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La vicenda della cena in occasione dell’anniversario della “Marcia su Roma”, organizzata da Fratelli d’Italia ad Acquasanta (Ap) il 28.10.2019, alla presenza delle autorità ascolane appartenenti al partito, è commentata dai quotidiani: cfr. ad esempio: https://www.ilfattoquotidiano.it/2019/10/31/ascoli-piceno-esposto-anpi-contro-la-cena-di-commemorazione-della-marcia-su-roma-non-sono-nostalgici-ma-nuove-leve/5542884/ e https://www.repubblica.it/cronaca/2019/10/30/news/nazifascismo_alle_celebrazioni_della_marcia_su_roma_i_vertici_locali_di_fdi-239862151/?ref=drac-2.

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Exerga

Cosa fu effettivamente il fascismo? Un blando regime paternalista, colpevole solo della guerra e delle leggi razziali, oppure uno spietato meccanismo teso a sradicare la malapianta degli umili in cerca di riscatto? 1 L’Ur-Fascismo è ancora intorno a noi, talvolta in abiti civili. Sarebbe così confortevole, per noi, se qualcuno si affacciasse sulla scena del mondo e dicesse: “Voglio riaprire Auschwitz, voglio che le camicie nere sfilino ancora in parata sulle piazze italiane!” Ahimè, la vita non è così facile. L’Ur-fascismo può ancora tornare sotto le spoglie più innocenti. Il nostro dovere è di smascherarlo e di puntare l’indice su ognuna delle sue nuove forme – ogni giorno, in ogni parte del mondo 2. Siamo stati noi a far entrare nel governo Lega e fascisti. Li abbiamo legittimati noi, li abbiamo costituzionalizzati noi 3. Galantino da M5s a Fdi: "Se mi dicono fascista non mi offendo, vengo da destra" 4.

In una lettera a Turati della fine di marzo [1924, Matteotti] aveva espresso la convinzione che

per vincere la battaglia contro il fascismo occorreva «inacerbirla» e che per far ciò serviva «gente di volontà e non degli scettici» 5.

Se si vuole smascherare il fascista che è in voi (quello in me non vi riguarda) nel mondo di oggi bisogna giocare molto duro,

che ad andar di fioretto non interessa quasi più a nessuno. Bisogna puntare direttamente agli sganassoni. Metaforici, sia chiaro, ché sui ceffoni futuristi manteniamo una posizione fortemente critica.

Sarà pure consolatorio, ma là fuori, in assenza di una qualche forma di egemonia culturale

ormai perduta da lustri, il cielo si fa sempre più plumbeo.

[…] Ma il fascismo in Italia torna sempre a galla, come un cadavere marcio e gonfio di gas, in una palude.

La palude di una politica populista e qualunquista, che cambia sempre nome e mai faccia. Faccia e faccetta 6.

1 Valerio Evangelisti, in: La libera ricerca di Cesare Bermani, Roma, DeriveApprodi, 2012, p. 74. 2 Umberto Eco, Il fascismo eterno, Milano, La nave di Teseo, pp. 49-50. 3 Silvio Berlusconi sui suoi alleati del centrodestra, discorso pronunciato il 28 settembre 2019, cfr. https://www.repubblica.it/politica/2019/09/28/news/berlusconi_rivendica_il_merito_di_aver_portato_al_governo_fascisti_e_lega_fratelli_d_italia_replica_che_tristezza_-237191538/ (ultimo accesso 21.10.2019). 4 https://www.globalist.it/politics/2019/10/10/galantino-da-m5s-a-fdi-se-mi-dicono-fascista-non-mi-offendo-vengo-da-destra-2047499.html (ultimo accesso 21.10.2019). 5 Mauro Canali, Il delitto Matteotti, Bologna, Il Mulino, 2015, p. 38. 6 Max Collini e Tito Faraci, prefazioni a: Stefano Antonucci, Daniele Fabbri e Mario Perrotta, Quando c’era LVI, Brescia, Schockdom, 2017, pp. V-VIII.

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Partiamo da una domanda

Nell’arco di pochi anni, dall’inizio del nuovo secolo, a Pordenone un gruppo di giovani dell’estrema destra di origine neofascista passa da un’aperta contestazione delle celebrazioni antifasciste del 25 aprile alla conquista di tutte le cariche del potere politico locale, dal Comune alla Provincia, fino alla Regione ed alla rappresentanza parlamentare del collegio. Due tra loro, i fratelli Alessandro e Luca Ciriani, sono assurti al ruolo di leader politici di importanza non più solo meramente locale: il primo come sindaco del capoluogo, formalmente eletto da indipendente 7 ; il secondo, come presidente dei senatori di Fratelli d’Italia, appare ormai incombere nelle consultazioni televisive sulla segretaria del partito Giorgia Meloni. Tutto ciò a dispetto delle forti contestazioni che li avevano portati, nell’arco di pochi anni, a rinunciare alla sfida di piazza nei confronti degli antifascisti. Ora sono loro a rappresentare le istituzioni dal palco, esponendo le loro tesi revisioniste in veste ufficiale.

Come è potuto accadere?

7 Cfr. Fratelli d'Italia cresce e si rafforza. Oltre cento persone per la manifestazione svoltasi ieri a Pordenone, https://www.ilfriuli.it/articolo/politica/fratelli-d-quote-italia-cresce-e-si-rafforza/3/203848, 30 luglio 2019. Dall’articolo è tratta l’immagine di questa pagina.

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Stefano Raspa, uno dei principali esponenti dell’anarchismo locale, tempo fa liquidava la cosa sbrigativamente più o meno con questa argomentazione attivistica: «noi in piazza abbiamo vinto, siete voi ad aver perso nelle istituzioni» 8.

Si tratta di una presa di posizione significativa, in primo luogo perché – tra le forze politiche - gli anarchici, dopo che le tendenze ad un tempo settarie ed elettoralistiche 9, oltre che personalistiche, hanno portato all’autodistruzione della sinistra di tendenza marxista, sono rimasti a Pordenone la principale forza antagonista, sul piano organizzativo e della capacità di mobilitazione, soprattutto tra i giovani. Inoltre, sono stati proprio gli anarchici pordenonesi l’anima delle contromanifestazioni che hanno sfidato in piazza i giovani di destra, guidati dall’attuale sindaco Alessandro Ciriani. Ma la battuta, a parte esprimere l’autoreferenziale spirito identitario che permea evidentemente anche i libertari, non spiega molto di un fenomeno complesso, che trova le sue radici indietro nel tempo.

La tesi che intendiamo esporre in questa sede – principalmente attraverso lo studio di quella fonte plasmatrice dell’opinione pubblica che sono i due quotidiani locali, «Il Gazzettino» ed il «Messaggero Veneto» - è che gli esponenti della “nuova destra” si siano inseriti in un tessuto gracile della memoria antifascista, segnato dal tradizionale moderatismo della principale associazione partigiana locale (l’Anpi) e dall’appiattimento rituale delle celebrazioni del 25 aprile sul registro della commemorazione reducistica, avulsa dal rapporto con i movimenti sociali, in particolare giovanili. In tal modo le stesse contestazioni di piazza, lungi dal legarsi e vivificare l’associazionismo antifascista, sono state vissute da questo in termini di estraneità, quando non con senso di vero e proprio fastidio polemico. Preparando in tal modo un facile terreno per l’inserimento dei “nuovi” amministratori di destra nelle celebrazioni stesse. Tanto che nel 2019 il sindaco Alessandro Ciriani, parlando dal palco del 25 aprile pordenonese, ha potuto impunemente insultare i partigiani comunisti (cioè la componente più organizzata, se non maggioritaria, della Resistenza) che, secondo lui, combattevano per sostituire un’altra dittatura a quella fascista.

Per altro le posizioni del sindaco pordenonese sono solo una variante del pensiero espresso nelle precedenti occasioni. Vediamo ad esempio cosa scriveva sulla sua pagina Facebook nel 2015:

25 aprile. Sia la Festa della pacificazione nazionale perché 70 anni fa si combatterono ferocemente padri contro figli, fratelli contro fratelli, italiani contro italiani. Sia la Festa della Libertà e dell'orgoglio nazionale contro ogni dittatura. Non sia la festa delle bandiere rosse, del crimine comunista, degli esaltati dei centri pseudo sociali. 10.

Ovviamente il pensiero “privato” non corrisponde esattamente all’obbligatorio omaggio pubblico nelle cerimonie ufficiali, come si nota nel diverso tono di quando, tre anni dopo, divenuto sindaco, si farà comunque notare per il comportamento non verbale:

Infine ha sollevato perplessità la scomparsa del sindaco che, dopo la cerimonia in piazzale Ellero dei Mille, ha ceduto la fascia tricolore al vice Eligio Grizzo per la seconda parte delle celebrazioni, con la deposizione della corona in piazza Maestri del lavoro e alla lapide in onore di Terzo Drusin, per poi riapparire alla messa in Duomo e alla consegna dei Premi San Marco. Forse in quei 25 minuti gli scappava la pipì - ironizza Marco Salvador (Pordenone 1291) -. Abbiamo

8 Durante il dibattito in occasione della presentazione, a cura dell’Anpi di Cordenons, del libro di Luigi Balsamini Gli Arditi del Popolo. Dalla guerra alla difesa proletaria contro il fascismo (1917-1922), il 9 marzo 2019. 9 I vecchi testi di scuola sovietica avrebbero osservato severamente – non senza una qualche ragione, a dispetto del meccanicismo – che le tendenze opportunistiche di sinistra convergono oggettivamente con quelle opportunistiche di destra. 10 https://it-it.facebook.com/alessandro.ciriani.5/posts/25-aprile-sia-la-festa-della-pacificazione-nazionale-perche-70-anni-fa-si-combat/700170570093482/ Gli errori sono nell’originale.

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bisogno di un sindaco che celebri e onori gli eroi, anche partigiani, di questa città. Non questo.

Il comportamento è poco elegante ma significativo: l’abbandonare la manifestazione, evitando l’omaggio all’osovano Franco Martelli ed al garibaldino Drusin, per preferire l’evento nazionalpopolare e quello religioso, conferma che il sindaco è sulla stessa lunghezza d’onda del moderatismo pordenonese, per cui il 25 aprile “ze la festa de San Marco”. Quanto ai concetti, sono solo apparentemente articolati:

Alessandro Ciriani da parte sua, alla sua seconda partecipazione alla Festa della Liberazione nel ruolo di primo cittadino, aveva esordito invocando un 25 aprile di concordia e di serenità: credo debba essere questo - aveva detto - il senso di una celebrazione che unisce e non divide. La stragrande maggioranza degli italiani da tempo vive questo giorno senza alimentare divisioni. Il nostro popolo ha maturato una piena consapevolezza del valore profondo del 25 aprile. Tanti italiani e stranieri sono morti per consentirci di vivere in democrazia e in libertà: a loro va dunque oggi il nostro pensiero carico di ammirazione e di riconoscenza. Tutto questo è assodato dalla storia. La spinta unitaria del 25 aprile deve fondarsi sul riconoscimento della verità, delle luci e delle ombre di quel periodo. Quelle verità non inficiano il valore complessivo del 25 aprile, anzi, lo arricchiscono. Nazismo, fascismo e comunismo - ha concluso Ciriani - sono morti, e nessuno li resusciterà 11.

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11 «Il Gazzettino», giovedì 26 aprile 2018, 25 aprile. Pordenone. Festa della Liberazione ancora una volta avvelenata da polemiche, articolo di Lara Zani. 12 Incontro del sindaco Ciriani con esponenti del Blocco Studentesco il 27 gennaio 2017. Foto scaricata da: https://www.facebook.com/pg/amicizapatisti/ il 5 luglio 2018; presente anche su: https://www.facebook.com/pnrebelfest/photos/pcb.693854860814487/693853557481284/?type=3&theater.

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Razzismo, totalitarismo, “italiani brava gente?”. Differenze e rapporti tra fascismo italiano e nazismo tedesco

Apparentemente, Ciriani sembra prestare omaggio all’opinione antifascista, ma in realtà conferma – sia in “privato” che in pubblico – tesi fondamentali del neofascismo postbellico: la ferocia della guerra civile, affiancata allo stereotipo per cui il movimento partigiano è assimilato ad un fenomeno criminale, attribuito ad una barbarie comunista di origine estranea alla comunità nazionale; la coesione nazionalpatriottica contrapposta alle divisioni settarie; la parificazione tra le due parti in lotta, come – su un piano che vi si intreccia – la parificazione tra le tre forme di totalitarismo novecentesco. Con una variante, in quest’ultimo caso: la tendenza a sottrarre il fascismo all’elenco; con l’eccezione degli ultimi anni, dalla legislazione antiebraica del 1938 in poi.

Con il che si occultano deliberatamente i crimini del fascismo (Alessandro Ciriani è persona troppo intelligente per essere considerato ignorante in buona fede): dalla metà della popolazione della Cirenaica rinchiusa nei campi di concentramento - con esito fatale per 40.000 persone - prima che il nazismo inaugurasse il suo sistema concentrazionario 13; dalla uccisione di 760.000 persone durante la guerra di Etiopia, anche attraverso l’uso massiccio di gas asfissianti, oltre che di pogrom generalizzati come quello di Addis Abeba del 1937, prima dell’uso sistematico dei gas e degli stermini degli Einsatzkommandos nazisti 14. E poi le gravissime perdite inflitte ai paesi invasi dall’Italia durante la seconda guerra mondiale: 300.000 greci, 250.000 jugoslavi 15. Quante, tra le centinaia di migliaia di vittime del franchismo in Spagna, attribuibili al corpo di spedizione italiano? Quanti, tra i più di 20 milioni di vittime sovietiche, attribuibili all’armata italiana ? 16

Tornando al pensiero del sindaco pordenonese, non si tratta certo di un’opinione molto diversa da quanto ha espresso il pensiero della destra neofascista italiana postbellica – nel quale emerge come riferimento principale il razzista Julius Evola 17. Un pensiero di destra che però, da un certo punto in poi, ha potuto emanciparsi (senza tuttavia ripudiarlo del tutto) dal vissuto dei nostalgici del fascismo, per ripensarsi – in funzione postfascista - giovandosi della storiografia revisionistica, che in Italia ha avuto il suo campione nel massimo storico del fascismo, Renzo De Felice. A tale proposito, va ricordato che a dispetto della interpretazione riduttiva del totalitarismo, che nasce con Hannah Arendt ed esclude il fascismo italiano dal fenomeno, il concetto nacque proprio dalle prime riflessioni dell’antifascismo democratico italiano - Luigi Salvatorelli, Lelio Basso, Giovanni Amendola, Luigi Sturzo - in conseguenza dell’avvento del regime, e venne fatto proprio soggettivamente dagli stessi fascisti nel 1925 18.

Facciamo un passo indietro: non possiamo passare in secondo piano il fatto che la politica razzista italiana nasca autonomamente dal nazismo, per ragioni “interne”, nelle imprese coloniali contro gli africani, e solo successivamente si rivolga contro gli ebrei, assimilati ai popoli africani nei confronti dei quali si era già sperimentata una politica sterministica; anticipando in qualche caso sugli italiani di fede ebraica taluni provvedimenti presi in Germania.

Proprio sulla questione del razzismo si vede come riemerga, al di sotto della giustapposizione con il revisionismo contemporaneo, un punto forte del precedente neofascismo: cioè la de-

13 Angelo Del Boca, Italiani, brava gente?, Vicenza, Neri Pozza, 2005. 14 Ian Campbell, Il massacro di Addis Abeba. Una vergogna italiana, Milano, Rizzoli, 2018. 15 Brunello Mantelli, Gli italiani nei Balcani 1941-1943: occupazione militare, politiche persecutorie e crimini di guerra, in: «Qualestoria», a. XXX, n. 1, giugno 2002, pp. 20-35. 16 Thomas Schlemmer, Invasori, non vittime. La campagna italiana di Russia 1941-1943, Roma-Bari, Laterza, 2009. 17 Francesco Germinario, Versioni neofasciste della Resistenza, in «l’Impegno», a. XXI, n. 2, agosto 2001. 18 Emilio Gentile, Il fascismo in tre capitoli, Roma-Bari, Laterza, 2009, pp. 5 e 101-113.

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umanizzazione, criminalizzazione ed espulsione dalla comunità nazionale dei partigiani, assimilati ai barbari slavi, in particolare jugoslavi e sovietici. Costruendo una forma di pensiero totalitario della nazionalità, in cui chi si pone contro è automaticamente estraneo ad essa, straniero 19. Così come, viceversa, si può ricostruire una comunità nazionale inclusiva, superando la contrapposizione fascista/antifascista, una volta esclusi i comunisti, che ne hanno provocato per ragioni esterne la rottura violenta. Parimenti, una volta acquisito la modernità “bianca” dello Stato di Israele, ed accettata la comunità d’armi atlantica – frutto di una guerra fredda eterna, che ha contrapposto un Occidente cristiano finalmente unito agli “altri”, un tempo comunisti, oggi islamici, domani chissà, forse i “gialli” – è possibile superare, almeno nei settori maggioritari della destra postfascista, l’antiebraismo, dedicandosi ad altre forme di razzismo.

Il che appare evidente quando Ciriani affronta il tema “foibe”, semplificazione ideologica vittimistica con cui non solo la destra, ma la maggioranza dell’opinione pubblica italiana, continua ad autoassolversi dai crimini del colonialismo monarchico e dell’imperialismo fascista italiano, secondo l’immagine oleografica dell’ “italiano brava gente”. Vediamo ad esempio cosa scrive Ciriani nel giornalino della sezione pordenonese dell’Associazione Nazionale Alpini, in un duetto con il segretario dell’Ana Ilario Merlin: espressioni che vanno da “bestie di Tito” (attribuita dall’alpino al sindaco di Trieste Roberto Dipiazza), “genocidio, un olocausto degli italiani”, “sterminio [cui] seguì la fuga dal terrore di 350.000 italiani dalle loro terre”, “terra per duemila anni romana, veneziana, italiana …” 20.

Ma anche una sua dichiarazione del 2010 - rivolto al presidente dell’Anpi Mario Bettoli - dopo essere stato contestato in piazza, è non meno significativa:

Si ammetta una volta per tutte che i partigiani rossi combattevano con l’Urss e volevano portare la Jugoslavia fino al Tagliamento 21.

Falso storico - la rivendicazione postbellica della “settima repubblica federativa” jugoslava, sostenuta dai comunisti giuliani ma non condivisa per nulla dal Pci, riguardava i territori delle province di Gorizia e Trieste - ma comunque chiaramente rivelatore del pensiero cirianeo.

Sempre a proposito dell’insistente tentativo cirianeo di distinguere fascismo e nazismo 22 - una differenziazione che al massimo può essere concepita come relativa al livello di sviluppo tecnico-scientifico del totalitarismo, oltre che alla diversa cultura nazionale – va notato come, anche sul piano giudiziario, il Gip di Torino abbia sentenziato nel 2016 l’equivalenza del termine nazista (dedicato dal segretario del Partito della Rifondazione Comunista Paolo Ferrero al leader leghista Matteo Salvini) con quello di fascista, assolvendo l’imputato dal reato di diffamazione 23, facendo riferimento ad una precedente sentenza della Corte di Cassazione che ha negato il valore diffamatorio dell’affermazione che un esponente politico sia dichiarato fascista 24.

19 Germinario, cit. 20 Basovizza il dovere di ricordare!, in: «La più bela fameja», 15 marzo 2018, riprodotto in: https://www.casadelpopolo.org/ciriani-gli-alpini-e-le-foibe-e-poi-qualcuno-si-offende-se-li-si-definisce-fascisti/. 21 Enri Lisetto, Urla e “Bella ciao”. Grizzo interrompe il discorso. Il vicepresidente della Provincia contestato. Ciriani: il prossimo anno cerimonia a porte chiuse, in: «Messaggero Veneto», 26 aprile 2010. 22 Ci riferiamo al suo sfuggire, sia attraverso i documenti giudiziari (lettere della sua avvocata del 2 e 9 maggio 2016; testimonianza del 5 aprile 2019), che nelle prese di posizione pubbliche, all’accusa di fascismo, per lamentarsi di essere stato accusato di nazismo. Cfr. ad esempio Enri Lisetto, Ciriani su Auschwitz. Si infiamma il web. Il Pd: «Inaccettabile», in: «Messaggero Veneto» del 26 maggio 2016; Davide Lisetto, Pordenone. Si inasprisce la campagna nonostante la “promessa” di evitare gli attacchi personali. Elezioni comunali, l’ora dei veleni. E’ bufera su una frase di Ciriani su Auschwitz. Il centrodestra attacca: dicono soltanto falsità, in: «Il Gazzettino» del 26 maggio 2016 (il riferimento era ad una sua frase in campagna elettorale: «La rassicurazione è che ho governato la Provincia e non ho trasformato largo San Giorgio in Auschwitz, mi pare»). 23 La sentenza del Tribunale di Torino, Sezione Giudice per le indagini preliminari, n. 762/2016 è riprodotta in: http://www.casadelpopolo.org/salvini-non-e-uno-sciacallo-ma-un-nazista/. 24 La senzenza della Cassazione Penale (Sez. I) del 28 ottobre 2010 - 10 febbraio 2011, n. 4938 è riprodotta in: https://canestrinilex.com/risorse/fascista-razzista-nazista/.

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Comunque sia, una definitiva visione comparativa delle varie esperienze totalitarie la diede - in un momento difficile e significativo non solo personalmente - non uno storico, ma uno dei maggiori intellettuali planetari del Novecento, Sigmund Freud. Il fondatore della psicoanalisi scriveva così all’inizio del 1938 (cioè almeno sette mesi prima delle leggi antiebraiche in Italia), mentre viveva in un’Austria fascista ma non ancora annessa alla Germania, dove si muoveva con cautela pensando di poter ancora godere della protezione di una chiesa cattolica che, qualche mese dopo, si sarebbe dimostrata una “canna al vento”:

Viviamo in un tempo particolarmente singolare. Troviamo con sorpresa che il progresso ha stretto alleanza con la barbarie. Nella Russia sovietica s’è intrapreso a sollevare a migliori forme di vita circa cento milioni di uomini tenuti nella repressione. Si è stati abbastanza audaci da sottrarre loro l’ ”oppio” della religione, e tanto saggi da dar loro una ragionevole misura di libertà sessuale, ma nel tempo stesso li si è sottomessi alla più brutale coercizione e privati di ogni possibilità di pensare liberamente. Con pari violenza il popolo italiano viene educato al senso dell’ordine e del dovere. Ci sentiamo come sollevati da un pensiero opprimente al vedere come, nel caso del popolo tedesco, la ricaduta in una barbarie quasi preistorica può anche prodursi senza prendere appoggio su idee progressiste 25.

Dunque, per Freud l’Italia fascista ma non ancora ufficialmente antisemita aveva il diritto di sedere a fianco dell’Urss staliniana, prima della Germania nazista. Vengono in mente Galli, che collega il Gotha nazista alle antistoriche componenti esoteriche, e De Felice, che accomuna stalinismo e fascismo (ma solo il movimento delle origini) nella categoria di totalitarismi rivoluzionari; ritenendo invece il nazismo, ed il fascismo divenuto regime, un fenomeno reazionario 26. Ma, a differenza dei due studiosi, Freud scriveva le sue pagine prima del fatidico discorso mussoliniano di Trieste del 18 settembre 1938.

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25 Sigmund Freud, L’uomo Mosè e la religione monoteistica. Tre saggi, Torino, Boringhieri, 1977, Terzo saggio, Avvertenza prima, p. 63. La sottolineatura è mia. 26 Giorgio Galli, Hitler e il nazismo magico, I ed. Milano, Rizzoli, 1989; Renzo De Felice, Le interpretazioni del fascismo e Intervista sul fascismo, Roma-Bari, Laterza, I ed. rispettivamente 1969 e 1975. 27 Stefano Polzot, Saluto fascista di Loperfido, polemica sul web. Pubblicata su Facebook una foto del 2007. Il pidiellino si difende: non sono un estremista, in: «Messaggero Veneto», 29 maggio 2012, https://messaggeroveneto.gelocal.it/udine/cronaca/2012/05/28/news/saluto-fascista-di-loperfido-polemica-sul-web-1.5171698. Gli altri due esponenti ritratti nel saluto romano sono gli allora dirigenti di An (ex Msi) Gianfranco Fini e Roberto Menia.

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Per una storia del 25 aprile a Pordenone

La memoria delle celebrazioni della Resistenza nel Friuli non è stata oggetto di uno studio sistematico, con l’eccezione dei primi anni del dopoguerra. Francesca Bearzatto, che ha studiato il periodo 1945-1950 28, ha notato lo spostamento di significato delle celebrazioni, parallelo allo scendere precipitoso della temperatura della precoce Guerra Fredda. Si slitta così dalla festa popolare del 25 aprile a celebrazioni sempre più militarizzate ed omologate in senso patriottico, preferendovi il 2 giugno – dopo la vittoria referendaria del 1946 – ed il 4 novembre, tradizionale festa delle forze armate per la vittoria nella prima guerra mondiale. Anche sul piano politico, è la contrapposizione allo straniero – il “tedesco”, ma anche lo “slavo”: omologando così chi era schierato su fronti opposti – a prevalere sulla differenza politica (trasversale anche agli italiani) tra nazifascisti e Resistenza; i fascisti vengono concepiti come traditori al servizio dello straniero, più che come i protagonisti di un ventennio di dittatura. Sull’altro fronte, la stampa comunista costruisce un parallelismo semplificatorio, omologando la pluralità della Resistenza al frutto della lunga lotta clandestina e delle grandi capacità organizzative del Pci. Tutto il resto della complessità resistenziale, secondo Bearzatto, sparisce.

Questo tipo di analisi ha il limite di essere stata finora svolta solo su alcune fonti di stampa, facilmente identificabili, e su un troppo breve periodo. Riteniamo inoltre che vada tenuto conto dei diversi approcci presenti fin dall’inizio: l’orientamento patriottico-risorgimentale de «Il Gazzettino» a nostro avviso non può essere disgiunto da quello del suo caporedattore udinese Chino Ermacora, esponente camaleontico del conservatorismo friulano 29.

Ma l’approccio di Bearzatto, in attesa di un prosieguo degli studi (sempre più difficile su altre fonti, a causa, soprattutto per il periodo più antico, della scomparsa dei testimoni 30) fissa bene i termini del problema: una lettura della Resistenza appiattita sui canoni politici dei fronti contrapposti della Guerra Fredda, con la contrapposizione tra “bravi patrioti” e “cattivi partigiani” – cui viene di sovrappiù attribuita dalla vox populi ogni turpitudine, dai furti di biciclette, soprattutto nella Bassa Pordenonese, a violenze e faide – e l’anestetizzazione e militarizzazione delle cerimonie.

Ciò avviene in particolare a Pordenone, dove emergono alcuni fenomeni caratterizzanti, come in primo luogo la mancanza di un monumento stesso alla Resistenza, sostituito nelle celebrazioni dal monumento ai caduti della prima guerra mondiale di Piazza Ellero. Altri monumenti, anche fisicamente secondari, come quelli dedicati nel complesso del Centro Studi al comandante osovano Franco Martelli ed a quello garibaldino Terzo Drusin (solo in anni recenti replicato all’esterno dell’Aula Magna, dove la lapide originaria è collocata in un oscuro angolo delle scale interne), non a caso hanno sempre goduto di onoranze al termine delle cerimonie, in qualche modo rimarcandone la contrapposta subalternità. Quanto al nuovo monumento – anche in quel caso duplice e potenzialmente contrapposto – alla Caserma “Martelli”, ne riparleremo nel corso della disamina delle vicende dell’alba del XXI secolo.

Il carattere di celebrazioni militari ha avuto anche un episodio particolare negli anni ’70, nella

28 Francesca Bearzatto, Memoria pubblica e caratteri delle celebrazioni della Resistenza in Friuli dal 1945 ai primi anni Cinquanta, [Trieste, 2014], in: https://www.irsml.eu/didattica-presentazione/cittadinanza-e-costituzione/105-f-bearzatto-memoria-pubblica-e-caratteri-delle-celebrazioni-della-resistenza-in-friuli-dal-1945-ai-primi-anni-cinquanta. 29 Gian Luigi Bettoli, Alle origini del mito conservatore della Resistenza patriottica: La patria era sui monti di Chino Ermacora, Pordenone, 2017, http://www.storiastoriepn.it/alle-origini-del-mito-conservatore-della-resistenza-patriottica-la-patria-era-sui-monti-di-chino-ermacora/. 30 Difficile non essere d’accordo con la (disperante) affermazione di Santo Peli, quando riflette sul trascurato ma inestimabile valore di un’opera ciclopica come Pagine di guerriglia, dedicata da Cesare Bermani allo studio approfondito della brigata garibaldina “Osella” nella Valsesia, attraverso le testimonianze dei suoi 200 partigiani: «se c’era un campo di indagine in cui la storia orale avrebbe trovato un’applicazione quasi indispensabile, nel senso che a prescindere da questo tipo di metodologia sarebbe stato impossibile afferrare e ancor meno comprendere l’oggetto, questo campo era proprio la storia della Resistenza». In: La libera ricerca di Cesare Bermani, Roma, DeriveApprodi, 2012, p. 40.

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fase dei movimenti per la democratizzazione delle Forze Armate, e qui porto una mia testimonianza personale, da spettatore. Si arrivò a spostare la cerimonia all’interno del grande complesso delle caserme di Via Montereale, con tanto di discorso ufficiale di un, per l’appunto, alto ufficiale. Nel frattempo, le truppe erano schierate di fronte a noi civili; noi sul palco all’ombra, e loro in piedi sull’attenti sotto il sole. Mentre la manifestazione si svolgeva, si vedevano continuamente i soldati cadere a terra svenuti. Serve un ulteriore commento a proposito del valore scarsamente educativo, in senso antifascista, soprattutto rispetto ai giovani, di queste celebrazioni?

Infine, la contrapposizione – più spesso sotterranea che uscita allo scoperto del dibattito; se non ci si vuole accontentare di occasionali reiterazioni polemiche, bisogna andare a leggere tra le pieghe dei testi – è quella tra il reducismo di origine garibaldina, che trova espressione nell’Anpi - associazione che a dispetto delle scissioni degli anni della Guerra Fredda ha sempre mantenuto un orientamento unitario, conservando adesioni e riconoscimenti ben oltre la componente garibaldina (a sua volta non identificabile automaticamente con il Pci) e quello di origine osovana più rigorosamente anticomunista, riunito nell’Apo.

Questa contrapposizione ha anche promosso nel passato diversi canali nell’organizzazione della ricerca, con risultati diseguali. L’ala garibaldina pordenonese ha conferito le sue energie nell’attività dell’Istituto Friulano per la Storia del Movimento di Liberazione di Udine - dove hanno operato ricercatori di grande spessore come Mario Candotti e Teresina Degan - mentre a Pordenone è nato, in collaborazione con l’Amministrazione Provinciale, l’Istituto Provinciale per la Storia del Movimento di Liberazione e dell'Età Contemporanea, connotatosi per una prevalente presenza osovana o, se garibaldina, in senso anticomunista e nazionalista italiana, soprattutto per l’impostazione del suo primo presidente, il triestino Bruno Steffè. Tanto da costituirsi fondamentalmente in contrapposizione con l’Ifsml udinese 31 e da essere un caso più unico che raro tra gli istituti di ricerca di storia della Resistenza, nel non dare l’adesione all’Istituto Nazionale per la Storia del Movimento di Liberazione in Italia “Ferruccio Parri”, ritenuto evidentemente troppo “sbilanciato a sinistra”, a dispetto del suo costitutivo “azionismo”.

Per dare una valutazione sulla qualità della ricerca espressa, basta uno sguardo comparativo alle due riviste degli istituti, rispettivamente: «Storia Contemporanea in Friuli» e «Cose nostre, cose di tutti»: già i titoli denunciano una ben diversa prospettiva. Se la raccolta di memorialistica è stata indubbiamente ampia in ambedue i casi, lo spessore qualitativo delle ricerche non se ne è giovato simmetricamente, perpetuando per il territorio del Friuli occidentale una condizione di marginalità che non corrisponde né alla realtà socioeconomica, né alla vivacità culturale del territorio.

Il colmo della perdita di credibilità, nel passato dell’Istlibpn - oggi l’istituto è in una fase di ripensamento delle sue attività e sta dimostrando volontà di aperture in discontinuità con il passato - si è raggiunto in due episodi significativi. Uno è stato la nomina a presidente di Arturo Zambon, comandante partigiano osovano, ma anche inquisito in relazione alle speculazioni sulla strage industriale del Vajont; nomina accettata nel silenzio assordante dell’ambiente resistenziale 32. La seconda fu una strana presentazione – organizzata in assenza dell’autore da Limes Club-Historia – del libro di Sergio Luzzatto La crisi dell’antifascismo 33. L’autore non fu solo criticato duramente (prevedibilmente, visti gli organizzatori) dai prevalenti relatori di destra, ma anche non difeso dai due oratori chiamati dall’Istlibpn: né dal debolissimo Luigi Ganapini né, peggio ancora, dal “direttore scientifico” dell’istituto pordenonese Fulvio Salimbeni, che ebbe l’ineleganza di svalutare lo spessore dello storico, raccontando di averlo potuto valutare negativamente in sede di commissioni di concorso universitario 34.

31 Cfr. Bruno Steffè, introduzione all’Assemblea straordinaria, in: «Cose nostre, cose di tutti», f. 1, 1997, pp. 7-12. 32 Gian Luigi Bettoli, Il volto nascosto dello sviluppo. Contadini, operai e sindacato in Friuli dalla Resistenza al “miracolo economico”, Osoppo, Olmis, 2015, pp. 263-264. 33 Sergio Luzzatto, La crisi dell’antifascismo, Torino, Einaudi, 2004. 34 Anche in questo caso, merita confrontare la bibliografia dell’autore critico e del criticato.

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Come stravolgere il significato del 25 aprile

25.4.2001 – l’inizio

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Tutto inizia il 25 aprile 2001, con la decisione di Azione Giovani, organizzazione giovanile di Alleanza Nazionale, di effettuare una contromanifestazione in concomitanza con quella ufficiale. La cronaca di quel primo evento costituisce lo schema che poi si ripeterà, almeno nella narrazione parallela dei due quotidiani locali: contromanifestazione neofascista - notare nella foto il simbolo, lo stesso delle organizzazioni dello Msi, “Giovane Italia” e poi “Fronte della Gioventù” 36 - reazione dei movimenti antifascisti, in particolare dei centri sociali (nel 2001 il collettivo “Gatanegra”) messa sullo stesso piano dai gazzettieri dei benpensanti, come se difendere il carattere antifascista della giornata fosse un aspetto secondario; rischio di scontri ed intervento separatore della forza pubblica.

Il carattere neofascista della contromanifestazione di Ag – accompagnata dagli esponenti di An Manlio Contento e Gastone Parigi - è esplicito nelle motivazioni riportate dalla stampa:

“Quale festa per una guerra civile? Pacificazione per non odiare più”. Questo lo slogan che si poteva leggere ieri sullo striscione dei poco meno di trenta militanti di Azione giovani, schierati davanti a piazzale Ellero dei Mille durante la celebrazione del 56. Anniversario della Liberazione

35 «Il Gazzettino», 26 aprile 2001. Anch’io, come Bearzatto, mi sono limitato ad una disamina relativamente sistematica delle fonti giornaliste quotidiane locali. Va da sé che uno studio più approfondito vada fatto su altre fonti, scritte e orali. 36 Per verificare la simiglianza, basta recarsi all’angolo tra Vicolo San Francesco e Vicolo Ospedale Vecchio, dove su un vecchio paracarro, se ricordo bene nel 1971, gli attivisti della Giovane Italia impressero il loro indelebile marchio con stencil e nerofumo.

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dall’occupazione nazi-fascista.

[…] Scopo dei Gatanegra: impedire ad Azione giovani di deporre dei tulipani, accanto alle corone di fiori delle Autorità politiche e militari, in memoria dei caduti di tutte le guerre.

Ecco come soggettivamente i giovani di destra motivano le loro tesi, esplicitamente revisionistiche ed antiresistenziali. Le colpe del fascismo vengono minimizzate e sfumate nel tempo, e questo è per loro il motivo per mettere tutti sullo stesso piano, partigiani ed oppressori, unendoli in un indistinto ricordo dei caduti di tutte le guerre. Chi non si adegua vuole dividere gli italiani, impedendo un’era nuova di concordia e laboriosità, in cui gli eredi del fascismo potranno finalmente inserirsi come protagonisti, superando il settarismo degli antifascisti:

“La Festa della Liberazione – sostengono i militanti dell’organizzazione di destra – non deve dividere l’Italia. Siamo convinti – spiega Lorenzo Ranieri, presidente provinciale di Azione Giovani – che, se anche ci sono stati degli errori storici, sono passati cinquant’anni da allora, ed è il momento di cominciare a lavorare tutti insieme per un’Italia migliore”.

“Le commemorazioni – continua Ranieri – sono certamente giuste, ma solamente a patto che questa non sia una festa che divide l’Italia. Gli italiani sono stanchi di divisioni interne. La nostra scelta è, appunto, quella di commemorare tutti i morti, di tutte le guerre. Ogni morto era un morto italiano, e ciascuno di loro – partigiano o combattente della Repubblica Sociale che fosse – ha combattuto per ciò in cui credeva”.

Inoltre, gli esponenti del Kollettivo Gatanegra colgono l’occasione anche per denunciare un altro, meno noto ed asimmetrico, aspetto dell’azione dei giovani di destra:

Ma quale pacificazione […] quando non più di tre settimane fa due nostri compagni sono stati picchiati da militanti di Azione giovani vicino ai banchetti elettorali allestiti in piazzetta Cavour. Azione giovani parla di pace, ma ci perseguita con spedizioni al Centro sociale e imbratta i muri della città con minacce di morte nei nostri confronti.

Anche questo è un aspetto che tornerà a manifestarsi più avanti. La maggioranza dei celebranti evidentemente non sembra essersi accorta del fatto che, accanto alla manifestazione ufficiale, era stata autorizzata dalla forza pubblica anche la manifestazione neofascista. Come dichiara il presidente di Ag, se non ci fossero stati i contestatori del Gatanegra, tutto sarebbe passato sotto silenzio, ed il corteo sarebbe partito silente per il Centro Studi, lasciando il posto ai suoi antagonisti radicali. Il problema evidentemente, per i politici di An, è che loro erano “a posto con le carte”, mentre non lo erano i “Gatanegra”, che hanno violato la legalità per difendere il carattere antifascista del 25 aprile. Tutto qui:

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l’iniziativa neofascista è riuscita, si è già rovesciato il senso della giornata, nella disattenzione dei più 37.

25.4.2002

L’anno dopo la manifestazione si ripete, con un’accentuazione del carattere poliziesco della gestione della piazza. Iniziamo dall’elencazione degli oratori ufficiali, senza considerare la quale non riusciremmo a comprendere il senso degli avvenimenti: Giuseppe Giust “Vitas”, imprenditore e da lunghissimi anni moderatissimo presidente dell’Anpi; il presidente della provincia Elio De Anna, spregiudicato ed energico esponente di Forza Italia, proveniente da una storica famiglia socialista; l’ex sindaco democristiano di Pordenone avv. Giacomo Ros.

Il quotidiano locale pubblica, a fianco al programma della manifestazione, un articolo incendiario: «Anche i ragazzi di Salò difendevano l’Italia» del capitano Andrea Santarossa, che era stato sanzionato in passato dalle autorità militari per aver esibito in pubblico il suo ruolo di ufficiale dell’esercito durante una manifestazione politica di An 38.

Nulla di nuovo quanto alle argomentazioni di Santarossa, che rivendicava di aver già polemizzato in passato con gli esponenti dell’Anpi Sergio Antonini e Mario Bettoli. Le frasi sono le stesse, evidente leit-motiv del neofascismo locale, anche se ovviamente l’ufficiale spera, chissà perché «di non essere nuovamente e, sic et simpliciter, bollato come “fascista” e additato al pubblico ludibrio» (excusatio non petita?):

[…] Non credo, anche, di aver mai detto e scritto che tutti i partigiani, senza distinzione, hanno combattuto per il comunismo di Tito o di altri in Italia. Pensavo di essere stato sufficientemente chiaro nel riferirmi esclusivamente ai partigiani “comunisti” delle varie formazioni

37 «Il Gazzettino», 26 aprile 2001, articoli di Andrea Maggi, Lara Zani ed R[oberto] O[rtolan]. 38 Interrogazione a risposta scritta 4/18360 presentata da Ascierto Filippo (Alleanza Nazionale) in data 22 giugno 1998.

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garibaldine. E’ fuor di dubbio che queste ultime, specialmente in Friuli, lottavano per l’affermazione del comunismo internazionale in Italia e, in stretta collaborazione con il IX Corpus titino, per regalare la Venezia Giulia e anche una parte del Friuli orientale appunto a Tito. Devozione quindi, più a Tito e al comunismo internazionalista che alla Patria. Onore e grazie ai partigiani verdi della “Osoppo”, i quali sono stati pure massacrati a Porzus perché contrari all’ignobile disegno comunista.

Insisto comunque ad aggiungere un umile grazie ai combattenti e martiri della Rsi, che hanno combattuto e perso la vita alla frontiera orientale per difendere l’italianità della Venezia Giulia (in contrasto anche con i tedeschi che avevano le stesse mire degli slavi).

Permettetemi di ricordare, dato che non lo fa nessuno, nemmeno le nostre Forze armate, gli Alpini del Rgt. “Tagliamento”, i bersaglieri volontari del Battaglione “Mussolini”, battaglioni e gruppi d’artiglieria della X Mas e, non ultimi, i piloti di Campoformido del 1. Gruppo Caccia “Asso di Bastoni”, morti e scannati prima durante e dopo il 25 aprile 1945. Mi sembra ingeneroso ricordare questi ragazzi come servi fascisti dei tedeschi.

[…] La guerra del 1940, giusta o sbagliata che sia stata, fascista o meno, era la guerra della nazione Italia e una guerra purtroppo, la si conduce fino alla fine, anche al prezzo di una disastrosa sconfitta.

Che dire, se non che l’allora principale quotidiano del Friuli occidentale ha colpevolmente e deliberatamente fatto apologia di fascismo in corrispondenza con il 25 aprile? Che dire, se non che così si è data voce a tutto il fango neofascista, riscrivendo la storia, schierando da un lato tutto il

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nazionalismo italiano – fascista ed antifascista, patrioti e torturatori al servizio dei nazisti – e dall’altra parte tutti i “nemici della patria”, in primo luogo la maggioranza del movimento partigiano? Una sola recriminazione: perché non si sia voluta in fondo ricordare anche la memoria dei soldati tedeschi, che in fondo collaboravano pure loro, con i fascisti, a difendere il “confine orientale” dalla barbarie slava…

Prevedibile, visto l’incipit, che la giornata sia iniziata con la piazza militarizzata, a dividere gli “opposti schieramenti”. Questa volta sul fronte antifascista tutto il Coordinamento Pn No Global, oltre al Gatanegra anche anarchici e Partito della Rifondazione Comunista, contrapposti alla solita cinquantina di Ag, esibenti lo striscione, inequivocabile:

Quale festa per una guerra civile? Pacificazione per non odiare più.

Come la volta precedente, il corteo ufficiale parte verso il Centro Studi, e tocca agli antifascisti occupare la piazza per impedire la contromanifestazione neofascista. Ancora una volta, l’antifascismo “ufficiale” chiude gli occhi su quello che sta accadendo, tra gli appelli ai giovani di Giust, De Anna che parla di «conciliazione degli animi […] superando gli errori volontari o involontari del passato» e Ros che invoca la Patria. Finisce (male) con le forze di polizia che sgombrano fisicamente la piazza, per permettere al gruppo di Ag – scortato dai soliti Parigi e Contento, oltre che dal coordinatore provinciale Alessandro Ciriani – di raggiungere il monumento.

Recupera il giudizio critico sulla giornata il redattore politico de «Il Gazzettino» Loris Del Frate

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che, commentando le parole di De Anna, dichiara:

[…] pensare che il 25 Aprile, giorno della Liberazione, possa essere la festa di tutti è decisamente troppo. Il tempo non ha ancora lavorato a sufficienza. Nessuno può pretendere che le motivazioni dei “Volontari della Libertà” sulle quali è nata la Carta costituzionale del Paese siano equiparate a quelle di chi combatté a fianco del nazismo. E non si può chiedere di dimenticare. Come non si può ignorare che alla base della Costituzione repubblicana c’è un forte impegno antifascista.

Ma attenzione: il titolo dell’articolo di Del Frate è: Lasciate che il tempo scorra. Ed il giornalista poi sostiene, manco lo stesso quotidiano non avesse pubblicato l’articolo di Santarossa, esponente di An, che:

La Destra che oggi con il Centro governa il Paese, la Regione e la Provincia di Pordenone, ha sconfessato il passato, ha ripudiato gli errori commessi ed è stata eletta Democraticamente.

Affermazioni, escluso l’ultima, che non corrispondono a quanto abbiamo riscontrato, sulla base degli articoli dello stesso quotidiano. Per Del Frate, dunque, il problema non è il pensiero neofascista che ormai si impone anche nella piazza del 25 aprile, ma il

Non capire che i tempi non sono maturi.

Sono gli stessi mass media locali che mistificano, accompagnando il cambio di paradigma, accreditando una trasformazione ideologica della destra postfascista che è tutt’altro che compiuta, e che si ripete stancamente attraverso i soliti stereotipi del fascismo di origine repubblichina 39.

25.4.2003

Lo schema ormai si è fossilizzato, sia nei comportamenti sia nei giudizi di chi forma l’ “opinione pubblica”:

Sono trascorsi 58 anni, ma il 25 Aprile, ricorrenza della Liberazione, divide ancora.

Ovviamente il problema non sono quelli di Ag che,

previa richiesta e ricevuta l’autorizzazione, ieri, come del resto avevano già fatto l’anno scorso, hanno deposto alcuni mazzi di fiori al monumento dei Caduti. Per loro il 25 Aprile è una

39 «Il Gazzettino», 25, 26 e 27 aprile 2002, articoli di Andrea Santarossa, Simona Basile, Davide Lisetto, Loris Del Frate.

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data in cui si devono ricordare tutti i morti, da una e dall’altra parte.

Dal palco le orazioni ufficiali ripetono gli appelli alla riconciliazione: sono ancora una volta Giust per l’Anpi, De Anna che recrimina sul fatto che il 25 aprile non possa essere archiviato senza strumentalizzazioni politiche; il discorso ufficiale viene affidato, non si sa a quale titolo, all’ex cappellano militare della Divisione Ariete, don Angelo Santarossa, non esattamente un pacifista.

E’ il giorno dopo però che avvengono due episodi, distinti ma paralleli, che fanno capire come si stiano evolvendo le cose. Viene denunciata una violenta aggressione di agenti della polizia municipale ad un ambulante di origine straniera; Ag denuncia danneggiamenti alla propria sede e scarica gratuitamente la responsabilità sugli anarchici, i quali rimandano al mittente l’accusa. Pochi mesi dopo avremo un’ulteriore testimonianza di come l’attività dei giovani aennini stia legando l’attacco al 25 aprile ad una più generale campagna contro l’immigrazione straniera 40.

12.7.2003: il segretario di An Alessandro Ciriani si

esercita nella boxe

Il 12 luglio 2003 si tiene in Piazza Risorgimento (l’ex “Piazzale delle Corriere”, porta sulla città per chiunque si rechi Viers Pordenon e il mont) una manifestazione contro l’immigrazione ed a favore delle forze dell’ordine, organizzata da chi, come Azione Giovani, ha evidentemente una visione meno aperta di quella di Pier Paolo Pasolini sui rapporti tra la cittadina e l’universo.

Evidente la dinamica, come sarà poi ricostruita da un documento degli anarchici pordenonesi. I giovani di destra prendono di mira, provocano interventi polizieschi e poi occupano loro stessi militarmente un luogo che ritengono ostile, ritenendolo “un ghetto”, in quanto abitato da persone che non costituiscono il loro riferimento abituale (saranno contenti oggi che, dopo il cambio di funzione, Piazza Risorgimento è un deserto). Ovviamente c’è chi protesta e quindi, ad un certo punto, il capobanda passa alle vie di fatto.

40 «Il Gazzettino», 25 e 27 aprile 2003, articoli di Loris Del Frate, Alessandra Betto e Roberto Ortolan.

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Una logica essenzialmente militare, non certo politica, tipica dell’esercizio squadristico degli avi, e dichiarata esplicitamente, nello articolo qui a fianco dal Luca Ciriani:

Come accade di consueto, la destra estrema ha uno dei suoi punti fermi nell’esprimere solidarietà alle forze dell’ordine, meglio se ancora militarizzate (si sa, la Polizia di Stato è meno trendy da

quelle parti, non per la funzione, ma perché è stata smilitarizzata e pure sindacalizzata) 41.

In ogni caso, c’è nessun rimorso: «Ciriani che conferma di aver dato un calcio a uno di loro, replica sostenendo di essere stato minacciato». La vicenda viene anche documentata dalle videocamere della Polizia, e sottoposta all’esame degli agenti (la stampa non ci informa di quale sia stato l’esito delle indagini, ma è facile indovinarlo, visto che i poteri pubblici hanno sempre considerato le violenze neofasciste come delle semplici innocue “ragazzate”, concentrando la loro attenzione altrove).

41 «Il Gazzettino», 13 e 15 luglio 2003, articoli di D[avide] L[isetto] e lettera del Circolo Libertario “Emiliano Zapata”; «Messaggero Veneto», 13, 14 (Aggrediti dal capo di An) e 15 luglio 2003 (Scontri in piazza filmati dalla polizia: in questo articolo la polemica tra Contento e Ciriani).

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Lo stile è tale da scandalizzare invece uno degli esponenti di An, il consigliere della Circoscrizione Centro Marzio Contento, che

ha attaccato il presidente provinciale del suo partito, già accusato da esponenti del circolo libertario Emiliano Zapata di aver sferrato un calcio a uno dei loro esponenti: «Non è la prima volta – ha scritto Contento – che Alessandro Ciriani è protagonista di queste amene scenette di tafferugli in quel di Pordenone. L’incarico che ha ricevuto è di coordinatore dell’attività politica provinciale del partito e non di capo ultras. Trovo riprovevole che ci siano stati incidenti in una manifestazione che doveva portare tranquillità; probabilmente impostandola come confronto e non con la solita contrapposizione “dura” certe “provocazioni sarebbero venute meno». Contento ha poi dichiarato: «Mi sento in dovere di affermare che esiste anche una destra fatta di persone che vogliono dialogare e che operano nel sociale, senza i clamori delle manifestazioni di piazza».

Significativa la replica di Ciriani, che non nega nulla, ma rivendica i risultati della sua linea aggressiva:

«[…] Non ricordo una sola manifestazione organizzata nell’arco del suo mandato, mentre sotto la mia presidenza An è diventata il secondo partito di Pordenone. Sabato scorso, insieme a me, c’erano 60 iscritti al partito, tra cui il capogruppo in regione, assessori comunali, capigruppo consiliari e via dicendo. Contento avrebbe fatto meglio a partecipare […]».

Ha ragione quindi chi, in forma militante (militare?) conquista la piazza, portandovi tutti i rappresentanti istituzionali. Nel frattempo, c’è chi si limita a commemorare il 25 aprile le lotte dei bei tempi che furono, ed intanto, in Questura, i poliziotti esaminano i filmati.

25.4.2004 – inizia la ritirata strategica?

Arrivati al quarto anno di contromanifestazione di Ag/An (ormai i giovani postfascisti hanno conquistato le principali cariche del partito), arriva un primo segnale di ripensamento. Come vedremo, esso non si materializzerà subito, anzi. Ma è significativo del cambio dei tempi, e non certo perché qualcuno si preoccupi soverchiamente della “gestione della piazza”. Quello che è successo, in realtà, è un altro fatto: Alessandro Ciriani è diventato vicepresidente aennino della Provincia di Pordenone, nell’ambito di quel processo, guidato dal segretario nazionale del partito Gianfranco Fini, di restyling del partito neofascista, che concluderà la sua parabola, iniziata nel 1994, con la confluenza in Forza Italia divenuta Popolo delle Libertà nel 2009. Manlio Contento (deputato dal 1996 al 2012) è sottosegretario nel governo Berlusconi dal 2001 al 2006; Luca Ciriani, eletto l’anno prima consigliere regionale e capogruppo di An in Friuli Venezia Giulia, nel 2008 sarà vicepresidente della Regione. E’ l’assunzione di ruoli importanti di potere che spinge ad un cambiamento di tattica politica, una volta incassato il risultato desiderato. Anche nella trattativa con le istituzioni statali, ormai, il ruolo non è più quello di chi (teoricamente) deve giustificare le proprie iniziative, ma piuttosto di chi fa parte organicamente delle

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istituzioni stesse, e le giustificazione le chiede 42.

La nuova composizione giuntale ha comportato una prima “grana” da risolvere per il presidente della Provincia, Elio De Anna. Domenica si terrà la manifestazione per la celebrazione della festa della Liberazione. De Anna è in Canada e aveva delegato, nei giorni scorsi, l’assessore al Patrimonio, Angioletto Tubaro. Con l’assegnazione della vice presidenza a Ciriani il candidato naturale a tenere il discorso sarebbe stato proprio quest’ultimo. Un fatto che poteva presagire scontri di piazza, visto che in passato Ciriani, come esponente di Azione giovani, proprio il 25 aprile si era fronteggiato con i centri sociali. De Anna ha lasciato all’esponente della destra decidere e quest’ultimo ha optato per la conferma di Tubaro come rappresentante della Provincia. Non ci sarebbe nessuna controindicazione – ha affermato Ciriani – per la mia presenza, in veste ufficiale, alla cerimonia del 25 aprile, però non voglio consentire ad altri di creare un caso. Domani […] avrò un incontro con il prefetto per concordare un corretto svolgimento delle manifestazioni senza la spada di Damocle dei centri sociali. La mia scelta – ha continuato Ciriani – è una lezione a chi vorrebbe spostare il baricentro del dibattito.

Ciriani in realtà ha già girato il tavolo: il problema non è più lui con la sua squadra, ma sono gli antifascisti che per tre anni hanno protestato contro l’intrusione fascista. Ma ora ha il potere per contrattare con le autorità di polizia i provvedimenti per togliersi di torno i contestatori. Questo il 20 aprile; il giorno dopo si incontra con il Prefetto.

Alleanza nazionale sta valutando l’opportunità di non organizzare alcuna manifestazione il 25 aprile o comunque di realizzare una iniziativa diversa, probabilmente in un luogo differente da piazza Ellero dei Mille, dove si tiene la celebrazione ufficiale della festa della Liberazione, e in un altro giorno. Ad affermarlo il presidente provinciale della destra, Alessandro Ciriani, nominato recentemente vice presidente della Provincia, dopo l’incontro che si è tenuto ieri mattina tra il prefetto, Vittorio Capocelli, e il capogruppo in Regione, Luca Ciriani, dedicato all’argomento.

L’iniziativa che An puntava a fare domenica mattina, dopo la manifestazione ufficiale, rischia di trasformarsi nell’ennesimo scontro tra Azione giovani e centri sociali. Non intendiamo – afferma Ciriani – offrire alcun tipo di giustificazione all’azione dei centri sociali, che vogliono trasformare il 25 aprile in un pretesto per l’ennesima polemica. Per questo stiamo valutando di rinunciare a fare l’iniziativa o comunque a spostarla in un luogo e in una data diversa. La decisione ufficiale verrà presa tra oggi e domani, anche se la linea sembra essere tracciata.

A dimostrazione della volontà di stemperare le polemiche, Ciriani, in qualità di vice presidente della Provincia, ha rinunciato a partecipare come relatore alla celebrazione e, in assenza di De Anna, impegnato in Canada, sarà presente l’assessore, Angioletto Tubaro.

Non sarà così; anche se si nota, nel minuetto tra De Anna e Ciriani che si sfilano ed il democristiano Tubaro che deve reggere il moccolo per tutta la giunta provinciale, il cambio di ruoli. Ormai il palco è conquistato, è solo questione di tempo l’occupazione politica completa anche di questo spazio.

Nel frattempo, si può recitare ancora una volta il solito spettacolo, spostandolo ancora di più sul piano dell’ordine pubblico, giocando alla “strategia della tensione”, anche evocando addirittura lo

42 Il percorso del gruppo giovanile pordenonese dall’Msi alla “costruzione del partito di massa” è ricostruito, con una tesi di storia orale basata sulle testimonianze dei protagonisti, da un loro seguace, Francesco Morabito, nella tesi di laurea magistrale A destra nella “Destra Tagliamento. La “Svolta di Fiuggi” nella federazione del MSI e di An di Pordenone, Università Ca’ Foscari, Venezia, a.a. 2014/2015, scaricabile all’indirizzo: http://dspace.unive.it/bitstream/handle/10579/6824/987956-1187231.pdf?sequence=2.

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spettro di “Unabomber”, l’ignoto terrorista che in quegli anni disseminava ordigni esplosivi nel territorio a cavallo tra Friuli e Veneto. Ecco come annunciano l’evento, rispettivamente, «Il Gazzettino» e «Messaggero Veneto» (ci limitiamo a riportare le notizie relative a come il partito postfascista voglia massimizzare il risultato, preannunciando l’intervenendo sia nella forma di lotta che in quella di governo; trascuriamo invece tutto l’allarmismo giornalistico sul dispiegamento dell’apparato di sicurezza):

Secondo alcune indiscrezioni, infatti, Azione Giovani, movimento giovanile di Alleanza Nazionale – che già in passato aveva deciso di indire una propria manifestazione simbolica per ricordare tutti i caduti – intende deporre una corona al monumento dei caduti un’ora dopo la conclusione della cerimonia ufficiale (quindi poco prima di mezzogiorno) in piazzale Ellero dei Mille e senza tenere discorsi. La manifestazione sarà presenziata dal sottosegretario di Stato all’economia e alle finanze Manlio Contento, dal capogruppo regionale di An Luca Ciriani e dal presidente provinciale del partito Alessandro Ciriani. Quest’ultimo prenderà parte anche alla cerimonia ufficiale, in quanto vicepresidente della provincia, anche se il discorso ufficiale sarà tenuto dall’assessore ai lavori pubblici Angioletto Tubaro. […] Comunque, a quanto pare, Azione Giovani è intenzionata a ribadire che il 25 aprile deve diventare il giorno della conciliazione.

Nel frattempo, sono intervenute novità: l’Anpi – a fianco del presidente provinciale Giuseppe Giust sta emergendo la figura del vicepresidente Mario Bettoli, esponente del Partito della Rifondazione Comunista, che alterna la mediazione politica tra i vecchi compagni partigiani ad un atteggiamento più militante in senso antifascista - ha richiesto, attraverso il suo segretario cittadino Sergio Antonini, la concessione esclusiva della piazza, per escludere la contromanifestazione di An. Ed è in piena attività il movimento pacifista contro la seconda aggressione occidentale all’Iraq, iniziata l’anno precedente, e che ha visto il coinvolgimento delle truppe italiane.

L’appello dell’Anpi, ovviamente, non pesa come quello delle nuove autorità pubbliche destrorse (che stanno al governo, quello stesso governo che ha mandato le truppe a Nassiriya in Iraq: episodio di cui si ricordano a senso unico le vittime italiane, ma non quelle irakene, in questo paese eternamente smemorato), e la piazza diventa luogo di scontro tra polizia e manifestanti che, pur essendo stati

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autorizzati ad occupare la piazza, vengono sgomberati all’arrivo degli aennini. Facile il ruolo dei dirigenti di An, che si lamentano di prefetto e questore perché la loro manifestazione, parificata a quella ufficiale, è stata disturbata: come se non fosse la loro iniziativa, da quattro anni, l’elemento di disturbo! Il fatto che gli esponenti di An si fossero ridotti ad una ventina conta poco, visto il salto di qualità del partito, che ora – da posizioni governative – può addirittura mettere sotto accusa la polizia per non essere intervenuta più energicamente.

A dispetto delle lamentele di An, che ha potuto interpretare il suo doppio ruolo in piazza e nelle istituzioni, quello che emerge come il fatto nuovo è lo scontro tra l’antifascismo militante e pacifista e quello ufficiale, rappresentato ancora una volta da un Giuseppe Giust particolarmente paternalista e nazionalista,

quando ha solidarizzato con i militari italiani in Iraq. Ma il rumoreggiare non ha certo intimorito il vecchio partigiano che al microfono all’indirizzo dei pacifisti è stato chiaro. «Giovanotti, finitela! Voi non avete alcun merito, dovete solo studiare»

Il tutto con il sottofondo di inni dei reparti militari schierati, a sancire la trasformazione del 25 aprile in manifestazione bellicista e patriottica, a dispetto di quei partigiani che avevano combattuto nell’idealità generosa di por fine per sempre alle guerre. La vicenda, questa volta però, non ha solo un paradossale risvolto poliziesco-giudiziario - paradossale perché un’inchiesta ragionevole della Procura

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della Repubblica avrebbe dovuto partire dall’iniziativa del 2001 di Azione Giovani, e perché non ci vuole un genio per capire che, se si iniziano ad autorizzare manifestazioni contrapposte nello stesso luogo, la confusione è nelle premesse - ma anima anche la discussione sul fronte antifascista, agitando in primo luogo l’Anpi.

Se le tensioni interne all’Anpi faticano ad apparire alla luce, è però il nuovo segretario della federazione provinciale di Rifondazione Comunista (che è poi l’autore di questo scritto) a mettere le cose alla luce del sole:

Giuseppe Giust non è nuovo ad affermazioni totalmente al di fuori della linea dell’Associazione partigiana. Ha espresso solidarietà con l’occupazione italiana dell’Iraq: in tal modo ha rovesciato i valori della Resistenza, prendendo le parti degli invasori (occidentali) contro la resistenza irachena. A Giust, che offende gli antifascisti invitandoli a studiare, replichiamo che è lui che ha scordato la lezione per la quale tanti (come lui) sono andati in montagna sessant’anni fa.

Ma il 25 Aprile non era una giornata antifascista? La domanda è quanto mai appropriata visto quanto successo in piazzale Ellero nel cuore del capoluogo. Certo, ormai non si tratta di un fenomeno isolato: a San Donà come altrove, amministrazioni leghiste e fascistoidi escludono addirittura l’Associazione Nazionale Partigiani (Anpi) dalle celebrazioni, però è impressionante come vengono prese le vicende pordenonesi, considerando i vari punti di vista. Il primo punto di vista è quello delle Istituzioni: se ci fosse ancora qualche dubbio gli organi di polizia, ad iniziare dal prefetto, sono mobilitati in difesa non della celebrazione dell’insurrezione antifascista nazionale, ma degli eredi dei fascisti. Sempre riguardo alle Istituzioni, lo sprezzo verso la democrazia antifascista è totale: quest’anno l’Anpi ha chiesto che il prefetto vietasse la contromanifestazione promossa da

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An. Non si sa cosa abbia risposto precisamente il massimo funzionario dello Stato in provincia, ma visti i risultati, evidentemente, la risposta è nei fatti. Il presidente della Provincia De Anna è - come al solito – in viaggio altrove e in piazza arriva il suo neovice Alessandro Ciriani che è proprio l’organizzatore – da quattro anni a questa parte – che prepara la contromanifestazione di Alleanza Nazionale. Servono commenti?

Pordenone è diventata la capofila italiana della provocazione fascista contro il 25 aprile. Alla fine tutto viene ridotto a una questione di permessi e orari delle manifestazioni, come se il 25 aprile non fosse una data in cui i fascisti e i loro eredi dovrebbero girare alla larga e vergognarsi sinceramente.

Non è una presa di posizione isolata: per la prima volta intervengono pubblicamente le principali forze politiche della sinistra. Intervengono infatti sia il segretario provinciale dei Democratici di Sinistra, Fabrizio Venier, che dichiara che:

Ci sono delle date che hanno un chiaro significato storico e a queste bisogna porre l’attenzione che le persone giudiziose dovrebbero avere. Il 25 Aprile è la festa della Liberazione, della cacciata dei nazifascisti. Una parte importante l’hanno avuta gli Alleati, un’altra altrettanto decisiva e fondamentale, l’esercito di liberazione dei partigiani. E a questi la storia, volenti o nolenti, ha dato ragione. Voler modificare le carte in tavola mi sembra quanto mai inutile, mentre è utile e giusto onorare tutti i caduti della guerra, ma in una data diversa. Questo però mi pare sia già previsto. Mi sembra quindi […] che possa essere considerato provocatorio che Alleanza nazionale arrivi con un corteo a deporre una corona il 25 Aprile pensando che non ci siano altre persone che a questo gesto possono dare una valenza ben diversa […].

sia il consigliere regionale dei “Cittadini per il presidente” Piero Colussi, che rileva come:

quanto è avvenuto è la logica conseguenza di un tentativo di revisionismo storico rispetto ai fatti che hanno portato all’indizione della festa del 25 aprile come anniversario della Liberazione. Da alcuni anni si tenta di appropriarsi della ricorrenza del 25 aprile nell’ambito di un generico tentativo di dimenticare la guerra di Liberazione: quello che è stata e quanto significa ancora oggi. […] ognuno dovrebbe stare al proprio posto. Il 25 aprile appartiene a chi pensa che quella combattuta sia stata una guerra di liberazione dall’oppressione nazista e fascista. Io condivido questa impostazione e ritengo che non si possono mettere sullo stesso piano tutte le vittime di quegli eventi. Gli scontri e quanto è accaduto dopo la cerimonia, quindi, sono la logica conseguenza di un tentativo evidente di revisionismo storico.

Infine, va notato come Alessandro Ciriani prenda lo spunto dalla vicenda per porre al sindaco Sergio Bolzonello, che avrebbe solidarizzato con lui, la questione del prefabbricato di Via Pirandello, sede del gruppo anarchico pordenonese. Inizia così la lunga marcia per cacciare dalle sedi comunali ogni realtà antagonista 43.

43 «Il Gazzettino», 25, 26, 27 e 28 aprile 2004, articoli di Loris Del Frate e Roberto Ortolan; «Messaggero Veneto», 21, 22, 25, 26 e 27 aprile 2004, articoli di Stefano Polzot, Enri Lisetto ed e[lena] d[el] g[iudice].

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25.4.2005 – ritirata… e contrattacco sul palco

Nel 2005 Azione Giovani anticipa la manifestazione alla sera precedente, domenica 24 aprile. Inequivocabile il carattere neofascista dell’iniziativa, come emerge dalla foto e dal riquadro a commento. Sia nelle parole d’ordine dello striscione «Né vinti, né vincitori» che nell’omaggio floreale indistinto a «tutti i caduti delle guerre» (con il quale si equiparano partigiani e miliziani repubblichini) che nell’inquadramento paramilitare dei pochi manifestanti 44.

Tutto bene, finalmente? Non proprio. In realtà ci sono due altre novità.

La sinistra antagonista, accogliendo una proposta di Rifondazione Comunista, sposta la sua iniziativa altrove, ritenendo necessario individuare un “luogo” fisico rappresentativo della Resistenza pordenonese. Questo è individuato nello spazio della ex Caserma “Martelli”, soggetto a lavori di ristrutturazione urbanistica, dove sono collocati sia la lapide all’ufficiale e comandante osovano, che quella a dieci partigiani garibaldini fucilati in un altro episodio. Inizia così una vera e propria manifestazione alternativa che poi, soprattutto

grazie agli anarchici pordenonesi, continuerà nel tempo.

Contemporaneamente, però, succede qualcosa di significativamente negativo nella manifestazione ufficiale. Innanzitutto, l’oratore ufficiale, questa volta, è uno storico vero: Luciano Papat, autore di numerose pubblicazioni e vicepresidente dell’Istituto Friulano per la Storia del Movimento di Liberazione. Ma ciò è capace di scatenare una reazione incredibile, soprattutto se si pensa che l’intolleranza delle autorità nei suoi confronti è simmetrica alla tolleranza nei confronti delle provocazioni di An consumatesi nel lustro precedente.

Polemiche, proteste, volti tesi e posti rimasti vuoti prima della fine della celebrazione; non sembrava certo una festa quella di ieri, all’aula magna del Centro studi di Pordenone. Si è fatto di necessità virtù, spostando la celebrazione del 60° della Liberazione da piazzale Ellero dei Mille a una sede coperta poiché la pioggia, in mattinata, non ha concesso tregue. A far scatenare l’ira di molti è stato l’intervento di Luciano Patat dell’Istituto friulano del

44 «Il Gazzettino», 25 aprile 2005, p. IV edizione di Pordenone.

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movimento di Liberazione che ha parlato dopo Giuseppe Giust – Vitas, presidente provinciale dell’Anpi. La giornata era cominciata con le note dell’Inno di Italia accompagnate dalla voce di tutte le autorità che si trovavano sul palco. Volti distesi e sorridenti che hanno palesemente cominciato a irrigidirsi man mano che le parole di Patat fluivano (l’intervento è durato circa mezz’ora) in un crescendo che alcuni hanno ritenuto inaccettabile tanto da abbandonare la sala. Un intervento, quello di Patat, che molti hanno definito troppo politico, compreso Giust-Vitas alquanto imbarazzato al termine della cerimonia: «E sì che gli avevo detto di moderare i toni…», ha sussurrato il presidente dell’Anpi.

Luciano Patat ha cominciato il suo discorso con un escursus storico per ricordare le tappe salienti della Liberazione. Poi il suo intervento si è “attualizzato” e sono cominciati una serie di j’accuse che hanno gradito in pochi, indipendentemente dal colore politico. «Oggi c’è chi vorrebbe coprire i crimini del fascismo», ha detto Patat puntando il dito contro «un revisionismo storico che mette sullo stesso piano fascismo e antifascismo» e un disegno di legge che mira a dare la stessa dignità ai militari fascisti e ai partigiani. Poi altre parole per affossare il tentativo di mettere mano alla Costituzione «garanzia per la crescita democratica» e un monito a stare sempre all’erta perché la storia insegna che democrazia e libertà non sono mai scontate. «E sono numerosi i segnali che devono far riflettere», secondo Patat, che ha poi affondato il tiro mirando all’Istruzione e al monopolio dell’informazione non solo televisiva. Un prosieguo lungo trenta minuti di critiche all’operato della maggioranza di Governo mentre dietro a lui i volti degli esponenti politici di centrodestra e centrosinistra palesavano imbarazzo. Nessuno si è mosso: soltanto il presidente della Provincia, Elio De Anna, al termine dell’intervento si è avvicinato al microfono e, tra lo stizzito e l’incredulo, ha gridato «Viva l’Italia». «E’ l’ultimo discorso politico che si farà in quest’occasione – ha affermato subito dopo De Anna – ve lo assicuro, finché avrò questa carica».

Che prenda le distanze l’on. Contento, è comprensibile. Ormai il potere ce l’hanno loro, mica si faranno criticare impunemente senza esercitare un diritto di censura ? Visto che hanno anche il consenso del massimo esponente dell’Anpi, che evidentemente non si sente vincolato dagli orientamenti dell’Anpi nazionale. Ma prendono le distanze anche il sindaco liberale Bolzonello, in parte anche il consigliere “illyano” Colussi e, più duramente di loro, il capo storico del vecchio Psi craxiano

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Francesco De Carli.

Il giorno dopo, nel preannunciare che dall’anno successivo parleranno solo lui e l’affidabile Giuseppe Giust, De Anna chiarisce il suo pensiero e, premesso il rispetto per i partigiani,

ritengo che dopo 60 anni sia arrivato il momento di tirare una linea netta […] ritengo sia arrivata l’ora di ricordare che non tutti gli aderenti alla Repubblica di Salò sono stati dei gerarchi fascisti. C’erano anche dei giovani obbligati a fare quello che hanno fatto. Per questo penso sia giusto, alla fine della manifestazione, ricordare e celebrare tutti i morti. E poi non possiamo dimenticare che tanti anglo americani hanno dato la vita per la nostra libertà.

Questo sul piano storico ma, per venire all’attualità:

In sala c’erano tanti militari dell’Ariete che sono stati in Iraq. Non hanno certo gradito le uscite di Luciano Patat quando ha affermato che il nostro esercito ha ucciso donne e bambini e che i nostri giovani militari hanno combattuto contro la resistenza irachena.

[…] Infine Elio De Anna svela un retroscena. «Quando agli incontri preliminari per organizzare la manifestazione ho fatto presente che l’Istituto storico pordenonese per la Resistenza mi aveva chiesto di intervenire alla cerimonia, Mario Bettoli si è opposto e ha insistito per la presenza di Luciano Patat. Ho provato a cercare di dissuaderlo, ma non c’è stato nulla da fare: il relatore era già stato scelto».

In conclusione: la contromanifestazione di An non si fa più, perché non è più necessaria.

La destra ha conquistato il potere, ed acquisito il consenso del principale esponente di Forza Italia alle sue posizioni revisionistiche.

Le forze moderate del centrosinistra, al governo di Comune e Regione, si leccano le ferite, di fronte alla contraddizione della guerra in Iraq (avendo alle spalle il recente intervento in Serbia). Il presidente dell’Anpi e l’Istituto pordenonese di storia della Resistenza si allineano al potere di turno.

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La proposta di De Anna vede per fortuna la reazione unita delle forze di sinistra, dal segretario della Camera del Lavoro Cgil Emanuele Iodice ai consiglieri regionali Ds Nevio Alzetta e Paolo Pupulin a Rifondazione Comunista 45.

Ma, rintuzzata la provocazione di De Anna, resta il fatto che la sinistra antifascista è ormai stata battuta sul piano dell’opinione pubblica, e le sue componenti più militanti sono isolate e marginalizzate, anche perché le sue principali organizzazioni non investiranno mai a fondo sull’altra scelta: quella di una manifestazione autonoma in un luogo separato, e rimangono subalterne alla logica di manifestazioni ufficiali sempre meno sensate. Rimarrà infine solo una scelta consolatoria: quella di realizzare un (orribile) monumento nell’ex Caserma Martelli.

E’ così che, il 25 aprile 2006, An potrà annunciare, che non ci sarà più la «tradizionale» - proprio così scrivono sul giornale - contromanifestazione.

Alleanza nazionale, infatti, anticiperà la deposizione di una corona «per tutti i caduti» alla mattina precedente per «evitare i soliti problemi con quelli che intendono mettere in atto lo scempio del monumento». [Quanto al]la cerimonia ufficiale, il 25 aprile, alle 9.30, «Alleanza nazionale non partecipa alla cerimonia del 25 aprile, salvo la libertà di ciascuno. E’ una manifestazione ormai sorpassata, un involucro celebrativo un po’ secco». Parole del presidente provinciale Alessandro Ciriani secondo il quale «tolte le autorità, l’Esercito e la banda, non ci va più nessuno. Il cemento per unire le nuove generazioni non può nascere dal sangue, bensì dalla riconciliazione». Il 25 aprile, prosegue Ciriani, «è diventato il teatrino dei circoli che intendono attuare lo scempio del monumento, ma a queste provocazioni non rispondiamo». E quindi una delegazione di An si presenterà davanti al monumento, per una conferenza stampa e per deporre una corona «per tutti i caduti», il giorno prima, lunedì 24 aprile, alle 11.

«Onore ai Caduti per la patria, Azione giovani, Alleanza nazionale». Recita così il messaggio affisso alla corona d’alloro che ieri mattina alcuni esponenti di Azione giovani – ma anche il segretario provinciale di An nonché vicepresidente della Provincia Alessandro Ciriani, il vicesindaco di Aviano Dusolina Marcolin e il neoconsigliere comunale di Pordenone Emanuele Loperfido – hanno deposto davanti al monumento ai Caduti, in piazzale Ellero dei Mille.

Dopo undici anni di “contromanifestazione” 46 che seguiva quella ufficiale del 25 aprile, Azione giovani ha rinunciato a proseguire, anticipando di un giorno la commemorazione «di tutti i Caduti italiani» per evitare tensioni e tafferugli con i giovani anarchici.

45 «Il Gazzettino», 25, 26, 27 e 28 aprile 2005, articoli di D[avide] L[isetto], Loris Del Frate e Susanna Salvador. 46 An fa risalire quindi la prima contromanifestazione al 1995, in corrispondenza con la trasformazione del partito dall’Msi. Ma nessuno se n’era accorto.

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Come non dar ragione a Ciriani & C.? Hanno rovesciato il significato del 25 aprile, trasformato chi difendeva il senso della giornata in “disturbatore”, e nel frattempo sono diventati forza di governo.

47 «Il Gazzettino», 26 aprile 2006; «Messaggero Veneto», 22 e 25 aprile 2006.

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Il 25 aprile anestetizzato dalle stanze del potere

Proseguire in quest’analisi ormai ha un senso ridotto, ma qualche episodio può essere interessante, soprattutto per vedere come una lettura consolidata del “superamento” della stagione dell’antifascismo si accompagni ad una gestione del potere (prima nell’ente Provincia, e più tardi in Comune) in cui si materializzano alcuni fondamenti di quel “fascismo eterno” di cui scriveva Eco. Ricordiamone gli elementi: culto della tradizione; rifiuto del modernismo; azione per l’azione; intolleranza per la critica; paura della differenza; appello alle classi medie frustrate; ossessione del complotto; bellicismo; élitismo; disprezzo per i deboli; culto degli eroi; machismo; populismo; neolingua. Alcuni di questi aspetti sono reiterati nel discorso dei postfascisti; altri sono sotto traccia – il culto degli eroi, dopo il 25 luglio ed i venti mesi di guerra partigiana – trasformati in lamentazione persecutoria, di chi predicò il culto della forza e ne venne “ricompensato”, almeno in parte, con gli interessi – altri infine traspaiono nella politica quotidiana, in particolare verso gli immigrati e gli oppositori politici.

Non si pretende di cogliere tutte questi aspetti in una provincia di periferia, ed in uno schieramento politico che, al di là degli indubbi successi, ha attraversato in questo quarto di secolo altrettante fasi di crisi drammatica, sia sul piano dell’ideologia che su quello del consenso e dell’organizzazione politica. Tanto da perdere per strada il leader storico dell’operazione di attraversamento della politica italiana, dal neofascismo di origine saloina ad una destra europea addirittura a-fascista se non antifascista – Gianfranco Fini, logoratosi nella tattica ed assorbito nel Pdl, isolato dai suoi “colonnelli” ed infine disintegrato politicamente ed espulso da quel Saturno della “nuova destra” italiana che è stato Silvio Berlusconi. Rimane il fatto che, anche nei momenti di crisi, i riferimenti ideologici – quando si riesce a superare la delusione per non aver ottenuto strapuntini adeguati nelle stanze del potere – rimangono sempre quelli: vedere come il riferimento teorico centrale rimanga sempre Julius Evola, pur a fianco dei più terreni camerati Gasparri e La Russa 48.

Acquisendo nel frattempo - il movimento, il partito - un’altra caratteristica meno nobile della lunga esperienza fascista e post-fascista: quell’esercizio disinvolto del potere che, al di là della propaganda, ha fatto della destra uno dei luoghi tipici, in Italia, di interconnessione con le scorrettezze del potere, non solo in senso politico. Io stesso ne sono stato testimone, nella mia attività di cooperatore sociale, apprendendo in sede professionale della disinvoltura con cui con il presidente della Provincia Alessandro Ciriani, con l’aiuto dei suoi collaboratori, affidava servizi ad una cooperativa sociale “foresta” – “I Tigli 2” di Gorgo al Monticano – di cui egli stesso è il direttore commerciale 49. E verificando come, a dispetto di una precisa inchiesta della Guardia di Finanza, la Procura della Repubblica potesse infine archiviare la pratica, sulla base di un incredibile pretesto giuridico, che fa capire come sia difficile, in questo paese, scalfire le posizioni di

48 Alessandro Giuli, Il passo delle oche. L’identità irrisolta dei postfascisti, Torino, Einaudi, 2007. 49https://webcache.googleusercontent.com/search?q=cache:gehPslz3l4EJ:https://www.comune.pordenone.it/it/comune/amministrazione/amministratori/alessandro-ciriani/%40%40download/curriculumVitae/curriculum-vitae-alessandro-ciriani-2016.pdf+&cd=3&hl=it&ct=clnk&gl=it e pagina Fabebook di Alessandro Ciriani.

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potere, anche quando si sia in grado di acquisire documentazione sufficiente per convincere gli investigatori delle proprie ragioni. E come sia praticamente impossibile far passare la notizia sulla stampa locale, tutta prona al potere 50.

25.4.2008 – comizio di Ciriani

Alessandro Ciriani - «che non è mai mancato alle precedenti celebrazioni, come presidente provinciale di An, con una deposizione di corona per i caduti di tutte le parti» - interviene a nome della Provincia per il saluto ufficiale, a fianco di Sigfrido Cescut (che sostituisce Giust) per l’Anpi e di Francesco Longo per l’Istlibpn, un avvocato liberale di destra che è stato in passato anche amministratore comunale di Pordenone per la Lega Nord. Quella che viene definita «la prima di un presidente di An alla cerimonia del 25 aprile» viene contestata da manifestanti antifascisti. Quanto all’intervento, esso è in linea con le posizioni precedenti, come lo rimarrà anche in futuro:

Non spetta ai politici parlare di storia. Il 25 aprile rappresenta una data che ha segnato una svolta epocale: a distanza di tanti lustri è giusto ricordare la storia, le storie con le loro contraddizioni. Compito che spetta agli storici mentre ai politici l’occasione serva per parlare non del passato, fondamentale e del quale occorre fare tesoro, bensì del presente. Festa della Liberazione, un momento di dubbio e travaglio, poiché 63 anni fa ci fu una guerra sanguinosa, una guerra civile tra italiani alla quale, nel nostro confine, si aggiunsero altri conflitti. Il 25 aprile rappresenta la fine simbolica di quei conflitti: sappiamo infatti che il sangue continuò a scorrere e i desideri di vendetta perdurarono anche dopo 51.

25.4.2009 – la destra è occupata altrove

L’anno dopo Ciriani – divenuto nel frattempo presidente della Provincia - diserta, e si fa sostituire da un assessore. Da destra si sente il bisogno di giustificarsi, in particolare da parte di An e Lega Nord: il segretario dei secondi, Enzo Bortolotti, perché ad un battesimo, mentre il presidente del Consiglio Regionale Edouard Ballaman è in viaggio all’estero e gli altri consiglieri regionali forse impegnati altrove; il segretario di Ag Alberto Locatelli «per non essere strumentalizzati dalla sinistra», e via a lamentarsi su come siano stati maltrattati negli anni scorsi (a proposito di come il culto degli eroi sia ormai ridotto a lamentazione paranoico-persecutoria) 52.

50 Coop, esposto in procura contro Ciriani. Pordenone, Bettoli: «Nel settore collocamento disabili la Provincia in convenzione con le società con cui collaborava l’ex presidente», https://messaggeroveneto.gelocal.it/pordenone/cronaca/2015/11/17/news/coop-esposto-in-procura-contro-ciriani-1.12456999, 16 novembre 2015; E’ ufficiale, Pordenone ha il suo candidato sindaco di centrodestra, è Alessandro Ciriani, già presidente della Provincia. Ma un esposto adombra dubbi sul suo passato operato, https://www.e-paper.it/e-ufficiale-pordenone-ha-il-suo-candidato-sindaco-di-centrodestra-e-alessandro-ciriani-gia-presidente-della-provincia-ma-un-esposto-adombra-dubbi-sul-suo-passato-operato/, 16 novembre 2015; “I diritti dei disabili e le beghe di una piccola città – a proposito del “caso Ciriani”. Lettera ad e-Paper del presidente di Legacoopsociali Fvg, https://www.e-paper.it/i-diritti-dei-disabili-e-le-beghe-di-una-piccola-citta-a-proposito-del-caso-ciriani-lettera-ad-e-paper-del-presidente-di-legacoopsociali-fvg/, 18 novembre 2015; Caso Ciriani, Bettoli: "Nonostante assoluzione confermate nostre denunce", https://nelpaese.it/dalle-regioni/friuli-venezia-giulia/item/7265-caso-ciriani-bettoli-nonostante-assoluzione-confermate-nostre-denunce, 29 settembre 2018. 51 «Messaggero Veneto», 25 e 26 aprile 2008, articoli di Elena Del Giudice ed Enri Lisetto. 52 «Messaggero Veneto», 26 e 27 aprile 2009, articolo di Enri Lisetto.

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12.1.2010: la morte di Gastone Parigi

Con lui se ne va il leader incontrastato della destra fascista pordenonese del dopoguerra, capace di trarla dalle catacombe – anche per il suo importante ruolo nel mondo dell’economia – fino ad arrivare alla carica di parlamentare europeo 53.

La biografia ne evidenzia il legame con il massimo esponente del neofascismo italiano:

Gastone Parigi, nato a Este nel 1931, iniziò la sua attività politica subito dopo la fine della guerra nelle file del Movimento sociale italiano, di cui è stato fondatore e componente della direzione nazionale, sempre a fianco di Giorgio Almirante, di cui era grande amico.

Almirante, appunto, il caporedattore de «La Difesa della Razza», il fucilatore di partigiani: non stiamo parlando di boy-scouts.

53 «Il Friuli», Addio a Gastone Parigi, https://www.ilfriuli.it/articolo/archivio/addio_a_gastone_parigi/29/74307, 13 gennaio 2010.

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Ecco come lo commemorano commossi i fratelli Ciriani:

"Con la scomparsa di Gastone Parigi perdiamo la figura più importante della storia della destra politica di Pordenone e di tutto il Friuli Venezia Giulia – ha dichiarato il vicepresidente della Regione Luca Ciriani -. Tutti gli attuali esponenti di Alleanza Nazionale all'interno del PDL devono moltissimo a Gastone, abbiamo imparato da lui i valori che sono alla base del nostro agire politico e personale: la lealtà, il coraggio e la perseveranza.

Per chi, come me, ha cominciato a fare politica nelle fila del movimento giovanile del MSI di Pordenone ed è cresciuto ascoltando i suoi indimenticabili comizi, Parigi è stato un esempio e un modello da seguire, sempre in prima linea per le battaglie in cui credeva, un precursore e una guida per tutti gli iscritti, i militanti e i simpatizzanti".

“Con la scomparsa di Gastone Parigi muore anche un pezzo del mio cuore – ha commentato Alessandro Ciriani, presidente della Provincia di Pordenone - protagonista coraggioso e intelligenza brillante della vita politica italiana, ha contribuito in maniera decisiva a tenere la barra della Destra nei confini della coerenza e della passione ma, contemporaneamente, proiettandola verso il futuro.

E' stato l'uomo e l'esempio che ha portato me e tanti altri ragazzi a militare nelle file del MSI e a credere innanzitutto in una politica fatta di valori, di principi, di militanza e di sacrifici.

Un maestro ed un padre politico che lascerà nel mio universo un vuoto incolmabile.

E' grazie a uomini come lui se oggi valori e principi che un tempo erano ingiustamente ghettizzati sono patrimonio condiviso degli italiani.

Ricordo le sue battaglie per un fisco equo, per la giustizia sociale, per la difesa dell'identità nazionale, e molte altre che continueranno ad essere stelle polari nella mia vita quotidiana e in quella di amministratore.

E' grazie alla determinazione di uomini come Gastone se chi militava senza speranza nel Msi oggi è ministro o deputato o presidente di Provincia.

Ho solo il grande rammarico di non aver avuto il coraggio di andarlo a trovare nei giorni più duri della sua malattia perché avevo ed ho la certezza che non sarei riuscito a trattenere

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l'emozione e non sarei riuscito ad infondergli quel coraggio da leone che lo ha sempre contraddistinto.

Se ne va un pezzo della nostra storia. A me e agli ormai ex-ragazzi dell’Msi il compito di onorare la memoria e l’insegnamento del “camerata” Gastone Parigi. Nessuno si scandalizzi del termine, a lui sarebbe piaciuto così. E dall’alto, da dove ci sta guardando, farà un sorriso compiaciuto spegnendo la sua Marlboro”.

Il rapporto filiale con Parigi sarà rimesso in auge, con tanto di fascistico “Presente”, dopo la vittoria elettorale del 2016 al Comune di Pordenone, con l’elezione a sindaco di Alessandro Ciriani:

Tra le numerose manifestazioni di gioia per la vittoria di Alessandro Ciriani, è stato molto cliccato, ieri su Facebook, un omaggio video postato dal consigliere comunale Emanuele Loperfido di Fratelli d’Italia a Gastone Parigi. «Gastone! Abbiamo vinto a Pordenone!» è la dichiarazione d’apertura del post di Loperfido, che ricorda anni di militanza politica rivendicando il coronamento di un sogno e dedicandolo al padre nobile della destra pordenonese. Padre nobile della destra politica pordenonese e regionale. Consigliere comunale, consigliere regionale, parlamentare, europarlamentare. Sempre con onestà, passione, eleganza e sagacia. Un punto di riferimento per diverse generazioni di militanti, iscritti, simpatizzanti, elettori, ma anche di avversari politici». Il filmato, che ripercorre numerosi momenti della vita di Parigi, più volte ripreso con Giorgio Almirante, si conclude con la sovrimpressione «Camerata Gastone Parigi, presente!»54.

25.4.2010 – il prossimo anno a porte chiuse!

Forse temendo i fulmini dal cielo del proprio guru recentemente scomparso, Alessandro Ciriani rinnova la sua assenza dalla cerimonia, dichiarando che:

54 «Messaggero Veneto», 21 ottobre 2016, p. 10, la video dedica.

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«Non ho voglia di prestarmi al solito giochetto politico squallido. E poi non potrei dire quello che penso». Le sue posizioni, le sue idee non le ha mai nascoste e non lo fa nemmeno ora che è presidente della Provincia. E a chi ritiene che proprio perché rappresenta un’istituzione dovrebbe mettere da parte l’ideologia, Alessandro Ciriani risponde con calma: «Proprio perché rappresento la Provincia non voglio rovinare la festa a nessuno. Alla cerimonia l’ente sarà rappresentato dal mio vice».

Lo scorso anno la campagna elettorale lo aveva tenuto lontano dalla cerimonia 55, quest’anno ha scelto di non esserci. «C’è anche un altro motivo: se partecipassi dovrei dire cosa penso di questa festa. Se la destra ha fatto molti passi avanti nel riconoscere errori del passato – chiarisce Ciriani – non si può dire lo stesso della sinistra. Dopo 65 anni bisognerebbe riconoscere che ci sono state pagine di storia da condannare come il fatto che parte della resistenza fomentasse la guerra civile al soldo del Partito comunista e del regime titino. Visto che queste cose non le posso dire, che oggi alcune verità storiche rappresentano ancora un tabù, preferisco rimanere a casa e passare la giornata con la mia famiglia».

Ad ogni piè sospinto, quando si esprime, salta la sottile pagina “revisionista” della narrazione cirianea, per lasciare spazio al riaffiorare delle - vecchie politicamente e smentite storiograficamente - consunte tesi del neofascismo repubblichino. Non a caso esse attirano le prese di distanza non solo di Pd ed Iniziativa Libertaria, ma anche di Luciano Violante - l’antesignano degli sdoganatori, a sinistra, del postfascismo finiano – e del presidente della Regione, il pidiellino di origine socialista Renzo Tondo. Perfino il coordinatore regionale del suo partito, il Pdl – l’ex democristiano sacilese Isidoro Gottardo – troverà il modo di collocarsi su una posizione intermedia, prendendo le distanze da Ciriani.

L’autoritarismo del presidente della Provincia lo spinge, dopo che il 25 aprile il suo vice leghista Eligio Grizzo è stato fischiato a nome suo, a dichiarare:

Il prossimo anno cerimonia a porte chiuse.

oltre a ripetere – lo abbiamo citato sopra – il falso storico dei partigiani rossi asserviti ad Unione Sovietica ed Jugoslavia. E poi, di nuovo, polemizzando con il Pd (manco si trattasse di un partito comunista):

Ma forse per il Pd è ancora tabù affermare chiaramente che la falce e martello, dietro la quale sbraitavano i contestatori, è simbolo di stermini di massa e totalitarismo.

Viene da malignare, in tanta pervicace e noiosa reiterazione, su una sorta di rancoroso tentativo di rovesciamento dei ruoli, per scaricare il peso che grava sulle coscienze dei nipotini di chi, teoricamente fedele alla Repubblica Sociale di Salò, si assunse in realtà la colpa del tradimento della nazione italiana e dell’asservimento all’annessione nazista dell’Italia nordorientale nelle Operationszonen Adriatisches Küstenland ed Alpenvorland 56.

55 Non è esattamente così, come abbiamo potuto leggere sullo stesso quotidiano poco sopra. 56 «Messaggero Veneto», 24, 25, 26 e 28 aprile 2010, articoli di Martina Milia ed Enri Lisetto.

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25.4.2011 – il veto su Giuseppe Mariuz

L’anno successivo, comunque, la manifestazione torna in piazza, perché la proposta di chiusura in una sala per ostacolare i contestatori viene abbandonata (forse qualcuno ha spiegato a Ciriani che sarebbe pure peggio, sia dal punto di vista della democrazia che su quello dell’ordine pubblico). Il cerino viene lasciato in mano al vicepresidente Eligio Grizzo, che da una vita deve assumersi il compito di essere, lui leghista, lo sparring partner buonista di Ciriani, sia in Provincia che in Comune.

Ma nel frattempo Ciriani, che non esclude di riprendere in futuro l’ipotesi di commemorazione in un locale chiuso, butta benzina sul fuoco, mettendo il veto all’orazione ufficiale da parte del Giuseppe Mariuz, storico, scrittore ed esponente dell’Anpi, su cui si erano accordate le varie realtà organizzatrici.

Poi però, dopo aver preannunciato che sarebbe apparso a sorpresa in qualche celebrazione del 25 aprile, Ciriani non riesce a resistere alla tentazione di sfidare Iniziativa Libertaria - orgogliosa di aver conteso la piazza ad Ag ed An per cinque anni - apparendo infine in Piazza Ellero a Pordenone 57.

25.4.2012 – tutti sul palco senza rancori?

Il rituale polemico si ripete stancamente, con il paradosso della convivenza, sullo stesso palco, di Ciriani come presidente della Provincia, Mario Bettoli presidente dell’Anpi al posto di Giuseppe Giust e l’orazione affidata alle ex segretaria provinciale della Democrazia Cristiana, ora dirigente scolastica, Teresa Tassan Viol. Bettoli, ormai ammalato gravemente, morirà solo sette mesi dopo.

E’ evidente anche fisicamente che ormai il ciclo della manifestazione è entrato in un loop senza senso 58.

25.4.2013 – destra assente, sconfitta nelle urne

La manifestazione si svolge come al solito, tra ritualità militaresche e canti polemici verso il vicepresidente della Provincia Grizzo, che deve sostituire non solo Ciriani, ma praticamente tutto il centrodestra, in una piazza dove spiccano le nuove cariche, locali e regionali, degli amministratori del centrosinistra che hanno ripreso il timone del Friuli Venezia Giulia con Debora Serracchiani. Giuseppe Mariuz può finalmente pronunciare l’orazione ufficiale che gli era stata negata due anni prima 59.

57 «Messaggero Veneto», 22, 23 24, 26 e 27 aprile 2011, articoli di Stefano Polzot ed Enri Lisetto. 58 «Messaggero Veneto», 25 e 26 aprile 2012, articoli di Stefano Polzot ed Enri Lisetto. 59 «Messaggero Veneto», 26 aprile 2013, articolo di Enri Lisetto.

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25.4.2014 – vietato cantare “Bella ciao”

Se le presenze/assenze di Ciriani e le polemiche conseguenti sono una tradizione, ormai, la novità è che il Comitato provinciale per l’ordine e la sicurezza, in mancanza di meglio da fare per gli alti burocrati statali operanti nel Friuli occidentale, discute sull’esecuzione o meno della canzone partigiana “Bella ciao”, simbolica a dispetto del suo testo tutto sommato light. Ne chiedono l’esecuzione, a fianco delle marcette militari, i nuovi dirigenti dell’Anpi provinciale (presidente Giuseppe Mariuz e vicepresidente Mario Rodini), mentre chiede sia vietata la Provincia, che come al solito delega Grizzo a parlare.

Infine, il prefetto cede; o è meglio dire che si dissocia pure lui da Ciriani? Non lo si sa esattamente, visto che il funzionario si nega alle interviste della stampa. In ogni caso, le informazioni che filtrano dalla Prefettura non fanno ben pensare sulla lucidità di chi dovrebbe presiedere alla tutela dell’ordine e della sicurezza pubblica:

Poche righe, un po’ fumose – parlare con il prefetto ieri non è stato possibile (in ufficio lo davano “fuori sede”, il cellulare di servizio era sempre spento) – che però, dicono fonti dell’ufficio, indicano che «non è mai stato detto che non si potesse cantare la canzone. Il punto era capire quale fosse il momento più appropriato. Verrà individuato un momento in piazza, al pari dell’Inno d’Italia e della canzone del Piave».

Canzone, quest’ultima, che con la Resistenza antifascista è notorio non c’entri proprio nulla. Ma tant’è, Pordenone è il paese del 25 aprile festa di San Marco e della fortaja in Comina.

Tutti d’accordo, infine? Non proprio, visto che il consigliere regionale Valter Santarossa, democristiano di centrodestra, non perde l’occasione

per esprimere la sua voce fuori dal coro: «Si vuole cantare Bella Ciao alla celebrazione del 25 aprile. E la chiamano riconciliazione? Un plauso invece al presidente Alessandro Ciriani che per evitare contestazioni non parteciperà» 60.

E’ proprio vero che non è pensabile una destra estrema senza dei fiancheggiatori “moderati”. Ma, visto che dal dramma siamo scaduti nell’avanspettacolo… sipario!

A lato: la Casa del Popolo di Torre, 23 aprile 2015

60 «Messaggero Veneto», 19 e 24 aprile 2014, articolo di Martina Milia.

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I fascisti e la Casa del Popolo di Torre

Le relazioni tra l’antico quartiere operaio di Torre, le sue istituzioni sociali (in particolar modo la Cooperativa di consumo e la Casa del Popolo, costruite con tanta fatica dalla Lega dei Cotonieri del più antico stabilimento industriale moderno della città) ed i fascisti sono sempre state controverse, fin dalle origini.

L’11 maggio 1921, per difendere quelle gloriose istituzioni popolari, si elevarono con successo le Barricate, che i fascisti non riuscirono a superare, grazie alla resistenza armata di tanti operai, giunti anche da paesi lontani. Ci riuscì poi l’esercito, ma Casa del Popolo e Cooperativa furono salve.

La Cooperativa poi fu fatta fallire durante i primi anni del regime, purtroppo a causa di una tenaglia costituita dalla lotta fratricida del parroco don Giuseppe Lozer, e dal boicottaggio fascista. Invece la Casa del Popolo, sequestrata illegalmente dal regime e trasformata paradossalmente in Casa del Fascio, ritornò ai suoi legittimi proprietari dopo la Liberazione, nel 1945. Era accaduto che, in tempi di rivoluzione, un operaio riformista come Ilario Da Corte si fosse preoccupato per cautela di costituire la società “Casa del Popolo” e farle compiere tutti gli atti legali per sistemare la proprietà di terreno ed edificio; e che un professionista anarchico, Defragè Santin, si fosse preoccupato di tutelare quella proprietà collettiva - così diversa da un furto capitalistico - fino a che, da segretario del Comitato di Liberazione Nazionale, poté tirar fuori le carte dall’archivio notarile, in cui erano state celate per tutto il “ventennio”.

Dopo il terremoto del 1976, la Casa del Popolo fu restaurata, facendola ritornare a nuova vita con un contributo regionale e restituendola alla funzione di moderno centro sociale di quartiere, aperto a tutti. Esclusi, per statuto, fascisti e razzisti.

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Onde e per la qual cosa subisce ogni tanto qualche provocazione. Una delle quali ha portato l’Associazione Casa del Popolo, nella persona della sua presidente, Elena Beltrame, ed il sottoscritto, socio della stessa, a scontrarsi direttamente con l’allora aspirante sindaco di Pordenone Alessandro Ciriani. Che ci ha denunciati per “antifascismo”. Con Elena decidemmo di non chiedere scusa – come ci chiedeva l’avvocata di Ciriani – perché ritenevamo il nostro un giudizio politico, espressione del diritto costituzionale che garantisce a tutti libertà di parola, ed eravamo disposti ad accettare il costo di una causa per diffamazione, anche se era paradossale che fosse la parte aggredita a dover sottostare ad un giudizio penale. Elena poi se n’è andata, improvvisamente e prematuramente. Io oggi continuo, anche in sua memoria, anche perché ritengo che la tattica giudiziaria faccia parte di un più generale atteggiamento di esponenti della destra, che è stato denunciato pubblicamente anche dagli studiosi:

In Italia da alcuni anni la ricerca storica e delle scienze sociali è insidiata dal fenomeno crescente di citazioni a giudizio e querele per diffamazione da parte di soggetti motivati da avversione ideologica o miranti a ottenere cospicue somme a titolo di risarcimento. In particolare, questo fenomeno riguarda chi studia i fascismi, trovandosi inoltre – in non rare occasioni – oggetto di intimidazioni da parte di esponenti di formazioni politiche e/o culturali ispirate in vario modo al mussolinismo. Si tratta di una strategia giudiziaria determinata da valutazioni ideologiche e di nessun rischio per i promotori poiché, anche quando (come accade nella maggioranza dei casi) dopo anni di istruttoria il giudice archivierà il fascicolo, essi avranno comunque conseguito l’obiettivo di provocare fastidi, preoccupazioni e perdite di tempo a intellettuali sgraditi […] 62.

Non solo: da lunghi mesi giace in consiglio comunale a Pordenone un’interrogazione su quante risorse pubbliche abbia impegnato la Giunta Ciriani per patrocinare cause contro cittadini 61 Il post apparve su facebook all’indirizzo https://www.facebook.com/photo.php?fbid=704486699688285&set=a.263849370418689.1073741827.100003808846369&type=3&theater (ultimo accesso 17 aprile 2016). Dopo che la provocazione fu denunciata pubblicamente, il post fu cancellato dal web. 62 Appello per la costituzione di un Osservatorio per la libertà di ricerca sui fascismi di ieri e di oggi, in: http://www.storiastoriepn.it/wp-content/uploads//2016/10/manifesto-novembre.pdf, settembre 2016.

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critici dell’amministrazione, in particolare (come nel caso del musicista Sandro Bergamo) per aver definito fascista il sindaco 63.

Nel frattempo, gli effetti intimidatori delle iniziative giudiziarie di Ciriani sono evidenti:

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Chi non voglia assumersi i non lievi costi processuali, è costretto a fare un passo indietro, con indiscutibile lesione della libertà di espressione, tutelata dalla Costituzione - «Tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione. La stampa non può essere soggetta ad autorizzazioni o censure.» (art. 21, commi 1 e 2) - ma non da un sistema giurisdizionale in cui ad un normale cittadino non è permesso di essere tutelato su un piano di parità.

Per cui una persona “normale” è costretta a cedere il passo a chi, tra l’altro, utilizza gli strumenti pubblici per le sue iniziative persecutorie. Tanto paga Pantalon.

63 Ringrazio per l’informazione il consigliere Marco Salvador. 64 «Messaggero Veneto», mercoledì 27 novembre 2011.

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Ripubblico la lettera aperta di Elena Beltrame a Ciriani, apparsa sul sito della Casa del Popolo:

Risposta a Ciriani

Come legale rappresentante della Casa del Popolo di Torre – Pordenone, ho ricevuto dall'avvocata Caterina Belletti, su mandato del candidato sindaco Alessandro Ciriani, la richiesta “..per ottenere il risarcimento per danni morali patiti a seguito del comunicato apparso sul sito della Casa del Popolo di Torre...” e la contemporanea disponibilità a ..”raggiungere un accordo bonario.. “ . Il riferimento è alle frasi considerate come ”..espressioni gravemente lesive nei confronti del mio cliente...”, quali “abbiamo la prova documentale perché postata in rete, di una mano che infila materiale elettorale del candidato sindaco Ciriani, “brodo di cultura” neofascista nella cassetta postale della Casa del Popolo”. A riprova di ciò, nel sito di un candidato della lista civica di Ciriani, c'erano le affermazioni di esponenti del suo entourage che, una volta conquistato il Comune, avrebbero cambiato il nome alla Casa del Popolo!. Forse in “Baracca del Popolo” come annunciato pubblicamente anni fa. Non c'è che dire, un bel biglietto da visita quanto alla pluralità democratica di cui gode la galassia neofascista, in forza della Costituzione nata dalla Resistenza. L'appartenenza all'area neofascista del candidato sindaco Ciriani è leggibilissima e alla luce del sole. Vorrei ricordare la determinazione con cui Ciriani, presidente della Provincia, insignita di medaglia d'oro alla Resistenza, si è sempre opposto a che, alla commemorazione in piazza Ellero del 25 Aprile, venisse suonata dalla banda cittadina la canzone “Bella Ciao”, simbolo ormai internazionale della Resistenza. Di che cosa si lamenta allora, quale lesione è stata fatta, perché risulta cosi “fastidiosa” la presenza della Casa del Popolo tanto da ipotizzarne, a tempo debito, il cambio di nome? Forse ha a che fare con il fatto che continua a essere luogo, segno e memoria di lotte operaie per i diritti, di attività e resistenza antifascista e delle prime barricate erette nel maggio del 1921. Per tutto questo è stata oggetto in questi ultimi anni, di ripetute incursioni che con chiaro linguaggio nazifascista come “25 Aprile lutto nazionale” e “Achtung Banditen”. Banditi: così i nazifascisti chiamavano i partigiani! Questa “giovane ultracentenaria” - come amo chiamarla - ha saputo accogliere e dare risposte ai bisogni che i tempi nuovi presentano. Attività culturali, politiche, sindacali, ambientaliste, di svago, di tempo libero, ora anche punto di riferimento per la Rete Solidale per i richiedenti asilo, con corsi di italiano e raccolta di beni di prima necessità e anche punto di riferimento per i riti religiosi della comunità ghanese. La Casa del Popolo appartiene all'Associazione di cui porta il nome, tale resterà come resterà baluardo antifascista, antirazzista, antixenofobo.

La presidente Elena Beltrame 65

In passato avevano attaccato la Casa del Popolo sia Alessandro Ciriani che Roberto Menia (che definì l’edificio irrispettosamente “baracca del popolo”), perché vi si era svolta una conferenza sulla “giornata del ricordo”, poco allineata con le direttive di regime a proposito di come raccontare le vicende del “confine orientale” 66. Tra l’altro, se i seguaci di Ciriani, che vedemmo sedersi tra il pubblico, fossero rimasti per più di dieci minuti, avrebbero imparato qualcosa, ad esempio sulla dialettica vivace che al proposito c’è a sinistra. Ma, come sappiamo, non c’è peggior sordo di chi non vuol sentire.

65 https://www.casadelpopolo.org/ciriani-denuncia-elena-beltrame-presidente-della-casa-del-popolo/, testo del 24 maggio 2016. 66 «Messaggero Veneto», sabato 7 febbraio 2009, p. 2, Pordenone. Giornata del ricordo. An contro l’incontro sulle foibe: è una vergogna, sono negazionisti. «Il Comune tolga i fondi alla Casa del popolo» e Sigfrido Cescut, «Attività normali del centro». La replica di Bettoli: nessuna lezione dagli eredi del fascismo (Mario Bettoli, allora presidente dell’Associazione Casa del Popolo).

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Col passare del tempo, le provocazioni si sono ripetute, e la campagna elettorale del 2016 ha rappresentato l’apice, con iniziative – dalle quali Ciriani non si è mai voluto dissociare – anche di un suo candidato. Quale fosse il clima, lo hanno testimoniato i testimoni della difesa nell’udienza del 5 luglio 2019:

Andrea Fregonese, presidente dal 2017 (dopo la morte di Elena Beltrame) dell’Associazione Casa del Popolo di Torre, ha ricostruito la storia dell’istituzione popolare del quartiere sviluppatosi attorno al più antico stabilimento del Cotonificio Veneziano. La stessa Casa del Popolo è stata costruita, a partire dal 1909, dagli operai riuniti nel sindacato dei cotonieri.

Negli anni recenti sono accaduti episodi che hanno creato allarme tra gli amministratori ed i frequentatori della Casa del Popolo, come l’affissione di manifesti, scritte sui muri dell’edificio. Gli episodi sono andati crescendo nel periodo 2014-2016; a tal proposito la difesa, rappresentata dall’avv. Bruno Malattia, ha presentato una documentazione fotografica relativa ai vari episodi. Fregonese ha descritto gli episodi, come l’affissione, a ridosso del 25 aprile, di cartelli con la scritta “Achtung banditen” (non rivendicati ufficialmente da nessuno). Il testimone ha anche commentato la foto dell’antecedente manifestino elettorale della lista Ciriani, postata su facebook da uno dei candidati, ed è stata accompagnata da commenti, tra cui quello di Ludovico Foscari, preannunciante la fine dell’istituzione a seguito della campagna elettorale, oltre che di Paolo Parigi, che proponeva il cambio di nome dell’edificio. Ludovico Foscari era, per l’appunto, candidato della lista “Pordenone Può”. Dopo questi attacchi, la Casa del Popolo – che aveva provveduto tramite la presidente Beltrame ad alcune segnalazioni alla magistratura - ha ricevuto dichiarazioni di solidarietà da varie parti, ma nessuna, né smentite o scuse, da parte della lista di cui Ciriani e Foscari facevano parte. L’Associazione era preoccupata dall’aumento di atti simili, preceduti l’anno prima da una grande scritta murale, oltre che da altri episodi (in novembre 2015) con striscioni e tende in miniatura recanti scritte “Prendeteveli a casa vostra”, in riferimento alle riunioni sull’accoglienza ai migranti che si svolgevano presso la Casa del Popolo. La struttura è non solo aperta al pubblico, ma esposta, ed erano evidenti i timori che potessero avvenire danneggiamenti, a maggior ragione in mancanza di prese di posizione di tutela da parte delle istituzioni preposte. La Casa del Popolo è molto frequentata da persone, in particolare anziane, che temevano che recarsi alle iniziative potesse essere ragione di pericolo a causa di atti violenti. Rispondendo alle contestazioni dell’avvocato di parte civile, Fregonese ha precisato che il sito internet della Casa del Popolo è aperto nei confronti dei commenti degli interessati, senza censura, per cui chi ci scrive se ne assume liberamente le responsabilità.

Diego Grizzo, sindacalista e componente del Comitato Direttivo dell’Associazione Casa del Popolo, ha spiegato le attività svolte dall’associazione, presso cui quotidianamente si svolgono riunioni delle più diverse associazioni. Esiste anche una biblioteca specializzata negli studi sul movimento operaio, che viene anche utilizzata per ricerche di studenti. Negli ultimi anni più di una volta l’edificio è stato preso di mira da scritte e manifesti, in particolare contro la commemorazione del 25 aprile. Tali episodi hanno creato situazioni di disagio, sia nelle persone che frequentano l’edificio, che negli abitanti del quartiere. A maggior ragione la preoccupazione della popolazione è stata dovuta anche alla mancanza di prese di posizioni politiche adeguate, forse anche a causa della campagna elettorale. Gli episodi cadevano in particolare in riferimento al 25 aprile (definito “giorno

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della morte”), ma anche in riferimento all’accoglienza dei migranti, oltre che in riferimento alle campagne elettorali svoltesi in quel periodo, durante le quali avveniva un aumento dell’attività rivolta contro la Casa del Popolo, che è un simbolo antifascista.

L’Associazione Casa del Popolo ha così precisato le sue posizioni in relazione al processo:

E’ trascorso ormai un anno dalla scomparsa di Elena Beltrame. E nonostante la sua mancanza si faccia sentire, per l’associazione Casa del Popolo, di cui è stata presidente, e per le tantissime persone che l’hanno conosciuta e incontrata, la sua presenza è comunque viva e si percepisce nell’importante eredità culturale e politica che ha lasciato. Fervente sostenitrice dei valori antifascisti, si è battuta fino all’ultimo per mantenere intatti e per difendere i principi fondanti della Casa del Popolo. Nei suoi interventi ci teneva sempre a citare quanto riportato nello statuto: “L’Associazione è un centro permanente di vita associativa a carattere volontario e democratico unitario e antifascista”. E poi aggiungeva, in continuità con quanto soleva continuamente dire il suo predecessore Mario: “Questa è la Casa di tutti. In questo luogo tutti possono accedervi. Tranne fascisti e razzisti”.

L’eredità lasciataci da Elena, Mario e tutti gli altri compagni che in questi cento anni hanno permesso che la vita democratica continuasse a svolgersi regolarmente all’interno di questo storico edificio, ha un peso certamente notevole. Tanto più in questi ultimi anni in cui gli attacchi sono diventati numerosi e in alcuni casi accompagnati da derive allarmanti.

La Casa del Popolo dalla fine del fascismo non si è mai trovata a fronteggiare un acuirsi di insulti e offese come in questi ultimi dieci anni. Tanto per descrivere brevemente il contesto di cui stiamo parlando, basti ricordare la definizione di “Baracca del Popolo” lanciata orgogliosamente nel 2009 dall’allora sottosegretario di AN Menia e accompagnata da un appello, rivolto al comune di Pordenone, dall’allora presidente della provincia Ciriani per intervenire (non si capisce in che modo) al fine di interrompere le libere e normali pratiche antifasciste. Negli anni successivi gli attacchi non si placano: andiamo dalle solite minacce di interruzione delle attività ad espliciti insulti, come quello di Matteo Salvini che nel 2015 definì “sfigati” i frequentatori della Casa del Popolo di Torre. Ma ancor più grave, sempre in quell’anno, fu la comparsa di una scritta in spray nero sul muro della facciata frontale: 25 aprile lutto nazionale. “La Casa del Popolo ha rappresentato, rappresenta ed è testimonianza di un’opposizione operaia e di popolo al regime fascista e padronale che ancora oggi fa ostacolo tanto da sentire il bisogno di imbrattarla con una scritta”, così replicò Elena a questo ignobile atto. Nei mesi a seguire il clima non mutò, anzi. La vicinanza e la solidarietà della Casa del Popolo verso i migranti fu nuovo pretesto di attacco: scritte con insulti, striscioni appesi contro i migranti e chi solidarizza con loro, installazioni di tendine di cartone nel piazzale della struttura (a simboleggiare il ricorrente slogan “prendeteveli a casa vostra”). Slogan peraltro confermato da Emanuele Gibilisco, responsabile provinciale di CasaPound, che rispose allo sdegno di Elena per la concessione all’associazione neofascista della sala intitolata a Teresa Degan con «Chissà se anziché amareggiarsi per gli eventi del nostro movimento, i prossimi profughi all’addiaccio, avendo come esempio Teresina Degan, li vedremo ospiti alla Casa del popolo». Siamo nell’aprile 2016, forse il momento più alto (o forse meglio definirlo più basso) del livello di insulto (complice anche la campagna elettorale in corso). Poco dopo l’offesa alla memoria di Teresina Degan, è la volta nuovamente della Casa del Popolo: le vetrate vengono coperte di scritte “Achtung banditen” (Attenzione, banditi). Questa volta è Gianluigi Bettoli a rispondere: «non è un caso che si moltiplichino le provocazioni, rigorosamente anonime, contro la Casa del Popolo di Torre, monumento e simbolo dell’antifascismo operaio della città. Se questo è il clima della campagna elettorale, non vogliamo pensare a cosa potrebbe succedere dopo». Ma intanto gli insulti si susseguono incessanti: andiamo dai messaggi via messenger ai commenti via facebook come quello di un certo Giovanni Blarasin (non sarà mica lo stesso segretario della Provincia ai tempi di Ciriani? No, sicuramente un’omonimia) “I ratti devono stare tra di loro”. Solo qualche mese prima sempre

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facebook ci riportava la conversazione tra due sostenitori (Paolo Parigi e Ludovico Foscari) del candidato sindaco Ciriani che, commentando la foto raffigurante una mano che inbuca il volantino della Lista Ciriani nella cassetta postale della casa del Popolo, scrivono: “Proporremo al prossimo sindaco di cambiarne il nome”.

Fu in particolare questo episodio, inserito nell’intera escalation di eventi, a provocare la legittima presa di posizione della presidente Elena Beltrame. Era doveroso difendere questo importantissimo, ultracentenario, patrimonio di democrazia quale è la Casa del Popolo. Le parole di Elena però non vennero interpretate da tutti come un atto di difesa dei valori antifascisti, tanto da costargli (così come a Gianluigi Bettoli poco prima) una denuncia con richiesta di risarcimento per danni morali. La replica di Elena non si fece attendere: “Non c’è che dire, un bel biglietto da visita quanto alla pluralità democratica di cui gode la galassia neofascista, in forza della Costituzione nata dalla Resistenza. L’appartenenza all’area neofascista del candidato sindaco Ciriani è leggibilissima e alla luce del sole. Vorrei ricordare la determinazione con cui Ciriani, presidente della Provincia, insignita di medaglia d’oro alla Resistenza, si è sempre opposto a che, alla commemorazione in piazza Ellero del 25 Aprile, venisse suonata dalla banda cittadina la canzone “Bella Ciao”, simbolo ormai internazionale della Resistenza. Di che cosa si lamenta allora, quale lesione è stata fatta, perché risulta cosi “fastidiosa” la presenza della Casa del Popolo tanto da ipotizzarne, a tempo debito, il cambio di nome? Forse ha a che fare con il fatto che continua a essere luogo, segno e memoria di lotte operaie per i diritti, di attività e resistenza antifascista e delle prime barricate erette nel maggio del 1921”.

Questo è un atto intimidatorio, così Elena lo definiva, voluto appositamente nel tentativo di piegare un simbolo visibile e solido dell’antifascismo pordenonese. Un tentativo di intimidazione fatto a colpi di querela in cui la prepotenza si manifesta attraverso la denuncia evitando il confronto politico.

Elena che in tutta la sua vita si è sempre battuta contro i soprusi e le prepotenze, proprio per questo non si era lasciata spaventare, rifiutando quel tentativo di accordo bonario proposto nella “lettera di avvertimento”.

La stessa scelta è stata condivisa anche da Gianluigi Bettoli.

Ecco così che a distanza di due anni dai fatti appena descritti, ci ritroviamo nuovamente a fare i conti con quel clima di intimidazione. Toccherà infatti a Gianluigi Bettoli nei prossimi giorni presentarsi in Procura proprio per quella vicenda che non si è affatto chiusa.

L’Associazione Casa del Popolo proprio in memoria di Elena, che da quella vicenda venne coinvolta in prima persona, non può che esprimere tutta la vicinanza e il sostegno a Gianluigi Bettoli. Qui è in gioco la libertà politica e di opinione, sono in gioco i valori antifascisti e democratici. Non possiamo permettere che le stesse Istituzioni italiane risorte dalla barbarie fascista grazie alla Resistenza ora rinneghino quei valori, perché rappresentate da chi si permette addirittura di accogliere nella sede municipale rappresentanti di CasaPound.

Seguiremo quindi con attenzione i prossimi accadimenti. Allargheremo la partecipazione al sostegno a tutte le forze democratiche del territorio affinché questo clima di insulto, odio e intimidazione abbia fine e fascismo e razzismo restino fuori dalla storia.

Il Direttivo dell’Associazione Casa del Popolo 67

67 Pordenone 05/07/2018. Comunicato dell’Associazione Casa del Popolo

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Riflesso condizionato

E’ significativo come, ad ogni piè sospinto, gli eredi del fascismo italico, dopo aver compiuto ogni sorta di piroetta ideologica, ritornino a simboli e richiami del passato regime e delle pratiche eversive del dopoguerra.

Inconscio riflesso condizionato pavloviano? Oppure momenti di disvelamento catartico, presi dall’entusiasmo o ignari del fatto che la moderna civiltà dei mass-media rende implacabil- mente pubblico ogni momento di privacy? I protagonisti di questi episodi, colti in fallo (vedi Loperfido in evidente contesto godereccio… forse in vino veritas?) tendono di solito a risolvere la questione defi- nendo gli episodi come scherzosi, ritorcendo su chi li chiama in causa l’accusa di perdere il tempo con questioncelle di nessuna importanza.

Come nel caso dell’appena eletto consigliere comunale udinese Ugo Falcone, coordinatore citta- dino di Fratelli d’Italia e persona per altro perso-nalmente squisita, docente universitario ed un tempo addirittura archivista dell’Istituto Friulano per la Storia del Movimento di Liberazione, beccato in energiche esibizioni di saluto littorio dopo l’elezione nel 2018. La giustificazione mira a ridurre il danno, riconducendolo in un innocuo contesto di entusiasmo:

«Questo video, diventato oramai virale (anche Giuseppe Cruciani gli ha chiesto di intervenire in proposito durante la puntata de La Zanzara di oggi), mi sta accusando di aver fatto un saluto romano che era ben altro. Lo si può vedere dal contesto di festeggiamenti che c'era - aggiunge Falcone - . Certo, il gesto viene fatto con una certa veemenza, ma basta guardare anche

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l'ultima immagine, con il "due "di vittoria ("alla Winston Churchill"), per capire che non si tratti di un saluto romano» 68.

Altre volte si supera il livello meramente simbolico, come quando – siamo sempre ad Udine – un ex deputato di Alleanza Nazionale, Daniele Franz, riunisce in un episodio una violenta aggressione ad espressioni antisemite, motivate, per di più, da una soggettiva appartenenza nazista:

Il racconto di un musicista: «In vacanza a Udine, sono stato insultato e minacciato di morte da un ex parlamentare».

«Mi ha scambiato per un rabbino e si è presentato come membro delle SS. Mi ha intimato di seguirlo all’esterno del locale e per poco non è scoppiata una rissa. Mi ha minacciato di morte».

Alessio Toro, 36 anni, musicista siciliano da 16 anni residente a Roma, in vacanza a Udine con la fidanzata, sostiene di essere stato aggredito verbalmente da Daniele Franz, due volte deputato nelle file di An, ex segretario provinciale del Fronte della Gioventù ed ex segretario cittadino dell’Msi, ritiratosi nel 2006 dalla scena politica.

Il musicista ha messo nero su bianco l’accaduto. L’ha fatto venerdì 27 dicembre, sul suo profilo Facebook. Intanto, Franz minimizza e parla di «tanto rumore per nulla».

[…]

Abbiamo deciso di andare via, visto che la situazione stava prendendo una brutta piega. Una volta all’esterno, l’uomo si è avvicinato nuovamente. Gli animi si sono scaldati e la titolare del locale ha chiamato la polizia.

Lui ha continuato a rivolgere frasi offensive, finché la persona che era con lui, che ha detto di essere il suo autista, l’ha fatto salire in auto e sono partiti. Subito dopo abbiamo appreso che si trattava dell’ex deputato Daniele Franz 69.

L’episodio è chiaro, anche nel suo riferimento al contesto ludico-alcoolico.

68 Nicola Angeli, Falcone: "Il mio non era affatto un saluto romano", 14 maggio 2018 18:52, http://www.udinetoday.it/cronaca/ugo-falcone-nega-saluto-romano-esultanza-vittoria-ballottaggio.html. L’articolo riprende in un filmato (di cui si vede qui un fermo immagine) la contrastata esibizione di entusiasmo postelettorale. 69 Elisa Michelut, Il racconto di un musicista: «In vacanza a Udine, sono stato insultato e minacciato di morte da un ex parlamentare», in: «Messaggero Veneto», 27 dicembre 2019.

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Come la spiegazione dell’aggressore: «tanto rumore per nulla». Teniamola a mente: anche questa è una espressione tipica, che ritorna ciclicamente tra le giustificazione, come nel caso seguente che, guarda caso, coinvolge di nuovo il sindaco di Pordenone Alessandro Ciriani, nei primi giorni di aprile 2020.

La presa di posizione di Ciriani e del suo corrispondente viene ripresa dal segretario di Sinistra Italiana, l’on. Nicola Fratoianni, che il 6 aprile presenta un’interrogazione parlamentare, scrivendo:

«“Mi è stato segnalato che il sindaco di Pordenone (Fdi) su Facebook mentre qualche suo amico gli scrive e gli propone “di prendere un po’ di militari, andare a Montecitorio, destituiamo quei quattro farabutti inetti, traditori della Patria ecc...” invece di rispondergli che scrivere queste cose è da perfetto idiota ci si mette a scherzare amabilmente, sostenendolo.

Ora che questa vicenda è diventata di dominio pubblico, il sindaco dirà , come capita di solito quando vengono beccati, che stava scherzando.

Sarebbe bene che con le Istituzioni democratiche non ci scherzasse.”

Lo afferma il portavoce di Sinistra Italiana, Nicola Fratoianni.

“Questa destra - prosegue l’esponente di Leu - da una parte istericamente denuncia che il Parlamento deve essere aperto, e dall’altra fa vedere il suo vero pensiero sulla democrazia: una destra inconcludente e pericolosa.”

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“Ora non sarebbe male che il Prefetto di Pordenone spiegasse a questo sindaco che con le Istituzioni non si scherza. In attesa delle scuse di questo signore - conclude Fratoianni - noi comunque presenteremo sulla vicenda un’interrogazione alla ministra dell’Interno”» 70.

Il Movimento 5 Stelle prende posizione attraverso il consigliere regionale Mauro Capozzella:

La cosa arriva, eccezionalmente per le cose della nostra provincia, perfino a «La Repubblica»:

70 Comunicato dell’ufficio stampa di SI-Leu, Roma, 6 aprile 2020 ore 15.

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Tanto per capire il contesto, alcuni post di Facebook evidenziano il pensiero ed i riferimenti valoriali, indubbiamente fascisti, del corrispondente del sindaco, Omar Montagner:

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Infine, la facile previsione di Fratoianni si rivela azzeccata. Che volete che dica il sindaco: che ammetta che sotto il vello d’agnello è rimasto ben fisso l’ispido pelo del lupo? Che confessi che ha pisciato fuori dal vaso, e faccia autocritica ammettendo di essere scemo? Ovviamente se la prende con chi l’ha beccato in castagna!

In tanta tristezza, non ci rimane, a consolarci, che la satira:

«Diceva Flaiano che i fascisti si dividono in fascisti e antifascisti. Evidentemente Ciriani vuole passare alla seconda categoria.» 71

Magra consolazione, visto che sappiamo di essere facili profeti se pronostichiamo che, come sempre, le istituzioni di questa Repubblica, nata dalla Resistenza e basata su una legge fondamentale, la Costituzione, nata dalla politica – e dalla sanguinosa lotta di Liberazione – antifascista, giudicheranno

71 Sebastiano Comis, commento in: http://www.casadelpopolo.org/comunicato-dellassociazione-casa-del-popolo-sul-processo-ciriani-vs-bettoli/, 10 Ottobre 2018 h. 22:32.

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sempre ogni atto, più o meno blando, collegato al passato regime come una “ragazzata”, salvo punire ogni forma di antagonismo sociale, secondo il vecchio criterio che i “sovversivi” sono per loro natura il nemico di classe, mentre la destra estrema è al massimo una forma giovanile, esuberante, di conservazione. E’ questo il vero riflesso condizionato pavloviano.

Non è la prima volta che la Procura della Repubblica di Pordenone prende posizioni, che reputiamo non rispettose del dettato costituzionale. Accadde anni fa – era l’anno di grazie 1993 - che un consigliere comunale pordenonese, Michele Negro, fu inquisito perché… aveva denunciato l’affissione, in Via Udine, di uno striscione del movimento “Fascismo e libertà”!

E fu processato lui, per “attentato ai diritti politici dei cittadini” !

A quei tempi, a ricorrere perfino in appello, fu il procuratore capo Labozzetta, quello che a Pordenone infiorettò perle come il mettersi in aspettativa, dichiarando pubblicamente che era a disposizione, se qualcuno lo avesse candidato al Parlamento (evidentemente già allora non si distinguevano molto la destra dalla sinistra). Oppure, un’altra volta, minacciò a mezzo stampa i pacifisti di essere fucilati dagli americani di Aviano, se si avvicinavano troppo ai cancelli della base Usaf.

Mah, in questo posto non ci siamo fatti mancare neanche questo. E nessuno che sia insorto, ricordando al discutibile personaggio la tripartizione dei poteri (Legislativo, Esecutivo e Giudiziario) codificata dal filosofo illuminista Charles-Louis de Secondat, barone di La Brède e di Montesquieu.

Concludiamo, a ricordare questo infausto episodio di storia patria, con l’interrogazione di allora del deputato comunista on. Martino Dorigo:

Ai Ministri dell'interno e di grazia e giustizia. - Per sapere - premesso che: sono ormai oltre una ventina gli esposti presentati presso la magistratura nei confronti del Movimento "Fascismo e liberta'" il quale, oltre a vantare un nome inequivocabilmente ispirato al passato regime fascista, va fiero del proprio simbolo, un fascio romano pressoche' identico a quello littorio, e non ha mai nascosto la propria natura anticostituzionale; l'inno delle SS naziste e' stato tra i brani musicali preferiti nelle iniziative di questo movimento nella recente campagna elettorale; a Trieste e' stato diffuso un volantino a firma di "Fascismo e liberta'" nel quale si chiedeva di radere al suolo la Risiera di San Sabba in quanto falso storico; nell'ottobre del 1993 Michele Negro, consigliere comunale di Rifondazione comunista a Pordenone, denuncio' tale movimento per apologia di fascismo richiedendo al sindaco della citta' la rimozione dello striscione appeso lungo Via Udine a firma "Fascismo e liberta'", nella quale campeggiavano frasi velatamente razziste ed il simbolo del fascio littorio; soltanto recentemente il Negro ha scoperto di essere stato sottoposto a procedimento penale dal giudice Domenico Labozzetta, della Procura della Repubblica di Pordenone, per "attentato ai diritti politici dei cittadini", reato contemplato dall'articolo 294 del codice penale (pene previste fino a cinque anni di carcere) -: se il Governo non ritenga che l'attivita' politica del movimento "Fascismo e liberta'" non rappresenti una palese violazione del divieto di ricostituzione del partito fascista oltre che una offesa alle istituzioni e alla convivenza democratica; se ritenga ammissibile che un giudice della Repubblica decida di perseguire penalmente l'impegno civile di un consigliere comunale a far rispettare le leggi e la Costituzione attraverso l'esercizio della denuncia politica e penale contro forme di propaganda di organizzazioni politiche volte a favorire la ricostituzione del disciolto partito fascista; se non ritenga di dover effettuare accertamenti ispettivi ai fini dell'eventuale promozione dell'azione disciplinare nei confronti del giudice Domenico Labozzetta, della Procura della Repubblica di Pordenone. (4-02240) 72

72 http://dati.camera.it/ocd/aic.rdf/aic4_02240_12?output=application%2Frdf%2Bxml

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Ultime notizie: 25 aprile 2020

C’è chi ancora osa chiamare cose e persone con il loro nome. In questo caso si tratta di Emanuele Macaluso, classe 1924, un passato di sindacalista della Cgil e di dirigente di primo piano del Pci. Un “grande vecchio” della sinistra, che non ha tema di definire fascisti i dirigenti di FdI, partito dei Ciriani, per il loro ennesimo tentativo – immaginiamo non sarà l’ultimo – di fare strame della giornata della Liberazione dal fascismo. Tentativo che procede in parallelo, nella breve e lucida analisi di Macaluso, con la ripresa di violenze contro gli antifascisti, nella sottovalutazione del fenomeno da parte delle istituzioni statali.

CONTRO I MISERABILI, VIVA IL 25 APRILE!

C’è un miserabile tentativo di un gruppo di ex fascisti, che in questi anni hanno persino ricoperto ruoli di governo, che vorrebbero adesso cancellare il significato della celebrazione del 25 aprile.

Ieri Il Fatto Quotidiano ha pubblicato la notizia di una iniziativa di un gruppetto di “meloniani” – La Russa, Rauti, Santanchè – che propone di utilizzare la ricorrenza non per ricordare la Resistenza e la liberazione dal fascismo, bensì “per onorare i morti di tutte le guerre, del coronavirus, cantando non Bella Ciao ma la canzone del Piave”.

Giustamente, il giornale ricorda agli smemorati il comunicato del Comitato di Liberazione Nazionale dell’Alta Italia, firmato dagli esponenti della DC, Pci, Psi, del Partito liberale e del Partito d’azione, che decise la fucilazione di Mussolini. Di quel Mussolini responsabile dichiarato della uccisione di Giacomo Matteotti, dell’incarcerazione e la morte di Antonio Gramsci, della uccisione di don Minzoni: tutti fatti svoltisi negli anni in cui assunse il potere, e poi lo sterminio di migliaia di antifascisti, incarcerati e uccisi e di partigiani impiccati ed esposti sugli alberi della città di Milano; responsabile delle leggi razziali e della deportazione di ebrei e minoranze nei lager nazisti.

I fascisti che oggi circolano nel nostro Paese minacciano di morte da qualche tempo il direttore de La Repubblica, Carlo Verdelli, reo di fare il suo mestiere e di farlo in un quotidiano di sinistra e antifascista. A mio avviso, in questi anni c’è stata molta tolleranza nei riguardi del neofascismo non applicando la “legge Scelba”. E soprattutto non manifestando, in modi diversi, anche istituzionali, contro atti di minaccia fascista, come quello che oggi prende di mira Verdelli. Questo non è un caso personale. Tocca tutti e non solo il giornalismo. E, forse, sarebbe utile che anche dal Quirinale si dicesse qualche parola dal momento che si minaccia il direttore di un giornale e la libertà di stampa.

Viva il 25 aprile! 73.

73 EM.MA in corsivo, su: https://www.facebook.com/emmacaluso/?epa=SEARCH_BOX , pagina Facebook di Emanuele Macaluso, 21 aprile alle ore 03:51.

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Per concludere: elementi di un’autobiografia collettiva

Francesco Morabito, nell’introdurre la sua tesi di laurea, si pone un quesito, quanto mai cruciale per il coordinatore di Fratelli d’Italia di Sacile 74:

Capiremo, dunque, se le aperture di credito all’antifascismo, al liberalismo e al federalismo, siano state realmente assimilate anche dal gruppo dirigente pordenonese o se queste siano state, in realtà, solo scelte strategiche per far uscire il partito dalle secche della marginalizzazione politica e per mettere Alleanza Nazionale in confronto/competizione con i nuovi alleati di governo, su tutti Forza Italia e Lega Nord 75.

In un contesto di pessimismo per il vicolo cieco in cui li aveva portati Fini - allontanatosi sempre più dalle origini fasciste del partito, fino a prese di posizioni forti (anche se parziali, e sempre legate al solo tema dell’antiebraismo) come quella del 2003 in Israele: «Il fascismo fu parte del male assoluto» - ecco come si esprime senza peli sulla lingua Morabito:

All’inizio della trattazione ci chiedevamo se il Congresso di Fiuggi possa essere considerato o no una “svolta” e se e come le tesi del congresso del 1995 sono state recepite nella federazione di Pordenone. Analizzando gli interventi dei dirigenti di questa federazione del Msi e poi di An la risposta è no. […] Alleanza Nazionale doveva rappresentare un nuovo partito nazionale, conservatore e liberale, invece, all’atto dei fatti, è rimasto imprigionato nelle stesse tensioni nostalgiche e modernizzatrici del vecchio Movimento sociale italiano. […] non c’è stata una rielaborazione culturale sul tema, infatti, nelle interviste, emerge la tendenza a scindere tra “Fascismo buono” e “Fascismo cattivo”, confermando, la propensione a condannare solo l’aspetto più truce del regime. I pordenonesi non si definirebbero mai anti-fascisti, sia per background storico-politico, sia a causa dell’emarginazione subita dagli antifascisti, che impedivano, agli esponenti del Msi e dei suoi movimenti giovanili, di intervenire e interloquire su tematiche politiche, sociali e culturali. […] Il politologo Marc Maraffi parla del congresso di Fiuggi come un fenomeno ambiguo, dove anche la svolta liberale viene vista solo come una svolta di «facciata». Se guardiamo alla realtà pordenonese, questa opinione si conferma soprattutto dal punto di vista economico […] E’ ancora viva anche l’idea di una “terza via” nel campo economico, figlia dell’utopia “rautiana” di fine anni ottanta […] In conclusione, nonostante tutti i nove intervistati entrati in Alleanza Nazionale nel 1995 ancora oggi, dopo vent’anni, valutino positivamente la svolta di Fiuggi, è innegabile affermare che sia stata una “svolta” a metà, nella quale le tesi proposte dalla dirigenza sono state sì accettate, ma mai comprese fino in fondo, anche per una mancata capacità elaborativa del partito stesso, che ha tradito le speranze dei dirigenti locali dell’epoca. Il congresso di Fiuggi è stato una scelta opportunistica volta al solo obbiettivo di legittimare e di far finire l’emarginazione della destra missina, che a Pordenone si è realizzata in modo sorprendente facendo [di] questa federazione una delle più importanti del nord-est 76.

Proprio Alessandro Ciriani è uno dei più espliciti nel formulare riserve sulla svolta antifascista dell’An di Gianfranco Fini:

74 https://fratelliditaliasacile.wordpress.com/ 75 Francesco Morabito, A destra nella “Destra Tagliamento, cit., p. 11. 76 Ivi, pp. 112-114. Le sottolineature sono mie.

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Ma, effettivamente, il fascismo veniva lasciato alla storia? Sicuramente i dirigenti dell’ex-Msi passati in An non usano più il fascismo come argomento di discussione politica, però, non rinunciano a dare valutazioni su quel periodo storico. Elena Coiro, parlandoci dell’apertura all’antifascismo del partito, ci dà anche un suo giudizio su quella pagina storica: «… sicuramente il Fascismo ha avuto meriti notevoli in quel periodo storico (abbiamo tutte le leggi che riguardano l’istruzione, abbiamo le bonifiche 77), inutile che lo diciamo la storia parla chiaro… ha anche fatto delle scelte negative … però, ci fu solo un rinnegare le cose che non sono andate bene, come le leggi razziali e una serie di altre cose. Una dittatura personalmente… potrei morire piuttosto!». In queste parole è facile leggere una divisione tra “fascismo buono” e “fascismo cattivo” dove, da un lato viene salvato l’aspetto ideale e spirituale del regime, mentre dall’altro lato vengono condannati leggi razziali e dittatura. Stesso pensiero viene espresso da Alessandro Ciriani: «… chi perde la guerra ha sempre torto. Mussolini ha avuto enormi, immani responsabilità da quello che è capitato dal 1938 in poi. Ma la domanda è: la storiografia, gli studiosi sono così sicuri? Oggi sì, perché oggi c’è meno conformismo ma qualche anno fa… siamo sicuri che il fascismo fosse quel fenomeno bieco, oscuro, totalitario, deprecabile che hanno descritto? 78.

Guardando alla risposta dei dirigenti della federazione pordenonese si può sostenere che l’apertura alla cultura dell’antifascismo sia stata una “svolta” soft. Non c’è stata un’accettazione in toto dell’antifascismo, ma è stato accettato il tentativo – tramite questa apertura – di inserire pienamente il partito nella logica democratica con l’acquisizione della legittimità a governare. Non c’è una rinuncia al passato, viene solo accantonato e lasciato da parte. Inoltre, nessuno degli intervistati si definirebbe antifascista, ma si definirebbe probabilmente post-fascista: non c’è intenzione di rinnegare e non si condivide assolutamente la lettura data da Fini nel 2003 del Fascismo come “male assoluto”, come confermato da tutti gli intervistati che hanno citato l’avvenimento (Casula, Alessandro Ciriani, Luca Ciriani, Marcolin, Parigi, Coiro) 79.

[email protected], Pordenone, 25 aprile 2020

77 Si tratta di alcuni dei tipici stereotipi demoliti dal vivace libro di Francesco Filippi, Mussolini ha fatto anche cose buone. Le idiozie che continuano a circolare sul fascismo, Torino, Bollati Boringhieri, 2019. 78 Francesco Morabito, A destra nella “Destra Tagliamento, cit., pp. 50-51. 79 Ivi, p. 55. Sottolineature mie.