energia.

Pel fatto che in tutti i fenomeni si trasmette e si conserva solo quantità di moto e

non energia, bisogna quindi convenire che:

L’energia è una entità astratta che non esiste nella realtà né del mondo fisico né del mondo psichico, e che la sua conservazione è una chimera. A seguito di questa scoperta di conseguenza possiamo dire anche che:

-- la pressione è una entità irrealizzabile nel mondo fisico ed anche in quello psichico, perché per esistere essa deve durare un certo periodo di tempo e deve

estendersi su una superficie, e con ciò assume le dimensioni e si manifesta come

impulso, secondo la relazione:

F t = p A t

-- il lavoro è un’entità irrealizzabile perché non è possibile spostare una massa per un certo spazio senza impiegare un determinato tempo;

-- la potenza è un’entità irrealizzabile sia nel mondo fisico che in quello psichico.