Filarmonica...sociale e il titolo di studio. Egli individua, così, tre tipologie di ceto, messe in...

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magazine Orchestra europea Filarmonica del Teatro Comunale di Bologna n.09 maggio 2015

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    Orchestra europea

    Filarmonicadel Teatro Comunaledi Bologna

    n.09 m

    aggio

    2015

  • Antica Profumeria Al SACRO CUORE Galleria “Falcone – Borsellino”, 2/E (entrata di via de’ Fusari) 40123 BolognaTel. 051.23 52 11 – fax 051.35 27 80 www.sacrocuoreprofumi.it [email protected]

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    Con l’introduzione del cosiddetto art bonus,chi regge le sorti del Paese, cerca didemandare al rastrellamento di fondi privatila sopravvivenza delle istituzioni musicaliitaliane, come museali e culturali in genere.L’anglicizzante provvedimento permetterebbea imprenditori e facoltosi appassionati direcuperare, in sede di pagamento delleimposte, il 65% dell’importo eventualmenteinvestito nel sostenere una qualche attivitàculturale. A parte la questione della presuntaimpossibilità dello Stato a far fronte ai suoiobblighi anche costituzionali di sostegno dellacultura, a me pare che il provvedimento abbiauna falla di tipo sociologico. Ovvero,l’interesse nella cultura - e nella musica, nellospecifico - da parte dei ceti produttivi,industriali e commerciali, o dei possessori digrandi patrimoni, salvo lodevoli eccezioni.Questo, a prescindere dalla deducibilità omeno di parte - o finanche della totalità - degliinvestimenti.

    Nel 1979, Pierre Bourdieu scriveva un libromolto importante per la sociologia culturale:La distinzione. Critica del gusto,pubblicato poi in Italia nel 1983. In questosaggio, Bourdieu utilizza il gusto comestrumento per individuare le distinzioni tra leclassi sociali; indaga e determina come lescelte di gusto varino secondo la provenienzasociale e il titolo di studio. Egli individua, così,tre tipologie di ceto, messe in relazione con illivello scolastico: le classi popolari, le classimedie e le classi alte.

    A ciascuna di queste tre categorie, Bourdieufa coincidere un diverso gusto:rispettivamente, popolare, medio e legittimo.Riguardo alla musica, se al primo si lega lamusica leggera e al secondo “la Rapsodiain blu o la Rapsodia ungherese”, è sulgusto legittimo che mi vorrei soffermare.Esso, espressione delle classi alte, avrebbe ilsuo naturale ambito culturale in opere noninvolgarite dalla commercializzazione dimassa: per esempio, Il clavicembalo bentemperato o L’arte della fuga, capolavoribachiani. Così facendo, Bourdieu intendevaanche criticare un mondo in cui le opere eranofruibili secondo il ceto e il titolo di studio dellospettatore, quindi fondamentalmente unmondo fatto di privilegio economico che, acascata, investiva anche l’atteggiamento diquesti, riguardo alla cultura.

    Sono passati più di trent’anni da quel saggio,ma mi sembra di poter dire che la situazioneè certamente peggiorata. Ovvero, le classidominanti, economicamente e socialmente,non sono scomparse - anzi oggi il divario traricchi e poveri è aumentato, da allora - mahanno semplicemente involgarito il propriogusto, per cui parlare di gusto legittimo, nelsenso in cui questo termine era stato coniatoda Bourdieu, suona sicuramente comeantistorico, oggi. Si è avuta, per così dire, unaproletarizzazione del gusto, derivante dadinamiche economiche di arricchimentoanziché di censo, per cui pochi sono adessocoloro che coltivano interessi alti, a partire

    dai politici. La continua evocazionedell’importanza culturale, per esempio, delrock, a forza di enunciarla, ha fattodimenticare che, magari, anche la musicacosiddetta classica è cultura. Questofenomeno di rimozione, che è di portatamondiale, ci vede protagonisti in negativo,pronti a distruggere un patrimonio culturaleche tuttora il mondo ci invidia - e scusate labanalità della frase.

    Si è, in pratica, operata un’eterogenesi dei fini,laddove il senso di liberazione rispetto avincoli di tipo economico e sociale nel poteraccedere al gusto legittimo, pur non facendoparte della classe cui esso si riferiva, hacomportato invece un trascinare uniformeverso il gusto popolare anche coloro i qualiappartenevano a classi alte, favorendo unlivellamento e una banalizzazione del fattoreculturale preconizzati anche da Pasolini,allorquando metteva in guardia rispetto a uno“sviluppo senza progresso”. Mai come oggi,questi due termini, ormai fusi - meglio, il primoha fagocitato il secondo, ormai sparito dalvocabolario come vecchio arnese delNovecento - richiederebbero un recupero disenso e di distinzione.

    EDITORIALE

    Guido GiannuzziDirettore Responsabile

    “Filarmonica Magazine”[email protected]

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    Orchestra europea

    Filarmonicadel Teatro Comunaledi Bologna

    Sede legale: Via A.Bertoloni, 1140126 BolognaSede operativa c/o Teatro Auditorium Manzoni via De' Monari1/2, 40121 Bolognae-mail: [email protected]

    Filarmonica Magazinen. 9 mese maggio anno 2015Aut. Tribunale di Bologna N. 7937 del 5 marzo 2009

    EditoreAssociazione Filarmonica del Teatro Comunale di BolognaVia Bertoloni, 11 – Bologna

    RedazioneSede operativa c/o Teatro Auditorium Manzoni via De'Monari 1/2, 40121 Bologna

    Direttore responsabileGuido [email protected]

    RedazioneMichele [email protected]

    Hanno collaboratoBruno Dal Bon, Francesca Faruolo, Cecilia Matteucci, Anna Scalfaro, Alberto Spano.

    Foto di copertina© Marco Mastroianni

    Foto© Marco Caselli Nirmal

    Progetto graficoPunto e Virgola, Bologna

    Pubblicità [email protected]

    UN RINGRAZIAMENTO PARTICOLARE A

    www.filarmonicabologna.it

    SOMMARIO

    Editoriale | 03

    Rubriche | 05

    Intervista a Aziz Shokhakimov | 07

    Modelli di conversazione musicale | 11

    Rassomiglianze: Nietzsche, Cocteau, Satie | 14

    Profumi in musica | 17

    Recensioni | 19

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    LE MIE DOMANDEdi Cecilia Matteucci

    Carmela Remigio, soprano di fama internazionale, tra le più apprezzate della sua generazione. Dopo lavittoria al Concorso Pavarotti a Philadelphia, debutta giovanissima alla Scala, dando il via a unaprestigiosa carriera che la vede protagonista nei principali teatri di tutto il mondo, collaborando conregisti quali Ronconi, Vick, Curran, Martone, Tiezzi, Miller e direttori del calibro di Abbado, Maazel,Pappano, Chung.

    Cecilia Matteucci e Carmela Remigio

    La tua musica preferita?La musica che eseguo...in questomomento trovo una magica einaspettata scoperta la musica diGluck. Se intendi invece quale genere:tutto ciò che è' definibile comemusica classica...Non riesco adascoltare altro, mi sembra solorumore a volte.

    L'opera? Quella più interpretata e che quindiho amato di più: il Don Giovanni.L'opera che sognerei di interpretare èCarmen. Quella che mi affascina dipiù, Tristan und Isolde.

    L'emozione più grande: vincere adiciannove anni il primo premiodel Concorso Luciano Pavarotti aPhiladelphia o debuttare nel '94alla Scala nell'Incoronazione diPoppea?Si, e' stata una grande emozione. Misembrava di vivere in un magnificosogno. Poi sono arrivate emozioni ancoramaggiori quando ho iniziato alavorare con grandi direttori e, così, acomprendere che la musica è magia eogni sera l' alzata del sipario è comeun rito magico.

    Tu, biondissima donna Anna nelDon Giovanni di Mozart allaDisney Concert Hall di Los Angelescon scenografia dell'archistarFrank Gehry, costumi di Rodarte,

    truccata da Odile Gilbert, hai maiavuto la tentazione di fare la rockstar?(ride) Noooo! Io rock star...nonreggerei lo stress della popolarità!Adoro la libertà e loro hanno una vitabellissima ma decisamente difficile,senza la libertà.

    Il tuo ultimo trionfo, Alceste allaFenice. Carla Moreni ha scritto:“Carmela Remigio straordinaria escolpitissima”. Il terribile PaoloIsotta sul Corriere: “Oltre cheottima cantante, veratragedienne". Hai avuto mairecensioni negative? Si, può' capitare. Si cerca dicomprendere le ragioni e magari dimettersi in discussione. Non sono maistata polemica sulle recensioni, c' e'libertà di stampa e di pensiero inmolti paesi nel mondo...

    Con Pierluigi Pizzi si percepisce unfeeling straordinario, altri registicon cui ti trovi benissimo?Con Pierluigi ho un feeling magnifico,è vero, raro e particolare. Lui è ingrado di farmi arrivare a portare fuorisempre e ogni volta in modo diversouna donna diversa dalle mie/nostreinterpretazioni. Perché credo che nonsiamo mai soli nel costruire unpersonaggio. Mi legge nel pensiero equest'Alceste è stato un magnificoregalo che mi ha fatto. Ho lavoratocon molti altri grandi come Brook,

    LE VIE DEI CANTI a cura di Guido Giannuzzi

    L’arte è magia liberata dalla menzogna di essere verità.”

    Theodor W. Adorno“ ”

    Vick e il "giovane" Michieletto:ognuno il suo stile, come cambiarelook, divertente e stimolante.

    In giro per il mondo, Italia esclusa,quale teatro ti affascina di più?Adoro l'Italia, totalmente. Forse dopopotrei amare Parigi e Londra.

    La domanda che non ti ho fatto einvece avresti voluto?Qual e' il mio animale preferito.Il gatto! Ho due gatti persianimeravigliosi: Tito e Roy .

  • L’Associazione Professionale la cui struttura è composta da 20 Professionistiopera in rete con

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    Incontriamo il direttore Aziz Shokhakimov al Teatro Manzoni termine della prova generale del suo concerto con la Filarmonica delTeatro Comunale di Bologna del 2 febbraio, con musiche di Mendelssohn, Beethoven e Sibelius, solista al pianoforte nel TerzoConcerto di Beethoven Lilya Zilberstein. Il giovane maestro uzbeko sprizza energia e gioia vitale da tutti i pori. È quello che si definisceun vero talento della bacchetta, dotato di una tecnica direttoriale naturale di primissimo ordine, di una musicalità prorompente maanche di una maturità interpretativa che fa bene sperare per il suo futuro. I professori d’orchestra della Filarmonica del Teatro Comunalelo hanno amato fin dal loro primo incontro appena quattro anni orsono.

    LA BACCHETTA DEL FUTURO Intervista ad Aziz Shokhakimovdi Alberto Spano

    Maestro, è vero che lei ha solo ventisei anni?Sembra di sì.

    Ed è nato a Tashkent, in Uzbekistan. Ciracconta un po’ la sua storia?Non provengo da una famiglia di musicistiprofessionisti: i miei genitori amano esuonano, ma si potrebbe dire che sonomusicisti da matrimoni... Mio padre hastudiato un po’ il clarinetto, mia madre èuna cantante non professionista nelrepertorio popolare uzbeko, ma ha unabellissima voce. Mio fratello ha un grandetalento come pianista e suona anche ilsintetizzatore. Quando io avevo cinqueanni mia madre mi chiese se volevostudiare uno strumento, il pianoforte o ilviolino. Io decisi per il violino, e così a seianni sono entrato nell’istituto per bambinidotati “Uspensky Music School”.

    Come è arrivato alla direzione?A undici anni cantavo con un certosuccesso le canzoni napoletane comeSanta Lucia e O sole mio. La maestra dicanto mi disse che avevo delle buonecapacità e che avrei dovuto cantare comesolista nell’orchestra. Mia madre trovò ilcoraggio di portarmi dal vecchio direttoresia dell’Orchestra Sinfonica NazionaleUzbeka che dell’Orchestra dei Ragazzidella Scuola, Vladimir Neymer. Gli diede lamia registrazione di Santa Lucia. Glipiacque così tanto che decise di farmidebuttare come solista con la sua orchestrada camera. Presto la mia voce cominciò amutare e Neymer mi propose di provare astudiare la direzione orchestrale. Glirisposi: perché no? Mi mise la bacchetta inmano e cominciò a insegnarmi la direzioned’orchestra. In due settimane feci tutti gli

    esercizi che si debbono fare nel primolivello di studio al conservatorio. A tredicianni mi fece debuttare come direttoredell’Orchestra Sinfonica Nazionaledell’Uzbekistan con la Quinta Sinfoniadi Beethoven ed il primo Concerto di Liszt.

    Quindi un bambino prodigio dellabacchetta?Direi di sì: a quattordici anni diressi laCarmen di Bizet. Avevo molto successo.Ma a sedici anni mi resi conto che nonsapevo nulla di musica: mi sentivo quasicome una scimmietta ammaestrata. Ilmaestro preparava l’orchestra, io nonprovavo, poi mi mandava sul podio. Perfortuna non mi sono montato la testa, e hocominciato a scoprire e studiare moltissimenuove partiture, a leggere tanti libri nonsolo di musica ma di filosofia e di storia

    © Alberto Martini

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    delle religioni, che è un mio grandeinteresse. Nel tempo libero leggevo di ideefilosofiche, della Bibbia e delle religioniindiane. Cominciai a capire cos’èveramente la musica: prima per me era unpuro divertimento personale. Ora èdiventata una cosa molto seria.

    Dove ha studiato direzione? Mai in Europa: ho avuto quattro o cinqueesperienze a Mosca come assistente diVladimir Spivakov. Lui mi ha aiutato molto.Aveva una fondazione molto famosa nellamia regione, ed io vi ottenni una borsa distudio per musicisti di talento. Ho avutomolte esperienze di studio e direttorialisotto la sua direzione artistica. Fra iquindici e i diciassette anni ho avuto buoneoccasioni di concerto con la FilarmonicaRussa e con l’Orchestra Giovanile delVolga, nella città di Togliatti, nella qualesuonano musicisti provenienti da tutti ipaesi dell’Ex Unione Sovietica.Un’esperienza molto costruttiva, ancheperché vi suonavo in qualità di prima viola.

    Poi il Concorso Gustav Mahler diBamberga per giovani direttori, dovevinse il secondo premio. Correva l’anno2010. Nel 2004 l’aveva vinto GustavoDudamel. In giuria sedeva il grandedirettore Herbert Blomstedt. Lo potéavvicinare?Ebbi la grande opportunità di parlare conlui: è un direttore molto interessante, macredo che io non gli piacessi. Non avevoalcuna esperienza di direzione in Germaniapoiché avevo solo ventuno anni. Questagrande orchestra sinfonica è abituata asuonare sempre un po’ in ritardo. In Russiainvece io ero abituato ad avere al massimosei leggii di violini primi che suonavanoesattamente sul gesto, mentre nellagrande orchestra di Bamberga suonanocon un attimo di ritardo rispetto al gesto.Per me fu una sorpresa.

    C’era anche il compositore MatthiasPintscher?Fu molto gentile, io diressi il suo pezzotowards Osiris. È un compositoreeccezionale, secondo me è uno dei miglioridel nostro tempo. Mi piacerebbe dirigerealtri suoi pezzi in futuro, è un compositoremolto serio.

    Cosa ricorda del concorso?Non mi sentivo molto a mio agio ancheperché avrei desiderato vincere il primopremio. Tuttavia in seguito ho capito chequesto secondo premio è stato per me unavittoria, poiché sarebbe stato troppo presto

    per me essere scritturato da orchestremolto famose. Io ho cominciato a dirigeremolto presto ma per affrontare la carrierabisogna avere una grande esperienza allespalle e molta preparazione: la direzionenon è una professione per giovani. Io dirigoperché non potrei farne a meno. In realtàio non avrei mai voluto perché non era neimiei interessi, mi piaceva anche cantare esuonare la viola. Ma il mio maestro e miamadre mi hanno molto sostenuto in ciò eper questo sono diventato direttore.Adesso sono molto felice di esserlo ed iocapisco che sia l’unico modo che ho perfare qualcosa di molto buono. E questacosa è utile a me e forse agli altri.

    Fra le prime scritture con orchestreinternazionali c’è stata quella con laFilarmonica del Teatro Comunale diBologna. È stato il mio debutto assoluto in Italia, conla Prima Sinfonia di Brahms e il TerzoConcerto di Rachmaninov, al pianoAlexander Romanovsky.

    Ricordo che era presente in sala ClaudioAbbado. Quasi una benedizione! Lo incontrai dopo un anno a Francoforte ein quell’occasione fu molto carino con me:gli ricordai che era presente al mio primoconcerto a Bologna. A ripensarci peròpenso che lui fosse sempre gentile contutti, forse tranne che con i musicisti...

    Chi sono i suoi fari?Il primo è Vladimir Neymer.

    Vladimir Spivakov?Con Spivakov è stato molto importante,forse in futuro collaboreremo.

    Qualche nuovo debutto?Un mese fa ho debuttato con la LondonPhilharmonic Orchestra. Mi sono trovatomolto bene con l’Orchestra della Radio diFrancoforte e ho appena fatto una tournéein Giappone con i DüsseldorferSymphoniker che dovrei dirigere spesso infuturo. In Italia ho diretto l’Orchestra delTeatro Massimo di Palermo. l’Orchestradella Fenice di Venezia e l’OrchestraSinfonica Giuseppe Verdi di Milano.

    Cosa le piace della Filarmonica del TeatroComunale di Bologna?La passione! I suoi componenti sono moltocaldi, mi piacciono. I musicisti in Italia ingenere sono molto caldi, in Inghilterrasono molto bravi ma un po’ distaccati.L’Italia è diventata la mia seconda casa, inparticolare Bologna. Amo questa città.

    In questo momento è direttoreprincipale di qualche orchestra?No. Potrei esserlo dell’Orchestra Nazionaledell’Uzbekistan ma sarebbe una cosa pocofruttuosa poiché nel mio paese non c’è unagrande attenzione alla musica classica,mentre è più diffusa la musica popolare.Tutti i migliori musicisti classici hannolasciato il mio paese. Mi hanno invitato adessere il loro direttore principale ma io nonho più tempo poiché ho molti impegni inEuropa.

    Un anno fa a Bologna lei ha sostituito ilgrande direttore americano JamesConlon. Sì, ero in Uzbekistan e mi chiamarono duegiorni prima per propormi questasostituzione improvvisa nellaTredicesima Sinfonia di Shostakovich:ho accettato al volo poiché io fin da piccoloho studiato tutte le sinfonie diShostakovich, che conosco moltoapprofonditamente. Otto anni prima avevodiretto la Tredicesima in una edizionediversa, ma è stato essenziale peraccettare.

    Il suo repertorio prediletto?Beethoven, Brahms, Tchaikovsky, Mahler,Shostakovich.

    Mozart?L’ho diretto molto raramente: il Requiem,qualche sinfonia. Ma mi piacerebbe molto.

    Bach?No, mai: mi piacerebbe dirigere laPassione Secondo Matteo e PassioneSecondo Giovanni che amo moltissimo.

    Sempre a Bologna un’altra grandeoccasione fu la direzione dell’EugeneOnegin l’anno scorso nella stagioned’opera.Sì e fu per me la prima volta.

    Che ricordo ne ha?Non felice, per via della regia. A me piacedirigere l’opera, ma la riuscita dipendedalle regie e dai cantanti. È molto piùsemplice dirigere nel sinfonico poiché ètutto sotto il mio controllo. Nell’opera c’èun lavoro molto diverso con i cantanti. Essipossono cambiare ogni cosa nel corso dellarecita.

    Succede anche coi cantanti russi?Certo, con tutti i cantanti. Non è questionedi nazionalità, ma di forma mentis. Sonoquasi una categoria a parte. Ovviamentenella produzione bolognese c’erano dei

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    cantanti di grande talento e la regia eramolto interessante ma io ho una visioneleggermente diversa dell’opera.

    Quali altre opere ha già diretto?Carmen, Traviata e Mozart e Salieri diRimski-Korsakov che ho diretto a Tashkent.Mi piacerebbe Madame Butterfly, che èla più bella opera del mondo e forseWozzeck. Ho poi un sogno, quello dirigerel’opera comica di un compositore uzbeco,Suleiman Youdakov (1914-1990 ndr),Maysara. È un’opera comica scritta 70anni fa. E il mio sogno sarebbe farla proprioa Bologna o in Germania.

    Ancora a Bologna lei ha avuto unagrande opportunità: dirigere in buca ilballetto Le Sacre du printemps diStravinsky al Teatro Comunale diBologna. È stato un debutto nelladanza?Sì, avevo studiato il Sacre a undici anni, èuno dei pezzi che più amo ma non l’avevomai diretto, anche se l’avevo moltoapprofondito al pianoforte nella classe inconservatorio. Conoscevo molto bene ilballetto e quindi non è stato difficile.

    Le piace il lavoro coi ballerini?In questo tipo di balletti i danzatoridipendono completamente dalla musica,quindi io non debbo aspettare loro madebbo solo fare buona musica e loroascoltare. È molto diverso il lavoro con igrandi classici del balletto, per esempio conquelli di Tchaikovsky, dove la buca èsempre a stretto contatto col palcoscenicoe ci sono tanti elementi da tenere sottocontrollo. A Tashkent mi è capitato didirigere alcuni concerti ufficiali dirappresentanza con cantanti e ballerini, mamai balletti completi.

    Le piace Sibelius?È la prima volta che dirigo la PrimaSinfonia, ho già diretto En Saga e ValseTriste e ho preparato il Concerto perviolino per un altro direttore. La amomolto, la sento molto vicina.

    Dove vive? A Tashkent, però ci sto poco poiché sonospesso in viaggio in Europa.

    Vorrebbe vivere in Europa?No, poiché la mia famiglia vive lì e io sonoil più giovane della mia famiglia, ho duesorelle e un fratello, così debbo prendermicura dei miei genitori.

    in una grande città. Dobbiamo suonare perDio e dedicare ciò che suoniamo a Dio.Questo è molto importante, dobbiamodedicare le nostre energie a Dio. Qualcunoinvece fa musica solo per i soldi, e questonon è giusto.

    Lei è credente? Di quale religione?Io credo a tutte le religioni, perché tutte lereligioni insegnano ad amare Dio, e Dio èuno solo. Non può essere il dio dei cattolici,dei musulmani o dei buddisti, ma è un solodio. Ci sono solo modi diversi per arrivarea dio, ma Dio è uno solo.Uno può essere cattolico, musulmano, obuddista, ma allo stesso tempo qualcosa

    deve accomunarci tutti. Io rispetto icattolici, i musulmani e i buddisti, maqualcosa è comune a tutti, e il mondosarebbe molto migliore se così fosse.

    Nel futuro? Qualche aspirazionespeciale?Per me non è importante con qualiorchestre e dove dirigo, per me importanteè che io sia utile per i musicisti. Se peresempio io dirigo in una piccola città perme è come dirigere a Berlino. Io sento chedebbo dirigere qualsiasi orchestra con lostesso impegno con cui dirigerei i BerlinerPhilharmoniker. Sfortunatamente ormai lamusica è diventata un business. Non lodeve essere. La musica per me ha la stessafunzione di una religione. La musica è unareligione universale che può mettereinsieme i musulmani, i cristiani e i buddisti,tutti. Questa è la musica. Perché nella

    musica non c’è nazionalità. Ma adessoquasi tutti i musicisti famosi sono diventatidelle macchine da soldi. Io sono contrarioa questo e non sarò mai così. Per me èimportante lavorare con un’orchestra cherispetti le mie scelte e con cui io possa fareciò che desidero e si crei un contattoreciproco, non importa se in un villaggio o

    © Matteo Trentin

  • MODELLI DI CONVERSAZIONE MUSICALE I CINQUE CONCERTI PER PIANOFORTE E ORCHESTRA DI L. VAN BEETHOVENdi Anna Scalfaro

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    PremessaNegli anni Ottanta il professore statunitenseAllan Bloom, in un suo libro di grandesuccesso (The Closing of the AmericanMind, New York, 1987), sosteneva lanecessità di insegnare i ‘grandi classici‘ perdifendere i propri allievi dalle minacce delrelativismo culturale imperante. Non si fafatica a inserire nella categoria dei ‘grandiclassici‘ della letteratura e dell’arteoccidentale alcune delle sonate, dellesinfonie e, non ultimo, dei concerti perpianoforte e orchestra di Ludwig vanBeethoven. Certo, proprio perché ‘classici‘,sui concerti, oggetto di questo brevecontributo, esiste una letteratura vastissima,scientifica e non: pensare dunque diaggiungere all’argomento qualcosa di nuovo,o di ‘originale’ – per usare un termine caro aBeethoven – rischia con ogni probabilità dirisultare pretenzioso. Se è vero però, comesottolineava Bloom, che le grandi opere delpassato sono tali perché ciò che comunicanopuò essere riproposto e adattato in qualsiasitempo, allora forse, per chi scrive oggi e perchi scriverà domani, non sarà vanocimentarsi.

    Cenni storiciBeethoven avviò la stesura del Concerto in sibemolle maggiore op. 19 poco prima deglianni Novanta del Settecento, quando vivevaancora a Bonn, e lo ultimò nel 1798 dopoben quattro rielaborazioni. Pubblicato comesecondo nel dicembre 1801, esso risulta inverità il primo in ordine cronologico. IlConcerto in do maggiore op. 15, infatti,anche se pubblicato nel marzo 1801, fuiniziato qualche anno dopo l’op. 19 econcluso nel 1795. Questi due primi concertifurono eseguiti da Beethoven al pianofortein molte delle accademie che, sul finire delSettecento, egli organizzò a Vienna e indiverse città dell’impero per farsi conosceree apprezzare come esecutore, improvvisatoree compositore. Beethoven, tuttavia, non andava molto fieroné dell’op. 19 né dell’op. 15: il 22 aprile 1801,in una lettera alla casa editrice Breitkopf &Härtel, non li annoverava di certo fra le sue“opere migliori”. Un giudizio severo, chenon dà ragione del valore di questi dueconcerti, ma che forse si spiega conl’esistenza all’epoca di un terzo concerto, incui Beethoven doveva riporre maggiorefiducia. Si trattava dell’op. 37 in do minore,che, completata nel 1800, sarebbe stataeseguita per la prima volta dal compositore

    nel corso di una sua accademia al Teatheran der Wien il 5 aprile 1803. Con questoterzo concerto Beethoven si distaccava dalmodello mozartiano, ancora ben presente neiprimi due, per raggiungere un’espressionepiù personale. Maggiormente caratterizzatida tratti ‘individuali’ sono i due successiviconcerti. L’op. 58 in sol maggiore, stesa fra il1805 e il 1806, fu eseguita, sempre conBeethoven al pianoforte, dapprima in formaprivata al palazzo del principe Lobkowitz nelmarzo del 1807, e poi, nel dicembre dellostesso anno, al Teather an der Wien. Il 17maggio 1809 l’autorevole Allgemeinemusikalische Zeitung definiva il quartoconcerto la composizione ‘più straordinaria,personale, elaborata e difficile‘ fra quelleesistenti per strumento solista. Infine, il quinto e ultimo Concerto in mibemolle maggiore op. 73 fu composto nel1809, in circostanze storiche drammaticheper la capitale asburgica: l’11 maggio diquell’anno, infatti, l’esercito napoleonicoaveva invaso la città per la seconda volta (laprima era stata nel 1805) e l’avrebbeoccupata fino al mese di luglio. L’epiteto diImperatore, associato al concerto, pare siastata un’idea del pianista e compositoreJohann Baptist Cramer. Come ha sottolineatoGiorgio Pestelli, anche se non originale diBeethoven, tale attributo si rivela appropriatoall’op. 73 per via delle circostanze storiche incui fu composto, nonché per la grandiosità dicostruzione che lo contraddistingue. La primaesecuzione avvenne a Lipsia, il 28 novembre1811, con al pianoforte Friedrich Schneider(questo fu l’unico concerto che Beethovennon eseguì mai). Gli anni successivi divenneun cavallo di battaglia di un altro grandepianista, brillante allievo del compositore:Carl Czerny.

    Quella strana coppia del Tutti e del SoloCon la parziale eccezione del quarto, iconcerti beethoveniani presentano unmedesimo schema: un primo tempo deciso emarziale in forma-sonata; un secondo tempolirico e introspettivo nella libera forma diromanza; un terzo, rondò, vivace etravolgente. I primi tempi dei concerti inparticolare, pur nella loro straordinariadiversità, sono tutti costruiti in modo simile:un’alternanza di quattro Tutti, ossia diquattro sezioni affidate all’orchestra, e di treSoli, tre sezioni riservate allo strumentosolista accompagnato dall’orchestra. Ilrapporto fra il primo Tutti (che chiameremoT1) e il primo Solo (S1) è complesso da unpunto di vista formale, poiché entrambe le

    sezioni hanno il compito di presentare più omeno lo stesso materiale. Se T1 mette adisposizione le risorse sintattiche e retoriche,proponendo un ‘modello di conversazione‘,S1 ne attua una sorta di ‘ricomposizione‘. IlSolo, infatti, è libero di replicare le ideemusicali del Tutti, o di ometterne alcune eaggiungerne di nuove, compresi i passaggi dibravura. Durante l’ascolto del concerto, unodei momenti più attesi ed emozionanti èl’ingresso del solista, nonché il tipo dirisposta che questo lancerà all’orchestra. Scelgo dunque di soffermarmi proprio sulla‘risposta‘ del Solo, in S1, nei confronti del Tuttiin T1 e, nel rispetto dell’ordine cronologico,partirò dall’Allegro con brio dell’op. 19. Inquesto primo tempo, T1 è interamentedominato da un tema, costituito da due frasisimili e caratterizzato da un incedere ritmicopuntato e marziale. S1 risponde con unacontroreplica, ossia con un temaassolutamente diverso: il pianoforte esponeuna frase melodicamente distesa, in piano,che solo verso la fine subisceun’intensificazione ritmica e dinamica. Il Solo,inoltre, non s’impossessa mai del primo temadell’orchestra, limitandosi ad accennaretalvolta giusto l’inizio. Squisitamente lirico èanche il secondo tema di S1, anticipatodall’orchestra e poi esposto nella suainterezza dal pianoforte. Un susseguirsi dipassaggi di bravura, in cui predominal’aspetto esibizionistico, e il tipico lungo trilloprepara il ritorno del secondo Tutti. Anche l’Allegro con brio del Concerto op.15 si apre con un tema dall’inconfondibileaura ‘militare’, che domina l’intero T1.Tuttavia, rispetto a quello dell’op. 19,l’episodio presenta un materiale più ricco: unsecondo tema di carattere lirico contrastante,e un terzo simile al primo per il ritmomarziale. Come nell’op. 19, S1 risponde conun tema lirico, timido, aggraziato, ossiaestremamente diverso da quellocaratterizzante T1. Il pianoforte inoltre nonriprende mai il primo tema dell’orchestra,bensì solo il secondo e il terzo. In conclusioneuna sfilza di passaggi virtuosistici e unabattuta di trillo prepara T2. Se nei tempi iniziali di questi due concerti, leprime due sezioni hanno più o meno lastessa condotta – il Solo comincia conmateriale differente rispetto al quellodell’orchestra – lo scenario cambiaradicalmente nell’Allegro con brio del terzoconcerto in do minore op. 37. Il dialogo piùarticolato fra le diverse sezioni orchestrali,che caratterizza questo terzo concerto, spiccafin dall’inizio di T1, nell’esposizione del primo

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    tema: un periodo suddiviso in due frasi, di cuila prima è affidata agli archi e la seconda aifiati. Più avanti l’orchestra presenta unsecondo tema, più pacato, che però nonscalfisce il tono risoluto e marziale stabilitoall’inizio. Un punto coronato, pregno diattesa, prepara l’ingresso trionfale di S1: ilpianoforte, dopo tre potenti scale ascendentidi do maggiore, presenta fedelmente eintegralmente il primo tema. Per la primavolta in questo concerto dunque il Solorisponde al Tutti con un atteggiamento di‘replica‘, si appropria cioè dello stessomateriale. Non solo: il decorso di S1 segueabbastanza fedelmente quello di T1. AncheS1, come nei primi concerti, termina conpassaggi di bravura e con un trillo:quest’ultimo, però è seguito da una scaladiscendente, che determina in modo fortel’uscita di scena del Solo, proprio come lescale ascendenti ne avevano segnalato inmodo altrettanto forte l’ingresso. Fra le caratteristiche più originali delConcerto in sol maggiore op. 58 vi è senzadubbio il sorprendente inizio affidato al Solo,e non come di consueto al Tutti. Il pianofortepresenta un tema, che, soprattutto nellachiusa, reca con sé un tono meravigliato, didomanda (ma non una domanda qualsiasiverrebbe da dire, bensì quella che si poneogni essere umano riguardo la sua venuta almondo). La ‘meraviglia‘ non risiede solo inquesto esordio, ma prosegue nella rispostadel Tutti, calda e appassionata come unabbraccio, che si appropria a suo modo delprimo tema. Nel corso di T1, l’orchestraespone un secondo tema, cullante e di ampiorespiro, e un terzo dall’espressione liricaintensa. L’ingresso di S1 è sorprendentequanto l’esordio del concerto: il pianoforte,con un libero preludiare, entra lieve, quasiindifferente, come se non se ne fosse maiandato via durante il Tutti. Nel corso di S1 ilsolista si lancia in passaggi delicatissimi, checreano un’atmosfera timbrica rarefatta, e chepresagiscono il pianismo delle ultime sonate.Del Beethoven ‘titano‘ ed ‘eroico‘ non vi ètraccia. E alla fine di S1, quando la catena ditrilli sembra preparare il ritorno del Tutti,l’attesa è tradita dal pianoforte che riprendeil terzo tema dell’orchestra (questa volta peròin piano dolce e con espressione),stemperando la smania del dinamico ritornoin uno stato di sospensione ultraterrena. Il Concerto in mi bemolle maggiore op. 73,dai più definito ‘grandioso’, ‘imponente’,‘eroico’ (con la Terza Sinfonia ne condivide latonalità), è molto più vicino al sentimentoconciliante e alla qualità eterea dell’op. 58 diquanto non sembri di primo acchito. L’iniziodell’Allegro è sorprendente quanto quellodel primo tempo del quarto. I due attori,orchestra e pianoforte, avviano insieme ildramma: gli accordi stagliati dal Tutti sono

    inframmezzati dai gesti cadenzali del Solo.T1 vero e proprio comincia poco dopo conl’esposizione da parte degli archi di un temadal carattere nobile, fiero e incalzante, cheperò muta tono quando viene enunciato daiclarinetti in p dolce. Insolitamente delicatorisulta il secondo tema, in pianissimo estaccato. Ancora i fiati, alle bb. 78-84, colloro morbido incedere discendente, creanoun’oasi di quiete in mezzo a tanto tumulto.Richiamando un’efficace immagine di LeonPlantinga, in S1 il pianoforte non entra comeun soldato, ma come un elegante ballerinoche in punta di piedi corre verso il centro delpalco: una scala cromatica ascendente, untrillo e la riesposizione del primo temadell’orchestra, chiaramente riconoscibile nelsuo contenuto, ma espresso in modo diverso,in pianissimo e con tono dolce. Il Solo,pertanto, come nell’Allegro con brio delterzo Concerto, risponde all’orchestrareplicandone il medesimo materiale, ma lafondamentale differenza sta nel modo in cuiciò avviene. S1 segue poi un decorso similea quello di T1; in conclusione non vi è più iltrillo, ma solo passaggi di bravura, anch’essiperlopiù leggeri, lievi in pianissimo comenel quarto concerto, e una scala cromaticaascendente che porta a T2.

    L’individuo e il gruppoSe accettiamo di considerare il concertocome una metafora dell’interazione tral’individuo (il Solo) e il gruppo sociale (ilTutti), allora possiamo leggere nei cinqueconcerti di Beethoven un’evoluzione, unpassaggio da un tipo di conversazione‘distante‘ a una forma di dialogo ‘più intimo‘. Nei primi due concerti il Solo sicontraddistingue per un proprio temapersonale, differente rispetto a quelloproferito largamente dal Tutti. Il Solo-individuo è come se sottolineasse così, inmodo quasi gestuale, la propria unicitàrispetto al Tutti-gruppo sociale – d’altrondein quegli anni e con questi concertiBeethoven si presentava facendosi conoscereal pubblico viennese. Non solo, si può leggerein questa differenziazione anche una sorta diatteggiamento rispettoso: il Solo non siappropria di ciò che il Tutti ha proferito perprimo con tanta autorità.Nel terzo Concerto, la replica uguale che ilSolo lancia al Tutti, esponendo il medesimotema, non ha l’aria di una conciliazione, bensìdi una sfida. Per sfidare qualcuno ad armipari bisogna porsi sullo stesso livello: difattiil Solo-individuo non attacca in coda al Tutti-gruppo sociale, ma si prende una pausa persottolineare l’importanza del proprioingresso; non apre un altro discorso, ma siappropria senza timore alcuno di ciò chel’orchestra ha proferito poco prima. Ai primidell’Ottocento, nel modo di scrivere di

    Beethoven, accade qualcosa: è come se ilcompositore acquistasse una maggioreconsapevolezza di sé, che lo porta nel giro didieci anni a maturare un proprio idealesinfonico, e che non gli fa temere di metterea dura prova il pubblico con composizioniampie, innovative, ‘difficili‘. Non si deve poi scorgere nell’inizio del Solonel quarto Concerto una sorta di prepotenteusurpazione del ruolo convenzionalmenteassegnato al Tutti, ma semmai un gesto diconfortante fiducia nelle possibilità del Solo-uomo di comunicare con il Tutti-suoi simili.Sono gli anni in cui Beethoven si dedica alFidelio (la prima versione è del 1805); inquesto soggetto drammatico il compositoreravvisava la piena manifestazione dei suoiideali etici di giustizia, di coraggio e difedeltà. Il tema esposto dal Solo all’inizio delquarto concerto, con quel suo profilo fintroppo simile a una ‘domanda‘, rispecchial’aspirazione della musica beethoveniana inquegli anni a trasformarsi in gesto, inespressione, in ‘motto‘: tendenza cheraggiunge l’apice nella Quinta Sinfonia,conclusa nel 1807, un anno dopo l’op. 58.Infine nell’ultimo concerto in mi bemollemaggiore il Solo riprende sì, come nel terzoconcerto, il medesimo tema esposto dal Tutti,ma lo altera, lo trasfigura, lo addolcisce. Quinon vi è più sfida, ma solo consapevolezza dipoter dire le stesse cose in modo diverso. IlTutti non è una massa compatta (conl’eccezione forse dell’op. 19, non lo èneanche negli altri concerti); è un gruppo dacui le singole voci possono staccarsi: i varistrumenti e il pianoforte enunciano ilmedesimo tema ma è come se loavvolgessero ogni volta di una luce diversa.Il dialogo è ora divenuto maturo: lo stessoargomento può essere trattato da unapluralità di soggetti, con infinite sfumature.E non è detto che chi alza di più la voce abbiamaggiori chances di essere ascoltato. Per riprendere il discorso di Bloom citato inapertura, sull’importanza di insegnare i‘classici‘ ai giovani, ritengo senz’ombra didubbio che i concerti per pianoforte eorchestra di Beethoven rientrino nellacategoria delle ‘grandi opere‘ dell’arteoccidentale. Se è vero che agli uomini è datala possibilità di non sentirsi soli, unendosi ingruppo, accomunati dal desiderio di sapere,di conoscere, per avvicinarsi alla Verità, alloraurge oggi più che mai ribadire la necessità diun dialogo dei giovani con i ‘grandi classici‘,nella fede che questi, interrogati conosciuti eamati, abbiano sempre un contenuto nuovoda offrire alla mente ragionante.

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    Pochi testi sulla musica hanno la forzastringata e penetrante de Il Gallo el'Arlecchino di Jean Cocteau, un lavoro dipoche pagine che esalta l'audacia dellasemplicità e della franchezza nell'arte. Untesto nel quale Cocteau si rivolge anzituttoa Nietzsche come a un modello che lo aiutia disfarsi del simbolismo sfumato emalaticcio dei suoi esordi letterari.

    Tutto ruota intorno alla musica, non soloperché queste pagine sono di fatto ilmanifesto della rinascita musicale franceseincarnata dai giovanicompositori appartenenti alGruppo dei Sei (DariusMilhaud, Arthur Honegger,Francis Poulenc, GermaineTailleferre, Georges Auric eLouis Durey), ma perché,come per Nietzsche, lamusica offre a Cocteau ladimensione immanente diun sentire filosofico, ancorprima che estetico oartistico, che tende verso laverità delle cose prossime,verso la limpidezza e latrasparenza del presente,verso tutto ciò che èlontano “da nuvole ocaverne”.

    “La folla è sedotta dallamenzogna: è delusa invecedalla verità troppo semplice,troppo nuda, troppo pocoindecente [...] quella, noneccita gli uomini”. Ed ènella musica che questatensione verso la verità delpresente è più evidente:“attenzione alla vernice,dicono certi cartelli; e ioaggiungo, attenzione allamusica”. Una citazione quasi letterale diquel cave musicam che Nietzscheconsiglia a “tutti coloro che son uominiabbastanza da tenere alla limpidezza nellecose dello spirito”.

    Il compositore che, fra tutti, meglio

    testimonia questo spirito è Erik Satie.Cocteau, insieme al Gruppo dei Sei, neesalta la musica e la figura, considerandoloun caposcuola, forse l'unico musicistacapace di scrivere “una musica a misurad'uomo”. “Satie guarda poco i pittori enon legge i poeti, ma preferisce vivere dovefermenta la vita, […] basta con le nuvolee le onde, ci vuole una musica di tutti igiorni, [...] basta con le amache e leghirlande, voglio che mi costruiscano unamusica dove possa abitare come in unacasa. […] la musica non è sempre gondola,

    cavallo da corsa, corda tesa; qualche voltaè anche una sedia”.Questo è ciò che Satie nel suo agireirriverente, controverso e antiaccademicoriesce a realizzare, non solo comecompositore, ma anzitutto nella sua vitad'artista. E anche in quest’aspetto, l'idea di

    Cocteau di considerare la produzionemusicale di un compositore solo come unaparte della sua vita di uomo e di musicista,non è diversa da quella che ritroviamo inNietzsche, di una filosofia come vitafilosofica, come filosofia in atto. La vita diSatie nel suo insieme, ancor prima dellesue composizioni o del suo lavoro comepianista di cabaret, è presa a simbolo diquell'esprit nouveau capace di afferrareil senso del tempo, capace di offrire quelloche definiva, con una curiosa espressione,il quotidiano “pane musicale”.

    Lavoreranno insieme alballetto Parade con scene ecostumi di Picasso, che saràrappresentato dai ballettirussi di Sergei Diaghilev il 18maggio 1917 al Théâtre duChâtelet a Parigi. Unacreazione che, seppurpresentata come balletto,intendeva rompere con ognigenere di tradizione e diforma teatrale. Appolinairenel suo testo per ilprogramma della primarappresentazione scrisse cheper gli autori “si trattò primadi tutto di tradurre la realtà”non più di rappresentarla. Imovimenti di danza nonerano legati a un linguaggioastratto, ma erano naturali,reali “solo amplificati emagnificati fino alla danza”. Molte furono,inevitabilmente, lecontestazioni del pubblico ele ostilità della criticamusicale parigina. Cocteaurispose l'anno seguente,proprio dalle pagine de IlGallo e l'Arlecchino: “i

    musicisti impressionisti hanno creduto chela musica di Parade fosse povera perchéera priva di condimento […] ciò nonpossono capirlo orecchie abituate al vagoe ai brividi. […] Per la maggior parte degliartisti, un'opera non può essere bella senzaun intreccio di misticismo, di amore o di

    RASSOMIGLIANZE: NIETZSCHE, COCTEAU, SATIEdi Bruno Dal Bon

    “Il millenovecento è un anno terribile. Nietzsche muore, il primo della classe sparisce, non restano che i somari”Jean Cocteau

    Friedrich Wilhelm Nietzsche (1844-1900)

  • noia; il breve, il gaio, il triste senza idilliosono sempre sospetti”.

    Parole che non possono che ricondurcinuovamente a Nietzsche. La predilezionedi Cocteau per Satie è infatti analoga aquella del filosofo tedesco per Bizet e perla sua Carmen così come per quegliautori “audaci e leggeri” che ritroviamocitati in alcune delle ultime lettere, allorainedite, che quasi certamente Cocteau nonconosceva. Testimonianze nelle qualiNietzsche esalta l'operetta e la zarzuelaspagnola elogiando autori come Audran,Offenbach o Von Suppé. Questi sono icompositori che accompagnano Nietzschenell'ultima fase della sua vita, quelladell'estrema riflessione filosofica. Questemusiche, ma anche questo modo“semplice” di rappresentarle e di viverle in

    luoghi d'occasione quasi mai teatrali.

    Quasi il medesimo contesto dove lemusiche di Satie e dei compositori delGruppo dei Sei si svilupperanno: non piùsolo le sale da concerto o i teatri, ma i caféchantant e i cabaret parigini senza maidisdegnare gli spettacoli circensi o i lunapark, la musica da ballo o il jazz. “Nelgorgo dei perturbamenti del gusto francesee dell'esotismo, il caffè-concerto rimaneabbastanza intatto […] qui un giovanemusicista potrebbe riprendere il filoperduto. […] Il music-hall, il circo, leorchestre americane di negri, tutto ciòfeconda un artista allo stesso modo di unavita.”

    La riflessione di Cocteau sulla musica,come dicevamo all'inizio, non si limita ad

    esprimere un gusto o una tendenzastilistica, non intende sterilmentecontrapporre una nuova scuola francese inalternativa ad altri stili nazionali. Lariflessione sulla musica che Cocteau riescea tracciare nelle poche righe di questotesto è prettamente filosofica, lo è quasisenza volerlo. Nonostante nessunaaffermazione abbia l'ambizione diprendersi troppo sul serio e tutto siagiocato in un'alternanza di brevissimeintuizioni, paradossi e aforismi, il lavoro dianalisi e di approfondimento sonoanzitutto filosofici.

    Solo nelle ultimissime pagine Cocteauscrive qualcosa di più compiuto sul pianodella riflessione, tentando di teorizzare lanozione di rassomiglianza della musica: “larassomiglianza è una forza obiettiva cheresiste a tutte le metamorfosi soggettive.Non bisogna confondere la rassomiglianzacon l'analogia. L'artista che ha il sensodella realtà non deve mai aver timored'essere lirico. Il mondo obiettivo mantienela propria efficienza qualunque siano lemetamorfosi che il lirismo può fargli subire.Il nostro spirito digerisce bene”. Anche inquesto caso poche righe alle quali poiaggiunge: “La musica è la sola arte che,secondo la massa, è autorizzata a nonrappresentare qualcosa. E tuttavia la bellamusica è la musica rassomigliante aqualcosa […] la buona musica commuoveper certa rassomiglianza misteriosa aglioggetti e ai sentimenti che l'hannomotivata. La rassomiglianza in musicaconsiste, non in una rappresentazione, main una potenza di verità velata”.

    L'opposizione tra “rassomiglianza eanalogia” in musica, la definizione di“mondo obiettivo” come forza che nellamusica mantiene la propria efficienzaindipendentemente dai possibili interventicompositivi o interpretativi atti anasconderla o deformarla, la straordinariaintuizione di una musica come “potenza diverità velata”, sono tutti concetti cheCocteau ci lascia come elementi di unamappa filosofica ed estetica ancora tuttada disegnare. Parole di un'insolita serietàquasi accademica che, anche quandosembrano sbilanciare il ritmo brillante,asciutto e nervoso di questo libro, riesconotuttavia a offrirci un nuovo e insolitoaccesso alla comprensione della parte piùintima e vitale della musica.

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    Jean Cocteau (1889-1963)

  • PROFUMI IN MUSICA AFFINITÀ E CORRISPONDENZE TRA NOTE MUSICALI E NOTE FRAGRANTIdi Francesca Faruolo

    La musica è il profumo dell’universo.Giuseppe Mazzini

    La campana del tempio tace,ma il suono continua a uscire dai fiori.

    Bashō Matsuo

    Suoni e odori condividono una dimensioneaerea ed evocativa, tanto vivida quantoineffabile, che nel corso del tempo ha datoluogo a numerose corrispondenze traprofumo e musica. “Ascoltare i profumi” èil mondo con cui la cultura giapponesedefinisce l'atto percettivo e cognitivoimplicato Kōdō, la via dell'incenso, unadelle tre arti classiche di raffinatezza.L'apprezzamento di una fragranza, comequello della musica, richiede, infatti,concentrazione e raccoglimento, e persinoun'estraneazione dal mondo circostanteche rimane esteriore, mentre gli odori “cipenetrano”.Esiste un'affascinante ipotesi sostenuta dalbiochimico Luca Turin, secondo cui i nostriricettori olfattivi sarebbero in grado didistinguere gli odori processando nontanto la forma delle molecole, come vuolela teoria scientifica più accreditata, ma laloro vibrazione, proprio come accade per leonde sonore. Se questa teoria oggi sembraaver perso terreno, altri recenti studicondotti su base sperimentale hannoappurato come il tubercolo olfattivo nonsolo discrimini gli odori, ma sia anchesensibile al suono. I nostri sensi sonodunque tutt'altro che isolati tra loro e ineffetti non solo la nostra esperienza maanche il nostro retaggio culturale ci mettedi fronte a questa evidenza. Basta pensareal debito che il linguaggio del profumo hanei confronti di quello musicale. Edmond Roudnitska (1905 – 1996), autoredi molti celebri profumi, detestaval'abitudine di definire “nasi” i profumieri eimpose, grazie alla diffusione dei suoi librie saggi di estetica del profumo, ladefinizione elegantissima di “compositoredi fragranze”. Secondo Roudnitskal'artista che compone a tavolino la formuladi un profumo è equiparabile alcompositore che scrive le note senzabisogno di suonarle perché le ha già tuttenella propria testa. Un'analogia tra questi due universi si puòfar risalire già a Linneo che divise gli odoriin sette classi, proprio come sette sono lenote musicali. E dalle “note fragranti” agli

    strumenti per suonarle, il passo può esserebreve. Uno dei primi a compierlo fu ÉtiennePivert de Senancour nel suo romanzoepistolare autobiografico Obermann(1804) dove egli vagheggia l'idea di unclavicembalo degli odori sulla falsariga diquello che Louis Bertrand Castel avevaideato nel 1725 per creare rapporti tra notemusicali e colori. Poco più tardi il profumiere SeptimusPiesse mise a punto l'Odaphone (1857)una trasposizione delle note musicali innote olfattive con cui sarebbe statopossibile creare partiture per opereodorose. Da qui nasce forse l'abitudine dichiamare “organo del profumiere” laconsolle usata per riporre i flaconi dellematerie prime, divise per tipologia efunzione, di fronte al quale e per mezzo delquale, il creatore di fragranze “compone”.Questo mobiletto semicircolare dotato discrivania e una serie di mensoledegradanti, ricorda, in effetti, un organocon le tastiere disposte su diversi livelli. Nell'Ottocento, quando la sinestesiadiventa quasi una parola d'ordine el'estetica dei sensi pervade la musica, lafilosofia e la letteratura, l'olfatto torna allaribalta. Nelle pagine della letteratura edella poesia, il profumo diventa un mezzoattraverso cui prendere coscienza dellaparte istintiva, primigenia e incondizionatadella nostra psiche.Ma gli odori, si sa, sfuggono alla presa dellinguaggio e per evocare questo nuovouniverso di forme invisibili, cheaccompagnano come spiriti aerei levicende dei personaggi, gli scrittori siaggrappano a metafore e riferimentimusicali. Una delle più rappresentativeespressioni di questo lessico musicale-odoroso la fornisce Emile Zola ne LaFaute de l'abbé Mouret (1876) almomento della tragica morte dellaprotagonista, Albine, provocata daglieffluvi intossicanti dei fiori che l'avvolgonoin una fatale sinfonia d'aromi:

    “In perfetta quiete, con le manicongiunte sul petto, continuava asorridere mentre ascoltava i sospiri deiprofumi nella sua testa confusa. Stavanocantandole una dolce e strana melodiadi fragranze che con lentezza egentilezza la accompagnarono verso ilsonno. […] Presto arrivò il canto di unflauto, piccole note muschiate scandite

    dal mucchio di Violette appoggiate sultavolo vicino al capezzale; e questoflauto ricamava la sua melodia conl'accompagnamento regolare dei gigliappoggiati sulla console: cantava i primicanti del suo amore, la primaconfessione, il primo bacio nel bosco. Iniziò a soffocare, la passione eraarrivata insieme allo scoppio brusco deigarofani, dall'odore pepato, la cui voceda ottone dominò per un attimo su tuttele altre. […] Le belle di notte emiseroqua e là un trillo discreto. Poi ci fu unsilenzio. Le rose, languidamente, feceroil loro ingresso. Dal soffitto colaronodelle voci, un cantico lontano. Era ungrande coro che lei stette a sentireinizialmente con un sottile tremito. Poi ilvolume aumentò e presto tutto si riempìdi un suono possente che esploseintorno a lei. Le nozze erano giunte acompimento e le fanfare delle roseannunciarono il terribile istante. Lei, con le mani sempre più strette vicinoal cuore, ormai morente, ansimò. Aprì labocca cercando il bacio che l'avrebbesoffocata, quand'ecco che i giacinti e letuberose esalarono i loro fumi,l'avvolsero di un ultimo sospiro, cosìprofondo da coprire il coro delle rose.Albine morì davanti all'estremo rantolodei fiori.”

    Quella che per Zola è pura evocazioneletteraria, per Joris Karl Huysmans diventauna potente invenzione pronta, comevedremo, a staccarsi dalle pagine dei libriper muovere i propri passi nel mondo reale.Nel celebre romanzo À rebours (1884),l'autore forgia infatti nell'immaginario dellettore la figura del suonatore di fragranzeimpegnato a eseguire dal vivo unacomposizione odorosa. Cinquant'anni più tardi, Aldous Huxley inBrave New World (1932) traspose questaidea in un futuro distopico in cui la musicaodorosa sarebbe divenuta una formadiffusa di arte e intrattenimento funzionaleal controllo delle menti. Seppur in chiaveparodica, l'autore ci regala la descrizionepiù compiuta di una sinfonia di profumi:

    "L'organo odoroso eseguiva unCapriccio d'Erbe deliziosamente fresco.Arpeggi gorgoglianti di timo e lavanda,di rosmarino, basilico, mirto, artemisia;una serie di audaci modulazioni

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  • attraverso tutti i toni delle spezie sinoall'ambra grigia, e una lenta marciainversa sino al legno di sandalo, lacanfora, il cedro e il fieno tagliato difresco (con tocchi sottili qua e là di notediscordanti: un'ondata di pasticcio dirognone, il più leggero accenno diconcime di porco) per ritornare agliaromi semplici coi quali il pezzo avevacominciato. Le ultime note di timo sispensero; seguì un fragore di applausi;le luci si riaccesero”.

    Nel corso del tempo artisti e profumierihanno cercato di realizzare concretamenteun simile organo. Nasce così Olfactiano(2004) messo a punto dall'artista Peter deCupere con il supporto del creatore difragranze Christophe Laudamiel. Masoprattutto Smeller 2.0 (2012) diWolfgang Georgsdorf, un'imponentemacchina dotata di controllocomputerizzato con sistema MIDI, costruitacon tubi in polipropilene e alluminio,componenti elettroniche, sistema diventilazione e serbatoi per conteneremateriali odorosi ed essenze (create dalprofumiere Geza Schoen). L'opera, che haricevuto la nomina al premio Arte Laguna2014, è in grado di suonare veri e propriconcerti di odori seguendo partiture scrittedall'artista stesso servendosi della classicanotazione musicale. Per giustificare l'esistenza di strumenti diquesto tipo, ci vogliono compositori conun'adeguata sensibilità olfattiva. Inun'ideale genealogia di musicisti incliniall'estetica degli odori, il capostipitesarebbe senz'altro Johannes Kreisler,maestro di cappella protagonista dellaKreisleriana, trilogia di novellepubblicata da E.T.A. Hoffman nel 1814.Ecco alcune sue osservazioni:

    "Il profumo dei garofani rossi-scuriagisce su me con una straordinaria forzamagica: senza volerlo mi sprofondo inuno stato di sogno e sento allora comeda una grande lontananza suoni diclarinetto che crescono lentamente e poilentamente si dileguano.”

    Robert Schumann rimase così colpito daquest'opera da dedicare alla figura diKreisler, un ciclo di brani per pianoforteintitolata proprio Kreisleriana (1838),mentre Johannes Brahms arrivò, nel suoAlbum letterario o lo scrigno delgiovane Kreisler , a farne una sorta diproprio alter ego romantico. In questasingolare raccolta di scritti dove, dal 1853,

    il compositore tedesco elaborava braniletterari che lo avevano suggestionato,troviamo una citazione tratta da un'operadi Justinus Kerner che parla di unaparentela quasi biologica tra musica eprofumo:

    “Gli uccelli canori e i fiori profumatipossiedono tra loro, per lo meno, alcunesomiglianze, non solo nel canto e nelprofumo, ma anche nel colore o, a esserepiù precisi, nella mancanza di colore. Ipiù eccellenti uccelli canori hanno nelcontempo il piumaggio in assoluto piùsemplice: sono l'allodola, l'usignolo, lostorno, il merlo, il canarino ecc. Gli uccellipiù variopinti non sono mai uccellicanori: il pavone, il pappagallo, il colibrì.I fiori più profumati sono sempre quelliche, in assoluto, possiedono menocolore: sono la viola matronale, il giglio,il garofano (in realtà i garofanimonocromi profumano sempre piùrispetto a quelli variopinti); le tuberose,le rose, i giacinti quando sono variopintihanno una fragranza sempre inferiore aquelli di colore più semplice. Quantesomiglianze possiedono una violamatronale e un usignolo! La prima è ilfiore dal profumo più intenso, il secondoè l'uccello che presenta la maggiorericchezza di suoni; quella profuma equesto canta solo di notte; entrambisono completamente privi dicolorazioni.”

    Nell'ultimo scorcio del XIX secolo udito eodorato hanno ormai sancito la propriaaffinità elettiva, rafforzata dalla lorodistanza dall'organo sensoriale predilettodalla ragione e dalla scienza, ovvero lavista. Quando nel 1871 si tenne a Bolognala prima nazionale del Lohengrin diWagner al Teatro Comunale il successo fucosì folgorante che si pensò bene diassociare a quest'opera una fragranzacreata per l'occasione e chiamata appuntoLohengrin. Nelle sue note odoroseriecheggia il momento in cui ilprotagonista dell'opera wagneriana sirivolge a Elsa dicendo:

    “Non respiri tu con me i dolci profumi?Oh! Come grati essi inebriano il senso!Misteriosamente essi s'appressanoattraverso l'aria, al loro incanto io miconcedo senza domandare...”

    Diversi compositori sono rimasti affascinatidalla poesia del profumo. Nel 1897 GabrielFauré mette in versi Le parfum

    impérissable (Il profumo immortale)poesia scritta dal poeta parnassianoCharles Marie René Leconte de Lisle,autore di quei Poèmes barbares (1862)che ebbero una certa influenza suCarducci.

    Il profumo entra nella musica attraverso lapoesia anche per Claude Debussy, autorede Les pafums de la nuit. Il preludio perpiano intitolato Les sons et les parfumstournent dans l'air du soir, è ispiratodai celebri versi di Baudelaire, tratti dalsonetto Correspondances:

    “I profumi e i colorie i suoni si rispondono come echi

    lunghi che di lontano si confondonoin unità profonda e tenebrosa,

    vasta come la notte ed il chiarore.”

    Una menzione merita anche l'inclusione dipartiture olfattive nell'opera di autoriarticolarmente inclini alla sperimentazionecome Scriabin e Stockhausen. Del primoricordiamo Mysterium (1903-1915)l'opera, rimasta incompiuta, in cui ilcompositore russo aveva unito suoni,colori, luci, danza, fuoco, incenso eprofumo. La rappresentazione avrebbedovuto svolgersi in India in un tempioappositamente costruito da Scriabin dovefragranze inebrianti e volute di incensoproveniente da pire disposte vicino alpalcoscenico semicircolare, avrebberoavvolto il pubblico per sette giorni e settenotti. Non meno visionario, il ciclo Licht(Luce) di Stockhausen dedicato ai settegiorni della settimana, dove l'esecuzione diciascun giorno è abbinata a un profumo.Per concludere questa breve panoramicatra note musicali e note fragranti, torniamoa Bologna, a due passi dal Museo dellaMusica che per cinque anni, con spiritosperimentale e amor di sinestesia, haospitato le nostre iniziative di SmellFestival. In piazzetta San Michele, sullemura esterne dell'abitazione di Rossini,troviamo la famosa iscrizione in onore deldio Apollo:

    “Fa vibrare con ritmo le sette corde deisuoni in mezzo a un profumato boschetto

    d'alloro”.

    Ulteriore traccia di una perennecorrispondenza: poetica, musicale,odorosa.

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  • RECENSIONIdi Alberto Spano

    UNO CHOPIN DA CAMERA CONTINUUM MOBILE I QUADRI E IL TUTTO IL RESTO VIVALDI E LE MEZZE STAGIONI

    F. CHOPINChamber WorksAgnieszka Przemyk-Bryla, pianoforte Tomasz Strahl, violoncelloKonstanty Andrzej Kulka, violino (CD Dux 1163, € 20,99)

    La Dux Recording, fondata tre anni dopola caduta del Muro di Berlino dai dueintraprendenti ingegneri del suonoMałgorzata Polańska e Lech Tołwiński,è una coraggiosa etichetta indipendentepolacca che da 23 anni si batte pervalorizzare al massimo la musicapolacca e i suoi interpreti più valorosi. Èl’etichetta che per molti anni hapubblicato le prove dal vivo (epraticamente in tempo reale con losvolgimento della gara) del ConcorsoChopin di Varsavia, ed è stata una delleprime a pubblicare la registrazione deiconcerti di Chopin col pianista russoDaniil Trifonov, scritturato quando eraun perfetto sconosciuto, oggi pianistasulla cresta dell’onda e sotto contrattoDeutsche Grammophon. Dal riccocatalogo Dux giunge ora un cd digrande interesse, contenente l’operaintegrale da camera di Fryderyk Chopin,consistente in sole quattro opere, ahimè:il Trio in sol minore op. 8 (scritto a 19anni), l’Introduzione e Polaccabrillante in do maggiore op. 3, ilGrand Duo Concertante su temi delRobert le diable di Meyerbeer op. 16 ela più celebre Sonata in sol minore perpianoforte e violoncello op. 65,terminata due anni prima della morte,nella quale troviamo uno dei bisprediletti dei grandi violoncellisti, lostruggente Largo. La giovane pianistaAgnieska Przemyk-Bryla, vincitrice nel2000 di un importante premio alConcorso Nazionale Fryderyk ChopinSociety di Varsavia, è ovviamentel’anello di congiunzione di queste opere,in cui Chopin scrive musica meravigliosadove il pianoforte la fa sempre daassoluto protagonista. Al suo fianco duearchi di due generazioni diverse: lostimato violinista Konstanty AndrzejKulka e il valoroso violoncelllista TomaszStrahl. La registrazione è molto viva edè tutta basata sulla brillante musicalitàdella pianista che dispone di una grandefacilità esecutiva e di una palettatimbrica molto pronunciata. Sotto al cduna sorpresa: un DVD di una ventina diminuti in cui è presentata con tutti icrismi la monumentale EdizioneNazionale Polacca dell’opera di FryderykChopin, curata dal leggendario pianista,musicologo e pedagogo Jan Ekier,scomparso nell’agosto scorso duesettimane prima di compiere 101 anni.

    “CONTINUUM NOMADE”(Sollima, Petrassi, Respighi, Martucci,Paganini, Tartini), Grazia Raimondi, violinoGiuliano Mazzoccante, pianoforte (CD Wide Classique WCL161, € 19,90)

    “Viaggio attraverso la musica italianada Sollima a Tartini” è il sottotitolo diquesto originale cd il cui titolo“Continuum Nomade” è lo stesso delbrano di Giovanni Sollima che lo apre,dedicato all’interprete, la violinistabolognese Grazia Raimondi. Classe1962, virtuoso di violoncello ma anchecompositore eclettico aperto alle piùlarghe esperienze (minimal music, pop,rock, jazz e musica di areamediterranea), Sollima racconta di averpreso spunto per questo pezzo daun’alba a Mondello, località turistica diPalermo, ma anche dalle molteplicisuggestioni che gli vengono dal suoessere grande viaggiatore. «Non mi èmai capitato di scrivere a casa o su unascrivania (che, tra l’altro, non posseggo).Così sta succedendo anche qua, inAustralia, dove da circa un mese – traun concerto, quindi un viaggio, e l’altro– scrivo quasi senza accorgermene».Tutto il disco è un viaggio musicaleperfettamente a ritroso: dopo il pezzo diSollima che potrebbe entrare nelrepertorio di tutti i grandi virtuosidell’archetto, ecco l’Introduzione eAllegro di Goffredo Petrassi (1904-2003), un brano all’opposto severo ericco di contrappunto scritto nel 1933,originariamente concepito per violino eundici strumenti. Poi la monumentaleSonata in si minore di OttorinoRespighi (1879-1936), scritta dopoFontane di Roma, piena di colori e dicomplessi stati d’animo, che chiude conuna difficile Passacaglia. Quindi laMelodia di Giuseppe Martucci (1856-1909), traboccante lirismo e incessantiprogressioni armoniche. Poi il celebreCantabile di Niccolò Paganini (1782-1840) nato per chitarra e violino, che èun evidente omaggio all’idea dellacantabilità spianata dell’opera italiana.Chiude la Sonata in sol minore“Didone abbandonata” di GiuseppeTartini (1692-1770), ispirata alladisperazione della regina feniciafondatrice di Cartagine e abbandonatada Enea. Registrazione molto presentein cui si apprezza la tecnica agguerritae l’appassionata musicalità di GraziaRaimondi, perfettamente coadiuvata dalpianista Giuliano Mazzoccante, il qualeè alle prese con un gran coda Steinwayamericano del 1878 in eccellenticondizioni, prestato da Nicola Bulgari.La Raimondi suona un violino GiuseppeGagliano del 1783.

    M. MUSSORGSKYQuadri di un’esposizione e tutte le altreopere per pianoforteMaurizio Bagnini, pianoforte (CD Decca 481 1413, € 20,90)

    Settimo album Decca per MaurizioBaglini, il pianista-maratoneta di originepisana. Stavolta lo sguardo è rivolto aModest Mussorgsky, ma non solo aquell’immenso capolavoro della storiadella musica che è la celebre suitepianistica Quadri di un’esposizionedel 1874 che ovviamente apre il primo deidue cd: ci sono anche tutti gli altri branipianistici di Mussorgsky, assolutamentesconosciuti, che finalmente entrano nelrepertorio di un pianista italiano dilevatura internazionale. In tutto fannoaltre 16 opere separate, per lo più foglid’album, brani occasionali, pezzi giovanili.In quelli giovanili, come l’esuberantePolka Porte-enseigne del 1852, loScherzo in do diesis minore del 1858 (poiconfluito nella Sonata in do maggioreper pianoforte a quattro mani, quieseguita assieme a Roberto Prosseda) ol’Impromptu passionné del 1859, siammira una solida scrittura e una sicuramusicalità, ma nessuno potrebbe direschumannianamente “Questo l’ha scrittoMussorgsky”. C’è una dolce, teneraRêverie su un tema di V. A. Logimov, c’èuna bella Méditation del 1880 coeva diAu village (Quasi Fantasia), Une Larmee Fiera di Sorochintsï in cui èdecisamente più riconoscibile l’autore delBoris Godunov. Piccoli gioielli musicalisono poi pezzi caratteristici evocatividell’infanzia, con descrizioni ancheonomatopeiche di alcune situazioni, adesempio il Primo castigo col rumoredella frusta e della corsa del bimbo chescappa prima di buscarne dalla balia, edescrizioni paesaggistiche piuttostoefficaci come quelle dell’andamento dellacanoa sulla Costa meridionale dellaCrimea, del 1879. Maurizio Baglinisuona tutte queste pagine con belloslancio poetico, cura dei particolari epenetrazione interpretativa, ma èovviamente nei Quadri diun’esposizione che imprime la suaormai inconfondibile impronta.Coadiuvato da uno strumentoparticolarmente malleabile come il grancoda Fazioli e da una registrazionepresente ma molto riverberata, Bagliniopta per un Mussorgsky immerso insonorità quasi irreali (Il vecchio castello)e in esasperazioni timbriche ed agogiche.Accordi sfasati ad abundantiam,scampanamenti e accentuazioni quasiprovocatorie evocano uno stile esecutivopianistico leggendario di metà Ottocentodella Russia zarista, affatto diverso daquello europeo, che ci sembra di averedentro alle orecchie ma che possiamosolo immaginare con la mente.

    A. VIVALDI, Le Quattro StagioniP. TONOLO, Le Mezze StagioniSonig Tchakerian, violinoPietro Tonolo, saxOrchestra di Padova e del Veneto (CD Decca 481 1554, € 19,90)

    L’idea non è nuova. Ma è bella e funzionaalla grande: accostare alle QuattroStagioni di Vivaldi non altri concertivivaldiani o di autori coevi, ma opere delnostro tempo e col “sound”contemporaneo. In passato c’è chi haaccostato le Stagioni di Astor Piazzolla:ed ecco allora fioccare dischi e concerti econcerti con le “Otto Stagioni” (c’ècaduto anche il grande Gidon Kremer).Ora la talentuosa violinista di originearmena Sonig Tchakerian (è nata adAleppo), che tre anni fa si era prodotta inuna eccellente incisione delle Sonate ePartite di Bach (Decca) e una dozzinad’anni addietro di un’integrale dei 24Capricci op. 1 di Paganini (Arts), incideora le sue Quattro Stagioni vivaldianeassieme all’Orchestra di Padova e delVeneto, suonando un violino GennaroGagliano del 1760 e affidando i raccordifra una stagione e l’altra all’estrocompositivo ed esecutivo del sassofonistamiranese Pietro Tonolo, il quale raccogliele ultime note di ogni stagione e cicostruisce quattro splendideimprovvisazioni a metà fra il jazz e un‘neobarocco’ di qualità. Il risultato èassolutamente delizioso: intanto per labravura di tutti, in primis della violinista,che sfoggia un arco superlativo, stacchi ditempo meditati, arricchisce la musicavivaldiana di scarti umorali intelligenti evalorizza gli interventi del clavicembalo(l’ottimo Daniele Roi). Poi per l’effetto distraniamento dei raccordi e per il belsuono caldo ed espressivo di Tonolo, ilquale si limita ad interventi di non oltrequattro minuti fra un concerto e l’altro(Oziando, Tempesta, Nostalgia,Fuori Stagione), lasciando nelleorecchie un ricordo, un mood espressivoquasi commovente. È un riuscitissimo cd,ma è anche uno splendido programma diconcerto.

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