Fatto e diritto seguito si indicheranno, anche in danno dei terzi interessati (omissis) (figli e...
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Fatto e diritto
In data 29 gennaio/19 maggio 2016 il Tribunale di Reggio Calabria- Sez.
Mis. Prev.- rigettava la proposta di applicazione di misura personale nei
confronti di (omissis) e disponeva la confisca dei beni già in sequestro che
di seguito si indicheranno, anche in danno dei terzi interessati (omissis) (figli
e coniuge del proposto) e (omissis) srl, in persona dei soci (omissis):
a) imprese e partecipazioni societarie
1) Intero Patrimonio Aziendale della “(omissis)” (P.Iva n. (omissis)), compresi i conti
correnti e gli immobili intestati alla stessa;
2) Quota del 50% di proprietà di (omissis) detenuta nella “(omissis)Srl” (Cf. (omissis)), con
sede in Mosciano Sant’Angelo (TE), Via (omissis);
3) Intero Capitale Sociale e Patrimonio Aziendale (compresi i conti correnti e gli immobili
intestati alla stessa, elencati nella nota n. (omissis) del 12.11.2013 redatta dalla Dia in sede di
esecuzione del sequestro) della “(omissis) S.r.l.” (Cf. (omissis)), con sede in Mosciano
Sant’Angelo (TE), Via (omissis);
4) Quota pari al 44,52% del capitale sociale (del valore in azioni di euro 5.755.848,00)
detenuta da (omissis) nella “(omissis) Spa” (Cf. (omissis)), con sede in Mosciano Sant’Angelo
(TE), (omissis), in concordato preventivo.
5) Intero Capitale Sociale e Patrimonio Aziendale (compresi i conti correnti e gli
immobili intestati alla stessa elencati nella nota n. (omissis) del 12.11.2013 redatta dalla Dia in
sede di esecuzione del sequestro) della “(omissis) Srl” (Cf. (omissis)), con sede in Mosciano
Sant’Angelo (TE), Via (omissis);
6) Intero Capitale Sociale e Patrimonio Aziendale della “(omissis) Srl” (Cf. (omissis)),
con sede in Gioia Tauro (RC), Via (omissis), costituita in data 12.12.1996, compresi i conti
correnti e gli immobili intestati alla stessa elencati nella nota n. (omissis) del 12.11.2013 redatta
dalla Dia in sede di esecuzione del sequestro ed oggetto del sequestro integrativo n. (omissis)
(fabbricato in Gioia Tauro (omissis)) ;
7) Intero Patrimonio Aziendale (compresi i conti correnti e gli immobili intestati alla
stessa) della Ditta Individuale (omissis) (P.iva (omissis)), avvio attività il 3.1.1996, con sede in
Gioia Tauro (RC), Via (omissis), esercente l’attività di “colture olivicole”;
8) Quota di di proprietà di (omissis), detenuta nella “(omissis) Srl” (Cf. (omissis)), con sede in
Gioia Tauro (RC), Via (omissis);
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9) Intero Capitale Sociale e Patrimonio Aziendale (compresi i conti correnti e gli immobili
intestati alla stessa elencati nella nota n. (omissis)del 12.11.2013 redatta dalla Dia in sede di
esecuzione del sequestro ) della “(omissis)Srl” (Cf. (omissis)), costituita con atto del 11.02.2002
con sede in Mosciano S. Angelo (TE), Via (omissis);
10) Intero Patrimonio (compresi i conti correnti e gli immobili intestati alla stessa)
dell’Azienda Agricola (omissis) (P.iva (omissis)), con sede in Giulianova (TE), Via (omissis),
esercente l’attività di “colture olivicole” e con unità locale sita nel Comune di Borgia (CZ),
località (omissis), adibita a deposito di carburante per uso agricolo;
11) Quota del 23% del Capitale Sociale di proprietà di (omissis) della “(omissis) Srl” (Cf.
(omissis)), con sede in Mosciano Sant’Angelo (TE), (omissis);
12) Quota di euro 2.400,00 di proprietà di (omissis) (pari al 24% del capitale sociale) e quota
di euro 2.300,00 di proprietà di (omissis) (pari al 23% del capitale sociale) detenute nella “(omissis)
Srl” (Cf. (omissis)), con sede in Mosciano Sant’Angelo (TE), Via (omissis);
13) Intero Capitale Sociale e Patrimonio Aziendale (compresi i conti correnti e gli immobili
intestati alla stessa, di cui alla nota Dia n. (omissis)) della (omissis)Srl (Cf. (omissis)), costituita in
data 30.05.2006, con sede a Gioia Tauro (RC), Via (omissis), con Capitale Sociale di 10.000,00
così suddiviso: (omissis): 50% (5.000,00); (omissis): 50% (5.000,00);
14) Quota di minoranza corrispondente a lire 9.600.000 (e relativa porzione del patrimonio
aziendale) di proprietà di (omissis), detenuta nella “(omissis) Sas, di (omissis)” (Cf. (omissis), con
sede in Giulianova (TE), (omissis);
15) Intero Patrimonio, compresi i conti correnti e gli immobili intestati alla stessa,
dell’Azienda Agricola (omissis) (P.iva (omissis)), con sede in Giulianova (TE), Via (omissis),
b)immobili
1) unità immobiliari site in Gioia Tauro (RC), (omissis), conferiti da (omissis) nel fondo
patrimoniale familiare [Cfr. Nota di trascrizione nr. (omissis Reg. Part. del 23.06.2006 (Uff. Prov.
di Reggio Calabria)];
2) unità immobiliare sita in Gioia Tauro (RC), (omissis) conferito da (omissis)nel fondo
patrimoniale familiare [Cfr. Nota di trascrizione nr. (omissis) Reg. Part. del 23.06.2006 (Uff. Prov.
di Reggio Calabria)];
3) terreni, di natura uliveto, (omissis), conferiti da (omissis) nel fondo patrimoniale familiare
[Cfr. Nota di trascrizione nr. (omissis) Reg. Part. del 23.06.2006 (Uff. Prov. di Reggio Calabria)];
3
4) terreno sito in località (omissis) del Comune di Gioia Tauro, (omissis), conferito da
(omissis)nel fondo patrimoniale familiare [Cfr. Nota di trascrizione nr. (omissis) Reg. Part. del
23.06.2006 (Uff. Prov. di Reggio Calabria)];
5) terreni agricoli, siti in Melicuccà (RC), (omissis) conferiti da (omissis) nel fondo
patrimoniale familiare [Cfr. Nota di trascrizione nr. (omissis) Reg. Part. del 23.06.2006 (Uff. Prov.
di Reggio Calabria)];
6) fabbricato, sito in Gioia Tauro (RC), (omissis), di proprietà di (omissis) [Cfr. Nota di
trascrizione nr. (omissis) Reg. Part. del 28.12.2007 (Uff. Prov. di Reggio Calabria)];
7) terreni, siti in Melicuccà (RC), (omissis) di proprietà di (omissis) [Cfr. Nota di trascrizione
nr. (omissis) Reg. Part. del 06.08.2009 (Uff. Prov. di Reggio Calabria)];
8) terreni, siti in Melicuccà (RC), (omissis), di proprietà di (omissis) [Cfr. Nota di trascrizione
nr. (omissis) Reg. Part. del 06.08.2009 (Uff. Prov. di Reggio Calabria)];
9) fabbricato, sito in Melicuccà (RC), (omissis) di proprietà di (omissis) [Cfr. Nota di
trascrizione nr. (omissis) Reg. Part. del 03.05.2002 (Uff. Prov. di Reggio Calabria)];
10) fabbricato, sito in Gioia Tauro (RC), (omissis), conferito da (omissis) nel fondo
patrimoniale familiare [Cfr. Nota di trascrizione nr. (omissis) Reg. Part. del 23.06.2006 (Uff. Prov.
di Reggio Calabria)];
c)beni mobili registrati:
1) Fiat Ducato targato (omissis), immatricolato nell’anno 2009, acquistato da (omissis) in data
01.06.2010;
2) Fiat Ducato targato (omissis), immatricolato nell’anno 2009, acquistato da (omissis)in data
01.06.2010;
d) rapporti finanziari:
1) conto corrente n. (omissis) presso filiale Reggio Calabria Ag. 1 della Banca Monte
dei Paschi di Siena intestato a (omissis) con saldo pari a €.10.024,67;
2) conto corrente n. (omissis) presso filiale Reggio Calabria Ag. 1 della Banca Monte
dei Paschi di Siena con saldo di €.10.526,53, intestato a (omissis);
3) conto corrente n. (omissis) presso filiale Reggio Calabria Ag. 1 della Banca Monte dei
Paschi di Siena con saldo di €. 1476,00, intestato a (omissis);
e) titoli
4
1) Titoli intestati a (omissis), (concernenti il diritto alla percezione degli aiuti
comunitari), iscritti nel Registro Nazionale Titoli:
Nr. progr. Importo €. Titolo Superficie (Ha)
1 2.434,58 (omissis) 1,00
2 170,42 (omissis) 0,07
3 1.685,70 (omissis) 1,00
4 1.685,70 (omissis) 1,00
5 1.685,70 (omissis) 1,00
6 1.685,70 (omissis) 1,00
7 1.685,70 (omissis) 1,00
8 1.685,70 (omissis) 1,00
9 1.685,70 (omissis) 1,00
10 1.685,70 (omissis) 1,00
11 1.685,70 (omissis) 1,00
2)i seguenti titoli intestati a (omissis), (concernenti il diritto alla percezione degli aiuti
comunitari), iscritti nel Registro Nazionale Titoli:
Nr. progr. Importo €. Titolo Superficie (Ha)
4.355,57 (omissis) 1,00
4.355,57 (omissis) 1,00
4.355,57 (omissis) 1,00
4.355,57 (omissis) 1,00
4.355,57 (omissis) 1,00
4.355,57 (omissis) 1,00
4.355,57 (omissis) 1,00
4.355,57 (omissis) 1,00
4.355,57 (omissis) 1,00
4.355,57 (omissis) 1,00
4.355,57 (omissis) 1,00
4.355,57 (omissis) 1,00
4.355,57 (omissis) 1,00
4.355,57 (omissis) 1,00
4.355,57 (omissis) 1,00
5
4.355,57 (omissis) 1,00
4.355,57 (omissis) 1,00
4.355,57 (omissis) 1,00
4.355,57 (omissis) 1,00
4.355,57 (omissis) 1,00
4.355,57 (omissis) 1,00
4.355,57 (omissis) 1,00
4.355,57 (omissis) 1,00
4.355,57 (omissis) 1,00
4.355,57 (omissis) 1,00
4.355,57 (omissis) 1,00
4.355,57 (omissis) 1,00
4.355,57 (omissis) 1,00
4.355,57 (omissis) 1,00
4.355,57 (omissis) 1,00
4.355,57 (omissis) 1,00
4.355,57 (omissis) 1,00
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4.355,57 (omissis) 1,00
4.355,57 (omissis) 1,00
4.355,57 (omissis) 1,00
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4.355,57 (omissis) 1,00
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4.355,57 (omissis) 1,00
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4.355,57 (omissis) 1,00
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4.355,57 (omissis) 1,00
4.355,57 (omissis) 1,00
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4.355,57 (omissis) 1,00
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4.355,57 (omissis) 1,00
4.355,57 (omissis) 1,00
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4.355,57 (omissis) 1,00
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4.355,57 (omissis) 1,00
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4.355,57 (omissis) 1,00
4.355,57 (omissis) 1,00
4.355,57 (omissis) 1,00
4.355,57 (omissis) 1,00
4.355,57 (omissis) 1,00
4.355,57 (omissis) 1,00
4.355,57 (omissis) 1,00
4.355,57 (omissis) 1,00
4.355,57 (omissis) 1,00
4.355,57 (omissis) 1,00
4.355,57 (omissis) 1,00
4.355,57 (omissis) 1,00
4.355,57 (omissis) 1,00
4.355,57 (omissis) 1,00
7
4.355,57 (omissis) 1,00
4.355,57 (omissis) 1,00
4.355,57 (omissis) 1,00
4.355,57 (omissis) 1,00
4.355,57 (omissis) 1,00
4.355,57 (omissis) 1,00
4.355,57 (omissis) 1,00
4.355,57 (omissis) 1,00
4.355,57 (omissis) 1,00
4.355,57 (omissis) 1,00
4.355,57 (omissis) 1,00
4.355,57 (omissis) 1,00
4.355,57 (omissis) 1,00
4.355,57 (omissis) 1,00
4.355,57 (omissis) 1,00
4.355,57 (omissis) 1,00
4.355,57 (omissis) 1,00
4.355,57 (omissis) 1,00
4.355,57 (omissis) 1,00
4.355,57 (omissis) 1,00
4.355,57 (omissis) 1,00
4.355,57 (omissis) 1,00
4.355,57 (omissis) 1,00
4.355,57 (omissis) 1,00
4.355,57 (omissis) 1,00
4.355,57 (omissis) 1,00
4.355,57 (omissis) 1,00
4.355,57 (omissis) 1,00
4.355,57 (omissis) 1,00
4.355,57 (omissis) 1,00
4.355,57 (omissis) 1,00
4.355,57 (omissis) 1,00
4.355,57 (omissis) 1,00
4.355,57 (omissis) 1,00
8
4.355,57 (omissis) 1,00
4.355,57 (omissis) 1,00
4.355,57 (omissis) 1,00
4.355,57 (omissis) 1,00
4.355,57 (omissis) 1,00
4.355,57 (omissis) 1,00
4.355,57 (omissis) 1,00
4.355,57 (omissis) 1,00
4.355,57 (omissis) 1,00
4.355,57 (omissis) 1,00
4.355,57 (omissis) 1,00
4.355,57 (omissis) 1,00
4.355,57 (omissis) 1,00
4.355,57 (omissis) 1,00
4.355,57 (omissis) 1,00
4.355,57 (omissis) 1,00
4.355,57 (omissis) 1,00
4.355,57 (omissis) 1,00
1.685,70 (omissis) 1,00
1.685,70 (omissis) 1,00
1.685,70 (omissis) 1,00
1.685,70 (omissis) 1,00
3) i seguenti titoli intestati a (omissis) (concernenti il diritto alla percezione degli aiuti
comunitari), iscritti nel Registro Nazionale Titoli:
Nr. Progr. Importo €. Titolo Superficie (Ha)
1. 3.826,58 (omissis) 1,00
2. 3.826,58 (omissis) 1,00
3. 3.826,58 (omissis) 1,00
4. 3.826,58 (omissis) 1,00
5. 3.826,58 (omissis) 1,00
6. 3.826,58 (omissis) 1,00
7. 3.826,58 (omissis) 1,00
9
8. 3.826,58 (omissis) 1,00
9. 3.826,58 (omissis) 1,00
10. 3.826,58 (omissis) 1,00
11. 3.826,58 (omissis) 1,00
12. 3.826,58 (omissis) 1,00
13. 3.826,58 (omissis) 1,00
14. 3.826,58 (omissis) 1,00
15. 3.826,58 (omissis) 1,00
16. 3.826,58 (omissis) 1,00
17. 3.826,58 (omissis) 1,00
18. 3.826,58 (omissis) 1,00
19. 3.826,58 (omissis) 1,00
20. 3.826,58 (omissis) 1,00
21. 3.826,58 (omissis) 1,00
22. 3.826,58 (omissis) 1,00
23. 3.826,58 (omissis) 1,00
24. 3.826,58 (omissis) 1,00
25. 3.826,58 (omissis) 1,00
26. 3.826,58 (omissis) 1,00
27. 3.826,58 (omissis) 1,00
28. 3.826,58 (omissis) 1,00
29. 3.826,58 (omissis) 1,00
30. 3.826,58 (omissis) 1,00
31. 3.826,58 (omissis) 1,00
32. 3.826,58 (omissis) 1,00
33. 3.826,58 (omissis) 1,00
34. 3.826,58 (omissis) 1,00
35. 3.826,58 (omissis) 1,00
36. 3.826,58 (omissis) 1,00
37. 3.826,58 (omissis) 1,00
38. 3.826,58 (omissis) 1,00
39. 3.826,58 (omissis) 1,00
40. 3.826,58 (omissis) 1,00
41. 3.826,58 (omissis) 1,00
10
42. 3.826,58 (omissis) 1,00
43. 3.826,58 (omissis) 1,00
44. 3.826,58 (omissis) 1,00
45. 3.826,58 (omissis) 1,00
46. 3.826,58 (omissis) 1,00
47. 3.826,58 (omissis) 1,00
48. 3.826,58 (omissis) 1,00
49. 3.826,58 (omissis) 1,00
50. 3.826,58 (omissis) 1,00
51. 3.826,58 (omissis) 1,00
52. 3.826,58 (omissis) 1,00
53. 3.826,58 (omissis) 1,00
54. 3.826,58 (omissis) 1,00
55. 3.826,58 (omissis) 1,00
56. 3.826,58 (omissis) 1,00
57. 3.826,58 (omissis) 1,00
58. 3.826,58 (omissis) 1,00
59. 3.826,58 (omissis) 1,00
60. 3.826,58 (omissis) 1,00
61. 3.826,58 (omissis) 1,00
62. 3.826,58 (omissis) 1,00
63. 3.826,58 (omissis) 1,00
64. 3.826,58 (omissis) 1,00
65. 3.826,58 (omissis) 1,00
66. 3.826,58 (omissis) 1,00
67. 3.826,58 (omissis) 1,00
68. 3.826,58 (omissis) 1,00
69. 3.826,58 (omissis) 1,00
70. 3.826,58 (omissis) 1,00
71. 3.826,58 (omissis) 1,00
72. 3.826,58 (omissis) 1,00
73. 3.826,58 (omissis) 1,00
74. 3.826,58 (omissis) 1,00
75. 3.826,58 (omissis) 1,00
11
76. 3.826,58 (omissis) 1,00
77. 4.626,67 (omissis) 1,00
78. 4.626,67 (omissis) 1,00
79. 4.626,67 (omissis) 1,00
80. 4.626,67 (omissis) 1,00
81. 4.626,67 (omissis) 1,00
82. 4.626,67 (omissis) 1,00
83. 4.626,67 (omissis) 1,00
84. 4.626,67 (omissis) 1,00
85. 4.626,67 (omissis) 1,00
86. 4.626,67 (omissis) 1,00
87. 4.626,67 (omissis) 1,00
88. 4.626,67 (omissis) 1,00
89. 4.626,67 (omissis) 1,00
90. 4.626,67 (omissis) 1,00
91. 4.626,67 (omissis) 1,00
92. 4.626,67 (omissis) 1,00
93. 4.626,67 (omissis) 1,00
94. 4.626,67 (omissis) 1,00
95. 4.626,67 (omissis) 1,00
96. 4.626,67 (omissis) 1,00
97. 4.626,67 (omissis) 1,00
98. 4.626,67 (omissis) 1,00
99. 4.626,67 (omissis) 1,00
100. 4.626,67 (omissis) 1,00
101. 4.626,67 (omissis) 1,00
102. 4.626,67 (omissis) 1,00
103. 4.626,67 (omissis) 1,00
104. 4.626,67 (omissis) 1,00
105. 4.626,67 (omissis) 1,00
106. 4.626,67 (omissis) 1,00
107. 4.626,67 (omissis) 1,00
108. 4.626,67 (omissis) 1,00
109. 4.626,67 (omissis) 1,00
12
110. 4.626,67 (omissis) 1,00
111. 4.626,67 (omissis) 1,00
112. 4.626,67 (omissis) 1,00
113. 4.626,67 (omissis) 1,00
114. 4.626,67 (omissis) 1,00
115. 4.626,67 (omissis) 1,00
116. 4.626,67 (omissis) 1,00
117. 4.626,67 (omissis) 1,00
118. 4.626,67 (omissis) 1,00
119. 4.626,67 (omissis) 1,00
120. 4.626,67 (omissis) 1,00
121. 4.626,67 (omissis) 1,00
122. 4.626,67 (omissis) 1,00
123. 4.626,67 (omissis) 1,00
124. 4.626,67 (omissis) 1,00
125. 4.626,67 (omissis) 1,00
126. 4.626,67 (omissis) 1,00
127. 4.626,67 (omissis) 1,00
128. 4.626,67 (omissis) 1,00
129. 4.626,67 (omissis) 1,00
130. 4.626,67 (omissis) 1,00
131. 4.626,67 (omissis) 1,00
132. 4.626,67 (omissis) 1,00
133. 4.626,67 (omissis) 1,00
134. 4.626,67 (omissis) 1,00
135. 4.626,67 (omissis) 1,00
136. 4.626,67 (omissis) 1,00
137. 4.626,67 (omissis) 1,00
138. 4.626,67 (omissis) 1,00
139. 4.626,67 (omissis) 1,00
140. 4.626,67 (omissis) 1,00
141. 4.626,67 (omissis) 1,00
142. 4.626,67 (omissis) 1,00
143. 4.626,67 (omissis) 1,00
13
144. 4.626,67 (omissis) 1,00
145. 4.626,67 (omissis) 1,00
146. 4.626,67 (omissis) 1,00
147. 4.626,67 (omissis) 1,00
148. 4.626,67 (omissis) 1,00
149. 4.626,67 (omissis) 1,00
150. 4.626,67 (omissis) 1,00
151. 4.626,67 (omissis) 1,00
152. 4.626,67 (omissis) 1,00
153. 4.626,67 (omissis) 1,00
154. 4.626,67 (omissis) 1,00
155. 4.626,67 (omissis) 1,00
156. 4.626,67 (omissis) 1,00
157. 4.626,67 (omissis) 1,00
158. 4.626,67 (omissis) 1,00
159. 4.626,67 (omissis) 1,00
160. 4.626,67 (omissis) 1,00
161. 4.626,67 (omissis) 1,00
162. 4.626,67 (omissis) 1,00
163. 4.626,67 (omissis) 1,00
164. 4.626,67 (omissis) 1,00
165. 4.626,67 (omissis) 1,00
166. 4.626,67 (omissis) 1,00
167. 4.626,67 (omissis) 1,00
168. 4.626,67 (omissis) 1,00
169. 4.626,67 (omissis) 1,00
170. 4.626,67 (omissis) 1,00
171. 4.626,67 (omissis) 1,00
172. 4.626,67 (omissis) 1,00
173. 4.626,67 (omissis) 1,00
174. 4.626,67 (omissis) 1,00
175. 4.626,67 (omissis) 1,00
176. 4.626,67 (omissis) 1,00
177. 4.626,67 (omissis) 1,00
14
178. 4.626,67 (omissis) 1,00
179. 4.626,67 (omissis) 1,00
180. 4.626,67 (omissis) 1,00
181. 4.626,67 (omissis) 1,00
182. 4.626,67 (omissis) 1,00
183. 4.626,67 (omissis) 1,00
184. 4.626,67 (omissis) 1,00
185. 4.626,67 (omissis) 1,00
186. 4.626,67 (omissis) 1,00
187. 4.626,67 (omissis) 1,00
188. 4.626,67 (omissis) 1,00
189. 3.826,58 (omissis) 1,00
190. 3.826,58 (omissis) 1,00
191. 3.826,58 (omissis) 1,00
192. 3.826,58 (omissis) 1,00
193. 3.826,58 (omissis) 1,00
194. 3.826,58 (omissis) 1,00
195. 3.826,58 (omissis) 1,00
196. 3.826,58 (omissis) 1,00
197. 3.826,58 (omissis) 1,00
198. 3.826,58 (omissis) 1,00
199. 3.826,58 (omissis) 1,00
200. 3.826,58 (omissis) 1,00
201. 3.826,58 (omissis) 1,00
202. 4.626,67 (omissis) 1,00
203. 4.626,67 (omissis) 1,00
204. 4.626,67 (omissis) 1,00
205. 4.626,67 (omissis) 1,00
206. 4.626,67 (omissis) 1,00
207. 4.626,67 (omissis) 1,00
208. 4.626,67 (omissis) 1,00
209. 4.626,67 (omissis) 1,00
210. 3.284,94 (omissis) 0,71
211. 4.355,57 (omissis) 1,00
15
212. 4.355,57 (omissis) 1,00
213. 4.355,57 (omissis) 1,00
214. … 3.826,58 (omissis) 1,00
215. 420,92 (omissis) 0,11
216. 1.685,22 (omissis) 1,00
217. 1.685,22 (omissis) 1,00
218. 1.685,22 (omissis) 1,00
219. 1.685,22 (omissis) 1,00
220. 1.685,22 (omissis) 1,00
221. 1.685,22 (omissis) 1,00
222. 1.685,22 (omissis) 1,00
223. 1.685,22 (omissis) 1,00
224. 1.685,22 (omissis) 1,00
225. 1.685,22 (omissis) 1,00
226. 1.685,22 (omissis) 1,00
227. 1.685,22 (omissis) 1,00
228. 1.685,22 (omissis) 1,00
229. 1.685,22 (omissis) 1,00
230. 4.355,57 (omissis) 1,00
231. 4.355,57 (omissis) .1,00
232. 4.355,57 (omissis) 1,00
233. 4.355,57 (omissis) 1,00
234. 4.355,57 (omissis) 1,00
235. 4.355,57 (omissis) 1,00
Proponevano appello (omissis)e i terzi interessati (omissis).
Veniva fissata quindi udienza di trattazione del gravame, che subiva un
rinvio successivamente, essendo intervenuto il decesso del proposto, la
difesa depositava procura speciale e in relazione ai terzi interessati.
All’udienza del 28 aprile 2017 quindi, sulle conclusioni delle parti riportate
in verbale, la Corte riservava la decisione.
16
La Corte ritiene di premettere alla presente trattazione la riproposizione
integrale del decreto impugnato, sia sotto il preliminare aspetto della
eccepita incompetenza funzionale dell’AG reggina, sia altresì nella parte
personale che per il versante patrimoniale, al fine di una maggiore chiarezza
espositiva ed allo scopo di non obliterare alcuna delle emergenze fattuali,
probatorie e valutative espresse dal primo giudice, anche allo scopo di
meglio esplicitare le doglianze difensive poste con l’atto di gravame.
Decreto impugnato
Sulla proposta personale.
Il Collegio ritiene che, all’esito del lungo contraddittorio camerale, debba essere
confermato il giudizio di pericolosità sociale del proposto formulato in via incidentale nel
decreto di sequestro.
Tale conclusione è frutto di un ragionamento inferenziale complesso ed articolato
fondato su un puntuale esame critico delle pendenze giudiziarie che hanno interessato nel
tempo il proposto e dei loro sviluppi processuali, di cui si darà contezza nel corso della
motivazione dopo alcune preliminari considerazioni in diritto utili a “selezionare” le
condotte emerse nei diversi procedimenti penali per analoghe fattispecie di reato anche al
fine di definire temporalmente il perimetro valutativo della pericolosità prevenzionale
generica di (omissis) ai sensi dell’art.1 e art.4 lett. c) del D.Lgs.159/2011.
Nel decreto di sequestro, in esito alla breve ricostruzione delle
vicende processuali che fin dai primi anni ’80 hanno visto coinvolto
(omissis) (da solo o anche in concorso con altri componenti della sua
famiglia d’origine, e precisamente il padre (omissis) ed il fratello
(omissis)) e dell’ultimo procedimento pendente a carico del proposto,
era delineata la personalità pericolosa dell’(omissis) quale “imprenditore
che attraverso le sue società – emettendo o ricevendo fatture fittizie
(relative cioè ad operazioni inesistenti) o comunque creando
artificiosamente l’apparenza di operazioni economiche inesistenti – ha
ottenuto indebitamente, in modo ripetuto e costante nel tempo, per un
verso, consistenti risparmi d’imposta e, per altro verso, cospicui contributi
pubblici, riuscendo, in tal modo, a costruire realtà aziendali nel settore
oleario ed immobiliare che altrimenti, ossia nel rispetto della legalità, non
avrebbero raggiunto le attuali conformazioni”, sussumibile nella
17
categoria dei soggetti pericolosi di cui all’art. 4 lett.c del D.lgs. 159/2011
letto in coordinamento con l’art.1 lettere a e b del medesimo decreto, in
quanto “ abitualmente dedito a traffici delittuosi e comunque soggetto che
vive, anche in parte, con i proventi di attività delittuose”.
Gli elementi fondanti la valutazione espressa in sede cautelare sono stati tratti da
informative di reato redatte per lo più dalla Guardia di Finanza di varie parti del paese,
all’esito di complesse indagini e verifiche fiscali aventi ad oggetto società riconducibili al
proposto ed in generale a quella che vedremo essere la holding di fatto “(omissis)”, esitate
in plurimi procedimenti penali di cui, tuttavia, la gran parte, conclusisi con sentenze di
proscioglimento per intervenuta prescrizione, contenenti espresso riconoscimento
dell’impossibilità di pervenire a pronunce assolutorie nel merito, eccetto il procedimento
penale iscritto all’epoca della proposta al n. (omissis) RGNR della Procura della Repubblica
presso il Tribunale di Palmi e successivamente transitato a seguito di sentenza di
incompetenza al Tribunale di Teramo (n. (omissis) RGNR) dove è in corso di celebrazione
il dibattimento, in cui il proposto è imputato per associazione a delinquere finalizzata alla
commissione di plurimi reati di frode fiscale e truffa, perpetrati attraverso società aventi
sede legale in Abruzzo, ma di fatto radicate nel Comune di Gioia Tauro.
Ebbene proprio le risultanze probatorie di questa ultima operazione investigativa, che
ha disvelato un sofisticato meccanismo truffaldino ideato dal proposto con i suoi più stretti
congiunti, rappresentano a ben vedere il definitivo suggello di una risalente e pervicace
attitudine del proposto ad esercitare la propria attività di imprenditore nel settore oleario
mediante il sistematico ricorso a pratiche illecite consistenti nella emissione di fatture per
operazioni inesistenti e conseguente alterazione della contabilità aziendale finalizzate a
lucrare indebitamente contributi pubblici, via via affinatasi nel tempo e destinata a
procrastinarsi se non fosse stato interrotto il disegno criminoso dalla OCC emessa dal Gip
di Palmi il 26 luglio 2010.
Si procederà, dunque, partendo dall’analisi delle modalità di esercizio dell’attività
d’impresa avviata dal proposto agli inizi degli anni ’80 nel settore oleario, attraverso i dati
emergenti dai procedimenti penali via via succedutisi per poi soffermarsi sulla ricostruzione
dei “fatti” oggetto del procedimento penale attualmente pendente presso il Tribunale di
Teramo che –pur in assenza allo stato di un accertamento penale irrevocabile- saranno
oggetto di autonoma valutazione da parte di questo Tribunale in funzione del giudizio di
pericolosità che è chiamato a svolgere.
Comprendere la modalità con cui, senza soluzione di continuità, l’(omissis) ha
esercitato la professione d’imprenditore serve non solo a dare consistenza alla sua risalente
18
pericolosità sociale ma anche, e soprattutto, sul piano patrimoniale, a rivelare la reale natura
delle imprese costituite in virtù di quella modalità di agire.
Tuttavia, prima di scandagliare i singoli dati indiziari emergenti dalla corposa mole
degli atti giudiziari prodotti dall’organo proponente e successivamente acquisiti, va
preliminarmente ribadita la legittimazione dell’autorità proponente e la conseguente
competenza a decidere sulla proposta di questo Tribunale di prevenzione, già oggetto
di ordinanza collegiale resa all’udienza del 11 giugno 2014, facendo applicazione in
combinazione tra loro dei criteri elaborati dalla giurisprudenza di legittimità in punto di
"dimora" (da un lato) e del criterio di "selezione" dei plurimi fattori incidenti sulle
manifestazioni di pericolosità.
Posto che l’attribuzione della competenza si riferisce alla “dimora” del proposto (art.5
D.Lgs.159/2011), per costante orientamento espresso dalla Corte di legittimità ai fini
dell'individuazione della competenza territoriale nel procedimento di prevenzione occorre
aver riguardo non tanto alla residenza anagrafica o alla dimora del proposto nell’accezione
civilistica di tali concetti, ma ai luoghi in cui sono state poste in essere le manifestazioni di
pericolosità assunte come rilevanti agli effetti della formulazione della proposta (tra le
molte, Sez. 6, 14.4.2003, rv n. 225686).
Ciò deriva dalla stessa connotazione del giudizio di prevenzione non già come tipico
giudizio ricostruttivo di "un fatto", quanto come giudizio ricostruttivo di una "condizione
soggettiva", rappresentata dalla pericolosità dell'agire di una persona, risultando l'intera
disciplina -specie sul piano personale- finalizzata ad una "inibizione" verso il compimento
di ulteriori condotte pericolose.
Ebbene, nulla essendo stato innovato rispetto al passato (arg. dagli artt. 2, 1° comma, e
2 bis, 1° comma, della l. 575/65, 4 l. 1423/56 e 19 l. 152/75), per dimora deve intendersi lo
“spazio geografico-ambientale delle manifestazioni comportamentali della pericolosità
sociale del proposto”, ossia il luogo in cui il soggetto tenga comportamenti idonei a
costituire elementi sintomatici della sua pericolosità, “ivi trovando stimolo e copertura
delle sue attività illecite” (in tal senso, ex multis, Cass.penale, Sez. I, 4 marzo 1999, n. 1826;
cfr. anche ibidem, sez. V, 31 marzo 2010, n. 19067).
Nell'ipotesi di manifestazioni plurime di pericolosità che si verifichino in luoghi
diversi, la competenza si determina “là dove le condotte di tipo qualificato appaiano di
maggiore spessore e rilevanza” (Sez. U, Sentenza n. 33451 del 29/05/2014 Cc. ;
Cass.penale, Sez. Un., 3 luglio 1996, n. 18).
Orbene, nel delibare la questione di competenza, non può mancarsi di considerare la
natura peculiare della pericolosità su cui fonda la proposta: essa è direttamente connessa
19
alla qualità dell’(omissis) di imprenditore nel settore oleario estrinsecandosi attraverso l’uso
strumentale delle imprese a lui riconducibili, alcune attive nel medesimo settore, rispetto ad
un disegno che unisce in una trama unitaria un percorso illecito intrapreso ancor prima che
fosse acquisto il notevole materiale probatorio riversato nell’ultimo procedimento in corso
presso il Tribunale di Teramo.
Come si vedrà più dettagliatamente in sede di ricostruzione delle condotte illecite del
proposto, il luogo in cui l’(omissis) ha manifestato nel tempo i comportamenti socialmente
pericolosi di maggior rilevanza coincide con il territorio della provincia di Reggio Calabria,
riferendosi le condotte pericolose attribuite a (omissis) dall’Autorità proponente a fatti di
emissione o utilizzo di fatture per operazioni inesistenti, tutti (anche quelli che hanno dato
origine a procedimenti penali presso i Tribunali di Catania e di Trani) commessi attraverso
o comunque a vantaggio di imprese, esercitate dal proposto in forma individuale o
societaria, all’epoca aventi sede nel territorio di Gioia Tauro, dove è iniziata l’ascesa
imprenditoriale del proposto.
Anche le più recenti imputazioni, formulate a carico di (omissis)nell’ambito del
procedimento penale iscritto al n. (omissis) RGNR della Procura della Repubblica presso il
Tribunale di Palmi ed oggi transitato a Teramo, ruotano intorno ad una fattispecie di
associazione a delinquere finalizzata alla commissione di truffe, perpetrate attraverso
società aventi sede legale in Abruzzo, ma di fatto radicate nel Comune di Gioia Tauro.
Ivi, infatti, dalle emergenze investigative compendiate nell’ordinanza custodiale
emessa dal GIP presso il Tribunale di Palmi risultano collocati gli uffici amministrativi di
varie società che si trovano al centro del meccanismo truffaldino ben delineato nella
medesima OCC ((omissis) s.r.l., (omissis)s.r.l., (omissis) s.p.a.), la cui gestione era curata
direttamente dal proposto (e dai figli Matteo e Giovanni), erano intrattenuti rapporti bancari
privilegiati, oltre a risiedere molti dei soggetti partecipanti all’associazione contestata. Il
GIP di Palmi, affermando la propria competenza con riferimento sia al luogo d’avvio
dell’attività associativa sia al centro operativo dell’associazione medesima, condivideva
l’impostazione del Pm secondo cui “la genesi stessa dell’associazione (criterio utile ex art.
8 co. 3 c.p.p.) sia agevolmente riconducibile al circondario di Palmi, ove – non a caso – si
sono svolti o sono stati aperti, sul finire degli anni ’80, numerosi procedimenti penali
(omissis). E di questo genetico radicamento territoriale dell’associazione vi è ancora
chiara traccia ove si abbia riguardo alle relazioni con le filiali bancarie (sia con
riferimento ai movimenti registrati da parte delle cd. somme navetta, sia avuto riguardo al
“censimento” di tutte le imprese del “(omissis)” richiesto ed eseguito dalla filiale di Gioia
Tauro della Banca Popolare di Crotone S.r.l., benché aventi sede legale ed operativa
20
distribuita sul territorio nazionale), ai rapporti fiduciari e professionali con soggetti
residenti in questo circondario o in questa provincia (ad esempio la (omissis) S.r.l., i
(omissis)), alla stessa residenza anagrafica di gran parte degli indagati che hanno svolto
un ruolo direttivo nella vicenda o che fanno parte della famiglia (omissis))”.
Del resto, nel procedimento da ultimo indicato grava su (omissis), tra l’altro, anche
un’imputazione specifica di truffa ex art. 640 bis c.p. per l’effettiva percezione illecita,
attraverso la (omissis)s.r.l., della somma di euro 147.264,00 quale prima quota del
contributo pubblico concesso ai sensi della legge n. 488/92, ed il reato consumato è
contestato in Rosarno, dove è avvenuto l’incasso della prima quota di contributo (mentre
solo con riferimento al reato tentato la contestazione è effettuata in Mosciano Sant’Angelo,
sede legale della s.r.l.).
Nella OCC del Gip di Palmi, ancora, si evidenziava come anche dagli accertamenti
svolti nei confronti della (omissis)S.r.l. era emersa l’ubicazione della sede amministrativa
delle diverse società del “(omissis)” in Gioia Tauro (RC), via (omissis).
In particolare, si legge “È stato rilevato, infatti, come la dipendente (omissis) abbia
dichiarato in atti che “attualmente lavoro con la mansione di impiegata amministrativa
presso la (omissis)S.r.l., una società del “(omissis)”. In passato, ho lavorato sempre con
imprese della famiglia (omissis) e precisamente con la (omissis) S.p.a. (circa dal 2001 al
2005), con la (omissis)S.r.l. (dal luglio 2008 al marzo 2009), quindi dall’aprile del 2009
per la (omissis)S.r.l.. Nonostante i diversi “cambi” di società, la mia mansione è sempre
stata la stessa, ossia mi occupo di aspetti amministrativi (contabilità fatturazione,
pagamenti, ecc.) delle varie società della famiglia (omissis). La mia sede lavorativa è
sempre stata a Gioia Tauro (RC), via (omissis), presso gli uffici del “(omissis)”. In
considerazione che nessuna delle società sopra indicate (omissis) risulta avere una sede
amministrativa e/o unità locale in Gioia Tauro (RC), appare evidente, quindi, come – a
prescindere dalle sedi legali e/o gli indirizzi stabiliti per le diverse imprese del “(omissis)”
- la gestione amministrativa-finanziaria delle stesse sia di fatto curata presso gli uffici di
Gioia Tauro (RC), presso i quali si reca quotidianamente l’(omissis)e, molto
frequentemente, i di lui figli (omissis) (tale dato è emerso informalmente nel corso
dell’escussione a s.i.t. delle dipendenti della (omissis) S.r.l. indicate nella presente
CNR)..omissis…Quanto sopra, quindi, conferma l’ipotesi investigativa secondo la quale
l’effettiva “base operativa” dell’organizzazione criminale riconducibile alla famiglia
“(omissis)” sia localizzata proprio in Gioia Tauro (RC)”.
Anche la residenza anagrafica del proposto – che, sebbene da sola irrilevante ai fini che
occupano, può essere valorizzata, unitamente agli altri elementi sopra indicati, al fine di
21
individuare il centro degli interessi illeciti attribuiti al proposto - è rimasta fissata in Gioia
Tauro fino a tempi recenti (e certamente nel periodo al quale risalgono i fatti contestati), e
nel territorio della Provincia reggina insiste la gran parte del patrimonio fondiario del c.d.
“(omissis)”, detenuto dalla società (omissis) s.p.a..
La valutazione resiste alla declaratoria di incompetenza pronunciata dal Tribunale di
Palmi nel proc. pen. n. (omissis) RGNR con sentenza emessa in data 19 marzo 2014,
essendo diversi i canoni valutativi della competenza penale e di prevenzione.
Il Tribunale di Palmi, in particolare, dovendo attenersi ai criteri dettati per i casi di
connessione dall’art. 16 c.p.p. - che prevede la competenza del giudice del luogo in cui è
stato commesso il reato più grave fra quelli contestati (nella specie, quello associativo) - ha
ritenuto di non poter applicare la norma di cui all’art. 8, comma terzo, c.p.p., ritenendo che
non fosse possibile individuare in quella sede il luogo in cui aveva avuto inizio la
consumazione del reato ex art. 416 c.p. (valutazione, invero, non condivisa da questo
Collegio perché clamorosamente smentita dai dati oggettivi acquisiti), ed ha utilizzato i
criteri subordinati, individuando la competenza del Tribunale di Teramo sulla base del reato
commesso per primo, peraltro, da uno solo degli indagati ((omissis), fratello del proposto).
Per contro, nell’ambito dell’odierno procedimento di prevenzione, elementi decisivi in
ordine alla sussistenza di un unico centro organizzativo e decisionale (sintomaticamente
desumibile dalla gestione amministrativa unica delle varie società del gruppo, espressione
di un unico centro di interessi economici, a prescindere dalle diverse persone giuridiche
attraverso le quali si esprime) e al ruolo imprenditoriale da sempre esercitato dal proposto
in Gioia Tauro si traggono dalle considerazioni già già espresse dal Gip di Palmi, fondate
ovviamente su un materiale probatorio più ampio di quello del dibattimento, arricchite dei
dati che saranno esposti in prosieguo.
In sintesi, ritiene il Collegio che il centro di interessi del proposto è da sempre radicato
nel territorio della provincia di Reggio Calabria, ove ha avuto inizio quella che vedremo
essere una vera e propria strategia illecita di esercizio di impresa via via affinatasi nel corso
del ventennio attenzionato; né può sostenersi che le condotte per cui è attualmente processo
a Teramo siano la manifestazione più significativa di pericolosità, nonostante si proceda per
il reato di cui all’art.416 cp, poiché non si tratta di ipotesi associative previste dall’art.4 lett.
a) e b) D.Lgs.159/2011, bensì di associazione semplice che consente di collocare il proposto
nelle categorie previste dall’art.1 D.lgs.159/2011 e richiamate dall’art.4 lett.c (si rimanda a
Cass. Penale n.4175 del 2016).
Ritenuta la competenza territoriale di questo Tribunale, può passarsi al merito
della proposta personale.
22
Come è noto, alla stregua della autonomia del procedimento di prevenzione rispetto a
quello penale, il giudice della prevenzione può utilizzare ai fini della formulazione del
giudizio di pericolosità in virtù dell’appartenenza di un soggetto ad una delle categorie
legislative circostanze di fatto emergenti da procedimenti penali, anche prescindendo dalle
conclusioni alle quali il giudice penale è pervenuto; purché, a tali fini ed in ordine a tali
elementi, il giudice della prevenzione abbia effettuato un puntuale esame critico al fine di
affermare l'esistenza sul piano della realtà di quelle circostanze fattuali e di individuarne la
diretta incidenza sul giudizio di pericolosità sociale(Cass., Sez. 1^, 18 marzo 1994, Cass.,
Sez. 1^, 3 novembre 1995).
La non sovrapponibilità della prova nel giudizio penale alla “prova” per la prevenzione
è stata ripetutamente affermata dalla giurisprudenza di legittimità in quanto in linea con "le
profonde differenze, di procedimento e di sostanza" che è possibile intravedere tra le due
sedi, penale e di prevenzione: la prima ricollegata a un determinato fatto-reato oggetto di
verifica nel processo, a seguito dell'esercizio della azione penale; la seconda riferita a una
complessiva notazione di pericolosità, la quale è desumibile non solo da singoli fatti illeciti,
ma da un più ampio quadro di abitudini di vita, rapporti e frequentazioni.
Ne deriva che l'assenza di condanne o di sviluppi processuali delle varie pendenze
giudiziarie del proposto non può infirmare l'autonomia del giudizio di prevenzione purchè
si dia conto dello specifico rilievo dimostrativo, ai fini del giudizio di pericolosità, delle
circostanze di fatto non ontologicamente negate in sede penale ed emergenti dai
procedimenti penali a carico del proposto pendenti all’epoca della decisione.
Questo è l'unico limite (insieme, ovviamente, con quello di non avvalersi di prove
vietate: cfr. Cass. S.U. n. 13426 del 25.3.10, dep. 9.4.10) posto all'autonomia valutativa del
giudice della prevenzione: i fatti storici ritenuti sintomatici della pericolosità del proposto
non devono essere stati smentiti in sede di cognizione penale.
Senza ripercorrere il dibattito che ha avuto ad oggetto il sistema prevenzionale a causa
delle regole che ad esso presiedono, meno “garantiste” di quelle del processo penale, va
affermato che esso ha sempre superato il vaglio di costituzionalità (Corte Cost. ord. nn
368/1964, 721/1988 e sentenze n 465/1993, 487/1995, 335/1996, 21 e 216 del 2012) ed è
stato ritenuto legittimo dalla stessa CEDU (sentenza 22/02/1994, Raimondo; 04/09/2001
Riela; 05/07/2001, Arcuri; 05/01/2010, Bongiorno; 06/07/2011, Pozzi; 17/05/2011 Capitani
e Campanella), concentrandosi gradualmente gli sforzi nell'effettuare interpretazioni
costituzionalmente orientate di quelle norme maggiormente sospettate di essere in contrasto
con i valori costituzionali agganciando il giudizio di pericolosità alla oggettiva valutazione
di fatti -sintomatici della condotta abituale e del tenore di vita del soggetto- accertati in
23
modo da escludere valutazioni meramente soggettive ed incontrollabili da parte dell'autorità
proponente (Cass.Pen. 6613/2008).
Posto, dunque, che lo scrutinio di pericolosità sociale può fondare sia sugli stessi fatti
storici tratti da procedimenti penali, anche se non ancora definiti con sentenza irrevocabile
ed anche se non sfociati in una condanna e sia su altri fatti acquisiti o autonomamente
desunti nel giudizio di prevenzione (v. Sentenza n. 47764 del 06/11/2008;Cass., Sez. 5^, 31
maggio 2000, 21 ottobre 1999, Castelluccio; Cass., Sez. 1^, 12 gennaio 1999, Bonanno), il
giudizio di pericolosità espresso in sede di prevenzione va scisso nelle sue componenti
logiche in una prima fase di tipo "constatativo" alimentata in primis dall’apprezzamento di
"fatti" storicamente apprezzabili e costituenti a loro volta "indicatori" della possibilità di
iscrivere il soggetto proposto in una delle categorie criminologiche previste dalla legge.
Alla fase constatativa si unisce una seconda fase di tipo essenzialmente prognostico,
per sua natura fondata sui risultati della prima, tesa a qualificare come "probabile" il
ripetersi di condotte antisociali, inquadrate nelle categorie criminologiche di riferimento
previste dalla legge.
L'esistenza di tale duplice profilo consente - anche in chiave di rispetto dei valori
costituzionali di tutela dell'individuo - di adottare le limitazioni alla sfera di libertà del
soggetto raggiunto da tale prognosi, con l’applicazione della misura di prevenzione
personale, se del caso "congiunta" a misura patrimoniale, lì dove in ipotesi di pericolosità
tipica sussistente, ma non più attuale (sempre al momento della decisione di primo grado)
può essere, in presenza degli ulteriori presupposti di legge, applicata la misura patrimoniale
della confisca "disgiunta" (per tutte, Sez. U. n. 4880 del 2015, ric. Spinelli).
Il soggetto coinvolto in un procedimento di prevenzione viene dunque
ritenuto "pericoloso" o "non pericoloso" in rapporto al suo precedente agire
per come ricostruito attraverso le diverse fonti di conoscenza elevato ad
"indice rivelatore" della possibilità di compiere future condotte
perturbatrici dell'ordine sociale costituzionale o dell'ordine economico e
ciò in rapporto all'esistenza di precise disposizioni di legge che
"qualificano" le diverse categorie di pericolosità tipizzate attualmente dal
D.Lgs. 6 settembre 2011, n. 159, art. 1 e art. 4 (sul tema si veda ex multis
Sez. 1 n. 23641 del 11.2.2014, rv 260104).
Considerato che le indicazioni del legislatore sono "tipizzanti" e dunque tassative,
iniziando dalla parte constatativa o ricostruttiva del giudizio di prevenzione va apprezzato
il significato delle previsioni utilizzate dall’autorità proponente come modello in cui calare
le condotte emerse nel tempo a carico del proposto: l’essere abitualmente dedito a traffici
24
delittuosi (art.1 lettera a) e il vivere abitualmente, anche in parte, dei proventi di attività
delittuose (D.Lgs. n. 159 del 2011, art. 1, comma 1, lett. b).
Tanto i “traffici delittuosi” quanto “l’attività delittuosa”, con il cui provento il
soggetto proposto si mantiene, sono stati oggetto nel tempo sin dalla legge 1423 del 1956
di interpretazioni estensive della giurisprudenza di merito, sicché questi non s’identificano
più esclusivamente nei classici delitti contro il patrimonio (rapina, furto, ricettazione) bensì
anche in quelle condotte imprenditoriali “moderne” di percezione di ingiusti vantaggi
patrimoniali, come la corruzione, la concussione, delitti in materia economica, tributaria o
fiscale.
Tale inquadramento, da operarsi sulla base di idonei elementi di fatto (ivi compreso il
riferimento alla condotta e al tenore di vita) richiede la verifica della realizzazione di attività
delittuose (importata da correlato procedimento penale o ricostruita in via autonoma in sede
di prevenzione) produttive di reddito illecito non episodica ma almeno caratterizzante un
significativo intervallo temporale della vita del proposto e la destinazione, alimento
parziale, di tali proventi al soddisfacimento dei bisogni di sostentamento della persona e del
suo eventuale nucleo familiare.
Non ignora il Tribunale il recente arresto giurisprudenziale secondo cui il principio
della "autonoma valutazione" opera anche in relazione a fatti desumibili da decisioni di
assoluzione ma solo nelle ipotesi di pericolosità qualificata di cui all’art.4 lettera a) del
D.lgs.159/2011 per la diversità ontologica della prova della condotta di appartenenza
mafiosa ai fini del giudizio di prevenzione rispetto alla prova della condotta partecipativa
in senso pieno (art. 416 bis) per cui le medesime circostanze di fatto (le frequentazioni
stabili con il soggetto mafioso, ad esempio) ben possono rappresentare indice rivelatore di
contiguità - ove accertate - pur se ritenute insufficienti a fondare una decisione affermativa
di penale responsabilità.
Diversamente, la Suprema Corte ha sostenuto nel settore della pericolosità "semplice"
di cui al D.Lgs. n. 159 del 2011, art. 1, ed in particolare per quanto riguarda l'ipotesi della
lettera b) non è possibile porre in essere, sul piano interpretativo ed in rapporto alla
osservanza del principio di tassatività e di quello, ancor più generale, di unitarietà
dell'ordinamento e di non contraddizione, una simile operazione di valorizzazione di fatti
per i quali sia intervenuta una pronuncia penale di assoluzione piena (Cass. Penale, Sez. 1,
Sentenza n. 31209 del 24/03/2015).
Osserva, infatti, il giudice di legittimità che imponendo la norma di riferimento di
constatare la ricorrente commissione di un delitto (attività delittuose) produttivo di reddito,
laddove la realizzazione del delitto sia stata esclusa in sede penale con una pronuncia
25
assolutoria- e ciò sia in rapporto all'elemento materiale che a quello psicologico, non
potendosi certo sostenere una sopravvivenza del disvalore di un delitto in assenza di dolo-
manca uno dei presupposti su cui lo stesso legislatore articola la costruzione della
fattispecie.
E tuttavia, il giudice di legittimità ha ribadito la possibilità per il giudice della
prevenzione di valutare autonomamente "fatti accertati" in sede penale che non abbiano
dato luogo a sentenza di condanna, anche dove si discuta dell'inquadramento del soggetto
proposto nella categoria di cui al D.Lgs. n. 159 del 2011, art. 1, comma 1, lett. B, in
presenza di sentenze di proscioglimento per intervenuta prescrizione (limite esterno alla
punibilità del fatto) “lì dove il fatto risulti delineato con sufficiente chiarezza nella
decisione di proscioglimento o sia comunque ricavabile in via autonoma dagli atti”.
In definitiva, è stato confermato il principio in base al quale l’unico limite all’autonomia
del giudizio di prevenzione è quello della negazione in sede penale, con pronunce
irrevocabili, di determinati fatti: ciò in quanto la negazione penale irrevocabile di un
determinato fatto impedisce di ritenerlo esistente e, quindi, di assumerlo come elemento
iniziale del giudizio di pericolosità sociale.
Fissati i principi cui si atterrà il Tribunale nel valutare il corposo materiale probatorio,
può passarsi a prendere in esame le numerose vicende giudiziarie che hanno riguardato il
proposto, seguendo un criterio temporale agganciato alla data di commissione dei reati
oggetto dei vari procedimenti penali tentando per tale via anche una ricostruzione storica
della genesi e dello sviluppo dell’attività imprenditoriale del proposto nell’esercizio della
quale l’Oliveri ha manifestato la sua pericolosità sociale.
1)Proc. pen. nr. (omissis) R.G.N.R. - Procura della Repubblica di
Palmi.
In data 25 giugno 1986 era avviata una verifica fiscale del Comando di Polizia
Tributaria di Reggio Calabria nei confronti della ditta individuale (omissis) con sede in
Gioia Tauro (costituita il 1.7.1981) scaturita dai controlli nei confronti della (omissis),
società di produzione di lattine per il confezionamento dell’olio di cui l’(omissis) era cliente,
dai quali era emerso che detta ultima società possedeva una doppia contabilità per le
operazioni di vendita di lattine con emissione di due fatture per ogni operazione riportanti
stesso numero e data di emissione ma diverso imponibile.
In esito ai controlli incrociati l’(omissis) era rinviato a giudizio dinnanzi al Tribunale
di Palmi con l’imputazione del delitto di cui all’art. 1, nn. 1 e 2, della L. 516/82 (“per avere
omesso di annotare nelle scritture contabili obbligatorie ai fini IVA, fatture per un
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ammontare di lire 3.015.159.406 relative all’anno 1985”), nonché del reato di cui all’art. 4
della L. 516/82 (per aver utilizzato fatture di acquisto per operazioni inesistenti al fine di
evadere l’IVA e le II.DD., nel periodo 1983 – 1985, contabilizzando l’acquisto dalla
“(omissis)” di 549.569 lattine pari a lire 442.388.640 più IVA, mentre di fatto risultavano
acquistate solamente 63.000 lattine”). Fatti accertati dalla Guardia di Finanza in data
24.10.1988.
Con sentenza n. (omissis), emessa dal Tribunale di Palmi in data 31.01.1996,
nell’ambito del proc. pen. iscritto al n. (omissis)RGNR il proposto è stato condannato alla
pena di anni 1 e mesi 6 di reclusione e 500.000 lire di multa, ravvisata la sussistenza di
inequivoca relazione di continuità criminosa tra i due reati per l’evidente identità del
disegno criminoso, sia pure con la concessione del beneficio della sospensione condizionale
della pena motivata in ragione della sostanziale incensuratezza all’epoca dell’imputato e la
previsione della futura astensione in futuro dalla commissione di altri reati, smentita dalle
numerose altre vicende che lo hanno visto coinvolto.
Dalla motivazione della sentenza emerge che, sebbene la Guardia di Finanza non avesse
potuto esaminare la documentazione amministrativo-contabile della ditta del proposto fino
al mese di ottobre 1985, tuttavia sulla base dei registri tenuti ai fini AIMA (nei quali sono
riportate le quantità di olio e dei contenitori acquistati nonché i quantitativi di olio
confezionati e venduti) ed alcuni tabulati fornitori esibiti dallo stesso (omissis)era stato
possibile ricostruire indirettamente il volume d’affari relativo alle attività di
imbottigliamento e commercio di olio esercitato dalla ditta “(omissis)”.
Dai controlli incrociati e da questionari inviati ai fornitori ed agli acquirenti risultanti
dalla predetta documentazione contabile era emerso che numerosi di essi non conoscevano
affatto la ditta “(omissis)” mentre altri avevano venduto e/o acquistato quantitativi di olio
inferiori rispetto a quelli che risultavano nei registri AIMA. Per tale via, venivano riscontrati
i rilievi effettuati presso la (omissis) relativi alla emissione di fatture maggiorate, “avuto
riguardo alla circostanza che le lattine acquistate fittiziamente dalla ditta (omissis)
servivano per dare riscontro ai quantitativi di olio corrispondenti, anch’essi in parte fittizi
alla luce di quanto era emerso dai suddetti accertamenti, che la ditta stessa aveva
contabilizzato nei registri Aima. In particolare, come risulta dal processo verbale di
constatazione, la ditta (omissis) aveva nel periodo compreso dal 1983 al 1985 annotato nei
registri Aima ed allegato alla dichiarazione annuale dei redditi le fatture fittizie emesse
dalla “(omissis)” per un numero complessivo di 549.569 lattine pari ad un costo imponibile
di lire 442.388.640 più IVA, mentre di fatto risultavano acquistate solamente 63.090 lattine.
La ditta (omissis), pertanto, aveva fatto risultare ed aveva contabilizzato, al fine di
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conseguire una indebita detrazione di imposta iva, le suddette fatture emesse dalla
Merlat”.
In data 23.01.2001 la Corte d’Appello di Reggio Calabria in riforma alla citata Sentenza
emessa dal Tribunale di Palmi in data 31.01.1996 assolveva l’(omissis) dai reati di omessa
annotazione di fatture nelle scritture contabili obbligatorie ai fini IVA perché il fatto non è
più previsto dalla legge come reato e dichiarava di non doversi procedere nei suoi confronti
in ordine al reato di utilizzazione di fatture di acquisto per operazioni inesistenti ai fini di
evasione perché estinto per intervenuta prescrizione.
2) Con rapporto penale nr. (omissis) del 14.4.1988 (allegato 6 alla proposta) il Nucleo
di Polizia Tributaria della Guardia di Finanza di Catania, trasmetteva a quella Procura della
Repubblica, denuncia nei confronti di (omissis), nato a (omissis), il (omissis), titolare
dell’omonima ditta individuale di commercio ambulante di generi alimentari, nonché nei
confronti di altri 11 soggetti, tra i quali (omissis), quale titolare della ditta omonima, il
fratello (omissis), quale amministratore unico della srl (omissis), e il padre (omissis), quale
titolare della omonima ditta individuale, per il reato di associazione a delinquere e truffa
aggravata ai danni dell’AIMA nonché utilizzazione di fatture per operazioni inesistenti.
Dalla denuncia in atti emerge che la Guardia di Finanza di Catania, nel corso di una
verifica fiscale iniziata il 10.09.1987, nei confronti della Ditta Individuale (omissis),
relativamente alle attività svolte negli anni 1984-1986, riscontrava che il (omissis) aveva di
fatto creato “una impresa esistente solo formalmente” (in quanto agli indirizzi riportati nei
documenti fiscali della citata ditta individuale, ossia fatture e bolle di accompagnamento
non esistevano locali idonei o destinati allo svolgimento dell’attività commerciale bensì
altre aziende o civili abitazioni, ruderi e indirizzi inesistenti) creata ad hoc al solo scopo di
far conseguire un indebito contributo comunitario a varie ditte di Gioia Tauro, produttrici e
imbottigliatrici di olio di oliva, tra cui quelle facenti capo ad (omissis)nonché ai citati
componenti della famiglia (omissis), tutte con sede in Gioia Tauro alla via (omissis).
Il dato significativo emergente dagli accertamenti svolti dalla PG nel corso
dell’indagine confluita nel predetto rapporto di denuncia è rappresentato dalla emissione da
parte della ditta facente capo al proposto di fatture per forniture fittizie in favore della citata
ditta inesistente del (omissis), di quintali 167,00 di olio che “fruttavano” all’(omissis)
indebiti contributi comunitari percepiti dall’AIMA nell’anno 1985 per £.16.043.690
(eguale truffa era perpetrata dalla ditta individuale del padre del proposto con un indebito
contributo AIMA pari a £.20.381.250 ed alla srl (omissis)amministrata dal fratello per lire
4.131.010).
28
In ordine a tali fatti, non è stato possibile rintracciare presso il Tribunale di Catania
documentazione attestante l’esito del procedimento incardinatosi a carico del proposto a
seguito della predetta denuncia, e tuttavia la sussistenza sotto il profilo oggettivo e
soggettivo della condotta illecita di emissione di fatture per operazioni inesistenti e truffa ai
danni dell’Aima può desumersi dalla sentenza del Tribunale di Catania, Seconda Sezione,
nr. (omissis) del 22.12.1993, esecutiva il 04.10.1994, con cui il (omissis) era condannato
alla pena di anni uno di reclusione e lire 6.000.000 di multa, oltre al pagamento delle spese
processuali, in ordine al reato di cui all’art.4, comma 1, nr.5 del D.L.429/1982, convertito
nella legge 516/1982, poiché nella qualità di titolare unico della ditta omonima esercente
l’attività di commercio ambulante di generi alimentari, nel 1985, ebbe ad utilizzare per la
propria contabilità fatture emesse da ditte di Gioia Tauro per la vendita al (omissis) di
quantitativi di olio di oliva per complessivi litri 133.541 per un imponibile di lire
402.754.890, senza essere in possesso né di licenza a vendere, né di mezzi per il trasporto
della merce, né di locali idonei al deposito della stessa, né di ogni struttura idonea per
l’esercizio dell’attività commerciale (in particolare, in (omissis)dove avrebbe dovuto avere
sede la ditta i locali sono stati sempre occupati da ditte esercenti l’attività di fotografo,
mentre in Via (omissis), dove l’olio di oliva risulterebbe essere stato depositato, si trova
l’abitazione della sorella del (omissis).
Così chiosava il Tribunale di Catania: “ è certo che in realtà le forniture di olio sono
meramente fittizie in quanto corrispondenti ad operazioni in realtà inesistenti e le fatture
sono state emesse per precostituire a favore del (omissis) una documentazione di
operazioni passive da utilizzare nella contabilità fiscale, e per consentire, a favore delle
ditte pretese fornitrici, un indebito conseguimento di contributo comunitario”.
E’ dunque certo che la ditta del (omissis) non esistesse (dunque fosse una società c.d.
cartiera) come è stato accertato dalla Gdf e che la ditta individuale del proposto (come quelle
del padre e del fratello) avesse emesso in favore della stessa fatture per operazioni di vendita
inesistenti, da ritenersi evidentemente fittizie e funzionali all’indebito ottenimento di
contributi comunitari (AIMA) per la commercializzazione dell’olio di oliva oltreché
all’evasione fiscale mediante indebita detrazione dell’iva sulle fatture per operazioni
inesistenti (f.o.i.).
3) Con decreto del 19.7.1996 (omissis) ed il padre, (omissis)erano rinviati a giudizio
davanti al Tribunale di Palmi, insieme ad altre quattro persone, per il reato di cui all’art.416
cp, “per essersi associati tra loro al fine di porre in essere un articolato circuito fraudolento
onde commettere più delitti, tra cui l’indebita percezione di aiuto comunitario, emissione
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ed utilizzazione di fatture per operazioni inesistenti e formazione di bolle accompagnatorie
ideologicamente false; reati specificatamente descritti nei successivi capi di imputazione;
accordo delittuoso permanente interrotto unicamente dalle indagini di P.G. esperite”.
Con sentenza nr. (omissis), emessa dal Tribunale di Palmi in data 11.06.2001, nel proc.
pen. nr. (omissis) R.G. presso la Procura della di Palmi, il Collegio –acquisite le sentenze
di non doversi procedere per intervenuta prescrizione emesse in relazione ai singoli reati
fine rientranti nel programma associativo ed in esito ad una istruttoria dibattimentale
esauritasi con l’escussione di un solo teste di PG- emetteva sentenza di non doversi
procedere per intervenuta prescrizione del reato associativo per cui si procedeva che
risultava essere stato consumato “fino al settembre del 1985” con conseguente maturare
della prescrizione decennale già prima del decreto di rinvio a giudizio. Dalla lettura della
motivazione si evince che il Tribunale, sentito quale teste il M.llo (omissis) il quale aveva
dichiarato che “l’attività di indagine da lui compiuta aveva disvelato l’esistenza di una
organizzazione illecita finalizzata alle frodi comunitarie ed alla commissione di violazioni
finanziarie poste in essere fino ad epoca non successiva al settembre 1985”, ha ritenuto
fondata la retrodatazione al 1985 della condotta associativa contestata, per cui escluse le
aggravanti per la mancata precisazione dei ruoli rivestiti dai singoli imputati nella
organizzazione, riteneva maturata la prescrizione.
4) Proc. pen. nr. (omissis) R.G.N.R. - Procura della Repubblica di Palmi .
Con decreto del 4 maggio 1993 del Gip di Palmi era disposto il rinvio a giudizio nei
confronti di (omissis), quale amministratore unico della (omissis) srl, e (omissis), quale
autotrasportatore della srl amministrata dal fratello, per il delitto previsto e punito agli
artt.110,112 n.1 cp, 4 p.5 L.516/1982, perché in concorso con altri “al fine di conseguire o
far conseguire ad altri un indebito rimborso IVA, utilizzavano ed emettevano fatture per
operazioni inesistenti di compravendita di n.89956 lattine contenitori di olio da litri cinque
per l’anno 1985”(capo A), nonché del delitto di truffa aggravata perché “con artifizi e
raggiri consistiti nell’utilizzare documenti comprovanti un fittizio acquisto di lattine
contenitori inducevano in errore la Pubblica Amministrazione circa il presunto acquisto di
litri 449.780 di olio, procurandosi in tal modo l’ingiusto profitto del contributo AIMA pari
a £.241.418.560” (Capo B). Fatti accertati in Gioia Tauro nel febbraio 1988 ma commessi
con riferimento al periodo 1984-1986.
Il procedimento penale, cui erano riuniti quelli n. (omissis) nei
confronti di (omissis) (soggetto già destinatario di misura di
prevenzione irrogatagli da questo Tribunale il 3.4.2013, confermata con
30
decreto della Corte d’appello n. (omissis) del 11.7.2014, quale
imprenditore del settore oleario dedito nell’esercizio della propria
attività alla violazione sistematica delle regole che sovraintendono al
corretto esercizio dell’attività economica, al fine di percepire ingiusti
profitti), scaturiva da un’attività di verifica e controllo ai fini IVA e delle
II.DD. effettuata dalla Guardia di Finanza nei confronti della “(omissis)
Srl” (amministrata da (omissis)ed alle cui dipendenze, in qualità di
autista figurava (omissis)) e di altra ditta “(omissis)” relativamente al
periodo compreso tra il 01.01.1983 ed il 25.06.1986, nonché nei confronti
della società “(omissis)” facente capo ai fratelli (omissis), nato a (omissis)
il (omissis) e (omissis), nato a (omissis) il (omissis), avente per oggetto la
produzione di lattine per il confezionamento e l’imbottigliamento
dell’olio d’oliva.
Il meccanismo truffaldino consisteva nella emissione da parte della
(omissis), per ogni operazione, di due distinte fatture riportanti lo stesso
numero progressivo e la stessa data di emissione ma diversi quantitativi
di merce venduta e, conseguentemente diverso importo imponibile,
consentendo così alla ditta (omissis) amministrata dal fratello del
proposto di dimostrare l’avvenuto confezionamento di un numero di
lattine superiore a quello effettivo ottenendo, pertanto, attraverso la
falsa attestazione (tramite l’alterazione delle scritture contabili) di un
volume d’affari superiore di gran lunga a quello realmente posto in
essere ingiusti profitti costituiti dai contributi all’integrazione per il
consumo erogati dall’AIMA nel settore della commercializzazione
dell’olio.
Con sentenza n. (omissis) il Tribunale di Palmi dichiarava non doversi procedere nei
confronti del proposto e del fratello per i reati di cui al capo A perché estinti in virtù di
prescrizione.
Osservava, tuttavia, il Tribunale che sulla base delle risultanze istruttorie non era
emersa con evidenza la prova dell’innocenza degli (omissis), in particolare era ritenuto non
credibile che (omissis) ignorasse di trasportare una quantità di lattine “considerevolmente
inferiore” a quella che veniva indicata sulle bolle di accompagnamento e relative ai viaggi
che lo stesso effettuava per conto della citata ditta del fratello da cui dipendeva (sebbene
già all’epoca titolare di una ditta propria), per cui la circostanza relativa alla sottoscrizione
da parte dello stesso delle bolle di accompagnamento della merce trasportata non consentiva
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di ritenere che non fosse consapevole di concorrere nel reato di emissione ed utilizzazione
di documentazione contabile per operazioni inesistenti. Ed ancora, il Tribunale
argomentava sulla fondatezza dell’assunto accusatorio valorizzando le risultanze delle
escussioni testimoniali disposte ai sensi dell’art.507 cpp volte ad accertare le quantità di
olio trattate dalla (omissis) da cui era emerso che molte delle ditte che risultavano dalla
documentazione in atti essere state clienti della predetta srl non avevano avuto rapporti
commerciali con la (omissis).
L’espediente criminoso è lo stesso oggetto del procedimento penale nr. (omissis)
R.G.N.R. - Procura della Repubblica di Palmi, di cui si è detto sopra a carico del proposto
quale titolare dell’omonima ditta individuale, a conferma della esistenza sin dai primi
anni’80 di una unica mente criminale riconducibile alla triade (omissis), che attraverso la
creazione contemporanea di ditte e società con lo stesso oggetto sociale (produzione e
commercializzazione di olio) ideavano programmi criminosi finalizzati al conseguimento
di ingiusti profitti (indebiti rimborsi iva e indebiti contributi aima) che poi erano reiterati
“in fotocopia” per tutte le società del gruppo (omissis), così moltiplicando l’effetto di
arricchimento illecito e con l’effetto di disorientare le indagini anche allungando i tempi
degli accertamenti fondati su controlli incrociati, ciò che gli ha di fatto garantito l’immunità
per prescrizione.
Quanto al reato di truffa di cui al capo B), il Tribunale –pur motivando sulla base delle
risultanze dibattimentali che la condotta che emergeva a carico delle ditte esaminate non
appariva limitata alla sola esposizione di dati e notizie false tese ad ottenere indebiti
contributi comunitari ma si concretizzava nella predisposizione di documentazione di
supporto non veritiera tale da indurre in errore gli organi di controllo comunitari
predisponendo l’apparenza di una situazione non conforme alla reale entità dei traffici
economici delle stesse- pronunciava sentenza di non doversi procedere per amnistia ex l.
n.75 del 1990, esclusa l’aggravante del danno di rilevante entità essendo emerso in
dibattimento che la percezione indebita di contributi era inferiore a quella contestata (circa
20 milioni di lire).
Appare significativo, nell’ottica di evidenziare l’agire illecito congiunto del proposto
con il padre ed il fratello e tramite le varie ditte e società nel tempo costituite, che anche
(omissis), padre di (omissis), è stato coinvolto nell’analogo procedimento definito con
Sentenza nr. (omissis)emessa dal Tribunale di Palmi in data 17.04.1996, nell’ambito del
proc. pen. nr. (omissis)R.G.N.R., nel quale risultava imputato del reato p.p. dall’art. 4 lettera
d) della L. 516/82 per aver utilizzato fatture fittizie d’acquisto della “(omissis) Srl” di lattine
(nr. 691.056) pari a lire 555.551.500 nel periodo 1983 – 1985, mentre di fatto risultavano
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acquistate solamente 80.278 lattine. Fatti accertati dalla Guardia di Finanza in data
07.08.1988.
5) In data 11 marzo 1996 il GIP di Trani emetteva ordinanza di custodia cautelare
n.113/96 nei confronti di (omissis)ed altri soggetti (tra cui il fratello (omissis)) ritenuta la
sussistenza di gravi indizi di colpevolezza in ordine ai reati frode fiscale, ricettazione e
truffa aggravata – fatti commessi tra il 1989 ed il 1993- nella qualità di socio responsabile
e gestore della società (omissis)- come contestati con l’ordinanza applicativa confermata in
sede di riesame del 19.4.1996 che riteneva sussistente l’esigenza cautelare di cui all’art.274
lett b solo per (omissis) per essersi questo sottratto alla esecuzione dell’ordinanza
rendendosi latitante.
In particolare, erano contestati ad (omissis), nella qualità anzidetta (ma anche al padre
(omissis), quale responsabile legale della (omissis)), plurimi reati ex art.4 n.5 L.516/1982
di utilizzazione, al fine di evadere l’imposta I.I.D.d. e per indebito rimborso Iva, di fatture
per operazioni inesistenti emesse dalle società di (omissis) relative a cessione di olio di oliva
vergine lampante, in realtà olio di nocciola, ma anche di ricettazione per avere acquistato
dalla (omissis) srl olio di nocciola recante a scorta fatture fittizie di vendita di olio di semi
vari grezzo diverso da quello indicato in fattura, oggetto del delitto di contrabbando
commesso dal Ribatti e consapevole della sua provenienza delittuosa, nonché di truffa
finalizzata a procurare a terzi con la ricettazione l’indebita percezione di contributi
comunali.
Il giorno precedente la sua costituzione ai Carabinieri di Gioia Tauro (RC), il G.I.P. del
Tribunale di Trani con ordinanza del 8.6.1996 disponeva la misura della custodia
domiciliare in luogo di quella in carcere, pur osservando che : “il sodalizio criminoso tra
(omissis) e (omissis) e gli altri coindagati non appare frutto di un estemporaneo accordo
criminoso risalente nel tempo ma una piattaforma affaristica destinata ad avere durata
indeterminata se non fossero intervenuti gli accadimenti prima cautelari e quindi
giurisdizionali (sentenza del Tribunale di Trani) che solo per singoli periodi hanno
interrotto temporaneamente l’illecite transazioni di olio”.
Significativi sono alcuno passaggi dell’ordinanza da ultimo richiamata (in atti)
laddove il GIP motiva approfonditamente sull’esistenza del pericolo di reiterazione a fronte
della accertata sistemizzazione delle condotte illecite di frodi fiscali e truffe concertata tra i
coindagati tutti con posizione di preminenza nel mercato dell’olio di oliva destinate a
frodare l’erario e la CEE, cagionando così un danno all’economia di settore, al punto da
osservare che “la condizione di latitanza dell’(omissis), appare quasi un dato trascurabile
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se non si riconnettesse con una riflessione in ordine alla possibilità che egli ha di muoversi
nel suo territorio impunemente (come attestano i certificati medici rilasciati a Messina) e
così di reiterare identiche condotte, ovvero di inquinare le prove sottraendo alle indagini
documenti che non possono ritenersi tautologicamente ed irrimediabilmente sottratti”. Solo
considerazioni giustiziali di analogo trattamento cautelare agli altri indagati ma anche lo
stato avanzato delle indagini, pur a fronte della gravità dei reati, induceva il Gip ad
accogliere l’istanza di sostituzione della custodia in carcere con gli arresti domiciliari da
eseguirsi in località compresa nel territorio del circondario del Tribunale di Trani,
osservando il GIP “Ciò che è necessario evitare, infatti, è che l’(omissis) continui di fatto
ad amministrare la (omissis)–società che non è fallita né è il liquidazione ed alla cui
amministrazione si alternano gli (omissis)”.
Dalla lettura del provvedimento restrittivo custodiale, circa i fatti ascritti a (omissis),
tra l’altro, contestati anche al padre (omissis), emerge che la vicenda processuale ruotava
attorno alla figura di (omissis) (cui faceva capo la (omissis) Srl di Barletta), il quale con
sentenza nr. (omissis) emessa il 17.11.1995 dal Tribunale di Trani era già stato giudicato
colpevole, unitamente ad altri due soggetti, dei reati di associazione per delinquere
finalizzata al falso, al contrabbando doganale di olio, alla truffa continuata in danno
dell’AIMA ed alla CEE nonché alla frode fiscale realizzata anche attraverso l’emissione di
false fatture. L’associazione organizzata dal (omissis), già delineatasi in occasione della
emissione della prima ordinanza applicativa della custodia in carcere del predetto -si legge-
era costituita su solide basi organizzative che prevedevano la costituzione di società
all’estero regolate da sistemi giuridici che sfuggivano al controllo della legislazione italiana
e che dovevano non solo essere destinatarie dell’olio vegetale importato di fatto da società
turche che transitava dai porto di Heraclion (Creta) e di quello del Pireo mediante documenti
doganali falsi (in quanto non soltanto mai rilasciati ma corrispondevano ad altri documenti
rilasciati per beni di diversa natura, ad es. legno, scatole di ferro esportate all’Etiopia,
tabacco lavorato proveniente dalla Grecia,etc.) ma anche il mezzo attraverso il quale il
Ribatti, beneficiando del pagamento delle forniture, costituì ingenti provviste di denaro
all’estero.
Nel prosieguo dell’indagine era emerso che le società greche, che figuravano essere
venditrici dell’olio di oliva alle società del (omissis), risultavano inesistenti e che di fatto,
l’olio trasportato in Italia era olio vegetale il quale durante il trasporto ed attraverso la
modifica e la falsificazione dei documenti di viaggio, si trasformava in olio di oliva.
Veniva accertato che presso la sede della (omissis) Srl erano pervenute, apparentemente
venduti a tale società, tonnellate di olio di semi ed il G.I.P., in merito, nel provvedimento
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restrittivo, evidenziava che l’olio di tale natura era stato introdotto all’interno della
(omissis)Srl ed era stato pagato attraverso rimesse sulle banche elvetiche e che certamente
vi era stato chi lo aveva acquistato per poi rivenderlo come “olio di oliva” percependo in
tal modo anche aiuti comunitari al consumo.
In effetti dall’indagine era emerso che per il pagamento in nero delle partite di olio
commercializzate, il (omissis) aveva acceso, presso Istituti di Credito elvetici, rapporti
bancari, sui quali confluivano parte delle somme di denaro relative alle citate transazioni
commerciali, tra i quali il conto denominato “(omissis)”, acceso dal (omissis) presso la
Hendelsfinanz HF CCF Bank di Ginevra, il quale, tra l’altro, è stato utilizzato per alimentare
il sottoconto acceso presso lo stesso istituto di credito svizzero ed intestato alla (omissis)
Srl facente capo alla famiglia (omissis) di Gioia Tauro (RC).
Quanto alle plurime attività illecite attribuite in concorso al (omissis)ed agli
(omissis)che agirono attraverso la (omissis) Srl, tra l’altro, si legge nell’OCC: “la
trattazione dei rapporti tra il (omissis) e gli (omissis), amministratori e soci della (omissis)
Srl appaiono al decidente quelli maggiormente finalizzati alla realizzazione dei reati
contestati che vanno dalla ricettazione, al contrabbando di olio, alla truffa ed a plurime
violazioni fiscali. La conoscenza tra il (omissis) ed (omissis) è attestata dai frequenti viaggi
che gli stessi compirono, tutti documentati dalla Guardia di Finanza: gli stessi infatti
alloggiarono insieme il 14 ed il 15 maggio 1991 presso il Grand Hotel di Roma, il 16 ed il
17 gennaio 1990 presso l’Hotel Hilton di Rotterdam (tornando in tale circostanza insieme
in aereo), il 18 gennaio 1990 al Palace Hotel di Varese, il 19 gennaio 1990 all’Hotel
Cassarate Lago, viaggi coincidenti con lo stringersi dei rapporti di natura illecita
riguardanti acquisti e forniture di olio, accreditamenti in nero su conti esteri, acquisti da
parte della (omissis) dalla (omissis) Srl di quantità di olio miscelato. Peraltro dalla
documentazione acquisita presso (omissis) –fiduciario del (omissis) e movimentatore dei
suoi conti all’estero- la Guardia di Finanza accerterà che presso la Hendelsfinanz HF CCF
Bank di Ginevra il (omissis) aveva aperto un conto contrassegnandolo con il nome di sua
figlia “(omissis)”. E’ stato il (omissis), poi, a rivelare che tale conto fu acceso dal (omissis)
allorquando la figlia raggiunse la maggiore età e che lo stesso fu dallo stesso (omissis)
utilizzato per effettuare pagamenti a fronte di acquisti di olio di nocciola dalla (omissis),
olio importato con falsa denominazione di “crude vegetable oli” (olio di semi grezzo).
Orbene, esaminando la documentazione bancaria acquisita dal (omissis), la Guardia di
Finanza accertò che presso lo stesso istituto di credito, dove operava la “(omissis)” –
società del (omissis) – era stato acceso un sottoconto a nome “(omissis)”, conto che lo
stesso (omissis) riferì alimentato da trasferimenti in denaro del conto “(omissis)” fino alla
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concorrenza di US$ 876.084. Circostanze che attestano una suddivisione di utili illeciti e
la costituzione di riserve di danaro all’estero anche da parte degli (omissis). Tali riserve –
che confluirono anche sui conti del (omissis) – sono rappresentate dalla vendita, a prezzo
inferiore, di un prodotto “olio di semi”, in luogo dell’altro reale, “olio di nocciola” di
prezzo superiore e con l’accredito della differenza di prezzo sui predetti conti”. Gli
inquirenti accertavano diverse transazioni intervenute tra la (omissis) LTD (società del
(omissis)) e la (omissis) (degli (omissis)), la cui natura era poi ricostruita attraverso
manoscritti sequestrati al (omissis) che riferì al P.M. che le annotazioni afferivano a
forniture di olio di nocciola fatti ad (omissis) al quale il (omissis) versava una provvigione,
riferendo altresì della esistenza di giacenze all’estero di “olio di semi grezzo”
dell’(omissis).
Le indagini consentivano di risalire ad accreditamenti da parte della stessa (omissis)
sul conto “(omissis)” di ingenti somme di denaro, oltre ai 600 milioni di lire, che il (omissis)
ha riferito versati in più soluzioni dall’(omissis) al (omissis) per contanti, somme che
rappresentavano la compensazione del prezzo effettivo del prodotto e, per una parte, l’utile
illecitamente conseguito.
Peraltro – si legge- l’illiceità delle transazioni tra la (omissis) la (omissis) sono
attestate, anche in relazione all’emissione di fatture per operazioni inesistenti e per vendite
di olio di oliva miscelato da una serie di dichiarazioni, puntualmente riscontrate
dall’acquisizione della documentazione fiscale alla quale va data la decifrazione offerta
dagli stessi informatori. Ha riferito, infatti, (omissis), impiegato della (omissis), di aver
visto (omissis), nei periodi in contestazione, cinque o sei volte, presso l‘opificio della
(omissis) per acquistare olio che, sulle fatture, era indicato come “olio di oliva lampante”,
mentre in realtà era olio di nocciola e di semi acquistato dal (omissis) dalle sue società
(omissis).
Analoghe dichiarazioni hanno reso il (omissis) e (omissis), addetto amministrativo alle
vendita della (omissis), puntualizzando, per quanto riguarda i rapporti tra il (omissis) e
gli (omissis), che la provvigione o la provvista illecita in ordine ad acquisti di olio miscelato
ovvero in relazione ad operazioni commerciali inesistenti veniva creata come segue:
l’acquirente emetteva ricevuta bancaria a 60/90 gg., ma prima della scadenza il (omissis)
emetteva un assegno con il quale il falso acquirente pagava la stessa ricevuta bancaria.
La differenza fra gli importi dei due titoli costituiva la provvigione.
E, a tale riguardo, va evidenziato che sia nel 1992 che nel 1993 (omissis)concorse nel
costituire una disponibilità “cartolare” di olio di oliva (Kg.476.135 nel 1992 e Kg.412.980
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nel 1993 per un ammontare di lire 3.116.050.497), allorquando era amministratore della
stessa società, carica che ricoprì dal 30.07.1992.
Analogamente appaiono accertate vendite di olio miscelato (O.T.) con olio di oliva
relativamente ad una fornitura avvenuta nel 1990 dalla (omissis) alla (omissis)
(Kg.268.420 di “olio di oliva lampante” in realtà composto da Kg.187.398 di olio di oliva
lampante e da Kg.20.822 di olio di nocciola) ed altra fornitura, avvenuta nel 1991, di
Kg.192.427 di olio di oliva contenente Kg. 12.827 di olio di nocciola, nonché la cessione –
nel 1990 – da parte della (omissis) alla (omissis) – nel 1990 – di Kg.60.200 di olio di
nocciola venduto come “olio di oliva lampante”.
Nel motivare le esigenze cautelari, il G.I.P. del Tribunale di Trani, oltre a sottolineare
il pericolo di distruzione delle prove in quanto “è di tutta evidenza che anche le imprese
amministrate e gestite dagli (omissis) ebbero una doppia contabilità attesa la necessità di
giustificare transazioni fittizie o simulate quanto all’oggetto” e di reiterazione dei reati in
quanto osservava “Non può revocarsi in dubbio che (omissis) e (omissis) furono coloro che,
con maggiore continuità, per anni e reiterando le stesse condotte furono persone che si
misero a disposizione del (omissis) perché quest’ultimo realizzasse il suo piano criminoso
nell’interesse economico di tutti”, evidenziava inoltre che la gravità e l’entità dei reati
contestati agli indagati superava i limiti del contrabbando, della truffa e della frode fiscale,
andando ad incidere sull’economia ledendo oltre agli interessi dei consumatori (acquisto
di prodotti di buona qualità) anche quello di altri produttori costretti a immettere sui
mercati prodotti di qualità più elevata ad un prezzo quasi equivalente al costo per
sopportare la sleale concorrenza.
Il maxiprocedimento penale avviato con i nr. (omissis) registrava tortuose vicissitudini
processuali, ben ricostruite nella richiesta di archiviazione in atti datata 20 marzo 2006,
venendo integrati gli originari capi di imputazione di cui alla richiesta di rinvio a giudizio
del 13.12.1996 con atto del 23.1.1998 cui segui il decreto di rinvio a giudizio del
14.10.1998, quindi con nota datata 16.06.2000 l’ufficio del PM così riformulava originari
capi di imputazione a seguito della riforma dei reati fiscali di cui al DL 74/2000: -(Capo A) associazione a delinquere in qualità di promotori, unitamente ad altri,
per aver costituito un’associazione criminosa finalizzata alla realizzazione dei delitti di contrabbando doganale aggravato di olio di nocciola ed altri prodotti oleari, di frode fiscale, di emissione ed utilizzazione di fatture per operazioni inesistenti relative alla vendita ed all’acquisto di prodotti oleari, di omessa annotazione nelle scritture contabili, di truffa comunitaria, per aver venduto olio di nocciola come olio vergine lampante scortato da fatture per operazioni inesistenti e comunque miscelato con olio di oliva, di frode in commercio, di emissione ed utilizzazione di fatture per operazioni inesistenti e del delitto di ricettazione dei prodotti oleari. Fatti commessi in Barletta ed in altri luoghi fino all’anno 1992.
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-(capo T) (omissis) ed altri, del reato ex art.292, 295, comma 2 lettera c) e d) e 338 DPR 43/73 e 110 C.P., per aver in concorso tra loro importato in modo illecito, con documenti falsificati e senza pagare i diritti doganali, sotto il profilo del dazio, della sovraimposta per oli di semi e dell’IVA, gravante sul valore non dichiarato in dogana, relativi a Kg.263.000 di olio di nocciola, ricevuto da (omissis) S.A., per il tramite della (omissis) Srl. Fatti commessi in Barletta ed in altri luoghi nel 1990.
-(capo Z17) (omissis), il primo quale responsabile legale, il secondo quale socio responsabile e gestore della (omissis) Srl, del reato di cui all’art.2 comma 3° C.P., art. 2 e 3 DPR 74/2000 per aver annotato componenti negativi di reddito in misura superiore a quelli reali pari a lire 1.444.273.390 per le false fatturazioni, indicando gli elementi passivi fittizi di cui alle fatture per operazioni inesistenti nelle rispettive dichiarazioni ai fini IVA e II.DD. (presentate nell’anno 1992) relative al periodo di imposta dell’anno 1991. Fatti commessi in Barletta ed in altri luoghi nel 1992.
-(capoZ24) (omissis), il primo quale responsabile legale, il secondo quale socio responsabile e gestore della (omissis) Srl, del reato di cui all’art.648 C.P., 61 nr.7 C.P., 12 C.P.P. per aver acquistato da (omissis) e per lui dalla (omissis) Srl, Kg.509.575 di olio di nocciola, per fini di lucro, recante a scorta fatture fittizie di vendita di olio di semi vari grezzo, per un valore di circa lire 1.019.150.000, diverso da quello indicato in fattura, oggetto del delitto di contrabbando e ben consapevoli della sua provenienza delittuosa. Fatti commessi in Barletta e Gioia Tauro nel 1989.
-(capo Z25) (omissis), il primo quale responsabile legale, il secondo quale socio responsabile e gestore della (omissis) Srl, del reato di cui all’art.2 comma 3° C.P., art. 2 e 3 DPR 74/2000 per aver simulato nella dichiarazione dei redditi nell’anno 1991 documentati da false fatture, componenti negativi di redditi diversi da quelli reali per lire 225.588.800, indicando gli elementi passivi fittizi di cui alle fatture per operazioni inesistenti nella rispettive dichiarazioni ai fini IVA e II.DD. (presentate nell’anno 1990) relative al periodo di imposta dell’anno 1989. Fatti commessi in Gioia Tauro nel 1990.
-(capo Z26) (omissis), il primo quale responsabile legale, il secondo quale socio responsabile e gestore della (omissis) Srl, del reato di cui all’art.648 C.P., 61 nr.7 C.P., 12 C.P.P. per aver acquistato da (omissis)e per lui dalla (omissis) Srl, Kg.263.000 di olio di semi vari grezzo, per fini di lucro, recante a scorta fatture fittizie di olio di oliva per Kg.60.200, diverso da quello indicato in fatture, oggetto del delitto di contrabbando e ben consapevoli della sua provenienza delittuosa. Fatti commessi in Barletta e Gioia Tauro nel 1990.
-(capo Z27) (omissis), il primo quale responsabile legale, il secondo quale socio responsabile e gestore della(omissis)Srl, del reato di cui all’art.640 bis, C.P., 61 nr.7 C.P., perché con (omissis), con la ricettazione di cui sopra, procuravano a terzi, con il prodotto sopra descritto, l’indebita percezione dei prescritti contributi comunitari, pari a lire 60.247.319, circa. Fatti commessi in Barletta e Gioia Tauro nel 1990.
-(capo Z28) (omissis), il primo quale responsabile legale, il secondo quale socio responsabile e gestore della (omissis) Srl, (omissis) quale responsabile della (omissis) Srl nonché (omissis)ed altri, del reato ex art.292, 295 e 338 DPR 43/73, perché attraverso la formazione e l’uso di documenti doganali falsi per la denominazione ed il valore del prodotto importavano Kg. 1.420.720 di olio di
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nocciola, documentalmente descritto come olio di semi di girasole, con mancato pagamento di dazi doganali. Fatti commessi in Barletta e Gioia Tauro nel 1991.
-(Capo Z29) (omissis), quali responsabili della (omissis) Srl, nonché (omissis), del reato ex art.81, cpv C.P., 61 nr.7 C.P., 640 Bis. C.P., perché attraverso le vendite fittizie di Kg. 476.135 di olio di oliva e poi, in continuazione, per Kg.412.980, procuravano a terzi, con il prodotto sopra descritto, l’indebita percezione dei prescritti contributi comunitari pari lire 457.489.845 prima e lire 396.807.956 poi. Fatti commessi in Barletta e altri luoghi nell’anno 1992 e 1993.
-(capo Z30) (omissis), quali responsabili della (omissis) Srl, del reato ex art.2 comma 3 C.P., art.8 comma 1, DPR 74/2000, per avere emesso, al fine di consentire a terzi di evadere le II.DD. e l’I.V.A., per motivi di lucro, in continuazione, 15 fatture per operazioni inesistenti, nei confronti della (omissis) Srl per lire 1.651.545.477 e per lire 1.598.147.040 di corrispettivo totale compresa l’IVA. Fatti commessi in Barletta e altri luoghi fino all’anno 1992 e 1993.
Nel prosieguo del giudizio il procedimento tornò nelle fase delle indagini per ritenuta
genericità di alcune contestazioni e per diversità del fatto rispetto a come contestato, quindi
seguì una richiesta di archiviazione accolta dal Gip per alcuni reati prescritti nelle more ex
art.157 cp vecchia formulazione, mentre per i restanti si pose un problema di riformulazione
dei capi di imputazione per ricettazione e quello associativo così risolto dal PM di Trani che
nella sua richiesta di archiviazione del 2006 argomentava: “Invero, l’attenta lettura della
informativa di reato principale redatta in data 18.5.1995 dal Nucleo Regionale di Polizia
Tributaria di Bari rileva che le prove e gli indizi acquisiti a diretto sostegno dell’ipotesi
criminosa associativa sono esclusivamente concentrati a carico di quei soggetti che hanno
fatto parte della stabile e collaudata organizzazione diretta ad introdurre in Italia olio
(non necessariamente, anzi quasi mai, di oliva) di provenienza extracomunitaria
facendolo passare per olio di provenienza comunitaria, così tra l’altro evadendo i diritti
doganali ed avviandolo alla commercializzazione in regime agevolato da incentivi al
consumo, ovvero destinandolo all’adulterazione dell’olio di oliva locale, il cui
quantitativo veniva incrementato con l’aggiunta di prodotto a più basso costo”.
Il P.M. pone al vertice dell’organizzazione il (omissis), il suo fiduciario svizzero ed i
referenti esteri per l’acquisto di olio di provenienza turca, mentre riconosce il ruolo di
partecipi ai responsabili di alcune ditte che, assieme alla (omissis), beneficiarono del
contrabbando realizzato per via terrestre di partite di olio turco (per lo più di nocciola), “vale
a dire la (omissis)”, a carico dei quali l’originaria imputazione addebitava talvolta il
concorso con (omissis) nel contrabbando aggravato e talaltra la ricettazione.
IL PM, nel richiamare agli argomenti eccellentemente spiegati nell’OCC, riteneva più
coerente ed aderente alla realtà probatoria contestare a tutti (e dunque anche al proposto) il
concorso con il (omissis) nei vari episodi di contrabbando aggravato in quanto, al di là del
mero acquisto della merce contrabbandata, i responsabili delle aziende coinvolte risultavano
39
aver posto in essere altre attività di supporto rispetto ai vari interessi illegali della (omissis),
e pertanto ciascuno era consapevole di concorrere –almeno per quelle partite di olio
extracomunitario la cui introduzione lo riguardava direttamente, perché indirizzato alle sue
aziende- nel delitto aggravato di contrabbando di cui il (omissis) era l’autore materiale.
Precisate le imputazioni residue a carico del proposto, il padre ed il fratello in concorso con
altri (eccetto il (omissis)già condannato per l’associazione con sentenza del 1995, divenuta
definitiva nel 2000) in quelle di associazione per delinquere e di contrabbando aggravato di
cui al capo T (divenuto F), il PM -alla luce della novella della L.251/05- osservava che
l’associazione per delinquere si era prescritta nell’anno 2004 ed ancor prima i reati di
contrabbando e, pertanto, richiedeva l’archiviazione, disposta poi con decreto emesso dal
Giudice per le Indagini Preliminari del Tribunale di Trani, in data 27.03.2006 per
intervenuta prescrizione dei reati contestati agli imputati.
Dunque, nessuna assoluzione per l’(omissis) che, ancora una volta, esce
miracolosamente illeso dal procedimento per i gravissimi reati commessi con fine di lucro
e produttivi di profitti illeciti grazie alle difficoltà di indagini e procedurali conseguenti agli
intrecci illeciti abilmente architettati per truffare lo Stato e la CEE attraverso la creazione
di un sistema sofisticato in cui per dirla con le parole del Gip di Trani “come in una
commedia pirandelliana, l’apparenza e la realtà si miscelavano in un tutt’uno”.
L’oggettività dei dati riscontrati dalla Guardia di Finanza e delle dichiarazioni rese dai
soggetti fidati del (omissis) nei confronti di (omissis)relativi ai rapporti affaristici illeciti tra
il proposto ed il (omissis), con il quale ha concorso per anni nella realizzazioni delle frodi
fiscali e truffe nonché delle attività di contrabbando, è un tassello fondamentale della
ricostruzione del quadro complessivo di pericolosità del proposto.
La vicenda di Trani lumeggia perfettamente la figura di spregiudicato imprenditore
dell’(omissis) e le condotte di contrabbando di olii di provenienza extracomunitaria e frode
in essa emersi non rappresentano un unicum nella sua storia imprenditoriale, come emerge
non solo dai fatti oggetto del procedimento penale di Imperia di seguito illustrato, ma anche
dalle informative di reato confluite nel Proc. pen. nr. (omissis) R.G.N.R. incardinato
presso la Procura della Repubblica di Teramo (allegato n.7 proposta) nei confronti di
(omissis), da cui si traggono dati significativi nell’ottica del giudizio constatativo della
pericolosità.
Non ignora il Tribunale che il suddetto procedimento si sia concluso con
un’archiviazione per sostanziale incompletezza delle indagini, e tuttavia ad colorandum
delle altre vicende giudiziarie “selezionate” si ritiene di dover sinteticamente richiamare
alcuni esiti degli accertamenti eseguiti dal Gruppo Repressioni Frodi della Guardia di
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Finanza abruzzese nell’ambito di una inchiesta che focalizzava l’attenzione su ingenti
movimentazioni di oli vegetali, olio di nocciola e olio d’oliva introdotti in contrabbando
provenienti da paesi terzi ed oggetto, in territorio comunitario, di diversificate frodi in danno
del bilancio dell’Unione Europea. Un primo filone riguardava operazioni commerciali
effettuate in Portogallo, Spagna e Francia, mentre un secondo filone riguardava
l’introduzione in territorio comunitario di “olio di nocciola” proveniente dalla Turchia,
sdoganato in porti del nord Europa e fittiziamente dichiarato, all’atto di importazione, quale
“olio di girasole e destinato, per quota parte, ad operatori economici italiani.
L’Organo di P.G. operante precisava nella nota nr. (omissis) del 09.02.1998 che
generalmente in tale settore commerciale l’olio di nocciola non veniva mai utilizzato in
quanto tale ma principalmente per essere miscelato con l’olio di oliva in percentuali
inferiori al 20% e quindi non identificabile, consentendo di realizzare un prodotto adulterato
e di aumentare il volume del prodotto adulterato con l’indebita percezione di aiuti
comunitari riservati solo all’olio di oliva prodotto all’interno della .
Nell’ambito di tale procedimento penale, con nota nr. (omissis) del 09.07.1997 il
Gruppo Repressione Frodi del Nucleo Regionale Polizia Tributaria di Ancona comunicava
–in esito a perquisizione- l’esito degli accertamenti riguardanti le società (omissis) Srl e
(omissis) Srl (entrambe riconducibili alla famiglia (omissis)) evidenziando che alcune
forniture di olio, effettuate dalla (omissis) Srl, erano state respinte dai clienti in quanto il
prodotto venduto non era conforme né agli standard né alla campionatura fornita ai
medesimi clienti, evidenziando, inoltre, che in un caso il prodotto respinto conteneva una
percentuale di trilinoleina superiore ai valori consentiti, sostanza questa, sovente utilizzata
per la sofisticazione dell’olio di oliva, per cui i responsabili della (omissis) erano denunciati
per i reati di associazione a delinquere, frode in commercio e falso.
Sempre nell’ambito del medesimo procedimento penale, il Gruppo Repressione Frodi
di Ancona, con successiva nota nr.1496 del 09.02.1998, accertava che la (omissis) Srl (di
cui era amministratore il fratello del proposto) aveva acquistato partite di olio di nocciola
fittiziamente indicato nei documenti fiscali quale olio di girasole, provvedendo poi a
rivenderlo come olio di girasole alla (omissis) Srl, che a sua volta, lo commercializzava
vendendolo ad altre ditte (tra cui quella del padre (omissis)), per cui il proposto quale
procuratore ad negotia della (omissis) era denunciato per falso e frode in commercio
(artt.483 e 515 c.p.).
Con ulteriori due distinte comunicazioni di reato datate 25.05.2000 e 20.07.2000
confluite nel medesimo procedimento penale nr. (omissis) RGNR, il Nucleo Regionale di
Polizia Tributaria Abruzzo, denunciava alla Procura della Repubblica di Teramo, (omissis)
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ed altri componenti del Gruppo (omissis) per i reati di emissione e/o utilizzo di fatture per
operazioni inesistenti.
In particolare nel corso di verifiche fiscali di carattere generale, eseguite nei confronti
delle (omissis) Srl (tutte aziende del Gruppo (omissis)), l’Organo di Polizia Tributaria
operante, evidenziava l’esistenza di un complesso sistema di emissione e/o utilizzo di
fatture per operazioni inesistenti per ingenti importi posto in essere tra aziende, in massima
parte appartenenti a componenti della famiglia (omissis).
Nel dettaglio la Guardia di Finanza, riscontrava che la (omissis) Srl utilizzava fatture
di acconto, emesse da altre aziende riconducibili al medesimo Gruppo (omissis), a fronte
di future forniture di merci i cui pagamenti venivano effettuati nei mesi successivi
all’emissione delle fatture stesse oppure i cui pagamenti, contemporanei all’emissione, si
riferivano a fatture a cui non facevano seguito le relative consegne, riuscendo così ad
anticipare la detrazione dell’IVA esposta in fattura al fine di omettere il versamento nelle
successive liquidazioni periodiche dell’IVA.
Nel corso dell’analoga attività ispettiva, svolta nei confronti della (omissis) Srl (società
partecipata all’epoca per il 50% ciascuno dai predetti fratelli (omissis)) venivano
individuate medesime fattispecie di reato che coinvolgevano, tra le altre, anche la Ditta
Individuale (omissis)e la Ditta Individuale (omissis)per le ipotesi delittuose di emissione
di fatture per operazioni inesistenti in favore della (omissis) Srl, ciascuna dell’importo di
lire 5.500.000.000 in ordine a fittizie forniture di olio.
In particolare, la Guardia di Finanza abruzzese nella comunicazione di notizia di reato
evidenziava:”…circa i fenomeni evasivi verificatisi nel settore dell’agricoltura, in virtù del
citato regime speciale ed agevolativo pro-tempore vigente, si riporta un caso concreto
riscontrato nell’annualità 1994 che mette in evidenza come delle semplici fatture di acconto
(riferibili ad operazioni inesistenti) emesse da aziende agricole (in regime speciale)
riconducibili alla famiglia (omissis) abbiano consentito alla (omissis) Srl (in regime
normale) di garantirsi un “serbatoio” di IVA a credito (lire 440.000.000), con nessun onere
tributario a carico delle citate aziende agricole (mediante l’applicazione delle percentuali
di compensazione IVA).
….omissis….
Le predette fatture sono da ritenersi entrambe relative ad operazioni inesistenti, in
quanto l’acconto risultante dai documenti in parola non è stato pagato nè nella data della
fattura nè nel medesimo mese della fatturazione (l’oggetto della fattura è inesistente).
Si tratta di dati che, letti in coordinamento con gli altri emersi negli altri procedimenti
“selezionati”, vanno a comporre ulteriormente il quadro della personalità del proposto quale
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imprenditore abitualmente dedito alla commissione di delitti di natura fraudolenta
nell’esercizio della sua attività e mediante l’utilizzo strumentale delle ditte e società
appartenenti al gruppo familiare (omissis).
6) Procedimento penale nr. (omissis) RGNR- Procura della Repubblica di Imperia.
In data 22.05.2002, il Nucleo Regionale Polizia Tributaria Liguria -Gruppo
Repressione Frodi , trasmetteva alla Procura della Repubblica di Imperia, la comunicazione
di notizia di reato nr. (omissis), nei confronti di 28 soggetti, tra cui (omissis), quale legale
rappresentante della (omissis) srl dal 14.11.1998, ed il fratello, (omissis) quale legale
rappresentante della (omissis) srl, poiché ritenuti responsabili dei reati di concorso in
associazione a delinquere finalizzata al contrabbando aggravato reiteratamente commesso
con sottrazione di diritti doganali, emissione di fatture per operazioni inesistenti, reati contro
il patrimonio e frode in commercio, al fine di ottenere indebiti profitti. Fatti commessi negli
anni 1998 e 1999 in Imperia, Livorno, Genova, Castel di Tusa, Gioia Tauro (RC), Lamezia
Terme, Porcari (LU), Mosciano Sant’Angelo (TE), Andria (BA) e Monopoli (BA).
Dall’attività investigativa, svolta dal Reparto della Guardia di Finanza ligure, veniva
tra l’altro accertato, l’utilizzo -da parte dei soggetti responsabili delle società fallite
(omissis)Spa e della (omissis)Spa-, di fatture per operazioni inesistenti emesse dalla
(omissis) Srl e concernenti le seguenti false forniture di olio:
Forniture fittizie della (omissis) Srl alla (omissis) Spa
Anno Quantità olio Imponibile in lire
1997 Kg. 403.370 1.801.008.100
1998 Kg. 44.000 159.423.000
1999 Kg. 347.170 1.319.246.000
Forniture fittizie della (omissis) Srl alla (omissis) Spa
Anno Quantità olio Imponibile in lire
1998 Kg. 79.960 235.804.000
1999 Kg. 328.180 1.395.685.000
In merito alle fittizie transazioni commerciali poste in essere dalla (omissis) Srl,
l’Organo di P.G. operante, nella comunicazione di notizia di reato diretta alla Procura della
Repubblica di Imperia, dopo aver premesso che le operazioni commerciali oggetto di
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controllo riguardavano principalmente forniture di olio vergine lampante effettuate dai
depositi della (omissis) srl situati in Porcari (LU) e Gioia Tauro, rilevava che i trasporti
effettuati dalla (omissis) in conto proprio o tramite vettori non avevano evidenziato, per la
quasi totalità dei casi, elementi indicativi che potessero confermare l’effettività dei viaggi,
ed in particolare tutti i documenti erano privi della pesata (ossia il più tangibile immediato
riscontro circa l’effettivo quantitativo della merce), erano stati emessi e registrati a blocchi,
indicavano firme di ricevimento con sigle quasi assolutamente indecifrabili, erano stati
rinvenuti privi di macchie o pieghe, ciò che lasciava ragionevolmente pensare che non erano
stati utilizzati durante il trasporto. Ed ancora, le schede carburante esibite dalla (omissis)
per gli anni 1997-1999 erano risultate incomplete rispetto alle scritture contabili
obbligatorie che non erano state prodotte, come non erano stati esibiti documenti relativi a
pasti o pernottamenti relativi ai viaggi dalla Calabria alla Liguria. L’Organo di P.G.
operante poneva, poi, in evidenza i seguenti “ulteriori aspetti tendenti ad avvalorare
l’univocità di intenti nella realizzazione del delineato sistema di frode con il fine ultimo di
ottenere reciproci indebiti profitti:
-Il Nucleo Regionale Polizia Tributaria Abruzzo della G. di F. di Pescara, nel corso di
una verifica fiscale a carattere generale effettuata nei confronti della (omissis) Srl, ha
rilevato e segnalato alla competente Agenzia delle Entrate che la medesima società, in data
31.12.1996, ha emesso nei confronti della (omissis)Spa una fattura a fronte di operazioni
inesistenti per un importo pari a lire 3.000.000.000 con IVA (aliquota 4%) pari a lire
120.000.000.
Grazie a questo espediente la (omissis) Spa ha presentato la dichiarazione annuale
IVA con un credito di imposta superiore di oltre un decimo a quello spettante ottenendo un
indebito rimborso IVA per complessive lire 200.000.000;
-La (omissis) Srl non si è insinuata nello stato passivo del fallimento relativo al
(omissis)Spa pur avendo contabilizzato crediti per forniture di merce per complessive lire
639.906.614 ne si è insinuata nello stato passivo del fallimento relativo all’(omissis) Spa
pur avendo contabilizzato crediti per forniture di diverse qualità di olio di oliva per
complessive lire 1.920.158.240.
-L’assetto societario della (omissis) Srl la collega, in modo inequivocabile, alla
(omissis) Srl ed alla (omissis) Srl (Cf. (omissis)), con sede in Mosciano Sant’Angelo (TE),
(omissis). Sussistono rapporti commerciali incrociati con la (omissis)Srl e la (omissis) Srl
per l’acquisto e vendita di rilevanti partite di olio di oliva che non permettono, come nel
caso dei rapporti tra gli (omissis)Srl con l’(omissis)Spa ed il (omissis) Spa,
l’identificazione degli improbabili fornitori delle ingenti partite di merci fittiziamente
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fatturate alle società liguri. Sintomatico appare come la (omissis) Srl, abbia tra il 1996 ed
il 2000, subito una drastica riduzione del proprio giro d’affari passato da oltre lire
143.000.000.000 a poco più di 6.000.000.000 di lire.”
Nella stessa comunicazione di reato, veniva evidenziato altresì, che la principale finalità
delle fittizie transazioni commerciali non era (solo) quella dell’evasione fiscale bensì quelle
di aggiustare le giacenze contabili della merce che in regime doganale di perfezionamento
attivo, veniva riesportata solo apparentemente.
A seguito dell’attività di indagine svolta, ad (omissis), quale rappresentante della
(omissis) Srl veniva contestato, a titolo di concorso, la commissione dei reati di cui agli artt.
282, 291 e 295 del DPR 43/73 commessi sotto il vincolo associativo ex art.416 C.p., nonché
la violazione di cui all’art.8 del Dlgs 74/2000.
Con sentenza emessa dal GUP del Tribunale di Imperia in data 04.04.2006, (omissis)
veniva condannato alla pena di anni 1 di reclusione per emissione di fatture per operazioni
inesistenti in violazione dell’art.8 Dgls nr.74/2000, ma la sentenza veniva riformata a
seguito di pronuncia della Corte di Appello di Genova in data 19.02.2009, che con Sentenza
nr. (omissis), dichiarava di non doversi procedere nei confronti di (omissis), per intervenuta
prescrizione del reato ascrittogli.
7) Con ordinanza emessa dal Gip presso il Tribunale di Palmi in data 26 luglio
2010 (p.p. n. (omissis) RGNR), era applicata al proposto, al padre (omissis) (deceduto in
data 8 marzo 2010) ed al fratello (omissis), ed altri sodali, la misura degli arresti domiciliari
per le seguenti imputazioni provvisorie a carico di (omissis) (rimaste sostanzialmente
invariate in sede di rinvio a giudizio davanti al Tribunale di Palmi e, successivamente di
Teramo, ove si sta celebrando il dibattimento):
� reato p.e p. dall’art. 416 commi 1,2 e 3 cp, per essersi stabilmente associati tra
loro (e con (omissis)) allo scopo di commettere più delitti di indole patrimoniale e con
modalità fraudolente ai danni della Pubblica Amministrazione, nonché dei connessi delitti
contro la fede pubblica e tributari a mezzo di plurime società gravitanti nell’ambito del
gruppo Oliveri, nell’ambito delle procedure previste dalla L. 488/92.
In particolare, (omissis) ((omissis) successivamente deceduto),
(omissis) e (omissis), operando come ideatori, promotori ed
organizzatori dell’associazione per delinquere, con le seguenti modalità:
- costituivano numerose società, alle quali, anche mediante la
presentazione di documentazione mendace, venivano assegnati cospicui
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finanziamenti pubblici da parte del Ministero dello Sviluppo Economico
(già delle Attività Produttive) ai sensi della Legge 488/92;
- amministravano e gestivano le procedure agevolate avviate dalle
predette società (anche ove formalmente rappresentate da altri correi),
attraverso l’utilizzo di documentazione ideologicamente non veritiera,
ponendo in essere artifizi e raggiri che inducevano in errore i funzionari
delle banche concessionarie sulle condizioni necessarie per l’erogazione
delle pubbliche provvidenze, procurandosi così un ingiusto profitto, con
pari danno per lo Stato e per l’Unione Europea, rappresentato dalla
percezione indebita, attraverso le società beneficiarie dei contributi,
delle somme erogate a titolo di agevolazioni finanziarie pubbliche a
fondo perduto;
- ottenuti i finanziamenti pubblici in parola, li destinavano a finalità
diverse da quelle per le quali i medesimi erano stati concessi dal
Ministero dello Sviluppo Economico;
- ponevano in essere tutta una serie di articolate transazioni
finanziarie, sia utilizzando conti correnti personali che di società e
persone giuridiche da loro partecipate e gestite (direttamente o
indirettamente), al fine di dimostrare il pagamento di oneri di spesa - in
realtà inesistenti - relativi ai programmi oggetto di pubblica
contribuzione, nonché al fine di accaparrarsi il profitto degli illeciti così
conseguiti, facendoli rientrare nella loro disponibilità sotto la forma di
aumenti di capitale corrisposti dai soci, adempiendo così –
apparentemente – all’ulteriore requisito richiesto per l’ammissione alle
agevolazioni e rientrando in possesso di quei valori economici;
- impartivano disposizioni a terzi (prossimi congiunti o
amministratori di società estere) per l’esecuzione di articolate
transazioni bancarie finalizzate a riciclare i cospicui proventi delle
attività delittuose perpetrate e/o comunque dimostrare spese in realtà
non sostenute, mantenendo sempre la reale disponibilità di denaro;
- nell’ambito dei summenzionati disegni criminosi, al fine di evadere
le imposte sui redditi e l’imposta sul valore aggiunto, ponevano in essere
- direttamente o per interposta persona - diversi reati fiscali, quali la
presentazione di dichiarazioni fraudolente mediante utilizzo di fatture
per operazioni inesistenti rilasciate da soggetti compiacenti;
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- ideavano, concordavano e pianificavano le strategie criminose
necessarie a locupletare ingenti risorse finanziarie pubbliche ed, anche
mediante il coinvolgimento di prossimi congiunti, fornivano indicazioni
circa la predisposizione di documentazione mendace e/o di fatture per
operazioni inesistenti agli amministratori delle società coinvolte;
- si procuravano molteplice documentazione ideologicamente
mendace, funzionale agli scopi fraudolenti, contattando e fornendo
indicazioni a soggetti compiacenti (funzionari di istituti di credito,
periti, ecc.).
-sottoscrivevano mandati fiduciari attraverso i quali davano
incarico a consulenti/professionisti di costituire e gestire, operando
secondo le direttive di volta in volta impartite, soggetti economici esteri
utilizzati per riciclare i proventi delle attività delittuose perpetrate e/o
comunque a dimostrare spese in realtà non sostenute, mantenendo
sempre la reale disponibilità del denaro movimentato;
In Gioia Tauro (RC), Abruzzo ed altri luoghi dalla fine degli anni ’80
a tutt’oggi.
� reato previsto e punito dagli articoli 81 cpv., 110, 112, 483, 640-bis, 56, 640 bis
c.p., perché il proposto unitamente (omissis), in concorso morale e materiale fra loro - con
più azioni esecutive di un medesimo disegno criminoso anche in relazione al reato
associativo ed agli altri delitti fine, connessi alla procedura agevolata avviata dalla sotto
indicata - attraverso gli artifizi e raggiri consistiti nell’avere attestato, in relazione alla
(omissis) S.r.l.:
-requisiti per l’ammissibilità del progetto al finanziamento pubblico, nonché per la
successiva erogazione del medesimo contributo, in realtà non posseduti;
- uno stato di avanzamento dei lavori non corrispondenti al vero;
- oneri di spesa inesistenti;
- apporti di “mezzi propri” da parte dei soci non effettivamente prodotti;
- che la realizzazione dell’investimento era concluso alla data del 25.01.2009, con
contestuale entrata in funzione dell’impianto; circostanza falsa;
inducevano in errore i funzionari di Efibanca S.p.a. -banca
concessionaria del Ministero dello Sviluppo Economico (già Ministero
delle Attività Produttive) per i finanziamenti di cui alla Legge n. 488/92
– circa la sussistenza dei requisiti necessari per l’erogazione del
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contributo pubblico, nonché delle condizioni necessarie per preservare
la quota di finanziamento pubblico percepito a titolo di anticipazione, e
si procuravano così un ingiusto profitto, con pari danno per il suddetto
Ministero, rappresentato dall’effettiva percezione indebita, attraverso
la (omissis) S.r.l., della somma di € 4.842.234,00, quale 1^ quota, a titolo
di anticipazione, del contributo pubblico di € 14.526.702,00 erogato ai
sensi della citata Legge n. 488/92, nonché nei successivi atti funzionali a
conseguire le ulteriori quote programmate della predetta complessiva
somma oggetto dell’agevolazione finanziaria pubblica. In particolare: - in data 15.10.2002, (omissis) redigeva una perizia giurata innanzi al
Tribunale di Teramo, nella quale attestava falsamente, con riguardo al programma di investimenti della (omissis) S.r.l., che “l’immobile sito in Borgia (CZ), (omissis)
su cui la società intende realizzare un’unità produttiva destinata alla lavorazione ed al confezionamento dell’olio di olia vergine ed extravergine, ha destinazione
urbanistica conforme all’attività stessa” e che “il relativo progetto è stato redatto nel rispetto del vigente strumento urbanistico”;
- in data 23.01.2003, (omissis), in qualità di funzionario dell’Unicredit Private Banking, in assenza di specifica autorizzazione da parte del citato istituto di credito e senza osservare le procedure interne della medesima banca, sottoscriveva e faceva pervenire all’Efibanca S.p.a., una attestazione nella quale indicava falsamente, tra l’altro, che i soci della (omissis) S.r.l. disponevano “mezzi
finanziari e patrimoniali” adeguati nella loro consistenza per far fronte agli apporti di mezzi propri previsti per il programma di investimento oggetto di pubblica contribuzione;
- in data 27.04.2004, (omissis), in qualità di amministratore, (omissis), in qualità di soci, partecipavano all’assemblea ordinaria della (omissis) S.r.l. – nella quale veniva deliberato il versamento di euro 18.375.000,00 da parte dei soci in conto futuro aumento capitale sociale, somma da vincolare alla realizzazione del programma di investimento oggetto di pubblica contribuzione – il cui verbale veniva successivamente inoltrato alla banca concessionaria;
- in data 06.08.2004, (omissis)redigeva una perizia giurata innanzi al Tribunale di Teramo, nella quale attestava falsamente, con riguardo al programma di investimenti della (omissis) S.r.l., che “l’immobile sito in Borgia (CZ) (omissis)
cu cui la società intende realizzare una unità produttiva di confezionamento di olio di oliva extravergine ha destinazione urbanistica conforme all’attività stessa” e che “il relativo progetto è stato redatto nel rispetto del vigente strumento urbanistico
pertanto non esistono vincoli ostativi al rilascio della Concessione edilizia da parte del Comune di Borgia”;
- in data 22.08.2006, (omissis), in qualità di direttore dei lavori per la realizzazione dell’opificio industriale della (omissis) S.r.l., sottoscriveva una dichiarazione a norma degli artt. 47 e 76 del D.P.R. n. 445/2000, nella quale attestava falsamente che le eccezionali avversità atmosferiche che hanno colpito la Regione Calabria, “hanno causato il ritardo nell’avvio dei lavori e nei tempi
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previsti di realizzazione dell’opera quantificabile in circa 10 mesi”; - nel periodo compreso tra il 06 ed il 19 giugno 2007, al fine di consentire
alla (omissis) S.r.l. di dimostrare il sostenimento di costi relativi al programma di investimento oggetto di pubblica contribuzione, (omissis), in qualità di legale rappresentante della (omissis)S.r.l., emetteva nei confronti della citata (omissis) S.r.l. le fatture n. 47 del 06.06.2007, n. 48 del 12.06.2007 e n. 49 del 19.06.2007, per complessivi € 6.170.000,00 (oltre iva per € 1.234.000,00), a fronte di operazioni commerciali inesistenti, atteso che i relativi pagamenti venivano “girati” ad un’altra società del “(omissis)” (la (omissis) S.p.a.) prima di “ritornare”, dopo ulteriori transazioni finanziarie, sui conti correnti della stessa (omissis) S.r.l.;
In particolare, con riferimento a tale ultima operazione: � in data 07.06.2007, (omissis), amministratore della (omissis) S.r.l.,
utilizzando risorse finanziarie provenienti dall’accredito della 1^ quota del contributo pubblico ex lege 488/92, eseguiva nei confronti dell’(omissis) S.r.l., n. 4 bonifici di € 500.000,00 cadauno (per un totale di € 2.000.000,00), a titolo di pagamento di fatture relative, in realtà, ad operazioni commerciali inesistenti;
� in data 08.06.2007, sulla base delle provvista venutasi a creare dall’accredito dei summenzionati bonifici, (omissis), amministratore (omissis) S.r.l., disponeva un bonifico di € 2.000.000,00 in favore della (omissis) S.p.a.;
� in data 11.06.2007, sulla base delle provvista venutasi a creare dall’accredito del summenzionato bonifico, (omissis), amministratore della (omissis) S.p.a. disponeva un bonifico di € 2.000.000,00 in favore dell’(omissis) S.r.l.;
� in data 11.06.2007, sulla base delle provvista venutasi a creare dall’accredito del summenzionato bonifico, (omissis), amministratore (omissis) S.r.l., disponeva un bonifico di € 2.000.000,00 in favore di (omissis)
esclusivamente al fine di ostacolare l’identificazione della provenienza delittuosa del denaro, attesa l’assenza di valide ragioni economico-commerciali sottostanti la citata operazione finanziaria;
� in data 12.06.2007, sulla base delle provvista venutasi a creare dall’accredito del summenzionato bonifico, (omissis)disponeva un bonifico di € 2.000.000,00 in favore del padre (omissis), esclusivamente al fine di ostacolare l’identificazione della provenienza delittuosa del denaro, attesa l’assenza di valide ragioni economico-commerciali sottostanti la citata operazione finanziaria;
� in data 12.06.2007, sulla base delle provvista venutasi a creare dall’accredito del summenzionato bonifico proveniente dal figlio (omissis), (omissis)disponeva un bonifico di € 2.000.000,00 in favore della (omissis) S.r.l., completando, in tal modo, il complesso meccanismo di ripulitura del denaro proveniente dall’accredito della prima quota di contributo pubblico in favore della predetta (omissis) S.r.l..
Ed ancora, sempre con riferimento al predetto rapporto con (omissis)S.r.l.: � in data 13.06.2007, (omissis), amministratore della (omissis) S.r.l.,
utilizzando risorse finanziarie provenienti, di fatto, dall’accredito della 1^ quota del contributo pubblico ex lege 488/92, disponeva un altro bonifico di € 2.000.000,00 in favore dell’(omissis) S.r.l., a titolo di pagamento di fatture relative, in realtà, ad operazioni commerciali inesistenti;
� in data 14.06.2007, (omissis), amministratore dell’(omissis)S.r.l.,
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utilizzando il denaro ricevuto dalla (omissis) S.r.l., disponeva un bonifico di € 2.000.000,00 in favore della (omissis) S.p.a.;
� in data 15.06.2007, (omissis), amministratore della (omissis) S.p.a., utilizzando il denaro ricevuto dall’(omissis)S.r.l., disponeva un bonifico di € 2.000.000,00 in favore dell’(omissis)S.r.l.;
� in data 15.06.2007, (omissis), amministratore dell’(omissis) S.r.l., utilizzando il denaro ricevuto dalla (omissis) S.p.a., disponeva un bonifico di € 1.500.000,00 in suo favore (accredito del c/c personale n. (omissis) della BNL S.p.a.) e di € 500.000,00 in favore di (omissis) (accredito del c/c n. (omissis) della Banca Popolare di Crotone S.p.a.), esclusivamente al fine di ostacolare l’identificazione della provenienza delittuosa del denaro, attesa l’assenza di valide ragioni economico-commerciali sottostanti le citate operazioni finanziarie;
� in data 18.06.2007, (omissis)bonificava gli € 500.000,00 ricevuti (omissis)S.r.l. al padre (omissis) (accredito del c/c n. (omissis)della Banca Popolare di Crotone S.p.a.), al fine di ostacolare l’identificazione della provenienza delittuosa del denaro, attesa l’assenza di valide ragioni economico-commerciali sottostanti la citata operazione finanziaria;
� in data 19.06.2007, (omissis), utilizzando il denaro ricevuto dall’(omissis)S.r.l., disponeva, tra l’altro, tre bonifici (€ 270.000,00, € 750.000,00 e € 10.329,14), per complessivi € 1.030.329,14, in favore della (omissis)S.p.a. ed uno di € 240.000,00 in favore della (omissis) S.r.l., operazioni eseguite, ancora una volta, con l’unico fine di ostacolare l’identificazione della provenienza delittuosa del denaro utilizzato, attesa l’assenza di valide ragioni economico-commerciali sottostanti la citate operazioni finanziarie;
� in data 20.06.2007, sulla base delle provvista venutasi a creare dall’accredito dei suddetti n. 3 bonifici provenienti da (omissis), la (omissis)S.p.a., disponeva un bonifico di € 250.000,00 in favore della (omissis) S.r.l. e n. 2 bonifici (€ 370.000,00 e € 404.000,00) per complessivi € 774.000,00, in favore di (omissis);
� sempre in data 20.06.2007, sulla base delle provvista venutasi a creare dall’accredito del bonifico ricevuto il giorno precedente dal figlio (omissis), (omissis)disponeva un bonifico di € 500.000,00 in favore della(omissis)S.r.l..
� in data 21.06.2007, sulla base delle provvista venutasi a creare dall’accredito dei suddetti n. 2 bonifici provenienti dalla (omissis) S.p.a. (€ 774.000,00), (omissis)disponeva un bonifico di € 770.000,00 in favore della (omissis) S.r.l., completando, in tal modo, una prima fase del complesso meccanismo di ripulitura del denaro proveniente dall’accredito della prima quota di contributo pubblico in favore della predetta (omissis)S.r.l..
- in data 20.06.2007, al fine di consentire alla (omissis) S.r.l. di dimostrare il sostenimento di costi relativi al programma di investimento oggetto di pubblica contribuzione, (omissis), in qualità di legale rappresentante della (omissis) S.r.l., emetteva nei confronti della citata (omissis) S.r.l. la fattura n. 31 di € 2.000.000,00 (oltre iva per € 400.000,00), a fronte di operazioni commerciali inesistenti, atteso che il relativo pagamento veniva “girato” ad un’altra società del “(omissis)” (la (omissis) S.r.l.) prima di “ritornare”, dopo ulteriori transazioni finanziarie, sui conti correnti della stessa(omissis) S.r.l.;
In particolare, con riferimento a tale ultima operazione: � in data 21.06.2007, (omissis), amministratore della(omissis)S.r.l.,
50
utilizzando risorse finanziarie provenienti, di fatto, dall’accredito della 1^ quota del contributo pubblico ex lege 488/92, disponeva un bonifico di € 2.400.000,00 in favore della (omissis)S.r.l., a titolo di pagamento di una fattura relativa, in realtà, ad operazioni commerciali inesistenti;
� in data 21.06.2007, (omissis), amministratore della (omissis) S.r.l., utilizzando il denaro ricevuto dalla (omissis) S.r.l., disponeva un bonifico di € 2.340.000,00 in favore della (omissis)S.r.l.;
� in data 21.06.2007, (omissis), amministratore della (omissis) S.r.l., utilizzando il denaro ricevuto dalla (omissis)S.r.l., disponeva, tra l’altro, un bonifico di € 2.300.000,00 in favore della (omissis) S.p.a.;
� in data 22.06.2007, (omissis), amministratore della (omissis) S.p.a., utilizzando il denaro ricevuto dalla (omissis)S.r.l., disponeva, tra l’altro, un bonifico di € 2.170.000,00 in favore della (omissis). S.r.l.;
� in data 25.06.2007, (omissis), amministratore della (omissis)S.r.l., utilizzando il denaro ricevuto dalla (omissis)S.r.l., disponeva un bonifico di € 2.100.000,00 in favore del (omissis)S.r.l., esclusivamente al fine di ostacolare l’identificazione della provenienza delittuosa del denaro, attesa l’assenza di valide ragioni economico-commerciali sottostanti la citata operazione finanziaria;
� in data 25.06.2007, (omissis), amministratore del (omissis) S.r.l., utilizzando il denaro ricevuto dalla S.A.I.M. S.r.l., disponeva un bonifico di € 1.928.000,00 in favore del suo conto corrente personale n. (omissis), acceso presso la Banca Popolare di Crotone S.p.a.;
� in data 26.06.2007, (omissis), anche utilizzando il denaro ricevuto dal (omissis)S.r.l., disponeva un bonifico di € 2.100.000,00 in favore della (omissis) S.r.l., completando, in tal modo, il complesso meccanismo di ripulitura del denaro proveniente, di fatto, dall’accredito della prima quota di contributo pubblico in favore della predetta (omissis) S.r.l..
- nel periodo compreso tra il 12.06.2007 ed il 07.11.2007, (omissis), sulla base della provvista finanziaria venutasi a creare grazie alla restituzione dei pagamenti eseguiti dalla (omissis) S.r.l. in favore della (omissis)S.r.l. e della (omissis)S.r.l., disponeva l’esecuzione di n. 6 bonifici bancari, per complessivi € 6.420.000,00, in favore della citata (omissis) S.r.l., a titolo di “versamento in c/futuro aumento di capitale sociale”;
- (omissis), in qualità di legale rappresentante della (omissis) S.r.l., faceva pervenire alla banca concessionaria le fatture emesse dalla (omissis)S.r.l. e dalla (omissis)S.r.l. (relative, in realtà, ad operazioni commerciali inesistenti) e le contabili bancarie concernenti gli apporti di “mezzi propri” da parte dei soci (non effettivamente prodotti per € 6.420.000,00, in quanto trattasi di mere “partite di giro”);
- in data 03.08.2007, (omissis), in qualità di legale rappresentante della(omissis)S.r.l., sottoscriveva una dichiarazione a norma degli artt. 47 e 76 del D.P.R. n. 445/2000, nella quale attestava falsamente che “alla data del 30.06.2007, a fronte del suddetto programma approvato, la sottoscritta impresa ha acquistato
e/o realizzato direttamente beni e sostenuto corrispondentemente spese per un importo complessivo, al netto dell’I.V.A., di € 9.790.280,10, pari al 34,25% della
51
suddetta spesa ritenuta ammissibile per i beni da acquistare o realizzare
direttamente, come comprovabile attraverso i relativi documenti di spesa fiscalmente regolari e quietanzati o comunque pagati che vengono tenuti a
disposizione”; - tra il 07 ed il 26 novembre 2007, (omissis), in qualità di legale
rappresentante della (omissis) S.r.l., con nota priva di data sottoscritta a norma del D.P.R. 445 del 28 dicembre 2000, attestava falsamente che “sono state rinviate e posticipate le varie fasi successive di realizzazione dell’unità produttiva, che alla
data odierna risulta realizzata per uno stato fisico pari all’incirca al 40% del programma previsto ed approvato”;
- in data 27.01.2009, (omissis), in qualità di legale rappresentante della (omissis) S.r.l., sottoscriveva una dichiarazione a norma degli artt. 47 e 76 del D.P.R. n. 445/2000, nella quale attestava falsamente, con riferimento all’esercizio 2008, l’ammontare degli investimenti realizzati (€ 12.157.887,33) e del capitale proprio versato dai soci (€ 9.970.000,00);
- in data 23.02.2009, (omissis), in qualità di legale rappresentante della (omissis) S.r.l., sottoscriveva una dichiarazione a norma degli artt. 47 e 76 del D.P.R. n. 445/2000, nella quale attestava falsamente che l’unità produttiva oggetto del provvedimento di concessione “è in perfetto stato di funzionamento”, il programma di investimenti è stato ultimato in data 25 gennaio 2009 e che l’impianto è entrato in funzione in data 25 gennaio 2009.
In Roma il 3.12.2004 (data di incasso della prima quota di
contributo) con riferimento al reato consumato ed in Roma sino al
23.2.2009 (sede legale della srl e data di rilascio della ultima
dichiarazione falsa all’interno della procedura ) con riferimento al reato
tentato.
� reato previsto e punito dagli articoli 81 cpv., 110, 316-bis c.p., perché unitamente
a (omissis), in concorso morale tra loro e nelle rispettive qualità di amministratore unico
(omissis) e di soci aventi la gestione effettiva (omissis) della (omissis) S.r.l. - con più azioni
esecutive di un medesimo disegno criminoso anche in relazione al reato associativo ed agli
altri delitti fine, connessi alla procedura agevolata avviata dalla predetta S.r.l. – avendo
ottenuto dallo Stato (Decreto n. (omissis) del 23.06.2003 dell’allora Ministero delle Attività
Produttive, ora dello Sviluppo Economico), ai sensi del 14° Bando della Legge 488/92 –
Settore Industria, l’erogazione della 1^ quota di un contributo a fondo perduto di €
4.842.234,00, per la realizzazione di un impianto per la produzione di olio d’oliva vergine
ed extravergine, destinavano a scopi diversi dalla realizzazione del programma oggetto di
agevolazione la somma di € 1.500.000,00 (utilizzata per eseguire un bonifico in favore della
PAC S.p.a., a fronte di nessuna operazione economico-commerciale sottostante).
In Roma e Gioia Tauro il 30.1.2009.
52
� reati p.ep. dagli artt.81 cpv, 110 cp, 2 D.Lgs.74/2000, perché in concorso con
(omissis), nelle rispettive qualità di legale rappresentante (omissis) e di soci aventi la
gestione effettiva della (omissis) srl i due (omissis) padre e figlio –con più azioni
esecutve di un medesimo disegno criminoso- al fine di evadere le imposte sui redditi e sul
valore aggiunto, avvalendosi delle seguenti fatture per operazioni inesistenti, indicavano
nella dichiarazione annuale 2007 relativa a dette imposte elementi passivi fittizi.
Denominazione emittente Numero Data Imponibile
in € Iva in € Totale in €
(omissis)S.r.l. 47 06.06.2007 1.666.666,67 333.333,33 2.000.000,00
(omissis)S.r.l. 48 12.06.2007 1.666.666,67 333.333,33 2.000.000,00
(omissis)S.r.l. 49 19.06.2007 2.836.666,67 567.333,33 3.404.000,00
(omissis)S.r.l. 31 20.06.2007 2.000.000,00 400.000,00 2.400.000,00
TOTALE 8.170.000,01 1.633.999,99 9.804.000,00
In Roma e Gioia Tauro (RC), 28.10.2008 (data di trasmissione della dichiarazione)
� reato previsto e punito dagli articoli 81 cpv., 110, 112, 640-bis, 483, 56, 640 bis
c.p., perché (omissis) nella qualità di legale rappresentante della (omissis) Spa (socio al
30% dell’(omissis)srl) e legale rappresentante della (omissis) srl, unitamente a
(omissis), in concorso morale e materiale fra loro - con più azioni esecutive di un
medesimo disegno criminoso anche in relazione al reato associativo ed agli altri delitti fine,
connessi alla procedura agevolata avviata dalla (omissis)S.r.l. - attraverso gli artifizi e
raggiri consistiti nell’utilizzo di documentazione ideologicamente non veritiera - con
riguardo all’entità dei costi sostenuti, ai versamenti in conto futuro aumento capitale sociale
da parte dei soci ed alla riconducibilità alle medesime persone dell’impresa cedente e di
quella acquirente l’immobile oggetto dell’iniziativa imprenditoriale - inducevano in errore
i funzionari del Mediocredito del Friuli Venezia Giulia S.p.a., banca concessionaria del
Ministero dello Sviluppo Economico (già Ministero delle Attività Produttive) per i
finanziamenti di cui alla Legge n. 488/92, procurandosi così un ingiusto profitto, con pari
danno per il suddetto Ministero, rappresentato dall’effettiva percezione indebita, attraverso
la (omissis) S.r.l., della somma di € 1.400.713,00, quale 1^ quota, a titolo di stato
avanzamento lavori, nonché richiedendo la somma di € 1.400.713,00, quale 2^ quota, a
titolo di stato avanzamento lavori, del contributo pubblico di € 2.801.426,00 concesso ai
53
sensi della citata Legge n. 488/92, non riuscendo in quest’ultimo intento per cause
indipendenti dalla loro volontà.
In particolare: - (omissis) - nel novembre del 2005, (omissis), in qualità di legale rappresentante della
(omissis) S.r.l., (omissis), in qualità di legale rappresentante della (omissis) S.r.l. ed (omissis), in qualità di legale rappresentante della (omissis) S.p.a. e della (omissis) S.r.l., ponevano in essere tutta una serie di articolate transazioni finanziarie che, sebbene formalmente eseguite, producevano solo la mera apparenza del pagamento delle fatture emesse da parte della (omissis) S.r.l. (di cui era legale rappresentante (omissis)) nei confronti della (omissis) S.r.l., nonché il versamento di “mezzi propri” in favore di quest’ultima società da parte del socio (omissis)S.p.a., atteso che il denaro utilizzato per le movimentazioni bancarie in argomento era di fatto sempre lo stesso (la cd. “somma navetta”) che faceva “la spola” tra i conti correnti dei summenzionati soggetti economici, agendo in concorso quanto meno morale con (omissis) che avevano partecipato alla assemblea della (omissis)S.r.l. in cui si era falsamente deliberato l’importo complessivo di mezzi propri da versare nel capitale sociale;
- in data 01.12.2005, al fine di consentire alla (omissis)S.r.l. di dimostrare il sostenimento di costi relativi al programma di investimento oggetto di pubblica contribuzione, (omissis), in qualità di legale rappresentante della (omissis)S.r.l., emetteva la fattura n. 97 del 01.12.2005, di € 1.400.000,00 (oltre iva per € 280.000,00), a fronte di operazioni commerciali parzialmente inesistenti, in quanto riportati corrispettivi ed imposta sul valore aggiunto nettamente superiori al reale valore dell’operazione (€ 40.000,00, oltre iva per € 8.000,00);
- tra il dicembre 2005 ed il gennaio 2006, (omissis), attraverso la (omissis)S.r.l., società dallo stesso amministrata, restituiva alla (omissis) S.r.l., amministrata da (omissis), la somma di € 1.632.000,00, ossia la differenza tra l’importo della fattura falsa di cui al precedente punto (€ 1.680.000,00) ed il reale valore dell’operazione (€ 48.000,00);
- (omissis), in qualità di legale rappresentante della (omissis) S.r.l., faceva pervenire alla banca concessionaria le suddetta fatture emesse dalla (omissis) S.r.l. e dalla (omissis)S.r.l. (relative, in realtà, ad operazioni commerciali parzialmente inesistenti) e le contabili bancarie concernenti gli apporti di mezzi propri da parte dei soci (non effettivamente prodotti in quanto trattasi di mere “partite di giro”), agendo, quanto con riferimento alla seconda parte della dichiarazione, in concorso morale con (omissis)che avevano partecipato alla assemblea della (omissis) S.r.l. in cui si era falsamente deliberato l’importo complessivo di mezzi propri da versare nel capitale sociale;
- in data 19.01.2006, (omissis), in qualità di legale rappresentante della (omissis) S.r.l., sottoscriveva una dichiarazione (cd. Allegato 25°) ai sensi e per gli effetti degli articoli 47 e 76 del D.P.R. n. 445 del 28 dicembre 2000, mediante la quale attestava falsamente che “alla data del 27.12.2005, a fronte del suddetto
programma approvato, la sottoscritta impresa ha acquistato e/o realizzato direttamente beni e sostenuto corrispondentemente spese per un importo complessivo, al netto dell’I.V.A., di € 5.038.333,33, pari al 50,45% della suddetta
54
spesa ritenuta ammissibile per i beni da acquistare o realizzare direttamente, come
comprovabile attraverso i relativi documenti di spesa fiscalmente regolari e quietanzati o comunque pagati”;
- in data 16.02.2006, (omissis), in qualità di legale rappresentante della (omissis) S.r.l., sottoscriveva una dichiarazione (cd. Allegato 33°) ai sensi e per gli effetti degli articoli 47 e 76 del D.P.R. n. 445 del 28 dicembre 2000, mediante la quale attestava falsamente, con riferimento all’esercizio sociale 2005, che le spese sostenute ammontano a € 5.323.333,33 ed il capitale proprio versato e/o accantonato è pari a € 6.400.850,00, agendo, quanto con riferimento alla seconda parte della dichiarazione, in concorso morale con (omissis) che avevano partecipato alla assemblea della Abruzzo Impianti S.r.l. in cui si era falsamente deliberato l’importo complessivo di mezzi propri da versare nel capitale sociale.
- (omissis) In Giulianova (TE), il 31.3.2006, con riferimento alla porzione del reato
consumato (data di incasso della 1^ quota di contributo); in Mosciano Sant’Angelo (TE), fino al 20.01.2009, con riferimento alla porzione del reato tentato.
� reato previsto e punito dagli articoli 640-bis e 483, 56, 640 bis c.p., perché, in
qualità di legale rappresentante della (omissis)S.r.l., attraverso gli artifici e raggiri di seguito descritti, induceva in errore i funzionari del Mediocredito Centrale S.p.a. - banca concessionaria del Ministero dello Sviluppo Economico (già Ministero delle Attività Produttive) - circa la sussistenza dei requisiti (assunzione di quattro nuove unità lavorative) necessari per l’erogazione della seconda quota di contributo pubblico, nonché delle condizioni necessarie per preservare l’accredito della prima quota del medesimo finanziamento pubblico, e si procurava così un ingiusto profitto, con pari danno per il suddetto Ministero, rappresentato dall’effettiva percezione indebita, attraverso la (omissis) S.r.l., della somma di € 147.264,00, quale prima quota del contributo pubblico di € 294.528,00 concesso ai sensi della Legge n. 488/92, nonché nei successivi atti funzionali a conseguire l’ulteriore quota programmata della predetta complessiva somma oggetto dell’agevolazione finanziaria pubblica.
In particolare: - nel business plan allegato alla domanda di contributo pubblico sottoscritta
da (omissis), in qualità di amministratore unico e legale rappresentante della (omissis) S.r.l., la società indicava l’impegno a “creare” n. 4 nuovi posti di lavoro, derivanti dall’assunzione di operai addetti alla produzione;
- in data 03.03.2004, (omissis), in qualità di legale rappresentante della (omissis)S.r.l., dichiarava, ai sensi degli artt. 47 e 76 del D.P.R. n. 445 del 28.12.2000, nella scheda tecnica allegata alla domanda di agevolazione finanziaria di cui alla Legge n. 488/92 il proprio impegno ad assumere, entro l’esercizio “a regime” del programma di investimento, n. 4 nuove unità lavorative;
- in data 21.07.2008, (omissis), faceva artificiosamente “transitare” nella (omissis)S.r.l. una dipendente (omissis) proveniente da un’altra società del “(omissis)”, la quale veniva falsamente assunta con la qualifica di operaio addetto al frantoio di Borgia (CZ), quando, in realtà, la stessa (omissis)continuava a prestare la sua attività lavorativa (quella di impiegata amministrativa per conto delle diverse società della famiglia “(omissis)”) presso gli uffici siti in Gioia Tauro
55
(RC); - in data 20.01.2009, (omissis), in qualità di legale rappresentante della
(omissis)S.r.l., ai sensi degli artt. 47 e 76 del D.P.R. n. 445 del 28.12.2000, dichiarava, con riferimento all’esercizio sociale 2008, che l’ammontare di capitale proprio versato e/o accantonato ammonta ad € 300.000,00, che le spese sostenute ammontano ad € 500.000,00 e che l’occupazione media è di n. 4,25 unità;
- in data 27.11.2009, (omissis), in qualità di legale rappresentante della (omissis)S.r.l., trasmetteva alla banca concessionaria una copia autentica del libro matricola della società, nel quale venivano falsamente indicati, tra gli addetti ancora assunti a quella data, i dipendenti (omissis).
In Rosarno (RC) il 28.3.2006, con riferimento al reato consumato (data incasso 1^ quota
del contributo) ed in Mosciano Sant’Angelo (TE) sino al 27.11.2009 (sede legale della srl
e data dell’ultima nota con la quale veniva inoltrato il documento falso) con riferimento al
reato tentato.
Nello stesso procedimento penale, oltre ai citati soggetti (e ad altre 13 persone fisiche)
sono coinvolte alcune delle aziende facenti parte della holding “(omissis)”, tra cui
“(omissis)Srl, l’“ABRUZZO IMPIANTI” s.r.l., la “OLEARIA JONICA S.r.l.”, la
“(omissis) S.r.l.” e la “(omissis)S.r.l.”, la (omissis)Spa e (omissis)Srl, in relazione
agli illeciti amministrativi dipendenti da reato ex art. 5 e 24 del D.Lgs. n. 231/2001.
Il patrimonio di tali società è stato sottoposto a sequestro preventivo
per equivalente –in vista della confisca obbligatoria ex
art.640quater/322 ter cp e 19 D.Lgs.231/02- con provvedimento del GIP
di Palmi del 28.7.2010, “sino al concorrere della somma di
€.17.950.566,46”, corrispondente al profitto confiscabile (art.322ter e 19
D.Lgs.231/01), rappresentata dal totale dei contributi pubblici
indebitamente percepiti dalle predette compagini, pari alle tranches di
finanziamenti erogati ed accreditati costituenti oggetto delle
contestazioni ex art.640bis cp cui si aggiungono gli indebiti vantaggi
patrimoniali ottenuti dalla organizzazione criminale attraverso le
rilevanti violazioni fiscali, ovvero le condotte di emissione ed utilizzo di
fatture per operazioni inesistenti descritte nei capi di imputazione (capo
6, misura imposta evasa €.1.633.999,99).
Osservava il Gip, nel motivare in ordine alla sussistenza dei
presupposti per procedere al ‘sequestro per equivalente’, che il lasso di
tempo trascorso dalla erogazione dei benefici economici, il ricorso al
meccanismo delle false fatturazioni con conseguente sopravalutazione
dei patrimoni aziendali, la mancata presenza di molti dei beni che le
56
società avrebbero dovuto acquisire grazie ai finanziamenti erogati, non
consentono di individuare il ‘profitto’ dei reati, di tal che rispetto alle
società beneficiarie dei contributi, pur essendo certa l’esistenza del
profitto, questo non è suscettibile di essere rinvenuto, né una indagine
patrimoniale più dettagliata di quella fin qui svolta consentirebbe di
conseguire risultati utili sul punto atteso che “sarebbe impossibile,
considerata la promiscuità dei rapporti sociali, individuare i flussi di
ricchezza e imputarli alla attività delittuosa attenzionata piuttosto che a
diversi movimenti finanziari”.
Con successivo decreto del Gip di Palmi del 29.4.2011, era
mantenuto il sequestro preventivo sul solo patrimonio immobilizzato in
senso stretto delle predette società nei limiti dell’ingiusto profitto
accertato.
Con decreto del GUP di Palmi in data 24.5.2012, il proposto è stato rinviato a giudizio
davanti al Tribunale di Palmi per i reati di cui ai capi di imputazione dell’OCC, sopra
richiamati.
Con sentenza n. (omissis) il Tribunale di Palmi, come si è detto sopra, dichiarava la
propria incompetenza per territorio e disponeva trasmettersi gli atti al Tribunale di Teramo
ove il procedimento prendeva il n. (omissis) RGNR.
Il Gip presso il Tribunale di Teramo con decreto emesso in data 7.4.2014 disponeva il
sequestro preventivo del patrimonio immobilizzato in senso stretto delle medesime società
del gruppo sopra elencate finalizzato alla confisca per equivalente sino alla concorrenza di
euro 17.950.566,46, ed attualmente pende il giudizio di primo grado in fase di dibattimento
(come certificato in atti).
Orbene, se quanto accertato in sede cautelare dal Gip presso il Tribunale di Palmi
costituisce grave indizio di colpevolezza in ordine alla commissione dei gravi reati oggetto
di imputazione nel processo attualmente pendente presso il Tribunale di Teramo, a maggior
ragione i soli fatti indizianti che hanno sorretto il provvedimento di custodia cautelare, in
quanto di spessore probatorio di gran lunga più elevato rispetto a quello necessario per
l'applicazione della misura di prevenzione, assumono una forte valenza ai fini del giudizio
di pericolosità sociale del proposto proiettata dagli anni ’80 –cui risalgono le precedenti
condotte delittuose per cui l’(omissis) è stato coinvolto in procedimenti penali conclusisi
con sentenze dichiarative della prescrizione- fino all’epoca dei reati per cui pende
attualmente processo (v. per tutte Cass. 1995 n.2606).
E tuttavia, il principio di autonomia del giudizio di prevenzione rispetto al giudizio
penale impone una - sia pur sintetica- considerazione autonoma della rilevanza dimostrativa
57
dei dati emersi nel procedimento attualmente in corso a carico del proposto sotto il profilo
delle esigenze proprie del processo di prevenzione, attraverso l’analisi delle fonti
dimostrative su cui si regge l’impianto accusatorio per la parte condivisa dal Gip di Palmi
arricchito con altri elementi di riscontro emergenti dagli atti acquisiti al presente
procedimento (in particolare il processo verbale di constatazione della Agenzia delle
Entrate-Direzione Provinciale di Teramo del 29.2.2012 e la consulenza tecnica d’ufficio a
firma della dr.ssa Tripodi).
L’operazione investigativa, confluita nelle tre informative di reato del Nucleo di Polizia
Tributaria della Guardia di Finanza di Catanzaro– Gruppo Tutela Spesa Pubblica- Sezione
Frodi Comunitarie (prot. (omissis) del 7.10.2009, prot. (omissis) dell’11.12.2009 e prot.
(omissis) del 15.7.2010), su cui si fonda l’impianto accusatorio posto a fondamento della
richiesta di misura cautelare reale e personale avanzata dal PM, origina
dall’attenzionamento di alcune iniziative imprenditoriali agevolate da finanziamenti
pubblici poste in essere da otto imprese della famiglia (omissis) che tra il 2003 ed il 2005
si collocavano in graduatoria utile per l’assegnazione delle sovvenzioni pubbliche,
assicurandosi contributi di ammontare complessivo pari ad oltre 63 milioni di euro.
In particolare oggetto della primigenia attività di indagine era l’assegnazione di
finanziamenti pubblici, di rilevante importo (per complessivi 28,3 milioni di euro) ai sensi
della Legge n. 488/92, per la realizzazione di programmi di investimento nel comune di
Borgia (CZ), (omissis), a due società in particolare, le cui soggettività giuridiche venivano
ricondotte dagli inquirenti ad un medesimo assetto proprietario, ossia la:
- la (omissis)S.r.l., c.f. (omissis), con sede legale in Roma, via (omissis) (legale
rappresentante (omissis), soci (omissis)), a cui era stato assegnato un contributo pubblico
a fondo perduto di € 13.826.667,00;
- la (omissis)S.r.l., codice fiscale e partita iva (omissis), con sede legale in Roma,
via (omissis)(legale rappresentante Surdo Salvatore, (omissis)), a cui era stato assegnato
un contributo pubblico a fondo perduto di € 14.526.702,00.
L’articolata attività di indagine, che poi si estendeva ad altre tre compagini societarie
riconducibili al medesimo gruppo ((omissis)srl e (omissis)srl, nonché (omissis)s.r.l.),
è stata svolta sulla scorta della documentazione istruttoria relativa alle richieste di
finanziamento ex L.488/92 avanzate dalle società del gruppo (omissis) (trasmessa dal
Ministero e dalle banche concessionarie e dagli istituti di credito con i quali le predette
società intrattenevano rapporti bancari), incrociata con i dati emergenti dalla escussione di
soggetti coinvolti nei progetti di finanziamento e dalla ricostruzione dei complessi rapporti
(societari, bancari, commerciali) emersi tra tutti i soggetti imprenditoriali a vario titolo
coinvolti nelle procedure di finanziamento oggetto della indagine.
58
Le indagini approfondite della GdF hanno messo in luce la commissione di condotte e
meccanismi fraudolenti analoghi da parte dei legali rappresentanti e soci delle cinque
società del Gruppo che si erano aggiudicati finanziamenti ex L.488, incentrati su una serie
di articolate transazioni finanziarie che, sebbene formalmente eseguite, producevano solo
situazioni di mera apparenza del pagamento di fatture, dell’effettuazione di investimenti e
del versamento di mezzi propri da parte dei soci, al fine di indurre in errore i funzionari
delle rispettive banche concessionarie circa l’adempimento delle condizioni richieste per
l’ammissione alle agevolazioni e per l’erogazione delle quote.
Il sistema utilizzato è quello classico delle c.d. “scatole cinesi”, all’interno del quale
ogni impresa del “(omissis)”, sulla base di un fitto reticolo di operazioni commerciali e
bancarie, partecipava all’ “ambizioso” piano fraudolento finalizzato alla indebita
percezione di risorse pubbliche di cui alla L.488/92 ideato e promosso da (omissis) e dai
figli (omissis), operando, a seconda dei casi, quale:
-beneficiaria di indebite pubbliche contribuzioni concesse dal Ministero dello Sviluppo
Economico ai sensi della Legge n. 488/92;
-emittente di fatture per operazioni inesistenti, che erano poi utilizzate dalle stesse
società del gruppo beneficiarie della contribuzione per conseguire plurimi vantaggi
patrimoniali: ridurre artificiosamente il reddito d’impresa imponibile attraverso la
contabilizzazione di costi fittizi, conseguire indebiti rimborsi IVA, ottenere finanziamenti
pubblici del tutto indebiti (nei casi di mancata realizzazione dell’impianto) o
sovradimensionati rispetto al reale investimento impiegato in opere produttive ammesse ai
fondi erogati ex L. 488/92.
-strumento di auto-riciclaggio degli illeciti profitti conseguiti.
Per comprendere il meccanismo fraudolento, ben descritto nei suoi passaggi chiave
nello stesso capo di imputazione relativo alla truffa consumata e tentata in relazione alla
(omissis) srl, vanno sintetizzati i fatti storici, riscontrati e suffragati dalla considerevole
quantità di materiale probatorio esitato nel procedimento penale pendente a Teramo, dopo
un brevissimo accenno alla disciplina relativa alle procedure per la concessione ed
erogazioni delle agevolazioni in favore delle attività produttive nelle aree depresse del
Paese, contenuta nella Legge 19 dicembre 1992, n. 488.
La concessione del finanziamento ex L. 488/92, la cui istruttoria era
affidata a banche concessionarie, era subordinata ad alcune condizioni: alla
presentazione di documentazione comprovante l’apporto di capitale proprio
in una determinata entità (la posizione del programma nella graduatoria di
merito era determinata dal valore del capitale proprio investito nel
programma rispetto all’investimento complessivo) ed alla dimostrazione
59
documentale di aver effettuato i pagamenti dei macchinari acquistati,
oggetto di sovvenzione.
Ciascuna delle due o tre quote del finanziamento veniva erogata dalla
banca concessionaria subordinatamente all’effettiva realizzazione della
corrispondente parte degli investimenti, eccezion fatta per la prima, che
poteva anche essere erogata a titolo di anticipazione previa presentazione di
fideiussione bancaria o polizza assicurativa irrevocabile, incondizionata ed
escutibile a prima richiesta, di importo pari alla somma da erogare.
Tanto premesso, appare utile al fine di dare una idea più comprensibile del modus
operandi del proposto e dei suoi congiunti nella perpetrazione delle truffe e successiva
complessa fase di dissimulazione del relativo profitto, riportare un organigramma del
gruppo per rendere maggiormente comprensibili i cervellotici intrecci societari posti in
essere e finalizzati a mettere in atto il disegno criminoso degli (omissis), padre e figli, a
conferma della simbiosi imprenditoriale realizzatasi fin dagli anni ottanta.
(omissis)
Ciò posto, per illustrare il sistema operativo illecito ideato e realizzato dal (omissis) e dai figli (omissis)mediante le società del “Gruppo” allo scopo di appropriarsi di fondi pubblici erogati ex L.488/92 e di frodare il fisco attraverso indebiti rimborsi iva, basta richiamare gli esiti dell’attività di indagine svolta dalla Gdf di Catanzaro, incrociati con i dati acquisiti dall’Agenzia delle Entrate di Teramo ed illustrate nel processo verbale in atti del 2012.
In particolare, è emerso che la (omissis) srl (società costituita nel 2001 dai soci (omissis) con oggetto sociale “l’industria di
produzione e confezionamento dell’olio di oliva e dell’olio di
semi vari e relativi sottoprodotti…, mai di fatto operativa) presentava in data 13.11.2002 domanda di agevolazioni ai sensi della L. 488/92 relativa ad un nuovo impianto da ubicare nel Comune di Borgia (CZ) – (omissis), per la produzione di olio d’oliva vergine ed extravergine.
Il Ministero delle Attività Produttive con D.M. 125464 del 23.06.2003
disponeva la concessione in via provvisoria di un contributo in conto
60
impianti di € 14.526.702,00, da erogare in 3 quote annuali di € 4.842.234,00
ciascuna, e in data 3.12.2014 era erogata la prima quota previa presentazione
di polizza fideiussoria ed ulteriore documentazione a firma
dell’amministratore unico (omissis) (genero di (omissis)), tra cui il verbale
di assemblea ordinaria della (omissis) S.r.l., datato 27.04.2004, mediante il
quale è stato deliberato il versamento di euro 18.375.000,00 da parte dei
soci, ognuno in relazione alle quote possedute, in conto futuro aumento
capitale sociale, somma da vincolare alla realizzazione del programma di
investimento oggetto di pubblica contribuzione. Il verbale risulta sottoscritto
da (omissis), in qualità di presidente dell’assemblea e da (omissis), in qualità
di segretario. Risultava presente, inoltre, (omissis), in qualità di socio della
(omissis) S.r.l..
In data 03.12.2004, sul conto corrente n. (omissis) aperto dalla (omissis)
S.r.l. presso l’agenzia di Roma dell’Unicredit Banca S.p.a. con saldo
negativo pari a €.406,40 è stata accreditata la somma di € 4.842.234,00,
quale prima quota del contributo pubblico, a titolo di anticipazione, concesso
ai sensi della Legge 488/92. In data 21.12.2004, la (omissis) S.r.l. ha estinto
il c/c n. (omissis) acceso presso la filiale di Roma viale Liegi della Unicredit
Private Banking S.p.a. ed ha contestualmente fatto accreditare le somme
residue, pari a € 4.315.685,00, sul c/c n. (omissis) acceso presso la filiale di
Gioia Tauro (RC) della Banca Intesa S.p.a (il chè conferma ulteriormente
che ivi si è manifestata da sempre la pericolosità del proposto).
Gli accertamenti compiuti hanno consentito di rilevare che
la(omissis)S.r.l., dopo avere percepito la prima quota, a titolo di
anticipazione, del contributo pubblico assegnatole ai sensi della Legge
488/92 e sostenuto alcuni oneri di spesa relativi al programma di
investimento oggetto di pubblica contribuzione nonché girato senza
giustificazione la somma di €.1.500.000 alla (omissis) Spa, ha impiegato le
somme residue (circa 2 milioni di euro) per eseguire un bonifico in favore
della (omissis)S.r.l. per il pagamento di fatture emesse a titolo di “acconto
su forniture”, documenti di spesa che, in realtà, sono risultati essere relativi
ad operazioni commerciali totalmente inesistenti atteso che i pagamenti
avvenuti il 7.6.2007 delle quattro fatture emesse in data 6.6.2007 erano
“girati” il giorno successivo alla (omissis)S.p.a., che, a sua volta, le ha
bonificate dopo tre giorni in favore dell’(omissis)S.r.l., che le ha “girate” lo
61
stesso giorno ad (omissis)(omissis), il quale le ha “girate” in data 12.6.2007
al padre (omissis), il quale, infine, le ha fatte “rientrare” nella (omissis) S.r.l.
a titolo di “versamento in conto futuro aumento di capitale”, così
completando il meccanismo di ripulitura del denaro proveniente
dall’accredito della prima quota di contributo pubblico consentendo ai soci
di onerare apparentemente l’obbligo di apporto di capitale sociale.
Tale “circuito finanziario” è stato ripetuto più volte al fine di
raggiungere, complessivamente, gli importi necessari alla (omissis) S.r.l. per
dimostrare alla banca concessionaria di:
-avere sostenuto, a fronte del programma approvato, spese per un
importo (al netto di iva) in misura almeno pari al 33% dell’investimento
complessivo;
-avere ricevuto dai soci “mezzi propri” in misura superiore al 50% di
quella prevista dal decreto di concessione provvisoria delle agevolazioni
finanziarie pubbliche.
Analoga operazione era, infatti, reiterata in data 13 giugno 2007 sempre
attraverso la (omissis) srl e successivamente attraverso la (omissis)S.r.l.
(società sempre riconducibile alla famiglia (omissis)), nei confronti della
quale la (omissis) S.r.l. eseguiva il pagamento di una fattura, emessa a titolo
di “acconto per fornitura macchine industriali”, anch’essa da considerare
relativa ad operazioni commerciali totalmente inesistenti, atteso che le
somme ricevute dalla citata (omissis) S.r.l., venivano “girate” da parte della
(omissis)S.r.l. ad altre società del “(omissis)” (omissis) prima di ritornare sul
conto corrente del socio (omissis), il quale le utilizzava per eseguire nei
confronti della (omissis) S.r.l. un “versamento in c/futuro aumento di
capitale sociale”.
In considerazione della falsità delle fatture emesse dalla (omissis) S.r.l.
(fatture n. (omissis) del 06.06.2007, n. (omissis) del 12.06.2007 e n.
(omissis) del 19.06.2007, per complessivi € 6.170.000,00 oltre iva per €
1.234.000,00 con causale “Acconto per la fornitura di impianti e macchinari
da fornirVi ed installare nel Vostro stabilimento in Borgia) e dalla (omissis)
S.r.l. (fattura n. 31 del 20.06.2007, di € 2.000.000,00 oltre iva per €
400.000,00) nei confronti della (omissis) S.r.l., nonché degli apporti di
“mezzi propri” da parte dei soci di quest’ultima, deriva la falsità ideologica
delle attestazioni:
62
- del 03.08.2007, a firma di (omissis), in qualità di legale rappresentante
della (omissis) S.r.l., nella quale è stato attestato uno stato d’avanzamento
lavori corrispondentemente spese per un importo complessivo, al netto
dell’I.V.A., di € 9.790.280,10, pari al 34,25% dell’investimento
complessivo e richiesto alla banca concessionaria di svincolare la polizza
fideiussoria rilasciata a garanzia della prima quota del contributo assegnatole
dal Ministero dello Sviluppo Economico;
-del 27.01.2009, a firma di (omissis), in qualità di legale rappresentante
della (omissis) S.r.l., nella quale è stato attestato, con riferimento
all’esercizio 2008, che l’ammontare degli investimenti realizzati è pari a €
12.157.887,33.
Gli accertamenti compiuti hanno consentito di appurare che le somme oggetto della
originaria movimentazione della (omissis) S.r.l. verso la (omissis) S.r.l. e la (omissis) S.r.l.
sono il provento della erogazione della prima quota di contributo pubblico, erogazione
illecita perché frutto delle condotte fraudolente accertate consistenti nella predisposizione
e inoltro alla banca concessionaria di documentazione ideologicamente non veritiera
relativamente alla destinazione d’uso dell’immobile ove realizzare l’iniziativa
imprenditoriale e alla disponibilità da parte dei soci di (omissis) srl di adeguate risorse
finanziarie e patrimoniali per far fronte agli apporti di mezzi propri necessari alla copertura
dell’investimento de quo.
Ed infatti, dal processo verbale di constatazione della Agenzia delle Entrate di Teramo
del 29.12.2012 (in atti) emerge che la (omissis) dal 2001 al 2010 non ha mai realizzato
operazioni imponibili, è sempre in perdita e il reddito di impresa è negativo per dieci anni
consecutivi, per cui il saldo attivo al 1.1.2007 pari a €.2.054.717,60 del conto corrente
presso la Banca popolare di Crotone su cui erano eseguiti i pagamenti alle altre società del
gruppo per operazioni inesistenti rappresentava la disponibilità di liquidità conseguente alla
percezione della prima quota di contributo L.488.
Ora se i trasferimenti di valori dalla (omissis) S.r.l. verso la (omissis) S.r.l. e la
(omissis) S.r.l. poi rientrati nella (omissis) srl sono da ritenersi funzionali e strumentali a
fare apparire sussistente un apparente rapporto commerciale, anche ai fini dei costi sostenuti
per la realizzazione dell’opera agevolata, diversamente le successive movimentazioni tra
altri soggetti giuridici ben descritte nello stesso capo di imputazione (persone fisiche o
giuridiche) attivi nel medesimo circuito di interessi familiari ed economici del gruppo
(omissis) , del tutto prive di giustificazione economica, sono chiaramente funzionali ad
occultare la provenienza originaria delle somme illecite incassate dalla (omissis) S.r.l. e
63
consentire, quindi, ai soci di onorare apparentemente l’obbligo di apporto di capitale sociale
mediante il versamento di quelle stesse somme oggetto dei fittizi pagamenti ad altre società
del gruppo rientrate nella disponibilità del socio (omissis) che le versava imputandole come
capitale proprio.
In sostanza la c.d. somma navetta, originariamente illecita, è stata ripulita attraverso
una serie di partite di giro poste in essere dai correi, al fine di fare apparire come provenienti
da risorse proprie le somme versate dai soci a titolo di apporto di capitale proprio (fino al
raggiungimento dell’importo di euro 18.375.000,00, in conformità alla previsione di cui all’
art. 6, comma 1 del citato D.M. 125464 del 23.06.2003), mentre in realtà le somme a tale
titolo versate non erano altro che patrimonio della stessa (omissis) S.r.l..
Nella realizzazione delle condotte fraudolente descritte, è innegabile
che anche i soci della (omissis) SRL, (omissis), abbiano avuto un ruolo
attivo nella vicenda quali concorrenti morali rispetto al legale
rappresentante (omissis) quanto meno in termini di rafforzamento delle
condotte criminose da quest’ultimo poste materialmente in essere.
Sul punto, condivisibilmente era osservato nella OCC del Gip di Palmi
“La circostanza che i predetti (omissis) e (omissis) siano soci e/o
amministratori di altri soggetti giuridici del gruppo (in particolare della
(omissis) spa, di cui sono soci tutti i membri della famiglia (omissis)) che
un ruolo decisivo ha assunto nelle vicende relative al programma di
investimento della (omissis) srl, sia per ciò che attiene alla cessione
dell’immobile sito in Borgia, sia per ciò che attiene alle movimentazioni di
somme, fuoriuscite dalla (omissis) srl per pagamento di forniture per
operazioni inesistenti e rientrate successivamente nelle casse della società
(al fine di creare l’apparenza di apporti di mezzi propri da parte dei soci
per la copertura dell’investimento de quo) tramite passaggi che hanno
direttamente coinvolto la predetta (omissis) spa, è elemento sintomatico
del coinvolgimento dei due soci (omissis) nelle condotte fraudolente poste
materialmente in essere dal legale rappresentante della (omissis) srl,
(omissis)”.
Attraverso le false fatturazioni da parte delle società del gruppo,
(omissis) srl e (omissis) srl, la (omissis) srl conseguiva inoltre consistenti
e indebiti vantaggi fiscali derivanti dalla indicazione in sede di dichiarazione
annuale dei redditi e dell’iva di elementi passivi fittizi avvalendosi delle
64
fatture per operazioni inesistenti per totale imponibile di €.8.170.000,00 e
iva per €.1.633.999.
Perfettamente speculari al meccanismo posto in essere dalla Ico srl sono le vicende
dell’altra compagine societaria del gruppo attenzionata nel 2009, ossia la (omissis) srl, di
cui soci erano all’epoca dei fatti il padre ed il fratello del proposto (omissis) ed
amministratore (omissis) (che nel 2009 è stato anche legale rappresentante della(omissis)
srl, a conferma della simbiotica gestione delle società in capo a (omissis) padre e figli), cui
è opportuno un breve accenno perché esemplificativo della unica leadership imprenditoriale
e regia criminale in capo ai fratelli (omissis) e (omissis) ed al padre degli stessi.
Seppur amministrate e gestite da persone fisiche diverse, dalla stessa lettura del capo di
imputazione nel medesimo processo di Teramo per truffa a carico di (omissis), il padre
(omissis), (omissis), per l’indebita percezione, attraverso la (omissis) S.r.l., della somma
di € 4.608.889,00, quale 1^ quota, a titolo di anticipazione, del contributo pubblico di €
13.826.667,00 erogato ai sensi della citata Legge n. 488/92, nonché nei successivi atti
funzionali a conseguire le ulteriori quote programmate della predetta complessiva somma
oggetto dell’agevolazione finanziaria pubblica, emerge la comune la “strategia” criminale
adottata dai responsabili della (omissis) S.r.l. e della (omissis) S.r.l. per la locupletazione
di importanti contributi pubblici ex L.488/92: dall’inoltro alle rispettive banche
concessionarie di documentazione ideologicamente falsa predisposta dai medesimi soggetti
(il (omissis) per le false attestazioni sulla destinazione d’uso del terreno ove realizzare le
iniziative imprenditoriali in argomento, il (omissis) per le lettere di referenze bancarie, ecc.),
al ricorso all’utilizzo di fatture emesse a fronte di operazioni commerciali inesistenti, dalle
false attestazioni sullo stato di avanzamento dei lavori, all’impiego dei contributi pubblici
per scopi diversi da quelli per i quali erano stati ottenuti (in entrambi i casi, mediante
bonifici in favore della (omissis) S.p.a., holding del “(omissis)”, senza alcuna
giustificazione da parte della (omissis) e della (omissis), oggetto di distinte imputazioni per
316bis cp).
In esito ai sopralluoghi della Guardia di Finanza emergeva che nessuno stabilimento
era stato edificato dalla (omissis) S.r.l. e, conseguentemente, che nessun bene era stato
fornito alla stessa da parte della società austriaca Humanaexpert Medizinisch Tecniche
nonostante gli oltre 9 milioni di euro bonificati alla stessa, mai restituiti nemmeno in misura
parziale alla (omissis) s.r.l.. Anzi (e questo è un dato significativo su cui si tornerà nella
trattazione della parte patrimoniale) dalla documentazione bancaria acquisita è emerso che
nella (omissis) srl sono confluite in esito al un complesso circuito finanziario parte delle
somme pari a 4,5 milioni di euro circa bonificate nel 2006 in favore della (omissis) S.p.a.
65
(altra società del “(omissis)”) dalla società lussemburghese (omissis) S.a. (una So.Par.Fi.
amministrata a mero titolo fiduciario, da 3 persone fisiche di nazionalità italiana) che risulta
essere azionista della (omissis) S.p.a. con una quota pari al 5,99% del capitale sociale
(azioni del valore nominale di € 774.468,00). Le suddette somme, dopo ulteriori “passaggi”
su conti correnti di soggetti economici riconducibili al “(omissis)” e sul c/c n. 21234, aperto
da (omissis) presso la filiale di Gioia Tauro (RC) della Banca Popolare di Crotone S.p.a.,
sono state trasferite alla (omissis) S.r.l., con causale “versamento in c/futuro aumento di
capitale sociale”, completando in tal modo -secondo la ricostruzione degli inquirenti,
plausibile e in alcun modo smentita- il circuito finanziario grazie al quale le somme erogate
alla (omissis) S.r.l. a titolo di pubblica contribuzione sono state trasferite all’estero al fine
di dimostrare il pagamento di fatture - in realtà relative ad operazioni inesistenti – per
rientrare, a seguito di articolate transazioni finanziarie eseguite, anche all’estero, su conti
bancari di soggetti terzi, nelle “casse sociali” della stessa (omissis) S.r.l. perfettamente
“ripulite”.
Analogamente a quanto accertato per il contributo pubblico della
(omissis) S.r.l., le transazioni finanziarie sopra descritte costituiscono il
meccanismo fraudolento ideato dai responsabili della (omissis) S.r.l. (e dai
relativi complici) al fine di simulare il pagamento delle forniture oggetto di
agevolazione pubblica e, successivamente, il versamento in conto futuro
aumento capitale sociale da parte dei soci il cui apporto è sempre preceduto
da tortuosi movimenti di valori tra le società controllate del gruppo
(omissis), senza che per ciascuna movimentazione sussistano
giustificazioni economiche non solo concrete, ma persino artificiosamente
rappresentate.
Nello stesso disegno criminoso si inserisce la condotta di malversazione
contestata al proposto in relazione al bonifico da parte della (omissis) in
favore della (omissis) della somma di € 1.500.000,00, in data 25.01.2005,
priva di causale (eguale contestazione è stata formulata nei confronti di
(omissis) (omissis) quale socio della (omissis) srl per la somma di
€.672.000,00 bonificata alla (omissis) subito dopo l’accreditamento della
prima quota del contributo ex l. 488 senza alcuna giustificazione
economica).
Il credito di € 1.500.000,00 vantato dalla (omissis) S.r.l. nei confronti
della (omissis) S.p.a. veniva parzialmente estinto con i seguenti bonifici,
dell’importo complessivo di € 1.456.420,00:
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-€ 250.000,00 in data 21.06.2007;
-€ 370.000,00 in data 25.06.2007;
-€ 836.420,00 in data 26.06.2007.
In tal modo la (omissis) Spa “simulava” restituzioni del denaro ricevuto
nel 2005 dalla (omissis) S.r.l. senza che vi fosse nessuna valida ragione
economico-commerciale sottostante, evitando in tal modo che venisse
accertata una destinazione del contributo pubblico erogato alla predetta
(omissis) S.r.l. per finalità diverse da quelle per le quali era stato concesso
dal Ministero dello Sviluppo Economico, essendo risultata la provvista
indirettamente creata –come si è viso- attraverso il trasferimento di somme
di denaro da altre società del gruppo sul conto corrente della (omissis) Spa
grazie all’accredito della prima quota del contributo pubblico ex lege 488/92.
Tanto è stato valorizzato nell’OCC per ritenere sussistenti i gravi indizi
di colpevolezza per il reato di malversazione del contributo pubblico erogato
alla citata(omissis) S.r.l atteso che costituendo i bonifici eseguiti (omissis)
S.p.a. in favore della (omissis) S.r.l. mere “partite di giro”, non possono
essere considerati come un’effettiva restituzione degli € 1.500.000,00
ricevuti il 25.01.2005 ed utilizzati dalla (omissis) S.p.a. per eseguire un
bonifico di pari importo in favore di tale (omissis) , con causale “vendita
terreno nel Comune di Anoia (RC)”, con conseguente accertamento di una
malversazione del contributo utilizzato per una finalità diversa da quella per
la quale era stata concessa da parte del Ministero dello Sviluppo Economico.
Speculari al meccanismo posto in essere dalla (omissis) srl del proposto ed alla
(omissis) srl del fratello sono anche le vicende che riguardano le altre compagini societarie
del gruppo attenzionate dalla indagine, in particolare la Olearia Jonica srl (capi nn.da 9 a
17 dell’OCC) e la (omissis) srl, quest’ultima per la fattispecie di truffa tentata e consumata
di cui al capo 18 dell’Occ di Palmi. In particolare, è emerso dagli accertamenti della Gdf
che degli € 1.680.000,00 bonificati dalla (omissis) S.r.l. in favore della Ventuno Service
S.r.l. a titolo di pagamento della fattura n. 97 del 01.12.2005, ben € 1.632.000,00 sono stati
restituiti alle imprese del (omissis) attraverso l’interposizione della (omissis) S.r.l. (impresa
riconducibile all’amministratore della (omissis) S.r.l.) e della (omissis) S.r.l. (impresa
riconducibile alla famiglia (omissis) amministrata da (omissis) ) che provvedeva a ripartirle
a più società del medesimo gruppo imprenditoriale ((omissis) ; si rimanda alle pag. 195 e
ss dell’OCC).
67
Osservava sul punto il Gip di Palmi quanto al coinvolgimento dei soci della (omissis)
srl, in persona di (omissis) e (omissis) (entrambi figli del proposto) unitamente al padre
(omissis) (quest’ultimo quale rappresentante della (omissis) spa socio della (omissis) srl),
che poiché gli accertamenti svolti hanno verificato l’assoluta fittizietà dei versamenti di
mezzi propri (deliberati dall’assemblea ordinaria dei soci della (omissis) S.r.l. per
complessivi € 8.000.000,00) “ne deriva che certamente anche i soci avessero
programmato, pianificato ed infine accettato le fittizie movimentazioni di denaro che li
avevano – di fatto – esonerati dall’obbligo di conferimento dei mezzi propri a cui pure si
erano impegnati. Non è possibile, infatti, che essi siano venuti meno al loro obbligo, senza
essere perfettamente a conoscenza e senza, quindi, supportare l’azione delittuosa, grazie
alla quale avrebbero ottenuto un ingente risparmio. Lo stringente rapporto di parentela e/o
affinità con gli altri soggetti coinvolti nelle movimentazioni finanziarie truffaldine che si
sono descritte (in particolare con (omissis) , legale rappresentante della (omissis) srl, e
con (omissis) legale rappresentante della (omissis) srl), sono tutti elementi sintomatici
della sicura partecipazione morale anche dei soci alle condotte fraudolente materialmente
consumate dal (omissis) ”.
Appare rilevante, in quanto ulteriormente confermativo della creazione
ad hoc da parte dei fratelli (omissis) e del loro padre di plurime società
utilizzate strumentalmente per la consumazione del reato associativo e dei
vari reati fine, l’accertata circostanza per cui la compagine societaria della
(omissis) srl è stata abilmente pianificata dai fratelli (omissis) nell’ottica di
eludere la normativa prevista dalla Legge 488/92 con riguardo alla non
ammissibilità a contributo pubblico delle spese sostenute per l’acquisto degli
immobili, qualora l’azienda compratrice e quella cessionaria siano
partecipate, anche indirettamente e cumulativamente, dalle medesime
persone fisiche per oltre il 25% del capitale sociale. Ed infatti, l’iniziativa
imprenditoriale in relazione alla quale sarebbero stati richiesti i contributi
pubblici prevedeva proprio l’acquisto di un immobile preesistente, di
proprietà della (omissis) S.r.l. (società partecipata al 50% da (omissis)), ove
quest’ultima stava svolgendo un’attività di impresa analoga a quella che
avrebbe dovuto svolgere la suddetta (omissis) S.r.l., per cui ai fini
dell’ammissibilità dell’operazione alle sovvenzioni pubbliche di cui alla
legge n. 488/92 le due società non potevano essere riconducibili alle
medesime persone fisiche, per come rilevato anche dal contenuto di una
missiva del Mediocredito del Friuli Venezia Giulia (v. OCC pag. 185 e ss).
68
Pertanto, la (omissis) S.p.a. sottoscriveva il 23% del capitale sociale
della (omissis) S.r.l. (appena un punto percentuale al di sotto del suddetto
limite del 25%), mentre le rimanenti quote sociali venivano suddivise tra i
figli di (omissis) ((omissis) ) e tra (omissis) .
Osserva sul punto il GIP di Palmi: “In considerazione della giovane età delle suddette
persone fisiche - poco più che maggiorenni all’epoca della costituzione della (omissis)
S.r.l. (25.09.2003) – e della circostanza che le stesse risultavano risiedere anagraficamente
in Gioia Tauro (RC) – ((omissis) vi risiede ancora oggi, (omissis) ed (omissis) vi
risiedevano rispettivamente fino al settembre 2008 ed al gennaio 2009), nonché lavorare
presso aziende ubicate nello stesso comune della Piana ((omissis) nella (omissis) S.r.l. e
(omissis) nello stabilimento della (omissis) S.r.l.), località ben distante dalla sede legale ed
operativa della (omissis) S.r.l., è possibile ipotizzare che i germani (omissis) , nonché
(omissis) siano delle mere “teste di legno” utilizzate per cercare di non attribuire sia la
proprietà che la formale gestione della società in parola ai fratelli (omissis) ; il tutto
nell’ambito di un’ampia e complessa strategia criminale, tra l’altro, tesa:
-ad eludere la normativa ex lege 488/92 in tema di “connessioni” tra
venditore ((omissis) S.r.l.) ed acquirente degli immobili oggetto di pubblica
contribuzione ((omissis) S.r.l.).
-all’emissione di tutta una serie di fatture per operazioni inesistenti da
parte della (omissis) S.r.l. nei confronti della (omissis) S.r.l., amministrata
da (omissis) ”.
Orbene, i dati sopra riassunti evidenziano il carattere “permanente e programmatico”
del vincolo associativo tra (omissis), i quali –secondo una tecnica criminale già collaudata
in passato, basti richiamare le vicende della (omissis) risalenti ai primi anni ’80 che hanno
visto coinvolte le ditte e società di padre e figli- per il conseguimento di uno scopo comune,
ovvero perpetrare più delitti a sfondo economico sfruttando la “generosa” normativa statale
e comunitaria, hanno promosso, costituito ed organizzato una struttura associativa
sofisticata che sfruttando il vincolo di familiarità o affinità che li lega ((omissis) è padre di
(omissis) , nonché suocero di (omissis), che è padre di (omissis) , soggetti alternatisi nella
rappresentanza delle società beneficiarie dei finanziamenti) o i loro legami fiduciari,
consolidati da stabili rapporti imprenditoriali, si è tradotta:
- nel ricorso ad un comune modus operandi, caratterizzato dal costante ricorso ai
finanziamenti pubblici tramite la creazione ad hoc di numerose strutture economico
finanziarie, conseguiti attraverso articolate manovre finanziarie, pressocchè sovrapponibili
69
tra loro, finalizzate, attraverso documentazione spesso falsa, a dimostrare la sussistenza dei
requisiti richiesti dalla legge per l’accesso e l’erogazione dei contributi;
- nell’utilizzo di conti correnti personali o di soggetti economici da loro amministrati o
controllati al fine di dimostrare il pagamento di oneri economici in realtà non sostenuti o di
consentire ai profitti illeciti di rientrare nel circuito economico-finanziario delle società
beneficiarie dei finanziamenti sotto forma di quote di partecipazione dei soci al capitale
sociale;
- nella creazione, anche all’estero, di società terze (c.d. cartiere), costituite e gestite con
il solo scopo di consentire l’emissione di fatture per operazioni inesistenti, che, come si è
detto, rappresentavano una della modalità operative tipiche di una vera e propria ‘catena’
di manovre fraudolente ai danni dello Stato;
- nel ricorso a ‘prestanomi’ nella gestione di alcune delle società interessate dalle
procedure di finanziamento (si pensi ad (omissis)), onde non concentrare la proprietà e la
gestione formale del gruppo nei medesimi soggetti ed eludere la normativa vigente ( ad
esempio quella in tema di acquisti di immobili, oggetto di finanziamento pubblico) ;
- nel ricorso a comuni sinergie professionali e a condivisi supporti esterni per la
attuazione delle metodologie illecite individuate per il raggiungimento delle finalità del
programma criminoso, la cui realizzazione ha richiesto la messa in opera di meccanismi
sofisticati, implicanti necessariamente un ausilio tecnico professionale, quale quello
assicurato dallo studio di consulenza finanziaria (la (omissis) srl di (omissis) con sede a
Gioia Tauro, che ha predisposto e curato l’avanzamento di tutti i ‘business plan’ delle
società del gruppo (omissis), anche di quelle localizzate fuori regione), dal progettista e
direttore dei lavori (l’ing. (omissis) ), dal fornitore ((omissis) s.p.a. di (omissis) per la
realizzazione delle opere murarie degli impianti industriali che dovevano essere avviati in
Borgia), dall’istituto di credito (la Filiale di Gioia Tauro della ex Banca Popolare di Crotone
presso cui risultano censite tutte le imprese del gruppo (omissis) e che ha, nella maggior
parte dei casi, rilasciato le attestazioni sulla capacità economico-finanziaria delle varie
persone giuridiche che venivano inoltrate alle banche concessionarie per comprovare la
situazione finanziaria e patrimoniale dei soci);
- nel comune e condiviso utilizzo della forza lavoro, promiscuamente impiegata, a
seconda delle esigenze, da parte di tutte le società del gruppo (omissis) , sintomatica della
sussistenza di un’unica struttura organizzativa e di un unico centro decisionale, localizzato
a Gioia Tauro, a cui fanno capo non solo le determinazioni relative alla gestione
imprenditoriale, ma anche le decisioni strategiche dell’attività criminale, che si sono
tradotte nella strumentalizzazione delle strutture imprenditoriali, aziendali e finanziarie al
70
perseguimento di scopi fraudolenti aventi l’obiettivo ultimo di locupletare ingenti risorse
finanziarie erogate dallo Stato e da enti pubblici.
Valutazioni conclusive del collegio. La biografia giudiziaria del proposto delineata
sulla scorta dei numerosi procedimenti penali avviati a suo carico “selezionati”(non sfociati
in condanne solo per la sopravvenuta prescrizione dei reati e la conseguente loro estinzione),
che lo ha visto ideare sin dai primi anni ‘80 ed affinare via via un meccanismo finalizzato
a conseguire indebitamente agevolazioni pubbliche mediante l’emissione e/o utilizzazione
di fatture per operazioni inesistenti o ad eludere oneri (per lo più fiscali) gravanti sulle sue
attività di impresa, letta unitamente alle emergenze fattuali del processo attualmente
pendente a suo carico, consente con rassicurante tranquillità di formulare confronti di
(omissis) un giudizio di risalente pericolosità sociale generica.
In esito alla ricostruzione dei fatti emersi nelle indagini giudiziarie che hanno riguardato
il proposto durante l’intero arco della sua storia di imprenditore emerge l’esistenza di una
vera e propria consorteria illecita costituita da Vincenzo Oliveri unitamente al padre
(omissis) (già imprenditore nel settore oleario dagli anni ’50) ed al fratello ed avente quale
scopo principale quello di perpetrare rilevanti frodi allo Stato e alla Unione Europea,
attraverso il coinvolgimento di numerose persone giuridiche, mediante le quali il gruppo
(omissis) ha cercato di massimizzare i profitti derivanti dalla generosa normativa statale e
comunitaria di ausilio alle imprese operanti sul territorio italiano, ideando un meccanismo
a delinquere che, seppure via via affinatosi (come attestano le recenti truffe ex L. 488/92),
è rimasto sostanzialmente inalterato nei suoi elementi costitutivi rispetto a quello delineatosi
nelle prime vicende giudiziarie: imprese cartiere, l’emissione ed utilizzazione di fatture per
operazioni economiche inesistenti in tutto o in parte in diretto collegamento con
l’erogazione di contributi pubblici e comunitari, ove non collegate a operazioni di
contrabbando di olio di provenienza extracomunitaria utilizzato anche per “allungare” l’olio
prodotto e così aumentare il volume effettivamente prodotto lucrando maggiori contributi
cui altrimenti non avrebbe avuto diritto.
E’, dunque, nella conduzione delle sue imprese e società che l’(omissis) ha manifestato
la propria pericolosità mediante il ricorso sistematico ad abili “falsificazioni” della realtà
che hanno consentito il conseguimento di indebiti vantaggi patrimoniali (contributi pubblici
ed indebiti rimborsi IVA) nell’esercizio della attività imprenditoriale, in funzione della
creazione un impero economico che altrimenti non sarebbe mai nato o certamente non
avrebbe assunto le attuali configurazioni e valori aziendali.
71
La circolazione cartolare dell’olio realizzata dal proposto fin dai primi anni ’80, come
emerso dai dati tratti dai procedimenti a suo carico, da un lato ha permesso la percezione
di indebiti aiuti comunitari all’agricoltura, dall’altro portava con sé un ulteriore vantaggio
patrimoniale, ossia l’indebito rimborso IVA.
Infatti, nel passato, gli aiuti comunitari (contributi AIMA ora AGEA), erano legati alla
produzione, pertanto, il fatturato doveva “necessariamente” essere opportunamente
“gonfiato” per documentare, una maggiore vendita e/o acquisto di lattine e/o di prodotto,
ovvero una maggiore produzione di olio.
Il sistema truffaldino attuato dal proposto e dai suoi congiunti è puntualmente descritto
in nota di Cat. (omissis) redatta nel lontano 14 marzo 1995 dal Commissariato di P.S. di
Gioia Tauro nella quale è analizzato il sistema di frode perpetrato dai produttori agricoli,
frantoi oleari ed imprenditori acquirenti per la percezione indebita di contributi da parte
della Comunità Europea (allegato n.307 alla proposta). Si legge: “….omissis….il pro
duttore di olive, proprietario di terreno agricolo coltivato ad uliveto, consegna le olive per
la macinazione in un qualsiasi frantoio della zona. Il produttore, dopo la macinazione, può
scegliere tra due sistemi, il primo: riprendersi l’olio prodotto mediante ricevuta rilasciata
dal frantoio che attesta la quantità di olive macinate (cosiddetto modello F) e con la copia
di ricevuta del modello F richiedere l’integrazione di produzione dell’olio tramite
l’associazione di appartenenza (Es.AIPO, APOR… ecc..) che cura l’inoltro della pratica
all’AIMA dopo aver accertato la produzione attraverso dei parametri CEE; il secondo: il
produttore lascia l’olio ricavato al frantoio ove lo ha macinato, oppure porta l’olio per la
vendita ai grossisti della zona, quali (omissis) ed (omissis) . In questa ultima ipotesi, il
grossista rilascia al produttore fattura o ricevuta di acquisto opportunamente “gonfiata”
in base al prodotto massimo ricavabile dal terreno in possesso al produttore secondo i
parametri stabiliti dalla CEE (Esempio se 1 ettaro di uliveto, come da parametro CEE,
produce 30 litri di olio, il grossista, in realtà, acquista quello prodotto che può essere 15
litri, facendo risultare dalle ricevute l’acquisto degli ipotizzati litri 30). Stesso
procedimento lo si può fare tra grossista, ovvero società (omissis) , e il frantoio. In pratica
il frantoio vende l’autofattura (gonfiata) di acquisto di olio dal produttore alla società
(omissis) . Con questo carico di olio documentato, (documentato ma non reale ndr) la
società (omissis) si fa carico di fatture per l’acquisto di bottiglie e tappi (ovviamente fatture
false o concordate con le ditte fornitrici) gonfiando così la produzione di imbottigliamento
per la quale, fino a pochi mesi fa, era prevista l’integrazione CEE. Inoltre la società
(omissis) riempie il vuoto che in realtà non ha recepito (la quantità di olio acquistata è
solo documentata ma non reale, ndr), comprando a basso prezzo, olio di noccioline od olio
72
di minor qualità proveniente con delle navi cisterne dalla Tunisia o dalla
Grecia…omissis…”.
L’(omissis) , dunque, quale produttore e grossista ha massimizzato i profitti della sua
attività di impresa sfruttando a pieno le debolezze del sistema di aiuti comunitari, riuscendo
mediante il ricorso alla pratica della emissione ed utilizzazione di fatture per operazioni
inesistenti a creare una situazione documentale di apparenza di traffici economici non
rispondenti alla loro reale entità.
Come osservato anche dal Gip di Palmi, sulla scorta della mole di procedimenti penali
avviati nei riguardi dei principali esponenti della famiglia sin dagli anni ’80, è evidente
come si sia in presenza di una vera e propria associazione delinquenziale guidata ab origine
dal padre (omissis) affiancato dai figli (omissis) che via via si sono sostituiti al primo e che
nel corso degli anni ha dato vita ad un avido ed ambizioso progetto criminale su vasta scala,
sia dal punto di vista dei reati perpetrati (dalla truffa per il conseguimento di erogazioni
pubbliche al riciclaggio, dalla malversazione ai danni dello Stato ai reati fiscali, ecc.) che
della localizzazione delle attività criminali poste in essere (dalla Calabria all’Abruzzo, dalla
Sicilia alla Puglia).
L’organizzazione ha operato stabilmente per un trentennio senza arrestarsi nonostante
le numerose indagini cui sono stati sottoposti i suoi capi e organizzatori, anzi il disegno
criminoso è divenuto via via più complesso e tanto più ha necessitato di esperienza
professionale e di ampie strutture organizzative per commettere i reati-fine programmati
quali inesauribile fonte di guadagni illeciti, minimizzando i rischi di condanne attraverso la
creazione di un groviglio di operazioni e passaggi tra le società del gruppo che certamente
ha reso le indagini più complicate e lunghe sì da potere ‘sperare’ in una prescrizione.
L’oggettiva gravità delle condotte illecite poste in essere senza soluzione di continuità
dai primi anni ’80 e fino al 2010 denotano una particolare e non comune pervicacia del
proposto nella perpetrazione dei comportamenti delittuosi e nel perseguimento degli illeciti
profitti ad essi connessi, determinanti per la crescita e lo sviluppo del gruppo
imprenditoriale “(omissis) ” nato dalla fusione delle attività imprenditoriali avviate
separatamente ma di fatto avvinte da un unico disegno espansionistico, come conferma il
dato della circolazione indifferenziata dall’una all’altra impresa delle somme derivanti dalle
pratiche fraudolentemente avviate ex l.488 sintomatica di una gestione unitaria del gruppo
imprenditoriale al servizio della distrazione delle somme indebitamente percepite a titolo di
contributo pubblico.
Lo spessore criminale degli (omissis) , padre e figli, è certamente meglio lumeggiato
alla luce della personalità del defunto padre (omissis) , destinatario nel 1990 di Avviso Orale
73
con provvedimento del Questore di Reggio Calabria, confermato il 17.10.1990, poiché
“…sospettato di mantenere collegamenti con le famiglie (omissis) …” e “più volte notato
in compagnia di pregiudicati quali (omissis) ex sorvegliato speciale e (omissis) entrambi
inseriti nell’organigramma dell’omonima cosca mafiosa” (allegato 1 alla proposta).
In una nota inviata alla Prefettura di Reggio Calabria in data 22.11.2001 la Divisione
Anticrimine della Questura di Reggio Calabria, così scriveva sul conto di (omissis) , padre
di (omissis) : “…pur non esistendo prove documentabili, permane, a parere di questo
ufficio, l’elevato sospetto che l’(omissis) , unitamente ai propri familiari, sia vicino alla
cosca mafiosa (omissis) operante nel comune di Gioia Tauro e centri limitrofi. Questo
sospetto è suffragato anche dall’amicizia che lega gli (omissis) con (omissis) , elemento di
spicco della malavita organizzata facente capo alla precitata consorteria mafiosa, ritenuto
il braccio destro di (omissis) boss dell’omonimo clan mafioso…”.
Significativo è quanto segnalato sul conto di (omissis) , in una nota inviata alla Questura
di Reggio Calabria dal Commissariato di P.S. di Gioia Tauro in data 12.11.2001, in cui si
legge: “ … (omissis) ha ereditato l’inestimabile impero economico e commerciale creato
dal di lui padre (omissis) . Lo stesso già negli anni 80 veniva attenzionato e segnalato
poiché ritenuto affiliato alla cosca (omissis) , ritenuto, peraltro, fidato prestanome di
questi. I componenti della famiglia (omissis) hanno sempre dimostrato, nel corso degli
anni, di avere affinato un’elevata capacità nel riuscire ad eludere e vanificare i controlli
delle Forze di Polizia tant’è che agli atti di questi Uffici non risulta che lo stesso si
accompagni a pregiudicati, risulta però essere coinvolto in faide di chiara matrice mafiosa.
Nella serata del 29.01.1999, infatti, mentre a bordo del proprio fuori strada Range Rover
usciva dallo stabilimento denominato (omissis) S.r.l. di sua proprietà, veniva raggiunto da
diversi colpi d’arma da fuoco (pallettoni) rimanendo illeso. ..omissis…. Ad avvalorare tali
sospetti torna comunque utile considerare non per ultimo il rapporto di amicizia che lega
(omissis) a (omissis) , elemento di spicco della malavita organizzata facente capo alla
precitata consorteria mafiosa, viene infatti considerato il braccio destro di (omissis) , boss
dell’omonima cosca, entrambi tratti in arresto dopo un lungo periodo di latitanza.
Trova conferma quanto sopra il fatto che i lavori di pavimentazione dell’imponente
costruendo stabilimento di proprietà dell’OLIVERI, sito in questa via Nazionale 111 siano
stati ultimati dalla ditta edile riconducibile a ZITO Antonio … permane tutt’ora l’elevato
sospetto che il potere economico gestito dagli OLIVERI altro non sia che una parte
dell’inestimabile impero della consorteria mafiosa di Gioia Tauro alla quale gli stessi sono
ritenuti asserviti…”(allegato 2 alla proposta).
74
La costanza e la spregiudicatezza con cui il proposto ha gestito nel tempo la propria
attività di imprenditore (dapprima nel settore oleario, rimasto prevalente, ma poi estesa ad
altri settori come vedremo esaminando la composizione del patrimonio sequestrato)
perseguendo, accanto a fini leciti, il fine illecito di ottenere consistenti ed ingiustificati
guadagni in pregiudizio e con evidente danno per lo Stato, denota l’abitualità a delinquere
ed è sintomatica di un modo distorto di fare impresa che, evidentemente, si pone al di fuori
della legalità. Egli ha dimostrato, infatti, di conoscere con esattezza i meccanismi
burocratici di accaparramento del denaro pubblico ed i “simulacri” da porre in essere per
dissimulare una realtà imprenditoriale ben diversa da quella rappresentata “sulla carta”.
Sulla base della lettura congiunta dei dati convergenti sopra riassunti, da cui emerge la
ripetizione costante di comportamenti illeciti posti in essere nella sua qualità di imprenditore
ed attraverso enti al medesimo riconducibili, senza soluzione di continuità e nell’arco di
circa un trentennio, è certamente possibile affermare senza ombra di dubbio che (omissis)
sia stato soggetto socialmente pericoloso ai sensi dell’art. 4 comma 1 lett. c) del Dlgs
159/2011 dai primi anni ’80 e certamente fino alle vicende oggetto del processo attualmente
pendente presso il Tribunale di Teramo.
E tuttavia è necessario verificare l’attualità della pericolosità, quale indefettibile
presupposto della adozione della misura di prevenzione personale, specie nei casi in cui
l'accertamento di condotte devianti risulti "datato" rispetto al momento della decisione di
primo grado in sede prevenzionale.
Le misure di prevenzione non hanno, infatti, carattere sanzionatorio ma riguardano il
futuro, perché sono dirette a neutralizzare la immanente pericolosità sociale e la probabile
estrinsecazione di tale pericolosità in future attività delinquenziali: il giudizio sulla
pericolosità sociale - per sua natura e funzione - postula sempre una valutazione concreta
della personalità del soggetto con riguardo all'intera condotta ed un accertamento in
relazione alla persistenza di un comportamento illecito o antisociale, che renda necessaria
una particolare vigilanza da parte degli organi di pubblica sicurezza (v. Cassazione penale,
sez. I, 28/02/1991).
La parte prognostica del giudizio di prevenzione, per sua natura alimentata dai risultati
della prima fase constatativa della pericolosità, richiede una valutazione concreta di
"probabilità" del ripetersi di condotte antisociali, rapportata alla "intensità" dei sintomi di
deviazione riscontrati ma anche alla loro "prossimità temporale" rispetto al momento della
decisione (da ultimo si rimanda a Cass. Penale, Sentenza n. 23641 del 2014, est. Magi,
secondo cui ).
La pericolosità attuale del soggetto è presupposto applicativo generale, da riferirsi ad
75
ogni categoria criminologica specifica e va valutata in rapporto a taluni indicatori
fondamentali. E precisamente, la potenzialità criminale espressa dal proposto anche in
contesti associativi, la tendenza del gruppo criminoso di riferimento a mantenere intatta la
sua capacità operativa che consenta di ipotizzare una nuova "attrazione" del soggetto nel
circuito relazionale illecito, il lasso temporale dalle ultime condotte sintomatiche di
pericolosità sociale.
Nel caso in esame, ritiene il Collegio che pur a fronte di una di una escalation
imprenditoriale illecita particolarmente allarmante per le modalità e per la sistematicità
della reiterazione delle condotte illecite in stretta connessione con l’esercizio dell’impresa,
non possa essere ignorato in punto di attualità il decorso di un apprezzabile intervallo
temporale tra i fatti oggetto dell’ultimo procedimento penale pendente a Teramo (anni 2003-
2009) ed il momento della presente decisione.
Certamente l’Occ del Gip di Palmi ed i successivi decreti di sequestro preventivo per
equivalente del patrimonio di tutte le società riconducibili al proposto ed ai suoi sodali
hanno interrotto un’azione criminosa destinata altrimenti a perpetuarsi, privando
sostanzialmente il proposto della disponibilità delle società strumentalmente e
sistematicamente utilizzate per la consumazione del reato associativo e di quelli fine, per
cui l’attività di tali società (oggi sottoposte a sequestro di prevenzione) dal 2010 ad oggi
non può essere interpretata quale indice sicuro di attualità della sua pericolosità che, come
si è visto, è strettamente connessa alla sua qualità di imprenditore.
In mancanza di altri dati successivi all’adozione dei provvedimenti cautelari personali
e reali nell’ultimo procedimento penale (ad es. frequentazioni, altre denunce per fatti
successivi, etc.) cui agganciare una prognosi di concreto pericolo di reiterazione di altre
condotte antisociali, considerata altresì la disgregazione del sodalizio criminoso a seguito
del decesso del padre del proposto nell’anno 2010, va rigettata la proposta di applicazione
della misura personale per difetto di attualità della pericolosità sociale al momento della
decisione.
Motivi di gravame
Con due diversi atti di appello contenenti motivi esattamente sovrapponibili
(omissis) contestano innanzitutto la competenza funzionale dell’organo
proponente, ritenendo che il presente giudizio avrebbe dovuto essere trattato
dall’AG di Teramo. Si sostiene che per in relazione ai medesimi fatti, erano
state all’epoca formulate dalla DIA due identiche proposte, nei confronti
dell’(omissis) e del fratello, (omissis) : la prima era stata inviata all’AG di
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Reggio Calabria, mentre per (omissis) si era proceduto presso il Tribunale di
Teramo, con una decisione peraltro di rigetto della richiesta. Non vale a
giustificare la diversa valutazione la differente residenza dei due germani,
posto l’assunto accusatorio che vuole i due soggetti non solo appartenenti
alla medesima famiglia anagrafica, ma altresì inscindibilmente legati per
effetto delle condotte asseritamente poste in essere nell’ambito di un
medesimo gruppo imprenditoriale. Le condotte che connoterebbero in modo
peculiare l’agire pericoloso dell’(omissis) (anzi degli (omissis) ) sarebbero
state commesse a Teramo ed in luoghi limitrofi, dove sono avvenuti i fatti
oggetto del procedimento penale celebrato presso quel Tribunale, a seguito
della sentenza di incompetenza pronunciata dal Tribunale di Palmi. Detta
vicenda infatti assume una rilevanza determinante al fine di individuare la
competenza, anche tenuto conto della contestazione associativa formulata a
carico dell’(omissis) . Si richiama la sentenza di incompetenza pronunciata
dal Tribunale di Palmi e i criteri normativi per la determinazione della
competenza nel procedimento di prevenzione, affermando che la “dimora
pericolosa” si rinviene nel luogo dove è avvenuto il numero più rilevante di
fatti-reato ed a tale fine irrilevante appare la sede lavorativa della dipendente
(omissis) , elemento valorizzato dal primo giudice al fine di confermare la
competenza dell’organo proponente.
Nel merito, si contesta la ritenuta sociale pericolosità “generica”
dell’(omissis) , rinvenuta per un arco temporale di 32 anni, tra il 1978 e il
2010, non essendosi tenuto conto che il predetto è soggetto sostanzialmente
incensurato, in quanto annovera un solo precedente definitivo per lesioni
colpose commesso nel 1994 e tre contravvenzioni per violazioni del codice
della strada e della legge sismica e edilizia. La difesa poi esamina i
procedimenti elencati dal Tribunale quali indicatori sintomatici della sociale
pericolosità del soggetto, sostenendo l’erronea valorizzazione degli stessi in
questa sede, in quanto tutti conclusisi con pronunce liberatorie nei confronti
dell’(omissis) . Si rammenta la sentenza della Suprema Corte n. 4880/2015
ric. Spinelli, quanto alla perimetrazione temporale della pericolosità
generica e si afferma che non possono essere utilizzati ai fini del giudizio di
pericolosità procedimenti definiti con sentenza di estinzione del reato per
prescrizione, a meno che non sia stato operato un esame nel merito dei fatti
contestati. Si osserva che il Tribunale, nonostante la qualificazione in
77
termini di pericolosità generica, ha proceduto ad un’ablazione totale dei
beni, come avviene in relazione alla pericolosità qualificata.
La difesa esamina quindi partitamente i singoli processi penali posti a base
del giudizio di sociale pericolosità, per come indicati nel provvedimento
gravato: in relazione al proc. pen. n. (omissis) Proc. Rep. Palmi, si rileva che
è stata acquisita solo la sentenza di primo grado, l’esito del giudizio di
appello si ricava dall’annotazione ivi apposta in calce, ossia l’assoluzione
dal primo reato contestato e la declaratoria di estinzione per prescrizione del
reato sub b). Con riferimento a tale ultimo fatto, si afferma che non risulta
indicato nel capo d’imputazione l’importo della somma evasa, che,
trattandosi di reato di false fatturazioni, rappresenta il profitto acquisito
dall’imputato, inoltre la mancata acquisizione della sentenza di secondo
grado comporta l’impossibilità del giudice e delle parti di verificare se sia
stata analizzata nel merito la condotta contestata e la fondatezza dei motivi
di appello proposti, in ogni caso si evince che, essendo stata concessa la
sospensione condizionale della pena, l’(omissis) era stata ritenuto soggetto
non pericoloso. In relazione al rapporto n. (omissis) del 14.4.1988, si
asserisce essere stata attribuita un’enfasi irragionevole alla vicenda in
questione, poiché la condotta contestata è ascritta esclusivamente a carico di
(omissis) e nessuno degli appartenenti alla famiglia (omissis) risulta
coinvolto. Inoltre rilevasi che, dal decreto della Corte d’Appello di L’Aquila
che rigettava la proposta di misura di prevenzione a carico di (omissis),
emerge che alcun riferimento alla ditta (omissis) è contenuto nella vicenda
(omissis), indicandosi solo un generico riferimento a “ditte di Gioia Tauro”.
Peraltro, si osserva, la circostanza che non sia stato rinvenuto alcun riscontro
dell’esistenza di un provvedimento giurisdizionale a carico di (omissis)
esclude che sia mai esistita una vicenda processuale a carico dell’odierno
proposto.
Con riferimento al proc. pen. n. (omissis) si cita la sentenza emessa dal
Tribunale di Palmi in data 11.6.2001 e si dà atto che viene acquisita la
sentenza emessa, in data 22.3.2001, per i singoli reati-fine del programma
associativo, allegata all’atto di gravame. Anche in relazione a tale decisione
si evidenzia che la parte motivazionale dichiarativa della prescrizione non
contiene alcuna specificazione in ordine alla condotta posta in essere dagli
imputati, sicchè non può essere utilizzata in sede di giudizio di prevenzione,
78
non recando alcuna valutazione di merito sui fatti. L’unico elemento di
riscontro all’attività d’indagine è costituito dalla sentenza n. (omissis),
emessa in data 22.3.2001 dal Tribunale di Palmi: trattasi del procedimento
connesso e riunito sul quale si fondava l’ipotesi associativa. In esso erano
contestati tutti i fatti di truffa per indebiti aiuti comunitari, ma tra i numerosi
imputati non figura alcun componente della famiglia (omissis). Proc. pen. n.
(omissis) RGNR -Procura Repubblica Palmi: tale giudizio attiene a fatti di
indebito rimborso IVA mediante utilizzo di fatture inesistenti e truffa
finalizzata al conseguimento di indebito contributo AIMA. Si osserva che
dalla sentenza emessa in data 14.12.1995 emerge che la prima ipotesi di
reato veniva dichiarata prescritta, mentre l’ipotesi di truffa era amnistiata,
previa esclusione dell’aggravante di cui all’art. 61 n. 7 c.p. Dagli atti del
processo, in particolare dall’accertamento peritale infatti era risultato che la
somma contestata quale indebito contributo ammontava a soli 20.000,00
euro e di ciò non può non tenere conto il giudice della prevenzione,
soprattutto in relazione al nesso di pertinenzialità che deve intercorrere tra
ingiusto profitto del delitto e successivo acquisto del bene da confiscare, alla
luce della sentenza di legittimità n. 4880/2015. Quanto poi al processo
pendente presso la Procura della Repubblica di Trani, lo stesso attiene a fatti
avvenuti tra il 1989 e il 1993. (omissis) si rese latitante per qualche mese,
ma la vicenda si concluse con un’archiviazione, sicchè appare privo di
fondamento il richiamo all’ordinanza custodiale operato nel provvedimento
impugnato.
Proc. pen. n. (omissis), incardinato presso la Procura di Teramo: dalla
richiesta di archiviazione depositata dal PM emerge l’assoluta inconsistenza
dell’ipotesi accusatoria, avallata dal GIP con il conseguente provvedimento.
Proc. pen. n. (omissis) RGNR Procura Repubblica Imperia: l’atto di gravame
rileva la carenza probatoria del dato, atteso che è stata acquisita
esclusivamente la notizia di reato e non anche le sentenze, sebbene
specificate nella nota della Polizia Tributaria di Genova (che si allega). In
ogni caso, dalla nota è dato evincere che tutte le ipotesi delittuose
inizialmente contestate ad (omissis) sono state abbandonate, perché
evidentemente ritenute infondate, inoltre dell’unica contestazione dichiarata
prescritta in appello, ossia l’emissione di fatture inesistenti, non è dato
79
conoscere né il numero e l’ammontare delle fatture emesse, né l’ammontare
dell’imposta evasa, sicchè il dato risulta irrilevante ai fini prevenzionali.
Proc. pen. n. (omissis) Tribunale Palmi: è la vicenda principale che
attinge il proposto, sebbene la mera pendenza di un procedimento penale
costituisca circostanza neutra, per come statuito da Cass. n. 3191/92. In ogni
caso ai fini della valutazione autonoma in sede di prevenzione, devono
essere acquisiti i relativi atti e pertanto si appalesano insufficienti
l’ordinanza custodiale, l’informativa di reato della Polizia Tributaria di
Catanzaro e il decreto che dispone il giudizio emesso dal GUP di Palmi.
Il decreto impugnato, peraltro, omette di riportare un’altra vicenda
processuale, di cui è traccia nella proposta, e cioè il procedimento n.
(omissis) RGNR, iscritto presso la Procura di Reggio Calabria. Anche tale
processo però si concludeva con richiesta di archiviazione e successivo
conseguente provvedimento emesso dal GIP in data 18.2.2011 (entrambi
allegati). L’atto di gravame segnala inoltre che dinanzi al collegio del
Tribunale di Teramo competente a giudicare quella vicenda processuale è
stato escusso il teste operante, mar. (omissis). Dalla testimonianza di costui
emerge che l’attività d’indagine si è limitata all’acquisizione documentale,
senza operare alcun accertamento sulla veridicità o meno della consegna dei
beni oggetto di fatturazione.
In ordine alle valutazioni conclusive del collegio, infine, si deduce che
la nota del Commissariato di Gioia Tauro del 14 marzo 1995, citata alla pag.
51 del decreto impugnato è in realtà una lettera anonima evidentemente
inutilizzabile al fine di fondare il convincimento del giudice. Si contestano
poi le illazioni operate dal Tribunale in merito a non ben individuate
collusione della famiglia (omissis) con soggetti appartenenti a contesti
mafiosi, di cui a pag. 53-54 del decreto impugnato, si rileva che lo stesso
Tribunale aveva rigettato la richiesta del PM di udienza di acquisizione di
documenti comprovanti le contiguità mafiose degli (omissis) , sicchè del tutto
inopportune appaiono le considerazioni sul punto operate in decreto. Non
risulta poi esaminata il prodotto rigetto divenuto definito della proposta di
prevenzione a carico di (omissis) .
Con memoria prodotta in udienza camerale, poi, la difesa ribadiva ed
integrava le superiori argomentazioni, in particolare, sul tema della
pericolosità generica la difesa richiama la sentenza di legittimità n.
80
31209/2015, ric. Scagliarini, laddove statuisce che nessuna misura di
prevenzione può essere applicata qualora manchi una ricostruzione di fatti,
idonei a determinare l’inquadramento del proposto in una delle categorie
specifiche di pericolosità espressamente tipizzate dal legislatore. Detta
decisione del Supremo Collegio poi prosegue nel rammentare che per quanto
riguarda in particolare la lett. b) dell’art. 1 d.lg.vo 159/2011 l’inquadramento
in tale fattispecie di pericolosità presuppone la realizzazione di attività
delittuose, che le stesse siano produttive di reddito e che tali proventi siano
destinati in tutto o in parte al soddisfacimento dei bisogni di sostentamento
della persona e della sua famiglia. Da ciò consegue che se la realizzazione
del delitto è esclusa in sede penale, manca uno dei presupposti a cui ancorare
la fattispecie in esame. La difesa richiama poi la recente giurisprudenza
comunitaria in materia di pericolosità generica (in particolare la sentenza De
Tommaso c. Italia), indi esamina ancòra una volta i singoli processi posti a
base del giudizio di sociale pericolosità: quanto al proc. n. (omissis)
Procura Palmi (pagg.11-12 decreto impugnato) osserva che per uno dei
reati in contestazione (omessa annotazione nelle scritture contabili) il
proposto è stato assolto per sopravvenuta abolitio criminis, sicchè il dato è
inutilizzabile a fini prevenzionali, stante la necessaria ricorrenza di “traffici
delittuosi” richiesta dalla lettera della legge. Si ribadiscono poi le medesime
argomentazioni in relazione ai reati dichiarati prescritti, in quanto la
punibilità è elemento costitutivo interno al reato, sicchè la seconda
imputazione ascritta in quel processo, ossia l’utilizzazione di fatture per
operazioni inesistenti, dichiarata prescritta dalla Corte d’Appello, con
sentenza del 23 gennaio 2001, non può essere parimenti utilizzata nella
valutazione da operare in questa sede. Si rimarca altresì l’incompatibilità tra
la sospensione condizionale della pena e la pericolosità generica, fondata su
traffici delittuosi, richiamando la sentenza di legittimità n. 31209/2015, ric.
Scagliarini. In merito poi al proc. pen. trattato dalla Procura di Catania
(pag. 12-14 decreto di primo grado), si osserva che la denuncia a carico
dell’(omissis) non ha evidentemente avuto alcun seguito processuale, sicchè
difettano quei fatti storicamente apprezzabili che potrebbero costituire gli
indicatori della possibilità di iscrivere il proposto in una delle categorie
criminologiche previste dalla legge. Quanto poi al proc. pen. n. (omissis)
Procura Palmi, rilevasi che la sentenza, nella sua sinteticità, non descrive
81
fatti storicamente apprezzabili e tali non possono essere considerati quelli
indicati in reati dichiarati prescritti. Si richiama poi la sentenza di legittimità
n. 31617/2015, ric. Lucci, che ha affrontato la questione dei rapporti tra
confisca e sentenza di prescrizione, sostenendo l’affinità fra confisca diretta
di cui all’art. 322 ter c.1 c.p., oggetto di detta sentenza e la confisca di
prevenzione, basata su valutazione di pericolosità generica. Proc. n. (omissis)
Procura Palmi: si ribadiscono ancòra una volta le argomentazioni relative
all’impossibilità di apprezzare a fini prevenzionali una sentenza di
prescrizione, peraltro maturata a seguito di esclusione dell’aggravante del
danno di rilevante entità. Si sottolinea comunque che risulta in sentenza
come (omissis) avesse il ruolo di mero autotrasportatore del fratello (omissis) ,
per il quale il Tribunale di Teramo ha rigettato la proposta di misura di
prevenzione. Il proc. trattato dalla Procura di Trani è stato archiviato dal GIP
per infondatezza della notizia di reato e non già per intervenuta prescrizione,
come erroneamente affermato dal Tribunale, in quanto, alla richiesta di
archiviazione del PM per intervenuta prescrizione corrispondeva una
decisione del GIP nei termini già detti, sicchè anche la vicenda di Trani è
inutilizzabile ai fini prevenzionali, a carico di (omissis) , senza tenere conto
poi che lo stesso sviluppo processuale per come documentato ha fatto sì che
il materiale probatorio iniziale ne risultasse indimostrato e ridimensionato.
In ogni caso, devesi ritenere che il proposto, a partire dal 9 giugno 1996 e
per tutta a durata dell’esecuzione della misura cautelare l’asserita
pericolosità dell’(omissis) sia rimasta sospesa, in quanto lo stesso non ha
esercitato quell’attività imprenditoriale attraverso la quale si ipotizza abbia
posto in essere i comportamenti integranti la sociale pericolosità ravvisata.
Proc. pen. n. (omissis) Procura Teramo: tal procedimento risulta archiviato,
come da richiesta del PM, per infondatezza della notizia di reato, talchè
anche per tale ipotesi non può utilizzarsi il dato al fine di configurare quegli
elementi di fatto necessari ad integrare i traffici e le attività delittuosi che
delineano la pericolosità sociale generica. Proc. pen. n. (omissis) Procura
Imperia: il primo giudice, afferma l’appellante, ha ignorato il contenuto
delle due sentenze che hanno deciso la vicenda in esame. Invero, il proposto
era stato imputato dei reati di bancarotta fraudolenta e emissione di fatture
per operazioni inesistenti: in ordine al primo delitto era intervenuta sentenza
assolutoria, mentre in relazione alla seconda contestazione si emetteva in
82
primo grado condanna con sospensione condizionale della pena e in appello
veniva dichiarata l’estinzione del reato per intervenuta prescrizione. Si
svolgono pertanto le medesime argomentazioni più volte proposte e sin qui
riportate in relazione al (non) valore a fini di prevenzione da attribuire a tale
dato, richiamando ancòra una volta le statuizioni contenute nella sentenza
Lucci, laddove si afferma l’inidoneità di una sentenza dichiarativa di
prescrizione a fondare un provvedimento di confisca.
Proc. n. (omissis) Procura Palmi, poi trasferito a Teramo: la sentenza
intervenuta il 7.11.2016 assolve (omissis) dal reato associativo, dal reato di
truffa aggravata e dal reato di falso, mentre dichiara l’estinzione per
prescrizione del reato dei reati di cui agli artt. 316 bis c.p. e 2-8 d.lgs.
74/2000. Tale pronuncia quindi impedisce di considerare il proposto quale
soggetto dediti a traffici delittuosi, non potendo essere valorizzati fatti che
sono stati ritenuti “non- delitti”, in quanto carenti di un elemento strutturale
del reato, costituito dalla punibilità. Non può riconoscersi, quindi, maggiore
significazione agli indizi che hanno sorretto il provvedimento cautelare, per
come invece operato dal primo giudice che ha “letto” erroneamente la
sentenza di legittimità n. 2606/1995, ric.Lupo (pag. 39 decreto impugnato),
attinente alla pericolosità qualificata di tipo mafioso, che pertanto non può
essere trasposta alla fattispecie oggi in esame. L’atto di gravame ritiene
invece maggiormente aderente al caso concreto la decisione n. 41320/2009
ric. Anile, che richiede l’esistenza di fatti obiettivi e non di ipotesi
investigative e non considera sufficiente a costituire indizio di prevenzione
la mera imputazione ascritta al proposto.
In conclusione, quindi, la biografia giudiziaria di (omissis) è costellata
da numerosi esiti favorevoli dei procedimenti instaurati a suo carico e per
quelli che invece sono stati decisi con sentenza di prescrizione o amnistia si
rileva che in primo grado era comminata una pena modesta con sospensione
condizionale e, laddove l’estinzione del reato è stata dichiarata in primo
grado, la confisca non può essere disposta alla luce dell’insegnamento di
legittimità ric. Lucci. Si conclude pertanto per l’assenza del presupposto
della sociale pericolosità in capo al proposto.
Motivazioni della Corte
83
Ritiene la Corte che la valutazione di sociale pericolosità del proposto operata dal Tribunale meriti di essere confermata. Deve innanzitutto esaminarsi l’eccezione di incompetenza funzionale dell’AG di Reggio Calabria, in favore di quella di Teramo, avanzata in via preliminare dall’appellante. Sul punto, la Corte condivide pienamente le conclusioni raggiunte dal primo giudice, nonché le osservazioni svolte nel decreto impugnato. Invero, premesso ogni opportuno riferimento alle disposizioni normative ed all’elaborazione giurisprudenziale in materia, rilevasi che il criterio fondamentale cui informare la risoluzione della questione risiede nell’individuazione del luogo dove il proposto ha manifestato con continuità le condotte pericolose, non assumendo alcun rilievo, come sostenuto dalla difesa, la collocazione spaziale della condotta di maggiore gravità. Da ultimo tale principio è affermato da Cass. Sez. 1, n. 45380 del 07/07/2015 “Nel procedimento di applicazione di misure di prevenzione personali, la competenza territoriale, per decidere sulla richiesta presentata nei confronti di un soggetto la cui pericolosità non sia riferibile ad un contesto associativo criminale, si determina avendo riguardo al luogo nel quale, sulla base degli elementi di fatto prospettati dall'autorità proponente, la pericolosità sociale attuale si manifesti con carattere di continuità in rapporto con l'ambiente locale, non assumendo rilievo decisivo a tal fine la collocazione spaziale della condotta di maggiore gravità. (In applicazione del principio la Suprema Corte, dirimendo un conflitto negativo di competenza, ha attribuito la cognizione del procedimento al Tribunale del luogo ove il proposto, con continuità, risiedeva e nel quale aveva posto in essere reati, sebbene se lo stesso avesse, occasionalmente, commesso una rapina in altro ambito territoriale). Ciò posto, non vi è dubbio che, seppure i processi penali instaurati a carico dell’(omissis) siano distribuiti non solo nel distretto reggino ma altresì in luoghi diversi del territorio nazionale, fino al più recente giudizio celebratosi a Teramo, tuttavia non può tacersi che il centro decisionale e operativo delle aziende riconducibili al proposto e ai terzi interessati è sicuramente da individuarsi nel territorio di Gioia Tauro, per le considerazioni già svolte dal primo giudice e sopra riportate, alle quali la Corte integralmente rinvia. Né può considerarsi decisiva o esplicare alcuna rilevanza la circostanza che la proposta a carico di (omissis), fratello dell’appellante, sia stata trattata dal Tribunale di L’Aquila, posto che le due posizioni non possono essere ritenute automaticamente sovrapponibili, sol perché anche (omissis) è parte imprenditoriale della famiglia, in
84
ogni caso, con tutta evidenza, nessuna efficacia vincolante su (omissis) può esplicare tale diversa scelta operativa. Parimenti priva di rilievo, a fini d’interesse, è la sentenza di incompetenza pronunciata dal Tribunale di Palmi, nell’ambito del processo poi transitato a Teramo, posto che, con tutta evidenza, diversi sono finalità e criteri cui obbedisce il giudizio penale rispetto a quello di prevenzione e differenti quindi i parametri valutativi ad essi connessi. Senza contare poi che il giudice penale ha valutato singolarmente detta vicenda processuale, laddove invece il giudice della prevenzione considera tale segmento nell’ambito di un più ampio contesto temporale che, quindi, come detto, fornisce la diversa chiave interpretativa del dato.
Ciò posto e ribadita quindi la correttezza della ravvisata competenza
nell’AG reggina, quanto al merito del gravame, va innanzitutto rammentato
il principio assolutamente generale dell’autonomia tra processo penale e
giudizio di prevenzione, per cui diversi sono come detto, gli obiettivi e le
finalità che i due istituti perseguono e differenti quindi i princìpi e gli
strumenti probatori ai quali essi rispettivamente obbediscono. Infatti,
oggetto del giudizio di prevenzione non è quello di accertare se un soggetto
sia o meno colpevole di un determinato fatto costituente reato, ma se lo
stesso sia pericoloso o non pericoloso, sicchè possono essere valorizzati
nell’ambito di un giudizio di prevenzione, come noto, anche dati fattuali che
hanno condotto a pronunce assolutorie in sede di merito, con l’unico limite
che i fatti non siano risultati storicamente smentiti nella sede processuale
propria. Conseguenza necessaria di tale principio è che si appalesa infondata
la ricorrente affermazione contenuta nell’atto di gravame, secondo la quale
solo le sentenze di condanna possono formare oggetto di valorizzazione ai
fini del giudizio di pericolosità generica. E’ del tutto evidente infatti che se
persino le sentenze assolutorie possono costituire la base significativa di un
giudizio di sociale pericolosità, ciò può conseguire maggiormente ad una
decisione dichiarativa della prescrizione, che comporta uno scrutinio
preliminare di insussistenza di estremi per l’assoluzione e
conseguentemente, lungi dal negare la sussistenza dei fatti contestati, prende
atto del decorso del tempo e nel contempo non ne esclude la sua
verificazione, una volta statuito che non si ravvisano ragioni che consentano
di emettere una pronuncia liberatoria in favore dell’imputato. Non si vede
85
pertanto quale divieto possa operare rispetto alla valorizzazione di elementi
tratti da processi conclusisi con sentenze di estinzione del reato per
prescrizione e quindi non può costruirsi alcun impedimento in tal senso nel
giudizio di prevenzione.
Altro principio cardine in materia è costituito dalla necessaria ricorrenza,
ai fini della configurabilità della pericolosità di cui all’art. 1 lett. a) e b)
d.lg.vo 159/2011, di “attività delittuose” o di “proventi di attività delittuose”,
talchè, osserva la difesa, ove il giudizio penale si sia concluso con la
declaratoria di prescrizione del reato, non può ritenersi la sussistenza di un
delitto, rappresentando la punibilità un elemento interno al reato, sicchè se
la realizzazione del delitto è esclusa in sede penale, mancherebbe uno dei
presupposti a cui ancorare l’ipotesi in esame. Anche tale assunto non è
condivisibile, posto che, come detto, la sentenza dichiarativa di prescrizione
non esclude la realizzazione di un delitto, come sostenuto dalla difesa, ma si
limita a prendere atto del decorso del tempo, contestualmente però
ravvisando la presenza di elementi che non consentono di giungere ad una
sentenza assolutoria nei confronti del soggetto. Nella vicenda in esame, per
come meglio si specificherà oltre, non vi è dubbio che la storia giudiziario-
imprenditoriale di (omissis) comprovi come costui sia stato abitualmente
dedito a “traffici delittuosi” ed abbia vissuto abitualmente, anche in parte,
con i proventi di attività delittuose. In particolare, rilevasi che, al di là degli
esiti favorevoli di alcuni processi instaurati a suo carico, ciò che deve
rimarcarsi è il reiterato, prolungato e seriale coinvolgimento del proposto (e
dei suoi stretti congiunti che lo coadiuvavano nell’attività imprenditoriale)
in numerose indagini che, sin dalla fine dagli anni ’80, lo vedevano
interessato alla medesima tipologia di violazioni costituenti delitto, ossia le
fatturazioni per operazioni inesistenti e le truffe per ottenere contributi
comunitari. Quanto alla prima delle attività delittuose, la Corte rileva
che tale fattispecie delittuosa, già prevista dal d.p.r. n. 633/72, quindi
dalla legge n. 516/8 2 e da ultimo dal d. l.vo n. 74/2000, è stato nel tempo
univocamente ritenuto quale reato di pericolo e di mera condotta,
essendo teso a preservare la fedeltà delle operazioni finanziarie, sicchè
prescinde dal verificarsi dell’evento di danno e dalla concreta evasione
dell’imposta (da ultimo Cass. Pen. Sez. 3, n. 25808/2016), tant’è che
alcuna soglia di punibilità risulta mai stata prevista dalla normativa
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succedutasi nel tempo. Risulta quindi smentito l’assunto difensivo che
lamenta una mancata indicazione delle imposte evase e connette a tale
carenza conseguenze di deficit probatorio in realtà non ricorrenti. Come
detto, infatti, se è indubbio che a tale condotta si colleghi una finalità di
indebita evasione dell’imposta (è infatti richiesto un dolo specifico in tale
senso) e quindi comunque un illecito provento che l’agente utilizza a proprio
vantaggio, il delitto è in ogni caso perfezionato in presenza della mera
falsa fatturazione, sicchè alcun rilievo assume il quantum di imposta
lucrata, avendo l’ordinamento ascritto alla mera infedele dichiarazione la
violazione degli interessi tutelati.
Passando quindi all’esame dei singoli processi penali posti a base della
proposta, quanto al proc. n. (omissis) Procura Palmi, rilevasi che
l’imputazione contestata attiene all’utilizzazione di fatture per operazioni
inesistenti, al fine di evadere le II.DD. e l’IVA, nel periodo 1983-1985. Per
quanto attiene ai fatti specifici ascritti all’(omissis), si rimanda al decreto
impugnato sopra riportato e in relazione ai motivi di gravame, si ribadiscono
le considerazioni fin qui svolte nelle linee generali, quanto al difetto di
indicazione della somma evasa, alla mancanza di analisi nel merito della
condotta contestata, al valore della declaratoria di estinzione per
prescrizione, osservando altresì che con tutta evidenza priva di
significazione favorevole al proposto è la circostanza che nell’occasione sia
stata concessa all’(omissis) la sospensione condizionale della pena, sia
perché la valutazione da operare a tal fine è del tutto differente rispetto a
quella richiesta al giudice della prevenzione e sia poiché comunque
all’epoca ricorrevano le condizioni di legge per la concessione del beneficio,
essendo il proposto soggetto incensurato. Nessuna contraddizione quindi si
ravvisa, posto che la pericolosità oggi delineata anche a far data da quegli
anni viene ricostruita leggendo le diverse vicende processuali
succedutesi nel tempo che quindi ricevono nuova e diversa luce dagli
accadimenti posteriori. La sentenza di legittimità Scagliarini citata
dall’appellante, peraltro, nel corpo della motivazione, nell’escludere che ai
fini della configurabilità della pericolosità generica possano essere
valorizzati fatti coperti da giudicato assolutorio, ammette tuttavia la
possibilità di un’autonoma valutazione del giudice della prevenzione
nell’ipotesi di proscioglimento per intervenuta prescrizione, purchè il fatto
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risulti delineato con chiarezza nella sentenza di proscioglimento o sia
comunque ricavabile dagli atti. Nell’ipotesi in esame, i fatti appaiono
nitidamente ricavabili dalla sentenza di primo grado, che si era conclusa con
la condanna del proposto, di cui dà atto il primo giudice, essendosi solo in
secondo grado giunti alla declaratoria di prescrizione, sicchè appare del tutto
evidente la correttezza dell’iter argomentativo seguìto dal Tribunale anche
sotto tale profilo. Aggiungasi poi, ancòra in merito alla citata sentenza di
legittimità Scagliarini, che i supremi giudici sottolineano la necessaria
ricorrenza e la valenza sintomatica quindi di condotte delittuose abituali,
produttive di proventi illeciti, nonché la massiccia e continuativa elusione
degli obblighi tributari, che realizza una provvista finanziaria, la quale, una
volta reinvestita in attività commerciali da cui il soggetto trae sostentamento,
può ben dirsi fornisca a costui i proventi di attività delittuose, così integrando
il presupposto normativo per la configurabilità della pericolosità sociale
generica. Quanto argomentato dalla Corte di legittimità appare
perfettamente sovrapponibile alla presente vicenda, laddove la sistematicità
e serialità del ricorso reiterato alla falsa fatturazione, sempre ritenuta
costituente delitto, ha comportato risparmi di imposta e quindi proventi
notevoli poi reinvestiti nell’attività produttiva che riceveva quindi
esponenziale sviluppo dall’attività delittuosa posta in essere. Di nessun
pregio in senso contrario appare la sentenza emessa dal GUP di Palmi in data
6.3.1990, indicata genericamente senza alcuna considerazione, nella
memoria prodotta ed allegata alla stessa, in quanto relativa all’imputato
(omissis), quindi a soggetto diverso dall’(omissis), sebbene tratti di fatture
inesistenti emesse dalla (omissis), decisione quindi non idonea ad esplicare
alcuna influenza nella presente procedura, in quanto comunque precedente
giudiziario non vincolante per questa Corte.
Quanto al processo c.d. (omissis), celebrato a Catania, emerge dalla
denuncia il coinvolgimento nella vicenda sia del proposto, che del fratello
(omissis) e del padre (omissis), sempre in relazione ad una condotta di
utilizzazione di fatture per operazioni inesistenti, al fine di conseguire un
indebito contributo comunitario, nella misura indicata nel decreto impugnato
sopra riportato. Del tutto irrilevante quindi l’eventuale mancanza in atti della
sentenza emessa o lo sviluppo processuale della vicenda non documentato
nei riguardi dell’(omissis), posto che deve ritenersi ragionevolmente i fatti
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non siano stati smentiti, se si pone mente alla circostanza che il (omissis)
risulta condannato per la contestazione in esame e che si fa riferimento a
ditte di Gioia Tauro nella decisione emessa, sicchè è fondato ritenere si tratti
delle ditte degli Oliveri indicate in denuncia. Ancòra una volta quindi i fatti
addebitati non risultano smentiti nella loro storicità e risulta il
coinvolgimento del proposto e dei suoi più stretti congiunti, senza che osti a
una tale conclusione la diversa lettura operata dal Tribunale di L’Aquila,
che, con tutta evidenza non esplica alcuna influenza sulla valutazione a cui
è chiamata la Corte. Anche per il proc. (omissis), nel rinviare a quanto
contenuto nel provvedimento gravato, nel quale si dà atto che (omissis) era
stato rinviato a giudizio per il reato associativo, finalizzato all’emissione ed
utilizzazione di fatture inesistenti e all’indebita percezione di aiuti
comunitari, si ribadisce quanto argomentato in relazione all’apprezzamento
a fini prevenzionali della declaratoria di prescrizione, altresì rilevasi che,
contrariamente a quanto affermato, la sentenza emessa il 22.3.2001 reca tra
gli imputati del reato sub a) del proc. n. 1405/88 il cognome (omissis) , sia
pure senza indicazione del nome di battesimo (peraltro ciò accade anche per
gli altri imputati, indicati solo mediante il cognome) e nell’elencazione delle
ditte interessate alle false fatturazioni è compreso (omissis) . Quanto poi
all’esame della condotta contenuto in sentenza, si osserva che in relazione
al capo a) (ossia la contestata truffa aggravata ai danni dell’AIMA, attuata
mediante l’emissione/utilizzazione di fatture per operazioni inesistenti) la
stessa sentenza prodotta afferma che non si ravvisano elementi tali da
addivenire alla pronuncia di proscioglimento nel merito alla luce della
perizia in atti, mentre in relazione al capo b) il Tribunale perviene
all’assoluzione, rilevando che la contestazione formulata addebita
l’emissione e utilizzazione di fatture per operazioni inesistenti, al fine di
commettere il reato di truffa aggravata sub a), e poichè la finalità ascritta è
diversa da quella di evadere le imposte dirette e/o l’IVA, prevista dalla
normativa tributaria, difetta il dolo specifico dell’evasione dell’imposta e
quindi non può configurarsi la fattispecie delittuosa contestata, senza che
tuttavia da tale motivazione emerga alcuna smentita ai fatti descritti, anzi
ribadendosi la loro storica ricorrenza. Quanto infine alla questione dei
rapporti tra confisca e sentenza di prescrizione, affrontata dalla sentenza
Lucci, citata dalla difesa, che sostiene la sostanziale affinità tra la confisca
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di prevenzione e la confisca diretta di cui all’art. 322 ter c.1 c.p., è evidente
l’infondatezza dell’assunto, essendo la confisca di cui all’art. 322 ter c.p.
immediatamente collegata ad un reato di cui il soggetto è stato ritenuto
responsabile, sicchè è istituto connotato da finalità meramente sanzionatorie,
laddove invece la confisca di prevenzione non può prescindere dalla
valutazione di pericolosità del soggetto ed ha per l’appunto finalità di
“prevenzione”, ossi impedire che un bene ottenuto con proventi di attività
delittuose continui ad operare nel circuito produttivo.
Proc n. (omissis) Procura Palmi: il delitto di utilizzazione di fatture
inesistenti veniva dichiarato prescritto, mentre il delitto di truffa finalizzata
all’indebito contributo AIMA veniva amnistiato, previa esclusione
dell’aggravante di cui all’art. 61 n. 7 c.p., in quanto era risultato che la
somma indebitamente percepita a titolo di contributo ammontava a soli
20.000,00 euro. La difesa ritiene che tale dato non possa non esplicare effetti
nel giudizio di prevenzione, soprattutto in relazione al nesso di
pertinenzialità che deve intercorrere tra ingiusto profitto e successivo
acquisto del bene, alla luce della sentenza di legittimità n. 4880/2015.
Rilevasi sul punto che un indebito contributo percepito di 20.000,00 euro
non può considerarsi irrilevante ai fini prevenzionali, dovendosi apprezzare
non la vicenda atomisticamente considerata, bensì quale anello di una
catena di processi analoghi nei quali l’(omissis) è stato coinvolto con i più
stretti congiunti, né comunque un profitto di 20.000,00 euro, che
successivamente produce l’effetto moltiplicatore tipicamente connesso
all’attività imprenditoriale, può considerarsi irrisorio, essendo anzi
dimostrativo di sociale pericolosità nella misura in cui comprova l’agire
delittuoso del soggetto nell’espletamento della sua attività. Di nessun rilievo
poi la qualifica formale di autotrasportatore del fratello rivestita
dall’(omissis) Vincenzo, essendo emersa a piene mani, dalla storia
imprenditoriale della famiglia (omissis), la cointeressenza economica di
tutti i più stretti congiunti, sicchè non può fondatamente sostenersi
l’ignoranza del proposto in relazione all’attività illecita posta in essere dal
germano, solo in virtù del ruolo formale all’epoca rivestito dallo stesso.
Quanto alla vicenda trattata dal Tribunale di Trani, si osserva che la
circostanza che la stessa si sia conclusa con l’archiviazione, alla luce del
tortuoso iter processuale registratosi, non impedisce di apprezzare in questa
90
sede i fatti, che ancòra una volta non hanno ricevuto smentita sotto il profilo
del loro oggettivo verificarsi. Dalla stessa richiesta di archiviazione
presentata dal PM (allegata all’atto di gravame) emerge i nfatti che l’organo
di accusa, nel ripercorrere le vicissitudini delle contestazioni, prende atto
della maturazione del termine massimo di prescrizione in relazione a tutte le
ipotesi di reato ascritte e chiede pertanto l’archiviazione per tale causa,
laddove invece il GIP, utilizzando un modulo prestampato, afferma che “la
notizia di reato è infondata per le ragioni esposte dal PM nella sua richiesta
qui integralmente richiamata”. E’ evidente pertanto che la declaratoria di
infondatezza dell’accusa non è frutto di una valutazione autonoma del
decidente, che richiama integralmente le ragioni esposte dal PM, bensì
esclusivamente dell’erronea scelta di una casella inserita nel modulo
prestampato, poi adattato al caso concreto. In sostanza, quindi, la corretta
interpretazione degli atti fà sì che si configuri non una pronuncia liberatoria,
ma soltanto una presa d’atto del decorso del tempo e dello sviluppo
processuale carente che ha caratterizzato l’iter della vicenda. Peraltro, al di
là degli esiti del processo di merito, comunque i fatti emersi nelle indagini,
analiticamente riportati nel decreto impugnato, danno contezza, ancòra una
volta, del modus operandi illecito dell’(omissis) nella gestione della propria
impresa. Con tutta evidenza poi non può parlarsi di una “sospensione” della
pericolosità, in costanza di esecuzione dell’ordinanza custodiale, atteso che,
se è vero che nel corso di un periodo (omissis) non ha potuto esercitare
quell’attività attraverso la quale si è manifestata la sua sociale pericolosità,
è altrettanto vero che trattasi di un arco temporale che non appare
significativo nell’economia pluridecennale della valutazione e comunque è
altrettanto chiaro che per configurarsi la sociale pericolosità non è necessario
che il proposto debba agire illecitamente senza soluzione di continuità,
richiedendosi soltanto la configurazione di una condotta improntata
all’illecito, che caratterizza il percorso esistenziale del soggetto, senza che
ciò debba obbligatoriamente manifestarsi in ogni istante della sua esistenza.
Proc. n. (omissis) Procura Teramo: anche in tale ipotesi, sebbene
conclusasi con un’archiviazione, di cui dà atto lo stesso decreto impugnato,
è dato rilevare la ricorrente condotta addebitata ad (omissis) e (omissis),
consistente in un’attività di contrabbando di olio, con conseguente frode in
danno dell’Unione Europea. Tale emergenza quindi, contribuisce
91
ulteriormente a lumeggiare, sia pure ad colorandum, per come ammesso del
primo giudice, lo stile di vita delittuoso cui l’ (omissis), ed i suoi stretti
congiunti, sembrano avere improntato la loro attività imprenditoriale.
Proc. n. (omissis) Procura Imperia: trattasi di una vicenda che ricalca
il medesimo clichè già emerso. Infatti, l’imputazione relativa alla falsa
fatturazione è stata dichiarata prescritta, con tutte le considerazioni che ne
conseguono, per come sopra già argomentato, non risultando rilevante
l’indicazione del numero delle fatture o del quantum di imposta evasa,
essendo sufficiente il mero dato della falsa fatturazione. Parimenti priva di
rilievo in senso favorevole al proposto, la concessa sospensione
condizionale della pena, per le ragioni sopra evidenziate. Nessuna discrasia
è rilevabile quindi con la sentenza di legittimità ric. Lupo, erroneamente
citata nel decreto impugnato, secondo quanto sostenuto nell’atto di gravame,
posto che non si tratta di riconoscere maggiore valenza ai dati risultanti in
fase di indagine rispetto all’esito del giudizio: si ribadisce, la circostanza
decisiva è che i fatti in questione, ossia le false fatturazioni, non siano
risultati smentiti nel giudizio penale di merito e tanto è sufficiente al fine di
una corretta utilizzazione degli stessi in questa sede.
Infine, per quanto attiene al proc. del 2010 originariamente pendente
a Palmi e poi transitato per competenza a Teramo, rilevasi ancòra una
volta che dalla stessa sentenza di primo grado versata dalla difesa nel corso
dell’udienza di secondo grado, emerge innanzitutto che imputati in quel
processo erano, oltre al proposto, anche il fratello (omissis) ed i figli,
(omissis), senza contare poi che alcuni capi d’imputazioni ipotizzano il
concorso anche di (omissis), deceduto, padre del proposto. Da notare poi
che, come per i giudizi in precedenza esaminati, nei confronti di (omissis) si
dichiarava la prescrizione per il reato di cui all’art. 2 d.lgs. 74/2000, perché
si avvaleva di fatture per operazioni inesistenti, indicando, al fine di evadere
le imposte sui redditi e/o sul valore aggiunto, nella dichiarazione annuale
2007 elementi passivi fittizi, nonché per il reato di cui all’art. 8 d. l.gs.
74/2000, perché, al fine di evasione delle imposte, emetteva fatture per
operazioni inesistenti nei confronti della (omissis) s.r.l., altra società di
famiglia. E’ evidente pertanto che alcuna efficacia liberatoria possiede detta
decisione n favore del proposto, per come asserito dalla difesa, risolvendosi
anzi la stessa in una presa d’atto del decorso del tempo, senza che siano
92
smentiti in alcun modo i fatti di natura analoga a quelli già più volte emersi,
che avevano fondato l’esercizio dell’azione penale. La Corte quindi non può
che ribadire le argomentazioni già in precedenza sviluppate: la sentenza
prodotta infatti, dà atto (pag. 40) che “difetta nel caso di specie l’evidenza
della prova dell’estraneità degli imputati ai fatti-reati contestati, tenuto
conto delle testimonianze dei testimoni di polizia giudiziaria e della
documentazione versata negli atti del fascicolo per il dibattimento,
elementi questi che restituiscono indizi rappresentativi della fittizietà delle
fatture rilasciate dalle persone imputate emittenti, per le ragioni già
rassegnate con riguardo alle vicende più complesse riguardanti i
finanziamenti per i quali erano state emesse le fatture indicate” . Risulta
quindi con tutta evidenza che quel collegio ha esaminato nel merito
approfonditamente la vicenda processuale in oggetto e che, dovendosi
arrestare per il maturare della prescrizione, si è dovuto fare ricorso alla
formula tecnica del difetto di evidenza della prova dell’estraneità degli
imputati. Non è dato comprendere quindi alcuna ragione che possa impedire
di utilizzare le emergenze di quel giudizio ai fini della presente valutazione,
essendo risultati tutt’altro che smentiti i fatti oggetto delle contestazioni ivi
formulate.
Nè può contraddire le conclusioni raggiunte la circostanza che il mar.
(omissis), teste di p.g. operante, abbia dichiarato, dinanzi al Tribunale di
Teramo, di avere proceduto esclusivamente ad acquisizione documentale,
senza operare alcun accertamento sulla veridicità della consegna dei beni
oggetto di fatturazione. Si osserva infatti che detta modalità di indagine è
stata ritenuta sufficiente e conducente rispetto ai delitti contestati e che la
decisione adottata da quel collegio costituisce ormai cosa giudicata, per
come sottolineato dalla difesa nel corso dell’udienza camerale, sicchè non
può oggi svilirsi la testimonianza dell’operante ritenuta in sede di merito
elemento atto a fondare una valutazione di non estraneità degli imputati ai
fatti-reato loro ascritti. Se infatti anche le decisioni assolutorie possono
costituire patrimonio utilizzabile in sede di prevenzione, sarebbe alquanto
arduo sostenere che una pronuncia non liberatoria, quale quella dichiarativa
della prescrizione, non possa essere apprezzata in giudizi nei quali non viene
in rilievo la colpevolezza per un fatto-reato, bensì la condizione di
pericolosità o meno di un soggetto. In ogni caso, premessa l’esaustiva
93
esposizione contenuta nel decreto impugnato, sopra riportato, dalla lettura
della testimonianza del teste di p.g. (omissis), resa dinanzi al Tribunale di
Teramo, allegata dalla difesa all’atto di gravame (all. 9), risulta che in
relazione alla società (omissis), la p.g. operante non si è limitata ad effettuare
esclusivamente acquisizioni documentali, come sostenuto dalla difesa, bensì
ha espletato due sopralluoghi, rilevando che il capannone dell’impresa non
era mai stato realizzato, ad eccezione delle fondamenta e dei pilastri
portanti (pag. 26 della trascrizione). Il teste quindi si diffonde nel riferire
sulle indagini espletate in relazione alle diverse società riconducibili alla
famiglia (omissis) , narrando del sistema della cd. somma navetta, (ad esempio
per la (omissis) si sono rilevate cospicue somme di denaro che figuravano
quali pagamenti di fatture, denaro che però rientrava successivamente come
aumento di capitale), nonché di un’ipotesi nella quale risultavano costi per
forniture di beni pari a circa 347.000,00 euro, mentre gli stessi beni
risultavano poi indicati nella fattura complessiva come imponibile per la
somma di 1.900.000,00 euro (pag. 45 trascrizione). Il teste (omissis)
ulteriormente precisava che la falsa fatturazione era stata rilevata
documentalmente da fatti quali quelli sin qui rammentati ed aggiungeva che,
ai sensi del d. l.vo 74/2000, la falsa fatturazione attiene a regole fiscali, può
essere anche parziale e non comporta necessariamente l’inesistenza fisica
dei beni fatturati, in quanto il bene può essere stato realmente fornito, ma
con un valore inferiore a quello fatturato, sicchè è sotto tale profilo che
l’operazione viene qualificata come inesistente, anche in considerazione
della somma navetta, che non trova giustificazione lecita, rammentando poi
il caso di macchinari che risulterebbero consegnati quando ancora erano in
produzione (pag. 64 della trascrizione).
A conclusione di quanto sin qui argomentato, quindi, la Corte non può
che condividere e ribadire la valutazione di sociale pericolosità operata dal
primo giudice: invero non si vede quale considerazione alternativa possa
essere sviluppata alla luce delle risultanze fattuali che hanno costellato
l’intera vita imprenditoriale di Oliveri Vincenzo e dei suoi più stretti
congiunti, con i quali vi erano cointeressenze societarie ben esposte, anche
visivamente, dal Tribunale. Non può essere infatti diversamente apprezzato
il sistematico ricorso a condotte fraudolente e di falsa fatturazione che ha
contraddistinto l’attività imprenditoriale del proposto, costellata da
94
procedimenti penali che si sono conclusi talora con decisioni di
archiviazione e spesso con declaratorie di estinzione del reato per
prescrizione. Risulta individuato un metodo seriale, costante di false
fatturazioni e di fraudolenta percezione di agevolazioni pubbliche che, al di
là dell’esito processuale di merito (come detto non vincolante per il giudice
della prevenzione), dà conto di fatti storicamente avvenuti, chiaramente
emergente dagli atti di p.g., fatti che, come detto, i giudizi penali non hanno
in alcun modo escluso, dovendosi sovente attribuire le favorevoli
conclusioni processuali a motivazioni tecnico giuridiche piuttosto che a
carenze di prova dei fatti. La pericolosità sociale del proposto è dimostrata
oggettivamente dalle numerose vicende, tutte connotate dal medesimo
modus operandi, che hanno interessato (omissis) e i familiari, parimenti
inseriti nelle società del gruppo, vicende che hanno inizio pressochè
contestualmente all’inizio dell’attività imprenditoriale del proposto. Atteso
che l’attività illecita posta in essere nel corso dei decenni da (omissis) è
sicuramente configurabile come condotta delittuosa, deve
conseguentemente affermarsi che (omissis) sia stato un soggetto dedito a
traffici delittuosi e che da tali attività delittuose abbia tratto i proventi che
hanno contribuito al sostentamento ed allo sviluppo esponenziale delle sue
imprese, che hanno nel tempo raggiunto le notevolissime dimensioni ben
evincibili dal provvedimento gravato, giovandosi dell’apporto di risorse
illecitamente ottenute con le condotte delittuose sopra specificate. Alla luce
di tali emergenze, prive di pregio si appalesano le deduzioni difensive già
esaminate, così come la circostanza che altro procedimento trattato dal GIP
di Reggio Calabria e non indicato in decreto si sia concluso con
l’archiviazione o che non sia risultata provata la vicinanza degli (omissis)
alla cosca (omissis), pure ipotizzata, o l’intervenuto rigetto della proposta
nei confronti di (omissis) , o la circostanza che la Corte dei Conti abbia
rigettato la domanda di pagamento, in favore del Ministero dello Sviluppo
Economico, delle somme percepite in virtù delle agevolazioni concesse alle
aziende del gruppo (omissis) . Su tale ultimo dato, si osserva in particolare che
oggetto della valutazione della Corte dei Conti è la sussistenza di un danno
erariale, che nella specie, si è ritenuto di non dovere riconoscere per ragioni
soggettive e/o tecnico-giuridiche che nulla smentiscono rispetto ai fatti
storici in esame, ma sono esclusivamente frutto di considerazioni che
95
caratterizzano eminentemente il giudizio contabile e che pertanto alcuna
influenza spiegano in questa sede. Quanto, poi, alle ulteriori deduzioni
difensive, le stesse appaiono prive di significazione: come detto il rigetto
della proposta nei confronti del fratello non esplica alcuna efficacia sul
presente giudizio, caratterizzato da una sua autonomia probatoria e
valutativa, inoltre la vicinanza alla cosca (omissis), proprio perché elemento
non utilizzato dal primo giudice, non può costituire dato da considerarsi e
l’ulteriore archiviazione che eventualmente l’(omissis) abbia guadagnato
non fà che aggiungersi alla serie di procedimenti che hanno interessato negli
anni il proposto, per violazioni della medesima natura. Si ribadisce: la
messe di elementi fattuali che hanno contraddistinto l’intero percorso
imprenditoriale di (omissis), quantomeno nell’arco del trentennio 1980-
2010, danno conto di una risalente pericolosità generica dello stesso,
dovendosi apprezzare complessivamente la medesima tipologia di vicende
giudiziarie nelle quali il proposto è stato negli anni coinvolto, sicchè
correttamente è stata ritenuta integrata l’ipotesi di cui agli artt. 1 e 4 lett. c)
d.lvo 159/2011, sulle medesime considerazioni, del tutto condivisibili,
sviluppate nelle valutazioni conclusive del Tribunale, da intendersi
integralmente richiamate.
Sulla proposta patrimoniale
Decreto impugnato
La valutazione del Tribunale. Fatte queste necessarie premesse di
ordine generale, occorre ora passare alla trattazione specifica delle richieste
avanzate dall’autorità proponente.
In primo luogo sarà definita la consistenza del patrimonio riconducibile
a (omissis) ed ai suoi stretti congiunti (omissis), con brevi informazioni sulle
compagini societarie, e successivamente ne verrà valutata la provenienza.
Preliminarmente, si osserva che la questione del vincolo di pertinenzialità temporale tra
le acquisizioni patrimoniali oggetto di proposta ed il requisito soggettivo della pericolosità
sociale, è facilmente superabile dal momento che, per come argomentato sul piano
personale, la pericolosità sociale sia pure generica del proposto abbraccia il suo intero
percorso imprenditoriale, dunque ricorre quella condizione esistenziale unitaria di
96
pericolosità affermata dai più recenti arresti giurisprudenziali per cui la misura temporale
ricorre per tutti gli acquisti, le addizioni e gli incrementi patrimoniali oggetto di sequestro.
Ed infatti, sebbene l’accensione della partita IVA per l’esercizio dell’attività agricola
di colture olivicole risalga al luglio dell’anno 1981, anno in cui è costituita la Ditta
Individuale (omissis) con oggetto principale “produzione di olio di olive prevalentemente
di produzione non propria”, solo in data 2.1.1984 risulta ufficialmente avviata l’attività di
coltivazione di frutti oleosi (v. visura camerale della ditta individuale allegata alla relazione
degli amministratori giudiziari).
Come confermato dallo stesso consulente agronomo dr. (omissis) in sede di esame, su
cui si tornerà oltre, dal ‘78 all’83 le superfici agricole coltivate dal proposto erano
pochissime e il volume d’affari era sostanzialmente zero, mentre è dall’84 che “l’azienda
acquisisce una certa corposità a livello di terreno, perché prima le superfici agricole in
affitto sono minimali”: dunque l’ascesa imprenditoriale del proposto si può datare
esattamente negli anni 1984-1985, in perfetta corrispondenza temporale alla realizzazione
delle prime condotte illecite di false fatturazioni, diffusamente descritte nella trattazione
della parte personale della proposta.
4.2. Breve descrizione del compendio in sequestro.
Con la proposta è stata chiesta dall’ufficio proponente la confisca dei seguenti beni:
a) imprese e partecipazioni societarie:
1) Intero Patrimonio Aziendale della “Ditta Individuale (omissis)”
(P.Iva n. (omissis)), (compresi i conti correnti e gli immobili intestati
alla stessa), con sede in Gioia Tauro (RC), Via (omissis), con data di
inizio dell’attività di impresa il 1.7.1981 (Produzione di olio di oliva da
olive prevalentemente non di produzione propria Importanza).
Dalla visura camerale risulta quale data inizio della coltivazione di
frutti oleosi il 2.1.1984.
2) Quota di euro 7.000,00 (e corrispondente porzione del patrimonio
aziendale, compresi i conti correnti e gli immobili intestati alla stessa)
di proprietà di (omissis), nonché quota di euro 1.335,56 (e
corrispondente porzione del patrimonio aziendale) di proprietà di
(omissis)Spa, detenute nella “(omissis)Srl” (Cf.02239190800), con sede
in Gioia Tauro (RC), Via (omissis) avente per oggetto “la fabbricazione
di prodotti alimentari come gelati di qualsiasi tipo, pasticceria
surgelata, prodotti alimentari surgelati e conservati in genere …ecc.”,
acquistata il 25.9.2003;
97
3) Intero Capitale Sociale e Patrimonio Aziendale (compresi i conti
correnti e gli immobili intestati alla stessa) della “(omissis)Srl” in
Liquidazione (Cf. (omissis)), con sede in Mosciano Sant’Angelo (TE),
Via (omissis), avente per oggetto l’industria di produzione di olio di
oliva, di semi e di oli in genere e relativi sottoprodotti … ecc, con
Capitale Sociale di euro 377.400,00 così suddiviso: (omissis) quota
sociale € 339.660,00 pari al 90 % del capitale sociale; (omissis) quota
sociale € 37.740,00 pari al 10 % del capitale sociale.
Per tale srl costituita nell’anno 1982 dai genitori del proposto,
(omissis), è stata reperita documentazione societaria solo a partire
dall’anno 1991, anno in cui la società trasferiva la sede dalla Provincia
di Reggio Calabria a quella di Teramo, rilevandosi dal verbale di
assemblea del 20.09.1991 che all’epoca il capitale sociale della (omissis)
Srl di lire 1.900.000.000 era suddiviso tra i soci: (omissis)e (omissis),
ciascuno per la quota di €.855.000.000, e (omissis) (moglie del proposto)
per la quota di €.190.000.000.
La ctu dr.ssa (omissis) ha accertato dall’esame del libro soci che il
proposto ha acquistato le quote della (omissis)per €.441.570,64 il 10
luglio 1990 e la moglie (omissis)in data 7.8.1991 al prezzo complessivo
di €.105.352,20.
Dall’anno 1998, a seguito di cessione delle quote da (omissis) a
(omissis), le quote societarie sono intestate per intero al proposto ed alla
moglie.
4) Quota di euro 5.000,00 e corrispondente porzione del patrimonio
aziendale (compresi i conti correnti e gli immobili intestati alla stessa)
di proprietà di (omissis), detenuta nella “(omissis) Srl” (Cf. (omissis)),
con sede in Mosciano Sant’Angelo (TE), Via (omissis), costituita con atto
del 16.11.2006, avente per oggetto “l’attività immobiliare in genere
nonché la gestione e l’acquisto di alberghi, motel, ostelli della gioventù,
rifugi di montagna, case per ferie e di riposo, ecc..”, con capitale Sociale
di euro 10.000,00 così suddiviso: (omissis): 50%; (omissis): 50%;
5)Intero Capitale Sociale e Patrimonio Aziendale (compresi i conti
correnti e gli immobili intestati alla stessa) della “(omissis) Srl”, (Cf.
(omissis)), con sede in Mosciano Sant’Angelo (TE), Via (omissis), avente
per oggetto “l’industria di produzione e confezionamento dell’olio di
98
oliva e dell’olio di semi vari e relativi sottoprodotti… ecc”. La società,
costituita in data 05.12.2001, ha un Capitale Sociale di euro 10.500,00
con socio unico: (omissis);
6)Quota di euro 5.755.848,00 (e corrispondente porzione del
patrimonio aziendale, compresi i conti correnti e gli immobili intestati
alla stessa) di proprietà di (omissis), detenuta nella “(omissis)Spa” (Cf.
(omissis)), con sede in Mosciano Sant’Angelo (TE), (omissis), avente per
oggetto “ l'industria di produzione di olio di oliva, di semi e oli in genere
e relativi sottoprodotti… ecc.”, con Capitale Sociale di euro
12.929.140,00, suddiviso come segue: (omissis): 44,52%; (eredi)
(omissis): 4,97%; (omissis): 44,52%; (omissis) S.A.: 5,99%.
La (omissis) srl fu costituita con atto del 04.03.1987, con un capitale
Sociale iniziale di lire 20.000.000 sottoscritto da (omissis) (nominato
A.U.) e (omissis), per una quota rispettivamente di lire 8.000.000,
(omissis) per la quota di lire 1.000.000 ciascuna, e (omissis)per lire
2.000.000.
Nell’anno 1990, la (omissis)Srl deliberava l’aumento del Capitale
Sociale da lire 20.000.000 a lire 4.067.550.000 mediante il conferimento
nella citata società delle aziende agricole intestate ai soci
(omissis)(valutata in lire 305.000.000), (omissis)(valutata in lire
1.242.550.000) e (omissis)(valutata in lire 2.500.000.000, di cui lire
2.300.000 costituenti valore di stima di immobili acquistati dallo stesso
negli anni dal 1978 al 1981). Nell’anno 1991, la società (omissis)Srl
deliberava l’aumento del Capitale Sociale da lire 4.067.550.000 a lire
11.000.000.000, in parte mediante il conferimento in natura ed in parte
in denaro, con ingresso di due soci (omissis). Tra la data in cui è stato
deliberato l’aumento del Capitale Sociale (17.12.1991) e la data di
deposito dell’elenco soci (28.07.1994), la titolarità delle quote intestate
ai citati soggetti veniva trasferita ai fratelli (omissis): in particolare la
quota di (omissis) passa da lire 626.450.000 a lire 4.724.225.000 con un
incremento di lire 4.097.775.000, mentre la quota di (omissis), da lire
2.508.000.000 passa a lire 4.724.225.000 con un incremento di lire
2.216.225.000. Nell’anno 2000, la (omissis)Srl deliberava l’aumento del
Capitale Sociale da lire 11.000.000.000 a lire 20.000.000.000 mediante
l’emissione di nr.9.000.000 di quote del valore di lire 1.000 ciascuna,
99
sottoscritte da (omissis) (ciascuno sottoscriveva nr.3.750.000 quote del
valore nominale di lire 3.750.000.000 versandola nelle casse sociali
mediante il prelievo della somma dal “conto futuro aumento di capitale)
e dalla (omissis) S.A. con sede in Lussemburgo, rappresentata nell’atto
dal procuratore speciale (omissis), nato a (omissis) il (omissis),
sottoscriveva le quote rimaste inoptate del valore nominale di lire
1.500.000.000 impegnandosi a versare la somma nelle casse sociali entro
5 giorni dalla data dell’atto. Con verbale di assemblea del 23.06.2000, la
società deliberava la conversione del Capitale Sociale in euro e la
trasformazione della forma giuridica da (omissis)Srl a (omissis)Spa.
Risalgono al 2001 i primi consistenti conferimenti della società
lussemburghese (omissis) SA..
La società detiene quote nominali pari ad € 4.000,00 del capitale
sociale dichiarato della società a responsabilità limitata (omissis) S.R.L.
e quote nominali pari ad € 8.314.956,00 del capitale sociale della società
a responsabilità limitata (omissis)S.R.L (che a sua volta detiene quote di
minoranza nella gruppo (omissis) srl e (omissis) srl, quest’ultima socio
di minoranza della (omissis) srl); quote nominali pari ad € 3.000,00 del
capitale sociale della società a responsabilità limitata (omissis)S.R.L. e
quote nominali pari ad € 3.000,00 del capitale sociale dichiarato della
società a responsabilità limitata (omissis) S.R.L.
7)Intero Capitale Sociale e Patrimonio Aziendale (compresi i conti
correnti e gli immobili intestati alla stessa) della “(omissis) Srl” (Cf.
(omissis)), con sede in Mosciano Sant’Angelo (TE), Via (omissis), avente
per oggetto “l'industria di produzione di olio di oliva e relativi
sottoprodotti …. ecc…”, con Capitale Sociale di euro 100.000,00 così
suddiviso: (omissis): 90% (90.000,00); (omissis): 10% (10.000,00). La
società è stata costituita in data 29.11.1990, per atto pubblico del Notaio
Dr. (omissis) numero di repertorio (omissis), tra i soci (omissis); alla data
del 28.07.1994 le quote in precedenza detenute da (omissis) (pari a
complessive lire 19.600.000), risultano trasferite a (omissis)per lire
10.000.000 e ad (omissis) per lire 9.600.000.
La società ha un Capitale Sociale di euro 100.000,00, che dall’ultimo
elenco soci depositato (29.03.2009), risulta così suddiviso: (omissis),
quota del 90% e (omissis) quota del 10%.
100
In data 20/06/2008 ha aperto una unità operativa in Borgia (CZ)
relativa alla struttura alberghiera e di ristorazione denominata
“(omissis)”.
8)Intero Capitale Sociale e Patrimonio Aziendale (compresi i conti
correnti e gli immobili intestati alla stessa) della “(omissis) Srl” (Cf.
(omissis)), con sede in Gioia Tauro (RC), Via (omissis), costituita in data
12.12.1996, avente per oggetto “la fabbricazione e riparazione di
macchine per l'agricoltura e la silvicoltura in particolare ….. ecc…”,
con Capitale Sociale di euro 10.200,00 così suddiviso: (omissis): euro
8.466,00; (omissis): 1.734,00, ;
9) Intero Patrimonio Aziendale (compresi i conti correnti e gli
immobili intestati alla stessa) della Ditta Individuale (omissis) (P.iva
(omissis)), avvio attività il 3.1.1996, con sede in Gioia Tauro (RC), Via
(omissis), esercente l’attività di “colture olivicole”;
10) Quota di euro 520,00, (e corrispondente porzione del patrimonio
aziendale, compresi i conti correnti e gli immobili intestati alla stessa)
di proprietà di (omissis), detenuta nella “(omissis) Srl”
(Cf.01055290801), costituita nel 1988, con sede in Gioia Tauro (RC), Via
Roma, avente per oggetto “ la coltivazione di fondi rustici e
l’allevamento di animali, lavorazione industriale dei prodotti della terra
e dell’allevamento, le colture protette, la sperimentazione di piante
tropicali, la floricultura, l’agriturismo ed ogni altra attività
complementare e similare”.. ecc..”, con Capitale Sociale di euro
10.400,00 così suddiviso: (omissis):5% (520,00); (omissis): 45%
(4.680,00); (omissis): 25% (2.600,00); (omissis): 25% (2.600,00);
11) Intero Capitale Sociale e Patrimonio Aziendale (compresi i conti
correnti e gli immobili intestati alla stessa) della “(omissis) Srl” (Cf.
(omissis)), costituita con atto del 11.02.2002 con sede in Mosciano S.
Angelo (TE), Via (omissis), avente per oggetto sociale “L'esercizio
dell'attività alberghiera, della ristorazione e delle attività comunque ad
esse annesse e connesse… ecc…” con Capitale Sociale di euro 10.000,00
così suddiviso: (omissis):50% (5.000,00); (omissis): 50% (5.000,00);
12) Intero Patrimonio (compresi i conti correnti e gli immobili
intestati alla stessa) dell’ Azienda Agricola (omissis) (P.iva (omissis)),
con sede in Giulianova (TE), Via (omissis), esercente l’attività di
101
“colture olivicole” e con unità locale sita nel Comune di Borgia (CZ),
(omissis), adibita a deposito di carburante per uso agricolo;
13) Quota del 23% del Capitale Sociale di proprietà di (omissis) e
corrispondente parte del Patrimonio Aziendale (compresi i conti
correnti e gli immobili intestati alla stessa) della “(omissis) Srl” (Cf.
(omissis)), costituita in data 25.09.2003 con sede in Mosciano
Sant’Angelo (TE), (omissis), avente per oggetto “l'acquisto di
stabilimenti esistenti …. la costruzione di opifici …. la raffinazione di
oli di oliva e qualsiasi altro tipo per uso alimentare … ecc…”, con
Capitale Sociale di euro 10.000,00 così suddiviso: (omissis):77%
(7.700,00); (omissis): 23%(2.300,00);
14) Quota corrispondente al 23% di euro 4.900,00 (e corrispondente
porzione del patrimonio aziendale compresi i conti correnti e gli
immobili), di proprietà della (omissis)Srl, detenuta nella (omissis) Srl
(Cf. (omissis)), con sede in Ravenna, Via (omissis), esercente l’attività
di “la realizzazione, la gestione, la manutenzione di un parco eolico sito
in Borgia (CZ), e la vendita dell’energia elettrica prodotta dallo
stesso…ecc.”, con Capitale Sociale di euro 10.000,00 così suddiviso:
(omissis) Srl:49% (4.900,00); (omissis) (Cf. (omissis)): 51% (5.100,00);
15) Quota di euro 2.400,00 di proprietà di (omissis), quota di euro
2.300,00 di proprietà di (omissis), nonché quota di euro 1.335,56 (il tutto
con le corrispondenti porzioni del patrimonio aziendale, compresi i
conti correnti e gli immobili intestati alla stessa) di proprietà della
(omissis) Spa, detenute nella “(omissis) Srl” (Cf. (omissis)), costituita in
data 25.09.2003 con sede in Mosciano Sant’Angelo (TE), Via (omissis),
avente per oggetto “la costruzione di impianti industriali, elettrici e/o
commerciali, pubblici e privati, realizzati chiavi in mano”, con Capitale
Sociale di euro 10.000,00 suddiviso tra i soci come segue: (omissis): 24%;
(omissis): 23%; P.A.C. Spa: 30%; (omissis): 23%;
16) Intero Capitale Sociale e Patrimonio Aziendale (e
corrispondente porzione del patrimonio aziendale, compresi i conti
correnti e gli immobili intestati alla stessa) della (omissis) Srl (Cf.
(omissis)), costituita in data 30.05.2006, con sede a Gioia Tauro (RC),
Via (omissis), avente per oggetto l'attività immobiliare ed edilizia ….. la
gestione di aziende agricole, agrituristiche ed alberghiere… ecc.”, con
102
Capitale Sociale di 10.000,00 così suddiviso: (omissis): 50% (5.000,00);
(omissis): 50% (5.000,00);
17) Quota di minoranza corrispondente a lire 9.600.000 (e relativa
porzione del patrimonio aziendale) di proprietà di (omissis), detenuta
nella “(omissis) Sas, di (omissis)” (Cf. (omissis)), con sede in Giulianova
(TE), (omissis), avente per oggetto “l’attività di autolavaggio servito e
self-service e la somministrazione di alimenti e bevande”, con Capitale
Sociale di lire 40.000.000 così suddiviso: (omissis), nato a (omissis), il
(omissis) - Socio Accomandatario (19.600.000); (omissis), nato a
(omissis), il (omissis)– Socio Accomandante (9.600.000); (omissis), nato
a Gioia Tauro, il 05.08.1981 – Socio Accomandante (9.600.000); (eredi)
OLIVERI Matteo Giuseppe, nato a Melicuccà il 08.06.1928 (omissis)–
Socio Accomandante (1.200.000);
18) Intero Patrimonio, compresi i conti correnti e gli immobili
intestati alla stessa, dell’Azienda Agricola OLIVERI Giovanni (P.iva
02384680803), con sede in Giulianova (TE), Via Retta nr.2/A, esercente
l’attività di “coltivazione di semi oleosi”;
19) Quota di euro 169.732,50 (e corrispondente porzione del
patrimonio aziendale, compresi i conti correnti e gli immobili intestati
alla stessa) di proprietà della (omissis) Srl, detenuta nella “(omissis) Srl”
(Cf. (omissis)), con sede in Giulianova (TE), Via (omissis), avente un
Capitale Sociale di euro 1.525.000,00 suddiviso come segue: (omissis)
Srl: 50% (762.500,00); (omissis): 50% (762.500,00);
20) Quota di euro 3.746.338,41 (e corrispondente porzione del
patrimonio aziendale) di proprietà della (omissis) Spa, detenuta nella
“(omissis)Srl” (Cf. (omissis)), con sede in Mosciano Sant’Angelo (TE),
(omissis), avente un Capitale Sociale di euro 8.314.956,00 così suddiviso:
(omissis) Srl 100% (8.314.956,00);
21)Quota di euro 1.780.800,00 (e corrispondente porzione del
patrimonio aziendale, compresi i conti correnti e gli immobili intestati
alla stessa) di proprietà della (omissis)Spa, detenuta nella “(omissis)Srl”
(Cf.(omissis)), con sede in Gioia Tauro (RC), Strada Statale 111, nr.210,
avente un Capitale Sociale di euro 4.000.000,00, così suddiviso:
(omissis)Srl 100%(4.000.000,00);
22) Quota di euro 44.520,00 (e corrispondente porzione del
patrimonio aziendale, compresi i conti correnti e gli immobili intestati
103
alla stessa) di proprietà della SIAL 2 Srl, detenuta nella “(omissis) Srl”
(Cf.(omissis)), con sede in Mosciano Sant’Angelo (TE), (omissis), con
Capitale Sociale di euro 100.000,00, così suddiviso: (omissis) Srl
100% (100.000,00);
23) Quota di euro 1.076.493,60 (e corrispondente porzione del
patrimonio aziendale, compresi i conti correnti e gli immobili intestati
alla stessa) di proprietà della (omissis) Srl, detenuta nella “(omissis)
Srl” (Cf. (omissis)), con sede in Mosciano Sant’Angelo (TE), (omissis),
avente un Capitale Sociale di euro 4.836.000,00 così suddiviso:
(omissis) Srl (2.418.000,00); (omissis) (2.418.000,00).
b)immobili
- unità immobiliari site in Gioia Tauro (RC), (omissis), censito
(omissis), conferiti da (omissis)nel fondo patrimoniale familiare [Cfr.
Nota di trascrizione nr.(omissis) Reg. Part. del 23.06.2006 (Uff. Prov.
di Reggio Calabria)];
- unità immobiliarie sito in Gioia Tauro (RC), (omissis), censito
(omissis) conferito da (omissis)nel fondo patrimoniale familiare [Cfr.
Nota di trascrizione nr. (omissis) Reg. Part. del 23.06.2006 (Uff. Prov.
di Reggio Calabria)];
- terreni, di natura uliveto, siti in Melicuccà, (omissis) conferiti da
(omissis) nel fondo patrimoniale familiare [Cfr. Nota di trascrizione
nr.(omissis) Reg. Part. del 23.06.2006 (Uff. Prov. di Reggio Calabria)];
-terreno sito in località Morrone del Comune di Gioia Tauro,
(omissis), conferito da (omissis) nel fondo patrimoniale familiare [Cfr.
Nota di trascrizione nr. (omissis) Reg. Part. del 23.06.2006 (Uff. Prov.
di Reggio Calabria)];
-terreni agricoli, siti in Melicuccà (RC), (omissis)conferiti da
(omissis) nel fondo patrimoniale familiare [Cfr. Nota di trascrizione
nr. (omissis) Reg. Part. del 23.06.2006 (Uff. Prov. di Reggio
Calabria)];
-fabbricati rurali, siti in Melicuccà (RC), (omissis), conferiti da
(omissis) nel fondo patrimoniale familiare [Cfr. Nota di trascrizione
nr. (omissis) Reg. Part. del 23.06.2006 (Uff. Prov. di Reggio
Calabria)];
104
- fabbricato, sito in Gioia Tauro (RC), (omissis), di proprietà di
(omissis) (omissis) [Cfr. Nota di trascrizione nr. (omissis) Reg. Part. del
28.12.2007 (Uff. Prov. di Reggio Calabria)];
-terreni, siti in Melicuccà (RC), (omissis) di proprietà di (omissis)
[Cfr. Nota di trascrizione nr. (omissis) Reg. Part. del 06.08.2009 (Uff.
Prov. di Reggio Calabria)];
36) terreni, siti in Melicuccà (RC), (omissis), di proprietà di
(omissis) [Cfr. Nota di trascrizione nr.(omissis) Reg. Part. del
06.08.2009 (Uff. Prov. di Reggio Calabria)];
- fabbricato, sito in Melicuccà (RC), (omissis) di proprietà di
(omissis) [Cfr. Nota di trascrizione nr.(omissis) Reg. Part. del
03.05.2002 (Uff. Prov. di Reggio Calabria)];
-fabbricato, sito in Gioia Tauro (RC), (omissis), conferito da
(omissis) nel fondo patrimoniale familiare [Cfr. Nota di trascrizione
nr.(omissis) Reg. Part. del 23.06.2006 (Uff. Prov. di Reggio Calabria)];
Osservava il Tribunale con il decreto di sequestro relativamente agli
immobili vincolati: “Senz’altro tutte le acquisizioni effettuate
dall’(omissis) quantomeno dopo il 1983 – anno in cui è accertato il primo
fatto relativo al massiccio utilizzo di fatture per operazioni inesistenti,
nell’ambito del proc. pen. n. (omissis)RGNR Procura della Repubblica di
Palmi, concluso in primo grado con sentenza di condanna (n. (omissis)del
Tribunale di Palmi) – sono state effettuate con i proventi dell’illecita
attività, e vanno dunque sottoposte a sequestro: trattasi dei terreni siti in
Melicuccà, (omissis), elencati nelle conclusioni della proposta, par. 6.b) ai
nn. da 22 a 25, il cui acquisto risale al 2002.
A ben vedere, peraltro, anche le unità immobiliari edificate in Gioia
Tauro, (omissis)(cfr. proposta, par. 6.b, nn. da 1 a 18), su terreno
acquistato dal proposto nel 1982, rappresentano il risultato delle opere di
costruzione, poste in essere nel 1991 e nel 2001, con il sicuro afflusso del
denaro di illecita provenienza.
Più in generale, con riferimento alle acquisizioni antecedenti il 1983 -
compreso quindi il locale terraneo e seminterrato, (omissis), acquistato nel
1981 (par. 6.b, n. 21 della proposta) - è a dirsi che esse sono state effettuate
in anni in cui il reddito e le complessive entrate del nucleo familiare erano
pari a zero (1982), ovvero erano appena sufficienti a coprire le spese
105
familiari ed i debiti accumulati negli anni precedenti (1981: v. supra,
tabella riepilogativa).
Pertanto, vanno sottoposti a sequestro tutti gli immobili, conferiti dal
proposto nel fondo patrimoniale familiare, meglio indicati ai nn. da 1 a
25, par. 6.b della proposta, con esclusione di quelli portati dai nn. 19 e 20:
questi ultimi invero sono stati acquistati il 14.8.1978, prima del
matrimonio dell’(omissis), senza che nulla risulti in ordine alle
complessive possibilità economiche dell’originario nucleo familiare, in cui
era allora inserito il proposto.
Deve inoltre essere accolta la richiesta di sequestro degli immobili di
proprietà della moglie e dei figli del proposto, in relazione ai quali vale la
presunzione di disponibilità in capo al proposto, e trattandosi comunque
di acquisti intervenuti in periodi in cui i formali titolari non avevano le
capacità economiche necessarie”.
- beni mobili registrati, titoli e rapporti finanziari intestati al proposto,
alla moglie ed ai figli.
4.3. La disponibilità dei beni in capo al proposto.
Va preliminarmente evidenziato che devono ritenersi nella sicura
disponibilità del proposto non solo l’omonima impresa individuale, le
partecipazioni societarie, gli immobili ed i rapporti finanziari direttamente
intestati ad (omissis)ma anche i beni già sequestrati e riferibili alla moglie
(omissis)e i loro due figli (omissis).
Ribadito che la disponibilità dei beni oggetto di confisca in capo al
proposto non è riconducibile esclusivamente ad una relazione naturalistica
o di fatto con il bene, ma altresì, a tutte le situazioni nelle quali il bene ricade
nella signoria e nella sfera degli interessi economici del proposto, come si è
detto sopra, lo statuto dimostrativo del requisito di disponibilità dei beni in
capo al proposto è diversificato per le ipotesi in cui i beni siano intestati a
soggetti che fanno parte del nucleo familiare e quelli che possono definirsi
terzi in senso stretto.
Per la prima categoria, che include il coniuge, i figli ed i conviventi del
proposto nel quinquennio, devono essere sempre disposte le indagini, ai
sensi di quanto previsto dal D.Lgs. n. 159 del 2011, art. 19, comma 3 (già
dalla L. n. 575 del 1965, art. 2 - bis, comma 3), in quanto il rapporto esistente
tra detti terzi ed il proposto costituisce, pur fuori dei casi delle specifiche
106
presunzioni di cui al comma 2 dell’art. 26 citato, circostanza di fatto
significativa, con elevata probabilità, della apparente formale disponibilità
giuridica e dunque della fittizietà della intestazione in capo alle persone di
maggior fiducia dei beni dei quali il proposto non può dimostrare la lecita
provenienza, quando il terzo familiare convivente, che risulta finalmente
titolare dei cespiti, è sprovvisto di effettiva capacità economica.
A fronte della presunzione di diretta o indiretta disponibilità in capo al proposto, era
onere dei terzi interessati introdurre concreti elementi di prova indiziaria di segno contrario
idonei a superare gli effetti di quella presunzione per sottrarre i beni ad essi formalmente
intestati alla confisca (così, da ultimo, Sez. 1, n. 39799 del 20/10/2010, Sez. 1, Sentenza n.
17743 del 07/03/2014): tale prova contraria è mancata, non bastando a superare la
presunzione di cui all’art.19 comma 3 del D.lGs.159/2011 la documentazione prodotta dalla
difesa dei terzi interessati.
Del resto, è evidente che il protagonismo imprenditoriale del proposto si
è proiettato naturalmente sulle posizioni economiche della moglie e dei figli
i quali, a fronte dell'accertato ruolo gregario e subalterno nella formazione e
gestione del patrimonio familiare (ben evidenziato nella stessa ordinanza del
Gip di Palmi in ordine alle vicende dell’(omissis), che ha qualificato i figli
“mere teste di legno” del padre), presentano la titolarità di beni mobili e
immobili che sono rimasti senza adeguata giustificazione.
Di qui la naturale e logica qualificazione di questo diffuso protagonismo
della moglie e dei figli nel mondo immobiliare, nelle partecipazioni
societarie, nei depositi bancari, come apparente e come strumento elusivo e
difensivo rispetto all'intervento espropriativo dello Stato.
Tale posizione non è certamente smentita dalla presenza degli stretti
congiunti in alcuni dei motori del meccanismo economico facente capo al
proposto: questo inserimento è naturalmente dovuto all'esperienza
conseguita grazie alla strategia imprenditoriale del capo famiglia.
Ciò posto, gli elementi offerti alla valutazione del Collegio non
consentono dunque di superare, la presunzione posta dall’art. 19, comma
terzo, del d. lgs. n. 159/2011 e dunque il giudizio di disponibilità in capo ad
(omissis).
In particolare, a fronte dei redditi inesistenti o esigui risultanti presso la Banca Dati
dell’Anagrafe Tributaria della moglie e figli del proposto negli anni in cui operano i primi
atti di acquisto di quote societarie ed immobili ad essi formalmente intestati, tali da non
107
giustificare la disponibilità degli esborsi dichiarati come prezzo di acquisto (ad esempio, la
moglie (omissis)acquisisce nel 1988 – in assenza totale di redditi – il 36% delle quote della
società (omissis), con un investimento di £. 7.200.000; nel 1991, sempre in totale assenza
di redditi dichiarati, diventa socia di (omissis) s.r.l. , cui partecipa con una quota pari a £.
190.000.000; nel 1996 fonda la propria impresa agricola individuale e nel 2003, in presenza
di redditi dichiarati per poche migliaia di euro, effettua investimenti nella (omissis)s.r.l.-
costituita nel 2002 - per euro 460.000,00), non sono stati offerti dai terzi elementi di prova
contraria della esistenza di altri redditi o entrate proprie lecite sufficienti a finanziare quegli
acquisti.
4.4. La provenienza illecita del compendio sequestrato: l’attività d’impresa
intrinsecamente illecita.
Quanto illustrato sul piano della pericolosità sociale deve costituire da premessa per la
cognizione e valutazione del materiale posto a fondamento della proposta patrimoniale.
Ritiene il Collegio che, sulla scorta delle risultanze istruttorie, possa dirsi raggiunta la
prova secondo la statuto proprio del giudizio di prevenzione che la crescita esponenziale
dell’attività imprenditoriale del proposto e l’accumulo di ricchezze da parte di quest’ultimo
e dei suoi stretti congiunti (moglie e figli) sia stata concretamente agevolata nell’avvio ma
soprattutto nell’espansione dal ricorso sistematico a pratiche imprenditoriali illecite
diversificate ben descritte nella parte personale, dalla frodi fiscali alle frodi comunitarie,
attraverso il contrabbando di olio di provenienza extracomunitaria e l’adulterazione del
prodotto venduto, e fino alle truffe finalizzate alla indebita percezione di contributi ex L.
488/92, sicchè l’imponente patrimonio sequestrato può ritenersi “il frutto o reimpiego di
proventi di attività illecite” in quanto direttamente ricollegabile (anche quale
reinvestimento della frazione alla accertata e risalente pericolosità sociale generica
strettamente connessa alla sua attività imprenditoriale intensificatasi negli anni.
Il ricorso alle condotte illecite ricostruite nella parte constatativa del giudizio di
pericolosità sociale rappresenta l’espressione di un modus operandi che ha caratterizzato la
complessiva strategia di impresa del proposto ed ha avuto un ruolo strategico (e certamente
non marginale data la sistematicità) nella affermazione ed espansione delle ditte e società
riconducibili al proposto ed ai suoi stretti congiunti che, grazie alle operazioni illecite
dispiegate, hanno potuto realizzare reddito e non tanto sopravvivere nel mercato ma
raggiungere una posizione di preminenza a livello nazionale penetrando nel mercato
dell’olio ed inquinandolo fin nel fondamento della libera concorrenza, come evidenziato
dal Gip nell’OCC resa nel procedimento di Trani.
L’attività imprenditoriale di per sé lecita, quanto all’oggetto, ha rivelato una natura
108
illecita per l’utilizzo sistematico della frode fiscale e comunitaria per la cui consumazione
il proposto ha strumentalmente utilizzato secondo l’occorrenza le sue ditte e le società a lui
riconducibili anche tramite i suoi familiari.
Si tratta di una conclusione fondata su un quadro probatorio solido e concludente, in
ragione della forte valenza indiziaria degli elementi tratti dai procedimenti penali intentati
a suo carico, anche laddove conclusisi con l'archiviazione o con sentenza di non luogo a
procedere per prescrizione, dovendo ribadirsi che tali esiti non sono mai conseguiti
all'accertamento negativo della sussistenza dei fatti ovvero dell'estraneità del proposto agli
stessi.
Le vicende giudiziarie che lo hanno riguardato, lette in coordinamento tra di loro e
valutate alla luce dei più recenti fatti oggetto della OCC emessa dal Gip di Palmi per cui il
proposto è stato rinviato a giudizio anche davanti al Tribunale di Teramo, sono pienamente
sintomatiche della sua costante ed inarrestabile dedizione a traffici delittuosi.
L’attività di impresa del proposto è, dunque, da sempre strutturalmente illecita per il
metodo di affermazione e di espansione non rientrante nella normale economia di mercato,
sicchè le stesse imprese ed i beni mobili, immobili e societari acquistati con le risorse dalla
stessa generati si configurano inequivocamente come frutto o reimpiego di attività illecite,
e come tali vanno confiscati.
E’ rimasta una mera allegazione non supportata da dati documentali né ragionevoli
quella della provenienza paterna delle risorse finanziarie con cui il proposto ha compiuto i
primi acquisti immobiliari dall’anno 1978 (di costituzione autonoma del suo nucleo
familiare) ed avviato la sua attività di impresa nel settore olivicolo, mancando riscontri in
ordine alle dimensioni anche economiche e di fatturato dell’impresa del padre ed al grado
di caratterizzazione della stessa.
In sostanza, i dati certi da cui si deve partire sono quelli tratti dalla ricostruzione dei
fatti operata nella parte personale dalla cui lettura emerge che:
- l’(omissis) è un imprenditore con “spiccata” professionalità nel mercato
oleario di Gioia Tauro dove inizia ad operare con proprie imprese dagli inizi
degli anni ’80, assumendo via via il ruolo di protagonista nel mercato
nazionale, incrementando il profitto della lecita attività imprenditoriale
svolta sotto forma di ditta individuale prima e societaria poi mediante
espedienti contrastanti con la legge consistenti nel ricorso sistematico alla
emissione e/o utilizzo di fatture per operazioni in tutto o in parte inesistenti
grazie alle quali ha conseguito o fatto conseguire ad altre società del gruppo
109
significativi indebiti risparmi di imposta e lucrato contributi pubblici, con
reiterato intreccio di lecito ed illecito;
-la principale fonte di sostentamento del proposto e del suo nucleo
familiare sono le imprese olearie in cui lo stesso è titolare, socio e/o
amministratore;
-le principali imprese del gruppo, partecipate dal proposto e dai suoi stretti congiunti
(moglie e due figli), sono imprese strutturalmente illecite, perché permeate di un’agire
imprenditoriale evidentemente illegale, culminato nelle vicende del processo attualmente
pendente a Teramo.
Ed infatti, non c’è una sola ditta o società riconducibile al proposto tra quelle avviate
nel settore oleario tra gli anni ’80 e ’90 (ma anche dopo) che non sia stata oggetto di
procedimenti penali per fatti illeciti della stessa natura connessi all’esercizio dell’attività di
impresa, basti rinviare quanto alla ditta individuale omonima ed alla (omissis) srl agli esiti
delle indagini delle Procure di Palmi e Trani ma anche di Imperia sopra ricostruiti.
Dagli accertamenti condotti dalla Gdf abruzzese confluiti nel procedimento penale
nr.690/97 RGNR presso la Procura di Teramo, sopra richiamato, emerge il dato per cui il
vorticoso intreccio finanziario tra le società del gruppo grazie al quale si sono realizzate più
di recente anche le truffe ex l. 488/92 oggetto del procedimento in corso a Teramo era stato
progettato e realizzato dal proposto fin dai primi anni ’90, costituendo le ditte e società del
gruppo strumenti di un meccanismo illecito funzionale alla realizzazione di profitti illeciti,
sia in termini di risparmio di imposta, e dunque di evasione fiscale, sia di percezione di
indebiti aiuti comunitari.
In tale contesto, ben si comprende la necessità per gli (omissis) –che come si è visto
agivano in assoluta sinergia con le varie società del gruppo moltiplicando i meccanismi
fraudolenti abilmente ideati e creando un’apparenza di liceità attraverso fittizi traffici
commerciali- di creare un meccanismo di copertura di movimentazioni di denaro di sospetta
provenienza utile a giustificare, a posteriori, esborsi non proporzionati alle proprie capacità
economiche apparenti, mediante l’acquisto nell’anno 2000 della società lussemburghese
(omissis)S.a. che risulta essere socio per il 5,99% dalla (omissis) Spa, ossia della cassaforte
immobiliare del Gruppo.
Ed infatti, degli atti della rogatoria compiuta dalla Procura di Palmi (confluiti nel
fascicolo del dibattimento in corso a Teramo) acquisiti in corso di istruttoria risulta il dato
certo della costituzione della (omissis) ad opera di (omissis), padre del proposto.
Non può certo sfuggire l’anomalia di tale operazione societaria già sospetta per il solo
fatto di essere avvenuta in un paese a fiscalità agevolata ed il cui ordinamento non garantisce
110
la trasparenza della costituzione, della situazione patrimoniale e finanziaria e della gestione
delle società (basti pensare che la (omissis)S.a. è una Società di partecipazione finanziaria,
c.d. (omissis)., amministrata a mero titolo fiduciario, da 3 persone fisiche di nazionalità
italiana che amministrano altre 45 (omissis) con sede nel medesimo ufficio in
Lussemburgo), vieppiù se si considera che già nella vicenda di Trani dei primi anni ’90 era
emersa la tendenza del proposto a far confluire all’estero i proventi della propria attività
illecita in paesi a fiscalità agevolata che garantivano l’anonimato all’investitore (si richiama
la vicenda del conto (omissis) del (omissis)).
Dunque, quella che era una ragionevole ipotesi iniziale dell’organo proponente (che
imputava i finanziamenti dalla (omissis) alla (omissis)al proposto in misura proporzionale
alla sua quota di partecipazione nella società finanziata) ha ricevuto l’avallo negli esiti della
rogatoria, tra cui le dichiarazioni rese in sede di interrogatorio condotto dal P.M. di Palmi
dall’amministratore della predetta società lussemburghese, (omissis), non smentite dalla
difesa che sul punto nulla ha dedotto. Il predetto ha dichiarato di avere conosciuto
(omissis)ed il figlio (omissis), ma anche altre due o tre persone della società di cui non
ricordava i nomi, e che i fondi che dalla (omissis)pervenivano alla (omissis) derivavano da
giacenze personali della “(omissis)” che erano versate su un conto acceso presso la banca
Antonveneta del Lussemburgo intestato alla società panamense (omissis) Ltd che poi le
bonificava alla (omissis), aggiungendo che nel 2006 –intervenuta la modifica della
normativa italiana per cui i redditi delle Holding del 1929, quale la (omissis), sono tassati
in Italia- si decise di cambiare la natura fiscale della società lussemburghese in Società di
partecipazione finanziaria, c.d. (omissis).
Orbene, il dato della materiale costituzione della società da parte del padre (omissis),
letto unitamente a quello inconfutabilmente emerso dai procedimenti penali che hanno
coinvolto per un trentennio gli (omissis) (padre e figli), ossia l’agire imprenditoriale illecito
in forma associativa grazie al quale è stato realizzato un avido ed ambizioso progetto
criminale su vasta scala culminato nelle recenti vicende oggetto del processo attualmente
pendente a Teramo, consente di affermare il nesso di derivazione dei finanziamenti e
versamenti della (omissis) alla (omissis) da disponibilità dei tre componenti del gruppo
(omissis).
In sostanza, l’evidente ruolo centrale e determinante per la genesi, la crescita e lo
sviluppo del gruppo imprenditoriale criminale che hanno svolto (omissis), attraverso le
varie persone giuridiche in cui il sodalizio è venuto ad articolarsi ed ha espresso negli anni
la sua azione imprenditoriale unitaria caratterizzata da sistematici e costanti reimpieghi
nelle società stesse dei proventi delle attività illecite messe in atto nello svolgimento
111
dell’impresa, conduce a ritenere che unica sia sempre stata la “cassa” a disposizione della
“famiglia (omissis)” per cui ogni investimento è stato partecipato in eguale misura dai suoi
tre componenti che così hanno beneficiato degli “utili” del comune, condiviso e pervicace
piano delinquenziale.
La considerazione che precede è rafforzata dallo stesso organigramma del gruppo sopra
illustrato da cui ben si evidenzia l’equilibrata distribuzione del patrimonio societario tra i
due fratelli (omissis), mentre la partecipazione del padre funge da anello di
congiunzione/ago della bilancia tra le diverse società equamente ripartite tra i due figli, oltre
ad essere ben fotografata dallo stesso perito dr.ssa (omissis) che –come vedremo- ha rilevato
un significativo numero di operazioni finanziarie in entrata ed in uscita, anche nel
medesimo giorno, condotte dal proposto e dai suoi familiari e coinvolgenti altre persone
fisiche e giuridiche collegate dall’appartenenza al medesimo gruppo (omissis), ma anche
dalle stesse partite di giro registrate nella vicenda giudiziaria di Teramo.
Tirando le fila del ragionamento illustrato sulla scorta delle risultanze dei procedimenti
penali a carico del proposto, ritiene il Collegio che le frodi non siano semplici accidenti in
una storia imprenditoriale limpida ma aspetti essenziali, altamente connotativi, di una
strategia imprenditoriale illecita, generalizzata e costantemente adottata, di tal chè va
esclusa la marginale incidenza sul complessivo assetto aziendale dei frutti del metodo
illecito che hanno irreversibilmente contaminato il complessivo sistema economico ed
imprenditoriale costituito dalle società e ditte del proposto.
Così come si parla d’impresa mafiosa, in cui nel complesso aziendale
non si può scindere tra eventuali “componenti sane”, riferibili a capacità e
lecita iniziativa imprenditoriale ed apporto di capitali illeciti, così avviene
per l’impresa dell’evasore fiscale abituale ed in genere del soggetto
pericoloso perché dedito a traffici delittuosi o che vive col provento, anche
in parte, di delitti posti in essere nell’esercizio dell’attività di impresa, con
condotte prolungate e reiterate di non agevole scoperta da parte degli organi
dello Stato (quali ad esempio, false fatturazioni, truffe, associazioni per
delinquere finalizzate alla commissione dei citati reati) tali da evidenziare
una strategia illecita di esercizio per effetto della quale si realizza un
fenomeno di inquinamento dei profitti dell’attività di tipo commerciale
stessa quale effetto del reinvestimento della frazione imputabile alle
pregresse attività illecite.
E’ noto che, sulla base di un insegnamento di legittimità costante e
condiviso, la confisca di prevenzione di un complesso aziendale non può
112
essere disposta solo con riferimento alla quota ideale riconducibile
all'utilizzo di risorse illecite, non potendosi distinguere, in ragione del
carattere unitario del bene, l'apporto di componenti lecite riferibili alla
capacità e alla iniziativa imprenditoriale da quello imputabile ai mezzi
illeciti, specie quando il consolidamento e l'espansione dell'attività
economica siano stati sin dall'inizio agevolati dall'agire imprenditoriale
illecito (da ultimo Sentenza n. 16311 del 23/01/2014; ma anche Sez. 5 n.
17988 del 30/01/2009, n. 5640 dell'8.2.2007), salvo siano offerti dalla difesa
affidabili elementi dimostrativi atti a consentire una tale indagine selettiva,
prova nella specie mancata.
L’azienda è, infatti, il risultato combinato di capitali, beni strumentali, forza lavoro ed
altre componenti, giuridicamente inglobati ed accomunati nel perseguimento del fine
rappresentato dall'esercizio dell'impresa (art. 2555 c.c.). Nell'insieme unitario costituente
autonoma realtà economico-sociale rispetto alle sue componenti, proprio perché i vari
fattori interagiscono finalisticamente e si integrano vicendevolmente dando luogo ad
un'entità autonoma, non è possibile discernere l'apporto riferibile a componenti illecite da
altre.
In altri termini, l’azienda funzionale all’esercizio di un’attività
d’impresa con sistematico ricorso alla frode è, per intero, frutto di attività
illecita, perché, senza il metodo illecito che la anima non avrebbe
raggiunto le sue dimensioni attuali.
Le entrate accumulate nell'esercizio dell'attività avvenuto con
pratiche illecite e reimpiegate per lo sviluppo aziendale, dunque,
assumono connotazioni di illiceità cd. derivata che ne condiziona
irrimediabilmente la natura.
Al di là dell'impossibilità pratica di individuare soprattutto in caso di
lunghi periodi i flussi di ricchezza imputabili all’attività illecita confiscabili
e quota lecita, è evidente, per legge economica, che le attività lecite del
proposto ed il patrimonio dallo stesso accumulato nell’arco temporale
trentennale di manifestazione della sua pericolosità non sarebbero state le
stesse ove vi fosse stato impiego di capitali minori, ossia solo quelli leciti:
dunque l'inquinamento, per definizione e per legge logico-economica, non
può non essere omnipervasivo e travolgente (Corte di cassazione, sez. II
113
penale - sentenza 25 marzo 2015, n.12638; v. anche Cass. Penale 2009
n.17229)1.
Tale ragionamento è valido anche nel caso di inquinamento del mercato
e assicurazione di quote di mercato da parte di imprese apparentemente
lecite, ma inquinate ora nell’avvio, che avviene utilizzando profitti illeciti
conseguenti a precedenti condotte criminali nello stesso settore (evasione
fiscale, bancarotta, etc.), ora nell’ordinaria attività imprenditoriale in cui si
opera la sistematica evasione fiscale attraverso false dichiarazioni, false
fatture con crediti IVA, ma anche contributiva, nonché mediante la
creazione di artifici grazie ai quali si conseguono indebiti contributi.
Dalla qualificazione dell’attività di impresa del proposto come intrinsecamente illecita
consegue che anche le entrate progressivamente reimpiegate per l'ulteriore sviluppo
aziendale debbano ritenersi connotate da quella illiceità che l’art.24 del D.Lgs.159/2011
intende colpire attraverso la confisca dei beni di provenienza illecita.
1 A tale riguardo, va richiamata la recente pronuncia della Sezioni Unite (sent. 29 maggio 2014 n.33451) della Suprema Corte che -confermando l'orientamento sino ad oggi seguito dalla giurisprudenza prevalente- hanno escluso che, ai fini dell'applicabilità della confisca di prevenzione, il destinatario della misura possa giustificare la disponibilità di beni in valore sproporzionato al proprio reddito allegando proventi non dichiarati al fisco, ciò in quanto i proventi dell'evasione fiscale non possono essere considerati proventi leciti perchè «sicuramente l'evasione fiscale integra ex se attività illecita (contra legem) anche qualora non integri reato» e, pertanto, devono essere assoggettati alla confisca di prevenzione che mira a sottrarre alla disponibilità del preposto tutti i beni che siano frutto di attività illecite o che ne costituiscano il reimpiego, in questo modo impedendo che tali beni siano utilizzati per realizzare ulteriori vantaggi (non necessariamente reati) e che il funzionamento del sistema economico legale sia alterato da anomali accumuli di ricchezza. Significativamente, le Sezioni Unite affermano che in caso di accertata evasione fiscale
massiccia e ripetuta negli anni – ragionamento estensibile alle ipotesi di sistematico ricorso
alle frodi nell’esercizio dell’impresa- non è consentita una valutazione sulla quota
confiscabile (valutazione che avrebbe senso solo ove si trattasse di un'evasione puntuale,
circoscritta e unisussistente), attuandosi inevitabilmente un reimpiego delle utilità illecite
nel circuito economico dell'evasore, con conseguente confusione di proventi leciti e illeciti
che è proprio quello che la normativa vuole impedire, confusione che si implementa nella
successione dei periodi di imposta con una sorta di “anatocismo dell’illecito” per
l’inevitabile effetto moltiplicatore.
114
Ciò che giustifica, nel caso in esame, l’ablazione non è, dunque, il requisito della
sproporzione –su cui peraltro ci si soffermerà oltre- bensì l’esistenza di sufficienti indizi
che portano a ritenere che il patrimonio del proposto, nella composizione di beni e
partecipazioni societarie al momento del sequestro, sia il frutto della sua attività
imprenditoriale illecita.
Se le società del proposto, anche quelle partecipate pro quota, sono frutto e/o reimpiego
di attività illecita, per quanto fin qui detto, è evidente che anche eventuali afflussi di denaro
provenienti da una fonte lecita si “mischiano” e si confondono con il corposo substrato
illecito, non potendosi, al che, più distinguersi dal resto attesa la natura dinamica
dell’impresa.
In proposito si richiama quanto scritto dal G.I.P. del Tribunale di
Palmi, nella parte motiva del provvedimento di sequestro preventivo
disposto in data 28.07.2010, nei confronti delle società del “(omissis)”,
nella parte in cui rilevava che l’intreccio di rapporti tra le società del
gruppo è a tal punto intricato che la promiscuità dei rapporti sociali non
consente di “individuare i flussi di ricchezza e imputarli alla attività
delittuosa piuttosto che a diversi movimenti finanziari” ed ancora:
“…omissis… Quanto al requisito della confiscabilità dei beni è certo come
i patrimoni aziendali delle società direttamente coinvolte nei singoli reati,
rappresentino il diretto profitto del reato (essendo costituiti di beni
conseguiti attraverso i finanziamenti illecitamente ottenuti che è servita
per il loro acquisto o per la loro edificazione)…..omissis”.
La rotta illecita impressa da subito dal proposto alla sua attività di impresa e
costantemente mantenuta fino alla data del sequestro penale emesso dal Gip di Palmi, ha
dunque conformato di illiceità l’intero patrimonio originato dai flussi di ricchezza generati
da quell’attività, rendendo irriconoscibile la sua parziale riconducibilità a flussi leciti.
Le modalità illecite di esercizio dell'attività imprenditoriale vengono a costituire un
criterio prioritario in ordine alla valutazione della provenienza illecita dei beni sequestrati,
come tale prevalente sull'altro criterio della proporzione del valore di tali beni rispetto ai
redditi dichiarati e all'attività economica svolta, atteso che i redditi di cui ha goduto il
proposto e i suoi familiari sono esclusivamente quelli derivanti dal circuito produttivo
dell'attività di impresa illecita.
A fronte del dato sufficiente a giustificare il provvedimento ablativo della intrinseca
illiceità delle prime realtà imprenditoriali create dal proposto e costituenti il volano della
sua affermazione nel mercato dell’olio, in quanto permeate da un agire imprenditoriale
115
illegale per effetto del quale i beni personali ed aziendali acquisiti con le risorse dell’attività
medesima devono considerarsi frutto o reimpiego di attività illecita, inutili appaiono gli
sforzi difensivi intesi a dimostrare la proporzione tra gli investimenti effettuati dal proposto
(anche sotto forma di conferimenti di capitale nelle società sequestrate) e la capacità
economica latu sensu espressa dal proposto, riconducibile ai proventi della sua attività di
imprenditore.
Al di là di ogni valutazione dello sforzo allegatorio della difesa, ciò che il Collegio non
può ignorare è che l’(omissis) non ha esitato ad esercitare abitualmente la sua attività
sviandola dagli scopi propri dell’impresa legale, utilizzando le proprie imprese come
strumento di perpetrazione di condotte illecite grazie alle quali ha ricavato considerevoli
risorse economiche illecite che hanno “patologicamente” concorso alla sua personale
ricchezza e come tali non costituenti fonte valutabile a giustificare tutti gli investimenti nel
tempo effettuati.
Le conclusioni che si sono sin qui esposte appaiono sufficienti a ritenere integrato il
presupposto della confisca di cui all’ultimo inciso dell’art.24 cit. con riguardo ai beni già
sequestrati, rappresentando gli investimenti negli anni operati il reimpiego di denaro di
provenienza illecita frutto delle frodi fiscali e comunitarie realizzate sistematicamente.
Quantunque superfluo alla luce di quanto sopra osservato, ad colorandum, ritiene il
Collegio che sia comunque doveroso –in considerazione della tormentata istruttoria sul
punto- trattare l’alternativo parametro di accertamento presuntivo della provenienza illecita
del patrimonio in sequestro rappresentato dal requisito della sproporzione tra il valore dei
beni ed i redditi dichiarati o l’attività economica svolta, di cui nel decreto di sequestro è
stata valutata la congiunta sussistenza quale dato oggettivo ulteriore che dimostra come il
proposto non solo sia abitualmente dedito a traffici illeciti ma sia persona che da tali attività
illecite multiformi ha tratto i mezzi per finanziare la propria vita e quella dei propri
congiunti.
La complessità della ricostruzione dei flussi finanziari del nucleo familiare e le
contestazioni da parte dei consulenti della difesa delle imputazioni in entrata ed in uscita
operate dalla Dia nella originaria tabella sperequativa di cui alla proposta hanno determinato
la necessità di disporre una consulenza contabile affidata al ctu Dr.ssa (omissis)(omissis)
Tripodi al fine di rispondere sul seguente quesito: " esaminata la documentazione in atti,
tenuto conto delle contestazioni formulate dai consulenti della difesa in ordine ai criteri
utilizzati dall’autorità proponente (DIA) per la redazione del prospetto sperequativo tra
capacità economiche-reddituali ed investimenti/uscite del proposto e del suo nucleo
familiare rettificato da ultimo con le controdeduzioni della DIA depositate in data 2.9.2014:
116
-ricostruisca il consulente Dr.ssa (omissis)con riferimento al medesimo arco temporale
1978-2011 le uscite (acquisto quote, costituzione società, versamenti in conto capitale,
finanziamenti, anticipazioni) e le entrate (vendita quote, rimborsi di finanziamenti o
versamenti, etc.) relative a tutte le società del gruppo partecipate da (omissis) e componenti
del suo nucleo familiare (omissis) tenuto conto delle modalità attraverso cui si è formata
nel tempo la relativa quota di partecipazione, illustrando i dati utilizzati e la loro maggiore
attendibilità anche alla luce della disciplina societaria vigente, soffermandosi sulle
discrasie tra l’imputazione dei versamenti e/o rimborsi in conto capitale o in conto
finanziamento effettuata dalla DIA e quella effettuata dai consulenti del proposto, fornendo
al collegio ogni utile elemento per valutare le contestazioni formulate dai consulenti della
difesa in replica alle controdeduzioni dell’ organo proponente in ordine alla ricostruzione
dei movimenti finanziari;
- Rediga la Dr. (omissis)sulla scorta dei dati rielaborati in risposta ai quesiti di cui ai
punti che precedono una nuova tabella sperequativa delle entrate e delle uscite del proposto
e del suo nucleo familiare convivente nell’arco temporale esaminato, tenuto conto della
spesa media familiare annua Istat".
Prima di trattare il principale elemento che ha caratterizzato la sperequazione di cui
alla tabella originaria redatta dalla Dia, ossia i guadagni netti derivati dall’attività di impresa
agricola, verrà esaminato l’elaborato della Dr.ssa (omissis) di cui (tranne quanto si dirà per
i finanziamenti della (omissis)SA) si condividono le approfondite e motivate valutazioni in
quanto frutto di una rigorosa ed approfondita disamina secondo i principi di regolare
contabilità aziendale della corposa documentazione prodotta relativamente a ciascuna
società del gruppo partecipata dal proposto e dai suoi stretti congiunti, di cui sono state
ricostruite le vicende finanziarie nell’arco dell’intero periodo esaminato, ma anche dei
prestiti/erogazioni che sono stati riconosciuti come entrata limitatamente a quelli per cui è
stata riscontrata con puntualità la provenienza e la destinazione (pag.131 e ss.
dell’elaborato).
La consulente d’ufficio, dopo aver illustrato i principi cui si è attenuta nella
valutazione della documentazione acquisita, ha ricostruito le operazioni principali in entrata
ed in uscita con le società di proprietà o partecipate dal proposto e suoi familiari, ha
rettificato i dati della tabella originaria secondo una lettura dei bilanci di esercizio delle
società del proposto congiunta alla contabilità aziendale laddove munita di ufficialità,
seguendo un percorso non contestato dai ctp –anzi condiviso dagli stessi- eccetto i tre punti
che si andranno ad esaminare.
117
Quanto alla operazione del 27.7.2007 di cessione delle quote della (omissis)srl dalla
(omissis)srl (socio unico dal 22.9.1999) in favore del proposto e del figlio Giovanni per il
corrispettivo totale di €.816.000,00, il perito ha condiviso la correttezza della imputazione
operata nella tabella sperequativa originaria dalla Dia che -sulla base di quanto indicato
nell'atto di trasferimento (dove era previsto che, detratti gli acconti corrisposti, per un totale
di € 16.000,00 la rimanente somma di € 800.000,00 sarebbe dovuta essere corrisposta in 6
rate annuali ovvero sino al 31/12/2012)- imputava ai soci, in proporzione delle rispettive
quote di partecipazione € 720.000,00 quali esborsi di (omissis) (6 rate da € 120.000,00) ed
€ 80.000,00 quali esborsi di (omissis)(6 rate da € 13.333,33) con decorrenza 31/12/2007 e
sino al 31/12/2012.
A tal riguardo, condivisibilmente la ctu evidenziava perplessità in ordine alla
produzione da parte della difesa delle scritture contabili della società cedente da cui
risulterebbe mai avvenuto quel pagamento, ritenendo inverosimile e contrario ai principi di
una regolare amministrazione contabile che non vi fosse stato il pagamento, in ragione del
tempo trascorso, delle somme dovute ed impegnate, della natura del credito, della mancanza
di alcuna attività di recupero delle somme e/o vizi di invalidità dell'atto di cessione ad opera
del creditore, replicando alla sorprendente osservazione della difesa per cui verosimilmente
il proposto (amministratore della (omissis)srl) non “aveva voglia di chiedere soldi a sé ed
al figlio” che l’amministratore di una società ha precise responsabilità nel momento in cui
cede delle quote per cui non è lecito non azionare un credito derivante da una operazione di
tale portata.
Quanto alle uscite per versamenti e/o finanziamenti effettuati nella (omissis) Srl
(società costituita con atto del 11.2.2002 con capitale Sociale di euro 10.000,00 sottoscritto
al 50% dai soci fondatori (omissis)e (omissis), ammontanti secondo la DIA a complessivi
euro 3.366.218,00, i periti della difesa hanno sostenuto che (omissis)avrebbe anticipato
somme per versamenti e/o finanziamenti per un totale complessivo di €. 3.250.818,00 a
fronte di somme in entrata (rimborsi/restituzioni) per € 2.600.000,00 con una sproporzione
netta di € 650.818,00.
La difforme conclusione della Dia e della difesa poggia sulla scrittura privata non
autenticata e non registrata - allegata in copia dalla difesa (Cfr. allegato difensivo nr.60),
avente ad oggetto un preliminare di vendita del 09/05/2007 dell’intero capitale di
€.10.000,00 della (omissis)srl alla società (omissis)(di cui è socio al 99% ed amministratore
il fratello del proposto) impegnandosi la promissaria acquirente a versare entro e non oltre
la data del 31/12/2007 la somma complessiva di € 2.500.000,00 ai soci (omissis), di cui €
5.000,00 a titolo di caparra confirmatoria del prezzo di cessione ed il resto di euro
118
2.495.000,00 a titolo di parziale rimborso di somme versate da (omissis) nella (omissis) srl
in conto futuro aumento di capitale sociale.
La difesa produceva due contabili bancarie una (Banca Tercas) con valuta dell'
11/06/2007 relativa a disposizione di bonifico di € 2.000.000,00 da (omissis)srl a
(omissis)con causale "caparra confirmatoria" e l’altra (BNL) con valuta del 14/06/2007 di
disposizione di bonifico di € 500.000,00 da Hotel Carlton srl a (omissis) con causale
"caparra confirmatoria".
La Dia non ha considerato le predette somme tra le entrate lecitamente conseguite dal
proposto e dal suo nucleo familiare in quanto secondo quanto emerso dal controllo antifrode
della Gdf di Catanzaro relativo alla società (omissis) srl (dalla cui informativa origina il
processo attualmente pendente a Teramo), si è trattato di partite di giro costituenti provento
illecito, atteso che sono parte del contributo pubblico erogato alla (omissis) srl ai sensi della
Legge 488/92. Si rimanda agli esiti delle investigazioni richiamate nella parte personale in ordine al
capo di imputazione del processo di Teramo in corso di celebrazione per il reato previsto e
punito dagli articoli 81 cpv., 110, 112, 483, 640-bis, 56, 640 bis c.p. in relazione alla
(omissis) srl, da cui è emerso che le predette somme provengono dal contributo pubblico
erogato ai sensi della legge 488/92 alla (omissis) Srl, società del medesimo Gruppo
(omissis) per cui rappresentano uno dei molteplici artifizi posti in essere dagli (omissis), al
solo scopo di ostacolare l’identificazione della provenienza delittuosa del denaro.
La ctu dr.ssa (omissis) con approfondita e ragionevole argomentazione ha ritenuto non
sostenibile la prospettazione dei ctp evidenziando che gli estratti conto bancari prodotti
dalla difesa danno riscontro alle investigazioni della Gdf nella misura in cui comprovano
che le disposizioni di bonifico del 11 e 15 giugno 2007 dalla (omissis) a favore di (omissis),
erano precedute “in pari data” da un bonifico in accredito alla (omissis)
da parte della (omissis) spa con causale rimborso caparra di pari importo.
La somma di €. 2.000.000,00 oggetto della partita di giro, secondo le investigazioni,
proveniva alla (omissis) Spa da bonifici in suo favore da parte della (omissis) srl (che a sua
volta li aveva ricevuti dalla (omissis) srl a fronte di fatture per operazioni inesistenti atte a
dimostrare il sostenimento dei costi della L.488), quindi una volta arrivata sui conti della
(omissis) S.r.l. era bonificate in favore di (omissis) che, in pari data, le bonificava al padre
(omissis) che a sua volta li bonificava alla (omissis) srl, completando, in tal modo, il
complesso meccanismo di ripulitura del denaro proveniente dall’accredito della prima quota
di contributo pubblico in favore della predetta (omissis) S.r.l..
119
Anche la somma di euro 500.000,00 bonificata in data 15.06.2007 dalla (omissis) Srl a
(omissis) , segue la stessa sorte dei 2.000.000,00 di euro di cui al precedente bonifico del
11.06.2007, come emerso dalle medesime investigazioni della Guardia di Finanza di
Catanzaro, sopra richiamate.
La ctu confermava la ricostruzione della Dia, fondata sull’esito del controllo antifrode
della Gdf di Catanzaro sulla (omissis) srl, evidenziando che la documentazione prodotta
(anche bancaria, completa di estratti conto) non aveva offerto spunti per una diversa
conclusione, osservando condivisibilmente che una somma entrata ed uscita nello stesso
giorno non crea disponibilità .
Né è stata documentata alcuna formalizzazione della cessione/acquisto quote nei
termini di cui all'art. 6 del contratto preliminare stesso (anzi in data 31.12.2011 risulta un
versamento nel conto futuro aumento di Capitale Sociale nella (omissis) Srl per euro
131.000,00 come effettuato da (omissis) , indicandolo quale reale titolare, unitamente alla
madre (omissis) dell’intero Capitale Sociale della (omissis) Srl), con ciò determinando
quindi in capo alla società (omissis) srl una ingiustificata movimentazione di denaro non
supportata dai reali intendimenti contenuti nel contratto stesso e con utilizzo di causali ben
lontane da quanto convenuto.
Può esaminarsi la terza questione oggetto di contestazioni della difesa relativa alle
somme versate dalla (omissis) SA alla (omissis) Spa (partecipata per il 7,5% prima e da
ultimo per il 5,99% dalla società lussemburghese) che rappresentano l'elemento principale
(in aggiunta ai reali guadagni dell’attività agricola) che caratterizza la sperequazione in
quanto imputate dalla Dia nell’originario prospetto al proposto pro quota di partecipazione
alla (omissis).
Il perito, non disponendo di documenti sulla cui scorta ricostruire la compagine
societaria della (omissis) S.a. e la quota di partecipazione di (omissis) e famiglia al capitale
sociale della stessa, riferendosi esclusivamente sull'esito degli accertamenti bancari
condotti(esame degli estratti conto della (omissis) SPA), ha espunto dalla tabella
sperequativa le uscite computate dalla Dia imputando parte della somma versata dalla
(omissis) S.a. ad (omissis) sulla base della partecipazione detenuta nella (omissis) spa.
Si riassumono, di seguito, le somme complessive versate dalla (omissis) SA alla
PAC(omissis) spa, al lordo delle commissioni bancarie, ed imputate dalla DIA (PRO-
QUOTA) al proposto:
Ordinante/Beneficia
rio Importo € Causale Data
Quota
%
120
(omissis) 2.045.169,3
2
Versam. conto
futuro aum. cap.
Agosto
2001
42,37112
5 (omissis)
510.000,00 Versam. conto
futuro aum. cap.
28/09/20
01
42,37112
5 (omissis)
903.000,00
Versam. in conto
futuro aum.
Capitale
12/02/20
02
42,37112
5
(omissis) 1.150.000,0
0
Versam. conto
futuro aum. cap.
11/03/20
02
42,37112
5 (omissis) 1.650.000,0
0
Versam. conto
futuro aum. cap.
23/10/20
02
42,37112
5 (omissis) 1.000.000,0
0
Versam. conto
futuro aum. cap.
23/10/20
02
42,37112
5 (omissis)
550.000,00 Versam. conto
futuro aum. cap.
05/11/20
02
42,37112
5 (omissis) 1.800.000,0
0
Versam. conto
futuro aum. cap.
08/11/20
02
42,37112
5 (omissis) 1.500.000,0
0
Finanziamen
to
03/01/20
06 43,9052
(omissis)
950.000,00 Finanziamen
to
17/01/20
06 43,9052
(omissis)
300.000,00 Finanziamen
to
13/02/20
06 43,9052
(omissis)
900.000,00 Finanziamen
to
23/03/20
06 43,9052
(omissis) 1.000.000,0
0
Finanziamen
to
29/05/20
06 43,9052
Totale 14.258.169,
32
A ciò si aggiungono le rimanenti somme, imputate dalla DIA al proposto pro quota
nell’anno 2009 sulla scorta dell’annotazione nel bilancio chiuso al 31.12.2009 di un
incremento del “conto finanziamento soci” di euro 2.849.000,00, secondo la difesa
erroneamente trattandosi di somme derivanti da una migliore classificazione del “conto
121
finanziamento terzi” effettuati dalla (omissis) sa negli anni 2003/2004 ma imputati nel “conto
finanziamento soci” solo nell'anno 2009.
Ordinante/Beneficiari
o
Importo € Causale Data
(omissis) 900.000,00 Finanziament
o
10/12/200
3 (omissis) 950.000,00 Finanziament
o
30/12/200
3 (omissis) 960.000,00 Finanziament
o
16/12/200
3
Totale 2.810.000,0
0
La ctu (omissis) pur dando atto della circostanza per cui dal libro giornale (comunque,
non autenticato) e dalle contabili prodotte risultavano annotati i predetti importi come versati
dalla (omissis) negli anni 2003 e 2004 quali finanziamenti da terzi, non riteneva vi fossero
elementi certi per riscontrare la rettifica operata dalla difesa in quanto le movimentazioni
suddette non erano state riportate nel bilancio degli anni 2003 e 2004, nè in quello dell’anno
2008 in cui era stata effettuata la rettifica contabile mediante giroconto da “finanziamenti di
terzi” a “(omissis) ”, per cui c’è uno sfalsamento temporale che unitamente alle irregolarità
contabili rilevate non consente di ricondurre quelle movimentazioni a quelle riportate nel
bilancio del 2009 sulla cui base la Dia ha effettuato l’imputazione al proposto pro quota.
Ritiene il Collegio che il ragionamento del ctu sia immune da vizi sul piano logico e delle
norme che presiedono alla tenuta regolare della contabilità aziendale, per cui la contestazione
della difesa che vorrebbe espunta dall’anno 2009 l’uscita di euro 1.250.860,74 (pari al
43,90525588% della somma appostata nel bilancio 2009 quale incremento finanziamento
soci) non può essere accolta.
In ogni caso, la questione anzidetta può ritenersi superata alla luce di quanto già osservato
sopra in ordine alla ritenuta riconducibilità (appartenenza) della società lussemburghese alla
famiglia (omissis) , intesa come composta dal padre e dai due figli (omissis) , sulla scorta
della lettura degli esiti della rogatoria compiuta dalla Procura di Palmi (confluiti nel fascicolo
del dibattimento in corso a Teramo ed acquisiti dopo la ctu) congiunta con gli altri dati
emergenti dall’indagine da cui è scaturito l’ultimo procedimento in ordine temporale che ha
visto coinvolto il proposto.
122
In particolare, va richiamato quanto osservato dalla Gdf di Catanzaro nelle informative
relative alle truffe ex L.488 laddove si evidenziava che nell’anno 2006 la società
lussemburghese ha finanziato la (omissis) Spa mediante bonifici, riportanti la causale di
“finanziamento soci”, per complessivi circa 4,5 milioni di euro, sospettati di essere un
“ritorno” di una parte del denaro, perfettamente “riciclato”, trasferito all’estero dalla (omissis)
S.r.l. alla Humanaexpert Medizinisch Tecniche, a fronte di nessuna concreta fornitura di beni
e/o servizi) dopo la percezione della prima quota di contributo pubblico ex lege 488/92). Ed
infatti, l’organo di p.g. accertava che le suddette somme, dopo ulteriori “passaggi” su conti
correnti di soggetti economici riconducibili al “(omissis) ” e sul c/c n. (omissis) , aperto da
(omissis) presso la filiale di Gioia Tauro (RC) della Banca Popolare di Crotone S.p.a., erano
trasferite alla (omissis) S.r.l. con causale “versamento in c/futuro aumento di capitale
sociale”, “completando, in tal modo, il circuito finanziario grazie al quale le somme erogate
alla (omissis) S.r.l. a titolo di pubblica contribuzione sono state trasferite all’estero al fine
di dimostrare il pagamento di fatture - in realtà relative ad operazioni inesistenti – per poi
rientrare, a seguito di articolate transazioni finanziarie eseguite, anche all’estero, nelle
“casse sociali” della stessa (omissis) S.r.l. perfettamente “ripulite”.
La tesi per cui le somme movimentate dalla (omissis) SA (costituita dal capostipite
(omissis) ) non siano altro che mere partite di giro per consentire il rientro in Italia, nella
disponibilità della famiglia (omissis), delle somme fittiziamente pagate all’estero per
giustificare le spese (in realtà mai sostenute), riguardanti gli investimenti di cui alla legge
488/1992”, trova indiretta conferma nella sostanziale coincidenza degli importi transitati dalla
società Lussemburghese alla cassaforte immobiliare di famiglia ((omissis) Spa) con il
profitto ‘accertato’ nelle imputazioni per il reato di cui all’art. 640 bis c.p. oggetto del
processo attualmente pendente a Teramo pari alla entità delle tranches dei finanziamenti
erogate e accreditate a favore delle società del gruppo, (omissis) srl, (omissis) srl, (omissis)
srl, (omissis) srl, (omissis) srl, per totali Euro 14.678.797,00.
Dalla ritenuta provenienza dalla comune “cassa” a disposizione della “(omissis) ” della
consistente capacità finanziaria della (omissis) deriva che le somme versate nel tempo dalla
società lussemburghese alla (omissis) vanno imputate al proposto quantomeno nella misura
di un terzo (33,3333%).
Né la difesa ha fornito giustificazioni alternative in ordine alla provenienza e legittimità
dei consistenti conferimenti ricevuti dalla società cassaforte immobiliare del gruppo familiare
(omissis) e provenienti dalla società lussemburghese, donde la piena correttezza del
ragionamento inferenziale sopra illustrato sostenuto dalle risultanze investigative secondo cui
quelle ingenti somme siano la risultante di illecite risorse –determinate o favorite nella loro
123
formazione dall’agire imprenditoriale permeato da illiceità- immesse nel circuito
imprenditoriale/finanziario nella prospettiva non solo del relativo occultamento, ma anche
dell'utile e remunerativo reimpiego.
Ciò posto, in assenza di contestazioni alla ricostruzione dei flussi di entrata ed uscita
operata dal ctu (per cui si fa rinvio al capitolo 7 dell’elaborato del consulente d’ufficio), anche
da parte dell’organo proponente, si recepiscono le conclusioni dell’elaborato della dr.ssa
Tripodi, da intendersi richiamato, eccetto le rettifiche di seguito operate.
Un breve accenno va fatto alle contestazioni circa la considerazione tra le uscite del
proposto dei costi di costruzione degli immobili confluiti nel fondo patrimoniale familiare
costituito da (omissis) in data 07.06.2006, quantificati dall’organo proponente in complessivi
euro 680.570,09, sostenendo dalla difesa trattarsi di beni c.d merce dell’impresa di costruzioni
edili esercitata dal proposto con la medesima partita iva della ditta individuale rimasti
invenduti ed estromessi dall’attività di impresa per confluire nel citato fondo patrimoniale
familiare.
Osservava l’organo proponente che nell’atto di conferimento degli immobili, stipulato in
data 07.06.2006, con specifico riferimento alla provenienza dei fabbricati, non si vi è alcun
riferimento alla circostanza asserita della difesa, circa la natura di beni merce della ditta
individuale OLIVERI Vincenzo, anzi dall’atto si rileva che i beni immobili in questione erano
stati conferiti nel fondo quali beni immobili di esclusiva proprietà di OLIVERI Vincenzo,
quale persona fisica e non quale titolare di ditta individuale, per un valore indicato dal notaio
ai soli fini dell’iscrizione del repertorio pari a euro 1.190.000,00.
Ed ancora, si osservava che ai sensi dell’art.2 comma 2, n. 5, del D.P.R. 633/72
l’estromissione di un immobile “merce” dall’attività dell’impresa edilizia costituisce una
operazione assimilata alla cessione di beni e quindi soggetta ad IVA, ciò per impedire che
beni acquistati nell’esercizio dell’impresa (cemento, ferro, infissi, bagni, rivestimenti,
pavimenti… ecc.) per quali l’IVA corrisposta all’acquisto è stata compensata
dall’imprenditore o ne ha richiesto il rimborso, possano accedere al consumatore finale senza
il pagamento della citata imposta: ne deriva l’obbligo di dichiarare nell’atto di trasferimento
all’uso personale o familiare dell’imprenditore la natura strumentale del bene ai fini
dell’assoggettamento ad iva.
Premesso che, in punto di disponibilità, nessun rilievo può essere attribuito al vincolo di
destinazione del fondo patrimoniale, dato che pacificamente i beni restano nella disponibilità
del soggetto che li ha costituiti ed il vincolo di destinazione - in ipotesi di confisca di
prevenzione- non è opponibile posto che la disciplina pubblicistica prevede la prevalenza
dell'interesse generale al recupero di patrimoni "derivanti" dalla constata attività illecita del
124
soggetto che ha realizzato l'accantonamento, ritiene il Collegio che la difesa non abbia
corredato l’obiezione da ulteriore documentazione da consentire un diverso approccio rispetto
a quello adottato dalla Dia, che pertanto va tenuto fermo.
In punto di correlazione temporale tra gli acquisti dei predetti immobili
conferiti in fondo patrimoniale ed oggetto di sequestro con la pericolosità
sociale del proposto, la Suprema Corte ha affermato in tema di misure di
prevenzione patrimoniali, “quando risulti che un immobile lecitamente
acquisito sia stato ampliato o migliorato con l'impiego di disponibilità
economiche prive di giustificazione, la confisca può investire il bene nella sua
interezza nel caso in cui le trasformazioni e le addizioni abbiano natura e
valore preminente, tale da non consentire una effettiva separazione di distinti
valori "pro quota (sent. n.29186 del 22.4.2013; a principi non dissimili si è
ispirata Sez. UU, n. 1152 del 25/09/2008 secondo cui, sotto un profilo
penalistico, il principio civilistico superficies solo cedit sostanzialmente si
inverte , nel senso che ciò che ha un valore economico preminente, perché
può in vario modo essere utilizzato , è proprio il fabbricato , mentre il suolo ,
anche se non può essere considerato una pertinenza dell'edificio , svolge una
funzione strumentale rispetto ad esso ; di conseguenza il suolo non può che
seguire , sul piano penalistico , il regime giuridico dell'edificio sullo stesso
costruito, ancorché la sua provenienza sia legittima, comportando
l'investimento di denaro illecito nella edificazione il duplice vantaggio
economico della costruzione e dell'incremento di valore del suolo sul quale è
avvenuta la edificazione ).
Orbene, dalla documentazione catastale in atti, si evince che l’edificazione dei manufatti
nello stato in cui sono stati sequestrati si deve far risalire certamente al decennio 1991-2001,
dunque ad epoca coincidente con la manifestazione di pericolosità sociale del proposto.
Occorre ora affrontare l’altro elemento centrale della tabella sperequativa, rappresentato
dagli utili netti dell’impresa agricola del proposto.
Come si è detto sopra, il riferimento normativo all’ ”attività economica
svolta” di cui all’art.24 cit. richiede che in sede di sequestro, qualora sia nota
un’attività economica generatrice di redditi legittimamente non dichiarabili,
interamente o parzialmente, vi sia da parte dell’autorità proponente una
valutazione ulteriore anche di questi ai fini della sproporzione, ovviamente di
tipo presuntivo, spettando al proposto –ove intenda confutare la ricostruzione
dell’organo proponente ed anche in virtù del principio di vicinanza della
125
prova- allegare elementi diretti a dimostrare l'entità e la natura lecita di tale
reddito.
La puntualità dell’allegazione della parte lecita del reddito comporta: da
un lato, la necessaria esistenza di elementi, anche documentali, sull'effettiva
produzione del reddito; dall'altro, la corretta allegazione della piena liceità del
reddito non dichiarato fiscalmente che, notoriamente, presenta ampi margini
di derivazione illecita conseguente all'omesso rispetto di normative di diversa
natura (tenuta della documentazione contabile, versamenti contributivi, etc.)
Con riguardo al reddito da attività agricola, è noto che è rappresentato dalla differenza
tra i ricavi effettivi, oltre i contribuiti pubblici ottenuti (a meno che, ex adverso, si dimostri
che gli aiuti siano effetto di condotte fraudolente o comunque ottenuti con meccanismi
illeciti), ed i costi sostenuti, quest’ultimi per lo più rappresentati dal costo della manodopera
impiegata da individuarsi secondo criteri di ragionevolezza e verosimiglianza, per cui la sola
documentazione dei ricavi, in mancanza di una indicazione ragionevole e verosimile dei costi
sostenuti, non è sufficiente per assolvere il detto onere deduttivo della difesa, con la
conseguenza che i ricavi evidenziati, senza il necessario accompagnamento dei costi, non
possono essere considerati nel giudizio di congruità economica (cfr. decreto di confisca
emesso nel procedimento di prevenzione n. (omissis) R.G.M.P., nei confronti di (omissis),
divenuto definitivo il 16 settembre 2015).
L'onere di allegazione rimesso alla parte che intenda elidere l'efficacia indiziante degli
elementi offerti dall'accusa impone la serietà e la concretezza delle allegazioni.
Ciò premesso, posto che il valore della produzione non è rappresentativo del guadagno
effettivo percepito con l’esercizio dell’attività agricola, in quanto dato dalla mera differenza
algebrica tra i “corrispettivi” e gli “acquisti destinati alla produzione” e non contempla i costi
fissi dell’attività agricola (come il costo della manodopera, che come abbiamo già detto
costituisce il principale costo di un’impresa agricola, i canoni di locazione per il godimento
dei terreni, i costi di manutenzione dei fondi, i costi di trasporto del prodotto agricolo dal
luogo di raccolto al cliente, la benzina, etc…), si illustrerà di seguito il primigenio criterio
seguito dall’autorità proponente (la DIA) per elaborare la tabella sperequativa in esito alla
verifica sulla capacità di produzione di reddito lecito e sul valore degli investimenti effettuati.
Dopo avere riportato i redditi rilevati dalle interrogazioni effettuate alla
banca dati dell’Anagrafe Tributaria, integrati dai dati acquisiti presso la
Direzione Centrale dell’Agenzia delle Entrate, premetteva la DIA che i
proventi derivanti dall’attività agricola non concorrendo alla formazione dei
redditi dichiarati ai fini IRPEF, in quanto sottoposti ad un regime fiscale
126
agevolato, erano stati desunti presuntivamente dalle dichiarazioni dei redditi
(Modello Unico, Sezione Valore Della Produzione Netta Settore Agricolo)
presentate da (omissis) dal 1998 al 2011, con la precisazione che per l’anno
1997 (in cui nessun dato reddituale è stato acquisito atteso che all’Anagrafe
Tributaria la dichiarazione risulta “non liquidabile per incompletezza dei dati
anagrafici e/o contabili”) e 1996 (in cui la dichiarazione non risulta
presentata), il reddito agricolo erano stato calcolato presuntivamente dalle
dichiarazioni IVA sottraendo dal volume d’affari relativo al settore agricolo
l’ammontare degli acquisti nel medesimo settore.
Eguale modalità è stata seguita per le annualità dal 1986 al 1995, mentre
non è stato possibile acquisire i dati IVA per l’anno 1985 e conseguentemente
non è stato possibile desumere l’eventuale esistenza di reddito derivante
dall’attività agricola.
I proventi derivanti dall’attività agricola al lordo dei costi sostenuti per
la manodopera sono stati così sintetizzati:
Ann
o
Volume Affari
e/o
corrispettivi
Dichiarati
Totale
acquisti
dichiarati
Imposta Valore netto
in lire
Valore netto in
euro
1985 n.d. n.d.
= = =
1986 859.563.0
00
166.457.00
0
= 693.106.000 357.959,37
1987 381.034.0
00
143.218.00
0
= 237.816.000 122.821,71
1988 1.191.803.000 117.798.00
0
= 1.074.005.0
00
554.677,29
1989 2.085.975.000 209.344.00
0
= 1.876.631.0
00
969.199,02
1990 91.014.000 76.716.000 = 14.298.000 7.384.30
1991 773.714.000 57.904.000 = 715.810.000 369.685,01
1992 4.225.335.000 32.948.000 = 4.192.387.0
00
2.165.187,1
9
127
1993 4.522.543.000 680.554.00
0
= 3.841.989.0
00
1.984.221,7
2
1994 7.946.033.000 952.997.00
0
= 6.993.036.0
00
3.611.601,6
8
1995 215.045.000 414.536.00
0
= -
199.491.000
-103.028,50
1996 1.232.047.000 449.788.00
0
= 782.259.000 404.003,06
1997 = = = = =
1998 1.713.195.000 184.973.00
0
29.036.000 1.499.186.0
00
774.264,95
1999 3.546.366.000 391.002.00
0
61.160.000 3.094.204.0
00
1.598.023,0
0
2000 2.251.760.000 365.441.00
0
35.840.000 1.850.479.0
00
955.692,
64
2001 3.813.402.000 296.452.00
0
66.822.000 3.450.128.0
00
1.781.842,40
2002 536.059,0
0
200.453,00 6.377,00 329.229,00
2003 1.772.464,00 273.870,00 28.473,00 1.470.121,00
2004 0 98.179,00 0 - 98.179,00
2005 3.071.244,00 491.410,00 49.017,00 2.530.817,00
2006 1.763.917,00 2.082,00 33.475,00 1.728.360,0
0
2007 0 271.271,00 0 -
271.271,00
2008 -
238.085,00
0 0 0
2009 250.000,0
0
0 4.750.00
0
245.250,00
2010 0 0 0 0
2011 0 0 0 0
128
Evidenziava la Dia due criticità con cui si era dovuta confrontare nella ricostruzione
presuntiva, se non reale quantomeno realistica, del guadagno effettivo percepito dal
proposto con l’esercizio dell’attività agricola.
La prima derivante dalla sistematica emissione di fatture per transazioni fittizie o
simulate per l’oggetto, emersa dalle vicende giudiziarie sopra ricostruite che hanno segnato
l’intero percorso imprenditoriale dell’(omissis) (a cominciare dalle vicende (omissis) e
(omissis)), che ha naturalmente determinato un volume d’affari desunto dalle dichiarazioni
Iva “gonfiato” e che grazie al regime fiscale agevolato previsto per le imprese agricole2 non
ha concorso alla formazione del reddito imponibile per il calcolo dell’Imposta sul Reddito
delle Persone Fisiche (Irpef) ma ha certamente permesso di lucrare indebiti contributi di
aiuto all’agricoltura oltrechè indebiti risparmi di imposta anche ad altre società del gruppo.
Infatti, nel periodo passato e fino al 2005, gli aiuti comunitari (contributi AIMA ora
AGEA), erano legati alla produzione, pertanto, per l’ottenimento di maggiori contributi, il
fatturato doveva “necessariamente” essere incrementato per documentare una maggiore
vendita e/o acquisto di lattine e/o di prodotto, ovvero una maggiore produzione di olio.
La seconda difficoltà è relativa ai costi sostenuti da (omissis) per la
manodopera necessaria allo svolgimento dell’attività agricola non compresi
nell’ammontare degli acquisti riportato nelle dichiarazioni e, pertanto, da
sommare all’ammontare di questi ultimi per il calcolo presuntivo del reddito
agricolo netto.
Per il calcolo dei costi della manodopera impiegata da (omissis) nel
settore agricolo, ed in particolare quanto alla utilizzabilità dei dati rilevati
dai modelli 770 presentati da (omissis) , la DIA evidenziava l’oggettiva
impossibilità di attribuire con esattezza i costi della manodopera relativi al
settore agricolo, poiché la Ditta Individuale (omissis) , oltre all’attività
agricola, risultava esercitare la sua attività in diversi settori economici, quali
la“compravendita di beni immobili propri”, il “commercio all’ingrosso di
oli e grassi alimentari” nonché l’attività di “lavori generali e costruzioni
di edifici”.
Tali attività, hanno concorso alla formazione del reddito dichiarato ai
fini IRPEF da (omissis) , ed il relativo importo è stato inserito nella tabella 2 Nell’impresa agricola il Valore della produzione, c.d. Reddito dell’Impresa Agricola
(determinato annualmente dalla differenza tra i corrispettivi incassati dichiarati ed i costi
sostenuti nel medesimo periodo), risulta sottoposto ad una tassazione irrisoria pari al 1,9%
del totale, così come tra l’altro di desume dalle dichiarazioni fiscali presentate dallo stesso
(omissis).
129
dei redditi alla voce “reddito di impresa”, mentre l’ulteriore attività svolta
dallo stesso nel settore agricolo concernente le “colture miste oli-viti-
vinicole”, come noto, non concorre alla formazione del reddito dichiarato ai
fini IRPEF, tuttavia, i relativi proventi, desunti con le modalità sopra
descritte, sono stati anch’essi inseriti nella citata tabella dei redditi alla voce
“redditi dell’impresa agricola”.
Osservava ancora la Dia che dall’analisi della tabella dei redditi e dei dati
relativi al volume d’affari, si rileva che il reddito agricolo imputato
presuntivamente ad (omissis) , riporta valori notevolmente superiori ai
redditi dallo stesso dichiarati ed assoggettati all’Irpef, quantomeno fino
all’anno 1992.
Dai dati rilevati dai modelli 770 e dalle dichiarazioni fiscali presentati
da (omissis) è stata elaborata la seguente tabella di confronto tra il costo
della manodopera ed il volume d’affari dichiarato dallo stesso e che ha
concorso alla formazione del reddito Irpef di (omissis) , nonché il volume
d’affari dichiarato nel settore agevolato dell’agricoltura e che, come tale,
non ha concorso alla formazione del reddito Irpef:
Valori in lire fino al 2001 ed in euro dal 2002 in poi
Anno Numero
percipienti e/o
Moduli
Importo
retribuzioni come da
Mod.770 o da
dichiarazioni fiscali
Volume
d’affari settore
agricolo
Volume
d’affari altri settori
1985 n.d. n.d. non disponibile non disponibile
1986 n.d. n.d. 859.563.000 33.685.453.000
1987 n.d. n.d. 381.034.000 10.921.131.000
1988 n.d. n.d. 1.191.803.000 42.337.825.000
1989 n.d. n.d. 2.085.975.000 46.326.287.000
1990 = 80.045.000
(dich. Fiscale)
91.014.000 67.913.033.000
1991 = 235.283.000
(dich. fiscale)
773.714.000 27.813.584.000
1992 = 445.792.000
(dich. fiscale)
4.225.335.000 11.632.047.000
1993 = 275.048.000
(dich. fiscale)
4.522.543.000 - 170.000.000
130
1994 = 181.695.000 (dich.
fiscale)
7.946.033.000 582.858.000
1995 = 102.711.000
(dich.fiscale)
215.045.000 421.108.000
1996 3 Percipenti
(Mod.770)
24.185.000
(Mod.770)
1.232.047.000 664.186.000
1997 33
Percipenti
(Mod.770)
37.942.000
(Mod.770)
= =
1998 28
Percipenti
(Mod.770)
48.076.000
(Mod.770)
1.713.195.000 29.860.000
1999 59
Percipenti
(Mod.770)
237.853.000
(Mod.770)
3.546.366.000 265.500.000
2000 57
Percipenti
(Mod.770)
273.275.000
(Mod.770)
2.251.760.000 52.866.000
2001 72 moduli
(Mod.770)
non disponibile
(Mod.770)
3.813.402.000 137.734.000
2002 85 moduli
(Mod.770)
210.891,00
(Mod.770)
536.059,00 165.215,00
2003 58 moduli
(Mod.770)
158.393,00
(Mod.770)
1.772.464,00 77.549,00
2004 20 moduli
(Mod.770)
67.187,00
(Mod.770)
0 99.520,00
2005 13 moduli
(Mod.770)
81.922,00
(Mod.770)
3.071.244,00 30.159,00
2006 n.p. n.p. 1.763.917,00 35.615,00
2007 n.p. n.p. -238.085,00 27.309,00
2008 n.p. n.p. 0 33.524,00
2009 n.p. n.p. 250.000,00 42.809,00
2010 n.p. n.p. 0 129.989,00
201 n.p. n.p. 0 26.710,00
131
I dati relativi al costo del personale dipendente rilevabili dai Modelli 770
o dalle dichiarazioni fiscali, non sono dunque presenti per tutte le annualità
in cui la Ditta Individuale (omissis) ha operato, mentre per altre annualità
l’importo del costo della manodopera ivi riportato, non appare proporzionato
alla dimensione aziendale ed al relativo volume d’affari dichiarato dalla ditta
individuale.
L’autorità proponente ha, tuttavia, cercato di pervenire ad una
determinazione realistica dei proventi dell’attività agricola, tenendo fermo il
volume d’affari “ufficiale” (sebbene raggiunto da gravi e concordanti indizi
di fittizietà parziale quale effetto della pratica del ricorso a false fatturazioni
di vendita finalizzate all’indebita percezione di contributi AIMA) e cercando
di pervenire ad una determinazione dei costi di manodopera agganciata al
fatturato dichiarato, si da evitare che da quella apparenza creata per lucrare
indebiti contributi e realizzare una sistematica evasione fiscale il proposto
potesse trarre ulteriore vantaggio dimostrando una capacità di reddito
maggiore di quella che avrebbe avuto se avesse operato lecitamente.
Il primo criterio applicato in proposta è consistito nel calcolare
l’incidenza dei costi della manodopera rispetto al volume d’affari
maggiormente aderente alla realtà riscontrato nelle aziende agricole dei figli
di (omissis) ((omissis) ), nate in consecuzione rispetto alla cessazione della
ditta del padre, i quali sono titolari delle rispettive Ditte Individuali che
operano esclusivamente nel settore dell’agricoltura in un periodo in cui
(2006-2011) l’ottenimento del contributo AGEA non era più legato alla
produzione e come tale indipendente dall’aumento del volume d’affari.
In particolare, tenendo conto del volume d’affari dichiarato da
(omissis) per l’esercizio dell’attività agricola e dei costi sostenuti dallo
stesso per i lavoratori in essa impiegati, è stato possibile rilevare che una
incidenza media di detti costi rispetto al volume d’affari superiore al 50%:
Anno Volume affari
impresa agricola
Costi per il personale
come da mod.770
Incidenza % dei costi del personale
rispetto al volume d’affari
2006 145.838,00 91.667,00 62,85%
2007 797.388,00 237.723,00 29,81%
132
2008 460.180,00 171.500,00 37,26%
2009 358.083,00 275.772,00 77,01%
2010 292.237,00 248.590,00 85,06%
2011 358.877,00 262.172,00 73,05%
Totale 2.412.603,00 1.287.424,00 53,36%
Analogamente, tenendo conto del volume d’affari dichiarato da (omissis) per
l’esercizio dell’attività agricola e dei costi sostenuti dallo stesso per i lavoratori in essa
impiegati, è possibile rilevare che l’incidenza media di detti costi rispetto al volume
d’affari è superiore al 80%:
Anno Volume affari
impresa agricola
Costi per il
personale come da
mod.770
Incidenza % dei
costi del personale
rispetto al volume
d’affari
2006 209.777,00 261.695,00 124,74%
2007 301.508,00 383.112,00 127,06%
2008 709.168,00 341.160,00 48,10%
2009 336.952,00 231.631,00 68,74%
2010 252.839,00 206.810,00 81,79%
2011 124.573,00 177.833,00 142,75%
Totale 1.934.817,00 1.602.241,00 82,81%
Ottenuto il dato di incidenza percentuale media dei costi del personale
rispetto al volume d’affari pari a circa il 68%, si è stimato un costo di
manodopera per tutto il periodo considerato di €.17.266.289,47 sul fatturato
dagli anni 1986 all’anno 2009.
A fronte della individuazione da parte dell’organo proponente di un
criterio di determinazione degli utili netti dell’attività d’impresa agricola
agganciato ad un ragionamento logico sostenibile, si è spostato sulla difesa
l’onere di offrire elementi idonei a paralizzare il significato degli indizi di
fittizietà del volume d’affari dichiarato.
La difesa, contestando la ricostruzione del dato della sproporzione
operata dalla Dia, ha inteso dimostrare, attraverso la produzione di proprio
elaborato tecnico, la disponibilità di maggiori fonti reddituali derivanti
133
dall’attività agricola mediante abbattimento del costo di manodopera stimato
dalla Dia, elaborando tre diversi criteri.
Il dato del costo di manodopera rappresentato è stato oggetto di ben due
consulenze tecniche d’ufficio disposte dal Tribunale, la prima affidata al Dr.
Antonino Romeo e la seconda al Dr. agronomo (omissis), su cui si tornerà
oltre, dopo aver esaminato i criteri proposti dalla difesa alla luce
dell’elaborato del Dr. (omissis) e delle controdeduzioni della Dia all’una e
all’altro.
Il primo metodo di calcolo del ctp sostanzialmente condivide
l’approccio metodologico adottato dalla Dia (incidenza del costo di
manodopera sulle ditte dei figli del proposto) ma con un correttivo
consistente nel sommare ai valori del reddito al lordo della manodopera
l’importo derivante dall’aiuto comunitario incassato dalle aziende dei figli
del proposto (contributi Agea) ed ottenendo così un’incidenza del costo sul
totale del reddito lordo pari al 22,5% anziché del 68%, con un valore stimato
per tutto il periodo di €.7.650.332,76.
La Dia contestava tale correttivo in quanto negli anni 2006-2011, i
contributi AGEA percepiti dalle aziende agricole dei figli di (omissis), non
erano legati alla produzione agricola fatturata nel medesimo periodo, poiché
dall’anno 2006 in poi, il contributo AGEA è rappresentato dai titoli
posseduti il cui importo è fisso per ogni anno e non è più legato alla
produzione. Conseguentemente il costo della manodopera è completamente
sganciato dall’eventuale percezione di contributi di qualsiasi entità dovendo
essere legato unicamente alla produzione agricola.
Il ctu Dr. (omissis), in ordine a tale approccio metodologico ha ritenuto
praticabile il correttivo operato dalla difesa, asserendo che la contribuzione
comunitaria prima di essere elemento integrativo di reddito va intesa come
contributo alla produzione servendo all’imprenditore per coprire tutti i costi
di gestione, in particolare quello di manodopera.
A parere del Collegio, la superiore conclusione del perito non è
condivisibile atteso che vi è senz’altro una relazione tra fatturato e impiego
di manodopera ma non vi è collegamento tra l’aiuto comunitario percepito
dalle aziende dei figli ed il lavoro aziendale inteso come impiego di salariati,
ciò in quanto dal 2005 l’aiuto comunitario non è più concesso in base alla
134
produzione ma è disaccoppiato da questa, in quanto legato agli ettari
coltivati2.
Ed ancora, il limite del correttivo al primo metodo usato dalla difesa
emerge evidente se si consideri che se un’azienda in un anno non produce
olive, quindi non fattura olio, avrà le spese fisse (ordinaria manutenzione
fondi) ma non avrà spese di manodopera relative alla raccolta: in questo
caso, paradossalmente, se al reddito negativo dell’azienda, essendo l’aiuto
disaccoppiato dalla produzione, si andassero a sommare gli aiuti Agea,
secondo il metodo della difesa, si avrebbe un costo di manodopera più basso
di quello reale, dunque falsato.
In sostanza, la manodopera costituisce elemento essenziale della produzione (volume
d’affari) e influisce direttamente sulla stessa, mentre al contrario il contributo AGEA è un
elemento esterno, erogato dall’AGEA a sostegno ed integrazione del reddito, ma non
influisce direttamente sul costo della manodopera.
Il secondo metodo proposto dalla difesa per pervenire al calcolo presuntivo del costo
della manodopera sostenuto da (omissis) per lo svolgimento dell’attività agricola, prende in
considerazione i costi per la manodopera agricola dichiarati con i modelli 770 dalle aziende
agricole dei figli del proposto, in relazione all’estensione dei terreni coltivati, ottenendo il
dato mancante attraverso il calcolo del “costo medio annuo di manodopera per ettaro
coltivato” determinato in euro 1.275,97. Applicato tale costo, alla superficie coltivata
annualmente dall’azienda agricola del proposto, è stato stimato un costo per la manodopera
per tutto il periodo di €.4.701.933,50, riducendo pertanto ulteriormente e notevolmente i
costi rispetto al primo metodo di calcolo prospettato dalla difesa.
La Dia ha ritenuto tale secondo approccio meritevole di approfondimento laddove
permette di ancorare dati finanziari ignoti ad un elemento certo, ossia l’estensione dei terreni
coltivati dall’azienda agricola di (omissis).
Per tale via, l’autorità proponente è arrivata a determinare, sempre attraverso i volumi
d’affari delle ditte intestate ai figli (criterio condiviso dai consulenti della difesa), il “valore
2 A conferma di quanto sopra – la stessa Dia- evidenziava come dalle tabelle riepilogate
dalla difesa (cfr. Relazione della D.ssa (omissis) - Allegato nr.1), emerge che (omissis) , a fronte di un volume d’affari complessivo dichiarato dall’anno 1986 al 2009 di circa 25 milioni di euro, ha percepito contributi AGEA per un totale di circa 9 milioni di euro, mentre le aziende dei figli a fronte di un volume d’affari complessivo dichiarato dall’anno 2006 al 2011 di soli 4,3 milioni di euro circa, hanno percepito contributi AGEA per circa 8,4 milioni di euro (l’ammontare dei contributi AGEA percepiti risulta quasi uguale, mentre i rispettivi volumi d’affari differiscono di oltre 20 milioni di euro).
135
medio della produzione per ettaro coltivato”, al fine di mantenere una correlazione tra i due
dati (costi di manodopera e volume d’affari) che conducesse ad una rappresentazione
quanto più realistica possibile degli utili netti dell’attività agricola rappresentativi della reale
capacità economica lecita del proposto, arrivando anche per tale via a riscontrare
l’inattendibilità del volume d’affari dichiarato dal proposto.
Si è dunque calcolata la produzione media (volume d’affari) per ogni ettaro di terreno,
coltivato dalle aziende agricole dei figli del proposto, relativamente al periodo 2006-2011,
come da tabelle che seguono.
DITTA INDIVIDUALE (omissis)
Valore medio della produzione per ettaro coltivato
Anno Volume affari
impresa agricola
Superficie
coltivata in
ettari
Valore medio di
produzione per ettaro
coltivato
2006 145.838,00 143,20 1.018,42
2007 797.388,00 171,78 4.641,91
2008 460.180,00 154,46 2.979,28
2009 358.083,00 159,76 2.241,38
2010 292.237,00 159,76 1.829,22
2011 358.877,00 159,74 2.246,63
Totale 2.412.603,00 948,70 2.543,06
DITTA INDIVIDUALE (omissis)
Valore medio della produzione per ettaro coltivato
Anno Volume affari
impresa agricola
Superficie
Coltivata in
ettari
Valore medio di
produzione per ettaro
coltivato
2006 209.777,00 195,78 1.071,49
2007 301.508,00 225,72 1.335,76
2008 709.168,00 229,49 3.090,19
2009 336.952,00 228,17 1.476,75
136
2010 252.839,00 230,87 1.095,15
2011 124.573,00 230,87 539,58
Totale 1.934.817,00 1.340,90 1.442,92
Applicando il valore medio della produttività per ettaro così ottenuto (euro 1.993,26) e
costo medio della manodopera per ettaro coltivato pari ad euro 1.275,97 (dato quest’ultimo
indicato dalla stessa difesa) la Dia ha ottenuto i volumi d’affari presuntivamente realizzati
da (omissis), nel periodo che va dal 1978 al 2011. Tale operazione viene riepilogata nella
tabella che segue:
DITTA INDIVIDUALE (omissis)
Valore della produzione presunto calcolato in funzione del valore medio della
produzione per ogni ettaro coltivato realizzato dalle aziende agricole dei figli (omissis)
Anno Superficie
Coltivata in
ettari dell’impresa
agricola (omissis)
(dato indicato dalla
difesa)
Valore medio di
volume d’affari
per ettaro
coltivato riferito
alla produttività
delle aziende
agricole dei figli
di (omissis) (in
euro)
Volume affari stimato
dell’impresa agricola (omissis)
(in euro)
1978 9,38 1.993,26 18.696,78
1979 26,49 1.993,26 52.801,46
1980 26,49 1.993,26 52.801,46
1981 50,65 1.993,26 100.958,62
1982 50,65 1.993,26 100.958,62
1983 50,65 1.993,26 100.958,62
1984 179,44 1.993,26 357.670,57
1985 179,44 1.993,26 357.670,57
1986 179,44 1.993,26 357.670,57
1987 179,44 1.993,26 357.670,57
137
1988 179,44 1.993,26 357.670,57
1989 179,44 1.993,26 357.670,57
1990 179,44 1.993,26 357.670,57
1991 173,06 1.993,26 344.953,58
1992 142,34 1.993,26 283.720,63
1993 142,34 1.993,26 283.720,63
1994 142,34 1.993,26 283.720,63
1995 158,52 1.993,26 315.971,58
1996 158,52 1.993,26 315.971,58
1997 140,50 1.993,26 280.053,03
1998 140,90 1.993,26 280.850,33
1999 143,68 1.993,26 286.391,60
2000 143,68 1.993,26 286.391,60
2001 143,68 1.993,26 286.391,60
2002 146,24 1.993,26 291.494,34
2003 146,24 1.993,26 291.494,34
2004 146,24 1.993,26 291.494,34
2005 146,24 1.993,26 291.494,34
2006 Cessazione attività
agricola dato
indicato dalla difesa
Totale 3.684,91 1.993,26 7.344.983,71
I valori così ottenuti (volumi d’affari e costi di manodopera presunti), calcolati in ragione
della dimensione fondiaria aziendale dell’impresa agricola (omissis) (superficie coltivata)
sono stati considerati dalla Dia quelli maggiormente attendibili ed aderenti alla realtà.
Quanto al terzo metodo di calcolo proposto dalla difesa basato sul costo di manodopera
risultante dai modelli 770 ove esistenti della ditta del proposto, lo stesso condurrebbe a
risultati inverosimili atteso che a fronte di un fatturato nel periodo esaminato (1986-2009) per
euro 25.153.517,16 (cfr. colonna 3, tabella 3 della relazione della d.ssa (omissis)), al netto
138
della spesa sostenuta per la manodopera agricola, indicata dalla difesa in complessive euro
1.521.303,23, (cfr. ultima colonna, tabella 10 della relazione della d.ssa (omissis)) nonché al
netto dei costi dichiarati, pari ad euro 3.682.148,95 e delle imposte, pari ad euro 221.694,84
(cfr. tabella riportata a pagina 310 della proposta), il proposto avrebbe conseguito un reddito
netto agricolo pari a euro 19.728.370,14, corrispondente a oltre 850.000,00 euro netti
all’anno, corrispondenti ad oltre 71.000,00 euro al mese netti, dato che contrasta con la realtà
aziendale rappresentata dalle stesse dichiarazioni reddituali presentate dall’impresa agricola
del figlio (omissis) che –come emerso ma anche riconosciuto dai ctp Dr. (omissis)
nell’elaborato allegato alla consulenza del Dr. (omissis) - ha sostanzialmente proseguito nella
coltivazione dei medesimi terreni siti in Melicuccà, Gioia Tauro e Borgia condotti in
locazione dal padre fino al 2005.
DITTA INDIVIDUALE (omissis)
Anno Superficie
coltivata (ha)
Volume d’affari
dichiarato
Costi dichiarati Imposta Manodopera
dichiarata
Guadagno
netto
2006 143,20 145.838,00 251.928,00 0 91.667,00 -197.757,00
2007 171,78 797.388,00 377.889,00 7.883,00 237.723,00 173.893,00
2008 154,46 460.180,00 180.675,00 5.311,00 171.500,00 102.694,00
2009 159,76 358.083,00 165.345,00 2.192,00 275.772,00 -85.226,00
2010 159,76 292.237,00 46.795,00 4.995,00 248.590,00 -8.143,00
2011 159,74 358.877,00 120.022,00 4.912,00 262.172,00 -28.229,00
Total 948,70 2.412.603,00 1.142.654,00 25.293,00 1.287.424,00 -42.768,00
Mentre (omissis) dichiara di aver guadagnato dal 1986 al 2009 la somma di 19 milioni di
euro al netto dei contributi AGEA, il figlio dal 2006 al 2011, per lo svolgimento della stessa
attività agricola sugli stessi fondi, va addirittura in perdita.
Quest’ultima circostanza spiega la ragione ed il senso del contributo AGEA, che
costituisce un sostegno al reddito dell’imprenditore agricolo, mentre, nel caso di (omissis)
l’analoga attività agricola avrebbe fruttato diversi milioni di euro e pertanto il contributo
AGEA non avrebbe avuto alcuna ragione di esistere, considerati i notevoli profitti che
l’attività avrebbe consentito.
Talmente insostenibile tale terzo criterio che la stessa difesa ha optato per l’utilizzo del
primo metodo, con il correttivo sulla cui non condivisibilità si è già detto.
139
Il ctu Dr. (omissis) , cui era stata richiesta una valutazione di ragionevolezza “dei criteri
di elaborazione del dato costituito dai costi presuntivi della manodopera sostenuti dal
proposto individuati dal consulente di parte Dr.ssa (omissis) nella perizia in atti” in termini
di aderenza alla realtà aziendale dell’impresa di (omissis) , “anche in considerazione del
volume d’affari dichiarato per ciascuna annualità, segnalando eventuali criticità ed
indicando quale tra i vari criteri prospettati -compresi quelli elaborati dalla DIA- si presti a
fornire una rappresentazione quanto più reale degli utili netti effettivi tratti dalla impresa
agricola (omissis) per ciascuna annualità”, ha ritenuto di elaborare un ulteriore criterio
utilizzando le rilevazioni statistiche elaborate dal Farm Accountancy Data Network (FADN)
e ratificate per l’Italia dall’INAE (Istituto Nazionale di Economia Agraria) da cui risulta che
il costo di manodopera è la voce di costo più rilevante delle aziende agricole rappresentando
all’incirca il 70% del totale dei fattori produttivi, agganciato ai costi sostenuti diversi dalla
manodopera ricavabili dalle dichiarazioni fiscali del proposto.
Attraverso l’equazione: costo di manodopera (X)= costi diversix70: 30, il dr. Romeo è
pervenuto a determinare il costo di manodopera per l’intero periodo esaminato nella somma
complessiva di €.8.591.439,33.
Tale risultato, fondato su un calcolo puramente matematico, presenta ovviamente i limiti
di applicazione e di aderenza alla realtà tipico di un metodo statistico e, pertanto, al di là della
non aderenza ed esorbitanza rispetto al quesito formulato, non è stato ritenuto condivisibile
per assenza di correlazione tra il presupposto dell'incarico (individuabile nel quesito e
finalizzato a pervenire ad “una rappresentazione quanto più possibile realistica degli utili
netti tratti dall’impresa agricola di (omissis) ”) e la soluzione proposta (si rimanda alla
tabella del costo di manodopera elaborata dal predetto consulente che registra oscillazioni
prive di giustificazione logica rispetto al volume d’affari dichiarato nei vari anni).
Il Collegio, in esito, all’esame del Dr. (omissis) , pertanto, ha ritenuto di
rinnovare la consulenza avvalendosi di un dottore agronomo nella persona del
Dr. (omissis) al quale ha sottoposto il seguente quesito:
“Esaminate la consulenza di parte, le note della Dia e le reciproche
controdeduzioni con riferimento alla determinazione del reddito netto tratto
dall’impresa agricola di (omissis) negli anni 1978-2011, nonché letta la
consulenza del dr. (omissis) :
- illustri la formula più corretta in economia agraria per pervenire
partendo da dati noti e tenuto conto delle caratteristiche dimensionali,
colturali, di gestione e produttive dell’impresa esercitata da (omissis) , ad una
quantificazione realistica dei costi di manodopera, precisando se il dato
140
ottenuto sia compatibile, secondo il criterio dell’ordinarietà aziendale, con il
volume di affari dichiarato/fatturato negli anni 1978/2011 dalla impresa
(omissis) ; solo nell’ipotesi in cui il perito accerti un’evidente incompatibilità
tra i volumi dichiarati e il dato ottenuto provveda alla rideterminazione dei
volumi d’affari e dei conseguenti utili netti”.
Il ctu (omissis) ha proceduto alla individuazione delle particelle nel tempo
gestite dall’azienda del proposto in forza dei contratti prodotti dalla difesa,
analizzato sulla base di orto-foto tratte dal Sistema informativo Agea
dall’anno 1996 al 2012 le modifiche che le stesse hanno subito nel corso degli
anni, la superficie agraria utilizzata (c.d. SAU) anno per anno e nell’intero
periodo, la scadenza dei contratti di affitto, la qualità di coltura, la presumibile
età media della piante, e quindi ha effettuato un calcolo del costo medio di
manodopera per ettaro coltivato secondo il criterio dell’ordinarietà aziendale
(ossia dell’utilizzo dei valori più frequentemente rappresentati da aziende con
caratteristiche similari, stimandolo in euro 2275,50 ad ettaro, compresa la
molitura.
Il ctu ha sostanzialmente recepito i dati relativi al costo di gestione
ordinaria dell’oliveto di cui al piano Ismea dell’anno 2010, allegato
all’elaborato, relativi alla Regione Calabria, con qualche adattamento
asserendo il dr. Tassone la non comparabilità della realtà aziendale del
proposto con quelle campionate dall’Ismea, ossia aziende calabresi di medie
dimensioni con superficie olivetata media di 3,6 ettari, densità di impianto
media di 258 piante per ettaro con una risposta di circa 16 kg di olive a pianta,
basso livello di specializzazione e meccanicizzazione.
L’importo ottenuto moltiplicato per gli ettari coltivati nell’arco dei 28 anni
esaminati ha condotto il perito a stimare costi complessivi di manodopera per
l’oliveto dal 1978 al 2005 (esclusi gli oneri sociali e contributivi) in totali euro
6.104.766,96, compresa la molitura. A tale somma, il predetto ha aggiunto
€.1.135.434 per costi di manodopera agrumi, avendo riscontrato una discreta
superficie coltivata ad agrumi, di cui non si era mai fatto menzione neppure
nelle due consulenze della difesa.
Ma le maggiori criticità e debolezze dell’elaborato del dottore agronomo
si sono registrate nella risposta alla seconda parte del quesito, relativa alla
valutazione di congruità dei costi di manodopera stimati rispetto al volume
d’affari dichiarato dal proposto (dati disponibili dal 1986 in poi), essendovi
141
come si è ampiamente argomentato sopra plurimi dati convergenti nel senso
della non rispondenza di questi ultimi alla reale entità dei traffici economici.
L’agronomo ha riportato due ipotesi di valore medio di produzione olive e
olio trasformato per ettaro, e precisamente una con resa medio bassa (16,30
kg di olive per pianta ) e una ottimale (60 kg di olive per pianta), con una
oscillazione da €. 1639,30/ha a €.7.392,60 /ha, considerando una densità
media di impianto di 258 piante per ettaro e nella seconda ipotesi una giacenza
costante annua del 25% di prodotto.
Dopo aver asserito (ma non argomentato) la maggiore aderenza della seconda ipotesi
“alla realtà imprenditoriale di che trattasi”, l’agronomo è giunto per tale via a stimare un
valore della produzione della coltura olio -comprensivo delle giacenze e “al netto dei
contributi” -pari a €.19.832.645,50.
A tale somma ha ritenuto poi di dover aggiungere l’ulteriore somma di
€.3.027.360,00 quale valore della produzione della coltura agrumi, basandosi
su un prodotto medio per ettaro di 40t/ha con un costo medio di prodotto
all’ingrosso di euro 40/quintale, arrivando per tale via a formulare un giudizio
di compatibilità del costo di manodopera stimato con il volume d’affari
dichiarato per gli anni 1986-2005 pari a €.23.377.685,16.
Orbene, premesso che per consolidata giurisprudenza di legittimità,
compete al giudice del merito della causa di valutare l’attinenza, la coerenza
e la concludenza della relazione peritale per cui ove ritenga non condivisibili
le conclusioni del perito può discostarsene, purchè motivi il proprio avviso
dopo aver esaminato l’iter seguito dal consulente per verificare se le sue
conclusioni siano fondate su dati concreti (Cass. 2013 n.43923), ritiene il
Collegio che la risposta fornita al secondo quesito non possa essere
acriticamente recepita, essendo apparso l’approccio del consulente –anche in
esito al suo esame in contraddittorio- quantomeno approssimativo, a dispetto
di una ricostruzione iniziale puntuale quanto alla superficie agricola
coltivata nel tempo e successivi infoltimenti e nuovi impianti eseguiti sui
fondi gestiti negli anni 1997 e 2001, basata su orto-foto disponibili dagli
anni 1996 in poi.
Ci si soffermerà su alcuni passaggi dell’elaborato e dell’esame
dell’agronomo per evidenziarne l’incoerenza a tratti e l’assenza di agganci
fattuali concreti delle sue asserzioni in punto di specifica realtà aziendale del
proposto.
142
Dopo aver affermato di non aver proceduto ad un calcolo di compatibilità
costi manodopera/volume d’affari anno per anno per assenza di un
parametro omogeneo annuale, in quanto dal 1978 al 1983 “le superfici
agricole erano pochissime e il volume d’affari era zero”, l’agronomo
Tassone interrogato dal PM sulle ragioni per cui si registrano picchi
significativi nel volume d’affari emergenti dal fatturato dichiarato dal
proposto3, ha asserito di non poter escludere che un’azienda agricola come
quella del proposto con enormi macchinari agricoli e che molisce potesse
realizzare in un anno il doppio dell’anno precedente (ma nel caso del
proposto siano fuori dall’alternanza, rilevandosi dei picchi in annualità
consecutive come gli anni 1992-1993 e 1994 a parità di ettari coltivati),
aggiungendo che i costi della manodopera sono più o meno costanti, anche
se gli uliveti sono soggetti alla carica e scarica e possono avere delle
alternanze, nel senso diminuzioni e aumenti legati al fatto che alcuni anni si
raccoglie di più e altri si raccoglie di meno.
Ha poi dichiarato di aver utilizzato il parametro di produzione quello di
60 kg di olive a pianta quale media dei valori di picco, mentre quanto alla
concentrazione di piante per ettaro coltivato stimato in 258 ha affermato
trattarsi di un dato medio tratto dal piano Ismea presumibile per tipo di sesto
di impianto che in quegli anni “oscillava tra cento e trecento piante”,
segnalando poi che nel ‘97 e nel 2002 ci sono state delle trasformazioni
fondiarie legate a nuovi impianti e infittimenti, cioè, negli intercalari tra le
piante sono state messe nuove piante, quindi è aumentato il numero di piante.
A domanda del Collegio sul tipo di approfondimenti documentali
condotti atti a risalire alla specifica realtà aziendale dell’(omissis),
l’agronomo Tassone ha poi risposto di non aver tenuto conto dei modelli F
prodotti dalla difesa solo per alcune annualità (ossia le attestazioni di molitura
contenente i dati relativi alle quantità di olive lavorate e di olio prodotto da
allegare alle domande di aiuto) in quanto “superiori come livello produttivo a
quello che io ho giudicato ordinario, medio-ordinario per questa tipologia
aziendali”, rispondendo alla domanda sulla attendibilità dei modelli predetti
secondo esperienza che gli stessi “erano spinti al massimo”.
3 Ad es. nel ‘90 c'è una dichiarazione d’incasso di euro 261,95 per ogni ettaro di uliveto
coltivato, nel ‘91 stessi terreni c'è una dichiarazione invece di euro 2.309,76 per ogni ettaro di terreno, nel ‘92 oltre 15.000 euro, nel ‘93 oltre 16.000, nel ‘94 per € 28.000 euro.
143
Ha poi affermato di non aver avuto riscontro dalla difesa alla richiesta di
avere le dichiarazioni UMA da cui desumere il tipo di macchinari, ossia la
mole del parco macchine di cui l’azienda poteva disporre, ma di avere tenuto
conto di alcune dichiarazioni prodotte dalla difesa a partire dagli anni ’90 da
cui si desumeva il tipo di macchine agricole che il proposto deteneva in quegli
anni.
Ma il culmine dell’approssimazione si è raggiunto nel momento in cui
l’agronomo alla domanda specifica sull’anno esatto in cui l’azienda del
proposto avrebbe iniziato l’attività di molitura (ossia la produzione di olio che
secondo lo stesso determina la resa ottimale media stimata) ha candidamente
dichiarato di non avere elementi per datarne l’inizio pur avendola considerata
nel calcolo della resa per ettaro fin dall’anno 1978 (in cui il proposto non era
neppure titolare di una propria impresa agricola).
Eguale approssimazione si è riscontrata nelle risposte fornite alle
domande relative al dato assunto relativo alle giacenze di invenduto calcolato
nella misura fissa del 25% per ciascun anno, non indicando l’agronomo fonti
ufficiali o studi di settore a sostegno della percentuale stimata, comprensiva a
suo dire di giacenze da moliture per conto terzi pagate in olio e vendute l’anno
successivo.
Ed ancora, l’agronomo “sorprendentemente” ha ritenuto di stimare
ulteriori guadagni derivanti da una attività secondaria di coltivazione di
agrumi, per totali €. 1.891.826 (volume d’affari di totali €.3.027.360,00- costi
di manodopera per totali €.1.135.434), attività cui non si è mai fatto accenno
neppure da parte dei consulenti della difesa nell’ultimo elaborato a firma dei
dott. (omissis), stimando altresì una produttività medio-alta spalmata per gli
anni dal 1978 al 2005, senza corredare l’elaborato di fonti ufficiali dei prezzi
del prodotto né del piano ismea che ha affermato di avere utilizzato (c’è solo
una paginetta allegata di cui si sconosce la provenienza).
Così riassunti gli esiti peritali e dell’esame del ctu tassone, osserva il
Collegio che non può tenersi in alcun modo conto di tale parte dell’elaborato
in quanto non supportata da dati certi in ordine alla caratterizzazione come
agrumicola dell’azienda del proposto né per datare l’inizio di tale attività
eventualmente secondaria (dalla visura camerale risulta iscritta l’attività
secondaria di coltivazione di frutti non oleosi dal 1995 mentre dalla
documentazione prodotta dalla difesa risalirebbero agli anni 2002-2003 le
144
prime domande di aiuto comunitario per gli agrumi).
A fronte delle lacune nell’elaborato del dr. (omissis), che da un lato
afferma di avere tenuto in considerazione una realtà aziendale stakeholder e
dall’altro non ha saputo indicare i dati documentali sulla cui base ha
ricostruito la specifica realtà riferendo genericamente “ho assunto
informazioni, io sono figlio di uno che faceva questo mestiere, faceva
l’agronomo, e all'epoca io aiutavo papà in queste attività”, lo sforzo del
Tribunale deve essere quello di pervenire egualmente a quella ricostruzione
più realistica degli utili netti dell’attività di impresa agricola olearia per cui si
era deciso di disporre consulenza tecnica d’ufficio, aggangiandola ai dati certi
e/o non contestati emersi comunque nel corso dell’istruttoria compiuta.
In primo luogo, a dispetto di quanto affermato dai ctu (omissis),
dall’incrocio tra i dati catastali relativi ai fondi coltivati dal proposto
emergenti dalla relazione di (omissis) con quelli relativi ai fondi coltivati
dalle aziende dei figli tratti dalla relazione degli amministratori giudiziari
(l’ultima in ordine temporale quella a firma del Dr. agronomo (omissis)
acquisita all’udienza del 29.1.2016), emerge l’omogeneità spaziale in
termini di capitale fondiario tra l’azienda esercitata dal proposto fino
all’anno 2005 e quella avviata dal figlio (omissis) nell’anno 2006 che è
subentrato al padre nella coltivazione di tutte le superfici in Melicucca,
Gioia Tauro e Borgia (si rimanda al confronto tra l’elencazione delle
particelle coltivate dal proposto nell’elaborato di (omissis) e la relazione
degli amministratori).
La circostanza è riconosciuta nella stessa relazione dei ctp (omissis)
allegata alla relazione del Dr. (omissis) in cui si legge “L’attuale situazione
agronomica dell’azienda (intendendo quella di (omissis) ) si discosta poco
da quella del periodo in cui la conduceva il Sig. (omissis), anche se nel
tempo sono stati eseguiti dall’attuale conduttore Matteo (omissis) interventi
di sistemazione..(omissis).Alle piante è stata eseguita una potatura di riforma
ma non è stato incrementato il loro numero”.
Partendo dal dato della omogeneità spaziale ed anche colturale e di
macchinari, ritiene poi il Tribunale che non può ragionevolmente sostenersi
la non comparabilità tra i volumi d’affari dichiarati dal figlio (omissis) jr negli
anni dal 2006 al 2011 (peraltro con superficie coltivata in ettari maggiore) e
quelli dichiarati dal padre in relazione ai medesimi fondi negli anni 2000-
145
2005, apparendo sul punto generiche le asserzioni del dottore Tassone circa
un presunto ingresso di olio dalla Turchia nell’anno 2004 che avrebbe segnato
un crollo del mercato dell’olio (in realtà l’olio dalla Turchia arrivava già nei
primi anni ’90 sotto forma di contrabbando, come evidenziato dalle vicende
del processo di Trani a carico del proposto).
Per gli anni immediatamente precedenti la nascita dell’impresa agricola
del figlio (omissis) sussiste dunque anche una omogeneità temporale, per cui è
logicamente sostenibile sulla scorta del confronto dei valori di volumi d’affari
dichiarati dal proposto e dal figlio Matteo Giuseppe sopra operato l’abnormità
(ossia la non corrispondenza alla realtà in quanto frutto di fatturazioni false)
dei primi, dunque la loro inattendibilità nella ricostruzione dei redditi
dell’attività agraria, ma anche l’inattendibilità del dato di resa media stimato
dall’agronomo Tassone.
Basti osservare che a fronte di ricavi medi per ettaro emergenti dal volume
d’affari/corrispettivi dichiarati dal proposto per gli anni 2000-2005 di circa
9800 €/ha su ettari coltivati 146,29 (v. pagina 10 degli esiti della delega
depositati dal Pm all’udienza del 16 ottobre 2015), l’azienda del figlio
(omissis) ha dichiarato un volume d’affari su una superficie coltivata di circa
158 ettari con una resa media di €.2543,00/ha (quasi un terzo di quella stimata
dall’agronomo (omissis) per un trentennio), raggiungendo un picco nell’anno
2007 di €.4641,91/ha.
In ogni caso, l’omogeneità spaziale da sola consente di superare il dato medio statistico
di concentrazione di piante ad ettaro adottato dal ctu (omissis) (258 piante/ha), che pure
avrebbe potuto assolvere all’incarico assegnatogli contando il numero esatto di piante
allargando l’immagine delle ortofoto acquisite, utilizzando il dato reale di concentrazione
piante per ettaro emergente dalla relazione dell’amministratore giudiziario acquisita
all’udienza del 29.1.2016.
A tal riguardo, va sottolineata la posizione di assoluta terzietà dell’amministratore
giudiziario in quanto pubblico ufficiale che ha agito nell’espletamento delle attività di
descrizione, custodia ed amministrazione del patrimonio sequestrato, in ragione della quale è
stata disposta l’acquisizione della relazione descrittiva dei fondi all’udienza del 29.1.2016.
Sommando il numero totale di piante esistenti sui fondi gestiti oggi da (omissis) e prima dal
padre, tratto dalla relazione dell’amministratore giudiziario citata, e dividendolo per gli ettari
coltivati si ottiene una concentrazione di 140 piante/ha (arrotondata in eccesso e favorevole al
proposto in quanto su alcuni fondi sono stati realizzati nel ‘97 e nel 2002 nuovi impianti in aree
146
che non erano coltivate ed infittimenti in altre che hanno portato incremento, per cui le piante
ante 1996 erano di numero inferiore), ossia quasi la metà del numero di piante presa da Tassone
come dato di partenza del suo calcolo della resa media per ettaro e spalmato su un trentennio.
Assumendo per validi gli altri parametri utilizzati dall’agronomo Tassone
(produzione 60kg di olive a pianta, resa del 20%, prezzo olio €.1,91 kg), senza
le giacenze in assenza di dati di riscontro, ed utilizzando quale dati certi il numero
di ettari coltivati ad uliveto indicato nella relazione dei ctp (omissis) (più
favorevole perché maggiore alla S.A.U. calcolata da (omissis)) ed il numero di
piante tratto dalla relazione degli amministratori giudiziari richiamata si ottiene,
per gli anni 1984 (a partire dal quale il capitale fondiario acquisisce una
consistenza tale per cui l’azienda comincia a produrre utili, come asserito
dall’agronomo Tassone, secondo cui prima i redditi netti erano pari a zero) e fino
al 2005 (in cui il proposto cessa la sua attività di impresa individuale), un dato di
ricavi olio al lordo della manodopera pari a complessivi € 11.078.385,02, come
da tabella che segue (a fronte di un volume d’affari/corrispettivi dichiarati dal
1986 al 2005 pari a €. 23.377.685,15).
Dal dato dei ricavi così ottenuto bisogna, ovviamente, detrarre i costi di
manodopera, non potendosi assumere il dato finale dell’agronomo Tassone in
quanto evidentemente agganciato al numero di piante per ettaro maggiore dallo
stesso utilizzato, per cui sulla scorta della omogeneità fondiaria con l’azienda del
figlio (omissis) appare maggiormente realistico calcolare il costo di manodopera
sulla base della incidenza percentuale del 53,36% rilevata quale media del costo
di manodopera desumibile dai modelli 770 dell’azienda del figlio in rapporto al
fatturato realizzato nel periodo 2006/2011 (v. sopra).
Si ottiene la seguente tabella:
anno ettari
(omissis) (LIA)
piante
(Amministratori)
produzione
(omissis)
olio prodotto
(omissis)
ricavi olio
(omissis)
Manodopera
53,36%
Utili
(53,36 %)
1984 179,4405 25.121,67 1.507.300,20 301460,04 € 572.774,08 € 305.632,25 € 267.141,83
1985 179,4405 25.121,67 1.507.300,20 301460,04 € 572.774,08 € 305.632,25 € 267.141,83
1986 179,4405 25.121,67 1.507.300,20 301460,04 € 572.774,08 € 305.632,25 € 267.141,83
1987 179,4405 25.121,67 1.507.300,20 301460,04 € 572.774,08 € 305.632,25 € 267.141,83
1988 179,4405 25.121,67 1.507.300,20 301460,04 € 572.774,08 € 305.632,25 € 267.141,83
1989 179,4405 25.121,67 1.507.300,20 301460,04 € 572.774,08 € 305.632,25 € 267.141,83
1990 179,4405 25.121,67 1.507.300,20 301460,04 € 572.774,08 € 305.632,25 € 267.141,83
147
1991 173,0697 24.229,76 1.453.785,48 290757,096 € 552.438,48 € 294.781,17 € 257.657,31
1992 142,3428 19.927,99 1.195.679,52 239135,904 € 454.358,22 € 242.445,54 € 211.912,67
1993 142,3428 19.927,99 1.195.679,52 239135,904 € 454.358,22 € 242.445,54 € 211.912,67
1994 142,3428 19.927,99 1.195.679,52 239135,904 € 454.358,22 € 242.445,54 € 211.912,67
1995 158,5218 22.193,05 1.331.583,12 266316,624 € 506.001,59 € 270.002,45 € 235.999,14
1996 158,5218 22.193,05 1.331.583,12 266316,624 € 506.001,59 € 270.002,45 € 235.999,14
1997 140,5039 19.670,55 1.180.232,76 236046,552 € 448.488,45 € 239.313,44 € 209.175,01
1998 140,9018 19.726,25 1.183.575,12 236715,024 € 449.758,55 € 239.991,16 € 209.767,39
1999 143,6853 20.115,94 1.206.956,52 241391,304 € 458.643,48 € 244.732,16 € 213.911,32
2000 143,6853 20.115,94 1.206.956,52 241391,304 € 458.643,48 € 244.732,16 € 213.911,32
2001 143,6853 20.115,94 1.206.956,52 241391,304 € 458.643,48 € 244.732,16 € 213.911,32
2002 146,2463 20.474,48 1.228.468,92 245693,784 € 466.818,19 € 249.094,19 € 217.724,00
2003 146,2463 20.474,48 1.228.468,92 245693,784 € 466.818,19 € 249.094,19 € 217.724,00
2004 146,2463 20.474,48 1.228.468,92 245693,784 € 466.818,19 € 249.094,19 € 217.724,00
2005 146,2463 20.474,48 1.228.468,92 245693,784 € 466.818,19 € 249.094,19 € 217.724,00
€ 11.078.385,024 € 5.911.426,25 € 5.166.958,78
Inserendo il dato di “reddito derivante dall’attività agricola” calcolato secondo il procedimento
sopra illustrato agganciato a dati certi ed incontestati (estensione ettari coltivati e concentrazione
piante per ettaro), senza tenere conto degli ulteriori costi ed imposte riportate nelle dichiarazioni
fiscali presentate da (omissis) per l’attività agricola (operando pertanto, nel senso più favorevole
4 Ad un utile lordo sostanzialmente coincidente (€.11.635.832,4) si perviene sommando al reddito netto per la produzione olivicola calcolata secondo i parametri del ctu (omissis) ma senza le giacenze e con il numero esatte di piante per ettaro riscontrato dagli amministratori giudiziari (140/ha) pari a € 8.608.472,38 ( come da tabella che segue), il valore della produzione agrumicola stimata dal ctu Tassone (omissis) per totali €.3.027.360,00.
di totale piante per ettaro 140
totale di ettari (SAU) 2.683
totale Piante considerate 375.588
sa totale in KG per pianta 60
totale Kg di olive prodotte 22.535.268
totale olio prodotto (KG) con resa del 20% 4.507.054
va valore della produzione al prezzo di 1,91 Kg/olio € 8.608.472,38
148
al proposto), nella tabella finale redatta dalla Dr.ssa (omissis) comprensiva degli altri redditi
dichiarati dal proposto e dai suoi familiari si ottengono i seguenti valori.
Anno
A B C D E F
Reddito Netto
Familiare
Spesa Media
Familiare ENTRATE USCITE A-B+C-D Saldo Scalare
1978 - 3.355,44 - 63.989,00 -67.344,44 -67.344,44
1979 - 4.584,00 1.032,91 62.250,23 -65.801,32 -133.145,76
1980 - 6.038,44 - 14.288,64 -20.327,08 -153.472,84
1981 - 7.334,48 25.577,01 14.254,20 3.988,33 -149.484,51
1982 - 8.856,52 - 79.937,59 -88.794,11 -238.278,62
1983 - 9.647,44 - 64.273,03 -73.920,47 -312.199,09
1984 267.141,83 10.527,68 - 16.097,94 240.516,21 -71.682,88
1985 297.158,31 12.741,48 3.718,48 - 288.135,31 216.452,43
1986 305.505,28 14.224,84 - - 291.280,44 507.732,87
1987 278.424,34 14.822,24 155.324,07 15.596,98 403.329,19 911.062,06
1988 289.614,42 16.024,60 31.768,42 24.445,43 280.912,81 1.191.974,87
1989 296.929,52 18.193,68 198.953,14 8.387,06 469.301,92 1.661.276,79
1990 292.354,74 19.346,40 28.405,12 588.903,33 -287.489,87 1.373.786,92
1991 257.657,31 20.930,88 29.213,50 906.517,69 -640.577,76 733.209,16
1992 226.858,94 21.306,84 250.905,00 837.006,18 -380.549,08 352.660,08
1993 225.916,92 20.976,40 333.857,41 24.325,11 514.472,82 867.132,90
1994 225.217,63 22.907,92 138.638,54 1.261.340,98 -920.392,73 -53.259,83
1995 251.669,46 23.482,20 1.082.365,24 1.760.449,72 -449.897,22 -503.157,05
1996 235.999,14 23.990,40 950.886,59 1.612.763,19 -449.867,86 -953.024,91
1997 209.175,01 26.499,32 1.803.457,07 2.420.891,70 -434.758,94 -1.387.783,85
1998 343.721,33 28.698,76 236.603,55 94.008,06 457.618,06 -930.165,79
1999 239.527,59 26.030,12 2.320.164,84 1.787.377,79 746.284,52 -183.881,27
2000 231.261,18 28.872,56 1.299.476,49 1.987.390,68 -485.525,57 -669.406,84
2001 239.437,75 28.332,20 1.325.999,05 3.036.063,86 -1.498.959,26 -2.168.366,10
2002 268.843,00 26.856,48 1.076.504,94 884.600,00 433.891,46 -1.734.474,64
2003 257.847,00 27.963,56 616.067,03 1.240.490,00 -394.539,53 -2.129.014,17
149
2004 256.440,00 30.114,32 1.545.615,71 1.335.705,52 436.235,87 -1.692.778,30
2005 -42.535,00 31.009,60 967.800,42 3.351.252,05 -2.456.996,23 -4.149.774,53
2006 356.636,00 29.160,08 2.082.694,34 3.083.440,07 -673.269,81 -4.823.044,34
2007 1.037.757,
00 29.530,56 7.304.713,89 9.356.326,00 -1.043.385,67 -5.866.430,01
2008 477.306,00 34.568,00 3.379.548,46 5.296.490,00 -1.474.203,54 -7.340.633,55
2009 241.711,00 33.548,00 4.517.126,21 7.529.753,50 -2.804.464,29 -10.145.097,84
2010 283.811,00 34.212,00 3.701.915,33 2.111.239,51 1.840.274,82 -8.304.823,02
2011 263.869,00 34.536,00 1.446.970,43 755.788,00 920.515,43 -7.384.307,59
8.115.255,70 729.223,44 36.855.303,19 51.625.643,04 -7.384.307,59 -7.384.307,59
Il dato significativamente negativo del saldo a scalare (- €. 7.384.307,59) non è inficiato nella
sua valenza –ulteriormente- indiziaria della provenienza illecita del patrimonio accumulato dal
proposto dalla presenza in alcuni dei primi anni di un saldo annuale e scalare positivo, in
considerazione di una molteplicità di fattori concorrenti di cui occorre tenere conto e che
certamente vanno ad incidere in senso deteriore sui redditi derivanti dall’attività agricola e
conseguentemente sulla entità delle entrate lecite computabili, quali:
1) il prezzo dell’olio fornito dal ctu (omissis) (pari a 1,91 kg/olio) è un prezzo medio per il
trentennio globalmente considerato dal ctu, quindi sicuramente il prezzo dell’olio nei primi anni in
cui il proposto ha iniziato la sua scalata imprenditoriale era significativamente più basso (sul punto
si rimanda alla ctp dei dott. (omissis) che stimava un prezzo medio dell’olio dal 1978 al 1985 di €.
1,3410 kg/olio e dal 1986 al 2005 di €.1,91 Kg/olio);
2) nel calcolo degli utili netti di cui alla ricostruzione operata dal Collegio secondo i dati reali
acquisiti non si è tenuto conto della incidenza dei costi di gestione/acquisti diversi dalla
manodopera (trasporti, benzina, macchinari, etc..), che secondo quanto rilevato dagli stessi studi
statistici citati dal ctu (omissis) incidono in misura pari al 30% sul totale dei costi dell’impresa
agricola, come confermato anche dal dato dei costi dichiarati negli anni dal proposto5 e dall’esame
della incidenza media del 20-25% dei costi diversi dalla manodopera sul fatturato/volume d’affari
dichiarati dal figlio del proposto (omissis);
3) la accertata non rispondenza alla realtà dei traffici economici dell’impresa agricola del
proposto del volume di affari/fatturato dichiarato non consente di computare tra le entrate lecite i
5 Si rimanda ai dati riassunti sopra alla pagina 95 e ss, con acquisti dichiarati per gli anni
1986/1989 per una media di oltre 75.000 €. Annui.
150
contributi comunitari percepiti perché –appunto- agganciati ad un volume d’affari che si è accertato
essere anche solo in parte gonfiato6.
Sul punto va replicato alla obiezione della difesa, secondo cui i contributi erano agganciati non
al fatturato ma ai modelli F, che lo stesso ctu (omissis) ha dichiarato che i modelli F a lui esibiti
per un decennio dal 1985 erano “spinti”, evidentemente per lucrare indebiti contributi comunitari,
finanche rispetto al volume d’affari “ottimale” stimato dallo stesso ctu e che, come si è detto, non
è stato recepito per evidenti limiti di aderenza alla realtà fondiaria dell’impresa del proposto.
Si riproducono le somme percepite a titolo di contributi comunitari tramite le associazioni di
categoria e direttamente dall’Agea per gli anni 1987-2004 (come da documentazione della difesa),
considerate tra le entrate nella predetta tabella, ma evidentemente da espungersi in quanto ottenute
con meccanismi fraudolenti:
Anno 1987: euro 155.324,07
Anno 1988: euro 31.768,42
Anno 1989 : euro 198.953,14
Anno 1991 : euro 11.372,76
Anno 1992: euro 250.905,00
Anno 1993: euro 333.857,41
Anno 1995: euro 151.667,72
Anno 1996: euro 950.886,59
Anno 1997 : euro 336.461,25
Anno 1998 : euro 236.603,55
Anno 1999 : euro 1.201.869,91
Anno 2000 : euro 963.779,51
Anno 2001 : euro 832.293,63
Anno 2002 : euro 977.606,37
Anno 2003 : euro 665.580,35
Anno 2004 : euro 845.615,71
Totali: 8.144.545,39
La sproporzione aumenta ulteriormente se si inseriscono tra le uscite le somme sopra quantificate
versate nella (omissis) a titolo finanziamento soci e versamento conto futuro aumento di capitale dal
socio di minoranza (omissis) SA, che come si è detto è una propalazione dei “soci” in affari (omissis),
6 Si richiama quanto emerso nel corso degli accertamenti sul reale volume d’affari
effettuati dalla p.g. e confluiti nel procedimento n.214/95 Palmi (vicenda c.d. (omissis)) ossia che
numerosi tra i clienti della ditta individuale del proposto risultanti dai registri Aima, che all’epoca
erogava gli aiuti all’agricoltura, avevano dichiarato di non aver intrattenuto rapporti con il proposto
o di avere venduto o acquistato dallo stesso quantitativi di olio inferiori a quelli dichiarati.
151
(omissis) e (omissis), da imputarsi al proposto se non per la sua quota ufficiale di partecipazione
alla (omissis) quantomeno per quella di un terzo7.
Del resto, l’esistenza di un patrimonio (rappresentato da immobili, denaro, titoli, partecipazioni
societarie) del valore di svariati milioni di euro supera oltre ogni limite la somma dei redditi percepiti
dal proposto e suoi stretti congiunti nel periodo temporale tutt’altro che limitato in cui è stata
accertata l’attività imprenditoriale illecita del proposto e manifesta qualcosa che è eufemistico
qualificare nei termini della mera sproporzione, rafforzando ulteriormente la ragionevole
presunzione della sua provenienza ed accumulazione da illecito.
Si ribadisce che, infatti, quello che rileva non è solo e tanto il dato finale di sproporzione ma
l’iter di formazione dell’ingente patrimonio accumulato, come sopra tracciato.
Ciò posto, sussistendo i requisiti della disponibilità e della provenienza illecita,
si impone la confisca delle ditte e delle società partecipate dal proposto e dalla
moglie e figli in misura pari al 100% (in tal caso estesa al patrimonio immobiliare
e conti correnti, indicati negli atti di esecuzione del sequestro) e pro quota, nonché
dei beni immobili, mobili e dei rapporti finanziari in sequestro con saldo attivo
superiore ad euro 1000,00 intestati al proposto nonché alla moglie ed ai figli in
relazione ai quali opera la presunzione legislativa di cui all’art. 19, terzo comma,
del D.Lgs. 159/2011.
In ordine alla confisca della quota di partecipazione pari al 44,52% del
proposto nella (omissis) Spa (ammessa alla procedura di concordato preventivo
con decreto del 25-27 marzo 2015 emesso dal Tribunale di Teramo-Sezione
Fallimentare), si osserva che la società detiene quote di partecipazione in varie
altre società del gruppo, e precisamente: quote nominali pari ad € 4.000,00
corrispondenti al 100% del capitale sociale dichiarato della società a responsabilità
limitata (omissis) S.R.L. e quote nominali pari ad € 8.314.956,00 pari al 100% del
capitale sociale della società a responsabilità limitata (omissis) S.R.L (che a sua
volta detiene il 100% delle quote della (omissis) srl e la quota del 50% della
(omissis) srl); quote nominali pari ad € 3.000,00 del capitale sociale della società
a responsabilità limitata (omissis) S.R.L.(pari al 30% del capitale sociale) e quote
7 Si riportano le somme uscite dalla (omissis) e confluite nella (omissis) Spa a titolo di versamento in
conto futuro aumento di capitale e finanziamento soci:
Anno 2001: €. 2.045.169,32 e €. 510.000;
Anno 2002: €. 903.000,00, €. 1.150.000,00, €. 1.650.000,00, €. 1.000.000,00, €. 550.000,00, €. 1.800.000,00.
Anno 2006: €. 1.500.000,00, €. 950.000,00, €. 300.000,00.
152
nominali pari ad € 3.000,00 del capitale sociale dichiarato della società a
responsabilità limitata (omissis) S.R.L..
Ciò premesso, osserva il Collegio che essendo il proposto titolare di una quota
consistente ma comunque minoritaria di partecipazione alla (omissis) Spa, ossia
che non assicura le maggioranze che sulla base delle disposizioni del codice civile
consentono di esercitare il controllo sulla (omissis) Spa, e non essendovi elementi
sulla cui scorta sostenere che (omissis) abbia il controllo di fatto della totalità delle
quote anche a lui non direttamente intestate, non è possibile estendere la confisca
ad una quota parte ( calcolata dall’organo proponente tenendo conto della
percentuale detenuta dal proposto nella controllante) delle quote detenute da
(omissis) Spa nelle società controllate o collegate. Ed infatti, il diritto alla quota,
che ha natura obbligatoria, attiene alla posizione dei singoli soci ed ha ad oggetto,
non una frazione ideale degli elementi attivi del patrimonio sociale (tra cui sono
da ricomprendere le partecipazioni in società controllate e collegate iscritte in
bilancio tra le immobilizzazioni finanziarie e valutate per un importo pari alla
frazione del patrimonio netto risultante dall’ultimo bilancio), ma una percentuale
degli utili di ogni esercizio e l’eventuale eccedenza attiva in caso di liquidazione
((Cass. Pen. n. 668/1994). La titolarità dei diritti relativi alla quota confiscata
consente all’amministratore giudiziario di vigilare sull’andamento dell’azienda,
azionando i rimedi civilistici previsti per la tutela del socio di minoranza.
Non ravvisandosi alcuna convenienza nell’apprensione allo Stato, va
confermato il rigetto della proposta con riferimento alle quote delle seguenti
società, trattandosi di quote di minoranza di società in liquidazione, per le
quali dunque l’apprensione alla procedura appare antieconomica, in quanto
allo stato è presumibile che la partecipazione in forma minoritaria alla fase
di liquidazione produrrebbe costi superiori agli eventuali utili: quota di euro
4.900,00 (e corrispondente porzione del patrimonio aziendale) di proprietà
della (omissis) Srl, detenuta nella (omissis) Srl (Cf.(omissis) ); quota di euro
4.900,00 di proprietà della (omissis) Srl, detenuta nella (omissis) Srl
(Cf.(omissis) ; n. 16 della proposta), in liquidazione; quota di euro 1.700,00 (e
corrispondente porzione del patrimonio aziendale) di proprietà di (omissis)
nonché quota di euro 1.700,00 (e corrispondente porzione del patrimonio
aziendale) di proprietà di (omissis), detenute nella “(omissis) Srl” (Cf.
(omissis); n. 18 della proposta) in Liquidazione.
153
Per la medesima valutazione di difetto di utilità dell’apprensione va rigettata la proposta, e
conseguente disposto il dissequestro:
-della C(omissis) SRL” (P.I. (omissis) ), posta in liquidazione con atto del 30.11.2011 ma
già inoperativa da anni, nel cui patrimonio non risultano beni immobili ma solo beni mobili
registrati privi di valore per vetustà ed un conto corrente presso la filiale della Banca Tercas, di
Teramo con saldo a debito di Euro 152,51 (v. relazione amministratori);
-della quota del 70% intestata al proposto nella “(omissis) SRL” con sede in Gioia Tauro
(RC), P.I. (omissis) , società inattiva e in liquidazione dal 29.7.2013, nel cui patrimonio non
risultano beni immobili e beni mobili registrati;
-della quota di minoranza proprietà della (omissis) SRL, detenuta nella “(omissis) SRL” con
sede in Ravenna (RA), P.I. (omissis), in operativa già all’epoca del sequestro e successivamente
cancellata dal registro imprese;
In ragione della data risalente di immatricolazione e, dunque, dell’assenza di valore di mercato,
va rigettata la proposta e disposto il dissequestro anche dei beni mobili di cui ai punti 1,2,3,4,5 e 6
del decreto di sequestro, disponendo la confisca dei restanti beni mobili registrati indicati in
proposta di più recente immatricolazione e dunque dotati di un apprezzabile valore di mercato.
Motivi di gravame
In relazione al versante patrimoniale della proposta, gli atti di gravame
redatti e la memoria depositata deducono innanzitutto l’opposizione
all’acquisizione della relazione dell’amministratore giudiziario (omissis),
ritenuta arbitraria in quanto il professionista non può essere qualificato né
un perito, né un teste esperto, non avendo prestato il giuramento di rito e non
essendo stato lo scritto del dott. (omissis) oggetto di contraddittorio, peraltro
considerando che il predetto aveva ragioni di inimicizia con il proposto e i
familiari, che più volte lo avevano denunciato. Inoltre, si afferma che le
dichiarazioni dei redditi sono state valutate con approccio privo di
competenze disciplinari e pretendono di capovolgere l’onere probatorio,
atteso che il giudice vorrebbe che si decurtassero le cifre dichiarate, la cui
anomalia dovrebbe essere dimostrata dall’accusa. Perplessità si esprimono
poi in ordine alla asserita distorta lettura della rogatoria che involge la Wave
Investments(omissis), trattandosi di fatti che non lambiscono la persona del
proposto. Si evidenzia poi che il primo giudice ha smentito il suo stesso
perito, dott. (omissis) in relazione alla cui segnalata presenza di agrumeti
nessun accertamento si è ritenuto di disporre. Si contesta, ancòra una volta,
154
l’acquisizione della relazione (omissis) e si segnala la straordinaria capacità
di esaminare oltre 400 ettari di terreno, senza nulla riferire in ordine alla
tempistica di tale accertamento che, si sospetta, sia stato espletato tra la data
del deposito della perizia (omissis) (29 dicembre 2015) ed il 26 gennaio 2016,
data di presentazione dell’elaborato. Si segnala che comunque il dato
dell’esistenza di agrumeti era già noto agli atti, tanto che gli stessi
amministratori giudiziari avevano ottenuto l’autorizzazione al taglio degli
stessi, per la sostituzione con piante di kiwi. In ogni caso il numero delle
piante rilevate dagli amministratori è in contrasto con quanto risulta dal
verbale di constatazione elevato nel 1999 dal Ministero delle Politiche
Agricole, nel quale si dà atto della corrispondenza tra quantità di olio
prodotto e quantitativi di olio venduto; congruità della manodopera
impiegata nella coltivazione dei fondi olivetati e delle spese inerenti
l’impiego delle attrezzature e dei prodotti impiegati per la coltivazione dei
fondi; corrispondenza tra le particelle indicate e quelle riscontrate nel corso
del sopralluogo effettuato. Da ciò emerge quindi, prosegue l’atto di gravame,
che il numero medio delle piante a suo tempo riscontrato è superiore di circa
il 20% rispetto a quello rilevato dagli amministratori circa 17 anni dopo.
Dalla comunicazione dell’AGEA dell’anno 2005 si evince che il numero
medio di piante è pari a 205 per ettaro, a fronte di una concentrazione di solo
140 piante rilevata dai custodi giudiziari.
Si sottolinea altresì che il Tribunale ha disatteso le conclusioni di ben
due periti dallo stesso nominati, in ordine ai costi di manodopera, finendo
per asseverare apoditticamente le conclusioni dell’organo investigativo che
smentisce la stessa risoluzione dell’Agenzia delle Entrate, secondo la quale
gli aiuti comunitari alla produzione di olio di oliva sono da annoverare tra i
ricavi di esercizio. Si contesta poi la scelta di adottare, per il costo della
manodopera, il metodo della sovrapposizione temporale dell’incidenza dei
costi dell’impresa individuale di (omissis), figlio del proposto, affermando
che i guadagni di quest’ultimo sono ottenuti anche attraverso la vendita di
olive e non esclusivamente di olio. Si deduce quindi che l’erroneità nella
determinazione del costo della manodopera ha fatto sì che venissero
indebitamente decurtati i redditi dichiarati dal proposto, in misura di
percentualmente elevata, in violazione dell’art. 24 del codice antimafia, che
prescrive la verifica della relazione reddito-patrimonio, in ragione di quanto
155
dichiarato. Il primo giudice, inoltre, ha omesso di considerare che il fatturato
dell’impresa agricola è influenzato non solo dalla produzione ma anche dagli
anticipi e dagli acconti ricevuti, così come dalla giacenze di olio rilevati a
fine esercizio. Risulta smentito in sede di confisca quanto già ritenuto
all’atto del sequestro: infatti in precedenza si fonda la presunta
sperequazione su un costo esorbitante e non veritiero della manodopera,
laddove con il decreto impugnato si contestano i ricavi riducendoli
sostanzialmente e ribaltando l’onere della prova sul proposto, che si vede
costretto a provare un fatto negativo, in spregio al principio civilistico
secondo cui la contabilità fa fede contro l’imprenditore. L’intero percorso
logico deduttivo è inficiato da presunzioni, non essendo rinvenibili dati certi
cui ancorare le valutazioni probabili, che quindi difettano di attendibilità. La
DIA ha infatti ignorato il dato del costo della manodopera risultante dai
modelli 770 del sostituto d’imposta, già versati in atti.
Si confutano poi specificamente alcuni dati: non si è tenuto conto che per
l’inizio dell’attività lavorativa, avvenuto nel 1981, come da attestazione
della Camera di Commercio, (omissis) riceveva dalla BNL nel 1982 un
finanziamento di circa 123.000,00, sicchè nell’anno 1984 il saldo negativo
di 71.000,00 euro circa, diviene positivo per circa 52.000,00 euro. Sulle
cessione delle quote della (omissis) s.r.l. dal (omissis) in favore di (omissis)
e (omissis) per un ammontare di 816.000,00 euro, si segnala che la
considerazione del Tribunale che asserisce una responsabilità
dell’amministratore che non azioni un credito derivante da un’operazione di
tale portata non tiene conto che trattasi di interessi civilistici e che tale
affermazione non vale in una società a ristretta base familiare, in cui la
legittimazione ad agire compete ai soci o ai creditori eventualmente lesi. In
ogni caso, il primo giudice ha disatteso la stessa affermazione del perito
dott.ssa (omissis), secondo cui non è stata sostenuta negli anni oggetto di
esame contabile la somma di euro 800.000,00 da parte di (omissis) e
(omissis), inserendo il Tribunale la somma di euro 671.720,00 nella
sperequazione. Sulla somma di euro 2.500.000,00 concernenti la cessione di
quote della s.r.l. (omissis), ritiene la difesa non debba accertarsi se si tratti
di somma lecita o meno, ma se la stessa abbia in concreto determinato
“spostamenti patrimoniali” che siano stati causa di indebito arricchimento
del proposto, tali da influenzare la tabella sperequativa dei redditi. I periti e
156
i consulenti che si sono interessati della presente vicenda sono stati concordi
nel ritenere che una somma che “transita” meramente da un conto corrente
a un altro non ha alcun rilievo patrimoniale e reddituale. In ordine poi alla
(omissis) ed ai finanziamenti dei soci attribuiti al proposto nel 2009, la difesa
rileva che, per come si evince dalla copia autenticata del libro giornale
consegnato al perito, il finanziamento in questione non è stato effettuato da
(omissis). Si riportano quindi le considerazioni svolte sul punto dai
consulenti di parte, i quali affermano che i versamenti in questione sono stati
inconfutabilmente eseguìti nel 2003 e nel 2004, dalla (omissis) , sicchè non
può attribuirsi ad (omissis) nel 2009 un’uscita finanziaria mai sostenuta e che
non trova riscontro nella documentazione bancaria e contabile della (omissis)
. In realtà si è trattato di un finanziamento intervenuto nel 2003 e 2004 da
parte del socio (omissis) , erroneamente contabilizzato dalla (omissis) tra i
debiti verso finanziatori, successivamente nel 2008 (in contabilità) e nel
2009 (in una nota integrativa) la (omissis) ha provveduto mediante una
scrittura contabile a girocontare il finanziamento in questione dal conto
debiti verso finanziatori, che conseguentemente è diminuito, a debiti verso
soci che è aumentato. Infine si osserva che ben tre perizie d’ufficio hanno
ricostruito il patrimonio prodotto negli anni da (omissis) , riconoscendone la
liceità.
Con la memoria depositata in atti si richiamano i princìpi statuiti dalla
sentenza di legittimità n, 4880 ric. Spinelli, in relazione all’ambito
cronologico di esplicazione della pericolosità, in rapporto al momento di
acquisizione dei beni. Si contesta l’affermazione del primo giudice secondo
cui la pericolosità sociale del proposto abbraccia l’intero suo percorso
imprenditoriale, sottolineando la contraddittorietà insita nella concessione
della sospensione condizionale della pena concessa nel medesimo contesto
temporale in cui invece il proposto si valuta socialmente pericoloso. Si
rammenta poi che la misura cautelare domiciliare applicata l’8 giugno 1996
ha segnato di fatto un’ulteriore cesura della sociale pericolosità del proposto,
mentre la sentenza assolutoria emessa dal Tribunale di Teramo impone
quantomeno una retrodatazione del momento finale della medesima
pericolosità. Pertanto non possono essere confiscate le acquisizioni
patrimoniali intervenute in una fase cronologica in cui il soggetto non era
pericoloso. In relazione, poi, alla presunzione legislativa di cui all’art. 19
157
comma 3 d.l.vo n. 159/2011, che il Tribunale ha affermato essere operante
con riferimento alla moglie e ai figli del proposto, si osserva che tale asserita
presunzione non trova conferma nella legge ma è frutto dell’elaborazione
giurisprudenziale sviluppatasi sul precedente art. 2 bis comma 3 l. n 575/65,
in ogni caso detta presunzione non ha avuto nella stessa giurisprudenza un
riconoscimento pacifico, inoltre è stata utilizzata pressocchè soltanto in
procedimenti di prevenzione riguardanti gli indiziati di appartenere alle
associazioni mafiose e risulta superata dalla giurisprudenza più recente, che
ha preso atto dell’introduzione del comma 14 all’art. 2 ter della l. n. 575/65.
La stessa giurisprudenza citata dal Tribunale si esprime nel senso di
riconoscere l’esistenza attuale della sola presunzione testè citata, ora trasfusa
nell’art. 26 comma 2 d. lgs. 159/2011. Il primo giudice non avrebbe potuto
quindi operare un’inversione dell’onere della prova a carico della moglie e
dei figli del proposto, i cui beni quindi devono essere esclusi dall’ablazione.
Si richiamano poi integralmente le note tecniche integrative a firma dei
consulenti di parte (omissis).
Nell’interesse di (omissis), si deduce che egli ha avviato la sua attività
nel 2005, stipulando un contratto di affitto nel 2006, che lo autorizzava ad
apportare tutte le modifiche necessarie al fondo, potendo beneficiare delle
iniziative previste dalle norme comunitarie. All’atto dell’inizio dell’attività
(omissis) ha ricevuto in donazione da parte dello zio (omissis) e del nonno
((omissis) ) i titoli abilitanti agli aiuti comunitari. Si indicano i redditi
conseguìti negli anni da (omissis), anche considerando i costi per la
manodopera, concludendo per la presenza di un utile di circa 3 milioni di
euro. Si riportano altresì gli investimenti effettuati dall’appellante attraverso
la costituzione di nuove società o l’acquisto di quote di società già esistenti.
Si conclude quindi evidenziando che (omissis) non ha avviato la propria
attività per il tramite del proprio genitore, (omissis) , proposto, non ha avuto
alcun rapporto economico con lo stesso, mantenendo la propria opera
autonoma e distinta da quella del padre.
Per quanto attiene a (omissis) e (omissis), rispettivamente figlio e moglie
del proposto, l’atto di gravame rileva la duplice carenza di indagine in merito
alla disponibilità dei beni in capo al proposto, nonché in ordine all’incapacità
economica dei terzi intestatari di potere acquisire il bene stesso. Si segnala
altresì l’omessa determinazione del momento temporale in cui si sono
158
verificate le operazioni economiche che hanno legato il ricorrente al
proposto. Non risulta alcun elemento che consenta di rivelare un rapporto
tra il proposto e il terzo, tale da dimostrare che il proposto sia in grado di
esercitare un potere di fatto sul bene, in vece del formale titolare del diritto.
Non è sufficiente la presunzione fondata sul rapporto familiare, laddove le
risultanze peritali dimostrano una sostanziale distinzione di attività in capo
ai terzi, rispetto all’operato del proposto. L’onere della prova grava
sull’organo proponente, una diversa lettura dell’impianto normativo
violerebbe i princìpi costituzionali. Per quanto attiene ad (omissis), non si è
tenuto conto che i beni allo stesso intestati trovano ampia e lecita
giustificazione nell’operato dello stesso che da giovanissimo ha seguìto le
orme familiari, avviando una propria azienda agricola, con inizio attività nel
2006, con sede in Giulianova (TE), iscritta quale impresa agricola alla
CCIAA di Teramo, a seguito di trasferimento da quella di Reggio Calabria,
nel 2011. (omissis) ha avviato l’attività mediante la stipula di un contratto di
affitto nel 2006, ricevendo in donazione dal padre i titoli abilitativi agli aiuti
comunitari, da quel momento la su attività è proseguìta in modo autonomo,
effettuando investimenti con i proventi della sua attività agricola,
investimenti peraltro di carattere modesto, non elevati a sospetto neanche
dall’organo proponente. Analoghe doglianze, afferma l’atto di gravame,
devono essere intese anche in relazione alla posizione della (omissis).
Valutazioni della Corte
Ritiene la Corte che debba essere integralmente condivisa la valutazione
del primo giudice, anche in relazione al versante patrimoniale della proposta
in esame. Invero, si osserva innanzitutto che il giudizio di sociale
pericolosità per come espresso e sopra argomentato connota di ricadute per
così dire inevitabili la valutazione in ordine alla confisca dei beni disposta
dal Tribunale. Infatti, se è vero che la pericolosità sociale
dell’Oliveri(omissis) si è manifestata proprio attraverso la costante attività
delittuosa produttiva di proventi economici illeciti, dallo stesso espletata
nell’ambito della sua attività imprenditoriale, è del tutto conseguenziale che
quanto finanziariamente lucrato mediante quell’attività fraudolenta (sia in
termini di risparmio e quindi di evasione di imposta, con le note statuizioni
di legittimità sul punto, sia in termini di pura e semplice illegittima esazione
159
di agevolazioni comunitarie) è stato immesso nel circuito produttivo della
costellazione di aziende che costituivano l’universo imprenditoriale degli
(omissis), facendo sì che si attivasse quel meccanismo moltiplicatore che
consente una crescita esponenziale dell’impresa, che altrimenti non avrebbe
raggiunto quelle dimensioni notevoli che invece ha potuto conseguire. In
sostanza quindi la pericolosità si identifica e coincide con l’attività delittuosa
posta in essere nella conduzione delle imprese riconducibili al proposto, non
costtuisce quindi una condotta estranea e diversa ad essa, sicchè è
immanente nella reddittività che quelle imprese hanno generato e che quindi
rendono geneticamente illecito ex se il prodotto della loro attività, ossia le
risorse finanziarie derivanti da quelle imprese che si sono giovate delle
attività delittuose poste in essere. Sostanzialmente quindi le imprese del
proposto ed i beni ad esse direttamente o indirettamente collegabili, in
quanto si sono giovati dell’apporto delle prime, costituiscono lo strumento
mediante il quale (omissis) ha posto in essere le condotte illecite via via
emerse nel corso degli anni. E’ ben vero che la sentenza di legittimità n.
4880/2015 richiede che la pericolosità, in specie generica, debba essere
temporalmente delimitata, sicchè solo quei beni acquisiti all’interno del suo
perimetro possono formare oggetto di confisca, tuttavia, nella fattispecie in
esame, posto che la sociale pericolosità del proposto ha investito l’intero suo
percorso esistenziale, per come correttamente ritenuto dal Tribunale, alla
luce del coinvolgimento dell’(omissis) nei processi penali sopra riportati,
che lo hanno visto interessato sin dalle origini della sua storia
imprenditoriale e si è caratterizzato proprio nell’ambito di detta attività, è
evidente che non può operarsi alcuna distinzione, sotto tale profilo, tra
acquisizioni lecite e non, atteso che i beni oggetto di confisca ricadono tutti
nell’arco temporale nel quale il soggetto ha manifestato la sua pericolosità.
Da sottolineare la particolare valenza della circostanza per cui, da un volume
di affari sostanzialmente nullo ravvisabile negli anni 1978/1983, si passa ad
un’esplosione delle imprese del proposto a partire dal 1984, ossia proprio
dal periodo in cui iniziano le condotte di false fatturazioni sopra rammentate
e la significatività di tale dato è immediatamente percepibile.
Peraltro, devesi ancòra evidenziare, che consistendo i beni confiscati
nelle diverse società riconducibili al proposto ed ai suoi congiunti, i beni
medesimi devono essere considerati intrinsecamente illeciti, in quanto
160
sviluppatisi mediante il ricorso alle attività delittuose di cui più volte si è
detto, sicchè, non può distinguersi, per evidenti ragioni di ordine tecnico-
aziendale, tra componenti sane e componenti inquinate dell’impresa, posto
che una volta immesso nel circuito economico produttivo il quantum di
provento illecito, si verifica una commistione di capitali non separabili e la
“quota” illecita apportata fa sì che, mediante l’effetto moltiplicatore di cui si
è detto, l’impresa si espanda in misura esponenziale, talchè l’inquinamento
provocato dai capitali illeciti immessi non può che essere travolgente e
omnipervasivo, facendo assumere connotazioni di illiceità derivata all’intero
complesso aziendale.
Ciò posto, atteso che la quasi totalità dei beni confiscati è costituita dalle
imprese e dal patrimonio aziendale delle medesime o comunque da beni ad
esse immediatamente ricollegabili, essendo come detto tali beni illeciti ex
se, in quanto geneticamente inquinati nella loro origine e nel loro sviluppo,
la Corte ritiene non in linea con tale premessa un’indagine che miri ad
accertare la proporzione o meno delle risorse in capo al proposto. Si
ribadisce, su un patrimonio illecitamente prodotto, per le ragioni
ampiamente argomentate, non può fondarsi un accertamento di congruità di
risorse che si rivela intrinsecamente fallace, perché basato su presupposti
non veritieri. Ritiene la Corte infatti che non possa metodologicamente
condividersi un accertamento che miri a verificare se il proposto avesse o
meno la disponibilità economica per effettuare le acquisizioni patrimoniali
oggetto di esame, una volta acclarato che l’iter di formazione di quel reddito
è viziato in sé, talchè detta illiceità originaria trascina con sé ogni successiva
derivazione che da essa promani. E’ chiaro infatti che un giudizio di
proporzione reddituale non può prescindere dalla liceità
dell’acquisizione delle grandezze che si considerano quale termine di
paragone, viceversa risultando non corretta un’indagine basata su
presupposti contrari all’ordinamento. A nulla varrebbe infatti tentare di
estendere la provvista finanziaria di cui poteva disporre il proposto e si suoi
più stretti congiunti se tali risorse provengono da imprese intrinsecamente
illecite perché inquinate nel loro percorso produttivo, tenuto conto peraltro
che le acquisizioni patrimoniali che si vuole sottrarre alla confisca sono
costituite per la massima parte da quelle imprese (e beni ad essa
riconducibili) che si sono formate e sviluppate con l’attività delittuosa di cui
161
si è detto. Per come correttamente evidenziato dal Tribunale, infatti, la
totalità dei redditi provengono da fonti relative all’attività imprenditoriale e,
analogamente, i beni ablati non sono estranei a tale attività e in ogni caso
sono stati acquisiti con le risorse prodotte da quell’attività delittuosa di cui
si è ripetutamente detto. Risulta pertanto evidente l’irrilevanza dimostrativa
di un accertamento che miri ad espandere la piattaforma di risorse
finanziarie, in difetto della dimostrazione della lecita provenienza delle
disponibilità medesime.
Ad ogni buon conto, qualora si dovesse ritenere comunque di dovere
esaminare l’ulteriore requisito della sproporzione fra risorse finanziarie e
acquisizioni patrimoniali riconducibili ad (omissis), rileva la Corte che
pienamente condivisibile si appalesa il percorso argomentativo svolto dal
primo giudice e contestato dalla difesa. In particolare, in relazione ai motivi
di gravame, si osserva che infondate appaiono le deduzioni difensive in
ordine alla lamentata acquisizione della relazione dell’amministrazione
giudiziario dr. (omissis), provvedimento che risulta adottato nel corso
dell’udienza di primo grado e quindi in contraddittorio delle parti che sono
state poste in condizioni di interloquire sul punto. Né sussistono divieti
all’utilizzazione probatoria della relazione citata, che può legittimamente
concorrere, al pari delle risultanze peritali, alla formazione del
convincimento del decidente, salve, naturalmente, le deduzioni nel merito
della valenza dimostrativa delle affermazioni del citato amministratore. In
ordine a tale profilo, la Corte concorda con il Tribunale che ha rilevato la
maggiore affidabilità delle affermazioni rese dal dott. (omissis) , rispetto a
quanto opinato dai due periti nominati dal primo giudici, (omissis) , che,
richiamando quanto esaustivamente esposto nel decreto impugnato,
appaiono avere raggiuto conclusioni dotate di minore concretezza rispetto a
quanto accertato dall’amministratore, in quanto basate su deduzioni e dati
documentali, anziché sull’osservazione diretta che l’amministratore ha
potuto avere, in virtù del ruolo rivestito. Né sono idonee a smentire tale
assunto le certificazioni AGEA ed il verbale di constatazione redatto dal
Ministero delle Politiche Agricole, risalenti al 1999, quindi ad epoca
alquanto precedente al tempo verificato dall’amministratore che ben avrebbe
potuto rinvenire una situazione mutata nel tempo. Quanto, specificamente
alla documentazione AGEA e ministeriale, allegata all’atto di gravame, dalla
162
lettura della stessa si rileva che trattasi per lo più di verifiche a carattere
documentale, basate su dati per come rappresentati dalla stessa parte
interessata, tant’è che in conclusione del processo verbale di constatazione
(fl7) si precisa che “il controllo ha preso in esame soltanto l’aspetto cartolare
riguardante le operazioni inerenti la campagna olearia 1995/96, senza
entrare nel merito di riscontri approfonditi e sostanziali tipici di una verifica
fiscale a carattere generale”, quindi sostanzialmente si è trattato di
accertamenti aventi carattere formale. Anche il sopralluogo eseguìto sui
fondi di Melicuccà e Gioia Tauro, di cui si dà atto a fl.6, appare essere
caratterizzato da un controllo a carattere generale sulle complessive
caratteristiche dei fondi. Si conclude quindi, a pag. 8 “…..avendo raggiunto
il ragionevole convincimento sulla realtà delle stesse operazioni, si conclude
senza alcun rilievo nei confronti della ditta controllata”. Ma, se si pone
mente all’humus di illiceità emerso nei numerosi procedimenti penali che
hanno visto interessato l’(omissis) anche in detto settore di attività, non può
considerarsi tale impresa estranea alle condotte fraudolente che hanno visto
interessato il proposto, soprattutto qualora si pensi che, per come è dato
leggere nel processo verbale di constatazione in questione, tra la
documentazione esaminata dal funzionario del Ministero delle Politiche
Agricole vi sono anche fatture emesse dalla (omissis) nei confronti
dell’azienda agricola (omissis) , e si è già detto sopra delle irregolarità emerse
anche in relazione alla (omissis) , anch’essa società riconducibile ad (omissis) ,
sicchè anche sotto tale profilo può apprezzarsi l’attendibilità tutt’altro che
assoluta della documentazione allegata. Aggiungasi poi che nella memoria
dei consulenti di parte ad integrazione della perizia redatta dalla dott.ssa
Tripodi l’8.1.2016, si legge che la DIA ha affermato di non disporre dei dati
inerenti il volume d’affari ed i redditi dichiarati dal proposto e dai sui
familiari per il periodo 1978-1985, per quanto concerne l’impresa agricola,
tuttavia neanche la difesa, per espressa affermazione contenuta in memoria,
dispone di tali dati e oltre parla di “dati presuntivi del costo complessivo
della gestione dell’impresa agricola”, nonché di “presunto volume d’affari”.
Quanto al finanziamento di euro 123.000,00 circa che (omissis) avrebbe
ottenuto per l’inizio della propria attività nell’anno 1984, il dato,
quand’anche sussistente, appare inidoneo ad inficiare la valutazione operata
163
dal primo giudice, sicchè del tutto ragionevolmente, di esso non si è tenuto
conto da parte del Tribunale nella tabella sperequativa.
Quanto poi, alla cessione di quote dalla (omissis) s.r.l. in favore di (omissis) e
(omissis) per un ammontare di euro 816.000,00, rilevasi, del tutto
concordemente con la valutazione del Tribunale, che tale operazione,
sebbene intervenuta tra soggetti legati da stretti vincoli familiari, non può
considerarsi un’elargizione gratuita, posto che comunque devono essere
osservate le norme societarie che impongono il rispetto di regole in materia,
al fine di tutelare i diritti dei soci e dei terzi che con la società si relazionano
per ragioni economiche, sicchè è altrettanto evidente che anche
un’acquisizione così operata comporta un incamerare di risorse illecito,
perché compiuto in violazione della normativa societaria. Analoghe
considerazioni valgono per gli “spostamenti patrimoniali” che hanno
interessato la s.r.l. (omissis) . Innanzitutto deve sempre tenersi conto della
provenienza originaria della somma in questione, per come puntualmente
ricostruita nel decreto impugnato, con l’ausilio della consulenza (omissis) e
comunque, si ribadisce, la normativa societaria non consente di operare
indifferentemente trasferimenti di somme da una società all’altra, senza che
ciò comporti alcuna conseguenza, come sostiene la difesa. Ammettere una
tale possibilità (addirittura prescindendo, come sostenuto nell’atto di
gravame, dalla liceità o meno della fonte della somma in questione!), anche
in caso di coincidenza di socio di stretti rapporti familiari tra di loro,
significherebbe infatti porre nel nulla il diritto societario, in quanto sarebbe
del tutto contrastante con le precise e specifiche regole, anche di carattere
fiscale, che governano le società e vanificherebbe la stessa esistenza di
queste e l’autonomia patrimoniale che le caratterizza, facendo sì che
rimangano senza tutela alcuna, come detto, i soci e i terzi che con tutta
evidenza devono poter contare sulla trasparenza delle operazioni
economiche eseguìte. In ogni caso, se si conviene sull’assenza di
“spostamenti patrimoniali” nella fattispecie, si deve conseguentemente
negare che tali operazioni abbiano prodotto disponibilità finanziaria
ulteriore, con tutto ciò che tale conclusione comporta, in relazione alla
capacità finanziaria del proposto.
In relazione poi alla vicenda (omissis) -(omissis), premessa la
ricostruzione effettuata nel decreto impugnato, rilevasi, innanzitutto che non
164
può condividersi l’assunto difensivo secondo cui l’operazione non lambisce
in alcun modo la persona dell’(omissis). Si dimentica infatti che i rapporti
hanno interessato due società entrambe riconducibili al proposto, per le
ragioni ampiamente evidenziate nel decreto impugnato, inoltre lo stesso
motivo di gravame ammette l’esistenza di un’irregolarità, sia pure addebitata
ad un’erronea contabilizzazione da parte della (omissis). In ogni caso, per
come già precisato sul punto dal primo giudice, l’obiezione difensiva è stata
già valutata dallo stesso c.t.u. (omissis) , che, in difetto di riscontri
documentali certi alle asserzioni difensive, correttamente ne escludeva la
fondatezza, conclusioni alle quali la Corte ritiene di aderire, per le medesime
ragioni diffusamente esplicitate dal Tribunale, alle quali si opera integrale
rinvio. Le considerazioni fin qui svolte devono intendersi riferite altresì alle
note integrative a firma dei consulenti Femia e Schiavone, con le quali si
ribadiscono le doglianze difensive già esaminate, richiamando le sentenze
del Tribunale di Teramo e della Corte dei Conti, il finanziamento che
sarebbe stato ottenuto da (omissis) all’inizio della sua attività, tutti temi sui
quali ci si già soffermati in precedenza. Anche in relazione ai redditi che
(omissis) avrebbe prodotto dal 1981 al 1984, che il primo giudice avrebbe
omesso di considerare nella tabella sperequativa, rilevasi che la stessa nota
dei consulenti, a pag. 4, afferma apoditticamente che il Tribunale “ha omesso
di considerare (stante la concordanza grave e precisa degli indizi) la
possibile esistenza di redditi per gli anni dal 1981 al 1984). Il grado di
attendibilità di una tale generica e indimostrata affermazione è del tutto
evidente, fatta salva comunque la sua rilevanza, alla luce della complessiva
situazione patrimoniale del proposto. Si contesta altresì la mancata
valutazione da parte del Tribunale dei redditi prodotti dall’attività agricola
di (omissis) e dei figli, per come dichiarati dal proposto, basata su un sospetto
di fittizietà delle fatturazioni, ma su tale profilo non possono che essere
richiamate le approfondite considerazioni che diffusamente sono state svolte
nell’incipit del versante patrimoniale della presente trattazione. I consulenti
lamentano quindi un’indebita riduzione dei ricavi, anche in relazione
all’attività dell’azienda agricola, richiamando le valutazioni dei tre periti
d’ufficio con le conseguenti ricadute sulla tabella sperequativa e
confrontandole con quanto risultante dalle valutazioni dell’organo
proponente. Concludono redigendo due diverse tabelle sperequative, a
165
seconda che si tenga conto dei rilievi del perito Tassone o meno. Sul punto
rileva la Corte che, ferme restando le premesse sopra esposte, in ordine alla
natura intrinsecamente illecita delle risorse economiche dell’(omissis) , gli
stessi consulenti di parte registrano un saldo negativo dei redditi negli anni
1978-79-80 ed un saldo positivo di soli euro 4.540,22 nel 1981, verificandosi
poi un’esplosione di disponibilità a cominciare dal 1981, ossia proprio
dall’anno in cui, come correttamente evidenziato dal Tribunale, comincia
l’odissea giudiziaria che ha costellato l’intero sviluppo imprenditoriale del
proposto e che consente di passare da un saldo di 100.00,00 euro circa nel
1982, ad un saldo di 855.000, euro circa nel 1987, fino a giungere a cifre
nell’ordine di qualche milione di euro a partire dall’inizio degli anni ’90 e
oltre, arrivando infine ai 6 milioni di euro dell’anno 2011. Tali cifre danno
la reale contezza dell’evoluzione inquinata che ha caratterizzato il percorso
imprenditoriale dell’(omissis) e costituisce dato di estrema significazione,
poiché dimostra ulteriormente la valenza delle considerazioni svolte dal
primo giudice e condivise da questa Corte, con tutte le conseguenze che tale
stato di fatto comporta. Rilevasi infine che anche qualora si volesse aderire
alla misura dei saldi positivi calcolati dai consulenti di parte, comunque
anche le cifre che ammontano (6.000.000,00 di euro circa) ravvisata nel
2011, ove si ritenessero di provenienza lecita, non sarebbero idonea a
giustificare l’enorme patrimonio che ammonta a svariati milioni di euro,
immediatamente percepibile dalla sola elencazione dei beni confiscati.
Passando quindi all’esame dei motivi di gravame proposti nell’interesse di
(omissis) , rilevasi innanzitutto, sotto il profilo della ritenuta disponibilità in
capo al proposto dei beni intestati ai congiunti, terzi, che Cass. Pen n. 17743
del 7.3.2014 ha così statuito: “In tema di sequestro e confisca di prevenzione,
il rapporto esistente tra il proposto e il coniuge, i figli e gli altri conviventi
costituisce, pur al di fuori dei casi delle specifiche presunzioni di cui all'art.
2 ter, comma 13, legge n. 575 del 1965 (ora art. 26, comma secondo, D.Lgs.
n. 159 del 2011), circostanza di fatto significativa della fittizietà della
intestazione di beni dei quali il proposto non può dimostrare la lecita
provenienza, quando il terzo familiare convivente, che risulta finalmente
titolare dei cespiti, è sprovvisto di effettiva capacità economica”. Ancòra
166
Cass Sez. 5, n. 8922 del 26/10/2015 ha statuito che “in materia di misure di
prevenzione patrimoniali, il sequestro e la confisca possono avere ad
oggetto i beni del coniuge, dei figli e degli altri conviventi, dovendosi
ritenere la sussistenza di una presunzione di "disponibilità" di tali beni da
parte del prevenuto - senza necessità di specifici accertamenti - in assenza
di elementi contrari”.
Alla luce di tali insegnamenti di legittimità, la fittizietà delle formali
intestazioni a stretti congiunti del proposto è correttamente dimostrata
dall’assenza e/o dall’esiguità dei redditi goduti dai terzi, tali da non
giustificare le acquisizioni patrimoniali formalmente ad essi riconducibili,
oltrechè dall’illiceità delle risorse che originariamente detti soggetti hanno
utilizzato per avviare le loro attività. In particolare, Detta evenienza si
ravvisa, per l’appunto, nella fattispecie in esame, laddove alcuno dei
congiunti dell’(omissis) ha dimostrato di avere percepito entrate lecite
diverse da quelle connesse alle imprese olearie, risorse che soffrono quindi
della medesima illiceità derivata di cui si è ampiamente detto. Invero, quanto
alla (omissis), la stessa non può vantare un’attività propria ma risulta
esclusivamente intestataria di titoli concernenti il diritto alla percezione di
aiuti comunitari, quindi di beni costituenti una chiara derivazione
dell’attività illecita posta in essere dal marito, addirittura di beni che può
dirsi costituiscono essi stessi l’immediato provento dell’attività delittuosa
posta in essere dal proposto, con riferimento ai quali la fittizietà
dell’intestazione in capo ai più stretti congiunti, alla luce di quanto sin qui
esposto, assume indubbiamente caratteri di assoluta evidenza che appare
assai arduo contestare.
Per (omissis), poi, la circostanza che egli abbia beneficiato, per l’inizio della
sua attività dei titoli donatigli dallo zio e dal nonno, entrambi parte attiva di
quella complessa e sistematica strategia fraudolenta portata avanti dai
167
componenti della famiglia (omissis), comporta analogamente che anche nei
suoi confronti debba ritenersi inequivocamente e con certezza acclarata una
originaria utilizzazione di risorse illecite che, a cascata, ha inquinato tutte
le successive derivazioni patrimoniali allo stesso riconducibili. Senza
contare poi che anche (omissis) deve considerarsi soggetto che ha preso
parte concretamente all’attività delittuosa connessa alle imprese di famiglia,
per come dimostrato dalle imputazioni elevate anche nei suoi confronti da
ultimo nel processo penale celebrato a Teramo. Anche per tale appellante
quindi di nessun pregio appare accertare le utilità percepite dalle imprese
che costituiscono la diretta promanazione dell’agire delittuoso dei familiari
e che pertanto sono intrinsecamente illecite anch’esse. Anche in relazione
ad (omissis) devono essere sviluppate considerazioni esattamente
sovrapponibili a quelle sin qui svolte. Egli, al pari del fratello, non si limite
ad essere meramente formale intestatario dei beni in questione, ma partecipa
attivamente alla condotta delittuosa fraudolenta che accomuna numerosi
appartenenti alla famiglia, sicchè la sua attività imprenditoriale è in realtà
riconducibile a quella dell’intera famiglia e costituisce parte integrante della
galassia di imprese in cui ha operato il gruppo (omissis). Non si ravvisa
pertanto quella distinzione asserita dalla difesa ed il dato parentale, nella
fattispecie in esame, non si manifesta quale mera connotazione formale ma
costituisce il collante concreto che ha unito le condotte di tutti i congiunti
impegnati in attività che non sono soltanto della medesima natura ma
appaiono collegate tra loro con un sostanziale legame che le rende
espressione di un’unica realtà imprenditoriale. Pertanto è consentito
affermare che non si tratta di una conclusione di carattere meramente
presuntivo, ma di una necessaria deduzione e conseguenza alla luce di
quanto plasticamente emerso dalla presente indagine. Peraltro, (omissis)
avvia la sua attività proprio con l’ausilio dei titoli donatogli dal padre che li
aveva acquisiti mediante l’attività illecita di cui più volte si è detto. Nessun
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dubbio quindi che tale origine viziata abbia inquinato anche la prosecuzione
dell’attività dallo stesso posta in essere.
Per concludere, quindi, il decreto impugnato si presenta immune da censure
e merita integrale conferma, anche sotto il versante patrimoniale, alla luce
della massiccia e continua attività delittuosa posta in essere dal proposto.
Risulta conseguentemente pienamente legittima la confisca generalizzata
operata dal primo giudice, in quanto ancorata all’intero periodo di
manifestazione della pericolosità sociale dell’odierno appellante, anche
perché derivante, come detto, senza alcuna possibilità di discrimine, da un
riciclo di risorse illecite incrementatesi nel tempo ed esse stesse al contempo
costituenti frutto e nuovo reimpiego di quelle successive.
P.Q.M.
La Corte d’Appello di Reggio Calabria-Sezione Misure di Prevenzione-
conferma il decreto del Tribunale di Reggio Calabria-Sezione Misure di
Prevenzione, emesso in data 29.1.2016 nei confronti di (omissis) e dagli stessi
appellato.
Reggio Calabria 28 aprile 2017 Il Presidente Il Cons. est.
Indice
Decreto impugnato pag. 1
Motivi di gravame pag. 67
Valutazioni della Corte pag. 77