EUTANASIA - Rivista di diritto penale · 2018-12-09 · EUTANASIA E DIRITTO PENALE 1. La dignità...

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G. GIAPPICHELLI EDITORE – TORINO Itinerari di Diritto P enale Collana diretta da G. Fiandaca - E. Musco - T. Padovani - F. Palazzo MARIA BEATRICE MAGRO EUTANASIA E DIRITTO PENALE

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G. GIAPPICHELLI EDITORE – TORINO

Itinerari di Diritto PenaleCollana diretta da

G. Fiandaca - E. Musco - T. Padovani - F. Palazzo

ISBN 88-348-1145-3

€ 25,82

MARIA BEATRICE MAGRO

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Itinerari di Diritto PenaleCollana diretta da

Giovanni Fiandaca - Enzo Musco - Tullio Padovani - Francesco Palazzo

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Dove va il diritto penale, quali sono i suoi itinerari attuali e le sue prevedibili prospettive di sviluppo? Ipertrofia e diritto penale minimo, affermazione simbolica di valori ed efficienza utilitaristica, garantismo individuale e funzionalizzazione politico-criminale nella lotta alle forme di criminalità sistemica, personalismo ed esigenze collettive, sono soltanto alcune delle grandi alternative che l’attuale diritto penale della transizione si trova, oggi più di ieri, a dover affrontare e bilanciare.

Senza contare il riproporsi delle tematiche fondamentali rela-tive ai presupposti soggettivi della responsabilità penale, di cui appare necessario un ripensamento in una prospettiva integrata tra dogmatica e scienze empirico-sociali.

Gli itinerari della prassi divergono peraltro sempre più da quelli della dogmatica, prospettando un diritto penale “reale” che non è più neppure pallida eco del diritto penale iscritto nei principi e nella legge. Anche su questa frattura occorre interrogarsi, per analizzarne le cause e prospettarne i rimedi.

La collana intende raccogliere saggi e studi che, nella consa-pevolezza di fondo di questa necessaria ricerca di nuove identità del diritto penale, si propongano percorsi realistici di analisi, aperti anche ad approcci interdisciplinari.

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MARIA BEATRICE MAGRO

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EUTANASIAE DIRITTO PENALE

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Il presente lavoro è stato pubblicato con il contributo del CNR.

Composizione: Compograf – Torino

Stampa: Stampatre s.r.l. – Torino

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a mio padre

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VI Eutanasia e diritto penale

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INDICE

Nota introduttiva

PARTE I

CAPITOLO I

EUTANASIA E DIRITTO PENALE

1. La dignità umana nell’antropologia moderna e nell’ordinamentogiuridico

2. Il problema dell’eutanasia tra agnosticismo e repressione3. Il paradosso dell’eutanasia4. Nuovi profili di tutela penale della vita umana5. Gli obblighi di solidarietà e la c.d. tutela da se stessi

PARTE II

CAPITOLO I

LA LIBERTA DI DISPORRE DEL CORPO

1. Il pluralismo etico-ideologico e il personalismo come contestoculturale e valore normativo

2. Il problema della legittimità degli atti autolesionisti nella discus-sione sull’eutanasia

3. I limiti alla libertà di autodeterminazione. La dignità umana co-me limite generale agli atti dispositivi autolesionisti (art. 32, se-condo comma, Cost.)

4. Riflessioni critiche sulla ricostruzione della libertà funzionalizza-ta e degli obblighi di solidarietà. Esiste il diritto a morire o al sui-cidio?

Indice VII

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CAPITOLO II

IL DIVIETO DEGLI ATTI DISPOSITIVI LESIVIDELL’INTEGRITA FISICA

1. Il principio generale contenuto nell’art. 5 c.c.2. La classificazione dei diritti disponibili e indisponibili. Le ragio-

ni dell’indisponibilità dei beni personali3. Il significato del concetto di «indisponibilità» nei diritti della per-

sonalità. A) Indisponibilità come caratteristica strutturale dei di-ritti della persona. B) Indisponibilità come limite alla facoltà digodimento del diritto

4. Dal divieto alla libertà di disposizione: l’inidoneità della «dispo-nibilità» a fornire indicazioni univoche

5. L’interpretazione evolutiva dell’art. 5 c.c. La rilevanza del divietonell’ambito dei soli rapporti negoziali

6. I rapporti tra consenso dell’avente diritto e divieto di atti dispositivilesivi. Una premessa sulla libertà di disporre della tutela giuridica

7. La limitata efficacia euristica dell’art. 5 c.c. e la costruzione logi-co-giuridica del rapporto tra norma penale di favore e norma didivieto

PARTE III

CAPITOLO I

LA DEFINIZIONE DELL’EUTANASIA

1. Un tentativo di definizione dell’eutanasia2. L’eutanasia come atto terapeutico3. L’eutanasia tra divieto di accanimento terapeutico e definizione

normativa di morte4. Segue: l’accanimento terapeutico

CAPITOLO II

I TESTAMENTI DI VITA E LA VOLONTA DEL PAZIENTE

1. Il fondamento di giustificazione morale dell’eutanasia: l’autono-mia del paziente

2. Segue: i testamenti di vita3. Il procedimento di ricostruzione della volontà presunta del pa-

ziente ed il giudizio sostitutivo del terzo4. La liceità del trattamento medico quando l’esito è sicuramente

«infausto»5. Il consenso del paziente al trattamento medico

VIII Eutanasia e diritto penale

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Indice IX

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CAPITOLO III

L’EUTANASIA ATTIVA E PASSIVA

1. La problematicità della differenziazione tra atti ed omissioni:l’eutanasia attiva e passiva

2. Recenti orientamenti giurisprudenziali in tema di responsabilitàdel sanitario qualora vi sia stata un’anticipazione della morte

3. La condotta omissiva del medico: i casi di astensione terapeutica4. L’eutanasia passiva: l’interruzione di una serie causale di salva-

taggio5. La responsabilità penale per l’ipotesi attiva: la somministrazione

di terapie del dolore6. Dal rifiuto di cura al diritto alla morte. La rilevanza della volontà

del paziente nell’eutanasia attiva e passiva

CAPITOLO IV

L’EUTANASIA INVOLONTARIA

1. L’eutanasia passiva involontaria o unilaterale: i mezzi ordinari estraordinari di cura e il criterio della proporzionalità

2. Segue: il «senso della vita» e la «perdita irreversibile della co-scienza»

3. La distinzione secondo l’intenzione dell’agente: l’eutanasia (attivao passiva) indiretta e diretta

PARTE IV

CAPITOLO I

SUICIDIO E ISTIGAZIONE AL SUICIDIO

1. L’istigazione o aiuto al suicidio e l’omicidio del consenziente2. Il suicidio nella tradizione giuridica3. Il problema della liceità del suicidio. La tesi della tipicità implici-

ta e dell’antigiuridicità per violazione degli obblighi di solidarietà4. Alle radici della tutela della vita umana: la libertà di morire5. Le ragioni a fondamento dell’incriminazione della partecipazione

al suicidio6. L’idoneità ad interferire nel processo motivazionale del suicida

nelle condotte di determinazione e rafforzamento. L’agevolazione7. La presunta incostituzionalità delle leggi che vietano l’assistenza

al suicidio negli Stati Uniti: una svolta nel dibattito sull’eutana-sia?

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CAPITOLO II

OMICIDIO DEL CONSENZIENTE E AUTODETERMINAZIONE

1. La rilevanza del consenso della vittima nel delitto di omicidio delconsenziente

2. La liceità delle condotte che accedono al suicidio: l’esempio delcodice penale tedesco

CAPITOLO III

LA REGOLAMENTAZIONE DELL’EUTANASIA

1. I modelli di regolazione dell’eutanasia2. Il pericolo dei c.d. passi successivi3. Il modello giudiziario: l’eutanasia passiva negli Stati Uniti e nel

Regno Unito4. Il modello legislativo: il progetto alternativo di riforma del codice

penale tedesco 5. Il modello misto: l’eutanasia in Olanda6. Gli esiti dell’indagine: il modello della giustificazione procedi-

mentale

BIBLIOGRAFIA

X Eutanasia e diritto penale

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NOTA INTRODUTTIVA

Affrontando il tema dell’eutanasia e delle sue pratiche in ambitomedico, ci si imbatte in un interrogativo che scavalca i tracciati dellapura descrizione ed osservazione del diritto vigente. La questione difondo riguarda la collocazione giuridica degli atti dispositivi del pro-prio corpo, ed in particolare la valutazione di quelli che appaiono con-trastare l’istinto, comune ad ogni individuo, di preservazione di sestessi, perché «autolesionisti», cioè svantaggiosi nei confronti dellostesso disponente. La tematica necessiterebbe di precisazioni a causadel problema epistemologico legato al progressivo ridimensionamen-to di cosa possa intendersi «autolesionista», in relazione all’incessan-te sviluppo delle tecniche mediche e all’affermarsi di modelli cultura-li disomogenei. Ma l’aspetto di maggiore impellenza si coglie per ilfatto che il tema della «tutela da se stessi» non investe solo le ipotesidi pregiudizio arrecato dalle determinazioni provenienti dallo stessosoggetto destinatario della tutela realizzate su se stesso, ma riguardauna vasta gamma di situazioni in cui la realizzazione di tale volontà,per svariate ragioni, necessita l’apporto di terzi. Rispetto a costoro sipone il problema della definizione giuridica della condotta. La leggepenale prevede la possibilità che un individuo, in situazioni limite,qualora non sia più in grado di disporre autonomamente della pro-pria vita, possa disporre tramite altri, senza che ciò interferisca con ildivieto di uccidere? Fino a che punto e in che misura l’autonomiadell’individuo può estendersi sovranamente, anche quando sono coin-volti terzi estranei, ai quali è trasferito l’esercizio del potere di dispor-re di se stessi?

Così posto l’interrogativo, la problematica si focalizza sulla valuta-zione del «peso» dell’autonomia individuale rispetto alle esigenze dicontrollo sociale, ovvero: quale il ruolo del diritto penale rispetto aduna così ampia affermazione della sovranità individuale come vera ra-gione legittimante del potere statuale? L’autonomia merita tutela dainiziative, spontanee o doverose, volte ad impedirne l’attuazione, ne-cessita di un intervento positivo ed attuativo affinché sia concreta-mente garantita, quantomeno esonerando da responsabilità la condot-ta del terzo, o al contrario i doveri di solidarietà si pongono esclusiva-mente nella direzione dell’impedimento della realizzazione del propo-sito? La volontà contraria connota di illiceità le prestazioni di solida-

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1 Nel caso di autolesionismo isolato e solipsistico, l’opzione a favore della tute-la può orientarsi verso lo stesso soggetto, attraverso l’imposizione di divieti, inun’ottica di tutela «forte» dell’individuo da se stesso. Per ciò che riguarda il secon-do aspetto, la prospettiva di tutela si realizza attraverso la previsione di divieti dipartecipazione alla vicenda, o persino di obblighi di intervento ad impedimentodella realizzazione della scelta autolesionista, di cui sono destinatari i terzi.

2 Sui rapporti tra scelte di criminalizzazione e consenso sociale V. MUSCO,Consenso e legislazione penale, in AA.VV., Verso un nuovo codice penale. Itinera-ri, problemi, prospettive, a cura del Centro di Studi Giuridici e Sociali Cesare Ter-ranova, Milano, 1993.

rietà non coincidenti con i desideri del beneficiario, mentre viceversaquella cui l’estraneo si conforma ne neutralizza il disvalore?

In entrambi i due aspetti della problematica 1 – pregiudizio intera-mente autodeterminato – ovvero autonomia individuale – e pregiudi-zio determinato tramite altri – ovvero solidarietà e partecipazione – ilproblema di fondo è il medesimo e concerne la legittimazione di nor-me e di prassi interpretative poste a tutela di interessi individuali an-che contro la volontà dello stesso destinatario di tutela.

Il tema delle libertà fondamentali dell’individuo in relazione a scel-te sul suo corpo (o sul suo stato di felicità o benessere) è certamenteuno dei più complessi ed impegnativi del nostro tempo. Le difficoltàsorgono a causa del venir meno del monolitismo etico, poiché sonomesse a paragone ideologie e fedi religiose, modelli culturali disomo-genei e sistemi di valori contrapposti. Il carattere pluralista delle mo-derne organizzazioni giuridiche, quale unica formula in cui si esprimela libertà e dignità dell’individuo, impedisce di ricorrere al diritto comeveicolo autoritario per imporre valori assoluti, perché nessuno di que-sti può avere un primato sull’altro. Nel momento in cui non c’è piùuna sola morale di riferimento, un unico modello che regola il com-portamento degli individui, perché tutti pacificamente possono pro-fessare e seguire i propri modelli ed aspirazioni, si solleva l’ineffabiledilemma della definizione di un criterio di valutazione cui può ispirar-si l’ordinamento giuridico nel regolamentare la materia. Posto comeun problema di valore, l’eutanasia mette in crisi il diritto penale ed iltradizionale modo di legiferare: come stabilire norme che abbiano va-lore per tutti e che esprimano un consenso diffuso, quando si tratta diquestioni di coscienza, per le quali è più difficile interpretare autenti-camente i bisogni?

Si presenta quindi nella sua drammaticità il tema della affermazio-ne e coesistenza di valori e principi su cui necessariamente un ordina-mento deve fondarsi per poter far fronte alle sue prestazioni di unitàed integrazione, in modo che meglio si rispettino autonomia indivi-duale e pluralismo etico-ideologico 2. Da un lato, ciascuno di noi può

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3 Ed infatti, oggi in questa materia è in discussione l’an della regolamenta-zione giuridica.

avere atteggiamenti e reazioni differenti, impensabili di fronte al pro-prio morire e può coltivare una propria personale risposta ai dilemmidella vita e della morte; ma non vi è alcuna ragione per giustificare lapreferenza di una risposta sull’altra, imponendo una soluzione unicaed uniformante. Dall’altro, occorre verificare se individuali «concezio-ni di bene» possano aspirare ad un grado di «generalizzazione» talenon soltanto da rendere accettabile l’atto di autolesionismo, ma ancheda estenderne le ragioni di giustificazioni qualora l’atto sia riconduci-bile ad altre volontà, diverse dalla stessa vittima.

Il crocevia tra sviluppo delle tecnologie della sopravvivenza e istan-ze di autodeterminazione della persona nel definire i propri standardsdi qualità della vita delinea situazioni in cui il momento terminale del-la vita è rappresentato come diritto o libertà. Queste situazioni «scon-volgono» le categorie tradizionali del diritto e dell’etica, mettendo inmoto istanze di positivizzazione legislativa, in chiave penalistica o at-traverso discipline di mediazione tra gli schemi del diritto privato e deldiritto amministrativo, ed affidando alla giurisprudenza il compito diindividuare principi e regole che consentano un immediato confrontocon questioni pratiche relative a comportamenti professionali e sceltepersonali.

Il recente caso di Eluana Englaro, anche in Italia, assegna un impe-gno forte al giurista di confrontarsi con le questioni di vita e di morte,anche se nel nostro paese il discorso di tipo etico e filosofico ha avuto,almeno fino a pochi anni fa, una netta prevalenza rispetto a quello giu-ridico 3. Eluana da parecchi anni si trova in stato vegetativo perma-nente a causa di un forte trauma cranico. Ha perso non solo ogni ca-pacità di relazione superiore con il mondo esterno, ma anche la capa-cità di sensazione: non parla, non prova dolore, non controlla i movi-menti. È capace solo di funzioni vegetative. E ciò da oltre otto anni. Lostato vegetativo permanente in cui giace Eluana non è una qualsiasi, sepur grave, menomazione fisica, ma corrisponde ad una perdita irre-versibile della coscienza, alla perdita di sé, che equivale alla morte.

Si potrà rimanere sconcertati rispetto a tali situazioni, ma esse rap-presentano uno degli effetti indesiderati conseguenti all’evoluzionetecnologica della medicina. Sospendere l’alimentazione e l’idratazioneartificiale equivale a consentire che ella possa morire. Ma ciò equivar-rebbe anche all’astenersi dal proseguire un trattamento ordinario, chenon è lecito interrompere, soprattutto quando manchi una manifesta-zione di volontà in proposito.

La Corte di Appello di Milano ha rigettato il ricorso con cui il geni-tore di Eluana chiedeva l’autorizzazione ad interrompere le cure me-

Nota introduttiva 3

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4 La questione si pone rispetto alla c.d. eutanasia involontaria: la paziente èinterdetta e non ha espresso alcuna volontà in proposito alla propria morte o al-la interruzione/prosecuzione di terapie. L’angolazione civilistica consente ai giu-dici di ritenere la piena legittimazione del tutore a chiedere provvedimenti checoncernono lo stato di salute del paziente e che devono essere adottati nel suoprecipuo interesse. Il tutore, sulla base degli artt. 357 e 424 del codice civile, hala cura della persona anche nell’aspetto della tutela della sua dignità, e puònell’interesse di questi anche esprimere o rifiutare il consenso ad un trattamen-to terapeutico, così RESCIGNO, Relazione al convegno «Il diritto ad una morte di-gnitosa», Milano, 12 dicembre 2000.

5 Corte Appello di Milano, decreto 31 dicembre 1999, in Foro it., 2000, I,2022, con nota di SANTOSUOSSO, Novità e remore sullo «stato vegetativo permanen-te, e di PONZANELLI, Eutanasia passiva: sì, se c’è accanimento terapeutico.

6 Anche in merito a questioni che attengono alle pratiche di procreazionemedicalmente assistita l’unico precedente giudiziario ha coinvolto la giurispru-denza civile, e non penale; in proposito CIANI, Procreazione artificiale e gravidan-za surrogata per spirito di liberalità: il bilanciamento tra libertà di autodetermina-zione della donna e «best interest» del nascituro, in Foro it., 2000, I, 1697.

7 Il disegno di legge è stato comunicato alla Presidenza del Senato il 29 giu-gno 2000.

8 La proposta di legge Fortuna, presentata alla Camera dei deputati il 19 di-cembre 1984, riconosceva al soggetto maggiorenne la possibilità di disporre per

diche straordinarie che consentono di protrarre uno stato vegetativopermanente (somministrazione di vitamine e l’alimentazione artificia-le) ex art. 357 e 424 c.c., pur ritenendo la piena legittimazione del tu-tore a chiedere o rifiutare provvedimenti che concernono lo stato di sa-lute del paziente, qualora questi non sia più in grado di esternare lapropria volontà 4. Il ricorso è stato rigettato con la motivazione che, al-lo stato attuale, in ambito scientifico, etico e giuridico, sulla qualifica-zione della idratazione e nutrizione artificiale di paziente in stato ve-getativo permanente (atto terapeutico? straordinario o ordinario?)non si è raggiunto alcun accordo.

La pronuncia dimostra come la tematica si affacci anche nella pras-si giurisprudenziale italiana, uscendo dai luoghi della discussione teo-rica ed accademica. E la strada imboccata è quella della soluzione giu-diziaria, in particolare della giurisdizione volontaria che sembra la piùneutrale e flessibile 5. Non sono però in alcun modo affrontati i risvol-ti penali del comportamento del medico che, qualora fosse stato auto-rizzato al distacco, avesse proceduto alla pratica 6.

Attualmente, il tema dell’eutanasia è al centro di un vivace dibattitoe oggetto di numerose iniziative parlamentari. Il recente disegno di leg-ge in tema di consenso informato del paziente e di direttive anticipate 7,rappresenta il primo passo che introduce ad una ripresa del dibattitosul l’eutanasia, dopo la proposta di legge Fortuna del 1984 8 a cui era se-

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il non impiego o l’interruzione delle terapie di sostentamento vitale all’estremodelle condizioni esistenziali, con disposizione sottoscritta dall’autore alla pre-senza di due testimoni, diversi dai medici curanti, non legati a lui da vincoli diparentela o di affinità, né destinatari dei suoi beni. La disposizione, rilasciataper iscritto su un apposito modulo, non avrebbe dovuto ritenersi valida qualorasia compilata da una donna in gravidanza, e dopo cinque anni.

In proposito, MONTALTO, Commento alla proposta di legge riguardante «Nor-me sulla tutela della dignità della vita e disciplina dell’eutanasia passiva», in Zac-chia, 1985, 150; CALCAGNI-MEI-PUGLISI, Considerazioni sulla proposta di legge n.297 riguardante «Norme sulla tutela della dignità della persona e disciplina dell’eu-tanasia passiva», in Zacchia, 1991, 340.

Nel 1986 il senatore Bompiani presentò alla Presidenza del Senato un dise-gno di legge sul trattamento dei malati terminali nel quale veniva condannatal'eutanasia e respinto l'accanimento terapeutico.

Nel 1987 venne presentata una proposta di legge che consentiva l'omissioneo l'interruzione di interventi di sostegno vitale su pazienti terminali, facendonerichiesta all'Unità sanitaria locale o al Presidente del Tribunale.

9 L’attenuante consiste nell’aver commesso il fatto con mezzi indolori e peresclusivo motivo di pietà verso la persona incapace di prestare un consenso va-lido, e che per ragioni di malattia si trovi in una irreversibile condizione di sof-ferenza fisica insopportabile o particolarmente grave, quando sia constatatal’impotenza dei trattamenti antalgici.

10 La normativa sarebbe finalizzata ad assicurare a pazienti con sintomato-logie dolorose di particolari gravità, terapie antalgiche efficaci, prevedendo mo-difiche ad alcune disposizioni del testo unico sulla disciplina degli stupefacenti,di ostacolo ad una piena utilizzazione di queste terapie. Inoltre, è in preparazio-ne un disegno di legge sulla semplificazione della prescrizione, a fini terapeuti-ci, dei derivati naturali e sintetici della pianta Cannabis indica.

guìto nel 1992 il disegno di legge sulla delega legislativa al Governo perl’emanazione del nuovo codice penale del 1991, che all’art. 59 prevede-va l’introduzione di una circostanza attenuante applicabile sia all’omi-cidio comune che all’omicidio del consenziente nei casi in cui la vittimasi trovi in condizioni di malattia irreversibile 9.

La recente iniziativa di legge vuole riconoscere dignità e vincolati-vità alle c.d direttive anticipate del paziente, il quale, debitamenteinformato circa rischi e benefici, può rifiutare la somministrazione diulteriori terapie, anche qualora ciò possa condurre alla sua morte(dunque in deroga agli artt. 579 e 580 c.p.), e malgrado che al momen-to della attuazione della decisione, abbia ormai perso la capacità natu-rale, la sua coscienza. A tale iniziativa è seguita quella del 7 luglio 2000n. 4718, in tema di promozione delle terapie antalgiche che dimostrala maggiore sensibilità verso il dolore del paziente ed il riconoscimen-to di un’autonoma dignità delle terapie palliative 10. Ma certamente dimaggiore impatto è il disegno di legge, ancora in preparazione, fina-lizzato a riconoscere il diritto a chiedere assistenza sanitaria per porre

Nota introduttiva 5

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11 La bozza del disegno di legge è stata oggetto di discussione nel corso delconvegno organizzato dalla Consulta di Bioetica di Milano del 12 dicembre2000. In base a questa bozza il medico curante che ha effettuato la diagnosi, conil consulto di un altro medico ad egli non subordinato che ne confermi l’esisten-za delle condizioni, verificata l’inefficacia delle cure palliative al fine di alleviareil dolore, può soddisfare tale richiesta.

fine alla propria vita, qualora il paziente capace di intendere e di vole-re, verta in condizioni di prossimità alla morte, provi dolore e soffe-renza in misura per lui non accettabile, e non si prospettino alternati-ve terapeutiche o antalgiche 11.

6 Eutanasia e diritto penale

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PARTE I

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CAPITOLO I

EUTANASIA E DIRITTO PENALE

SOMMARIO: 1. La dignità umana nell’antropologia moderna e nell’ordina-mento giuridico. – 2. Il problema dell’eutanasia tra agnosticismo e repres-sione. – 3. Il paradosso dell’eutanasia. – 4. Nuovi profili di tutela penale del-la vita umana. – 5. Gli obblighi di solidarietà e la c.d. tutela da se stessi.

1. La dignità umana nell’antropologia moderna e nell’ordinamen-to giuridico

Le codificazioni del secolo scorso e di questo secolo si caratterizza-vano per certo agnosticismo e disinteresse per i bisogni materiali e spi-rituali dell’uomo, percepiti solo nell’orizzonte sociale della povertà, del -l’impossibilità a produrre e ad inserirsi nel gruppo, secondo una visio-ne che estrapola l’uomo dalla sua reale complessità e contradditto-rietà 1. A questo modello antropologico corrispondeva una concezionevolontaristica del diritto, secondo cui l’individuo, in quanto soggettoastratto, ente razionale e coerente, esprime la sua volontà all’interno edin funzione del gruppo cui appartiene. Le codificazioni dell’epoca vede-vano l’uomo come titolare di diritti su se stesso, proprietario e soddi-sfatto dalla proprietà e dalle ragioni dell’avere, inserito organicamentenel gruppo sociale come una parte s’inserisce nel tutto, secondo un pro-cesso di identificazione piena dei propri bisogni con quelli del gruppo 2.

1 MENGONI, La tutela giuridica della vita materiale nelle varie età dell’uomo, inRiv. trim. dir. proc. civ., 1982, 1117; FALZEA, I fatti giuridici della vita materiale, inIl diritto e la vita materiale, Roma, 1984, 7.

2 Il modello di uomo presupposto e definito da queste codificazioni è statodefinito da Lombardi Vallauri attraverso il concetto di «individualismo possessi-vo». Si tratta di una formula che riassume l’idea di una società di proprietari oproduttori intenti ad aumentare la loro ricchezza mediante il libero scambio,LOMBARDI VALLAURI, Corso di filosofia del diritto, Padova, 1981, 287. Così pure RO-DOTÀ, Ipotesi sul corpo «giuridificato», in Riv. crit. dir. priv., 1994, 467; BOCCIA, in-troduzione di La legge ed il corpo, in Democrazia e dir., 1996, V.

V. anche BARCELLONA, I soggetti e le norme, Milano, 1984.

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Questa era, fino ad una certa epoca, l’antropologia sottesa alle co-struzioni giuridiche dell’ottocento. Tale modello, che vedeva l’uomosoltanto nella sua esperienza fisica ed in relazione al gruppo di appar-tenenza, inizia tuttavia a tramontare in relazione all’affermarsi di unadiversa considerazione dei bisogni dell’uomo. Ed, in effetti, grandistravolgimenti culturali stanno verificandosi: l’esistenzialismo, la rivo-luzione psicanalitica, mettono in atto un processo culturale che tendea percepire con diversa e nuova sensibilità i bisogni dell’uomo, che nonsono mai «puramente» materiali, perché anche le esigenze della vitamateriale esprimono un anelito spirituale ed un significato biograficoe fenomenologico. Insomma, tramonta quel dualismo che sdoppiaval’uomo in anima e corpo, in soggetto e oggetto, essendo mutata quellaprospettiva che vedeva negli interessi di vita materiale esigenze di vitaben distinte e di minore dignità.

Tutto ciò non poteva non interessare il mondo del diritto, inteso siacome elaborazione teorica che come traduzione positiva. Ed è vistosissi-mo l’impatto. Il nuovo ordinamento costituzionale connota con una di-versa caratterizzazione il diritto moderno: l’assetto delle moderne costi-tuzioni pluralistiche è costantemente imperniato su un’istanza assiologi-ca suprema di controllo dell’ordinamento, che è la dignità umana, intesacome valore che inerisce all’uomo in sé. Gli interessi umani della vita ma-teriale entrano nell’orbita del diritto contemporaneo con una posizionegerarchica e un’apertura sconosciute in passato; questa attenzione per lapersona umana nella sua realtà globale e in tutti i suoi valori investe lastruttura e i contenuti normativi dell’intero ordinamento giuridico 3.

La nuova antropologia assume un concetto di persona e di dignitàumana radicato nel riconoscimento che la personalità non è solo puraastrazione di valore, essere assiologico, ma anche essere ontologico,poiché accanto alla razionalità, vi è l’esistenza empirica. C’è di nuovoche la dimensione di valore non può essere formale, astratta ma – sem-brerebbe– come ciascuno la percepisce, perché diverse preferenze,aspirazioni, stili di vita delineano ordini di valori e di giustizia dispa-rati e spesso confliggenti tra loro, ma tutti egualmente rispettabili. Ladignità umana non assume contenuti su basi metafisiche o ontologi-che, perché riconosce valore alla diversità e specificità di ciascunocoincidendo con l’spirazione alla maggior riduzione possibile dellapropria sofferenza 4. Questo concetto di dignità umana, di per sé tradi-

3 In proposito, AA.VV., L’influenza dei valori costituzionali sui sistemi giuridi-ci contemporanei, a cura di PIZZORUSSO-VARANO, Milano, 1985; AA.VV., Prospetti-ve di riforma del codice penale e valori costituzionali, a cura del CENTRO NAZIONA-LE DI PREVENZIONE E DIFESA SOCIALE, Milano, 1982.

4 Così LECALDANO, Bioetica. Le scelte morali, Bari, 1999, 68. Per una critica al-la concezione kantiana di dignità umana, in quando individuata come caratteri-

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zionalissimo, rappresenta il «novum categoriale» 5 del diritto contem-poraneo, in quanto introduce una dimensione dinamica e concreta,che lascia emergere problemi di tutela della vita materiale e spirituale,destinati altrimenti a restare nell’ombra nell’ambito di una visioneastratta e normativa.

Il tema dell’eutanasia, ovvero della solidarietà nella morte, ponetragicamente alla ribalta i bisogni per così dire «spirituali» dell’uomo,ma che tanto hanno a che fare con il corpo 6.

L’eutanasia, come problema cui apprestare una soluzione normati-va, solleva questioni di senso che concernono la morte e il significatodi essa all’interno della vita, ponendo in questione quale sia, in alcunicasi estremi, il valore da tutelare 7. Questa ricerca presenta una dimen-sione squisitamente intima, personale, non generalizzabile o condivi-sibile universalmente. Anche se privata di un significato simbolico me-tafisico, la morte non è perciò priva del suo valore di esperienza, di ac-cadimento espressione di un vissuto interiore; i desideri di morte nonnecessariamente, in situazioni estreme di sofferenza fisica e psichica,esprimono una tensione nichilista e antitetica alla vita, ma al contrariopossono manifestare l’esigenza di riconoscere consapevolmente unproprio significato anche a questo momento estremo della vita 8. Que-

stica astratta e razionale non peculiare a ciascun individuo, FEINBERG, Harm toSelf, vol. III, in The Moral Limits of the Criminal Law, Oxford, 1986, 96 ss. V. an-che ORRU, La tutela della dignità umana del morente, in Vivere: diritto o dovere?, acura di STORTONI, Trento, 1992, 95.

5 MENGONI, La tutela giuridica della vita materiale, cit., 1128.6 RESCIGNO, La fine della vita umana, in Il diritto e la vita materiale, Roma,

1984, 189, che osserva quanto sia stato episodico e marginale l’interesse del giu-rista per le questioni che si legano alla fine della vita umana, eccezion fatta peril penalista, al quale però è toccato di trattare il tema soltanto sotto il profilo del-la tutela da interferenze ingiustificate.

7 Il processo di secolarizzazione, se da un lato ha contribuito ad una libera-zione da un apparato ideologico che lega la morte al dolore e all’espiazione diuna colpa originale, d’altra parte li ha svuotati di una propria ragione d’essere,drammatica se si vuole, ma in grado di riempire di un elevato senso le compo-nenti ineludibili della vita. Sul diverso atteggiamento verso la morte imminente,FIORI, La medicina e le fasi finali della vita, in Bioetica, 1999, n. 1, 29. Il desideriodi accelerare il percorso finale dell’esistenza, il mito della buona morte, possonocorrispondere oggi ad una cultura che sfugge, che ne annulla il senso, divenen-do così «il luogo stesso dell’assenza di significati, dell’insignificanza pura e irre-movibile». In questo senso D’AGOSTINO, Morte, in Etica della vita, a cura di COM-PAGNONI, Cinisello Balsamo, 1996, 60 ss.

8 La morte non è solo fine dell’esistenza nel mondo, ma essere nel mondo, oessere verso la morte stessa, ovvero il riconoscimento della dimensione finitadel l’essere, così KÜBLER-ROSS, La morte e il morire, Città di Castello, 1976, 14 ss.

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sta tensione a «dominare» la propria morte produce gli effetti di unavera e propria «rivoluzione copernicana» 9, in cui trova voce la richie-sta di vivere una dimensione diversa, più intima e consapevole, poichél’uomo moderno è forse più bisognoso ed in crisi, ma anche più fortenel voler vivere le proprie crisi e i propri bisogni con coscienza.

2. Il problema dell’eutanasia tra agnosticismo e repressione

L’argomento dei compiti del diritto penale rispetto ai bisogni dimorte suscita disagio e sorpresa: non è forse la morte una esperienzatalmente intima, personale, irripetibile dell’uomo, da essere aliena daconsiderazioni di tipo giuridico, tale da definire l’intervento della leg-ge, con le sue categorizzazioni e generalizzazioni, una inammissibile egrave ingerenza in una sfera ostile al linguaggio delle regole 10? Non sa-rebbe forse manifestazione di arroganza da parte dei giuristi il volerinterferire situazioni senza tenere conto della loro eccezionalità, delfatto di presentarsi come casi limite che, in quanto tali, fuoriesconodalla possibilità di essere disciplinati mediante regole giuridiche?

Diviene necessario interrogarsi se la scienza giuridica possa maiconsiderarsi competente e legittimata ad intervenire in tanta privatez-za; se uno Stato e un diritto laico possano mai imporre la salvaguardiaad oltranza della vita umana a qualsiasi costo; se certe manifestazionidi solidarietà nei confronti di malati terminali che si traducono in con-dotte di aiuto a morire, non debbano collocarsi in uno spazio sottrattoalla competenza del diritto (rechtsfreier Raum), in quanto problemi in-trinsecamente morali che richiedono soltanto una soluzione indivi-duale e secondo coscienza 11.

Sulle trasformazioni delle condizioni psicologiche e sociali del morire, ARIES,L’uomo e la morte dal medioevo a oggi, Roma-Bari, 1980; NULÀND, Come moria-mo. Riflessioni sull’ultimo capitolo della vita, Milano, 1995.

9 Così ESER, Möglichkeiten und Grenzen der Sterbehilfe aus der Sicht eines Ju-risten, in Menschenwürdigen Sterben, a cura di JENS-KÜNG, 1995, 149. DWORKIN,Il dominio della vita, Aborto, eutanasia e libertà individuale, Milano, 1994, in cuila morte è descritta come «l’ultimo atto di un’opera teatrale», di quell’opera d’ar-te che è la vita. V. anche AMERY, Hand an sich legen. Diskurs über den Freitod,Stuttgart, 1981. Per un approccio di tipo psicoanalitico ai «bisogni di morte», V.HILLMAN, Il suicidio e l’anima, Roma, 1972.

10 ESER, Freiheit zum Sterben, Kein Recht auf Tötung, in JZ, 1986, 786.11 KAUFMANN ARTH, Rechtsfreier Raum und eigenverantwortliche Entscheidung.

Dargestellt am Problem des Schwangerschaftsabbruchs, in Festschrift für MAURA-CH, Karlsruhe, 1972, 327; HIRSCH, Strafrecht und rechtsfreier Raum, in Festschriftfür BOCKELMANN, Berlin-New York, 1974, 775; STELLA, Il problema giuridico del -

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Può, ancora oggi, essere sostenuta la posizione più radicale, cheesclude la possibilità che tali esigenze possano essere tradotte nel lin-guaggio giuridico? In tal caso, il ruolo della riflessione bioetica edell’etica medica sarebbe alternativo al diritto, in quanto sistema di re-golamentazione non giuridico (deontologico?) che darebbe spazio aduna grande e diretta responsabilità personale degli stessi protagonisti.All’opposto, c’è chi ritiene che la strategia regolamentativa più adegua-ta sia quella giuridica, dal momento che, in assenza di una diffusa co-scienza e responsabilità collettiva, non si possa fare a meno dello stru-mento «forte» della legge.

In verità, la posizione agnostica esprime questo disagio, esternandocosì il senso di limite, di impossibilità di relazione tra il diritto – il mon-do delle regole – e le scelte esistenziali più profonde. E ciò anche a cau-sa della strutturale incapacità del diritto – per il suo carattere paradig-matico – di penetrare la complessità delle dinamiche emotive e relazio-nali sottese alla scelta di morire e di superare la tensione che nasce dalconflitto tra diversi sistemi di valori in gioco in questioni concernenti lavita, nell’ambito di una società sempre più plurale e disomogenea. Sulpresupposto dell’incapacità strutturale del diritto a regolare tali situa-zioni, si è cercata una soluzione in via eccezionale ed extra ordinem at-traverso strumenti che consentono una individualizzazione del giudiziopenale in corrispondenza ad esigenze di equità, facendo fronte a situa-zioni eccezionali «senza incidere o modificare i principi» 12.

In questa ottica l’eutanasia si è presentata come problema teoricodi tipo filosofico o sociologico, o altrimenti, all’opposto, di tipo prati-

l’eutanasia: l’interruzione e l’abbandono delle cure mediche, in Riv. it. med. leg.,1984, 1020.

12 Il dibattito sull’eutanasia tocca principi morali ultimi e le applicazioni deiprincipi (indisponibilità-disponibilità della vita umana), le regole e le eccezioni,la necessità di mantenere un ruolo pedagogico e di guida delle norme e dell’or-dinamento giuridico anche in casi concreti nei quali la valutazione nel meritosembrerebbe richiedere che vengano accantonati. L’eutanasia investe sia que-stioni di giustizia generale, legate all’affermazione di principi morali ultimi, chedi giustizia concreta, legate alla considerazione del caso concreto, così FEINBERG,Trascurare deliberatamente il merito del singolo caso: un approccio sbagliato al di-ritto a morire, in Vivere: diritto o dovere?, a cura di STORTONI, Trento, 1992, 149.A favore del ricorso dello strumento della grazia, quale soluzione che consenteuna considerazione del caso nel merito, senza però intaccare i principi, PORZIO,Eutanasia, in Enc. dir., XVI, Milano, 1967, 103. Altrettanto STELLA, Eutanasia at-tiva ed eutanasia passiva. Problematiche giuridiche, in Rass. Giur. sanità, 1985,175, secondo cui la soluzione a queste problematiche debba essere cercata al difuori della tipicità e delle cause di giustificazione, in modo da sottrarre il benedella vita umana a qualsiasi giudizio di bilanciamento. Per una ricostruzione inchiave teleologica della potestà di clemenza, V. MAIELLO, La clemenza tra dom-matica e politica criminale, in Riv. it. dir. proc. pen., 1992, 1029.

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co, da affidare ad un terapeuta, ma giammai come questione giuridica,poiché per definizione sfugge, a causa dell’eccezionalità della situazio-ne che ricomprende, alla possibilità di essere soggetta a qualsiasi rego-lamentazione di tipo giuridico. Il fenomeno si è presentato come pras-si oscura, sommersa, esorcizzata nella terminologia tanto da non esse-re distinto concettualmente nella sua portata e nelle sue dimensioni 13.Conseguentemente, il dibattito sul tema si è sviluppato in un primotempo in modo più serrato e combattivo fuori dall’ambito del diritto,nella sfera delle dottrine etiche, religiose e politiche, collegato com’èad antiche matrici di pensiero e di fede. Di fondo, era la convinzioneche i conflitti che si pongono nella medicina non dovessero essere ana-lizzati in termini giuridici, ma esclusivamente nell’ambito dell’eticamedica; così abdicando a favore della deontologia professionale odell’autorità morale dell’insegnamento della Chiesa cattolica. Il pre-supposto è dunque la negazione che il diritto e la scienza giuridica pos-sano comprendere quell’esperienza umana così tragica e contradditto-ria che è l’eutanasia, e che il contrasto tra legge e etica individuale sia

13 Recentemente il movimento SÌ ALLA VITA ha pubblicato nel periodico dellaFondazione Rui i risultati di un’indagine sociologica dalla quale risulta che il13,9% dei medici e infermieri intervistati ha ricevuto almeno una richiesta euta-nasica negli ultimi tre anni, in Sì alla vita, anno XXI, settembre 1998, 26.

Anteriormente a questa indagine, è stata condotta una ricerca di tipo empiri-co sul comportamento dei medici nei confronti dell’eutanasia in alcune provincedel Nord Italia nei reparti di medicina intensiva e d’urgenza, di rianimazione, diematologia, poi pubblicata nel 1993. Dalla ricerca è risultato che, a fronte di unacerta conoscenza di tipo teorico (tutti sanno che un’iniezione di morfina è un at-to dovuto, ma non lo è l’endovena di potassio), si registra la tendenza alquantodiffusa ad attribuire ad un contesto molto lontano dalla propria esperienza quo-tidiana la possibilità che l’eutanasia si verifichi. In pratica, la classe medica fa ri-ferimento ad una casistica eccezionale, emblematica, troppo emblematica, chesposta il centro d’attenzione più sul modello esemplificativo che sulla prassi te-rapeutica. Nei casi di astensione terapeutica, ad esempio, sembra emergere atendenza ad una sorta di autolegittimazione dell’operato del medico, che espri-me a sua volta il rifiuto ad ammettere che il medico, che si prodiga per un pa-ziente in condizioni estreme, possa vedere assimilato il proprio comportamentoa quello connesso all’accanimento terapeutico. È quindi diffusa una mentalitàche esprime riluttanza a riferire al proprio operato e alla propria esperienza i ter-mini «eutanasia», «accanimento terapeutico», collegati, secondo numerosi me-dici intervistati, ad una anomalia comportamentale. Ciononostante la stessa ca-sistica riportata dai medici intervistati delinea una situazione in cui i problemidell’eutanasia e del divieto di accanimento terapeutico sono ormai fermamentepresenti nella prassi ospedaliera, e non solo in pochi e sparuti casi. Ciò quindicorrisponde ad una negazione, almeno sotto il profilo teorico, dell’esistenza delproblema, che tuttavia appartiene a pieno titolo, alla quotidianità. Così RAUZI-MENNA, La morte medicalizzata. Una ricerca sul comportamento medico nei con-fronti dell’eutanasia, Bologna, 1993, interviste nn. 26, 68 e nn. 44, 73.

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irrisolvibile per l’impossibilità di cogliere le dinamiche relazionali e diconflittualità senza alcuna implicazione emotiva 14.

Da questo approccio sono scaturiti studi ispirati alla interdiscipli-narietà, spesso contraddittori ed in antitesi, posto che ben lontani era-no i punti di partenza 15. Il contrasto insanabile sui principi morali ul-timi sembrava escludere ogni possibilità di un accordo mediatore, sal-vo poi consentire nella prassi, sotto le spoglie di situazioni– limite, unainversione delle posizioni di partenza, realizzando così un certo con-senso su casi estremi ed eccezionali 16.

A ben vedere, l’apparente agnosticismo e la pretesa indifferenza del di-ritto nei confronti di questa dimensione esistenziale della vita umana vo-gliono affermare l’idea che scienza e coscienza di un altro uomo possanodecidere nel migliore dei modi di situazioni esistenziali estreme, che toc-cano il senso stesso della vita umana. La penalizzazione «a tappeto» diqualsiasi partecipazione alla morte sottrae le decisioni sulla vita e sullamorte alla libertà del singolo, ma le rimette alla discrezionalità del medi-co o del giudice. In entrambi i casi, la valutazione delle scelte individualiè affidata alla coscienza e alle convinzioni di un osservatore esterno.

Ed invero, il quadro attuale dei delitti posti a tutela della vita uma-na è fin troppo severo: il legislatore si è spinto ben oltre il «classico» di-vieto di uccidere, fino a porre il divieto di solidarizzare con colui che è

14 Tali tentativi di interpretazione coinvolgono – forse più che in ogni altraquestione – la soggettività dell’interprete, la sua emotività, la sua concezione del-la vita e della morte, così RAMACCI-RIZ-BARNI, Libertà individuale e tutela della sa-lute, in Riv. it. med. leg., 1983, 848. Sulle difficoltà di una trattazione dell’eutana-sia di tipo esclusivamente tecnico o neutrale, GIUNTA, Diritto di morire e diritto pe-nale. I termini di una relazione problematica, in Riv. it. dir. proc. pen., 1997, 74.

15 Le analisi sul tema dell’eutanasia si sono in passato caratterizzate perun’impostazione radicale, come soluzioni totali, spesso dettate da opzioni ideolo-giche incapaci di differenziare i diversi aspetti della problematica, pro o controquella che appariva come un’eccezione al principio dell’intangibilità e della tute-la della vita umana, a seconda che venissero valorizzate, in generale o in relazio-ne al singolo caso, le esigenze di equità e giustizia, o invece di certezza e garan-zia. La percezione del problema era di tipo monolitico, ovvero fenomeno sostan-zialmente unitario e non scomponibile nel suo interno. Sul punto BELLOTTO, Il«particolare valore morale» della disperazione, in Riv. it. dir. proc. pen., 1993, 215.

16 MORI, Sacralità e indisponibilità della vita: per un’analisi delle prospettive ge-nerali sottese alla moralità dell’eutanasia, in Un’etica pubblica per la società aper-ta, Atti del convegno internazionale di Politeia, Milano, 1987. Di contrario avvi-so, ma con riferimento al panorama americano, è DWORKIN, Il dominio della vi-ta, cit., passim, secondo cui l’accordo che si realizza sui casi pratici non concer-ne le problematiche specifiche dell’eutanasia, ma quelle affini del divieto dell’ac-canimento terapeutico e della accettabilità delle terapie del dolore. Il disaccor-do, proprio perché verte su principi morali ultimi, è assolutamente irrisolvibile,ed esclude a priori ogni possibilità di mediazione.

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il principale esecutore della propria volontà di morire, segnando unalimitatissima sfera di liceità, all’interno della quale nessuno può acce-dere senza assumersi le responsabilità dell’atto di questi 17. Le fattispe-cie penali poste a tutela della vita umana escludono che possa esserciuna continuità tra solidarietà e morte di un individuo e tracciano unaprecisa direzione degli obblighi solidaristici a favore delle pratiche disalvataggio della vita umana. La direzione degli atti solidali è quindinettamente volta a favore della scelta di vivere, e mai in senso opposto,secondo un programma di tutela oggettiva ed incondizionata dell’inte-resse individuale che riflette altre e più chiaramente «politiche» ragio-ni delle norme incriminatici. Ed infatti, un’osservazione attenta delcontenuto di questi doveri di etica solidale induce a ritenere che, in ve-rità, essi si inseriscono in una prospettiva generale di solidarismo, ecioè come solidarietà interna al gruppo, poiché vero destinatario non ècolui che beneficia di tale solidarietà, ma anche o piuttosto l’intera col-lettività o lo stesso Stato 18.

17 La durezza del complesso normativo posto a tutela della vita umana, con laprevisione di un apparato sanzionatorio che colpisce qualsiasi interferenza sulladimensione cronologica della vita umana, a prescindere da ogni ragione, espri-me un’opzione decisamente contraria a qualsiasi pratica eutanasia. Non soltan-to le situazioni tipiche sono tutte ed interamente riconducibili alle due normedell’istigazione o aiuto al suicidio e dell’omicidio del consenziente, ma esse stes-se, richiedendo particolari requisiti attinenti alla volontà del soggetto passivo, fi-niscono per rinviare alla più grave fattispecie dell’omicidio semplice (v. infra).

18 Nell’ambito della tradizione culturale coeva all’emanazione del codice, l’eti-ca della solidarietà si è identificata nel modello religioso del buon samaritano, cheprescrive l’intervento a salvataggio di colui che si trova in pericolo di vita. Ciò èchiaramente indiziato da alcune significative fattispecie incriminatrici. I delitti diomissione di soccorso, di usura, di circonvenzione di incapaci, esprimono chiara-mente quest’esigenza di tradurre, in termini secolarizzati e immanenti, precettiappartenenti alla morale religiosa, ispirati al modello biblico del buon samarita-no. L’ottica è infatti quella – solidaristica – di tutela del più debole, del più biso-gnoso. Il codice Rocco recepiva, almeno apparentemente, un’idea della solidarietàsoprattutto come afflato cristiano, come principio morale che nasce da fonte reli-giosa e che si traduce nell’imposizione di una serie di regole intersoggettive, es-senzialmente dunque come regola dell’agire individuale. Nell’omissione di soc-corso la solidarietà è umana, mentre il delitto di usura si ispira alla solidarietàeconomica; infine nella circonvenzione di incapaci, trovano spazio entrambe leesigenze a completamento di tutela rispetto a più gravi e diverse situazioni di in-feriorità contrattuale e di incapacità ad autotutelare i propri interessi economici.V. MUSCO, Omissione di soccorso, in Dig. disc pen., VIII, 1994, 558; CADOPPI, Il rea-to di omissione di soccorso, Padova, 1993; REINOTTI, Omissione di soccorso, in Enc.dir., XXX, Milano, 1980, 43; MAGRO, L’omissione di soccorso tra situazione di peri-colo e obbligo di fedeltà, in Riv. it. dir. proc. pen., 1993, 387. Sull’originaria figuradi usura, anteriormente alla riforma del 1996, che conservava anch’essa intatta lasua struttura originaria di condotta contraria ai più elementari doveri di pietà e

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3. Il paradosso dell’eutanasia

Sono numerose le situazioni legate all’evolversi della tecnologia, incui le categorizzazioni di senso e valore possono condurre a soluzioniopposte, determinando un disaccordo insanabile sia sul piano teoricoche delle scelte pratiche: la solidarietà, l’autonomia e la stessa dignitàumana depongono sia a favore che contro l’eutanasia 19. Si dimostra intutta evidenza l’importanza del caso concreto e la necessità di una sua«comprensione», e cioè della categorizzazione del senso, prima dellaricerca della soluzione giuridica risolutiva. Opposti intendimenti ocomprensioni conducono a soluzioni opposte, ma tutte sostenibili inbase al valore assunto, al senso attribuito al caso 20. Così, ad esempio,l’affermazione che l’individuo ha un interesse alla conservazione dellapropria salute non significa necessariamente che ciascuna personadebba considerare la salute fisica come un proprio bene. Lo stato dibenessere, secondo un ideale di vita ascetica e spirituale, può invececorrispondere ad una mortificazione del corpo e dei bisogni materiali.L’angelo della morte che aiuta a morire i malati terminali può appari-re come un benefattore o come uno spietato criminale. Il diritto a mo-rire naturalmente o alla morte liberatrice quando le cure si rivelanoinidonee si contrappone al diritto alla vita e ad ogni istante di essa. Ilsenso di umanità e di solidarietà può condurre sia a favore delle ri-

solidarietà umana, mantenendo così un rapporto assai stretto con il divieto pro-prio della tradizione biblica, V. MAGRO, Considerazioni politico-criminali sul reatodi usura, in Arch. pen., 1997, 283; BERTOLINO, Le opzioni penali in tema di usura: dalcodice Rocco alla riforma del 1996, in Riv. it. dir. proc. pen., 1997, 774.

Nella concezione idealista dello Stato, propria dell’ordinamento fascista, ilrecupero di questa tradizione etico-religiosa non è solo significativo dell’esigen-za di rinsaldare i precetti morali appartenenti al sentire del tempo, o di pro-muoverne l’interiorizzazione e perseguire un ideale di perfezionamento etico,ma anche quello politico di rafforzare i vincoli sociali e collettivistici del singoloall’interno della comunità di cui è parte, affermando una concezione dell’indivi-duo come una particella di un tutto integrale al quale egli è immanentemente efunzionalmente legato, da cui discendono una rete di doveri e divieti giuridici.L’evoluzione del diritto vigente manifesta piuttosto un’affermazione della soli-darietà più smaccatamente politica e in una duplice direzione: solidarietà versoil reo, attraverso l’idea della rieducazione e dell’umanità della pena e solidarietàverso la vittima, reale o ancora potenziale del conflitto, attraverso gli obiettivi diprevenzione e di controllo della criminalità.

19 LEIST, Diskussion um Leben und Tod, in Um Leben und Tod. MoralischeProbleme bei Abtreibung, künstliche Befruchtung, Euthanasie und Selbstmord, acura di LEIST, Frankfurt am Main, 1990, 9; FOOT, Eutanasia, in Introduzione allabioetica, a cura di FERRANTI-MAFFETTONE, Napoli, 1992, 81; BARCARO, Eutanasia.Un problema paradigmatico della bioetica, Milano, 1998.

20 Su queste tematiche, ZAGREBELSKY, Il diritto mite, Torino, 1992.

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chieste di morte, verso una giustificazione oltre che morale, anche giu-ridica delle pratiche eutanasiche, che contro di esse, configurando undovere di intervento ad oltranza in ragione della tutela della vita uma-na, volto ad impedire ad ogni costo la realizzazione di un fatto non cor-rispondente ai veri e oggettivi interessi dello stesso individuo. La mor-te è altrettanto dignitosa sia quando l’individuo la decide da sé in pie-na autonomia, sia nella situazione opposta, in cui non viene in nessunmodo facilitata o anticipata intenzionalmente, e la dignità si manifestanella sua accettazione come fatto naturale 21. L’espressione morire condignità può essere utilizzata da entrambe le parti nei due sensi oppostie sembra che nessuna possa appropriarsi dell’uso linguistico o vantareuna sorta di privilegio senza presupporre la correttezza del relativoprincipio morale ultimo che difende.

La ragione di questo paradosso risiede nel fatto che la problematicadell’eutanasia si presenta come eccezionale. L’eccezionalità sta nel para-dosso di commettere un reato – il più grave, l’omicidio – come estremo edultimo atto di solidarietà poiché la morte, il massimo dei mali, può assu-mere, in certe circostanze, tale significato, se collocata in una prospettivasolidaristica di partecipazione al dolore e alla sofferenza altrui 22. La dif-ficoltà con cui deve misurarsi un’analisi giuridica dell’eutanasia riguardail fatto che essa ha a che fare con la morte «voluta» della stessa vittima,con l’idea del «cagionare» la morte di un uomo, rispetto al quale l’autoreè coinvolto con un atteggiamento di simpatia, di identificazione dell’altrocon se stesso, secondo un meccanismo emotivo di partecipazione alla si-tuazione altrui che si determina attraverso un artificio dell’immaginazio-ne, in cui il soggetto spettatore si rappresenta la possibilità che tale situa-zione altrui lo riguardi come propria. Lo spettatore solidale simpatizzacon l’altro, immaginando di trovarsi allo stesso tempo dentro e fuori quel-la data situazione, di subirne e di non subirne gli effetti, di esserne in-somma profondamente implicato pur restandone al di fuori 23.

21 Ad esempio, V. recentemente, in una prospettiva teologica, KÜNG-JENS, Del-la dignità del morire. Una difesa della libera scelta, Milano, 1996; JONAS, Il dirittodi morire, Genova, 1991, 53 ss.

22 Contro il riconoscimento di una solidarietà nella morte, MANTOVANI, Il pro-blema della disponibilità del corpo umano, in Vivere: diritto o dovere, cit., 41; CIC-CONE, Eutanasia: verso una nuova «battaglia civile», in Vita e pensiero, 1988, II,73; D’ADDINO SERRAVALLE, Brevi cenni in materia di eutanasia, in Legalità e giusti-zia, 1988, 314.

23 Lo spettatore alla morte ad esempio immagina di trovarsi da vivo in una si-tuazione di morte. Sull’argomento V. BAGOLINI, L’etica della simpatia nella mora-le e nel diritto, Torino, 1966. A favore di un’etica della simpatia, intesa come im-maginazione partecipante capace di farci sentire e vivere come nostra l’espe-rienza altrui, SCARPELLI, Bioetica: prospettive e principi fondamentali, in AA.VV.,La bioetica. Questioni morali e politiche per il futuro dell’uomo, Milano, 1991, 47.

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Questa base psicologica è del tutto eccezionale e peculiare di una si-tuazione non paragonabile ad alcuna fattispecie penale prevista dalnostro sistema, proprio perché i presupposti psicologici sono tali dainvertire il segno, il significato, di un fatto terribile 24. Lo stesso fatto di«volere» la morte sembra spostare l’attenzione da un’astratta e freddavalutazione dei significati generalizzabili e simbolici, verso la ricercadei significati emotivi e personalissimi di un’esperienza fisica di tra-passo.

La solidarietà nella morte, essendo dettata da motivazioni del tuttospontanee e altruistiche, pone drammaticamente un conflitto tra valu-tazione secondo la propria coscienza e moralità (etica individuale oautonoma) e morale positiva, e tra valutazione morale e non morale(ad esempio di tipo economico) 25. Le esperienze di aiuto a morire sem-brerebbero dettate da una scelta che assume come misura l’etica auto-noma, ma che devono fare i conti con la legge dello Stato 26.

Se proprio l’amore per l’altro impone la scelta, si coglie la necessitàdi prospettare un’ipotesi interpretativa «laica» del sistema giuridico o

La simpatia quindi consente la elaborazione di una teoria, in termini psico-logico-razionali, dei sentimenti morali in cui il processo di formazione delle re-gole morali è razionale e di tipo induttivo, ma anche emozionale. Evidentemen-te emerge nel processo simpatetico in maniera dominante ed esclusiva l’indivi-dualità sentimentale dell’osservatore, che riflette certamente il c.d. self-love eself-interess, cioè la propria concezione e visione del mondo. Questo elemento dipartecipazione soggettiva dell’osservatore determina il tipo di giudizio morale edi reazione alla situazione con cui si simpatizza. La simpatia assume quindi unsignificato più ampio di altre parole che esprimono anch’esse sentimenti di par-tecipazione al dolore altrui, quali la pietà o la compassione o la solidarietà, es-sendo solo una teoria che spiega la nascita dei sentimenti e degli atteggiamentimorali, senza assumere una connotazione necessariamente positiva.

24 Questo sentire all’unisono – quello altruistico del benefattore e quello delbeneficiario – pone un problema di apparente conflitto tra due aspetti del mede-simo principio – la c.d. regola aurea – ed in particolare tra la parte negativa delprecetto, che vieta di cagionare danno ad altri, e quella positiva, che prescrive ildovere di fare del bene.

25 MAGRO, Etica laica e tutela della vita umana: riflessioni sul principio di lai-cità in diritto penale, in Riv. it. dir. proc. pen., 1994, 1382.

28 È stato affermato che, eccetto i casi in cui vi siano caratteristiche persono-logiche abnormi, l’eutanasia, ossia l’uccisione per pietà, difficilmente possa es-sere oggetto di studio criminologico, dal momento che la condotta ausiliatriceper pietà – pur essendo immersa nella caligine della norma penale – costituisceun’ipotesi paradigmatica collocabile al di fuori dei confini oggettuali della scien-za criminologia. È difficile per il criminologo trovare un’etichetta delinquenzia-le per chi, agendo nell’ambito di un proprio sentire, s’imponga la drammaticaesperienza di fornire aiuto alla soppressione di un proprio simile pietatis causa,così SCLAFANI-GIRAUD-BALBI, Istigazione o aiuto al suicidio, Napoli, 1997, 96-97.

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una progettazione di esso coerente con la premessa, per prevedere mar-gini di libertà e liceità in ordine a scelte dettate dalla propria etica 27.

L’attuale dibattito giuridico sull’argomento presenta rispetto alletrattazioni passate, un’inversione di impostazione metodologica:l’aspetto pre-giuridico, anche ideologico, non costituisce il puntoconclusivo della riflessione, ma al contrario il punto di partenza. Sirealizza così una parabola opposta a quella tracciata con la promo-zione dell’indirizzo tecnico-giuridico, che vedeva un limite dellascienza giuridica nella commistione con le scienze sociali, filosofi-che, empiriche, e che relegava la questione all’interno dello statutodeontologico del professionista. Insomma l’interrogativo non è più:quanto spazio debba essere sottratto al diritto, e quanto il conflittosostanziale debba essere rimesso allo scontro interpersonale, ma vi-ceversa, come e che tipo di regolamentazione giuridica possa, inquesti settori, fornire una indicazione di principio che eviti di so-vrapporre dogmi alle volontà e valori individuali 28.

La soluzione non risiede quindi nella sottrazione alla regolamenta-zione giuridica di ambiti e settori, affinché per questa via possano go-dere di maggiore libertà. Il punto debole di questa ricostruzione è ilfalso presupposto secondo cui quanto maggiore è la sfera di libertà,tanto minore è lo spazio riservato al diritto, e la parimenti falsa equi-parazione della libertà all’assenza del diritto. Se è possibile dimostrareche l’eutanasia e le tematiche ricondotte variamente sotto questo capi-tolo riflettono scelte dell’individuo su se stesso e che esprimono un di-ritto di libertà, allora esse non vanno collocate fuori dal diritto, ma sirealizzano attraverso il diritto.

Sarebbe quindi cieca la corsa fuori dall’ordinamento, mantenendofermo un sistema giuridico, soprattutto penale, che non riesce a conte-nere le spinte sociali e individuali, e che invece sarebbe costretto a mo-

27 Per una contrapposizione tra prospettiva chiaramente religiosa, anzi di fe-de cristiana cattolica e prospettiva laica nella valutazione dell’ammissibilitàdell’eutanasia, FLORES D’ARCAIS-TETTAMANZI, La bioetica tra fede e disincanto, inMicroMega, n. 1, 2001, 31.

28 Si tratta di definire il tipo di regolamentazione giuridica, ovvero se il vec-chio il modello della neutralità assiologica del diritto, retaggio del positivismo,risulti ancora soddisfacente, o non si debba invece mutare «qualitativamente» iltipo di intervento legislativo, individuando una strategia adeguata alla gestionedei nuovi poteri di intervento sulla vita umana, così VIAFORA, Introduzione. Ilconflitto delle responsabilità, in Quando morire? a cura di VIAFORA, Padova, 1996,15. A favore di una regolamentazione TOMMASINI, Bioetica e Diritto: l’evoluzionedel sistema, in Recenti sviluppi in materia di bioetica. In margine al progetto diConvenzione sulla bioetica del Consiglio d’Europa, a cura di ZANGHÌ-PANELLA, To-rino, s.d., 97 ss. Sul tema, v. anche LOSAPPIO, Bioetica e diritto penale. Le disposi-zioni penali del testo unico della proposta di legge sulle tecniche di procreazione as-sistita, in Indice pen., 1999, 593.

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29 È netta la sensazione che il sistema penale vigente, e la sua dogmatica, nonriescano a fornire una risposta convincente a tali dilemmi: ora deve chiarirsi seè sul nesso di causalità attiva o omissiva che occorre riflettere, o sui limiti all’ob-bligo di impedire l’evento nei reati omissivi impropri, o sulla colpevolezza, o seinvece l’antigiuridicità sia la categoria più consona a risolvere il conflitto cosìevidente tra legge e giustizia sostanziale.

30 Secondo il modello liberale la scienza giuridica, e la scienza in generale, silimitano a descrivere la realtà, senza valutarla ideologicamente, perseguendo unobiettivo di riduzione della complessità mediante l’elaborazione di categorie econcetti generali, al fine di ridurre le antinomie e di assicurare razionalità e coe-renza interna al sistema. Questo modello di dogmatica è di tipo statico, perchétende alla conservazione del sistema e a legittimare l’esistente. La dogmatica sta-tica non favorisce un mutamento dell’ordine costituito. Non è flessibile o aperta,non riesce a governare i casi di confine. I fattori dinamici del sistema giuridicosarebbero quindi affidati alla giurisprudenza, che si orienta ai casi pratici e alleloro conseguenze. Per queste riflessioni sulle funzioni della dogmatica penale esui rapporti con l’applicazione giudiziaria nei c.d. «casi difficili», V. DONINI, Dog-matica penale e politica criminale a orientamento costituzionalistico. Conoscenza econtrollo critico delle scelte di criminalizzazione, in Dei delitti e delle pene, 1998, 37.

31 «È di chiara evidenza l’inidoneità delle tradizionali categorie giuridiche adescrivere la questione differenziandola da altre che pure sono affini, ma chenon esprimono lo stesso significato o disvalore del caso»; in tal senso BRICOLA,Vita diritto o dovere: spazio aperto per il diritto?, in Vivere: diritto o dovere, cit.,213. V. anche GARAVELLI, Delitti contro la persona, in Giurisprudenza sistematicadi diritto penale a cura di BRICOLA-ZAGREBELSKY, II, Torino, 1984; MARINI, Delitticontro la persona, Torino, 1996.

dificarsi, anche recependole. Questa visione del diritto, inteso comecomplesso di regole comportamentali avulso e in possibile contrastocon le categorie del «sostanziale», e cioè con un mondo umano, non è«il diritto», ma soltanto una sua concreta e soprattutto opinabile appli-cazione storica. Pertanto non sembra che una soluzione dei c.d. «casicritici», in cui opposte e tuttavia degne motivazioni creano un’antino-mia, richieda lo sforzo di oltrepassare le maglie della legge, né che esi-stano veri «casi critici». Piuttosto, è più plausibile ritenere che le tema-tiche che coinvolgono il momento finale della vita umana mettano incrisi la dogmatica tradizionale, o meglio, un modello di dogmatica nonrispondente ad una nuova sensibilità e alle trasformazioni sociali 29. Lacrisi della dogmatica nei confronti dei casi insoliti, difficili, è quindi le-gata alla crisi della sua funzione e del potere definitorio riconosciutolesecondo un modello di neutralità descrittiva della realtà, che divienefattore di immobilismo del sistema, e non soddisfa le esigenze più so-stanzialistiche 30. Nelle problematiche di confine, quelle cioè che met-tono in crisi i paradigmi consolidati della scienza giuridica, si sentel’inadeguatezza di un metodo fondato sulla deduzione dei principi con-solidati, e la necessità della ricerca di soluzione alternative 31.

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La ricerca di una soluzione giuridica ai numerosi problemi che l’eu-tanasia pone si scontra con l’estrema difficoltà di conciliarsi con il di-ritto positivo ed un certo modulo interpretativo delle norme vigenti: lalegislazione penale lascia intatta la previsione che il valore della vita ècomunque intangibile ogni istante e da parte di chiunque, anche per ilsoggetto interessato. L’interprete è quindi costretto a collocare le di-verse problematiche in un quadro legislativo inadeguato che, anche seinterpretato nel modo più benevolo, non riesce a fornire uno spazio diliceità a tali fenomeni, rendendo praticamente eufemistico, in terminidi diritto vigente, un discorso sulla liceità dell’eutanasia 32.

32 Si consideri infatti che anhe l’applicabilità dell’attenuante dei motivi diparticolare valore morale o sociale, così come in generale le altre attenuanti, cheera già affermata nei lavori preparatori (Relazione ministeriale al Progetto defi-nitivo, II, 374) e dalla dottrina prevalente dell’epoca, SALTELLI-ROMANO-DI FALCO,Commento teorico pratico al nuovo codice penale, II ed., IV, Torino, 1940, 252;MANZINI, Trattato di diritto penale italiano, a cura di NUVOLONE-PISAPIA, V ed.,VIII, Torino, 1985, 106, è stata negata dalla prevalente giurisprudenza, anchequando la fattispecie richiamata fosse quella dell’omicidio comune. Così recen-temente, SEMINARA, Riflessioni in tema di suicidio e di eutanasia, in Riv. it. dir.proc. pen., 1995, 709.

In questo senso, Corte di assise di Catania, 24 ottobre 1977, in Giur. merito,1978, 1211, con riferimento ad un caso di parricidio su richiesta della vittima. Silegge nella sentenza che la cosiddetta eutanasia, quale esigenza di porre terminealle altrui sofferenze con la morte, poiché infrange il nesso di proporzione e di ade-guatezza con la primaria esigenza di rispetto della vita umana, non può integraregli estremi dell’attenuante, a causa della sua strutturale incompatibilità con la fat-tispecie di omicidio, posto che ogniqualvolta si tratti di cagionare l’interruzionedella vita umana, necessariamente subalterna e di minor rango è l’esigenza di por-re termine alle sofferenze. L’orientamento giurisprudenziale negativo è stato in so-stanza argomentato affermandosi che la considerazione dei motivi è già compre-sa nella cornice edittale dell’art. 579; ne segue pertanto che l’applicazione di que-sta più mite fattispecie esclude l’attenuante in questione. Allo stesso modo, la Cass.24 aprile 1953, aveva negato che in tema di omicidio del consenziente, potesse tro-vare applicazione l’attenuante di cui all’art. 62, n. 5, relativa al concorso del fattodoloso della persona offesa, motivando che l’avere la vittima con il suo consensoconcorso alla produzione dell’evento costituisce un elemento costitutivo del reato.La massima della sentenza è riportata in BARNI-DELL’OSSO-MARTINI, Aspetti medico-legali e riflessi deontologici del diritto a morire, Riv. it. med. leg., 1981, 69.

Anche la Corte di cassazione ha ribadito l’orientamento rigoristico, con que-ste argomentazioni: l’attenuante deve essere ispirata esclusivamente a scopo al-truistici e non a motivi personali, neppure concorrenti, che devono corrisponde-re a finalità e principi i quali ricevano l’incondizionata approvazione della so-cietà in cui agisce chi tiene la condotta criminosa in quel determinato momentostorico: tali circostanze non ricorrono in quanto le discussioni tuttora esistentiin proposito denotano la mancanza di un generale suo attuale apprezzamentopositivo, risultando larghe fasce di contrasto nella società italiana contempora-nea, così Cass., Sez. I, 7 aprile 1989, in Cass. pen., 1991, 1178 con nota di GARA-

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Ed infatti, fino a epoca recente i pochi drammatici casi che hannoimpressionato l’opinione pubblica poco avevano a che vedere conquelle situazioni che fanno riferimento all’uso attuale del termine eu-tanasia, soprattutto con riferimento alla difficoltà di individuare un ef-fettivo consenso della vittima 33. Nell’applicazione giurisprudenziale

VELLI, Eutanasia e attenuanti del motivo di particolare valore morale, ivi, 1780;BELLOTTO, Il «particolare valore morale» della disperazione, cit., 215.

33 Tra le più risalenti, va ricordata la sentenza della Corte di Cassazione del18 novembre 1954 che, dopo aver ribadito che la responsabilità per omicidiosussiste anche quando la morte sia stata cagionata a persona affetta da malattiainguaribile, per sottrarla a soverchianti sofferenze, condannò l’imputato per ilreato di omicidio del consenziente, modificando la sentenza della Corte di assi-se di primo grado, che aveva riconosciuto l’imputato colpevole del più grave de-litto di omicidio comune, Cass. 18 novembre 1954, in Foro it., 1955, II, 152 ss. Lasentenza si caratterizza per una posizione di accesa condanna verso l’eutanasiae per una netta affermazione della vita umana come valore che trascende la sfe-ra individuale per assumere una dimensione collettiva, ma si conclude per iltrattamento più mite per l’imputato ex art. 579 c.p., norma che presuppone unarigorosa dimostrazione che l’infermità che affligge il sofferente non abbia deter-minato una deficienza psichica tale da doversi ritenere invalido il suo consenso,pur concedendo le attenuanti generiche e quella concernente i motivi di pietà dicui all’art. 62, n. 1.

Altro famoso caso in cui la giurisprudenza fu costretta a forzare il dato nor-mativo, riguarda una straziante vicenda di uccisione di un giovane affetto daidrocefalia congenita da parte dello zio cui era affidato. La vicenda descrive unrapporto di grande affetto e di forti legami emotivi: il nipote era stato abbando-nato dalla stessa madre, e l’imputato aveva sacrificato anche il proprio lavoro perdedicarsi al malato, il quale richiedeva ormai cure continue. Questi, ormai incondizioni di grandissimo disagio psicologico, a causa della consapevolezza delproprio stato, aveva avuto reazioni aggressive anche contro colui che lo aveva inaffidamento. Il giovane idrocefalo, chiedeva di morire espressamente o comun-que esprimeva questa grande disperazione. Nonostante le risultanze di una peri-zia, sulla base di indagini strettamente clinico-psichiatriche, secondo cui la vitti-ma dell’omicidio fosse affetta da grave insufficienza mentale, la Corte di assise diRoma con decisione del 25 febbraio 1984, affermò la validità di quel consenso,implicito, o tacito, prestato dalla vittima, in quanto dotata di una capacità intel-lettiva elementare, Ass. Roma, 10 dicembre 1983, in Foro it., 1985, 489, con notadi LANZA; Ass. Roma, 10 dicembre 1983, in Giur. merito, 1986, 143 con nota criti-ca di DINACCI, L’omicidio del consenziente in una equivoca sentenza della Corted’Assise di Roma, ivi, 146; in Riv. it. med. leg., 1987, 201, con nota di INTRONA, Omi-cidio del consenziente ed analisi psichiatrico forense della validità del consenso.

In altri casi la giurisprudenza di merito ha escluso la capacità di intendere edi volere in capo al reo, con riferimento a situazioni più che altro riconducibiliagli stati emotivi e passionali dell’agente, essendo caratterizzate da una fortecomponente emozionale di colui che agisce, determinata dal grave stato di sof-ferenza psichica della vittima. Così VIROTTA, I mostri, gli incurabili e il diritto al-la vita, in Arch. pen., 1963, 212. In giurisprudenza, Cass. 15 luglio 1932, in Foro

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italiana la situazione che in passato ha chiamato giustizia è poco vici-na a quella che si assume come oggetto di indagine, che costituiscel’esito nell’ambito di un trattamento terapeutico 34.

Allora si profila come obbligata la ricerca di soluzioni radicali cheprevedono una riformulazione e revisione di alcune norme penali. Laquestione dell’eutanasia, ovvero del riconoscimento di un diritto mo-rale a morire come diritto positivo, se non è affrontata assumendo unaprospettiva critica che rischia persino di scardinare il sistema vigente,pone di fronte ad un percorso obbligato che conduce a risultati preve-dibili e forzati. Ciò accade perché essa costituisce la punta di un ice-berg dietro cui si nasconde la fondamentale questione che attiene al si-gnificato della tutela giuridica della vita umana. Da questo deriva l’im-possibilità di affrontare la questione in modo non radicale, isolata-mente, indipendentemente da una ricerca delle ragioni antiche e at-tuali che legittimano tali norme penali 35.

4. Nuovi profili di tutela penale della vita umana

Alle radici di un sistema giuridico si individuano matrici di pensie-ro che ne costituiscono il fondamento di legittimazione e ne esprimo-no il significato profondo. In tema di tutela della vita dell’uomo più chemai è intricata ma necessaria la ricerca di queste ragioni, avvertendo-si l’esigenza di pervenire ad una chiarificazione epistemologica delconcetto di vita, della sua titolarità, delle valutazioni delle implicazio-

it., 1932, 346 con nota di SEVERINO, che riconosce il vizio parziale di menteall’imputato autore di un omicidio con il consenso della vittima. Sul punto an-che VANNINI, Istituzioni di Diritto penale, Firenze, 1939, 103.

34 Infatti l’uso del mezzo violento contraddice la premessa, ossia di voler at-tenuare le sofferenze; spesso l’autore che si fa protagonista di questo dramma èun familiare il quale interviene in uno stato di sofferenza psichica, piuttosto chefisica, ben diversa da quella in cui giace il malato terminale vicino alla morte.Recentemente, alcuni casi hanno avuto una forte risonanza pubblica, testimo-niata dalla recente cronaca giornalistica; in proposito, CAMON, Quell’agonia sen-za fine non è vita, in La Stampa, 14 giugno 1994, 16; ZUCCON, Caro giudice: ho 15anni, fammi morire, in La Stampa 14 giugno 1994, 1.

35 Così HOERSTER, Rechtsethische Überlegungen zur Freigabe der Sterbehilfe, inNJW, 1986, 1786; ID., Rechtsethik der Sterbehilfe, in Sterbehilfe in der Gegenwart,a cura di ATROTT-POHLMEIER, Regensburg, 1990, 55.

Cfr. LACKENER, Erfahrungen aus einem Seminar über die Reform der Strafvor-schriften zum Schutz des Lebens, in JZ, 1977, 502; HERZOG, Der Schutz des Lebensim Strafrecht, Frankfurt am Main, 1997; LABER, Der Schutz des Lebens im Stra-frecht, Frankfurt am Main, 1997; LECALDANO, Bioetica, cit., 53.

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ni pratiche della sua tutela in termini di ricaduta sociale 36. Proprioquesta riflessione sul valore della vita (cioè che tipo di valutazione at-tribuire ad essa: in sé o in quanto strumentale al benessere) è al centrodel dibattito bioetico 37.

Due sono le impostazioni che grosso modo si contendono il campo,

36 V. recentemente, MAFFETTONE, Il valore della vita. Un’interpretazione filoso-fica pluralistica, Milano, 1998; ID., Dignità del morire, in Bioetica, 1999, n. 1, 74.

37 Bioetica è un neologismo che viene usato per indicare qualcosa il cui sta-tuto teorico è ancora latamente incerto e contrastato. Anche se avviato da più divent’anni, l’attuale dibattito continua infatti ad avere come oggetto primario ladeterminazione dell’identità stessa della bioetica. Con una generica espressionedi sintesi, la bioetica esprime l’esigenza di una riflessione morale su certe prati-che mediche che attengono alla fase iniziale e finale della vita e che sono legateagli sviluppi della tecnologia medica; ma le posizioni sul punto epistemologico edefinitorio sono numerose e si collocano su livelli non sempre comparabili. Leposizioni sono varie: vi è chi ritiene la bioetica essere una certa branca della fi-losofia e che il coinvolgimento del filosofo in questioni di etica applicata o di fi-losofia pratica, sia un inquinamento della purezza del discorso scientifico; altri,non escludendo che la bioetica esprima innanzitutto un’esigenza di riflessione,essendo una disciplina a carattere filosofico, la definiscono come un campo nelquale si confrontano numerose discipline, con un importante risvolto pratico.

Dunque, la bioetica vuole essere un tentativo di confronto teorico e dialetticodi tipo interdisciplinare tra scienza giuridica, scienza medico-legale e riflessioneetica su questioni che attengono alla vita e alla morte. Nel rapporto con il diritto,se per bioetica si volesse intendere solo una disciplina filosofica, verrebbero deli-neati due sistemi di valutazione distinti e di pari dignità formale, ma ciascunoestraneo all’altro. Se si assume invece la definizione di bioetica come campo diconfronto di questioni esaminate in modo interdisciplinare, cui si assegna unasorta di unità, il rapporto con il diritto diviene quello tra una parte con il tutto. Inquesti termini il rapporto tra bioetica e diritto non è di pacifica convivenza, ma ditensioni e conflitti, assai incerto nell’individuazione delle competenze reciproche,il cui obiettivo rinvia all’individuazione di un comune approccio di base. In pro-posito v. SGRECCIA, Bioetica: alla ricerca delle origine e dell’identità. Considerazionie prospettive, in Federazione Medica, 1992, 41; BOMPIANI, Bioetica in Italia. Linea-menti e tendenze, Bologna, 1992; MORI, La bioetica: che cos’è, quand’è nata, e per-ché. Osservazioni per un chiarimento della natura della bioetica e del dibattito ita-liano in materia, in Bioetica, 1993, n. 1, 115 s.; SANTOSUOSSO, Bioetica e diritto, inMedicina e diritto, a cura di BARNI-SANTOSUOSSO, Milano, 1995, 23; KUHSE-SINGER,A compassion to Bioethics, Oxford, 1998; LECALDANO, Bioetica, cit., passim. Per leposizioni di parte cattolica V. CATTORINI, Sulla natura e le origini della bioetica.Una risposta a Maurizio Mori, in Bioetica, 1994, n. 2, 325 ss. Sulle matrici teorico-culturali di questo fenomeno di integrazione reciproca, legate al dissolversi delmodello positivista e del dogma della neutralità delle scienze, v. DONINI, Dogma-tica penale e politica criminale, cit., 48 ss. Sul positivismo giuridico, BARATTA, po-sitivismo giuridico e scienza del diritto penale, Milano, 1966; CATTANEO, Positivi-smo giuridico, in Noviss. Dig. It., XIII, Torino, 1966, 315; FERRAJOLI, Diritto e ra-gione. Teoria del garantismo penale, II ed., Roma-Bari, 1990.

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e che raccolgono attorno a sé le fondamentali linee di pensiero: la dot-trina della sacralità 38 e la teoria della qualità della vita umana. L’una

38 La dottrina della sacralità, di tradizione giudaico-cristiana, rappresentasenza dubbio il principio morale ultimo sul quale il mondo occidentale ha fon-dato le proprie regole morali, conservando la propria validità di principio assio-matico anche nei sistemi giuridici moderni; sradicata dal suo originario fonda-mento teologico, essa è alla base del codice ippocratico, a testimonianza dellasua recezione nel pensiero occidentale. Alla base della nozione religiosa di sa-cralità della vita è la consapevolezza che l’essere umano è Imago Dei, e la vitaumana un dono di Dio, dotata di valore non in relazione a parametri intrinsecialla vita stessa, ma per il valore che Dio le attribuisce. L’uomo non ha sulla pro-pria vita un dominio assoluto, in quanto egli ne è soltanto un «amministratore»per il fatto che la vita, dono di Dio, rappresenta un territorio i cui confini nonpossono essere violati ed il cui accesso è di esclusiva competenza divina. Ne de-riva che la vita è un bene basilare ma non assoluto in quanto esistono beni su-periori per i quali può essere sacrificata (la gloria di Dio, la salvezza dell’animaecc.). La tradizione cristiana ammette dunque casi in cui la vita può essere toltasenza violare la legge divina, come accade nei casi di legittima difesa, di pena ca-pitale o di uccisione in guerra; eccezioni che non riducono, ma rafforzano la va-lidità del principio. V. MAGLIONA, Un percorso comune. Sacralità e qualità della vi-ta umana nella riflessione bioetica, Milano, 1996; SCHMIDT, Die Begriffe «Men-schenwürde» und «Sanctity of life» und ihre Tragweite für ethische Konfliktlagenin der modernen Medizin, in WMW, 1993, IV; KUHSE, The santicty of Life Doctrine,in Medicine. A critique, Oxford, 1987; ESER, Zwischen «Heiligkeit „ und „Qualität»des Lebens. Zu Wandlung im strafrechtlichen Lebensschtz, in Stimmen der Zeit,1982, 812; AUER, Das Recht des Menschen auf einen «natürlichen Tod» aus der Si-cht einer theologischen Ethik, in Suizid als human-wissenschatliches Problem, acura di ESER, Stuttgart 1976, 250.

Il Sinodo della Chiesa valdese (analogamente a molte altre confessioni cri-stiane riformate) si è pronunciato favorevolmente sull’eutanasia, riconoscendoil diritto del malato terminale di decidere e di realizzare condotte di suicidio as-sistito, «se praticate in un contesto di regole e controlli validi,…. costituisconoun’espressione di libertà dell’individuo», Eutanasia e suicidio assistito, DOCU-MENTO DEL GRUPPO DI LAVORO SUI PROBLEMI POSTI DALLA SCIENZA ALLA FEDE, no-minato dalla Tavola Valdese, in Protestantesimo 53, 1998, 49 e in Bioetica, 1999,n. 1, 185. Per un commento, VATTIMO, Il senso della vita, in La Stampa 27 agosto1998. Anche alcuni ecclesiastici cristiani, appartenenti all’area protestante, si so-no schierati a favore di un’attenuazione del rigore dell’etica della sacralità. Lateoria formulata dal teologo morale episcopalista J. Fletcher si fonda su una con-cezione assai duttile di bene: egli parte dall’assunto che non esistono classi diazioni assolutamente vietate, se non si fa un riferimento alle circostanze in cuil’azione si inserisce; pertanto anche il suicidio può esprimere un atto di libertà eun diritto individuale, FLETCHER, In Verteidigung des Suizids, in Suizid und Euta-nasie als human-und sozialwissenschaftliches Problem, cit., 1976, 233 ss. Anchela Chiesa riformata olandese, nella Guida Pastorale approvata dal sinodo gene-rale il 22 febbraio 1972 ha assunto delle posizioni di favore verso l’eutanasiaqualora sia finalizzata a sottrarre il paziente da una vita puramente vegetativache impedisce qualsiasi possibilità di relazione. Il documento mette in discus-

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teorizza l’assoluta intangibilità della vita umana, la seconda ne vincola in-vece la tutela alla presenza di determinate qualità. Esse si distinguono inrelazione al modo di concepire la struttura dell’agire morale e del giudi-zio morale: la dottrina della sacralità è una teoria deontologica che valu-ta le azioni umane in relazione ad una categoria del dovere e su ciò che ègiusto o sbagliato compiere per ragioni indipendenti dalle loro conse-guenze; la teoria della qualità si inserisce nel panorama delle etiche te-leologiche o utilitariste, in cui la valutazione morale di un’azione dipendedalla valutazione dei suoi risultati. Modello deontologico – sacralità dellavita umana– e modello conseguenzialista o utilitarista – l’etica della qua-lità della vita umana – sembrano partire da punti lontanissimi ed incon-ciliabili; l’uno attribuisce alla vita umana un valore costate, uniforme,sempre uguale, ma differente rispetto alle altre specie, che comporta unobbligo superiore di tutela 39; l’altro assegna alla vita umana un valore re-lativo, diseguale: dall’astrattezza del giudizio morale alla concretezza diun giudizio pragmatico che però sembra rischioso nei suoi risvolti etico-sociali, potendosi richiamare ad una valutazione in termini di costi edavere delle forti ricadute negative in termini di sicurezza sociale 40.

Questa contrapposizione teorica si rivela tuttavia da un lato, fuor-viante poiché impedisce un confronto sui temi dell’eutanasia sgombroda confusioni destate dal l’uso di argomenti destinati a suscitare rea-zioni emotive di paura e ostilità 41, e dall’altro fallace di fronte allacomplessità dei problemi etico morali, epistemologici e sociali solleva-ti dall’incedere del progresso scientifico applicato alla fase termine del-la vita umana. L’evoluzione tecnica della medicina nella rianimazionee nella lotta contro il dolore ha infatti messo in campo la possibilità diun prolungamento ad libitum della vita umana oltre le capacità fisichedel l’uomo che lascia emergere un diverso senso del «vivere», consi-

sione anche la differenziazione morale tra eutanasia attiva e passiva, propria delcampo emozionale e psicologico, ma non morale e giuridico.

39 La dottrina della sacralità riconosce al suo interno due aspetti che la con-notano: da un lato il principio dell’intangibilità della vita, che opera come pre-scrizione, regola di condotta, imponendo un dovere di protezione della vita, cuicorrisponde una speculare reazione sanzionatoria verso ogni forma di aggres-sione ad essa; dall’altro il principio dell’uguale valore di ogni vita in qualsiasicondizione, che descrive invece il carattere intrinseco del concetto.

40 Sul punto BIRNBACHER, Das Tötungsverbot aus der Sicht des klassichen Utili-tarismus, in Zur Debatte über Euthanasie, a cura di HEGELSMANN-MERKEL, Frank-furt am Main, 1991, 25.

41 MAGLIONA, Un percorso comune, cit., 30 ss.; CATTORINI, Sotto scacco. Bioeti-ca di fine vita, Napoli, 1993, 32 che definisce improduttiva la presunta opposi-zione tra sacralità e promozione della qualità della vita umana. Recentemente,per una presa di posizione a favore di un’etica laica, GENTILONI, Eutanasia, que-stione aperta, in Il Manifesto, 18 giugno 2000.

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stente nell’essere solo biologicamente vivo 42 e pone il cruciale proble-ma della possibilità di prevedere limiti all’evoluzione scientifica 43.

La capacità della scienza medica di realizzare interventi volti a sal-vare a tutti i costi la vita umana, di somministrare cure che comporta-no sì un prolungamento della vita, ma anche un’insostenibile agonia ogravi menomazioni, o di cure che appaiono sproporzionate ed eccessi-ve rispetto alle possibilità di guarigione o alle possibilità di un minimodi realizzazione della personalità del paziente, ha determinato unaprofonda messa in crisi del ruolo, ed infine del senso, della medicina.La nuova medicina può essere in grado di procrastinare la vita oltre ilmomento in cui il malato è in grado di dare a ciò che resta di essa, sen-so e valore, lasciando cadere prospettive di futura realizzazione, vitainteriore emotiva, desideri e soddisfazioni che connotano in sensoqualitativo e biografico la vita 44.

I giganteschi progressi della medicina, avendo allungato a dismisu-ra la nostra via media, comportano in tarda età il moltiplicarsi di ma-lattie che possono essere inguaribili e dar luogo, nella fase terminale, auna penosa agonia. Dunque, diventerà (o forse lo è già diventato) piùfrequente per tutti il problema di «come» morire. Questa svolta tecno-logica della medicina, paventando il rischio dell’affermarsi di una vera

42 LAMB, L’etica alle frontiere della vita. Eutanasia e accanimento terapeutico,Bologna, 1998.

43 In relazione alla possibilità di individuare invalicabili «barriere etiche» al -l’incessante avanzamento tecnico-scientifico, si è sviluppata la più recente ri-flessione bioetica, il cui obiettivo sarebbe quindi quello di individuare limiti eti-ci all’avanzamento tecnico-scientifico e al liberismo scientifico. D’altra parte, siafferma l’inapponibilità di limiti alla ricerca scientifica in ragione del suo statu-to epistemologico, fondato sul principio di libertà. Su questa contrapposizione,DONGHI, Il patto col diavolo, Bari, 1997. Secondo l’impostazione tradizionale, li-miti etici e giuridici allo sviluppo scientifico si dovrebbero trarre dai principi deldiritto naturale. In senso critico a questa operazione, MORI, Prefazione, in Bioeti-ca laica, cit., XVI, per il quale questa ricostruzione degli obiettivi e dei compitidella bioetica darebbe luogo ad una sorta di «seconda rinascita del giusnaturali-smo», sarebbe un precipitato della tradizionale etica medica, che non coglie ilsenso di una discussione e riflessione laica, pluralista, interdisciplinare sulle va-rie questioni affrontate, l’unica dalla quale può scaturire l’individuazione dieventuali limiti al progresso scientifico. Per una riflessione giuridica su questiaspetti, V. MASTROPAOLO, Il diritto alla vita e alla integrità tra biotecnica e bioetica,in Scritti in onore di FALZEA, II, Milano 1991; CHIEFFI, Ricerca scientifica e tuteladella persona. Bioetica e garanzie costituzionali, Napoli, 1993; D’AVACK, Ordinegiuridico e ordine tecnologico, Torino, 1996.

44 NOZICK, Morire, in Meditazioni filosofiche, Milano, 1984, 13; MERKEL, Ein-leitung und Teilnahme am Suizid, Tötung auf Verlangen, Euthanasie. Fragen andie Strafrechtsdogmatik, in Zur Debatte über Euthanasie, a cura di HEGSELMANN-MERKEL, 1991, 71-72.

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e propria tecnocrazia, introduce una riflessione in termini problemati-ci e non dogmatici circa la definizione degli scopi e dei limiti della tu-tela giuridica della vita umana. Si incrina la validità del modello inter-pretativo che postulava la doverosità di ogni intervento medico a favo-re della preservazione della vita umana, lasciando cadere l’idea che lavita umana sia sempre insuscettibile di comparazione dialettica conaltri interessi, un valore al di sopra di qualsiasi valutazione, se non neitermini dell’accertamento del suo inizio e della sua fine 45.

La logica vitalista, concezione secondo cui la vita è sempre bene ela morte sempre male, deve arrestarsi di fronte ad un mutamento del-la mentalità medica, che non vede più la morte come il fallimento del-la medicina, ma come il necessario ed inevitabile punto di arrivo dellecure mediche; e questa consapevolezza deve orientare fin dall’inizio lacura dei malati gravi o critici. Se la morte è un processo sì inesorabile,ma che può essere anche a lungo ostacolato, occorre chiedersi quandopermettere che la natura faccia il suo corso, e sapere a quale malattiadebba essere consentito di essere la causa della morte 46. Questo è il ri-ferimento fattuale specifico che impone un ripensamento degli obietti-vi di tutela 47: la protezione del l’uomo è necessaria non solo nella pro-spettiva «classica» di tutela dalla morte per la vita, ma anche durantequella fase della vita che conduce alla morte, ovvero da una vita biolo-

45 Questa presa di coscienza delle trasformazioni della realtà hanno influen-zato anche la dottrina della sacralità (cui corrisponde il precetto dell’intangibi-lità) che, al di là dell’apparente natura monolitica comunemente attribuitagli,conosce più recentemente diverse sfumature semantiche e definitorie, che oscil-lano da un atteggiamento di assoluta deferenza nei confronti della vita e unorientamento più permissivo che porta ad ammettere alcune eccezioni all’asso-lutezza della proibizione della soppressione di una vita umana e del dovere dipreservarla ad ogni costo. La concezione tradizionale della sacralità, fondatasull’etica religiosa, è sostenuta da SGRECCIA, Manuale di bioetica, vol. I, Milano,1994, 130. Una rielaborazione della sacralità della vita secondo una prospettivanon propriamente teologica, come espressione del rispetto per l’investimentoumano nella vita, ovvero dal valore biografico dell’esistenza individuale, si rin-viene in DWORKIN, Il dominio della vita, cit., 135 ss.

46 CALLAHAN, The Trouble Dream of life. Living with mortality, New York, 1993,13 «ciò significa che per ogni malattia seria dobbiamo porre la questione se aquesta malattia deve essere consentito di procedere e di diventare la causa dellamorte». In proposito MORI, Dal vitalismo medico alla moralità dell’eutanasia, inBioetica, 1999, n. 1, 109.

47 «Quando una malattia distruttiva renda impossibile perseguire od attuaretali valori, volere la morte è l’unica testimonianza possibile per il valore della vi-ta. Aiutare alla morte diventa un atto solidale nei confronti di un essere umanoche non può accettare il disvalore della propria vita», così SCARPELLI, Il diritto el’eutanasia, in Mondo Economico, 5 luglio 1984, raccolto in Bioetica laica, a cu-ra di MORI, Milano, 1998, 123.

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gica in modo da consentire una «propria» morte 48. Dunque non sol-tanto tutela della vita dalla morte (interruzione anticipata ed arbitrariadella propria vita), ma anche tutela della morte dalla vita (prolunga-mento sterile ed angosciante di un vita giunta a compimento).

Il compito primario – il più antico e simbolico del diritto penale– tu-telare la vita umana, assume connotazioni diverse, certamente inaspet-tate dal legislatore del millennio scorso 49. L’esigenza di tutela della vitanon è più esclusivamente focalizzata all’impedimento di atti che ne pro-vocano un’interruzione anticipata e arbitraria, in relazione ad aggres-sioni esterne, ma interferisce anche con situazioni in cui è lo stesso be-neficiario o titolare del diritto a accettarne o affrettarne l’esito finale.Emerge dunque una nuova preoccupazione circa l’esigenza di assicura-re una tutela e garanzia del processo naturale di morte da manipola-zioni volte a prolungarne eccessivamente e artificiosamente la durata, oanche di garantire la dignità dell’individuo nel morire, affinché quel cheresta ancora della propria vita possa avere un proprio significato.

È dunque ormai acquisita la consapevolezza che il diritto, luogo na-turale in cui si mettono in atto i conflitti intersoggettivi, debba intra-prendere una riflessione in termini problematici ed aperti sull’eutana-sia che non si accosti ad essa semplicemente come oggetto di com-prensione, di esplicazione, ma che individui soluzioni giuridiche im-prontate sull’etica della simpatia, del pluralismo etico, del rispetto del -l’autonomia individuale 50.

Si attua così un obiettivo di tutela dell’autonomia individuale e di sal-vaguardia della dignità umana sganciato da una visione sacrale, assolu-ta del corpo e della vita. Questo processo segna una netta trasformazio-ne degli orizzonti culturali del diritto penale, facendo assumere un mo-dello antropologico diverso, che vede l’uomo nella sua globalità, concre-tezza, autonomia, egli stesso fonte di valori, e le istanze di controllo po-ste al suo servizio, affinché si possa compiere un processo di realizza-zione e di individuazione di Sé 51. Le norme contenute agli artt. 579 e 580

48 STELLA, Il problema giuridico dell’eutanasia, cit., 1007; ESER, Möglichkeitenund Grenzen, cit., 151; BRICOLA, Vita diritto o dovere: spazio aperto per il diritto?,in Vivere: diritto o dovere?, cit., 211.

49 Così FIANDACA-MUSCO, Persona, in Digesto disc .pen., IX, Torino, 1995, 515.50 D’altra parte, l’ampiezza del diritto all’autodeterminazione del paziente ri-

spetto alle potestà del medico, invertendo l’impostazione passata di stampo pa-ternalistico, può presentare il rischio di rendere il medico un mero esecutoremateriale, in tal modo negando una intrinseca connotazione etica della medici-na, così CATTORINI, Per una filosofia della medicina, in Medicina e Morale, 1985,544; in senso critico a questa tendenza, SCORRETTI, Etica, deontologica e medici-na legale, in Riv. it. med. leg., 1990, 1155.

51 Il diritto, ed anche il diritto penale, può assurgere a strumento attraverso

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c.p. non sono poste a tutela di un dogma astratto, normativo, lontano esordo dalle esigenze concrete, ma piuttosto di un individuale interesseaffidato all’autonoma determinazione/disponibilità del suo titolare.

5. Gli obblighi di solidarietà e la c.d. tutela da se stessi

La tematica dell’eutanasia, antica quanto l’uomo, riveste uno scar-so rilievo in quei sistemi giuridici scettici o disinteressati ai bisogni in-dividuali, unicamente proiettati verso una direzione «promotrice», in-centivante delle manifestazioni sociali dell’individuo. Si delinea quindila necessità di un’indagine sul «senso» della solidarietà, sia come istan-za filosofica ed etica che come principio normativo 52. Si tratta cioè di

cui si attua un livello di «riconoscimento», quello giuridico, delle proprie opzio-ni o concezioni di bene che afferiscono ad una sfera in cui l’individuo è sovrano.L’individuazione di se stesso si realizza attraverso una rete di relazioni intersog-gettive, di riconoscimento, di approvazione, incoraggiamento, tali da sperimen-tare ed elevare il livello di fiducia in se stessi. Il diritto come strumento di affer-mazione di valori e di tutela, consente un tipo di riconoscimento generalizzato,un po’ distante, un po’ impersonale, di se stessi. Per questa interpretazione delruolo del diritto nella, HONNETH, Riconoscimento e disprezzo, Sui fondamenti diun’etica post-tradizionale, 1993, Soveria Mannelli.

52 Per una ricostruzione storica della solidarietà V. Solidarietà, in Dizionariodelle idee politiche e filosofiche, Roma, 1993, 845; Solidarietà e solidarismo, in Di-zionario delle idee, CENTRO DI STUDI FILOSOFICI DI GALLARATE, 1977. Solidarietà èespressione che si riscontra solo in via di eccezione nella terminologia normati-va e che trova le sue origini nella terminologia giuridica, indicando la situazionedi chi, creditore o debitore, può o deve sostituirsi ad altri nell’assolvimento diun’obbligazione. Essere obbligati in solido significava appunto essere vincolatiad altri con un legame così forte che ne consente la sostituzione nella posizionegiuridica. Il significato che la parola ha progressivamente assunto nel passaggiodal gergo giuridico al linguaggio comune, indica soprattutto una stretta interdi-pendenza nella quale l’agire del singolo non è motivato tanto dalle necessità in-dividuali, quanto dalle esigenze del gruppo al quale appartiene, sul presuppostodell’intercambiabilità delle posizioni. La solidarietà quindi presuppone sempreun processo di identificazione o di appartenenza ad un unico gruppo per ragio-ni varie. Con l’espressione «solidarietà» si suole dunque descrive un particolarerapporto di vincolo, di affinità di esigenze, che conduce ad una non-differenzia-zione delle posizioni del beneficiario e del benefattore; già in origine, questa re-lazione di intercambiabilità non è motivata dall’altruismo o dalla generosità gra-tuita, ma nasce, come ogni obbligazione, da valutazioni di convenienza e di ne-cessità. Il vincolo che opera come obbligazione, o giuridica o morale, trova fon-damento nella convivenza stessa, nell’appartenenza alla medesima collettività,nell’adesione al medesimo valore o credo, o da consanguineità.

Anche se il termine appare solo recentemente nel vocabolario italiano, l’idea di

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chiarire se la solidarietà debba necessariamente collocarsi nella dire-zione dell’imposizione dell’obbligo di impedire la determinazione au-tolesionista anche contro la volontà dello stesso titolare, così come lanostra tradizione giuridica e le stesse norme di diritto positivo sem-brano deporre, non essendovi «alcuna continuità tra intervento solida-ristico, volto a farsi carico della situazione di angoscia e di dolore delmalato, e il provocare la fine della sua esistenza» 53.

Ed infatti, sono numerosi gli elementi normativi che, ponendo l’ac-cento sulla componente sociale della posizione soggettiva individuale,sembrano avvalorare quest’ipotesi interpretativa, concependo la soli-darietà come imposizione autoritativa di doveri a carico del singoloma a vantaggio della collettività, come sacrificio individuale in ragionedella realizzazione del bene comune 54.

solidarietà è molto antica ed implicitamente presente nel pensiero di molti filoso-fi del passato che concepivano la società come una collettività legata da vincoli inforza del quale le singole parti collaborano in vista non tanto dei propri interessiparticolari ma in ordine all’interesse dell’entità collettiva di cui sono parte. Nel se-colo XIX invece l’idea della solidarietà si collega alla concezione marxiana dellalotta di classe nell’ambito nella teorizzazione del conflitto sociale. La solidarietàtrova valorizzazione solo se circoscritta all’interno della classe del proletariato eproposta come presupposto per la realizzazione della rivoluzione proletaria.

53 Così EUSEBI, Tra indisponibilità della vita e miti di radicale disponibilità dellamedicina: il nodo dell’eutanasia, in Quando morire? a cura di VIAFORA, Padova1996, 236-238: «l’incompatibilità di una simile condotta con l’ordinamento giuri-dico non va intesa come mera esigenza di tutela passiva di un bene pur fonda-mentale quale è la vita, bensì come opzione per una risposta di tipo solidaristicoalle condizioni individuali di sofferenza». V. anche COTTA, Sul dovere di aiuto, inDiritto Persona Mondo umano, Torino, 1989, 239; LORENZETTI, Oltre l’eutanasia el’accanimento terapeutico. Aspetti morali e giuridici, in Bioetica, 1999, n. 1, 66. Per-tanto il problema del trattamento dei morenti dovrebbe essere affrontato attra-verso la ricerca di alternative all’eutanasia, ovvero con un maggiore ricorso alleterapie del dolore e con una maggiore assistenza sul piano affettivo e psicologico.

In senso contrario, per una distinzione di piani di approccio alla questione,che riguardano l’analisi delle cause del fenomeno (la solitudine, l’ospedalizza-zione della morte, la disgregazione della famiglia parentale) sollecitando un im-pegno medico, familiare, sociale, di affetti, ecc., e quello delle soluzioni giuridi-che da individuare ai comportamenti che ne scaturiscono, sia de iure condito chede iure condendo, STORTONI, Riflessioni in tema di eutanasia, in Indice pen., 2000,477; V. anche EID, Solidarische Hilfe beim Sterben, in Sterbende brauchen Solida-rität, a cura di KRUSE-WAGNER, München, 1986, 52.

54 Il tema della qualificazione del principio di solidarietà nell’ambito delle rela-zioni giuridiche riguarda uno dei nodi più complessi dell’ordinamento, a causa del-la notevole disponibilità e polivalenza del concetto alle più contraddittorie elabora-zioni ideologiche. Nel testo costituzionale, la solidarietà è diversamente specificata:ora è riferita ai rapporti economici, ora a quelli sociali o familiari. Il significato con-serva però pur sempre contorni vaghi e sfumati, essendo un concetto utilizzabile

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La solidarietà costituzionale si caratterizza nella sua fisionomia es-senzialmente come valore forte, connotata dalla doverosità, poiché èelevata a regola giuridica, cioè è norma vincolante e coattiva: non sol-tanto con riferimento all’agire statuale, ma soprattutto rispetto all’agi-re individuale, la solidarietà è imposta come valore e principio e com-pare essenzialmente tra i doveri, ed in particolare, nell’ambito di queidoveri inderogabili che vogliono controbilanciare le posizioni soggetti-ve di diritti inviolabili, all’interno dell’art. 2 Cost. 55. Questi dati lascia-

sia nell’ambito di una relazione tra uguali, che di un rapporto diseguale, sia che sitratti di solidarietà interna, che esterna (al gruppo, alla categoria ecc.), che concer-ni il rapporto intersoggettivo tra singoli o tra gruppi, o tra singoli o gruppi e lo Sta-to. L’ambiguità e polivalenza del concetto di solidarietà dipende dal fatto che la so-lidarietà costituzionale presenta due anime che convivono tra loro, ed emergono atratti, a seconda che assuma una maggiore connotazione ora in senso cattolico osocialista. Le due concezioni affondano le loro origini nel pensiero ottocentesco,pur essendo ancora più antiche, ma sono strettamente intrecciate e compresentinel testo costituzionale. Il solidarismo cattolico è rivolto essenzialmente verso coluiche soffre e ha bisogno; è attento alle condizioni umane, ma appunto per questo èspesso venato di pietismo e compassione, esprime una svalutazione verso colui cheè più svantaggiato, e sembra presupporre un rapporto tra diseguali. La solidarietàdi connotazione socialista è invece rivolta ai membri del gruppo; è attenta alle con-dizioni sociali ed economiche, può essere caratterizzata da iniziative organizzatecoordinatamente, ma può assumere i caratteri di lotta. Inoltre può operare in sen-so orizzontale, frutto dell’iniziativa del singolo a favore del proprio gruppo, o verti-calmente, come obbligo assunto dallo stesso legislatore ma imposto anche ai sin-goli per operare una realizzazione di più equi rapporti sociali.

In proposito, LUCARELLI, Solidarietà e potere di disposizione, Napoli, 1968; ID.,Solidarietà e autonomia privata, Napoli, 1980; PERLINGIERI, La personalità umanane ll’ordinamento giuridico, Napoli, 1972; CICALA, Produttività, solidarietà e auto-nomia privata, in Riv. dir. civ., 1972, 287. Sulla solidarietà costituzionale, MA-STROPAOLO, Valori fondamentali e persona umana nell’evoluzione del diritto priva-to, in Iustitia, 1987, 193 ss; ALPA, Solidarietà, in Nuova giur. civ. comm., 1994,365; GALEOTTI, Il valore della solidarietà, in Dir. e società, 1996, 1; LIPARI, Rifles-sioni di un giurista sul rapporto tra mercato e solidarietà, in Rass. dir. civ., I, 1995,24; ID., Spirito di liberalità e spirito di solidarietà, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1997,1. Nella letteratura tedesca più risalente, sull’affermazione dello spirito di soli-darietà, BAUER, Standgefühl und Solidaritätsgefühl, Leipzig, 1929.

55 Nella Costituzione italiana la solidarietà compare già in apertura, all’art. 2che ne costituisce il più preciso fondamento normativo, là dove si riconoscono egarantiscono i diritti inviolabili dell’uomo sia in capo alla persona singola, sia inriferimento alle aggregazioni sociali; a tali inviolabili diritti corrispondono do-veri, e il dovere enunciato per primo, nell’art. 2, è proprio il dovere di solidarietà.Anche l’art. 32, secondo comma, mette in luce una accezione della salute comeinteresse individuale che può essere soccombente rispetto a quello collettivo, la-sciando intravedere il dovere solidaristico dell’individuo di mantenersi in buonostato di salute allorquando possano essere pregiudicati gli interessi generali. Mail dovere di solidarietà ricorre in modo implicito anche in altre norme costitu-

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no emergere una certa contraddittorietà di interpretazioni: da un latola Repubblica prevede e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo, e negarantisce l’inviolabilità per il collegamento a contrario con gli artt. 13e 32 Cost., dall’altro pone a carico dell’individuo nei confronti dellacollettività precisi doveri di solidarietà che hanno lo scopo di contro-bilanciare le posizioni di interesse individuale, di cui ne garantisce l’in-violabilità, al fine di salvaguardare l’interesse collettivo 56.

L’estensione dei doveri solidaristici a prescindere da concrete deter-minazioni degli interessi del beneficiario, giunge al paradosso di unatutela oggettiva della vita umana funzionalizzata al mantenimento del -l’organismo sociale e dello Stato, alla quale non ci si può giammai op-porre, e che nessuno spazio riserva alla determinazione e realizzazionedegli interessi concreti di un soggetto. Questo processo conduce ad unosvuotamento dell’idea stessa di solidarietà, che diviene imposizione, siaper il beneficiario che per il benefattore poiché, non tenendo in contogli effettivi interessi del destinatario dell’agire sociale, suppone unacondizione di subalternità di colui che ha bisogno rispetto a colui cheassume la cura dei suoi interessi 57. Tutto ciò coincide con una costru-

zionali, quali ad esempio l’art. 3, secondo comma; gli artt. 52 e 54. con riferi-mento ai doveri di difendere la patria; là dove si prescrive il concorso dei citta-dini al progresso materiale e spirituale della società (art. 4 Cost.). Con riferi-mento alle relazioni economiche, gli artt. 41-44). Solidarietà si offre allo stra-niero che eserciti il diritto di asilo (art. 10); e laddove si ripudia la guerra comestrumento di offesa alla libertà degli altri popoli, in funzione della pace e dellagiustizia tra le nazioni (art. 11); si esprime al reo con l’idea rieducativa della pe-na (art. 27); si manifesta alle famiglie bisognose e numerose (art. 31) e alle fa-miglie che debbano provvedere all’educazione scolastica dei minori (art. 34, ter-zo comma); solidarietà si esprime agli emigrati, alla donna lavoratrice (art. 37)agli inabili al lavoro e ai minorati (art. 38).

56 Questa contrapposizione di diritti inviolabili e libertà individuali, e al con-tempo, quasi fossero complementari e un pendant, di doveri inderogabili di soli-darietà politica, economica e sociale, che ne costituiscono una limitazione, lastessa enunciazione di «doveri» di solidarietà in capo al singolo individuo, sem-bra individuare come prevalente l’ipotesi di modello interpretativo solidaristicoche grava maggiormente a carico dell’individuo, ben oltre l’imprescindibile esi-genza di socialità e relazionalità, e che risponde piuttosto ad una visione vertica-le in cui è l’individuo ad essere gravato da una posizione soggettiva di svantaggio.In tal senso Corte Cost. n. 47 del 1969, Corte Cost. n. 35 del 1981, Corte Cost. n.127 del 1983 e Corte Cost. n. 364 del 1988.

57 Così RICOSSA, I pericoli della solidarietà. Epistole sul dosaggio di una virtù,Milano, 1993; MANCONI, Solidarietà, egoismo, Bologna, 1990; RORTHY, Kontin-genz, Ironie und Solidarität, Frankfurt am Main, 1989.

Le maggiori obiezioni tradizionalmente mosse alla previsione di obblighigiuridici di solidarietà concernono i seguenti argomenti: la difesa della libertà dicolui che è obbligato ad agire solidarmente; gli effetti negativi che si ripercuoto-no sulla capacità autodifensiva del singolo; la strutturale indeterminatezza ed

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zione paternalistica degli interessi individuali in relazione a ciò che siassume essere il «vero» ed autentico interesse, secondo un ordine di va-lori oggettivo e normativo, anche se in contrasto con quanto l’indivi-duo, apparentemente ed erroneamente, reputa sia meglio per sé 58. Que-sta tutela incondizionata ed assoluta della vita contro la volontà del ti-tolare non consente di differenziare situazioni concrete e asservisce latutela penale a dogmi astratti ed inafferrabili, a categorie normativecrudeli, lontane e indifferenti alla realtà e all’uomo.

Nel dibattito sull’eutanasia, il divieto di disporre della propria vitaviene fatto risiedere nell’esigenza di impedire un danno irreversibile,provocato dallo stesso soggetto agente con l’interruzione della vitaumana, la cui gravità sarebbe ben maggiore rispetto alla frustrazioneinflitta alla sua autodeterminazione con le norme di impronta pater-nalista. La scelta di porre fine alla propria vita, di autodanneggiarsi, dirifiutare le cure o di lasciarsi morire viene letta in questo contesto diordine di valori sovraordinato, come immeritevole di tutela, perchéastrusa, incomprensibile, priva della dignità di una «libera e vera» vo-

incoercibilità dei doveri morali (c.d. doveri imperfetti), che a differenza di quel-li giuridici non sono giustificati dall’esigenza di prevenire un’ingiustificata ag-gressione della sfera di libertà altrui, SEELMANN, Solidaritätspflichten im Strafre-cht, in Recht und Moral, a cura di JUNG-MÜLLER DIETZ-NEUMANN, Baden Baden,1991, 295-298.

58 Con il termine paternalismo nella filosofia e pubblicistica politica vengonodesignate le scelte di politica legislativa che comportano limitazioni della libertàindividuale in considerazione di un presunto interesse di un individuo, anche sequesti ritiene la limitazione contraria ai suoi bisogni e non acconsente ad essa.Molte norme di diritto positivo presentano un’impronta paternalista, quandoproibiscono una condotta autolesionista o obbligano a certi comportamenti infunzione di una migliore e più efficace tutela degli interessi esclusivi del destina-tario. Si annoverano alcune norme penali: istigazione o aiuto al suicidio, omici-dio del consenziente, norme sull’uso di sostanze stupefacenti, ma anche le nor-me sull’uso di cinture di sicurezza o del casco di protezione, le prestazioni sani-tarie obbligatorie. In proposito v. la legge 11 gennaio 1986, n. 3 e la legge 18 mag-gio 1988, n. 111 che prevedono l’obbligo del casco protettivo e di utilizzare le cin-ture di sicurezza. Per quanto concerne la questione della liceità dell’assunzionedi sostanze stupefacenti, sorta a seguito dell’introduzione della legge 26 giungo1990, n. 162, PALAZZO, Consumo e traffico di stupefacenti, II ed., Padova, 1994.

Sul punto, LEIST, Autonomia e giustizia, in Questioni di bioetica, a cura di RO-DOTÀ, 1993, Roma-Bari, 1993, 19; COSENTINO, Il paternalismo del legislatore nellenorme di limitazione dell’autonomia dei privati, in Quadrimenstre 1993, 119;FEINBERG, Legal Paternalism, in Canadian Journal of Philosophy, 1971, 105;DWORKIN, Paternalism, in The Monist, 1972, 64. Per l’uso politico di «paternali-smo», vedi MATTEUCCI, Paternalismo, in Dizionario di politica, a cura di BOBBIO-MATTEUCCI, Torino, 1976, 712. Sul paternalismo quale metafora del patto,ovveroargomento strutturale della teoria della politica, RESTA, Metafore del patto, inStudi in onore di Tarello, II, Milano, 1990, 387.

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lontà 59. L’esigenza della tutela oggettiva di interessi individuali di mas-simo rango costituisce il fondamento di legittimazione dell’interferen-za della legge – altrimenti intollerabile – nella sfera decisionale priva-ta, sia contro sia in luogo del volere dell’interessato 60.

Si evidenziano dunque i limiti concettuali legati agli aspetti struttu-rali e al significato originario dell’idea di solidarietà che, se concepitacome sinonimo di empatia, ossia come partecipazione emotiva al dolo-re altrui, scaturisce da un processo identificativo, ovvero dall’individua-zione e appartenenza ad una cerchia, di un ambito entro il quale opera.Il meccanismo emozionale della solidarietà presuppone sempre che ildestinatario della nostra empatia o solidarietà sia già o possa diventare«uno di noi», possa omogeneizzarsi al gruppo. In sostanza la solidarietàesprime la tensione di elaborare una teoria che fonde insieme interessepubblico e privato, che vede un interesse privato e individuale nella rea-lizzazione di interessi pubblici, pur rimanendo ancorata ad una con-trapposizione tra i due ambiti, poiché presuppone un senso di apparte-nenza, un’identità, anche di ideali, che devono essere approvati, per es-sere partecipati 61. In questa accezione orizzontale, avviene che agendo

59 Nella letteratura tedesca la tesi è nota come Schutzplichtenlehre, in propo-sito V. HILLGRUBER, Der Schutz des Menschen vor sich selbst, München, 1992,142; SCHWABE, Der Schutz des Menschen vor sich selbst, in JZ, 1998, 66. V. anche.ENGELHARDT, Manuale di bioetica, Milano, 1991; NEUMANN, Deontologische und te-leologische Positionen in der rechtlichen und moralischen Beurteilung von Ster-behilfe und Suizidteilnahme, in Recht und Moral, a cura di JUNG-MÜLLER-DIETZ-NEUMANN, 1991, 393; ID., Moralphilosophie und Strafrechtsdogmatik, in ARSP,1990, 248; SCHMITT, Strafrechtlicher Schutz des Opfer vor sich selbst? in Festsch-rift für Maurach, 1972, 113.

60 Il paternalismo esprime un modello di giustificazione autonomo e distintosia rispetto quello del moralismo giuridico (che identifica il diritto con la mora-le, o viceversa la morale con il diritto) che quello della dannosità sociale, perchéprescinde sia da una criterio di valutazione deontologico e normativo (la mora-le) che da un criterio di valutazione utilitarista (il danno provocato ad altri nelcoinvolgimento intersoggettivo), DICIOTTI, La giustificazione paternalista di nor-me, in Studi senesi, 1988, fasc. I, 76; ID., Il principio del danno in diritto penale, inDir. pen. proc., 1997, 3, 367. Secondo il principio del danno, i comportamenti dapunire non sono quelli che astrattamente ledono un determinato bene giuridicoo che violano norme morali e religiose accolte dalla società, ma solo quelli checausano un danno ad individui diversi dal soggetto agente. Il maggior teorico delmodello che pone il principio del danno ad altri come unico principio capace diprodurre giustificazioni accettabili di una limitazione della libertà ed esprime,conseguentemente, la non accettabilità di norme ed interventi coercitivi con fi-nalità diverse da quelle enunciate, fu MILL, Saggio sulla libertà, Milano, 1981.

61 DE LUCAS, Toleranz und Solidarität als Legitimitationsprinzip, in Öffentlichoder Private Moral?, Festschrift für Garzon Valdes, 1992, Berlin, 395.

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solidarmente, si tende a soddisfare non tanto gli interessi del destinata-rio, ma del gruppo di appartenenza del benefattore.

L’accentuazione di questi aspetti può spiegare l’ostilità per una cer-ta forma determinata storicamente di solidarietà, che non significaostilità verso la solidarietà in quanto tale. Questa concezione orizzonta-le, che agisce entro un gruppo, che serve a cementare il gruppo e l’unitàdi esso, contrapponendo gli interessi del gruppo a quelli ad esso estra-nei, presuppone l’individuazione di confine entro il quale operare, na-sce quindi da un senso di identità, che può essere, per ipotesi anche co-mune a tutti, ma che conserva in nuce aspetti di conflittualità, quantopiù si restringono i confini del gruppo entro il quale agisce, e quantomeno universale è la concezione di bene assunta dal gruppo di apparte-nenza del benefattore, il vero «destinatario» dell’atto di solidarietà 62.

Questo modello di solidarietà, lontano dall’etica religiosa, lascia in-travedere una concezione della persona e delle libertà strumentale e su-bordinata agli interessi superiori dello Stato, in relazione alle capacitàproduttive e riproduttive di ciascuno; dunque una concezione della per-sona umana ontologicamente fondata, come valore funzionale alla rea-lizzazione di interessi generali della produttività economica, della dife-sa, della coesione e riproduzione del gruppo, il cui significato risiedenel fatto di essere parte di una vita piena, realizzata e soddisfacente 63.La spinta al sacrificio a favore di chi soffre è trasformata in imposizio-ne, in cinico strumento di sottomissione e controllo dell’interesse indi-viduale a quello collettivo, che conduce all’ipocrisia. Si individuano per-tanto le premesse alla base dell’interpretazione delle libertà individualicome posizioni giuridiche che trovano limite nelle autodeterminazionivolte a sopprimere i presupposti per l’esercizio di esse, come posizioniirrinunciabili ed intangibili anche dallo stesso titolare, veri e propri di-ritt-doveri alla vita, alla salute, al lavoro, che si sottraggono alle possi-bilità di costituire, come dovrebbero, lo strumento attraverso cui mani-festare liberamente la propria personalità. Tale costruzione assume

62 Il punto cruciale attiene alla individuazione del centro di interessi dell’attodi solidarietà e alla perdita dei caratteri di spontaneità che caratterizzanol’adempimento degli obblighi morali. Il pericolo della solidarietà è insito nelladefinizione come imposizione di un sacrificio in funzione di interessi altrui cherichiede il ritorno di vantaggi il cui beneficiario non è però colui che si attiva (ilche è escluso per definizione, sarebbe altrimenti egoismo), e neppure il destina-tario dell’atto di solidarietà, ma l’intero gruppo. La solidarietà, elevata a regoladel gruppo, presuppone una implicita posizione di differenziazione nei confron-ti di colui che non fa parte della collettività, divenendo settoriale ed egoistica,unilaterale e discriminatoria.

63 In nome di una pretesa dignità assoluta della natura umana si vuole limi-tare la libertà individuale di ciascuno di dare senso e dignità in modo del tuttoautonomo alla propria vita, così LECALDANO, Bioetica, cit., 64.

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quindi come mistificante e priva di senso qualsiasi pretesa di vita indi-viduale distinta da quella della totalità. La solidarietà, mista a paterna-lismo, prevede solo la possibilità di fornire un aiuto a vivere, ostacolan-do la scelta di morte, ma giammai un aiuto a morire 64.

Tuttavia questa base di legittimazione all’intervento penale sembraporsi in netto contrasto con una concezione ormai radicata negli ordi-namenti giuridici moderni, che individua nel rispetto dell’autonomiaindividuale nella determinazione dei propri interessi un obiettivo eleva-tissimo della società civile e che vieta solo quelle condotte che cagiona-no ad altri offese: ne segue che negli ordinamenti giuridici improntatisu queste istanze, le norme limitative della libertà personale si giustifi-cano solo in relazione alla loro dannosità sociale e al l’esigenza di impe-dire offese altrui, e non in ragione di una tutela oggettiva della stessa 65.

64 MERKEL, Einleitung und Teilnahme am Suizid, cit., 72. Il modello paternali-sta non accorda alcuna considerazione alle condizioni concrete in cui si trova l’in-dividuo, né alla sua personale valutazione su ciò che costituisce suo interesse odanno. Infatti nelle argomentazioni paternaliste i concetti di danno ed interesse siriferiscono ad oggetti dotati di un’uniformità sovraindividuale che non sono ca-ratteristici di un concreto individuo, ma che sono costruiti sulla base di argomen-tazioni morali secondo un assetto di valori oggettivo. Conseguentemente, nellenorme che esprimono una forte esigenza paternalista dello Stato si verifica unconflitto tra ciò che il destinatario dell’intervento assume essere proprio interessee danno, e una valutazione del suo interesse e danno oggettiva, secondo standarddedotti dalla morale sociale o collettiva. Si badi però che questa considerazione,relativa all’artificiosità della distinzione concettuale tra danno ed interesse, mettein discussione non soltanto la giustificazione paternalistica di norme, ma anchequella risalente della prevenzione del danno ad altri. Infatti anche la nozione didanno presuppone una preesistente definizione di ciò che costituisce vantaggio eciò che costituisce sacrificio o danno. In poche parole, si obietta che i concetti didanno e di interesse, essenziali per l’argomentazione paternalista, risulterebberocostruiti su una serie di valutazioni morali, che assumono a riferimento la mora-le positiva, e si disinteressano delle eventuali concezioni morali personali dei de-stinatari delle norme, in tal modo rendendo la giustificazione paternalista sprov-vista di peculiarità rilevanti rispetto al quella moralistica. Se infatti il concetto didanno è un concetto valutativo costruito su standard morali, che varia al variaredi essi, a risultare inutile o fuorviante non è solo la nozione di paternalismo, maanche quella di danno ad altri. Pertanto le giustificazioni paternalistiche si diffe-renziano da quelle moralistiche se con esse si fa riferimento a concetti di interes-se e di danno determinati non secondo standard sociali, ma secondo ciò che il de-stinatario dell’intervento paternalistico ritiene essere proprio interesse o propriodanno. Così DICIOTTI, La giustificazione paternalistica, cit., 87 ss.

65 In realtà, l’attuale dibattito sul ruolo paternalistico dello Stato ha presentequesta acquisita sensibilità verso l’autonomia individuale come valore dotato dipropria dignità. Il dibattito si è sviluppato riprendendo una distinzione, già no-ta in passato, tra due forme di paternalismo: debole e forte La differenziazione èsulla base della presunzione di incapacità dell’individuo ad attendere ai propri

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L’obiettivo della solidarietà deve oggi essere inserito all’interno diun contesto culturale improntato sul pluralismo etico-ideologico, sulvalore della diversità e sul parametro della dignità umana. In questaprospettiva, quella concezione della solidarietà è destinata a tramon-tare, perché ciò sovvertirebbe l’ordine delle priorità, che vede invecel’individuo al centro del sistema 66. La nozione di solidarietà costitu-zionale è essenzialmente umana, poiché costruita sulla base dell’istan-za della tutela della persona, intesa come insieme di corpo e anima,che assume il rango di sommo principio politico e giuridico 67. Quindianche la stessa contrapposizione tra diritti e doveri, la concezione chevede i doveri costituzionali con funzione limitatrice dei diritti, è desti-

interessi (assoluta in quello forte e relativa in quello debole) e conseguentemen-te della titolarità del relativo potere di determinazione. Nell’un caso l’autoritàcompetente a definire ciò che costituisce «interesse individuale» è esterna al sog-getto, nell’altro è il soggetto stesso. Nella versione debole, l’intervento paternali-stico tende a rispettare il più possibile l’autonomia dell’individuo e ad agire insuo favore e a suo nome qualora si verifichi una situazione di effettiva limita-zione della sua autonomia. La situazione di concreta incapacità, intesa comecondizione di «minorata difesa» che impedisce di gestire efficacemente ed auto-nomamente i propri interessi, costituisce quindi il fondamento legittimativo dinumerose norme paternalistiche deboli del codice penale, quali ad esempio lacirconvenzione di incapaci, l’usura, ecc. Questo paternalismo si designa anchefiduciario poiché la titolarità del potere decisionale del terzo è fondata sul ri-spetto della volontà ricostruita ipoteticamente del soggetto che si trova in una si-tuazione di limitata capacità di giudizio, ed in virtù dell’autorità attribuita da co-stui. Verso la forma «debole» di paternalismo le ostilità sono minori: si ritieneche solo apparentemente interferisca con il libero esercizio della volontà, poichéil fondamento di tale intervento risiede proprio nella necessità di apprestare tu-tela a quella volontà che il soggetto concretamente non è in grado di esprimereo non è nelle condizioni di poter esprimere.

66 È infatti opinione sostenuta che l’art. 2 Cost. debba essere interpretato al piùcome norma riassuntiva dei doveri costituzionali singolarmente e specificamenteprevisti, e nei limiti consentiti da tali doveri. Come del resto è confermato da undato testuale. Il collegamento tra le tre diverse forme di solidarietà, politica, eco-nomica e sociale, determina una categoria unica di doveri in senso proprio, in cuil’elemento politico assume la funzione di principio costante di individuazione. Leulteriori specificazioni della solidarietà, come economica e sociale, sono volte adevidenziare la rilevanza di tali obblighi e del principio solidaristico nell’ambitodell’intero ordinamento giuridico. Così BARBERA, Art. 2, in Commentario della Co-stituzione, a cura di BRANCA, Bologna-Roma, 1975, 50. V. inoltre LOMBARDI, Contri-buto allo studio dei doveri costituzionali, Milano, 1967; nella letteratura filosoficatedesca, DENNINGER, Rechtperson und Solidarität, Metzger-Verlag, 1967.

67 La solidarietà umana e politica consente uno stretto collegamento dell’art.2 con il principio di uguaglianza sostanziale posto all’art. 3 Cost., e con la primaparte dell’art. 2 Cost., laddove sono riconosciuti e garantiti i diritti del singoloanche all’interno delle formazioni sociali.

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nata a cadere 68. La solidarietà esige un patto anticipato tra chi la pro-pone e chi la riceve: se imposta a chi la rifiuta, perché ritorna a van-taggio degli interessi di colui che si attiva, e non di quelli concreti, in-dividualisticamente e disgiuntamente intesi, del destinatario dell’azio-ne, cessa di essere dettata da emozioni di altruismo e di partecipazio-ne empatica 69.

68 Così PALAZZO, Persona (delitti contro la), in Enc. dir., XXXIII, Milano, 1983,294.

69 La solidarietà fa parte di un disegno politico e sociale che prescinde dall’in-staurarsi di un vero e proprio rapporto obbligatorio. La prospettiva che inter-preta la locuzione «doveri» in un significato tecnico-giuridico, in cui lo Stato è ildestinatario e beneficiario di tali obblighi, deve ritenersi estranea alla ratiodell’art. 2 Cost., che di doveri parla solo in senso politico, programmatico, cioèsimbolico, in espressione delle emergenti esigenze della società civile. Questodato è indicativo del fatto che la Carta costituzionale non ha accolto l’originariaconcezione della solidarietà a cui invece si è ispirato il legislatore del codice ci-vile, cioè quella di tipo essenzialmente economico, in funzione di interessi na-zionalisti di efficientismo e di aumento della produttività. Nella relazione al co-dice civile del 1942 il principio di solidarietà è definito come il «dovere di non le-dere l’interesse altrui al di fuori di una giustificata tutela dell’interesse proprio»,in cui l’espressione «interesse proprio» deve essere valutata in relazione ad unindice di produttività generale, e cioè in funzione del processo totalitario di pro-duzione. In tal senso la relazione al codice civile n. 558. La strategia adottata dallegislatore del ’42 nei rapporti privatistici è ancora influenzata dall’ispirazionecorporativista che concepiva la solidarietà come Gemeinnutz vor Eigennutz, se-condo una logica del tutto assoggettata ai fini del sistema e dell’insorgente so-cietà industriale. In questa visione la solidarietà è il regime dei limiti alla volontàindividuale e al potere di disposizione del privato, che si manifesta essenzial-mente nell’aspetto negativo del controllo e del divieto. La sovrapposizionedell’interesse generale alla volizione individuale rappresenta il simbolo diun’epoca che esprime una concezione secondo cui l’interesse individuale assu-me rilevanza in quanto realizzi finalità economico-produttive. Ad essa sono ispi-rate alcune disposizioni del codice civile, il cui obiettivo è quello di correggeregli eccessi individualistici della società liberale. Ad esempio l’art. 833 c.c., laddo-ve stabilisce il divieto di porre in essere atti che non abbiano altro scopo, se nonquello di nuocere o recare molestie ad altri. Ma soprattutto, in relazione alla li-bertà di disporre del corpo, l’art. 5 c.c. ha maggiormente recepito questa logica.Così LUCARELLI, Solidarietà e autonomia privata, cit., 313; CICALA, Produttività,cit., 288; VILLONE, Sciopero e solidarietà nella Costituzione italiana, Napoli, 1980.

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PARTE II

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CAPITOLO I

LA LIBERTA DI DISPORRE DEL CORPO

SOMMARIO: 1. ll pluralismo etico-ideologico e il personalismo come contestoculturale e valore normativo. – 2. Il problema della legittimità degli atti au-tolesionisti nella discussione sull’eutanasia. – 3. I limiti alla libertà di auto-determinazione. La dignità umana come limite generale agli atti dispositiviautolesionisti (art. 32, secondo comma, Cost.). – 4. Riflessioni critiche sullaricostruzione della libertà funzionalizzata e degli obblighi di solidarietà.Esiste il diritto a morire o al suicidio?

1. Il pluralismo etico-ideologico e il personalismo come contesto cul-turale e valore normativo

La materia degli atti di disposizione del corpo, come ogni altra ine-rente all’esigenza di salvaguardia di quel valore fondamentale che è lapersona umana, non si esaurisce nelle disposizioni del diritto penaleposte a tutela della vita, ma coinvolge generali principi costituzionalied anche norme di diritto privato. L’attenzione dell’interprete, dunque,si dirige anche all’art. 5 c.c. e, soprattutto, a tutte quelle disposizionicostituzionali che garantiscono i diritti inviolabili dell’uomo e che pro-teggono la personalità e gli atti di estrinsecazione di essa (artt. 2-3-13-32 Cost.) 1.

L’individuazione e l’analisi dei principi fondamentali della materiatuttavia si rivela fin dall’inizio opera assai ardua, quasi inafferrabile.La ricerca in ambito costituzionale, ad una prima lettura, sembra con-durre a risultati contraddittori ed ambigui: mancano chiari ed univociprincipi capaci in assoluto di regolare ogni ipotesi di atto dispositivo,ed è palpabile la sensazione che le diverse ed attuali problematiche che

1 ROMBOLI, Libertà di disporre del proprio corpo: profili costituzionali, in Vive-re: diritto o dovere, cit., 15; GIUNTA, Eutanasia pietosa e trapianti quali atti di di-sposizione della vita e del proprio corpo, in Dir. pen. proc., 1999, 403; TONINI, Gliatti di disposizione del corpo umano, in Nozioni di diritto penale, a cura di FLORA-TONINI, Milano, 1997, 435.

La libertà di disporre del corpo 43

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la realtà pone non fossero per nulla presenti al legislatore costituente 2.L’intero contesto ordinamentale, oltre che la stessa Carta costituziona-le, sembra essere il risultato della sovrapposizione di differenti opzio-ni sostanziali e di valore, ed appare inadeguato a fornire un unico prin-cipio di soluzione.

A fronte di tale genericità si riscontra poi, sul piano reale, un fortis-simo impulso all’argomento provocato dai recenti sviluppi della tecni-ca medica che presenta un ventaglio di situazioni differenziate e diffi-cilmente generalizzabili secondo i tradizionali schemi normativi. L’in-novazione scientifica e tecnologica della biologia e della medicina piùmoderne ha ampliato le possibilità di scelta dell’individuo, lo spettrodelle opzioni, offrendo alla volontà individuale orizzonti prima scono-sciuti. Queste innovazioni, un tempo impensabili, pongono il proble-ma della definizione del rapporto dell’uomo con se stesso.

In un contesto culturale che assume la diversità come valore, il pun-to di partenza da cui sviluppare una semplice proposta di soluzione e dicoesistenza tra valori contrastanti (e non un progetto definitivo rigida-mente ordinante di interessi assunti a priori) attiene all’affermazione eal primato del principio personalista nell’ambito dei rapporti tra indivi-duo ed autorità pubblica, quale unica formula in cui si esprime il plu-ralismo 3. Infatti, nei moderni Stati costituzionali la tutela della perso-na si atteggia come un’esigenza prioritaria e fondamentale, poiché daessa discende la stessa ragione di esistenza e di legittimazione dello Sta-to che assume una posizione servente e funzionale alla realizzazionedell’individuo, fino a vedere nel potere pubblico il mezzo di realizzazio-ne delle istanze individuali libertarie e di sviluppo della persona umana:non c’è più spazio, secondo questa logica, per una contrapposizione trainteressi pubblici e privati, poiché la realizzazione dei primi deve pas-sare attraverso la realizzazione dei secondi. Al contrario, va sempre piùaffermandosi l’idea che all’interesse pubblico non sono estranee le ra-gioni relative alla promozione e al sostegno della libertà individuale, co-sì come le ragioni dell’utilità sociale o i fini sociali finiscono per com-porre l’interesse alla libertà e dignità umana. Non solo nell’adempi-

2 ROMBOLI, La «relatività» dei valori costituzionali per gli atti di disposizione delproprio corpo, in Pol. dir., 1991, 569.

3 La percezione dell’indipendenza originaria della persona umana, della prio-rità del suo valore in sé, rispetto a quello dello Stato o di ogni altra autorità, poi-ché anteriore a qualsiasi riconoscimento a prescindere anche dalla sua funzionesociale, si pongono come episodi di un processo verso una completa realizza-zione del pluralismo nell’ambito dei rapporti tra Stato ed individuo. Sul valoredella persona umana come sintesi del pluralismo ideologico presente nella Co-stituzione italiana, OCCHIOCUPO, Liberazione e promozione umana nella Costitu-zione. Unità di valori nella pluralità di posizioni, Milano, 1984.

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mento dei doveri, ma anche nell’esercizio delle libertà si realizza unamodalità di partecipazione del singolo alla vita dello Stato 4.

In un sistema costituzionale così improntato costituisce un precisocanone interpretativo, cui devono sottostare anche le norme di leggeordinaria, considerare la libertà dell’individuo la regola, e non l’ecce-zione; anzi la regola prioritaria 5. Partendo dalla premessa che il valo-re della dignità umana costituisce un’unità di misura assoluta che nonpuò essere ricostruito funzionalmente, si pongono oggi le condizioniper un capovolgimento di quella concezione che vedeva nell’uso dellalibertà individuale l’esercizio di una funzione, e che concepiva i rap-porti tra individuo e Stato come una parte con il tutto, con incondizio-nata supremazia del secondo sul primo.

2. Il problema della legittimità degli atti autolesionisti nella discus-sione sull’eutanasia

La disciplina degli atti di disposizione del corpo è attualmente co-stituita da alcune disposizioni normative che solo implicitamente si ri-feriscono alla libertà di disporre del proprio corpo. Tuttavia, vari sonogli elementi che ne attestano la cittadinanza. Oltre che il riconosci-mento dei diritti inviolabili dell’uomo contenuto nell’art. 2 Cost., di cui

4 È quindi di molto mutata quella concezione, tipica dell’assolutismo, che ve-deva la libertà individuale subordinata all’autorità dello Stato, sia la concezioneliberale che rivendicava la libertà dalle ingerenze dello Stato, al contrario po-nendosi a carico della Repubblica obblighi di rimozione degli ostacoli che di fat-to impediscono l’attuazione degli inviolabili diritti di libertà, così FLICK, Libertàindividuale (delitti contro la), in Enc. dir., XXIV, Milano, 1972, 535. Pertanto an-che gli interessi collettivi devono essere investiti dal principio personalista, nelsenso che non possono essere interpretati in modo da confliggere col valore su-premo della persona umana, ma al contrario devono operare in funzione di que-sta. MAIELLO, Vita e incolumità individuale, in Enc. dir., XLVI, 1994, Milano, 982.

5 In questo contesto l’interesse alla tutela e promozione della personalitàumana è assunto come principio di ordine pubblico che richiede il rispetto siada parte del legislatore ordinario che dei privati, comportando la nullità dell’at-to di autonomia privata in contrasto con esso, e l’incostituzionalità della leggeche lo viola: anche la volontà della maggioranza trova limite in tale principio,salvo nei casi espressamente previsti o da legge costituzionale o da legge ordina-ria in caso di riserva; così PERLINGIERI, La personalità umana, cit., 158. Sull’esi-genza di tutela della persona, v. altresì AMATO, Individuo e autorità nella discipli-na della libertà personale, Milano, 1967; CERRI, Libertà (libertà pers. dir. cost.), inEnc. giur. Treccani, 1991, 3; DELMAS MARTY, Dal codice penale ai diritti dell’uomo,a cura di PALAZZO, Milano, 1992; PALAZZO, Persona, cit., 294, che evidenzia i peri-coli di un individualismo sfrenato.

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costituisce specificazione l’art. 32 Cost., nel quale è affermato il dirittoalla salute, anche all’art. 13 Cost. deve farsi riferimento come fonteprincipale della materia 6. Sembra infatti che la posizione dei costi-tuenti fosse stata quella di considerare la disponibilità come una im-plicazione necessaria dell’affermazione della libertà personale che, neltesto costituzionale, assume un significato minimale relativo alla pos-sibilità di disporre in via esclusiva del proprio essere fisico, in quelladimensione fisica e materiale che si esprime nell’habeas corpus 7.

L’evoluzione interpretativa si incastona in un contesto che concer-ne direttamente il contenuto dell’art. 32 Cost., ed una sempre più dif-fusa sensibilità verso la dimensione psichica del diritto alla salute 8. Sitratta di un orientamento che individua nella salute non soltanto esi-

6 In questo senso, GIACOBBE, Trapianti, cit., 901.7 In verità un argomento diffuso volto a ridimensionare l’ampiezza del con-

tenuto della libertà personale, era quello che ravvisava nell’art. 13 Cost. una nor-ma che tutela la disponibilità del corpo nei confronti di limiti e vincoli posti daisoli organi statuali, escludendosi dalla portata della norma qualsiasi altra rela-zione che non coinvolga il rapporto tra individuo e autorità pubblica. Questa im-postazione però impedisce di cogliere il significato politico e giuridico attualedella Costituzione, che è volta ad arginare anche nuovi fenomeni di potere: latendenza a far operare i principi costituzionali anche nei confronti di restrizio-ni che giungono da privati è una prova dell’esigenza di svolgere le implicazionidei diritti di libertà oltre le maglie del testo formale, cogliendone lo spirito e ilvalore programmatico proiettato verso il futuro poiché «nessun aspetto della li-bertà individuale rimane fuori dalla normativa costituzionale», così PACE, Li-bertà personale (dir. cost.), in Enc. dir., XXIV, Milano, 1974, 289, che sottolineacome in sé e per sé l’art. 13 Cost. offra argomenti sia in favore della teoria che ca-ratterizza la libertà personale in senso stretto che a favore delle altre interpreta-zioni. V. inoltre GIARDINA, Libertà fondamentali e tutela della salute, in Il diritto al-la salute, a cura di BUSNELLI-BRECCIA, Bologna, 1979, 97.

Sul contenuto giuridico e politico delle libertà, e per una rassegna delle di-verse posizioni, V. AMATO, Libertà (diritto costituzionale), in Enc. dir., XXIV,1974, Milano, 273; ID., Art. 13, in Commentario della Costituzione, a cura di BRAN-CA, Bologna, 1977, 4. Da un lato vi sono coloro che identificano la libertà nellapossibilità di disporre in via esclusiva del proprio essere corporeo e fisico edall’altra vi è chi fa riferimento alla disponibilità non solo fisica, ma anche allalibertà morale o psichica da restrizioni quali ordini, suggestioni, condiziona-menti, minacce. Vi è poi chi sostiene che le coazioni fisiche legittimamente eser-citabili sono solo quelle previste dagli artt. 25, 30 e 32 Cost. Tra le posizioni«strette» si segnala quella di coloro che restringono il contenuto della libertàpersonale nella libertà da singole e specifiche coercizioni fisiche. In propositoBARBERA, I principi costituzionali della libertà personale, Milano, 1967, 52 e 290;Recentemente, D’ARRIGO, Autonomia privata ed integrità fisica, Milano, 1999.

8 Sottolinea come la valorizzazione dell’art. 32 Cost. in questa materia sia re-lativamente recente, ALPA, Salute (diritto alla), in Noviss. Dig. It., App., VI, Tori-no, 1986, 913.

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genze di tutela pubblica e collettiva, o di pretesa dell’individuo a pre-stazioni sanitarie da parte dello Stato (salute come diritto sociale), masoprattutto quella dimensione di diritto individuale per definizioneesercitabile volontariamente da parte del titolare 9.

Orbene, il collegamento tra libertà personale, diritto alla salute esviluppo della persona umana, tale da individuare negli artt. 13 e 32Cost. il fondamento normativo della libertà di ognuno di disporre delcorpo 10, trova avallo anche in alcune decisioni della Corte Costituzio-nale 11.

L’affermazione di una generale libertà di disporre del proprio cor-po, quale fondamento logico, prima che giuridico degli artt. 13 e 32Cost. introduce l’interrogativo circa la possibilità di porre in essere at-ti di disposizione autolesionisti: si è chiesto dunque se l’affermazione

9 A questa evoluzione circa il riconoscimento del diritto dell’individuo di au-todeterminazione in ordine a scelte che attengono alla sua salute e alla sua per-sona, corrisponde l’acquisizione del concetto di consenso informato del pazien-te a trattamenti medici, così SANTOSUOSSO, Il consenso informato. Tra giustifica-zione per il medico e diritto del paziente, Milano, 1996; NANNINI, Il consenso al trat-tamento medico. Presupposti teorici e applicazioni giurisprudenziali in Francia,Germania e Italia, Milano, 1989. Anche il documento del Comitato nazionale del-la bioetica sul consenso informato contiene l’importante affermazione che il di-ritto costituzionale alla salute è anche una libertà che legittima la pretesa delsoggetto che altri si astengano da ogni interferenza arbitraria verso la sua auto-determinazione. V. Informazione e consenso all’atto medico, Considerazioni, con-clusioni e proposte adottate dal Comitato Nazionale di Bioetica nella seduta del 20giungo 1992, riportato in IADECOLA, Potestà di curare e consenso del paziente, Pa-dova, 1998, 348. Il consenso, come espressione del diritto di libertà, individuacome lecito intervento che, ove data situazione psicologica non vi fosse, non sa-rebbero tali.

10 Negano questo collegamento tra artt. 32 e 13 Cost., rilevando che nei lavo-ri preparatori dell’Assemblea Costituente non si accennasse minimamente aduna possibile interdipendenza di tali norme, evidenziata invece successivamen-te in occasione del dibattito sul trattamento manicomiale, MONTUSCHI-VINCENZI

AMATO, Il secondo comma del l’art. 32, in Commentario alla Costituzione – Rap-porti etico-sociali – Artt. 29-34 Cost., a cura di BRANCA, Bologna, 1976, 168.

11 Corte Cost., sent. n. 471 del 1990, relativa all’ammissibilità dell’accerta-mento tecnico preventivo sulla persona (art. 696, primo comma, c.p.c.) nel casoin cui sia da svolgere sul corpo stesso di chi la richiede. V. anche Corte Cost., 26luglio 1979, n. 88, in Giur. cost., 1979, 655, in cui viene affermato non solo l’in-teresse fondamentale della collettività, ma anche e soprattutto il diritto fonda-mentale dell’individuo che si sostanzia nel rispetto della libertà di consentire altrattamento sanitario e nel riconoscimento del diritto all’autodeterminazione inordine alla tutela della sua salute. V. anche Cass. 25 luglio 1967, n. 1950, in Ar-ch. resp. civ., 1968, 907, che pose a fondamento della vita e incolumità fisica delpaziente l’art. 13 Cost. Così SANTOSUOSSO, Dalla salute pubblica all’autodetermi-nazione: il percorso del diritto alla salute, in Medicina e diritto, cit., 99 ss.

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della libertà costituzionale di disporre del proprio corpo comporti con-cettualmente anche il riconoscimento della tutela costituzionale di at-ti fortemente autodistruttivi, come il lasciarsi morire o il cagionare lapropria morte, o se al contrario essa trovi limiti contenutistici in rela-zione all’esigenza di tutela dell’integrità fisica e della vita umana. Puòaffermarsi che rifiutare le cure, lasciarsi morire, procurarsi la morte oancora acconsentire ad atti lesivi procurati ad altri, debbano ricondur-si concettualmente e contenutisticamente – o al contrario ne restanoesclusi – dall’ambito di quella tutela costituzionale?

In gioco è l’esigenza di tutela di altri interessi, di pari o maggiorrango, facenti capo allo stesso soggetto titolare, che si pongono in ten-denziale conflitto con le determinazioni autolesioniste, quali la vita el’integrità fisica. Quando la realizzazione di un interesse debba avveni-re attraverso il sacrificio di un altro interesse, si pone il problema distabilire quale, tra questi, sia quello gerarchicamente prevalente e qua-le invece, debba subire una compressione del suo ambito di estensio-ne. Nei termini che riflettono il dibattito attuale, l’interrogativo coin-volge la possibilità di configurare la morte e il suicidio come posizionisoggettive eventualmente autonome e differenziate rispetto ai corri-spondenti diritti alla vita e integrità fisica, e quindi l’eventuale rifiutodi una concezione di questi ultimi come diritti-doveri, sottratti ad unesercizio in negativo della libertà di disposizione 12.

In particolare, nell’ambito della tematica del morire, si tratta dellapossibilità di verifica se il diritto ad una propria morte possa estender-si fino a comprendere la facoltà di determinare momento e modalità,o invece se il diritto ad una morte adeguata e dignitosa si estrinsechiindipendentemente da tale possibilità di autodeterminazione 13.

Nel senso positivo al quesito posto depongono alcune considerazio-ni che attengono alla stessa struttura delle libertà individuali. La tradi-zionale e più antica ricostruzione delle libertà individuali è quella og-gettiva, di matrice hobbesiana, che identifica la libertà come assenza direstrizioni esterne ed impedimenti a situazioni giuridiche di interesseinattive e statiche, riservate al godimento del titolare. I diritti indivi-duali, secondo questa concezione, sono strumenti per incanalare la vo-lontà dell’uomo, di per sé fonte di arbitrio e disordine, verso l’attuazio-

12 Nella dottrina più risalente V. CAMPOGRANDE, Il diritto sulla propria vita, inGiur. it., 1897, IV, 78. Più recentemente, su questi aspetti, AMATO, Libertà: invo-lucro del tornaconto o della responsabilità individuale?, in Scritti in onore di P. Ba-rile, 1990, 32; D’ALOJA, Diritto di morire? La problematica dimensione costituzio-nale della «fine della vita», in Pol. dir., 1998, 606.

13 Collegato logicamente al riconoscimento del diritto alla morte o a morire,emerge anche l’aspetto della azionabilità giuridica del diritto in caso di inadem-pimento e della pretesa verso lo Stato che siano predisposti gli strumenti idoneiper una completa attuazione.

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ne di politiche orientate ad un ordine giusto, o al bene comune, poichéla somma delle pretese dei singoli non produce di per sé un ordine digiustizia spontaneo; sono dunque esigenze di giustizia ad imporre unadelimitazione dei diritti individuali. I diritti c.d. in funzione della giu-stizia, sono in realtà doveri da cui discendono diritti: nessuna rinunciaad essi è contemplata, poiché ciò significherebbe negare i doveri – cheper definizione non sono rinunciabili – da cui derivano i diritti. Per-tanto la concezione oggettiva dei diritti costringe ad ipotizzare, paral-lelamente ad una prima libertà positiva, una corrispondente libertà ne-gativa che rappresenta il necessario completamento e l’esatto pendant,confondendo però la libertà con il correlativo potere. Così accanto allalibertà di associazione deve profilarsi la libertà di non associarsi, ac-canto al diritto alla salute la libertà a non curarsi ecc. 14.

A tale concezione viene invece contrapposta una visione dei dirittisoggettivi come posizioni dinamiche all’interno delle quali può espli-carsi pienamente il dominio della volontà del soggetto. In quest’acce-zione l’essenza della libertà sta nella basilare facoltà di scelta, non so-lo in direzione dell’agire, ma anche dell’omettere, tra momento positi-vo e negativo, tra piena attuazione ed omissione. L’ambito contenuti-stico dei diritti è quindi amplissimo: in termini di situazione inattiva,il contenuto della libertà personale si estende a tutte le sue possibiliimplicazioni, e dunque anche alla mera inerzia, ed impegna i terzi adun generale dovere di rispetto di ogni determinazione del titolare deldiritto, anche se negativa 15.

È evidente la maggiore aderenza di questa seconda ricostruzione aivalori pluralisti e personalisti della nostra Costituzione e ad una visio-ne unitaria e non frammentata della persona umana. La definizionedelle situazioni di libertà come situazioni soggettive dinamiche ma an-che negative sembra più rispondente al nuovo volto delle costituzionipluraliste, poiché amplia il contenuto strutturale delle situazioni di li-bertà. Da essa infatti discende la piena configurabilità, nell’ampiezzadel diritto alla libertà personale, del diritto a disporre anche negativa-mente anche in senso distruttivo del proprio corpo, o a non disporne

14 Inoltre, confondendo artificiosamente la libertà con il relativo potere, laconseguenza è quella di dover negare la titolarità e l’esercizio della libertà in ca-po a coloro che non godono della capacità di agire. Al contrario secondo la tesistatica anche gli incapaci di agire possono validamente godere le proprie libertà.

15 La definizione negativa del contenuto delle libertà riflette una concezionesoggettiva e difensiva dei diritti in genere, intesi come «l’armatura giuridica del-la volontà», come mezzi di realizzazione degli interessi individuali rimessi al -l’autonoma valutazione e disposizione dei loro titolari, che potranno decidereanche di non esercitarli o di rinunciare ad essi. I diritti sono quindi lo strumen-to attraverso cui si esprime la volontà individuale.

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affatto. Rispetto al problema della configurazione di posizioni sogget-tive autonome a contenuto negativo (diritto a morire o a lasciarsi mo-rire, diritto alla morte, diritto al suicidio) la conseguenza di maggioreffetto di questa seconda configurazione è quella di considerare talicomportamenti come manifestazioni negative del diritto di libertà. Inpoche parole è già dalla struttura della libertà personale che si desumel’ammissibilità e riconducibilità nell’ambito del diritto stesso anchedella disponibilità autolesionista del proprio corpo. Ciò significa farrientrare la determinazione a non curarsi e a rifiutare le cure nel con-tenuto strutturale del diritto alla salute, indipendentemente dalla spe-cificazione prevista al secondo comma dell’art. 32, che pone il princi-pio della libertà di sottoporsi a trattamenti sanitari, subordinando la li-bertà e l’interesse individuale solo quando il danno alla salute possaesorbitare dalla sfera individuale e coinvolgere interessi generali 16. Ta-le determinazione negativa potrebbe estendersi fino a racchiudere ildiritto a lasciarsi morire, interferendo con il diritto alla vita 17. Altret-tanto, con riferimento invece alla questione circa la configurabilità diun diritto a morire o a lasciarsi morire, si potrebbe ritenere che tale di-ritto rappresenti l’aspetto negativo e statico del diritto alla vita e di vi-vere, il quale necessariamente deve configurarsi strutturalmente comediritto di libertà, in quanto implicitamente previsto dall’art. 2 Cost. Inassenza di alcuna disposizione dalla quale possa desumersi un doveredi vivere, il diritto a lasciarsi morire o alla morte sarebbe l’altra facciadel diritto alla vita, e non un’autonoma figura di diritto soggettivo 18.

16 Per una disanima di queste posizioni, GROSSI, I diritti di libertà ad uso di le-zioni, Torino, 1991; ID., Inviolabilità dei diritti, in Enc. dir., XXII, Milano, 1972,712.

17 BARNI-DELL’OSSO-MARTINI, Aspetti medico-legali e riflessi deontologici sul di-ritto a morire, in Riv. it. med. leg., 1981, 54 ss.; PORTIGLIATTI BARBOS, Diritto di ri-fiutare le cure, in Dig. disc. pen., IV, Torino, 1990, 22 ss.

18 Per contro, l’obiezione mossa a questa riflessione muove dal rilievo secon-do cui il riconoscimento espresso della c.d. libertà negativa concerne unicamen-te il diritto alla salute e non il diritto alla vita, e che pertanto è giocoforza con-cludere per una chiara differenziazione contenutistica tra libertà di sottoporsi atrattamenti sanitari e libertà di lasciarsi morire o di morire, e per una indivi-duazione dei limiti cui deve attenersi la valutazione soggettiva circa il propriostato di benessere.

D’ADDINO SERRAVALLE, Brevi cenni in materia di eutanasia, cit., 314, secondocui il diritto alla salute, proprio perché ha un profilo funzionale nell’esigenza co-stituzionale dell’attuazione del valore della personalità, non può essere letto co-me riconoscimento della arbitrarietà delle scelte e di disponibilità illimitata.Non è previsto quindi un diritto alla non salute ex art. 32 Cost., né è individua-bile, nel quadro delle prerogative personali, un diritto a non curarsi o a lasciarsimorire, poiché la meritevolezza delle scelte in ordine alla disposizione del pro-

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La delimitazione concettuale del contenuto della libertà attraversol’affermazione di un incondizionato primato di un altro interesse, cosìda individuare nella vita il valore necessariamente prevalente e nella li-bertà quello necessariamente soccombente, indipendentemente dallapossibilità di una ricostruzione più armonica ed unitaria degli interes-si individuali, ricalca invece un modello che esclude tutte quelle mo-dalità di esercizio che potrebbero comportare, in extremis, anche unannientamento delle relazioni sociali ed una frustrazione delle pro-spettive di adempimento della funzione sociale dell’individuo 19. Sottoil profilo strutturale, ne discende una visione della libertà come un di-ritto limitato dall’obbligo di conservazione di essa stessa, che subiscelimiti attuali in funzione dell’interesse della sua futura attuazione osussistenza 20. Emerge dunque vistosamente una concezione social-soldiaristica della vita umana, il cui valore è oggettivo e non disponibi-le se non nella misura negativa della reazione legittima ad un’arbitra-ria ingerenza non finalizzata a tutelare né l’interesse dell’individuo né-quello della collettività.

3. I limiti alla libertà di autodeterminazione. La dignità umana comelimite generale agli atti dispositivi autolesionisti (art. 32, secondocomma, Cost.)

In tal senso si è mossa la tradizionale ricostruzione delle posizionidi libertà, che conduce alla definizione di un contenuto più ristretto diesse e, conseguentemente, all’individuazione dei loro limiti. In questaprospettiva di ricerca, il richiamo all’art. 13 Cost. non si rivela del tut-to soddisfacente, non essendo previsti espressi limiti alla libertà di di-

prio corpo si esprime solo con riferimento al valore della personalità umana: ilrifiuto è lecito e meritevole di tutela solo quando sia volto a realizzare la dignitàumana compromessa da tecniche sofisticate.

19 Così BELLINI, Aspetti costituzionali con più specifico riferimento alla libertàreligiosa, cit., 64 ss.; CAPIZZANO, Vita e integrità fisica (diritto alla), in Noviss. Dig.It., XX, 1975, 1006; MORTATI, La tutela della salute nella Costituzione italiana, inRiv. infort., 1961, I, 2 e in Raccolta degli scritti, III, Milano, 1972, 444.

20 Così PALAZZO, Persona, cit., 310 ss. Analogamente PATALANO, I delitti controla vita, Padova, 1984, rileva che la legge penale tutela la vita umana anche con-tro la volontà del singolo e a prescindere da questa; così anche GALLO, in Atti de-gli incontri di studi su Il Testamento di vita, 9, afferma che la vita non viene tute-lata come interesse individuale e privato del suo portatore, ma bensì come inte-resse della società alla conservazione della vita degli individui che la compongo-no. In senso critico, GEMMA, Sterilizzazione e diritti di libertà, in Riv. trim. dir.proc. civ., 1977, 247.

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sporre del proprio corpo, se non per effetto del rinvio alla legge ordi-naria o alle altre disposizioni costituzionali. Pertanto, ai fini della so-luzione del quesito posto – esiste un diritto a morire? – è obbligato ilpercorso che fa esclusivo riferimento all’art. 32 Cost., che concerne ladisciplina che la Costituzione accorda al diritto alla salute 21.

L’indagine, in questa direzione, richiede una preliminare distinzionetra limitazioni che attengono all’aspetto positivo della libertà personalee quelle che attengono all’aspetto negativo della libertà. Le prime, che sirivolgono allo stesso titolare del diritto, disegnano l’ambito di estensio-ne della libertà; le seconde esprimono l’esigenza di escludere che altripossano compiere atti contro la volontà del soggetto 22. In questo se-condo aspetto ricade quindi non soltanto la libertà del soggetto di auto-determinazione mediante condotte sia attive che omissive, ma anche lapretesa che tale esercizio di libertà non subisca interferenze impeditiveda parte di terzi. Nel qual caso assume rilevanza la condotta attiva (enon omissiva) del terzo che non rispetta l’autodeterminazione autole-sionista della vittima, attivandosi nella direzione del salvataggio di que-sta. Assumendo come prospettiva di osservazione la condotta del terzoche si imbatte in una situazione di autolesionismo, l’interrogativo con-cerne la legittimità dell’intervento impeditivo del terzo, che ne ostacolala realizzazione. Chi, medico o quisque de populo spontaneamente in-terviene impedendo la realizzazione di un suicidio, prodigandosi a pre-stare quei soccorsi che impediscono il verificarsi della morte, interferi-sce illegittimamente con l’esercizio di libertà personali?

La questione concerne quindi direttamente l’applicazione del se-condo comma dell’art. 32 Cost., che regola l’aspetto della libertà di au-

21 D’ALOJA, Diritto di morire? La problematica dimensione costituzionale della«fine della vita», cit., 601.

22 La dottrina costituzionalista suole distinguere due aspetti dei diritti di li-bertà: l’aspetto positivo e quello negativo. La libertà positiva esprime il diritto diciascuno di decidere volontariamente in ordine ad attività che consentono lapiena realizzazione della propria persona; essa presuppone un comportamentoattivo o omissivo e si sostanzia nella c.d. «libertà di». Il versante negativo dellalibertà concerne invece la pretesa di ogni soggetto a non subire atti o condizio-namenti che determinano una compressione della propria sfera di autonomia;essa si riferisce ad un atteggiamento sia passivo che attivo e al diritto ad oppor-si ad attività che altri intendano fare sul proprio corpo, impedendo la realizza-zione della propria autodeterminazione (c.d. libertà da).

In relazione ai limiti all’aspetto positivo della libertà personale nei confronti delsoggetto titolare del diritto, si nota che le limitazioni sorgono a tutela di interessiestranei al soggetto stesso. Sul versante negativo della libertà invece si pongono li-miti che non riguardano il titolare del bene o la sua attività, ma si concretizzanonei confronti di terzi. Così ROMBOLI, Libertà di disporre del proprio corpo, cit., 22; AL-BEGGIANI, Profili problematici del consenso dell’avente diritto, Milano, 1995.

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todeterminazione dalle interferenze di terzi, assumendo il caratterevolontario dei trattamenti sanitari, al quale si può derogare eccezio-nalmente solo quando sia previsto dalla legge, e solo se si tratti di trat-tamenti volti a proteggere la salute pubblica, oltre che il soggetto inte-ressato, nel limite del rispetto della persona umana.

Con riferimento invece alle limitazioni relative all’ampiezza della li-bertà, a differenza di quelle relative all’aspetto negativo, esse non tro-vano alcuno specifico riferimento costituzionale, neppure in relazioneal diritto alla salute. La loro individuazione è quindi avvenuta attra-verso l’estensione dei limiti espressamente previsti a tutela dell’aspettonegativo. In particolare, ciò è avvenuto riferendo il limite del rispettodella persona umana contenuto nel secondo comma dell’art. 32 Cost.,non soltanto in riferimento alla limitata categoria dei trattamenti sa-nitari obbligatori imposti contro la volontà del paziente, qualora lacondizione negativa di salute possa comportare ripercussioni direttenella sfera dei terzi, ma anche all’attività posta in essere dallo stessosoggetto titolare del diritto di libertà, ovvero alla dimensione della di-sponibilità positiva 23.

Secondo questo ordine argomentativo, il «rispetto della personaumana», ovvero il requisito a carattere sostanziale relativo ai tratta-menti imposti contro la volontà del paziente, costituisce un limite ge-nerale che, oltre a dirigersi nei confronti dei terzi, vincola lo stesso ti-tolare del diritto, vietando che l’individuo, nell’esercizio della libertà didisporre del proprio corpo, possa sopprimere o alterare se stesso e lefunzioni organiche corrispondenti ai suoi fini essenziali. In tal modo,la dignità umana si trasforma in un’istanza assiologica che obbliga lostesso titolare del bene indipendentemente dalle ragioni che motivanoil rifiuto di cure, dalle circostanze in cui egli si trova e dalle sue con-crete scelte, secondo una logica di tutela paternalistica 24.

Sono evidenti le conseguenze di tale operazione interpretativa. Lacorrelazione tra situazioni di svantaggio e di vantaggio propria del di-ritto alla salute, trasportata alla generale libertà personale, tratteggia

23 In tal senso, MORTATI, La tutela della salute nella Costituzione italiana, inRaccolta degli scritti, 1972, III, 436. Recentemente anche BELLINI, Aspetti costitu-zionali con più specifico riferimento alla libertà religiosa, in AA.VV., Trattamentisanitari tra libertà e doverosità. Atti del convegno, Roma 1 dicembre 1982, Napo-li, 1983, 55 e 65.

24 «Questa concezione subordina la persona ad un nomos impersonale: soloobbedendo a quest’ultimo la persona potrebbe divenire se stessa», così SCHLE-RER, Formalismo nell’etica e l’etica materiale dei valori. Nuovo tentativo di un per-sonalismo etico, Milano, 1996, 457, si pose criticamente rispetto a questa visionedella dignità umana secondo una concezione forte e razionale della persona mo-rale, mettendo in relazione questo valore con il riconoscimento della natura per-sonale della vita umana.

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una concezione dei diritti della personalità caratterizzati dalla caren-za della possibilità di determinare secondo la propria volontà le vi-cende relative al diritto stesso. Ciò significa che la libertà trova limitenell’esigenza di mantenere in vita la persona, non potendo spingersifino al punto da eliminare o sopprimere gli stessi presupposti fisiciper l’esercizio di essa (la vita o uno stato buono di salute), a causa delprofilo funzionale che presenta 25. La libertà di disporre di se stessi fi-no ad una negazione della stessa vita esprime infatti una scelta forte-mente eversiva e di ribellione, che contrasta con i fini del diritto stes-so, inteso non soltanto come strumento di regolamentazione dei rap-porti interindividuali, ma anche come espressione simbolica della do-verosità, della necessità di strutturazione oggettiva e superiore di unordine sovraordinato 26.

4. Riflessioni critiche sulla ricostruzione della libertà funzionalizzatae degli obblighi di solidarietà. Esiste il diritto a morire o al suici-dio?

L’operazione interpretativa che pretende di estendere il limite del-la dignità umana sia all’aspetto positivo che all’aspetto negativo dellalibertà di disporre del corpo, è però poco convincente. Alla mancatadistinzione concettuale tra i due aspetti della libertà di autodetermi-nazione, è corrisposta una uniformante lettura dell’art. 32 Cost. comenorma che pone il principio della prevalenza degli interessi collettivisu quelli individuali. In questi termini, il sistema della normativa co-stituzionale in tema di atti di disposizione del corpo è stato ricostrui-to in modo da confermare la vigente legislazione ordinaria, perpe-trando una visione della solidarietà e della libertà individuale, com-pletamente asservite alle esigenze collettive 27.

25 Si è quindi configurato a carico del singolo titolare del diritto un correlati-vo dovere di concorrere anche attraverso limitazioni alla sua libertà a preserva-re la salute pubblica in funzione del benessere sociale e di mantenere e tutelarela propria libertà non soltanto da attacchi esterni, ma anche da un’attività lesivaposta in essere da se stesso, ZAMBRANO, Eutanasia, diritto alla vita e dignità del pa-ziente, in Rass. dir. civ., 1990, 851.

26 Di fondo è l’idea secondo cui l’esercizio di una libertà individuale non pos-sa giammai pregiudicare il carattere fondamentale della relazionalità che è in-trinseco all’essenza del diritto e che ne costituisce la finalità ontologica.

27 In proposito PERLINGIERI, La personalità umana, cit., 308, per il quale il di-ritto alla salute si presenta nella duplice veste di diritto e dovere, nel senso cheogni persona ha il dovere di realizzare il suo pieno sviluppo, di rispettare e con-

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Viceversa, assumendo che l’ambito della libertà di autodetermina-zione della propria salute sia comprensivo anche del diritto ad esseremalato e a rifiutare qualsiasi intervento sulla propria persona, in coe-renza con il fondamentale principio personalista, il limite del rispettodella persona umana deve essere inteso nel senso che trattamenti im-posti possono giustificarsi quando non tendano esclusivamente alla sa-lute del singolo, ma rispondano anche ad un interesse collettivo messoin pericolo dal cattivo stato di salute del singolo 28. Il rispetto della per-sona umana vuole quindi indicare, in negativo, la misura massima delsacrificio individuale imposto quando sono coinvolti interessi collettivi,escludendo una totale strumentalizzazione dell’individuo per il perse-guimento di questi ultimi: occorre almeno la confluenza di interessicollettivi ed individuali, essendo tali trattamenti giustificati solo se vol-ti a preservare o a migliorare lo stato di salute di colui che li subisce 29.

Dunque, questa costruzione dei rapporti tra salute collettiva ed in-dividuale che valorizza maggiormente l’aspetto collettivo del diritto al-la salute piuttosto che quello individuale, ha risentito fortemente del -l’impostazione solidaristica collegata all’art. 2 Cost., ampliando forte-mente la misura del sacrificio imposto all’interesse individuale, ben ol-tre quanto la norma costituzionale dispone 30.

Come risulta dalle notazioni precedenti, queste ricostruzioni inter-

servare la propria integrità fisica, tanto nell’interesse individuale che in quellocollettivo. Analogamente RIZ, Il trattamento medico e le cause di giustificazione,1975, 35, che fa riferimento al diritto-dovere del singolo di conservare la propriaintegrità fisica per la società.

28 In tal senso ROMBOLI, Art. 5 c.c. Atti di disposizione del corpo, voce, in Com-mentario del codice civile, a cura di SCIALOJA-BRANCA, 1988, 225.

29 Nel senso della configurazione del diritto alla salute come diritto esclusivodel l’individuo V. BARILE, Diritti dell’uomo e libertà fondamentali, 1984, 59 e ss.;D’ALESSIO, I limiti costituzionali dei trattamenti «sanitari» (a proposito dei testi-moni di Geova), in Dir. e soc., 1981, 536; LUCIANI, Il diritto costituzionale alla sa-lute, in Dir. e soc., 1980, 780; MODUGNO, Trattamenti sanitari «non obbligatori» eCostituzione (a proposito del rifiuto delle trasfusioni di sangue), in Dir. e soc.,1979, 903; VINCENZI AMATO, Tutela della salute e libertà individuale, in Trattamen-ti sanitari fra libertà e doverosità, cit., 187; RODOTÀ, Dilemmi della vita e della mor-te, in La bioetica. Questioni morali e politiche per il futuro dell’uomo, Convegnoorganizzato da Politeia, Roma, marzo 1990, a cura di MORI, Milano, 1991, 202.

30 In verità, il criterio della ripercussione degli effetti dello stato di salute in-dividuale su quello collettivo non si presta in sé ad un utilizzo univoco circa l’in-dividuazione dei limiti alla disponibilità del diritto: potrebbe chiedersi se la-sciarsi morire leda «direttamente» l’interesse collettivo, dal momento che è inte-resse individuale raggiungere uno stato fisico e psichico ottimale per il raggiun-gimento di finalità di ordine sociali. A ciò risponde quindi il limite sostanzialedel rispetto della persona umana, che circoscrive questa confluenza possibile diinteressi ponendo un criterio di priorità.

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pretative dei limiti alla libertà introducono elementi di paternalismo edi tutela oggettiva degli interessi individuali che sembrano dettate dauna preconcetta individuazione di ciò che è «interesse» per il singolo,anche a prescindere da una sua diretta valutazione. Insomma trasparedalla contrapposizione tra diritti inviolabili e doveri inderogabili, laconcezione che vede il rapporto tra interesse individuale ed interessecollettivo in termini di inconciliabile antinomia, di continua e instabi-le tensione, che l’interprete deve risolvere con la soppressione dell’unoo dell’altro. La costruzione della libertà individuale come diritto fun-zionale ad una migliore realizzazione dei principi del l’ordinamento,racchiude in sé conseguenze fortemente contraddittorie, poiché giusti-fica contemporaneamente assoluta libertà e limiti parimenti assolutialla invocata libertà ogni qual volta si pongano in essere azioni perico-lose per il suo futuro esercizio 31.

Al contrario, è forte l’esigenza attuale di negare conflittualità tra in-teresse individuale e collettivo, e di valorizzare dinamicamente l’una el’altra grandezza giuridica. Se il riconoscimento delle libertà indivi-duali deve dare soddisfazione ad una necessità dell’ordinamento, oltreche ad un bisogno dell’individuo, i diritti individuali devono essere ga-rantiti al singolo indipendentemente dai vantaggi o svantaggi che nederivano allo Stato, indipendentemente dalle qualifiche e funzioniconnesse all’individuo 32.

Sulla base di queste premesse, il quesito se al diritto alla vita corri-sponda specularmente anche un diritto, autonomo ed equivalente, allamorte o un diritto al suicidio, si presenta come problema interpretati-vo di non facile soluzione.

Se da un lato, la configurazione di un divieto giuridico di morire odi un obbligo a continuare a vivere in certe condizioni compromette-

31 In tal senso Esposito, La libertà di manifestazione del pensiero nell’ordina-mento italiano, Milano, 1958. La contraddizione sta nel fatto che così la libertàcostituisce il fondamento giustificativo del potere di disporre del proprio corpo,ma altrettanto ne giustifica le limitazioni in funzione di esigenze di tutela del -l’esistenza stessa della libertà, considerata come un bene non comprimibile oltreuna determinata soglia.

32 La negazione della teoria che modellava le libertà come funzionali al per-seguimento di altre finalità rispetto alle ragioni individuali, non implica tuttaviail disconoscimento della rilevanza sociale dei diritti, come se fossero riconosciu-ti in un ambito isolato e fuori dall’ordinamento. Bensì vuole che vi siano dei di-ritti riconosciuti all’individuo dalla comunità statuale come tale, ed a suo totalevantaggio, nelle sue qualità universali, mentre altri sono attribuiti nella specifi-ca qualità di membro o di partecipe ad una collettività, nelle sue funzioni socia-li, oltre che individuali. Conseguentemente si scioglie la tensione-contrapposi-zione tra libertà privata ed intervento pubblico, tra ragioni private e generali, co-sì MARONGIU, Interesse pubblico e attività economica, in Jus, 1991, 90.

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rebbe fortemente la dignità e l’autonomia dell’individuo, con violazio-ne dell’art. 13 Cost. 33, dall’altro mancano elementi normativi espressisui quali confortare la soluzione positiva, essendo assente un ricono-scimento del diritto a morire o alla morte come posizione soggettivaautonoma annoverabile tra i diritti inviolabili tutelati dall’art. 2 Cost.,il quale, al contrario, prevede espressamente il diritto alla vita, chesembra porsi in antitesi con la morte 34. Inoltre, il riferimento alla se-conda parte dello stesso art. 2 Cost. può confortare ulteriormente que-st’interpretazione 35. La stessa configurazione del diritto «alla vita» enon «sulla» vita, sembra escludere qualsiasi potere dispositivo non sol-tanto proveniente da terzi, ma anche dallo stesso titolare del diritto:l’indisponibilità dei diritti della personalità discenderebbe quindi di-rettamente dallo stesso art. 2 Cost., che sancisce i diritti inviolabili del -l’uomo 36.

33 Una concezione deontologica della vita in termini di dovere, fondata supremesse metafisiche o di tipo statalista, asservita alla realizzazione di un dise-gno in cui le ragioni individuali non concernono più direttamente il singolo, magli sono del tutto estranee, equivarrebbe ad una costituzione di servitù corpora-li, con violazione del divieto kantiano di strumentalizzazione della persona perla realizzazione di fini non suoi.

34 La tutela del c.d. diritto a morire viene generalmente ricondotta nell’ambi-to di diretta applicazione del diritto alla salute, ed in particolare nel diritto a ri-fiutare le cure quale ipotesi estrema di esso, piuttosto che nell’ambito di esten-sione del diritto alla vita. Tuttavia non è da tutti condivisa l’idea che il diritto alrifiuto delle cure possa estendersi fino al rifiuto di terapie salvavita, perché ciòcomporterebbe il riconoscimento di un diritto a disporre della vita fino alla mor-te, in contrasto con la natura indisponibile della vita umana, così IADECOLA, «Di-ritto di morire» e potestà medica di curare, in Cass. pen., 1997, 3661 e bibliografiarichiamata nelle note 109 e 110; MANTOVANI, secondo cui al diritto di trascurarsi,di non curarsi, di lasciarsi morire, non corrisponde il riconoscimento di un di-ritto al suicidio, Aspetti giuridici dell’eutanasia, in Riv. it. dir. proc. pen., 1988,453; analogamente MANNA, Profili penalistici del trattamento medico-chirurgico,Milano, 1984, 71; SANTOSUOSSO, Il consenso informato, cit., 35, esclude che il di-ritto di rifiutare le cure lasciando che la malattia faccia il suo corso anche finoalle estreme conseguenze comporti il riconoscimento di diritto positivo al suici-dio. Così anche BOMPIANI, Eutanasia e diritti del malato in «fase terminale». Con-siderazioni giuridiche, in Presenza pastorale, 1985, 415; EUSEBI, Tra indisponibi-lità della vita, cit., 237 ss.

35 Così RAMACCI, Premesse alla revisione della legge penale sull’aiuto a morire,in Studi in onore di P. Nuvolone, 1991, 207 e 218.

36 Sul presupposto che l’inviolabilità equivalesse all’indisponibilità, si è so-stenuta la legittimità costituzionale di una particolare tutela cui sono sottopostitali diritti, da realizzare indipendentemente dalla iniziativa o dal consenso del ti-tolare della posizione giuridica protetta. L’inviolabilità è stata letta come sinoni-mo di indisponibilità, e cioè di tutela oggettiva e irrinunciabile del bene, indi-

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Dunque, l’affermazione della liceità del suicidio in quanto manife-stazione di posizioni soggettive tutelate costituzionalmente risulta ap-parentemente poco giustificabile alla luce dei principi costituzionali.Come affermare che il suicidio costituisca l’esercizio di un diritto, eper di più di un diritto di libertà a nessuno disconosciuto e che la la-cuna della legge rifletta una valutazione positiva e non semplice indif-ferenza rispetto ad esso?

Si obietta che, qualora si supponesse esistente una norma costitu-zionale che espressamente o implicitamente tuteli un vero e propriodiritto a morire come posizione soggettiva giuridicamente azionabile,le conseguenze sul piano giuridico sarebbero abnormi; ovvero quelledi ammettere un correlativo diritto ad essere uccisi. Al diritto ad esse-re ucciso corrisponderebbe il dovere dello Stato di apprestare i mezziper l’esercizio di tale diritto, o quantomeno, di rinunciare alla punizio-ne di colui che aiuta chi esercita direttamente tale diritto 37.

In verità, il riconoscimento di una libertà di morire non richiede ne-cessariamente la definizione di un autonomo e differenziato diritto a

pendente dall’acquiescenza del suo titolare, non soltanto da aggressioni prove-nienti dal potere pubblico, come per lungo tempo si è creduto, ma in generalecon massima espansione anche nell’ambito dei rapporti privati, rispetto a terzi,incluso lo stesso titolare del diritto. Tuttavia a questa equiparazione tra indispo-nibilità e inviolabilità è possibile obiettare la mancata adozione in sede di as-semblea costituente di formule semanticamente più appropriate quali «dirittiinalienabili» o «diritti irrinunciabili». Ma soprattutto sembra che questa acce-zione dell’inviolabilità ex art. 2 Cost. penalizzi fortemente la valenza individuali-stica di questi diritti, esprimendo da un lato certamente l’esigenza di apprestar-ne un’efficace tutela, ma dall’altro rendendone inoperante ogni volontà di unesercizio negativo o di rinuncia. Appare piuttosto che il significato della disposi-zione costituzionale debba essere interpretato come finalizzato a garantire unaparticolare tutela ai diritti della persona, rendendoli insuscettibili di subire lesorti delle maggioranze, a garanzia di una loro maggiore stabilità, non solo dalpericolo di improvvise e incontrollabili tendenze eversive, anche contro gradua-li legalitarie trasformazioni in senso involutivo dell’ordinamento costituzionale.

37 Il riconoscimento del diritto a morire comporterebbe necessariamente laconfigurazione di un dovere generalizzato in capo ai terzi di astenersi dall’inter-ferire nell’esercizio di tale diritto, mentre rispetto all’ordinamento giuridico, ilcorrelativo obbligo di consentire l’esercizio di tale diritto, mettendo a disposi-zione mezzi e personale che ne permettano l’attuazione. ESER, Möglichkeitenund Grenzen, cit., 151 ss., il quale, pur partendo dal riconoscimento dell’esisten-za della libertà di morire, esclude che ciò possa configurare persino un diritto adessere ucciso, e quindi un correlativo dovere gravante sui terzi ad uccidere coluiche lo richiede. L’inesistenza di un tale diritto a morire viene infine affermata siacome conseguenza del rifiuto a concepire le situazioni giuridiche esistenziali inuna dimensione proprietaria, sia come conseguenza della configurazione dellavita come valore primario, ZAMBRANO, Eutanasia, diritto alla vita e dignità del pa-ziente, cit., 851.

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morire come posizione giuridica soggettiva logicamente distinguibiledal diritto alla vita 38. La rilevanza normativa di accadimenti della vitamateriale dell’uomo quali la morte non passa necessariamente attra-verso la ricostruzione di una posizione soggettiva autonoma, quasi chela morte, che pure appartiene all’esperienza di ogni uomo, necessiti diuna apposita previsione, senza la quale non avrebbe alcun riconosci-mento normativo. La morte ha invece una rilevanza nel nostro ordina-mento, come dimostra ad esempio tutta la materia testamentaria chefa scaturire dalla morte del de cuius numerose conseguenze. Il fonda-mento normativo di questa esperienza umana deve essere quindi ri-cercato tra le posizioni di diritto soggettivo a carattere positivo, ed inparticolare nel diritto alla vita. Il diritto alla vita, che costituisce un di-ritto primario la cui titolarità e pertinenza spetta unicamente al singo-lo, comprende strutturalmente anche il suo inverso, l’aspetto negativoe statico, cioè il diritto a non vivere, a suicidarsi o a lasciarsi morire,conformemente a quanto dispone l’art. 32, secondo comma, Cost. peril diritto alla salute. Si tratta del diritto ad accettare i limiti naturalidella vita, anche anticipandoli cronologicamente. Se la morte appar-tiene alla vita, non c’è alcun bisogno di configurare una posizione giu-ridica autonoma per dare spazio alla morte. Così come la vita è un di-ritto di libertà, altrettanto la morte, che è una parte di essa 39.

38 Secondo una posizione assai recente è possibile affermare la libertà al sui-cidio, quale modalità di disposizione del più fondamentale dei diritti: il dirittoalla vita, e modalità di manifestazione della personalità ed autonomia indivi-duale che si estrinseca nel l’ambito di una sfera privata ed intangibile, estraneaalla logica del diritto, entro cui l’individuo agisce secondo propria coscienza (v.infra). Nella direzione di un riconoscimento del suicidio si muove la ricostruzio-ne delle norme costituzionali e penali proposta da illustre dottrina tedesca, cheinterpreta il suicidio come un esercizio della libertà personale (Handlung-sfreiheit) conforme all’art. 2 Cost. tedesca, in quanto circoscritto in un recht-sfreien Raum che qualifica il suicidio come un fatto che non è né vietato né au-torizzato dall’ordinamento giuridico, così KAUFMANN, Rechtsfreier Raum und ei-genverantwortliche Entscheidung, cit., 338. Sul tema v. WAGNER, Selbestmord undSelbestmordverhinderung, Karlsruhe, 1975.

39 Per una configurazione del diritto morale di morire come estensione deldiritto inalienabile alla vita, cui corrisponde un vero e proprio dovere al rispettoe riconoscimento rispetto ai terzi, JONAS, Il diritto a morire, cit., 28. Così ancheLECALDANO, Bioetica, cit., 128, secondo cui il diritto a morire rientra nel diritto al-la salvaguardia della propria vita, un’estensione del diritto che ciascuno ha di di-sporre della propria vita.

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CAPITOLO II

IL DIVIETO DEGLI ATTI DISPOSITIVI LESIVIDELL’INTEGRITA FISICA

SOMMARIO: 1. Il principio generale contenuto nell’art. 5 c.c. – 2. La classifi-cazione dei diritti disponibili e indisponibili. Le ragioni dell’indisponibilitàdei beni personali. – 3. Il significato del concetto di «indisponibilità» nei di-ritti della personalità. A) Indisponibilità come caratteristica strutturale deidiritti della persona. B) Indisponibilità come limite alla facoltà di godimen-to del diritto. – 4. Dal divieto alla libertà di disposizione: l’inidoneità della«disponibilità» a fornire indicazioni univoche. – 5. L’interpretazione evolu-tiva dell’art. 5 c.c. La rilevanza del divieto nell’ambito dei soli rapporti ne-goziali. – 6. I rapporti tra consenso dell’avente diritto e divieto di atti dispo-sitivi lesivi. Una premessa sulla libertà di disporre della tutela giuridica. – 7.La limitata efficacia euristica dell’art. 5 c.c. e la costruzione logico-giuridicadel rapporto tra norma penale di favore e norma di divieto.

1. Il principio generale contenuto nell’art. 5 c.c.

La ricerca dei limiti all’estensione della libertà di disporre del pro-prio corpo trova come referenti normativi anche le norme di legisla-zione ordinaria, e in particolare le norme penali poste a tutela della vi-ta umana, a cui deve collegarsi, per quel curioso fenomeno cui già si èaccennato, uno specifico discorso sull’art. 5 c.c.

La materia degli atti di disposizione del corpo non era stata oggettodi disciplina civilistica prima dell’emanazione del codice civile del1942, con la previsione dell’art. 5 c.c.; fino ad allora essa trovava fonteessenzialmente nella legge penale, ed in particolare nell’art. 50 c.p.,che esclude la punibilità di chi dispone di un diritto altrui con il con-senso di colui che può validamente disporne. A quell’epoca, l’interven-to chirurgico di trapianto, dietro pagamento di compenso, di una del-le ghiandole sessuali di un giovane studente napoletano ad un anzianoamericano, sembrò evidenziare una lacuna dell’ordinamento giuridi-co, determinata dall’eccessiva ampiezza della norma penale. Il caso,che costituì l’occasio legis per l’approvazione dell’art. 5 c.c., poneva ilproblema dell’individuazione dei limiti del consenso del l’avente dirittoe della responsabilità penale dei medici, mettendo in crisi, nel clima

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dell’Italia fascista, l’ideologia che attribuiva ai beni individuali un rico-noscimento esclusivamente in funzione degli interessi della colletti-vità 1. Appariva quindi paradossale la liceità di tale pratica medico-chi-rurgica ex art. 50 c.p., che invece superava, secondo la visione del tem-po, i limiti di tollerabilità del danno, e che non rispecchiava l’interessecollettivo, a cui il consenso e l’autodeterminazione individuale avreb-bero dovuto conformarsi.

Tale vicenda influì sull’indirizzo e sulle risoluzioni dei compilatoridel codice civile 2. Malgrado un acceso dibattito ed alcune polemiche 3,trionfò la soluzione più restrittiva, che regola la materia in termini ne-gativi e di divieti, apprestando uno strumento di controllo pubblico suidiritti individuali 4. L’art. 5 c.c. si modella secondo una logica forte-

1 Dal momento che l’operazione ebbe esito positivo, perché sia il giovane nonsubì alcuna menomazione nelle sue funzioni, in quanto la funzionalità vennecompensata da una ipertrofia della ghiandola superstite, sia l’anziano signore ri-cevette grandi benefici, il Tribunale di Napoli emise una sentenza di assoluzio-ne in cui, pur affermando il principio dell’indisponibilità dell’integrità fisica, siescludeva l’esistenza di un interesse tutelato penalmente a causa del consensodel donante, che impedisce la configurazione di un vero e proprio dolo di lede-re, Trib. Napoli, 28 novembre 1931, in Riv. pen., 1932, 74, con nota di SANDULLI.La tesi non fu seguita dalla Corte di Cassazione che, spinta dalla preoccupazio-ne di non aprire delle brecce all’inescusabilità della legge penale, preferì acco-gliere quella del consenso come causa di giustificazione, Cass. 31 gennaio 1934,in Giust. pen., 1934, 374. Così COPPI, Trapianto d’organo: profili penalistici, inAA.VV., Il trapianto d’organi: problemi giuridici e morali. Atti del congresso «Di-ritto alla vita diritto alla morte», Roma, 5 maggio 1983, 48.

2 Sembrò troppo in linea con l’ispirazione dell’art. 50 c.p., e pertanto altret-tanto generica e superflua nella formulazione, la proposta contenuta nell’art. 6del progetto, che sanciva in termini positivi la libertà di disposizione del corpoanche se pregiudizievole per l’integrità fisica, salvo il limite della contrarietà al-la legge o alla morale. Si osservò inoltre che la sua formulazione in termini dipermissività e non di divieto la collocava sulla stessa lunghezza d’onda dell’art.50 c.p., non escludendo i numerosi dubbi che si ponevano circa la configurabi-lità di un diritto del soggetto sul proprio corpo e sulle singole parti di esso, non-ché circa la validità di certi atti di disposizione socialmente apprezzabili. Ulte-riori critiche poi si sollevavano a causa del rinvio alla morale, astratto ed ampio,auspicandosi la sostituzione con il tradizionale criterio del buon costume.

3 Venne ad esempio notato che rispetto ad alcune ipotesi (le stesse esemplifi-cate nel corso dei lavori preparatori) non era necessaria la previsione di un’ap-posita disciplina, essendo già escluse dall’ambito di applicazioni, o già discipli-nate da norme speciali (ad esempio, il contratto di baliatico, che non comportalesione all’integrità fisica, o il contratto di circo). Infine nel caso di pattuizionedi un compenso a favore di chi si fosse esposto a esperimenti, operazioni diespianto, sembravano già sufficienti le norme civilistiche sull’indebito arricchi-mento o sul risarcimento del danno.

4 All’esigenza originaria, prevalente in sede di redazione del progetto preli-

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mente repressiva e simbolica, il cui obiettivo è preservare le condizio-ni fisiche dell’uomo necessarie ad attendere alla gestione dei propri in-teressi e a svolgere la funzione sociale nell’ambito della famiglia e del-la società. In tale soluzione legislativa, in cui confluiscono diverse econtrastanti sollecitazioni del tempo, si coglie il riflesso di certe con-cezioni – già ispiratrici di numerose norme del codice penale – che po-nevano come bene meritevole di tutela l’integrità della stirpe in fun-zione della potenza dello Stato, e dunque la vita e l’integrità fisica co-me beni superindividuali 5.

Malgrado la preesistenza di un principio generale che sulla dispo-nibilità dei diritti individuali, quasi paradossalmente, proprio la suc-cessiva norma civilistica, in cui si è espresso l’interesse del legislatoreper il riflesso patrimoniale della vicenda, ha rappresentato il principa-le punto di riferimento interpretativo. In dispregio ai principi di gerar-chia delle fonti, anche le disposizioni costituzionali che pongono i va-lori da tutelare sono state lette in funzione dei principi posti dalla leg-ge ordinaria, ed in particolare dall’art. 5 c.c. Da queste premesse si èquindi ammessa la diretta rilevanza dell’art. 5 c.c. anche in materia pe-nale.

Del resto la stessa successione temporale, che ha visto prima l’in-troduzione dell’art. 50 c.p., il cui contenuto doveva delimitarsi attra-verso l’introduzione della successiva disposizione civilistica, ed infinedei principi costituzionali, ha fatto sì che il divieto del codice civile ab-bia assunto le connotazioni di principio generale dell’ordinamento equasi valenza «costituzionale». La genesi di questa disposizione civili-stica ha condizionato fortemente la dottrina giuridica fino al punto dielaborare una teoria che vede nell’art. 5 c.c. una norma fondamentaleche pone un principio generale, i cui contenuti possono semmai subi-re eccezionali deroghe, ma non possono essere intaccati nella loro as-solutezza 6.

minare, di garanzia di una certa disponibilità del corpo, concepito come ogget-to di un diritto soggettivo assoluto da tutelarsi anche nel suo aspetto patrimo-niale, era venuta sovrapponendosi nel corso dei lavori preparatori una esigenzadi segno opposto intesa a limitare tale ambito di disponibilità, non tanto in fun-zione della tutela della salute o dell’integrità fisica in sé considerata, quantopiuttosto per salvaguardare certi aspetti del corpo visti come strumentali rispet-to al perseguimento di determinate finalità di carattere pubblico. Dalla con-fluenza di tali opposte tendenze l’una di ispirazione liberale-individualistica, l’al-tra pubblicista, e dal conflitto potenziale tra esse nasce l’art. 5 c.c.

5 In senso contrario a quest’interpretazione, GEMMA, Integrità fisica, in Dig.disc. pubbl., VIII, Torino, 1993, 456.

6 Sulla base di questa prospettiva gli atti di disposizione del corpo sono staticlassificati in due categorie: disposizioni vantaggiose e disposizioni svantaggioseper il titolare del diritto. Le prime sono sempre lecite purché il vantaggio arreca-

Il divieto degli atti dispositivi lesivi dell’integrità fisica 63

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Le conseguenze di questo filone di pensiero sono state notevoli. In-nanzitutto sul piano dell’interpretazione della ratio e delle finalità del-le norme poste a tutela della vita umana: il principio deontologico del-la indisponibilità dell’integrità fisica, e a fortiori della vita, che si rica-va dal divieto civilistico, fornirebbe la chiave interpretativa delle fatti-specie incriminatrici dell’omicidio del consenziente e dell’istigazione oaiuto al suicidio, oltre a trarre da esse stesse ulteriore legittimazione econferma. Ma l’operazione ermeneutica non si è limitata ad una forsesemplicistica ed ormai sorpassata lettura di alcune norme penali postea tutela della vita umana; l’estensione del principio ha investito ancheil tema dell’individuazione dei limiti di operatività della scriminantedel consenso dell’avente diritto, la principale fonte in materia di atti didisposizione diretta ed indiretta del corpo.

Tuttavia l’accentuata valorizzazione della norma del codice civilesembrava non tenere conto delle perplessità avanzate già dal finire de-gli anni ’60 e delle aspre critiche che invece copiosamente ci offre laletteratura civilistica, proprio su portata, ambito applicativo e ruoloassegnati a tale disposizione, non più in grado di risolvere i problemiposti dalle più recenti modalità di disposizione del corpo. In relazioneai sopravvenuti principi costituzionali sono state dunque evidenziatele ambiguità terminologiche dell’art. 5 c.c. e di tutta la tematica degliatti di disposizione del corpo. La fuorviante espressione «potere di di-sposizione del corpo», a cui si contrappone invece quella di «libertà»,la preposizione «del» corpo o «sul» corpo, la stessa nozione giuridicadi indisponibilità e disponibilità sono state messe sotto accusa, coin-volgendo la concezione ideologica che li sosteneva, e cioè quella con-cezione che vedeva nel corpo un oggetto separato che si pone in unrapporto di strumentalità all’esercizio di attività e all’adempimento didoveri. Tutta la terminologia legislativa rifletteva una certa concezionedel l’uomo, dei suoi bisogni materiali, della corporeità, del rapportocon l’autorità pubblica, ormai anacronistica, e sopratutto oggi incosti-tuzionale.

to sia maggiore rispetto al danno subito, mentre per le seconde si distingue a se-conda che allo svantaggio per il titolare del diritto corrisponda un vantaggio perla collettività o per terzi, oppure siano del tutto indifferenti o svantaggiosi ancheper i terzi. In tal caso, poiché il danno all’individuo non arreca neppure alcunvantaggio alla collettività, l’atto dispositivo non può essere giustificato. La distin-zione suddetta si collega alla qualificazione della lesione subita, propria dell’art.5 c.c.: per gli atti a cui non corrisponde né un vantaggio per l’individuo né un van-taggio per la collettività, si profila comunque la illiceità a prescindere dal requisi-to di cui all’art. 5 c.c. della diminuzione permanente, mentre quelli vantaggiosi(es. donazione di organi a fini di trapianto) sono leciti nei limiti dell’art. 5 c.c. V.MANTOVANI, Delitti contro la persona, Padova, 1995, 103; SALAZAR, Consenso del -l’avente diritto e disponibilità dell’integrità fisica, in Cass. pen., 1983, 53.

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Una volta contestate le teorie liberali che concepivano l’individuocome proprietario della propria persona che per effetto di una sorta diincorporazione dispone contrattualmente delle parti del corpo comefossero oggetto di dominio, oggi si afferma l’unitarietà nell’uomo di cor-po e spirito, si nega la possibilità che il corpo possa essere oggetto di go-dimento, disposizione o qualsivoglia «potere», evidenziandosi come iltema investa piuttosto quello della libertà di autodeterminazione 7.

Questi capovolgimenti culturali, spesso non omogenei nelle istanzedi partenza, hanno messo totalmente in crisi il linguaggio legislativo,che utilizza termini quali «atto di disposizione» o «potere di disposi-zione», oggi quasi anacronistici. Oltre a mettersi in gioco la stessa po-sizione soggettiva, cioè se si tratti di libertà o di potere, sempre sul pia-no delle precisazioni terminologiche si mette in dubbio in punto dipartenza se si possa in senso proprio disporre del proprio corpo, dalmomento che si dispone di diritti e non di beni finendo per affermareper ragioni morali e strutturali, l’inidoneità del corpo ad assumere laqualifica di bene. La precisazione riguardante la preposizione (atti didisposizione «del» o «sul» corpo) diviene allora indice di una riflessio-ne di fondo che rifiuta l’idea dell’esercizio di «poteri» sul corpo.

Sembra quindi più corrispondente ai principi costituzionali – dacui non può trarsi una concezione che vede l’uomo e il suo corpo comecomponenti distinte della persona umana e del suo valore – parlare di«libertà di disporre del proprio corpo», piuttosto che di «potere». Nel-la prospettiva suddetta, la normativa degli atti di disposizione del cor-po diviene una disciplina limitativa – non di un potere – ma di una li-bertà fondamentale, ossia quella di decidere in ordine a comporta-menti e attività che incidono sul proprio corpo per azione direttadell’interessato o per opera di terzi.

L’evoluzione del dibattito e della riflessione civilistica sull’art. 5 c.c.è contrassegnata da un ulteriore passaggio: la suddetta norma infatti,secondo le più recenti acquisizioni, pone la disciplina civilistica del di-ritto all’integrità fisica come classificabile tra i diritti della personalità,il cui fondamento costituzionale è ravvisabile nell’art. 2 Cost., ed il cui

7 La teoria secondo cui i diritti della personalità sarebbero uno ius in seipsum (ovvero diritti sulla propria persona o su se stessi) considerava il corpocome un oggetto autonomo e separato dalla persona su cui è possibile esercita-re poteri dispositivi e veri e propri diritti soggettivi, reali o personali, secondo unmodello proprietario. Questa concezione che ha influenzato l’art. 5 e la termi-nologia in esso utilizzata, descrive il rapporto tra persona e corpo in termini ditraditio corporis e di atto di disposizione, presupponendo la definizione del cor-po come bene, ossia di cosa dotata di utilità e attitudini a soddisfare esigenzeeconomiche e sociali. BADALASSI, Note in tema di responsabilità per atti di disposi-zione del proprio corpo, in Arch. resp. civ., 1969, 883; PESANTE, Corpo umano (attidi disposizione), in Enc. dir., X, Milano, 1962, 563.

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oggetto è assai ampio. Invero, il collegamento con l’art. 32 Cost. evi-denzia la recezione di un’ampia nozione di integrità fisica latamenteintesa come interezza degli elementi componenti l’organismo naturaledell’uomo, sia nell’aspetto fisiologico e anatomico, che altresì psichico.Il diritto all’integrità fisica, con la denominazione di diritto alla salute,è quindi recepito a livello costituzionale in tutta l’estensione del suooggetto 8.

Ma c’è di più. Si inverte di segno l’interpretazione della disposizio-ne civilistica, come norma che ammette genericamente, purché noncontrasti con i limiti in essa previsti, la disposizione del corpo umano,mediante il consenso all’offesa. L’art. 5 c.c. dunque viene interpretatoin senso opposto a quell’orientamento per lungo tempo dominante:non più un divieto di disporre, ma individuazione di un ambito, anchese circoscritto, di disponibilità del diritto al l’integrità fisica 9. Quindi,ridimensionato il contenuto della norma, si prospetta il compito diriformulare un’ipotesi interpretativa dell’art. 50 c.p. e del principio inesso espresso, rimettendo in gioco la stessa nozione di disponibilità deldiritto, che ne condiziona l’ambito di operatività, e la sua esclusiva ri-levanza nell’ambito delle scriminante.

All’interprete spetta infine il compito di effettuare una ricognizionedelle norme penali poste a tutela della vita umana che, oltre ad esserescevra da una visione ideologica precostituita, tenga conto del mutatocontesto costituzionale e culturale, alla luce di quella che costituisce lapietra miliare su cui si fonda la costruzione del nuovo ordinamento: il

8 Se, per l’art. 5 c.c. non è il corpo – inteso nella sua materialità – e dunque ildiritto sulle sue singole parti o singole funzioni, ad entrare nell’accordo disposi-tivo, ma piuttosto il diritto generale alla propria salute che l’ordinamento rimet-te al singolo, appare chiaro tale divieto non possa riferirsi ad atti diretti a realiz-zare un vantaggio per la salute dell’individuo, perché altrimenti si disconosce-rebbe, in nome dell’integrità fisica, il diritto a curarsi e il diritto alla salute., AVE-CONE, La responsabilità penale del medico, cit., 24 ss., che riprende la tesi di VAN-NINI, Delitti contro la vita, Milano, 1946, 120. Altra dottrina ha sottolineato comeil limite previsto dall’art. 5 c.c. valga solo per gli atti di autolesione (VINCENZI

AMATO, Tutela della salute e libertà individuale, in Giur. cost., 1982, 2462 ss.) e pergli interventi medici effettuati in vista di scopi estranei a quelli di cura, sia pureintesa in senso lato, I trapianti e la sperimentazione umana nel diritto italiano estraniero, Padova, 1974, 101. In tal senso FORTUNA, La responsabilità del medico ela terapia del dolore, in Riv. it. med. leg., 1980, 721, per il quale il consenso può le-gittimamente estendersi oltre i diritti strettamente disponibili, ove ciò sia giusti-ficato dal diritto alla salute.

9 D’altra parte si evidenzia che un’eventuale lettura ampia della norma nonpuò però condurre al riconoscimento di una disponibilità piena dei diritti indi-viduali nella sua massima estensione, così GIUSINO PARODI-NIZZA, La responsabi-lità penale del personale medico e paramedico, in Giurisprudenza sistematica di di-ritto penale, diretta da BRICOLA-ZAGREBELSKY, Torino, 1996, 398.

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principio personalista. La conseguenza logica di tale principio fondan-te è, in materia penale, una lettura delle norme secondo il seguenteprecetto: ciò che non è espressamente vietato dalla legge penale, deveconsiderarsi necessariamente lecito. Una «lacuna» della legge penalenon è sintomatica di noncuranza o trascuratezza da parte del legisla-tore, ma riflette, anche se implicitamente, una precisa scelta politico-criminale alla quale occorre riferirsi anche nell’opera di interpretazio-ne – e di critica – del diritto positivo vigente.

2. La classificazione dei diritti disponibili e indisponibili. Le ragionidell’indisponibilità dei beni personali

Fin dalla sua introduzione, non era chiaro se e con quali limiti, lanorma di favore del consenso dell’avente diritto, nata con riferimentoai diritti a contenuto patrimoniale, potesse esplicare piena efficaciacon riferimento ai beni personali, ed in particolare rispetto al dirittoal l’integrità fisica.

In verità, la mancanza di una espressa previsione di limiti al poteredi disposizione del diritto contenuto all’art. 50 c.p. sembrava contrariaal sentire dell’epoca, e richiedeva all’interprete il compito di individua-re i pochi casi in cui il consenso potesse esplicare pienamente la sua ef-ficacia. Pertanto l’introduzione dell’art. 5 c.c. volle rappresentare unasorta di interpretazione autentica e dislocata della norma penale, fina-lizzata a circoscriverne l’ambito di operatività 10.

Sulla scorta di tali premesse, la prevalente dottrina ha ritenuto diattribuire legittimamente all’art. 5 c.c. il ruolo e la portata di norma de-putata a segnare i limiti di disponibilità dei beni personali, ulteriori aquelli che espressamente il legislatore penale prevede attraverso le spe-cifiche fattispecie incriminatrici. La rilevanza della norma anche inambito penale è avvenuta attraverso l’inquadramento dogmatico del -l’espressione «diritto disponibile» contenuta nell’art. 50 c.p., come unelemento normativo di tipo giuridico, la cui definizione rinvia all’inte-ro ordinamento giuridico, nel suo complesso e continua evoluzione;

10 Così MONASSERO, Limitazione degli atti di disposizione del proprio corpo se-condo l’art. 5 c.c., in rapporto all’efficacia discriminante del consenso dell’aventediritto (art. 50 c.p.), in Ann. dir. proc. pen., 1939, 490. La stessa genesi, termino-logia, tecnica di redazione nella forma del divieto, invero singolare nel contestodel codice civile, sembrano deporre nel senso di uno stretto rapporto: anche ilcarattere della permanenza della lesione, in contrapposizione a quello dellatransitorietà, sembra una vera e propria citazione della fattispecie penale di le-sioni.

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dunque all’insieme di ordinamenti settoriali nel cui ambito si configu-ra la situazione soggettiva tutelata.

L’impostazione tradizionale è stata per lungo tempo quella di indi-viduare un generale catalogo di beni indisponibili e di beni disponibiliseguendo le linee indicate dall’art. 5 c.c., affinché fossero ben chiari edeterminati i limiti di operatività della disposizione in questione, piut-tosto che indagare sulla stessa nozione di «disponibilità del diritto» co-me categoria giuridica. Vanno certamente inseriti nella prima catego-ria quelli, individuali o collettivi, rilevanti per l’intera collettività, ri-spetto ai quali lo Stato vanta un interesse diretto alla loro salvaguardia;viceversa, affinché il consenso possa esplicare l’effetto voluto, è neces-sario che il fatto illecito interferisca direttamente con beni di esclusivapertinenza personale, di cui il titolare goda di piena disponibilità 11.Tuttavia, nell’ambito dei diritti di natura individuale, viene introdottauna ulteriore distinzione, relativa ai diritti all’integrità fisica e alla vita.Con riguardo al primo, il regime di disponibilità è stato individuato as-sumendo quale metro di valutazione della disponibilità e limite internoall’efficacia scriminante, l’enunciato dell’art. 5 c.c. Il secondo, perespressa previsione del legislatore penale, sarebbe sottratto alla dispo-nibilità non solo diretta, ma anche indiretta, del suo titolare 12.

11 Il criterio più risalente di classificazione dei beni disponibili fa riferimen-to alla titolarità del diritto, cui equivale il potere di disposizione. Una variante ditale posizione è la tesi che pone l’accento sull’interesse alla tutela del diritto osul l’interesse sostanziale protetto. In base al suddetto criterio sono indisponibi-li gli interessi rispetto ai quali lo Stato rivendica una utilità sociale immediata,un interesse diretto alla loro tutela, disponibili quelli che non presentano siffat-ta utilità, ovvero quelli che lo Stato si preoccupa di tutelare penalmente alla con-dizione che ciò interessi concretamente il titolare, e nei confronti dei quali la tu-tela scatta solo nella misura in cui il titolare non abbia prestato consenso alla lo-ro lesione o messa in pericolo. Appartengono alla prima categoria i diritti chefanno capo allo Stato o alla collettività, o quelli individuali rispetto ai quali loStato rivendica un interesse diretto; alla seconda categoria quelli che lo Stato ri-conosce esclusivamente per garantire ai singoli il libero godimento. In definiti-va, il criterio dimostra che taluni beni non sono disponibili da parte del titolareperché vincolati ad una destinazione e finalità di interesse generale. La distin-zione tra le due categorie è stata in passato ricondotta a quella tra diritti sogget-tivi pubblici e interessi di ordine pubblico, e diritti soggettivi privati, così VISCO,L’omicidio e la lesione personale del consenziente, Milano,1939, 25 ss.

12 Nel senso che non solo la vita, ma anche l’integrità fisica, costituiscono be-ni indisponibili, in virtù dell’applicazione dell’art. 5 c.c. in materia penale, ALTA-VILLA, Delitti contro la persona. Delitti contro la integrità della stirpe, in Trattato didiritto penale, coord. da FLORIAN, IV ed., 1934, 151; MANZINI, Trattato di diritto pe-nale italiano, cit., 109; ANTOLISEI, Manuale di diritto penale - parte speciale, a curadi CONTI, XII ed., I, Milano, 1996, 66; CATTANEO, La responsabilità del professioni-sta, Milano, 1958, 230 ss; e recentemente, MOSCATI, Trapianti di organi, in Dizio-

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La dottrina prevalente quindi, enfatizzando la portata del principioricavabile dagli artt. 579 e 580 c.p. da un lato, e dall’art. 5 c.c. dall’altro,ha riproposto l’assunto della indisponibilità assoluta della vita umana,condiviso da una larghissima parte della criminalistica della fine del -l’ottocento 13, giungendo persino ad affermare l’illiceità del suicidio.Ciò ha determinato una curiosa situazione per la quale beni per defi-nizione di natura individuale e personali sono stati sottratti alla dispo-nibilità del titolare, in relazione a quell’interesse diretto ed esclusivoche lo Stato rivendica alla loro tutela. La rilevanza del bene infatti sa-rebbe tale da trascendere gli interessi concreti del titolare e a giustifi-care massima cautela e una forma di tutela «imposta» anche se in con-trasto con la volontà di questi.

Invero, alle radici di una netta opposizione ad un’estesa disponibi-lità di tutti i beni personali, compresi quelli della vita e dell’integrità fi-sica, vi sono preoccupazioni che concernono fondamentali esigenze dicertezza. Un’eccessiva soggettivizzazione nell’individuazione dell’offe-sa metterebbe seriamente a repentaglio l’interesse della collettività allaconservazione dei beni giuridici, anche a scapito delle aspettative ge-neralizzate di parità di tutela del medesimo bene protetto. Simile am-pio riconoscimento dell’autodeterminazione individuale, tale da am-mettere che, così come la distruzione di una cosa con il consenso delproprietario non costituisce danneggiamento, altrettanto l’uccisione diun uomo con il consenso di questi non è omicidio, rischierebbe di scar-dinare la stessa costruzione teorica della categoria di bene giuridico 14.

Queste le obiezioni che prendono le mosse dalla premessa che, cosìargomentando, il bene giuridico non verrebbe protetto nella sua og-gettiva ed astratta materialità, in quanto espressione simbolica di va-

nario di diritto privato, a cura di IRTI, I, Diritto civile, Milano, 1980, 813; GIACOB-BE, Trapianti, in Enc. dir., XLIV, Milano, 1992, 894.

13 CARRARA, Programma del corso di diritto criminale, parte speciale, IV ed., I,Lucca, 1878, 214; PESSINA, Elementi di diritto penale, II, Napoli, 1883, 16.

14 V. in proposito le concezioni di MARX, Zur definition des Begriffe «Recht-gut». Prolegomena einer materialen Verbrechenslehre, Berlin-Bonn, 1972. Sullaconcettualizzazione del bene giuridico in Italia si veda soprattutto MUSCO, Benegiuridico e tutela dell’onore, Milano, 1974; ANGIONI, Contenuto e funzioni del benegiuridico, Milano, 1983. Recentemente, sulla funzione politico-criminale del be-ne giuridico v. PALAZZO, I confini della tutela penale: selezione dei beni e criteri dicriminalizzazione, in Riv. it. dir. proc. pen., 1992, 453; MARINUCCI, Costituzione epolitica dei beni giuridici, in Riv. it. dir. proc. pen., 1994, 333. Segnalano che laproduzione legislativa sembra andare in direzione opposta a quella segnata daicriteri di politica criminale derivanti dalla teorica del bene giuridico, MUSCO, Di-ritto penale e politica: conflitto, coesistenza o cooperazione, in Studi in onore di G.Vassalli, II, Milano, 1991, 3 ss.; MOCCIA, Dalla tutela di beni alla tutela di funzioni:tra illusioni postmoderne e riflussi illiberali, in Riv. it. dir. proc. pen., 1995, 343.

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lore, ma come strumento di realizzazione di fondamentali libertà indi-viduali, sostrato dell’autonoma individuale 15. Quest’eccessiva valoriz-zazione dell’aspetto strumentale ed utilitaristico, ne stravolgerebbe lastessa definizione come interesse di fatto indipendente dalla persona edalla volontà del titolare, e persino la stessa relazione di valore con iltitolare del bene 16. In definitiva, si paventa il pericolo che una simileincidenza dell’interesse individuale sulla tutela penale possa minarenelle stesse fondamenta la teoria della natura oggettiva della tutela pe-nale, a favore di un sistema penale forgiato sulla volontà e sugli inte-ressi del titolare del bene 17.

15 Con riferimento al carattere personalistico degli interessi tutelati, emergo-no nella letteratura tedesca posizioni estreme che fanno coincidere gli oggetti tu-telabili con i diritti individuali, partendo dalla premessa che all’origine di ognibene penalmente tutelabile debba esservi un bisogno individuale, MAINWALD,Zum fragmentarischen Charakter des Strafrechts, in Festschrift für R. MAURACH,Karlsruhe, 1972, 11; ROXIN, Strafrecht, Algemeiner teil, I, Grundlagen. Der Aufbauder Verbrechenslehre, München, 1997, 464. La tesi è stata affermata anche daPAPPALARDO, Eutanasia e sue problematiche giuridiche, in Giust. pen., 1985, 186.

In realtà si tratta di un argomento soltanto suggestivo, poiché la disponibilitànulla ha che a vedere con l’esistenza stessa del bene giuridico secondo una con-cezione categoriale. A ben guardare, il consenso del titolare del diritto incide sul-la lesione concreta del bene, senza però intaccarne la generale esistenza e ne-cessità di tutela. Così come disporre a favore altrui di una propria cosa non si-gnifica rinunciare in assoluto alla tutela del proprio patrimonio, né intaccare ilvalore generale che il bene riassume, altrettanto un atto di disposizione autole-sionista della propria persona, circoscritto e concreto, non equivale ad una ri-nuncia generale ed incondizionata di tutela, né mette in discussione in generalel’interesse alla tutela del bene in questione.

16 Ma si porrebbe in dubbio anche la distinzione tra bene giuridico ed ogget-to materiale dell’aggressione ovvero tra quest’ultimo e il soggetto passivo titola-re del l’interesse protetto, in cui si esprime la qualifica normativa e generale diquel l’oggetto che ha concretamente subito l’aggressione. In proposito V. LAMPE,Rechtsgut, kultureller Wert und individueller Bedürfnis, in Festschrift für H. WEL-ZEL, Berlin, 1974, 151; AMELUNG, Rechtsgutverletzung und Sozialschädlichkeit, inRecht und Moral, cit., 269.

17 Le preoccupazioni accennate non spiegano tuttavia come mai per i dirittiprivati patrimoniali, a differenza di quelli personali, non si ponga il rischio diun’estrema soggettivizzazione della tutela penale, né sia messa in pericolo la na-tura oggettiva della tutela penale. Infine non è chiaro come mai la disponibilitàdei diritti a contenuto patrimoniale non stravolga, come accadrebbe per quellipersonali, la relazione di valore tra bene e titolare del bene. Infatti, in relazionea determinati beni a titolarità individuale di natura patrimoniale, la disciplinaprevista in altri rami dell’ordinamento dimostra che la disponibilità riconosciu-ta ai rispettivi titolari solo in una stretta minoranza di casi può dirsi pienamen-te libera ed incondizionata: anche il diritto di proprietà privata può subire limi-tazioni in ragione della sua funzione sociale e risultare dunque indisponibile al

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In verità, le ragioni culturali che stanno alla base della scelta di ri-conoscere scarsa o nulla rilevanza alla volontà di colui che è titolaredel bene protetto nella individuazione del contenuto dell’offesa, si rin-vengono già agli albori del diritto penale, allorché si innesta un pro-cesso di graduale ma costante estromissione del ruolo della vittima dalfulcro degli interessi protetti. Il fenomeno rinvia al momento in cui ildiritto penale comincia il suo percorso di «secolarizzazione», ovvero diricerca delle proprie ragioni d’essere in giustificazioni di tipo raziona-le (il contratto sociale, il rifiuto della una concezione sacrale della pe-na), allontanando dall’idea di giustizia l’istinto alla vendetta privata 18.

All’accentuarsi di tale processo corrisponde un sempre maggioregrado di «astrazione» del criterio di legittimazione del potere punitivo,dagli interessi concreti. Ovvero: è il concetto di danno o di offesa che si«smaterializza», quasi che il pregiudizio subito dalla vittima, semplice«portatore» degli interessi protetti, sia solo un’occasione per attivare lapotestà punitiva 19. Questa concezione vede come prevalente l’offesa

suo titolare. D’altra parte, non sempre il consenso può essere sufficiente adescludere l’offesa di tutti gli interessi potenzialmente riconducibili all’azione: so-no le ipotesi in cui il consenso è prestato in relazione a fatti caratterizzanti, sot-to il profilo dell’offensività, dalla lesione di più beni giuridici, dei quali uno sol-tanto è nella disponibilità del consenziente. Una di queste ipotesi è data dai rea-ti di calunnia e di autocalunnia.

18 Sul processo di secolarizzazione in diritto penale, STELLA, Laicità dello Sta-to: fede e diritto penale, in AA.VV., Diritto penale in trasformazione, a cura di MA-RINUCCI-DOLCINI, Milano, 1985, 309; ROMANO, Secolarizzazione, diritto penale mo-derno e sistema dei reati, in Riv. it. dir. proc. pen., 1981 477; FIANDACA, Laicità deldiritto penale e secolarizzazione dei beni tutelati, in Studi in memoria di P. Nuvo-lone, I, Milano, 1991, 165; MAGRO, Etica laica e tutela della vita umana, cit., 1382.

19 La neutralizzazione del ruolo della vittima che subisce direttamente l’offe-sa, quale antagonista dell’autore del fatto, trova quindi massima estensione nel -l’elaborazione della teoria del bene giuridico categoriale, in cui sono prevalentile esigenze sistematiche, concettuali, di ricognizione, quale nuovo paradigmache segna il passaggio dalle concezioni che pongono a fondamento dell’illecito laviolazione di un diritto soggettivo, ed infine nella differenziazione tra beni cheafferiscono ad interessi individuali e beni che riflettono interessi collettivi; di-stinzione questa che segna un salto nel processo di astrazione del bene giuridi-co, soprattutto con riferimento ai beni collettivi, assumendo rilevanza ai fini del-la qualificazione del diritto come disponibile validamente da parte del titolare,così SESSAR, Rolle und Behandlung des Opfers im Strafverfahren, in Bewärung-shilfe 27, 1980, 328-339, citato in ESER, Bene giuridico e vittima del reato: preva-lenza dell’uno sull’altra, in Riv. it. dir. pen., 1997, 164, 1081.

Nella prospettiva della vittima un concetto di reato orientato alla lesione diun diritto soggettivo sarebbe il miglior fondamento giustificativo; ma sappiamoche tale soddisfazione deve arrestarsi di fronte a quella elaborazione dello stes-so maggior sostenitore Feuerbach, che incluse nell’ambito di lesione di dirittosoggettivo anche le semplici violazioni di polizia, e che si riferiva al diritto all’ob-

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arrecata alla società rispetto a quella subita dalla vittima in concreto 20,che si ripercuote proprio nella ratio della tutela della vita umana, in cuisi scorge come profilo di offesa, non solo quella arrecata ad un indivi-duo concreto, ma piuttosto quella arrecata alla vita umana in assoluto,secondo un processo che va «dall’offesa individuale all’offesa istituzio-nale» 21. L’intera costruzione dell’illecito è pressoché unicamente in-centrata sulla figura dell’autore del fatto, mentre la vittima del reatonon assume alcun ruolo nella individuazione del fatto illecito, che pu-re incide su interessi individuali, o degli obiettivi di tutela. La rilevan-za della vittima come soggetto che subisce concretamente e diretta-mente il danno è dunque del tutto marginale e secondaria, se non deltutto assente, poiché il sistema penale è concepito come una contrap-posizione, uno scontro frontale, tra autore del reato, reo, e autorità ti-tolare del potere punitivo. Il rischio è l’affermazione di una concezio-ne che vede nella vita umana, piuttosto che una situazione di fatto of-fendibile, un valore astratto e normativo, un principio assoluto ed in-tangibile, sordo ad ogni valutazione secondo un senso di umanità 22.

bedienza dello Stato, FEUERBACH, Lehrbuch des gemein in Deutschland gültigenpeinlichen Rechts, Giessen, 1832, par. 22.

20 Con l’illuminismo e con le teorie del contratto sociale «la vittima deve con-dividere la sua posizione, ma di minore rilievo con quella di livello superiore del-la società», così ESER, Bene giuridico e vittima del reato, cit., 164.

21 Ciò conduce all’affermazione estrema della necessità di punire l’omicidionon tanto al fine di tutelare la vita umana del singolo in quanto tale, quanto alloscopo di garantire la sopravvivenza dello Stato come un «tutto unico», BIRN-BAUM, Über das Erforderniss einer Rechtsverletzung zum Begriffe des Verbrechens,in Archiv des Criminalrecht, 1834, 180.

22 Una concezione del contenuto dell’offesa astratta e generale è presente an-che nelle modernissime concezioni della pena che sopravvalutano la finalità diprevenzione generale: esse assumono come punto di partenza del giudizio di di-svalore di un fatto, la condotta ipoteticamente intrapresa da chiunque e da tut-ti, e quindi che non guardano al danno solo come semplice perdita di valore diun bene concreto causato da una singola ed isolata condotta, ma in vista di unaprevedibile e generale aggressione di quel bene come categoria, e nei confrontidelle condotte di chiunque. La preoccupazione quindi è principalmente rivoltaad assicurare una generale «tenuta» del bene giuridico protetto, del grado di ap-provazione dell’interesse oggetto di tutela, affinché non vi sia una perdita di fi-ducia sulla significatività dell’interesse e sulle capacità di difesa e di rassicura-zione del potere pubblico. Sulla prevenzione generale della pena, v. STELLA, Ilproblema della prevenzione della criminalità, in Teoria e prassi nella prevenzionegenerale dei reati, a cura di ROMANO-STELLA, Bologna, 1980, 13; ANDENEAS, La pre-venzione generale nella fase della minaccia, dell’irrogazione e dell’esecuzione dellapena, in Teoria e prassi, cit., 33; BARATTA, La teoria della prevenzione-integrazionee la teoria sistemica della società e del diritto, in Dei delitti e delle pene, 1984, 5;

72 Eutanasia e diritto penale

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3. Il significato del concetto di «indisponibilità» nei diritti della per-sonalità. A) Indisponibilità come caratteristica strutturale dei di-ritti della persona. B) Indisponibilità come limite alla facoltà di go-dimento del diritto

Malgrado fosse nelle intenzioni del legislatore concepire l’art. 5 c.c.come un’integrazione autentica della norma penale, a ben guardare,non sembra che questa disposizione in realtà fornisca elementi peruna ricostruzione generale della categoria dei diritti indisponibili, chesarebbe invece proficua ai fini di una corretta interpretazione dell’art.50 c.p.; viceversa, sono notevoli le difficoltà interpretative legate alladefinizione di cosa consista la «disponibilità» di un diritto 23, ed è al-tresì controversa la ricostruzione delle finalità della categoria stessa,ossia delle ragioni che giustificano l’apposizione di limiti alla libera di-sponibilità dei beni giuridici personali 24.

HERZOG, Präevention des Unrecht und Manifestation des Recht, Frankfurt amMain, 1987; ID., Gesellschaftliche Unsicherheit und strafrechtlische Daseinvorsor-ge, Frankfurt am Main, 1991; LUZON, Generalprävention, Gesellschaft und Psy-coanalyse, in GA, 1984, 393; SCHUMANN, Posit Denken. Das neue Verständnis vonGeneralprävention, in Neue Kriminalpolitik, 1990, 35.

23 La nozione di «disponibilità» sembrava ostile ad ogni tentativo di inqua-dramento, in proposito SALTELLI, Disponibilità del diritto e consenso dell’aventediritto (in tema di attentati all’integrità personale), in Ann. dir. proc. pen., 1934,245. Era perfino controverso se la facoltà di disposizione facesse parte del con-tenuto del diritto soggettivo, quale estensione anche estrema della facoltà di go-dimento, o fosse estrinseca ad esso, in quanto emanazione della capacità di agi-re di ciascun individuo, non rientrante nel contenuto dei singoli diritti.

Inoltre, se da una lato viene definita ora come il potere di trasferimento deldiritto di cui si è titolari, ora come la facoltà di determinare in ogni modo il de-stino del diritto, altrettanto dall’altro ci si chiede se la nozione opposta di indi-sponibilità comprenda la sola intrasmissibilità del diritto, oppure anche la irri-nunciabilità del diritto, ossia l’impossibilità di estinguere i diritti della persona-lità per volontà del titolare. In ogni caso l’indisponibilità sembra definirsi, se-condo una definizione più ampia, come l’ostacolo giuridico alla modificazionesoggettiva della titolarità di taluni beni. Altrettanto la disponibilità deve essereintesa genericamente come il potere di determinare il proprio assetto di interes-si e il destino del diritto soggettivo. Così DE CUPIS, Corpo (atti di disposizione), inNoviss. Dig. It., IV, Torino, 1959, 854; ID., I diritti della personalità, in Trattato, CI-CU-MESSINEO-MENGONI, Milano, 1982.

24 Il fondamento di una simile disciplina limitativa può essere ricondotto aragioni intrinseche al bene stesso, per così dire strutturali, oppure alla partico-lare funzione o destinazione giuridica del bene per motivazioni del tutto estra-nee all’oggetto, COSENTINO, Il paternalismo del legislatore nelle norme di limitazio-ne dell’autonomia dei privati, cit., 119, che riconduce i divieti di alienazione a fi-nalità paternalistiche.

Il divieto degli atti dispositivi lesivi dell’integrità fisica 73

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Partendo dalla configurazione, ormai pacifica, dei diritti della per-sona come posizioni giuridiche che qualificano un particolare modo diessere (fisico o morale) della persona, e che incidono sulla dimensionedel l’essere e non dell’avere, l’indisponibilità dei diritti della personalitàsarebbe espressione dell’inidoneità strutturale del bene ad esplicareuna funzione diversa da quella a cui è destinato per sua stessa natura,per il nesso organico che lega l’oggetto del diritto al suo titolare. Ne se-gue che i concetti di indisponibilità, inalienabilità o irrinunciabilità insenso tecnico mal si adattano a tali diritti, che al più debbono qualifi-carsi come inseparabili dal soggetto 25. Il carattere indisponibile dei di-ritti della persona discende dall’inerenza e inseparabilità del diritto dalsuo titolare, e non è una limitazione normativa ad una particolare fa-coltà di godimento o di esercizio del diritto. In definitiva i limiti al po-tere di disposizione non sono in realtà tali, ma conseguenze logichedelle caratteristiche strutturali dell’oggetto del diritto, che nulla hannoa che vedere con le limitazioni alla libertà di autodeterminarsi 26: i di-ritti alla vita e all’integrità fisica non sono indisponibili perché l’art. 5vieta che di essi si disponga attraverso atti traslativi, ma perché si trat-ta di diritti per i quali la rinuncia, l’abdicazione, il trasferimento a ter-zi, è logicamente inconcepibile.

Altra ricostruzione è quella secondo cui la figura giuridica dell’indi-sponibilità dei diritti della personalità non esprime soltanto una sem-plice inidoneità di tali diritti ad avere un oggetto suscettibile di valuta-zione economica e di appropriazione individuale. Al contrario essa haun significato ulteriore ed estrinseco che rispecchia la funzionalizza-

25 I diritti della personalità, non essendo per natura suscettibili di appropria-zione da parte di altri, sono esclusi per definizione dalla sfera di competenza pa-trimoniale e non possono costituire oggetto di rapporti giuridici; sono quindiper loro natura intrasmissibili e indisponibili, nel senso che non può essere mu-tato il regime di appartenenza neppure per volontà del titolare, PESANTE, Corpoumano, cit., 657-658, per il quale, a causa dei suddetti caratteri, gli atti di dispo-sizione del corpo umano non possono essere proprio atti di disposizione dei di-ritti sul proprio corpo, ma soltanto atti lesivi o che comunque comportino unalesione, dei «modi di essere» fisici dell’uomo. Conseguentemente l’oggetto di ta-li diritti non ha una immediata utilità di ordine economico e carattere patrimo-niale, che non esclude però la possibilità del risarcimento del danno in caso dilesione. Cfr. BESSONE-FERRANDO, Persona fisica, in Enc. dir., XXXIII, Milano,1983, 200; MASTROPAOLO, Diritto alla vita e alla integrità corporea tra biotecnica ebioetica, cit., 595.

26 Seguendo la suesposta tesi che equipara la disponibilità con il potere ditrasferire o alienare il bene in oggetto, la trasposizione della categoria dal codi-ce civile alla norma penale si rivela quindi poco proficua: il riferimento ad atti didisposizione, all’interno dell’art. 5 c.c., è improprio in quanto i diritti della per-sonalità sono per definizione strutturalmente indisponibili (cioè inseparabili).

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zione dell’individuo a realizzare finalità di ordine sociale. Così, con ri-ferimento al diritto alla vita, l’indisponibilità non dipende dalla titola-rità del diritto, spettante allo Stato o all’individuo, ma dal fatto chel’esistenza dell’uomo è un bene tutelato non per la sola persona che neè il soggetto titolare, ma altresì per la società per la quale rappresentauna fonte di energie, fisiche ed economiche 27. All’interno della logicadel l’art. 5 c.c. l’indisponibilità viene intesa come un quid che inerisce albene in relazione alla sua funzione – realizzare interessi della colletti-vità e sociali – che giustifica un contesto di tutela oggettiva del bene.Con la conseguenza che, paradossalmente, proprio i beni più persona-li sono quelli indisponibili, poiché funzionali ad interessi collettivi e afinalità di ordine sociale. Seguendo questa seconda chiave interpreta-tiva, i limiti alla disponibilità del diritto non sono conseguenze logichedelle caratteristiche strutturali del bene, ma ostacoli giuridici alle mo-difiche soggettive del diritto che interferiscono con le modalità di go-dimento dello stesso, e che nulla hanno a che vedere con il potere di ri-nunciare, trasmettere, alienare il bene oggetto del diritto.

4. Dal divieto alla libertà di disposizione: l’inidoneità della «disponi-bilità» a fornire indicazioni univoche

La ricostruzione teorica e dogmatica della categoria della disponi-bilità-indisponibilità sembra non soddisfare le esigenze che pure lesono state attribuite: se si accoglie la prima delle ipotesi che identifi-ca l’indisponibilità con il potere di alienare, trasferire, rinunciare albene, l’art. 5 c.c. è norma, sotto il profilo definitorio, piuttosto caren-te perché non definisce tecnicamente la categoria della disponibilità,non ne traccia i confini e da essa non può trarsi alcuna disciplina. Se-guendo invece l’interpretazione opposta, la norma civilistica rivelaun’impronta marcatamente pubblicistica, ed è finalizzata a porre deilimiti alla facoltà di godimento-disposizione del diritto, vietando sia iltrasferimento a terzi del potere di cagionare un’offesa sul proprio be-ne, sia che lo stesso titolare si possa obbligare ad autocagionarsi l’of-fesa.

La ricostruzione della ratio della norma induce a ritenere sufficien-temente fondata quest’ultima ricostruzione, e a individuare una visio-ne politico sociale della persona e della libertà individuale funzionalee subordinata agli interessi superiori della potenza dello Stato cui cor-risponde, nei rapporti con se stessi e tra sé e gli altri, una concezioneche vede il corpo e la corporeità in un rapporto di alterità e oggettuale

27 Così VISCO, L’omicidio e la lesione personale, cit., 50 ss.

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con il soggetto stesso, secondo una scissione dualistica anima e ragio-ne, corpo e bisogni.

La teoria secondo cui i diritti della personalità sarebbero uno ius inse ipsum, ovvero diritti sulla propria persona o su se stessi, è oggi mes-sa in discussione, contestandosi la stessa possibilità logica di scinderel’uomo dal proprio corpo secondo lo schema soggetto-oggetto 28.L’evolversi del dibattito sui problemi della persona è attualmente ca-ratterizzato dal superamento di tale tendenza a distinguere aspetti fi-sici e morali della persona. E ciò non soltanto per le peculiarità chepresentano alcuni diritti rispetto ad un generico ed onnicomprensivoius in se ipsum, ma soprattutto perché risulta incomprensibile, anchea seguito delle trasformazioni culturali e delle acquisizioni psicoanali-tiche, quella contrapposizione con la quale si faceva del corpo l’ogget-to, dello spirito il soggetto.

La materia degli atti di disposizione del corpo è attualmente af-frontata con una nuova sensibilità ed un nuovo approccio. Si ritieneinfatti che queste modalità di manifestazione della personalità umanasfuggano ad una regolamentazione secondo lo schema compromisso-rio del contemperamento tra opposte esigenze. Le esigenze primariedivengono, all’interno di una prospettiva personalistica, innanzituttoquelle di ordine individuale, dell’integrale tutela della persona e deisuoi diritti, tra cui quello alla salute. È la stessa logica, che vede nell’in-tegrità fisica un limite alla disponibilità, ad essere in discussione, ma-nifestando la sua inadeguatezza ad affrontare i problemi connessi allatutela della salute e alla realizzazione della personalità umana 29.

La legislazione successiva, anch’essa ispirata all’idea della solida-rietà, ha concorso a mettere ulteriormente in crisi la norma, ponendo-si come derogatoria rispetto ad essa, in ragione dell’utilità sociale del -l’atto dispositivo. Gli sviluppi in materia di trapianti rivelano le ten-denze antinomiche e conflittuali del sistema, ancorato per un versoall’art. 5 e ad una concezione della solidarietà come limite alla libertà

28 L’identificazione di se stesso con il proprio corpo dimentica che l’obietti-va realtà dell’individuo non si esaurisce nel suo elemento corporeo, ma com-prende anche un elemento spirituale, che per quanto collegato con il primo, nonsi confonde con il medesimo; essa contrasta quindi l’idea dell’unità e comples-sità della personalità umana e dei suoi bisogni spirituali e materiali. PESANTE,Corpo umano, cit., 655. A tali considerazioni d’altra parte si obietta che nulla sioppone a che l’uomo possa essere considerato nella sua duplice entità, soggetti-va e oggettiva, poiché l’oggettività non postula necessariamente la materialità, laconcreta fisica separazione o l’esteriorità. Nulla osta che l’uomo possa conside-rarsi come bene o mezzo di soddisfacimento di bisogni, né vi sarebbe quindi al-cuna scissione dell’unità dell’uomo.

29 In proposito, D’ARRIGO, Autonomia privata ed integrità fisica, Milano, 1999,305 ss.

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e per altro verso proteso verso l’attuazione dei valori solidaristici, insenso libertario e personalista. L’antinomia tra art. 5 c.c. e art. 32 Co-st. diviene sempre più evidente 30.

5. L’interpretazione evolutiva dell’art. 5 c.c. La rilevanza del divietonell’ambito dei soli rapporti negoziali

Nel confronto con i principi costituzionali, il regime di limiti posi-tivi posto dall’art. 5 c.c. necessitava di un’opera di interpretazione fi-nalizzata ad armonizzare la disciplina in esso prevista con il quadro divalori proprio di una Costituzione libertaria e personalista, che rifiutal’idea della funzionalizzazione dei diritti fondamentali dell’individuo.L’opera di adeguamento con il nuovo contesto personalista ha com-portato un ridimensionamento tacito della norma – che invece in pas-sato aveva visto ampliare smisuratamente il suo ambito di applicazio-ne – senza tuttavia metterne in discussione la stessa sopravvivenza 31.

Come già accennato, la letteratura civilistica recente, alla luce deiprincipi costituzionali, ed in particolare degli artt. 2, 3, secondo com-ma, 13 e 32 Cost., tende oggi ad attribuire alla disposizione in esameuna generale rilevanza «in positivo», a favore dell’affermazione dellalibertà di disporre. Ribaltando la precedente interpretazione, il princi-pio che se ne desume è quello inverso della liceità di tutti quegli attiche non si risolvono in una diminuzione permanente dell’integrità fisi-ca e che non sono altrimenti contrari alla legge, all’ordine pubblico oal buon costume 32. L’esigenza di salvaguardare l’integrità della stirpe e

30 Meraviglia come mai una tale disposizione, che tradisce nella genesi, nel -l’iter di formazione, nello spirito, una concezione circa i diritti alla vita e all’in-tegrità fisica difforme rispetto ai valori fondamentali della Costituzione, non so-lo non sia stata sospettata di incostituzionalità, ma attraverso un’interpretazio-ne adeguatrice o comunque conforme a tali principi e valori, sia stata letta comenorma che pone un principio generale dell’ordinamento che condiziona forte-mente anche le norme penali.

31 Tuttavia si evidenzia criticamente che lo sforzo della recente dottrina giu-ridica di avvalorare il sistema della legislazione ordinaria in materia di atti di di-sposizione del corpo attraverso una lettura delle norme costituzionali, finisceper realizzare un’inconsapevole operazione di salvataggio della norma, facendo-ne una disposizione che pone uno specifico limite al diritto costituzionale dellasalute, e non solo dell’integrità fisica. Così RIZZO, Atti di disposizione del corpo etecniche legislative, in Rass. dir. civ., 1989, 1 e ss.

32 L’obiettivo esplicitamente dichiarato è stato quello di delimitare la portatae il significato della disposizione, recuperando quelle intenzioni che volevanooriginariamente animare il legislatore nella proposizione del progetto iniziale,

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di rafforzare la potenza dello Stato appare oggi nettamente subordina-ta a quella liberale di assicurare un’ampia disponibilità del propriocorpo 33.

Quest’opera di interpretazione è avvenuta attraverso una diversaconsiderazione dell’integrità fisica come sinonimo di salute a sua vol-ta intesa come complessivo stato di benessere psichico e fisico 34.

Questa accezione della salute gode ormai di riconoscimento, tantoda legittimare come terapeutici anche interventi chirurgici demolitorio comunque lesivi del l’integrità fisica 35. Anche a livello giurispruden-ziale l’evoluzione del concetto di salute, ormai del tutto sganciato daquello di integrità fisica – al contrario, potendo, ai fini di un suo mi-glioramento, addirittura esigere atti lesivi di essa – costituisce unachiara acquisizione 36. La norma, se collocata nella prospettiva della

poi modificato nel corso dei lavori preparatori. La disposizione, più che intro-durre un vincolo di tipo pubblicistico al potere di disporre della propria perso-na, mirava infatti a vietare in linea di principio la commercializzazione degli or-gani e, al contempo, intendeva chiarire in via di eccezione, anche in modo defi-nitivo, la liceità del contratto di baliatico e della cessione di sangue e a scopo ditrasfusione, così GIUNTA, Eutanasia pietosa e trapianti, cit., 408; su questo punto,D’ARRIGO, Autonomia privata e integrità fisica, cit., 84 ss.

33 DOGLIOTTI, Sfera sessuale e procreazione, in Medicina e diritto, cit., 286; ID.,Atti di disposizione del corpo e teoria contrattuale, in Rass. dir. civ., 1990, 241;D’ALESSIO, I limiti costituzionali ai trattamenti medici, cit., 545; ROMBOLI, La «rela-tività» dei valori costituzionali per gli atti di disposizione del proprio corpo, cit., 568.

34 Contro l’identificazione del diritto alla salute con il diritto all’integrità fisi-ca, si è espresso GEMMA, Sterilizzazione e diritti di libertà, cit., 254. Nello stessosenso anche DALLA TORRE, Sperimentazione e consenso, in Jus, 1992, 335. La di-somogeneità e potenziale conflittualità tra le due nozioni, l’una dinamica e rela-tiva (salute) l’altra di tipo statico, si ripercuote sul tipo di tecnica legislativa ido-nea: di tipo promozionale l’una, secondo gli schemi classici del divieto l’altra, co-sì CHERUBINI, Tutela della salute e c.d. atti di disposizione del corpo, in AA.VV., Tu-tela della salute e diritto privato, a cura di BUSELLLI-BRECCIA, Milano, 1978, 81.

35 In particolare, è nella legge sull’interruzione volontaria della gravidanza incui assumono rilevanza per la prima volta le condizioni di salute, oltre che fisi-che, anche psichiche, della futura madre. V. in proposito SANTOSUOSSO, Dalla sa-lute pubblica all’autodeterminazione, cit., 91; ID., Diritti dei pazienti e doveri deimedici nel caso dell’eutanasia, in Quando morire?, cit., 210. Cosi anche PARODIGIUSINO-NIZZA, Responsabilità penale del personale medico e paramedico, cit., 399.

36 Si collocano su questo filone un’importante pronuncia della Corte costitu-zionale sul mutamento di sesso e una sentenza della Cassazione sugli interventidi sterilizzazione volontaria non terapeutica. La Corte costituzionale, superandol’idea che la determinazione del sesso sia esclusivamente su base cromosomica,ha confermato in pieno la legittimità della legge del 1982 sul mutamento di ses-so e definito come terapeutico quell’intervento chirurgico teso a ricomporrel’equilibrio tra aspetti fisici e psichici della sua sessualità, Corte cost., 24 maggio1985, n. 161, in Giur. cost., 1985, I, 1173, nella quale si legge: «gli atti di disposi-

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tutela della personalità umana e della salute, è destinata a rimanere in-differente sia al limite massimo di liceità rappresentato dalla diminu-zione permanente – potendo sussistere atti che contrastano con tale li-mite ma meritevoli – come per converso ai limiti minimi di liceità – po-tendo sussistere atti rispettosi dei limiti ma non meritevoli perché con-trastanti con il valore della personalità umana 37.

zione del proprio corpo, quando rivolti alla tutela della salute, anche psichica,devono ritenersi leciti». La Corte di Cassazione a proposito delle pratiche di ste-rilizzazione volontaria, ha escluso la rilevanza del reato di lesioni sulla base delrilievo che integrità fisica e salute non necessariamente coincidono, legittiman-do interventi che ristabiliscono lo stato di salute anche in senso solo psichico. Sitrattò del caso di un medico chirurgo imputato per aver sottoposto a vasectomia,con il loro consenso, circa 50 uomini, cagionando loro la perdita irreversibiledella capacità di procreare. La Corte doveva accertare se l’abrogazione del reatodi procurata impotenza alla procreazione (art. 552 c.p.) disposta esplicitamentedalla legge n. 194 del 1978 sull’interruzione della gravidanza, avesse escluso ognirilevanza penale dell’intervento chirurgico di sterilizzazione volontaria non te-rapeutica, anche ai sensi della fattispecie di lesioni personali. La Corte affermòin proposito che l’abrogato art. 552 c.p. non costituiva norma speciale rispettoall’art. 583 n. 3 c.p., con la conseguenza di affermare la piena legittimità dellasterilizzazione volontaria, v. Cass., Sez. V, 18 marzo 1987, in Cass. pen., 1988,609 con nota di AMATO, Sulla liceità della sterilizzazione volontaria, 612. Sul temav. LEONI, Sulla sterilizzazione consensuale, in Giust. pen., 1987, I, 348; MERLI, Lasterilizzazione volontaria della donna: procedure intervenzionistiche ed aspetti me-dico-legali, in Giust. pen., 1988, I, 58; MARINI, Diritto alla sessualità come dirittoalla salute, in Riv. it. med. leg., 1985, 1295; STELLA, La sterilizzazione chirurgica:aspetti penali, in Riv. it. med. leg., 1983, 337; DEL RE, Sterilizzazione volontaria:non lesione, lesione giustificata o delitto?, in Giust. pen., 1980, 50.

37 Per quanto riguarda il limite della conformità a legge e ordine pubblico, siverifica una curiosa inversioine di tendenza. Interpretato in passato come un ri-chiamo ridondante e retorico ai principi generali dell’ordinamento, con funzio-ne meramente residuale e sussidiaria rispetto al precedente dell’integrità fisica,la recente dottrina ha viceversa affermato che in quanto a carattere generale e ri-chiamante tutti i principi generali dell’ordinamento, consente un’osmosi con imutati principi costituzionali e con le emergenti problematiche dei trapianti,dovendosi quindi ritenere prevalente non solo sul limite del buon costume, cheriveste carattere residuale (quest’ultimo viene in considerazione solo nel caso incui si esclude che la lesione abbia causato una diminuzione permanente) ma an-che su quello speciale della diminuzione permanente. Da questa operazione in-terpretativa ne è derivato quindi che il limite della diminuzione permanentedell’integrità fisica ha perso di centralità, non essendo più interpretato autono-mamente ai fini di un complessivo giudizio di liceità o illiceità degli atti disposi-tivi, ma come uno dei criteri attraverso cui stabilire se l’atto concretizzi o menouna violazione dei principi dell’ordine pubblico. In proposito anche NANNINI,Consenso del paziente al trattamento medico, cit., 92 ss.

Con riferimento in ultimo al concetto di buon costume rimane invece irrisol-to il conflitto che il limite suddetto ripropone, tra scelte che rispondono ad un’e -

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L’evoluzione interpretativa suesposta conduce quindi ad un forte ri-dimensionamento del contenuto della disposizione civile. Infatti, par-tendo dal principio opposto della libera disponibilità a disporre delcorpo, la tendenza è di restringere l’ambito di operatività del divietoesclusivamente ad atti di autonomia negoziale, e precisamente ai ne-gozi ad effetti obbligatori al fine di escludere che si attribuiscano dirit-ti sul proprio corpo a terzi. L’art. 5 c.c., conseguentemente, è una di-sposizione che concerne il diritto all’integrità fisica nell’ambito di unrapporto obbligatorio sia in relazione a condotte che il titolare del di-ritto si obbliga a eseguire direttamente su se stesso, che in relazione adattività che il titolare si obbliga a tollerare, in favore proprio o altrui 38.In altre parole, la logica del divieto risiede nell’esigenza di impedireche il corpo umano possa formare oggetto di diritti altrui.

Questa affermazione costituisce una precisa presa di posizione in re-lazione a quanto in passato veniva discusso, ossia se la norma del l’art. 5c.c. dovesse intendersi unicamente volta a sancire la invalidità di con-tratti con cui taluno dispone oltre i limiti stabiliti, o se invece avesse ri-guardo ad ogni sorta di consenso relativo ad attività incidenti sulla pro-pria persona. Riconducendo la norma nell’ambito dei soli rapporti ob-bligatori, vengono estromessi tutti i negozi con cui si attribuiscono otrasferiscono a terzi diritti reali o personali di godimento; allo stessomodo sono esclusi tutti gli atti unilaterali in cui non vi è un rapportoobbligatorio bilaterale. È quindi prevalente la ricostruzione che indivi-dua come oggetto del divieto esclusivamente l’obbligazione assunta atollerare che un terzo faccia qualcosa sul proprio corpo, la cui caratte-ristica è l’incoercibilità diretta nella forma dell’esecuzione specifica de-gli obblighi assunti, per rispetto della libertà e dignità umana 39.

tica individuale e che contrastano con la morale sociale o collettiva, rispetto alquale deve porsi l’interrogativo se, trattandosi di atti che si esauriscono entro lapropria sfera, l’illiceità non contrasti con i presupposti democratici e pluralistidelle moderne costituzioni. In proposito si è riproposta la questione se siano in-teressati solo i comportamenti contrari alla morale sessuale o se invece si debbaestendere la nozione di buon costume a tutte le condotte contrarie alla morale po-sitiva. Inoltre è da chiarire il significato da attribuire al limite stesso, oscillantetra una concezione relativista e storicista, e una concezione assoluta e oggettiva.

38 Mentre con gli atti della prima specie, si attribuisce ad un altro soggetto,nel l’ambito di un rapporto obbligatorio, un potere il cui esercizio comporta unpregiudizio alla propria integrità fisica, con gli atti della seconda specie, è il sog-getto che si obbliga a svolgere egli stesso un’attività idonea a pregiudicare la pro-pria integrità, così DE CUPIS, Integrità fisica (diritto alla), in Enc. giur. Treccani,XVII, Roma, 1989.

39 La violazione del divieto non potrebbe ricevere tutela civilistica nella formadell’esecuzione specifica, ma eventualmente, solo nel risarcimento del danno, co-sì come l’inadempimento di una pattuizione legittima – in quanto non contra-

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Questa più precisa focalizzazione del contenuto della norma segnaun’inversione di tendenza rispetto a quella finora dominante, che ten-deva ad enfatizzarne al contrario ruolo e significato: dalla norma nonsi desume un divieto assoluto degli atti dispositivi in violazione dei li-miti in essa contenuti, ma soltanto che essi non possono costituire og-getto di obbligazioni vincolanti tutelate giuridicamente. Alla luce diqueste premesse, è d’obbligo una riformulazione della terminologiadella tematica in termini di libertà di disposizione e divieti di disporre,poiché in sostanza il titolare del diritto non ne dispone (quindi è im-proprio non solo parlare di potere, ma anche di disposizione), ma siobbliga a farne un esercizio determinato, a goderne solo in un certomodo, con esclusione di altri.

6. I rapporti tra consenso dell’avente diritto e divieto di atti dispositivilesivi. Una premessa sulla libertà di disporre della tutela giuridica

L’orientamento che interpreta l’art. 5 c.c. come limite interno all’ef-ficacia scriminante dell’art. 50 c.p., prevalente per un lungo periodo, ètuttavia messo in discussione da parte della dottrina che, oltre a de-nunciare la scarsa attendibilità dei lavori preparatori 40, è propensa asostenere, riprendendo quanto già affermato in passato, che non vi èragione di sovrapporre le due norme al punto di dare netta prevalenzaa quella civile, essendo possibile configurare a ciascuna, attraverso unridimensionamento del ruolo di quest’ultima, un diverso ambito di ri-ferimento, così che possa esserci una casuale sovrapposizione, ma nonuna pedissequa e totale coincidenza 41.

stante con i limiti previsti – essendo l’obbligo incoercibile. Il contenuto del l’art. 5c.c. si sostanzia nel divieto che il titolare del diritto possa obbligarsi fino a far ve-nire meno il bene stesso o a diminuirne fortemente il suo valore, in ragione di fi-nalità che si pongono come estrinseche rispetto al contenuto dei diritti stessi.

40 Al riguardo non può considerarsi decisivo il richiamo all’art. 50 contenutonella relazione della commissione reale al progetto preliminare del primo librodel codice civile, che si riferiva al citato art. 6 del progetto, poi non approvato,che testualmente sembrava stabilire uno stretto rapporto tra le due disposizioni,poiché «La materia trova regole, limiti, statuizioni in ogni ramo del diritto, pri-vato e pubblico, e l’interprete a tali fonti deve attingere per decidere se il con-senso validamente manifestato abbia efficacia discriminante».

41 BADALASSI, Note in tema di responsabilità, cit., 861; MESSINEO, Note in temadi atti di disposizione sul corpo umano, in Temi romana, 1956, 338. Contra Trib.Milano, 2 aprile 1974, con nota di PUGLISI, in Dir. fam. per., 1975, 1400, secondocui la norma civile sta a monte di quella penale, ponendo i requisiti di validitàdel consenso scriminante.

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Il contesto culturale in cui deve inserirsi lo sforzo esegetico di unalettura dell’art. 50 c.p. non condizionata da preconcetti è costituito dal-la prospettiva che suppone una massima estensione alle posizioni di li-bertà come comprensive anche del non esercizio di essa. La prospettivaè tale da conferire al consenso del disponente un profilo e una nuova lu-ce che gli deriva dal fatto di essere emblematicamente espressivo dellamassima estensione della libertà di gestione e tutela dei propri interes-si, essendo lo strumento giuridico attraverso cui tale libertà si attua ri-spetto a fatti qualificati normativamente dall’ordinamento come reato.Il consenso è il mezzo attraverso cui si compie un atto dispositivo di unproprio diritto, che non comporta un trasferimento né la rinuncia al di-ritto stesso, ma esplica una particolare efficacia in merito alla sua tute-la giuridica: esime da responsabilità penali colui che arreca una meno-mazione a tale diritto per conto del titolare o quanto meno con il suoconsenso o la sua approvazione. In altre parole, l’esercizio del potere didisposizione del diritto si traduce essenzialmente nella possibilità rico-nosciuta al titolare di rinunciare alla tutela che l’ordinamento apprestain caso di aggressione esterna, avvenuta invito domino.

La previsione dell’art. 50 c.p. segna l’affermarsi di una concezioneche riconosce rilevanza agli interessi della vittima nella determinazio-ne delle esigenze oggettive di tutela di un bene giuridico, fino al puntodi poter delimitare lo stesso an dell’intervento penale. Ed infatti, sem-bra che in queste ipotesi l’interesse collettivo alla tutela di un bene cheha subito un’aggressione non si polarizza sul bene protetto come tale ein astratto, né sull’evenienza malaugurata di un suo danno, ma piutto-sto su un’efficace tutela giuridica delle concrete situazioni di interesseindividuale sottese alla corrispondente norma incriminatrice.

La «novità» di questa disposizione è estrema, e forse leggermentesottovalutata, perché segna il passaggio da una rappresentazione dualedella relazione punitiva, ad una visione molto più articolata, che vedeentrare in scena direttamente, e con un ruolo sconosciuto in passato, lavittima del reato 42. Nella classica relazione bipolare autorità punitiva-reo, irrompe un terzo polo di interessi, in cui sono espresse le condizio-ni concrete e sostanziali di colui che subisce il danno, la vittima 43. Sot-

42 Sui rapporti tra consenso della vittima e sua autodeterminazione, HONIG,Die Einwillingung des Verletzten. Die Geschichte des Einwilligungsproblems unddie Methodenfrage, Berlin-Leipzig, 1919; HIERSCH, Einwilligung und Selbstbe-stimmung, in Festschrift für H. WELZEL, 1974, 775; v. anche TRANCHINA, Premesseper uno studio sulla rilevanza della vittima nella dinamica dei fatti criminosi, in IlTommaso Natale, 1975, 69.

43 Un breve passo indietro, all’epoca del codice liberale Zanardelli, può dareimmediatamente il senso della portata di questa trasformazione: il codice del1889 non prevedeva una norma corrispondente all’art. 50 c.p. dominava la tesi

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to questo ordine di idee la previsione del consenso dell’avente diritto co-stituisce una precisa presa di posizione a favore di una interpretazionedel rapporto tra interesse pubblico alla tutela penale e autonomia pri-vata, nel senso della piena coincidenza e corrispondenza tra interessecollettivo ed interesse individuale alla repressione del reato, cogliendointuitivamente la necessità di un fondamento di legittimazione del di-ritto penale che tenga in conto gli interessi concreti della vittima nell’in-dividuazione dell’offesa, e che lasci dietro di sé quella concezione dellavita umana o come oggetto materiale della condotta o come interessenormativo, astratto e lontano dall’individuo 44.

In questa direzione si muove la recente letteratura giuridica, chepropende per una sempre maggiore rivalutazione del ruolo della vitti-ma 45 sì da prospettare una notevole riduzione del ricorso allo stru-mento penale, soprattutto nei casi in cui la situazione di danno e di pe-ricolo al bene sia stata provocata, senza necessità, proprio dal titolaredel diritto, in relazione alla sua capacità di «autodifesa». In tali ipotesiben avrebbe potuto la vittima provvedere autonomamente alla tuteladei propri interessi durante la realizzazione del fatto; cosicché il man-cato attivarsi di tali poteri preclude il ricorso alla tutela pubblica 46. Al-

che riconosceva rilevanza al consenso dell’offeso solo entro i limiti della perse-guibilità a querela.

44 L’argomento trova le sue matrici storiche nella concezione dominante aitempi della redazione del codice penale secondo cui il diritto penale deve pro-teggere l’integrità corporea e spirituale in sé, e non il diritto del titolare alla suaintegrità fisica. « Si protegge la persona, e non già il diritto al rispetto della pro-pria persona, né tanto meno la volontà di disporre della propria persona», cosìMONASSERO, Limitazione degli atti di disposizione del proprio corpo secondo l’art.5 codice civile, cit., 495. V. CHERUBINI, Tutela della salute e c.d. atti di disposizionedel corpo, cit., 73 e bibliografia ivi riportata.

45 La c.d. vittimologia, concepisce la vittima come parte integrante del reato,che si relaziona dinamicamente con l’agente e con l’intero fatto illecito, ricono-scendo una partecipazione attiva di questa sia nella fase eziologica che in quelladella realizzazione, sì da comportare un affievolimento, o anche la totale esclu-sione della responsabilità a favore dell’autore del fatto, ma anche conducendo aduna corresponsabilità della vittima, come co-partecipe del reato. Il luogo natu-rale di questa teoria non poteva essere che quello dei reati a cooperazione ne-cessaria. Nell’ambito dei reati omissivi, il riferimento agli interessi della vittimaha invece prodotto un ampliamento della responsabilità per omissione in capoal soggetto garante. In proposito V. DEL TUFO, Profili critici della vittimo-dom-matica. Comportamento della vittima e delitto di truffa, Napoli, 1990; ZANNOTTI,La truffa, Milano, 1993.

46 In questa versione la prospettiva vittimologica si coniuga sia con il princi-pio di responsabilità dell’individuo, sia con l’utilizzo del diritto penale come stru-mento di extrema ratio, sulla base del criterio della sussidiarietà nei rapporti conaltre forme di tutela, in vista dell’obiettivo di una massima composizione del con-

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trettanto, l’intervento statuale non troverebbe giustificazione qualorail singolo, vittima del reato, abbia rinunciato a quella tutela pubblicache solo in via sussidiaria l’ordinamento penale appresta nel caso incui non sia in grado di attivare i propri poteri di gestione consapevole.Qualora il titolare del diritto abbia anticipatamente acconsentito allalesione dei propri interessi, vi sarebbe anche in questo caso una formadi autotutela privata, sia pure attraverso un atto dispositivo rinuncia-tario e negativo, poiché comunque la tutela pubblica si dimostrerebbenon necessaria, avendo il titolare del diritto rinunciato aprioristica-mente alle possibilità di difesa e disposto dei propri interessi median-te l’azione altrui, anche se in direzione autolesionista.

7. La limitata efficacia euristica dell’art. 5 c.c. e la costruzione logico-giuridica del rapporto tra norma penale di favore e norma di divieto

In questa luce, emerge in tutta chiarezza la peculiarità di significatidel consenso dell’avente diritto rispetto al divieto di atti dispositivi lesi-vi. Nella norma penale infatti il consenso assume il significato tecnicodi spontaneo abbandono del proprio interesse alla tutela giuridica, ov-vero di spontanea astensione dal difendere il proprio interesse di fron-te all’azione lesiva da parte e per il tramite di un terzo 47. Si individuacosì nel consenso del titolare del diritto lo strumento tecnico giuridicoattraverso cui si esercita, sotto il profilo delle conseguenze penali, il po-tere dispositivo del diritto stesso. In quest’ottica il concetto di diritto di-sponibile non costituisce il limite all’efficacia della scriminante, maequivale alla definizione in termini dogmatici degli effetti che in mate-ria penale il consenso esplica 48. L’art. 50 c.p. descrive quindi una ipote-

flitto tra autore e vittima. Si afferma pertanto che l’intervento statuale non sareb-be giustificato laddove il singolo fosse in grado di gestire autonomamente una de-terminata situazione, apprestando i mezzi di difesa a sua disposizione.

47 Sul consenso dell’avente diritto V. GRISPIGNI, Il consenso dell’offeso, Roma,1924; DELOGU, Teoria del consenso dell’avente diritto, Milano, 1936; LOGUERCIO,Teoria generale del consenso dell’avente diritto, Milano, 1955; ALTAVILLA, Consen-so dell’avente diritto, in Noviss. Dig. It., IV, Torino, 1960, 115; PANNAIN, Appuntiintorno alla scriminante o esimente del consenso dell’avente diritto, in Arch. pen.,1971, I, 345; GROSSO, Consenso dell’avente diritto, in Enc. giur. Treccani, VIII, Ro-ma, 1989; MARINI, Consenso dell’avente diritto, in Noviss. Dig. It., App. II, Torino,1980, 402; GALLISAI PILO, Consenso dell’avente diritto, in Dig. disc. pen., III, Tori-no, 1989, 71.

48 Pertanto i limiti alla disponibilità del diritto si sarebbero dovuti ricercareprincipalmente nell’espressione «validamente», riferita alla possibilità di dispor-re del diritto; con riferimento dunque ai requisiti della titolarità del diritto e del-

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si tipica di atto di disposizione negativo ed indiretto, a differenza del -l’art. 5 c.c. che appone limiti alla facoltà di godimento positivo del di-ritto, ed in particolare al potere di assumere un impegno negoziale atollerare aggressioni del proprio corpo 49. L’ambito descrittivo è dunqueassai differente: quella civile infatti comprende sia le aggressioni postein essere da terzi, a cui il titolare acconsente e che si è obbligato a tolle-rare, che le autoaggressioni che il titolare del diritto si è obbligato adesercitare su se stesso; ma sono esclusi gli atti di disposizione negativi,quali il rifiuto o l’omissione di cure, e i c.d. fatti in senso stretto, quali ilsuicidio, l’automutilazione e tutti gli atti di autolesionismo, perché nonvi è un impegno ad autolesionarsi, e sarebbe inconcepibile obbligarel’autolesionista a risarcire se medesimo per il danno arrecatosi. Invecenell’art. 50 c.p. è assolutamente assente qualsiasi profilo obbligatorio ri-spetto ai terzi, potendo il consenso essere sempre revocato.

Questa nuova interpretazione, che descrive il diverso contenuto del-la disposizione civile rispetto ai contenuti e al significato tecnico del -l’atto di disposizione del corpo mediante il consenso all’offesa, sgom-bra il campo da inutili interferenze. La riflessione che scaturisce dal -l’indagine svolta è la seguente: comunque interpretata, la norma delcodice civile non prevede alcuna specifica disciplina che regola o defi-nisce il regime della disponibilità del diritto, sia in astratto, che con ri-ferimento a determinati beni. La norma civile pertanto non svolge al-cuna funzione esplicativa, in positivo, dell’elemento normativo «dispo-nibilità del diritto», ma al contrario, essendo strutturata in termini didivieto, prevede solo dei limiti alla disponibilità del diritto. Ciò accadeperché la disposizione civile non ha un contenuto descrittivo ed espli-cativo della nozione normativa di «diritto disponibile», ma si limita aporre dei divieti alla disponibilità, ovvero limiti all’operatività dellascriminante: il punto è che l’art. 5 c.c. nulla dispone circa il regime didisponibilità dei diritti, cioè se un diritto è disponibile o meno, masemplicemente introduce limiti ad una facoltà di disposizione che vie-ne data per presupposta come nozione generale.

la validità del consenso espresso, salvo naturalmente i casi sottratti espressamen-te all’operatività della scriminante. Quest’ipotesi, forse eccessivamente semplici-stica, è stata tuttavia trascurata, prevalendo invece come dominante quell’inter-pretazione che ravvisa in senso tecnico, nel concetto di «disponibilità del diritto»indicato nell’art. 50 c.p., un elemento normativo giuridico che riceve definizioneattraverso il rinvio all’intero ordinamento giuridico. In testa, l’art. 5 c.c.

49 Il consenso manifestato ex art. 50 c.p., non essendo un atto negoziale, nondetermina l’instaurarsi di un rapporto obbligatorio con il terzo cui si appresta ilconsenso: ne segue che è sempre revocabile, anche quando è iniziata l’esecuzio-ne dell’azione lesiva, e non vale né a trasferire un diritto del titolare ad altri, néconsiste in una delega all’esercizio del diritto tramite altri, né ancora costituisceuna rinuncia al diritto stesso.

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50 Se il confine tra disponibilità e indisponibilità fosse sempre individuabilea priori ed in via astratta, risulterebbe davvero confermata la difficoltà di distin-guere concettualmente tra fatto irrilevante penalmente e fatto consentito poichéil consenso opererebbe esclusivamente nei limiti in cui il legislatore ha già affi-dato la disponibilità del diritto, rendendo così superfluo l’art. 50 c.p.: alla nonpunibilità dell’autore del fatto si potrebbe arrivare interpretando le disposizionidi parte speciale del codice e quelle che regolano il regime di disponibilità. Siprospetta quindi l’abbandono di un’interpretazione precostituita del regime didisponibilità, suggerendosi una concezione che non comporta una rigida classi-ficazione dei beni, ma che tiene conto delle modalità di realizzazione del fattocui si consente, così ALBEGGIANI, Profili problematici del consenso dell’avente di-ritto, cit., 50 ss.

51 La tesi era quella che tale regime dovesse essere dedotto dall’ordinamentosettoriale in cui è disciplinato il consenso caso per caso. La soluzione però non

Infatti, alla luce delle considerazioni precedentemente fatte, si puògiungere alla conclusione che, invero, all’interno della logica della nor-ma civile, la categoria della «disponibilità», può in astratto risponderea due costruzioni. Secondo la prima si tratta di un’espressione pleona-stica che non si sovrappone al contenuto strutturale di certi diritti,identificandosi con la mera titolarità del diritto. Per la seconda, l’indi-sponibilità è lo strumento giuridico di finalizzazione di tali diritti ascopi che trascendono colui che ne è portatore, non perfettamente coe-rente con l’istanza fondamentale della dignità umana. In entrambi icasi essa non contribuisce in alcun modo a chiarire in che senso e inche modo possa restringere l’operatività della scriminante.

Fallisce così il tentativo di voler affrontare la definizione della di-sponibilità del diritto in via astratta e completamente esaustiva, esten-sibile a qualsiasi branca dell’ordinamento, a prescindere da qualsiasivalutazione legata all’ipotesi concreta, e di qualificare la disponibilitàcome una qualità intrinseca, propria di particolari categorie di diritti.Una simile direzione dell’indagine sembra porsi in contrasto con lastessa volontà del legislatore, che forse consapevolmente, non ha pre-disposto un catalogo di beni sottoposti al regime di disponibilità, né hafornito alcun criterio per guidare tale valutazione in via astratta 50. Alcontrario l’espressione «disponibilità del diritto», all’interno della si-tuazione esimente prevista all’art. 50 c.p., non deve essere letta comeuna qualità intrinseca del diritto, ma una categoria flessibile, un giudi-zio complesso che tiene conto del grado di aggressione del bene, dellemotivazioni dell’agente, delle circostanze del caso concreto per le qua-li il consenso è stato prestato; in tal modo la disponibilità diviene illuogo in cui si riattiva il conflitto tra interesse individuale ed interessecollettivo alla tutela di bene giuridico, la vera chiave di volta conformeagli scopi che il diritto penale persegue, attraverso cui trova accessol’autodeterminazione degli interessi individuali 51.

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Inoltre, a ben guardare la ricostruzione tradizionale ha alterato to-talmente i rapporti tra le due norme, assumendo che i limiti – si badi:i limiti – dell’art. 50 c.p., e cioè di una norma di favore, possano esserelegittimamente desunti da una disposizione civile interpretata comenorma che esprime un principio generale dell’ordinamento, in mododa circoscriverne la sfera di operatività. I risultati di un simile argo-mentare sono stati tali da invertire il rapporto tra le due diverse norme,cosicché quella penale è divenuta una norma derogatoria che opera invia residuale rispetto al generale divieto. Si tratta quindi di un rappor-to alquanto anomalo, poiché entrambe le norme sono strutturate intermini di divieto, ma la funzione di delimitazione dell’una è esplicatada quella civile, interpretata estensivamente; si costruisce quindi lanorma penale come norma in bianco, che rinvia, ai fini dell’individua-zione dei suoi limiti di operatività, alla norma civile, tuttavia anch’essastrutturata come norma di divieto.

In verità, sembra difficile spiegare come una norma di divieto col-locata nel codice civile possa restringere l’ambito di operatività di unanorma penale, soprattutto quando questa amplia la sfera di liceità. Secertamente non si prospetta alcuna violazione del principio di legalitànel caso in cui l’integrazione ridondi nel senso più favorevole al reo, ecioè ampliando tale sfera di liceità, al contrario si sollevano forti dub-bi qualora invece la disposizione civile sia costruita come disposizionegenerale che delimita l’ambito di operatività della norma penale di fa-vore. In tal caso è ravvisabile una forte violazione delle più fondamen-tali esigenze di legalità e determinatezza, poiché la norma civile influi-sce nella determinazione della scriminante in modo restrittivo e ne

valorizzava gli scopi e i criteri del diritto penale. In direzione opposta quindi aquella tesi, oggi, si tende a ricostruire tali nozioni in funzione delle specificheesigenze dell’imputazione penale, anche se appartenenti ad altri settori dell’or-dinamento giuridico. Quando la linea di confine è incerta, o contrastata alla lu-ce di nuove concezioni che emergono nella coscienza sociale, occorrerà operareuna valutazione concreta del fatto, attraverso cui confrontare secondo parame-tri esclusivamente penalistici, i vari interessi coinvolti ed in conflitto. Si con-trappone quindi ad un concetto di disponibilità di derivazione civilistica, e perlo più extrapenale, un concetto svincolato da schemi civilistici, relativo e varia-bile, più flessibile alle circostanze del caso concreto e nel merito, che deriva dauna valutazione non in astratto, ma concreta, di bilanciamento degli interessinella specifica situazione di fatto. Da ciò consegue che il consenso è rilevante sel’atto di disposizione appare necessario e proporzionato all’esigenza di tutelareun controinteresse del titolare del diritto, dotato anch’esso di rilievo. Della com-parazione degli interessi è arbitro e dominus lo stesso consenziente, anche se lasua non è una scelta completamente incondizionata. In caso di sacrificio spro-porzionato o motivato da un controinteresse di scarso rilievo, alla valutazionesoggettiva del titolare del diritto si sostituisce quella dell’ordinamento giuridicoche ne nega la disponibilità, Così ALBEGGIANI, Profili problematici, cit., 63 ss.

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frustra la ratio 52. L’art. 5 c.c., in questo contesto, assume le sembianzedi una norma penale di divieto, perché amplia la sfera dell’illecito.

Ed infatti, sebbene le disposizioni scriminanti non abbiano naturaesclusivamente penale, dunque non sono soggette ad una rigida appli-cazione del principio di legalità 53, è pur vero che la prevalenza del giu-dizio di liceità, ovvero della autonoma norma scriminante, rispettoquella incrimiantrice, si giustifica logicamente e giuridicamente allaluce di un principio superiore, che informa tutto il diritto penale, ossiail principio del favor rei. Quindi, sebbene apparentemente confliggenticon gli scopi e le conseguenze geneticamente riconnesse alla normapenale, anche le scriminanti, in qualche modo, sono norme penali, nel-la misura in cui concorrono alla definizione di quella griglia fonda-mentale all’interno della quale si definisce l’illecito penale come fattotipico, antigiuridico e colpevole.

In più, se si considera che la norma che impone il dovere o attri-buisce la facoltà di compiere il fatto, in quanto norma dell’intero ordi-namento, debba prevalere anche sulle norme che ricollegano le san-zioni civili, quali l’invalidità o inefficacia, o la restituzione o il risarci-mento del danno, il discorso diviene maggiormente convincente, poi-ché a ritenere l’inverso, saremmo costretti a far soccombere proprio la

52 La ratio di una tale deviazione dalla legalità è giustificabile solo perché lescriminanti sono norme che non ampliano, ma restringono la sfera del penal-mente rilevante; ne segue quindi che una utilizzazione di norme non penali peruno scopo opposto ne frustrerebbe il significato garantista e libertario, non for-nendo una giustificazione adeguata a simili deroghe al divieto di analogia e di le-galità.

53 Com’è noto, è ormai consolidata quell’ipotesi che ricostruisce le scrimi-nanti come norme autonome, non penali, ma appartenenti all’intero ordina-mento; le scriminanti, si sa, sortiscono infatti conseguenze giuridiche opposteed antitetiche rispetto a quelle penali, cui è riconnessa una sanzione penale: es-se prevedono un fatto di reato come contenuto sostanziale di un dovere o di unafacoltà. Tale vicendevole incompatibilità con le norme penali incriminatrici de-termina l’insorgenza di un conflitto – ma apparente – di norme, la cui risoluzio-ne è affidata proprio alla norma scriminante che, in quanto norma che esplicaeffetti sull’intero ordinamento giuridico, è prevalente rispetto a quella settoriale,cioè quella penale incriminatrice. Così MARINUCCI, Fatto e scriminanti. Note dom-matiche e politico-criminali, in Diritto penale in trasformazione, 1985, 212 ss.; ID.,Antigiuridicità, in Dig. disc. pen., I, Torino, 1988, 172; ID., Cause di giustificazio-ne, in Dig. disc. pen., II, Torino, 1988, 130. V. inoltre DELL’ANDRO, Antigiuridicità,in Enc. dir., II, Milano, 542; GROSSO, Cause di giustificazione, in Enc. giur. Trec-cani, VI, Roma, 1988; ROMANO, Cause di giustificazione, cause scusanti, cause dinon punibilità, in Riv. it. dir. proc. pen., 1992, 55; ROXIN, Sul consenso nel dirittopenale, in Antigiuridicità e cause di giustificazione. Problemi di teoria dell’illecitopenale, a cura di MOCCIA, Napoli, 1996. Nella manualistica, FIANDACA-MUSCO, Di-ritto penale parte generale, III ed., Bologna, 219 ss.

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norma civile che riconnette, all’esercizio di una facoltà posta da unprincipio generale dell’ordinamento (ossia quello contenuto nell’art.50 c.p.), una sanzione, anche se relativa alla validità del contratto. In-fatti, affermando che l’art. 5 c.c. sia prevalente rispetto alla norma scri-minante, si cadrebbe nel vizio opposto, ossia quello di riconoscere allaprima quella valenza generale di norma dell’intero ordinamento giuri-dico che solo una norma scriminante può esplicare, e giammai unanorma che pone una disciplina civilistica e sanziona con l’invalidità leobbligazioni assunte in contrasto con il divieto. Pertanto si può ritene-re che tale affermata costruzione in verità non sia in opposizione, maconfermi l’idea secondo cui i limiti che l’art. 5 c.c. pone agli atti di di-sposizione lesivi non possano essere legittimamente estesi all’art. 50c.p., pena la violazione del principio di legalità, ed in particolare nellesue determinazioni della tassatività e determinatezza, nonché del prin-cipio del favor rei.

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PARTE III

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CAPITOLO I

LA DEFINIZIONE DELL’EUTANASIA

SOMMARIO: 1. Un tentativo di definizione dell’eutanasia. – 2. L’eutanasia co-me atto terapeutico. – 3. L’eutanasia tra divieto di accanimento terapeuticoe definizione normativa di morte. – 4. Segue: l’accanimento terapeutico.

1. Un tentativo di definizione dell’eutanasia

È giunto ora il momento di analizzare la fenomenologia delle situa-zioni e delle pratiche variamente ricondotte sotto il termine eutana-sia 1.

1 La letteratura sul tema dell’eutanasia è amplissima e anche risalente. Tra lenumerose opere, a carattere giuridico o filosofico, oltre quelle già citate, V. MOR-SELLI, L’uccisione pietosa, Torino, 1923; DEL VECCHIO, Morte benefica (l’eutanasia),Torino, 1928; ODDONE, L’uccisione pietosa, in Civ. catt., 1950, 375; ADAMO, Il pro-blema giuridico e medico-legale dell’eutanasia, in Arch. pen., 1950, 375; LANCIA, De-litti di eutanasia, in Giust. pen., 1951, 18; CASSIANO, L’eutanasia, in Riv. pen., 1952,35; GUADAGNO, Il problema giuridico dell’eutanasia, in Critica pen. e med. leg., 1962,129; VIROTTA, I mostri, gli incurabili e il diritto alla vita, cit., 201; PORZIO, Eutana-sia, cit., 103; MANTOVANI, Problemi giuridici dell’eutanasia, in Med. soc., 1970, 249;DE MATTIA, L’eutanasia nel diritto, in Med. soc., 1970, 243; SIMILI, Sugli aspetti me-dico-sociali dell’eutanasia, in Med. soc., 1970, 257; DE MARSICO, La lotta contro ildolore e la legge penale, in Arch. pen., 1971, 219; D’AURIA FILANGERI, L’eutanasia,Napoli, 1971; PAPPALARDO, Eutanasia e soppressione dei mostri, in Giust. pen.,1972, 270; LUPONE, Riflessioni sull’omicidio pietatis causa, in Arch. pen., 1975, 65;LENER, Sui diritti dei malati e dei moribondi: è lecita l’eutanasia?, in La Civiltà cat-tolica, 1976, 471; CONSORTI, Profili giuridici dell’eutanasia, in Dir. eccl., 1981, 469;CARUSO, L’eutanasia nell’ordinamento giuridico italiano: problemi medico legali deiure condito e de iure condendo, in Dir. fam. e pers., 1982, 697; GIUSTI, L’eutanasia,Diritto di vivere - diritto di morire, Padova, 1982; STELLA, Il problema giuridicodell’eutanasia, cit., 1007; ID., Eutanasia attiva ed eutanasia passiva. Problematichegiuridiche, cit., 172; BARNI, Sull’alterna «fortuna» della nozione di eutanasia, inRiv. it. med. leg., 1985, 42; IADECOLA, Eutanasia e sue problematiche, inGiust. pen.,1985, 186; CONSORTI, Esiste il diritto alla morte?, in Temi romana, 1985, 1069; PE-RICO, Eutanasia e accanimento terapeutico in malati terminali, in Aggiorn. soc.,

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Su questo aspetto definitorio, propedeutico ad un’analisi giuridica,nonostante i numerosi convegni, studi e contributi, non si è raggiuntoalcun apprezzabile grado di consenso, neppure sui punti principali.Anzi, da una veloce rassegna dei contributi sul tema, soprattutto più ri-salenti, si trae l’impressione che la controversia si sia concentrata suuno sterile piano terminologico, piuttosto che su quello dei principi, eche la conflittualità si sia giocata innanzi tutto a livello definitorio econtenutistico 2.

In verità, dietro questo sforzo epistemologico si cela l’obiettivo so-stanziale di giungere ad una delimitazione del tema in modo da esclu-dere dal suo statuto concettuale questioni, sì limitrofe, ma non perfet-tamente coincidenti, cui spesso veniva ricondotto. Ovvero, dalla pre-messa terminologica e dall’ambito nozionale ed estensionale del termi-ne, è dipesa fortemente la localizzazione dei problemi giuridici che il te-ma presenta. L’attuale dibattito è focalizzato intorno ai concetti di ac-canimento terapeutico, di definizione giuridica di morte, di sperimen-

1985, 4; VACCHIANO, Eutanasia e diritto a non soffrire, in Quad. giust., 1986, 36;GRASSO, Riflessioni in tema di eutanasia, in Quad. giust., 1986, 60; FERRATO, Mor-bi irreversibili e cure, in Riv. pen., 1986, 481; D’AGOSTINO, L’eutanasia come proble-ma giuridico, in Arch. giur., 1987, 42; CONCETTI, L’eutanasia. Aspetti giuridici, teo-logici e morali, Roma, 1987; CARPEGGIANI, Eutanasia e diritto. Forme di manifesta-zione e problemi giuridici connessi, in Critica penale, 1987-1988, 3; FILIPPI, I profi-li penalistici della c.d. eutanasia, in Arch. pen., 1988, 81; ONGARO BASAGLIA, Euta-nasia, in Democrazia e diritto, 1988, 151; LECALDANO, I modi di morire. Differenzeed analogie in etica, in Iride. Filosofia e discussione pubblica, 1989, 151; ZAMBRA-NO, Eutanasia, diritto alla vita e dignità del paziente, cit., 851; IADECOLA, Eutanasia.Problematiche giuridiche e medico-legali, Padova, 1991; FERRARI, L’eutanasia e ilrifiuto di trattamenti sanitari nel diritto italiano, in Annuario de derecho eclesiasti-co del Estrado, VIII, 1992, 279; RIECI MARIA-VENDITTO, Eutanasia, diritto a moriree diritto di rifiutare le cure: equivoci semantici e prospettive di riforma legislativa,in Giust. pen., 1993, 276; LECALDANO, Eutanasia, in Enc. delle scienze sociali, III,Roma, 1993, 709; CALCANI-MEI, L’eutanasia tra volontà, diritto e assistenza al mo-rente, in Zacchia, 1994, 260; TARANTINO, Eutanasia, diritto alla vita e diritto pena-le, in Med. morale, 1994, 8; NERI, Eutanasia. Valori, scelte morali, dignità delle per-sone, 1995, Bari-Roma; SEMINARA, Riflessioni in tema di suicidio e di eutanasia, inRiv. it. dir. proc. pen., 1995, 670; ROMANO, L’eutanasia, in Giur. merito, 1996, 245;BARCARO, Morire con dignità, in Bioetica, 1996, 499; GIUNTA, Diritto di vivere e di-ritto penale, cit., 74; ID., Eutanasia pietosa e trapianti quali atti di disposizione del-la vita e del proprio corpo, cit., 403.

2 «Cosa si deve pensare dell’eutanasia dipende da ciò che con questo terminesi vuol indicare», così CUYAS, Quid sentiendum sit de eutanasia, pendete a re quaehoc nomine veniat, in Periodica de re morali, canonica et liturgica, 1984, 153 ss.,richiamato da BOMPIANI, Eutanasia e diritto alla vita, in Eutanasia e diritto alla vi-ta, a cura di TARANTINO-TARANTINO, Lecce, 1994, Corso di aggiornamento cultura-le, Lecce, novembre-dicembre 1992, 109, il quale evidenzia come il significatoetimologico della parola sia assai equivoco e relativo alla prospettiva assunta.

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tazione umana, che si inseriscono nell’ambito dei trattamenti medicidei morenti, ma il termine, antichissimo quanto la storia dell’uomo, diorigine ellenica, da tempi remoti descrive il concetto di una «buonamorte» 3. Nell’antichità classica la buona morte poteva essere quella se-rena e spontanea, quella onorevole sul campo di battaglia o anche quel-la del moribondo che rinuncia alla vita; nelle sue prime apparizioni,l’eutanasia nulla aveva a che vedere con il provocare attivamente il ter-mine della vita, neppure da parte del medico. Il primo a metterel’espressione in relazione all’assistenza sanitaria, ai fini altruistici eall’uso di mezzi indolore, fu il filosofo Francesco Bacone 4, ma una rico-struzione storicamente precisa del contenuto del termine sarebbe, oltreche ardua, fuorviante 5. Certamente, la polisemia del termine accentua

3 V. EID, Geschtliche Aspekte des Euthanasieproblems, in Euthanasie oder Sollman auf Verlangen töten?, a cura di EID, Mainz, 1975, 12

4 Il termine eutanasia fu coniato nel XVII dal filosofo inglese BACONE, nel suoDe Dignitate et eugmentis scientiarum (1561-1626), là dove si riferisce alla de-scrizione della morte dell’imperatore Augusto secondo Svetonio. Bacone volle at-tribuire un significato positivo al termine eutanasia, collegandolo per la primavolta all’attività del medico il quale avrebbe il compito, oltre che di curare, di al-leviare le sofferenze del proprio paziente non solo quando questo sollievo puòcondurre alla guarigione, ma anche quando può servire a procurare una mortedolce e calma. La preoccupazione per questa «eutanasia exterior» (terminare lavita senza dolori), da distinguere dall’eutanasia interior o ars moriendi (intesa co-me educazione e preparazione spirituale alla morte), è secondo Bacone, uno deicompiti specifici del medico, quando la malattia risulta inguaribile. S’incontrainoltre il termine eutanasia nel libretto De eutanasia medica, pubblicato da Mi-chael Alberti et Zacharias Philippus Schulz, Dissertatio inauguralis medica. Vomliechten Todt, Halae-Magdeburgica, 1735. Ma il concetto di eutanasia conquistòuna posizione stabile nella medicina con l’intervento di Nicola Paradys, nella suaconferenza dal titolo Oratio de Euthanasia naturali et quid ad eam conciliandammedicina valeat, Lugdunum Batavorum, tenuta l’8 febbraio 1794 in occasionedel suo congedo come Rettore magnifico, in cui si distingue l’eutanasia natura-le, ossia la morte naturale dolce, dall’eutanasia morale, la preparazione psicolo-gica e religiosa della morte, così rifacendosi alla distinzione di Bacone tra euta-nasia interna ed esterna.

5 Il concetto di morte dolce con finalità altruistiche è relativamente moder-no. Infatti, sebbene presso i popoli primitivi l’uccisione dei deformi, vecchi, in-validi, feriti di guerra, fosse praticata, essa non era in verità suggerita da moti-vazioni altruistiche. La storia ci ricorda che l’eutanasia è stata socialmente giu-stificata nell’antichità classica greco-romana, in relazione al fatto che in talecontesto socio-politico le esigenze e i diritti della polis avevano il primato suquelle dei singoli cittadini, per cui anche la vita dei singoli aveva significato inquanto utile alla vita della polis (infatti l’esposizione dei neonati deformi era pre-sente fin dall’epoca dell’antica civiltà egiziana, poi resa obbligatoria da una leg-ge di Licurgo, in proposito, VOLTERRA, Esposizione dei nati. Diritto greco e roma-no, in Noviss. Dig. It., VI, Torino, 1957, 878). Fu solo successivamente, quando

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queste difficoltà ricostruttive 6. Tale variabilità di significati e di espe-rienze dipende essenzialmente dal fatto che eutanasia è nozione nongiuridica, ma a carattere empirico, carica di emotività, che riecheggiasituazioni assai varie storicamente; sicché non è sempre facile coglier-ne i tratti costanti da assumere come referenti dell’indagine 7.

Il passo definitivo verso il concetto odierno di eutanasia fu fatto dalgiornalista Lional Tollemache, che associò il termine eutanasia a situa-zioni di malattia inguaribile e dolorosa in cui sarebbe permesso ai me-dici, con il consenso del paziente, somministrare un anestetico fortetale da provocare la morte 8.

Questi precedenti contengono in nuce molti degli elementi che d’al-lora in poi caratterizzeranno il contenuto dell’espressione, così da de-finire la pratica come una sorta di assistenza al suicidio posta in esse-re da un medico con atti o omissioni. Nell’epoca moderna l’espressio-ne ha consolidato questi aspetti, presentandosi come una delle moda-

cominciò ad affermarsi il valore della vita umana, che l’uccisione dei sofferentiassunse, almeno apparentemente, un carattere più altruistico. Il diritto alla vitasi propone con l’affermarsi della coscienza cristiana, con implicazioni diverse,collegato all’etica della sacralità umana, come sollecitazione all’affermazionedei diritti fondamentali, essenziali e inviolabili. Ma il concetto di uccisione ve-ramente pietosa, sorto nel Medio Evo (misericordia erano dei pugnali adoperatiper stroncare le sofferenze degli avversari mortalmente feriti), cominciò ad af-facciarsi soltanto in seguito. Nella letteratura più recente, ADAMO, Il problemagiuridico e medico-legale dell’eutanasia, cit., 376 ss., evidenzia che nell’accezionemoderna l’eutanasia, oltre a colorarsi del sentimento di pietà, assume una con-notazione che attiene alla relazione terapeutica, rientrando a pieno titolo tra idoveri del medico nei confronti dei morenti.

6 Ad esempio, durante il nazionalsocialismo, anche il significato minimo as-sunto in epoca più recente – quello di uccisione indolore e dettata da motivi al-truistici – è stato messo in dubbio, poiché se ne è estesa la latitudine fino a com-prendere situazioni che nulla avevano a che fare con quelle connotazioni origi-narie che lo caratterizzavano.

7 IADECOLA, Eutanasia e sue problematiche, in Giust. pen., cit., 186, osserva ladiscrasia tra il significato letterale ed etimologico del termine e il significato inconcreto assunto nel tempo, che evoca spesso il concetto di uccisione non sem-pre indolore e per finalità diverse da quelle del sentimento di pietà.

8 TOLLEMACHE, The cure for incurables, in Fortnightly Review 13, 1873, 218.Successivamente Weissmann nel 1882 riteneva che la morte dell’anziano e perfi-no della donna fossero prive di importanza; altrettanto Osler nel 1905 e il biologoHaeckel, sulla scia di queste concezioni, da cui prende le mosse il programma na-zista suggerivano l’idea della soppressione delle persone inutili, così FIORI, La me-dicina e le fasi finali della vita, cit., 38-39. Ma già Tommaso Moro, nella sua Uto-pia, aveva suggerito l’idea di una congrega di sacerdoti e magistrati che esortanoe consigliano pazienti affetti da malattia incurabile ad abbandonare la vita me-diante il suicidio o l’opera dei medici, TOMMASO MORO, Utopia, Bari, 1982, 97-98.

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lità in cui si realizza un trattamento medico nel momento in cui si in-sinua il convincimento dell’inadeguatezza delle cure, distanziandosicosì di molto, per finalità, modalità e contenuti, dalle situazioni empi-riche che caratterizzavano il passato 9: all’idea di pietà e di altruismo,inteso come spontaneo attivarsi in favore altrui, si sostituisce la prete-sa di poter «dominare» la propria morte, così come la propria vita. So-no diverse le spinte motivazionali, diversi i contesti, del tutto nuovi imezzi con cui si produce la morte.

Tuttavia, anche se è pacifica, sotto il profilo sostanziale, la «nuova»identità dell’eutanasia, la letteratura giuridica più recente si è mostra-ta restia ad utilizzare l’espressione, carica di significati simbolici e dispettri del passato 10, preferendosi un linguaggio più neutrale, privo di

9 Infatti, per lungo tempo l’espressione è stata applicata in modo estensivo aduna serie svariata di situazioni assai eterogenee, come se si trattasse di un «cam-po concettuale» che racchiude diverse ipotesi in un sistema logico definito in talmodo rendendo poco caratterizzata una ricerca sui requisiti di tipicità della si-tuazione richiamata. Erano frequenti le trattazioni del passato che esordivanodifferenziando diverse fenomenologie di eutanasia. Si differenzia l’eutanasia eu-genica, economica, sperimentale, solidaristica, criminale, pietosa o altruistica,ecc. Questo uso generico del termine, come categoria unica, un nomen da utiliz-zare a scopo puramente indicativo di un complesso e articolato gruppo di feno-meni, comprensivi dell’omicidio per pietà, dell’aiuto al suicidio, delle decisionimediche di fine vita, non ha favorito un tentativo di categorizzazione ed è statofonte di fraintendimenti. Le diverse pratiche eutanasiche, come esiti di un trat-tamento terapeutico, ben si distinguono, dal punto di vista fenomenologico dasituazioni molto eterogenee, quali la morte cagionata dal familiare che, vintodalla sofferenza e dalla disperazione, uccide il figlio portatore di handicap, o la-scia morire il proprio congiunto che insistentemente richiede di non essere sal-vato; ancora, ben poco con tali situazioni ha a che vedere il caso in cui il fami-liare collabora affinché la vittima possa da solo cagionarsi la morte. Per un’inte-ressante analisi del termine eutanasia attraverso gli strumenti della semantica,V. BELLOTTO, Il «particolare valore morale» della disperazione, cit., 202, e la bi-bliografia riportata nelle note 5 e 29.

10 Nei paesi d’oltralpe, pur essendo noto il termine di origine greca, la tema-tica è ricondotta sotto il termine Sterbehilfe, la cui traduzione in italiano è «aiu-to a o nel morire». La preferenza si giustifica per il fatto che il termine eutana-sia ricorda il programma attuato da Hitler durante il nazionalsocialismo nei con-fronti dei malati di mente. Ma allora si trattava dell’annullamento di vite ritenu-te senza valore, non degne di essere vissute (in proposito BINDING– HOCHE, DieFreigabe der vernichtung lebensunwerten Lebens. Ihr Mass und ihre Form, Leip-zig, 1922; KLEE, «Euthnasie» im NS-Staat. Die «Vernichtung lebensunwerten Le-bens», Frankfurt am Main, 1983). In una prospettiva opposta, l’espressione è og-gi legata ad una rinnovata e moderna sensibilità nei confronti del valore dell’uo-mo in quanto tale e della vita umana. Così HIRSCH, Behandlungsabbruch undSterbehilfe, in Festschrift für LACKNER, 1987, 597.

Tale espressione, pur consentendo una serie di specificazioni di situazioni

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quest’alone semantico che sembra includere una componente maggio-re di volontà nel processo che conduce alla morte di un uomo 11.

D’altra parte, è illusoria la pretesa di caratterizzare le situazioni ri-condotte sotto il termine con un linguaggio privo di risonanze emotiveo di implicazioni etiche, mentre si evidenziano chiaramente le diffi-coltà di fissare i requisiti di tipicità del fatto cui riferire l’indagine, ov-vero le condizioni di fatto in presenza delle quali l’espressione può ri-correre propriamente: ancora oggi queste rappresentano un insor-montabile ostacolo ad una qualificazione giuridica. Nel nuovo conte-sto di riferimento, l’eutanasia riguarda soggetti pazienti prossimi allamorte, affetti da una grave patologia di cui è diagnosticata l’incurabi-lità, e trattamenti caratterizzati per l’uso di mezzi indolori, connotatidalle finalità di porre fine ad un’inutile e tormentosa agonia 12. L’aspet-

profondamente diverse tra loro sotto il profilo sostanziale, permette al contem-po una trattazione unitaria dei problemi che essa racchiude, ma che non sonoaffatto suscettibili di una uniformante reductio ad unum. Vale la pena obiettaretuttavia che una ridefinizione sul piano terminologico attraverso l’uso del termi-ne Sterbehilfe non è poi di così grande utilità, dovendosi precisare se si tratti diHilfe im o bei Sterben (aiuto nel morire) o di Hilfe zum Sterben (aiuto a morire).Ne segue quindi che in assenza di precisazioni, il termine Sterbehilfe diviene si-nonimo della tanto contestata parola greca, così PELZL, An der Grenze von Lebenund Tod. Euthanasie und Strafrecht, in Kritische Justiz, 1994, 179.

11 D’altra parte nella teologia morale il termine eutanasia non ha sempre avu-to di per sé un significato negativo, che invece le veniva conferito dal tipo di in-tervento. Papa Pio XII, nel Discorso ai partecipanti al IX Congresso della societàitaliana di anestesiologia, 24 febbraio 1957, in Acta Apostolicae Sedis, 1957, ave-va utilizzato il termine in un’accezione non necessariamente dispregiativa e ne-gativa, ma aveva parlato di eutanasia indiretta per riferirsi alla terapia del dolo-re, e in relazione all’omissione o all’interruzione di trattamenti, entrambi rite-nuti leciti. Anche La dichiarazione sull’eutanasia del 5 maggio 1980 a cura dellaSanta Congregazione per la dottrina della fede della Chiesa Cattolica, l’ultimodocumento organico ufficiale sul tema dell’assistenza dei malati prossimi allamorte, prospetta una definizione di eutanasia come «qualsiasi forma di uccisio-ne di un essere umano, o per i metodi usati dall’azione o omissione o per le in-tenzioni, allo scopo di eliminare il dolore», ammettendo però la liceità dell’omis-sione di trattamenti sproporzionati, non espressamente nominata come eutana-sia passiva. La dichiarazione è riportata in IADECOLA, Potestà di curare e consen-so del paziente, cit., App., 317. Sulla distinzione tra uccisione diretta ed indiret-ta, che poi nel corso dei tempi è stata elaborata come dottrina del doppio effet-to, V. CAPRILE, Il magistero della Chiesa sull’eutanasia, in Morire sì, ma quando?,a cura di BERETTA, 1977, 193. Per ampi riferimenti sugli insegnamenti della Chie-sa v. inoltre CONCETTI, L’eutanasia. Aspetti giuridici, teologici e morali, cit., 31 ss.;CICCONE, Verso una nuova «battaglia civile»?, cit., 482.

12 CARUSO, L’eutanasia nell’ordinamento giuridico italiano, cit., 697. La possi-bilità di una precisa connotazione dell’eutanasia con gli elementi oggettivi sud-detti viene tuttavia sottoposta a dura critica da parte di coloro che evidenziano

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to della prossimità dell’esito letale escluderebbe tutte quelle malattieche pur non intrinsecamente fatali entro breve termine, sono tuttaviacaratterizzate da una sintomatologia estremamente dolorosa che nonoffre ragionevoli speranze di recupero e di significativo lenimento 13.L’elemento comune a tutte le interpretazioni e definizioni delle diver-se pratiche mediche è costituito unicamente dalla motivazione «bene-fica» e di altruismo, cui corrisponde l’uso di mezzi idonei allo scopo direndere sereno e rapido il passaggio, e da una generica condizione fat-tuale che mette in dubbio il postulato dell’assolutezza della tutela del-la vita umana, tanto da far prevalere la morte sul l’istinto naturale di vi-ta. Nella nozione di eutanasia è inoltre insita una componente che evi-denzia la volontà di agevolare, e non di determinare la morte altrui,quasi ponendo una linea di confine con l’omicidio in senso stretto, erestringendo la sua applicazione alle sole situazioni in cui vi è il con-senso (reale o presuntivamente ricostruito) del paziente, quasi si trattisostanzialmente di un suicidio per mano altrui: la volontà del parteci-pe al suicidio o di chi uccide una persona consenziente risiede e trovauna sua ragione formativa nella subordinazione o acquiescenza all’al-trui seria e decisa volontà di morire, e manifesta l’intento pietistico ocompassionevole di tale slancio 14.

2. L’eutanasia come atto terapeutico

La nuova connotazione dell’eutanasia, nel dibattito attuale, concer-ne il momento conclusivo della relazione terapeutica in rapporto al -l’esistenza di condizioni oggettive da scongiurare o da interrompereconnesse con la morte del paziente, e la possibilità di ricorrere a rime-di che interferiscono con la causazione della morte, le cui finalità sono

quanto incerti siano l’incurabilità e la prossimità dell’esito letale, a causa dellarelatività ed intrinseca inattendibilità di una diagnosi di per sé suscettibile di er-rori, variabile, forse inattendibile scientificamente e storicamente condizionatadalla possibile sopravvenienza di nuove scoperte terapeutiche; MANTOVANI, Pro-blemi giuridici dell’eutanasia, in Medicina sociale, 1970, 249.

13 Tuttavia anche questo riferimento fattuale non è sempre assodato, comeaccade ad esempio nei casi di stato vegetativo persistente, in cui il paziente puòpotenzialmente continuare a vivere ad libitum.

14 Così CONSORTI, Profili giuridici, cit., 469. In verità, l’uso del termine non èsempre collegato alla volontà del paziente di porre termine alla sua vita allo sco-po di evitare una fine offuscata da malattie e sofferenze, posto che le situazionipiù frequenti di eutanasia riguardano proprio pazienti incapaci o che non sonopiù in grado di prestare il loro consenso; recentemente RAMACCI, Premesse alla re-visione, cit., 201.

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però benefiche per il paziente; è in discussione se, venuta meno la pro-spettiva di cura, nel termine debba essere incluso solo l’accompagna-mento alla morte o anche l’affrettare o al limite il procurare la morte(diritto alla morte o diritto ad una morte adeguata) 15.

Tradizionalmente l’attività terapeutica è stata apprezzata social-mente purché finalizzata ad intervenire in presenza di uno stato pato-logico o un processo morboso, al fine di realizzare un obiettivo mi-glioramento delle condizioni fisiche del paziente. Ci si chiede comequalificare quegli interventi privi di una vera e propria finalità tera-peutica, che solo eufemisticamente possono definirsi terapie, non es-sendo prospettabile alcuna guarigione o alcun miglioramento dellostato di salute: si tratta ciononostante di «trattamenti medici»? L’in-tervento di chi effettua tali pratiche può essere considerato un atto cherientra nello statuto teorico e professionale del medico?

La possibilità di qualificare come terapeutici anche quei trattamen-ti che non sono dotati di finalità curative in senso stretto, si inseriscein un processo culturale che ha visto trasformare di significato il con-cetto di salute 16 e la stessa nozione di trattamento medico 17. L’evolu-

15 HIERSCHE, Euthanasie aus ärtzlicher Sicht, in Euthanasie. Probleme der Ster-behilfe. Eine interdisziplinäre Stellungnahme, a cura di HIERSCHE, München,1975.

16 Il concetto di salute si definisce come «lo stato di benessere, fisico e mora-le, che proviene dall’equilibrio di tutti gli organi e le funzioni del corpo umano,tale da permettere il normale svolgimento, sotto un punto di vista biofisiologico,della vita umana in relazione alle diverse condizioni di ambiente nel quale l’uo-mo vive», così PEZZINI, Il diritto alla salute: profili costituzionali, in Diritto e so-cietà, 1983, 21. Tale definizione, oltre a cercare un equilibrio tra dati biofisiolo-gici e dato sociale, pone in risalto la funzione strumentale della salute e della suatutela rispetto agli obiettivi della rimozione degli ostacoli che impediscono larealizzazione della personalità umana. V. inoltre PERLINGIERI, Il diritto alla salu-te quale diritto della personalità, in Rass. dir. civ., 1982, 1043; SANTOSUOSSO, Dallasalute pubblica all’autodeterminazione, cit., 95.

17 La definizione di «trattamento medico» è stata dalla dottrina medico-lega-le fortemente ampliata, comprendendo «qualsiasi azione posta in essere da unmedico nell’esercizio della sua attività professionale, diretta al fine di favorire lavita di un essere umano». Con tale definizione sono inclusi sia gli atti medici confinalità diagnostiche, sia gli atti medici che non sono strettamente terapeutici,ma perseguono finalità preventive o migliorative, anche in assenza di una situa-zione morbosa in atto e di pericolo per la salute. In tal senso CRESPI, La respon-sabilità penale del trattamento medico chirurgico con esito infausto, Palermo,1955, 6. In particolare, la definizione di attività terapeutica sostanzialmente ac-colta si fonda sui seguenti elementi: finalità di arrecare beneficio alla salute delpaziente; obiettiva idoneità terapeutica del trattamento sulla base della previaconoscenza dei prevedibili benefici e rischi del trattamento, e del rapporto diproporzione tra essi; collegamento funzionale con una malattia e soggettivo con

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zione, consolidata anche a livello giurisprudenziale, è caratterizzata dauna progressiva e sempre più preponderante introduzione di un ele-mento valutativo da parte del diretto interessato su ciò che possa perlui considerarsi «benessere» 18. Il processo di dilatazione della qualifi-cazione di «trattamento medico» si collega alla tendenza che attribui-sce rilevanza alla dimensione psichica della salute, cioè a quella soffe-renza psicologica che prescinde da una patologia su base organica, mache non per ciò è di minore dignità, ed in generale da una scoperta del-le dimensioni di tutela del diritto alla salute «a tutto tondo», essenzial-mente come dimensione attiva ed individuale di libertà di essere, di di-sporre di sé ed autodeterminarsi. Questa preponderanza della valuta-zione soggettiva del paziente incide sulla definizione dei confini e de-gli orizzonti della medicina, ampliandoli di gran lunga, in modo cheanche gli scopi che riguardano la qualità della vita nella sua fase con-clusiva, trovino accesso. La «nuova» medicina non ha più, dunque, co-me esclusivo oggetto di interesse la patologia e come ragione giustifi-catrice la sua cura, ma si pone al servizio di bisogni dell’uomo in unsenso più complessivo e delle sue condizioni morali ed umane anchequando l’esito è prossimo. Ciò conduce a riconoscere autonoma giu-stificazione anche all’obiettivo della cura del dolore. Assicurare al pro-prio paziente una «buona morte» rientra tra i compiti della medicinamoderna, facendo sì che possa qualificarsi come terapeutico anchequel l’intervento medico che si fa carico della dimensione psichica e fi-sica della sofferenza 19.

un soggetto malato, così MANTOVANI, I trapianti e la sperimentazione umana neldiritto italiano e straniero, cit., 10; ABBAGNANO TRIONI, Considerazioni sul consen-so del paziente nel trattamento medico chirurgico, in Cass. pen., 1999, 316.

18 Sul ruolo del consenso del paziente, quale parametro di valutazione e re-golamentazione della relazione terapeutica, NANNINI, Il consenso al trattamentomedico, cit., 4 ss. V. inoltre la Guida europea di etica e di comportamento profes-sionale dei medici, approvata dalla Conferenza internazionale degli Ordini deimedici della CEE, della Spagna e del Portogallo, stabilisce che «il medico nonpuò sostituire la propria concezione della qualità della vita a quella del suo pa-ziente», in Riv. it. med. leg., 1984, 162. Per contro, EUSEBI, Tra indisponibilità del-la vita, in Quando morire, cit., 244 «non è affatto vero che lo stesso concetto disalute psichica ... implichi come tale una soggettivizzazione del giudizio».

19 L’art. 3 del nuovo codice deontologico dei medici italiani stabilisce che «do-vere del medico è la tutela della vita, della salute fisica e psichica dell’uomo e ilsollievo dalla sofferenza nel rispetto della libertà e dignità della persona umana».V. anche VOLPE, Per una dimensione umana della morte nella medicina e nel dirit-to, in Giust. pen., 1993, 154; IADECOLA, I doveri del medico nel trattamento dei mo-renti, in Giur. merito, 1990; VENTAFRIDDA-DE CONNO, Una medicina che si prendacura. La filosofia delle cure palliative, in Anestesia e Rianimazione, 1990, 31. Sulladifferenziazione tra dolore terminale e ogni altro tipo di dolore che si soffre entrola vita, MORI, Dal vitalismo medico alla moralità dell’eutanasia, cit., 113.

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L’obiettivo della cessazione della sofferenza può attuarsi attraversodiverse scelte mediche: la sospensione terapeutica di quei trattamentiche consentano una prosecuzione artificiale della vita o la sommini-strazione di terapie palliative. Quest’ultima da attuarsi, come estremorimedio, anche quando comporti l’abbreviamento della vita, realizzan-do una sorta di suicidio assistito o di eutanasia in senso stretto 20.

3. L’eutanasia tra divieto di accanimento terapeutico e definizionenormativa di morte

L’attuale discorso sull’eutanasia lascia spazio alle rivendicazioni diun «diritto alla morte» o di un «diritto ad una propria morte», o infinealla richiesta di un diritto «ad una morte naturale» 21.

Le espressioni riferite in verità descrivono situazioni fattuali assaidifferenti, cui si collegano diversi profili giuridici: il primo, il diritto adeterminare momento e modalità della propria morte; ed il secondo, ildiritto di ciascuno ad una morte dignitosa, indipendentemente dallapossibilità di autodeterminarne modalità e tempi. Nel primo senso sitratta di riconoscere o attribuire cittadinanza al diritto a morire, cioè adisporre della propria vita e della propria morte, lasciando estendere laproiezione del diritto all’autodeterminazione del paziente alla faseestrema della vita, fino a comprendere la possibilità non soltanto di ri-spettare il processo naturale di morte, ma anche di anticiparlo o favo-rirlo, impedendo che sia devastante e doloroso. Rientrano in questaspecificazione le situazioni anche denominate di suicidio assistito, os-sia quelle che si sostanziano nella somministrazione di cure palliative,finalizzate ad accompagnare il paziente alla morte, secondo la sua vo-lontà, nel modo più sereno ed indolore anche quando ciò comporti ilcosto di abbreviarne la vita.

Nel secondo senso il significato del termine eutanasia diviene assaipiù tenue e debole, fino a sfumare nella mera contrapposizione alle

20 A favore della lotta al dolore del paziente si colloca un recente provvedi-mento del Consiglio dei Ministri che ha approvato un disegno di legge che depe-nalizza le norme sul trasporto e la somministrazione di medicinali a base di op-piacei per il trattamento in assistenza domiciliare dei malati terminai e dei pa-zienti affetti da sintomatologia dolorosa cronica. Infatti tali farmaci erano as-soggettati alla normativa per il trasporto di sostanze stupefacenti ed erano pre-viste limitazioni relative alle dosi e alla durata della terapia, non superiore agliotto giorni (Ddl Cdm 3.10.2000).

21 PORTIGLIATTI BARBOS, Diritto a morire, cit., 22; BARNI-DELL’OSSO-MARTINI,Aspetti medico-legali e riflessi deontologici del diritto a morire, cit., 26.

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pretese di strumentalizzazione del proprio corpo tipiche di quelle te-rapie accanite, sproporzionate, inadeguate che rendono l’uomo un og-getto materiale di un intervento che ne sopprime l’individualità 22.L’affermazione di un «diritto ad una morte naturale» comporta un’at-tenuazione del termine eutanasia, da ricondurre nell’ambito del capi-tolo della libertà del paziente di sottrarsi alla somministrazione far-macologica.

In tal modo la qualificazione di eutanasia riguarda una serie dicomplesse e varie situazioni: interferisce con la sospensione terapeuti-ca come risposta ad una prosecuzione ostinata di terapie oggettiva-mente inidonee a ripristinare uno stato di salute soddisfacente; si in-treccia, per contro, con la definizione giuridica di morte; abbraccial’ipotesi di mancata prevenzione della morte a fronte di cause naturaliinsorgenti nel corso di malattie terminali; include l’applicazione diprocedimenti curativi mediante prodotti analgesici nei confronti dimoribondi, che nessun effetto terapeutico sortiscono sulla patologia,ma che hanno essenzialmente la finalità di mitigare le sofferenze lega-te a processi morbosi in atto che conducono alla morte, anche quandocomportino l’effetto collaterale, probabile o certo, in relazione a dosisempre più massicce e allo stato di debilitazione del paziente, di con-tribuire con certezza o con elevata probabilità all’accelerarsi dell’even-to letale 23.

A fronte di una così variegata gamma di situazioni, l’evoluzione deldibattito sul tema registra una certa ossessione per il profilo definito-rio. Nell’intento di connotare il fenomeno in maniera autonoma e conuna propria fisionomia, si è negato che situazioni che comprendonol’omissione di terapie di prolungamento in vita, affinché il pazientepossa lasciarsi morire, rientrino nell’ambito nozionale del termine; intali casi si tratterebbe piuttosto di far valere il divieto di accanimentoterapeutico, che impone al medico di astenersi dal proseguire le cure,più che di eutanasia in senso stretto, ovvero, qualora si tratti di un pa-ziente ormai decerebrato, di limite all’obbligo di cura rispetto un sog-getto da considerare ormai normativamente morto, di cui non si ca-giona affatto la morte. La definizione normativa di morte, che segna il

22 OTTO, Recht auf dem eigenen Tod? Strafrecht im Spannungsverhältnis zwi-schen Lebenshaltungspflicht und Selbstbestimmungsrecht, in Gutachten zum 56.Deutschen Juristentag in Berlin, München, 1986, 29.

23 Infine al problema dell’eutanasia è connesso quello del divieto di speri-mentazione umana e di trattamenti futili su soggetti che rivestono ormai un pu-ro interesse scientifico, in proposito, DE ZINCENTIS ZANGANI, Sulla liceità e sui li-miti della sperimentazione sull’uomo, in Giust. pen., 1968, 321; CARMONA, Speri-mentazione clinica e tutela giuridica della persona, in Arch. pen., 1975, 275; MAN-NA, Sperimentazione medica, in Enc. dir., IV aggiornam., Milano, 2000, 1120.

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passaggio dalla tutela dell’uomo alla tutela del cadavere 24, ed il divieto(giuridico o solo deontologico) di procrastinare ad oltranza le cure,quando esse non sortiscano più alcune effetto benefico, costituisconoi limiti estremi, i confini che delineano la cornice del problema giuri-dico dell’eutanasia.

Accogliendo il criterio normativo della «morte corticale», è possibi-le che non vi sia cessazione dell’attività cerebrale nel suo complesso eche certe funzionalità possono essere mantenute attive artificialmen-te 25. È evidente che in questi casi l’eventuale distacco dai macchinari

24 Sulla tutela del cadavere, CHIAROTTI, Defunti (delitti contro la pietà dei), inEnc. dir., XI, Milano, 1962, 896; FIANDACA, Pietà dei defunti (delitti contro la), inEnc. giur. Treccani, XXIII, Roma, 1990.

25 Dal momento che dal punto di vista scientifico la morte costituisce un pro-cesso graduale e progressivo che colpisce tutte le cellule dei vari tessuti, è possi-bile ritenere, accogliendo il concetto di morte cerebrale (ovvero cessazione irre-versibile e totale delle funzioni dell’encefalo, del sistema nervoso centrale), cheun individuo sia morto malgrado persista una certa funzionalità vegetativa o bio-logica, spontanea o ottenuta artificialmente, qualora siano ancora integri i cen-tri del paleoncefalo e il supporto artificiale prevenga o tratti l’arresto cardiaco. Ladefinizione normativa di morte è fortemente legata all’esigenza di procedereall’espianto di un organo il prima possibile, affinché si possa disporre di organifisiologicamente intatti. L’attuale stato della legislazione, con riferimento al mo-mento ad quem è possibile effettuare un espianto di organi da cadaveri, è costi-tuito dalla legge 29 dicembre 1993, n. 578 che ha recepito espressamente comecriterio unico e generale la nozione di morte cerebrale o corticale. Per la verità,tale restrittiva nozione di morte clinica, limitata alle sole regioni cerebrali supe-riori, era stata introdotta dalla legge n. 644 del 1975 come criterio normativo diaccertamento nei soli casi di donazione di organi da defunto. Ma appariva privadi logica e non difendibile la doppia prassi che imponeva nel caso di soggettoidoneo all’espianto, una volta accertata la morte ed effettuato il prelievo, la ces-sazione di ogni attività medica e assistenziale, mentre in altri soggetti nelle me-desime situazioni, ma non destinati ai trapianti, continuava la ventilazione arti-ficiale in attesa di una cessazione naturale e spontanea del battito cardiaco. Si èmaturata pertanto nel tempo l’esigenza di estendere e generalizzare il medesimocriterio ad ogni ipotesi di esso, indipendentemente dalla possibilità di effettuareun espianto di organo o tessuto da cadaveri. La questione venne avvertita anchedal Comitato Nazionale di Bioetica, che auspicava l’introduzione di criteri omo-genei di accertamento della morte e un adeguamento alla disciplina vigente in al-tri paesi europei, v. COMITATO NAZIONALE PER LA BIOETICA, Definizione e accerta-mento della morte nell’uomo, Presidenza del Consiglio dei Ministri, Dipartimentoper l’informazione e l’editoria, 15 febbraio 1991. V. inoltre LAMB, Il confine dellavita. Morte cerebrale ed etica dei trapianti, Bologna, 1987; CECCHI, Unicità del con-cetto di morte: orientamenti etici, deontologici e legislativi, in Giust. pen., 1991,281; DEFANTI, Riflessioni sul concetto di morte cerebrale, in La bioetica. Questionimorali e politiche per il futuro dell’uomo, cit., 230. In verità il dibattito sulla defi-nizione di morte è tutt’altro che esaurito, e le conclusioni della Commissione di

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di ventilazione, nutrizione, idratazione artificiale, non costituisce«omicidio», ma una semplice operazione pratica irrilevante per il di-ritto penale, che nulla ha a che vedere con l’eutanasia 26. Nelle situa-zioni residuali concernenti pazienti ancora normativamente vivi, nonessendosi verificata del tutto la morte cerebrale, il limite al dovere dicura discenderebbe direttamente dal divieto di accanimento terapeuti-co, che obbliga il medico ad astenersi dal proseguire le terapie, e ciòanche a prescindere dalla medesima volontà negativa del paziente,precedentemente manifestata.

Eccetto queste due ipotesi, resta indiscusso il divieto di cagionare lamorte di un uomo, e dunque, il divieto di eutanasia (attiva). Pertanto,trattandosi in sostanza dell’individuazione dei limiti all’accanimentoterapeutico, o di un’apparente eutanasia nei casi in cui l’individuo sianormativamente considerato già morto, ed escludendosi in premessal’ipotesi di una deliberata causazione della morte di un individuo, an-che se per motivi di solidarietà, la problematicità dell’eutanasia, de iu-re condito, si restringe a poche residuali situazioni concernenti le ipo-tesi attive, relative alla somministrazione di farmaci lenitivi del dolore,e non solo quelle finalizzate direttamente a cagionare la morte, ma an-che quelle che tale conseguenza sortiscono pur mirando all’obiettivo diun miglioramento momentaneo e palliativo dello stato di benessere delpaziente. In tal modo si delinea la distinzione tra forme passive lecite,impropriamente assimilate all’eutanasia, e forme illecite, stavolta pro-priamente eutanasiche, concernenti la condotta attiva del medico, co-sì da affermare la seguente equivalenza: la decisione medica sul tratta-mento dei morenti, se praticata mediante una condotta commissiva, èillecita, e costituisce la vera eutanasia, mentre se la morte è il risultatodi una mera omissione del medico, o di una condotta attiva sul pianofattuale, ma assimilabile sul piano normativo ad un’omissione, è lecitae va ricondotta nella problematica dei limiti al dovere di curare del me-dico, non trattandosi di eutanasia in senso proprio, ma di divieto di ac-canimento terapeutico 27.

Harvard del 1968 con cui veniva fissato il suddetto criterio, sebbene recepite nel-le maggior parte delle leggi di molti paesi, sono ancora contestate. A esempio visono coloro che negano che la definizione di morte possa essere derivata da con-siderazioni mediche, ma piuttosto che dipende da una decisione etica, SINGER,Ripensare la vita. La vecchia morale non serve più, Milano, 1996, 208-209.

26 Qualora si tratti dell’interruzione delle tecniche di rianimazione che pro-crastino la reviviscenza solo al livello di funzioni respiratorie e circolatorie, cosìprivando il paziente ormai decerebrato, di una vita artificiosa e vegetativa, è ilconcetto normativo di morte a venire in soccorso per escludere che si tratti diqualsiasi forma di uccisione. Così MANTOVANI, Il problema della disponibilità delcorpo umano, in Vivere: diritto o dovere?, cit., 69.

27 Ma attenzione, questa operazione epistemologica, di per sé dettata dal -

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4. Segue: l’accanimento terapeutico

Il passo successivo è allora quello di individuare cosa si intende peraccanimento terapeutico. Tale concetto, si sa, non ha contorni concet-tuali precisi né di tipo clinico, né di tipo etico, e ancor meno di tipogiuridico. L’espressione infatti è addirittura contestata da parte medi-ca in quanto sintomatica di un giudizio di forte disvalore (lo stessoconcetto di accanimento è di per sé negativo), assumendo così un equi-voco alone semantico: ne è prospettato solo l’aspetto esteriore, scredi-tante e condannabile dell’infierire su una vittima indifesa ed è esclusoquello di un saldo e coerente impegno curativo 28. L’accanimento èespressivo dunque di un’ostinazione fine a se stessa, paga della sola di-mensione biologica del vivere, dimostrativa di una presunzione di on-nipotenza curativa a prezzo di inutili sofferenze altrui 29.

A seguito dell’accresciuta disponibilità di risorse nella medicinatecnologica moderna, e dell’affermarsi di un’etica «dell’economia me-dica», con l’espressione «accanimento terapeutico» si suole descrivereuna situazione pragmatica, identificata variamente attraverso i con-cetti di ostinazione 30, attraverso il concetto di «futilità medica» 31, o

l’aspirazione ad una chiarezza terminologica, può sortire l’effetto di ridimensio-nare proprio negli aspetti contenutistici la questione, e di minimizzare la necessitàdi una riflessione centrale in ordine al modello di regolamentazione delle variega-te situazioni, avvalorando un giudizio complessivo di illiceità e riprovevolezza sututto ciò che vagamente viene ricondotto nell’ambito del capitolo dell’eutanasia.

28 Su questi temi, VITELLI, Medicina, etica e diritto alla fine della vita, in Bioe-tica, 1999, 18, che evidenzia come al concetto di accanimento dovrebbe sosti-tuirsi quello di «ostinazione terapeutica», o meglio, al concetto di «futilità me-dica», diffuso nel mondo anglosassone.

29 Una condanna per l’accanimento terapeutico fu espressa da Papa Pio XIIdurante il Discorso ai partecipanti al IX Congresso della società italiana di aneste-siologia, 24 febbraio 1957, cit. Tale posizione è stata poi in tempi più vicini, ri-badita dalla Sacra Congregazione per la Dottrina della Fede, che ha sottolineatola possibilità di distinguere mezzi proporzionati e mezzi sproporzionati nei con-fronti del malato terminale, in relazione la singolo caso, al tipo di terapia, il gra-do di difficoltà e rischi che si presentano, le spese necessarie e le possibilità diapplicazione, tenuto conto delle condizioni dell’ammalato e della sue forze fisi-che e morali (v. infra).

30 Definisce l’accanimento terapeutico una «irragionevole ostinazione in trat-tamenti da cui non si possa fondatamente attendere un beneficio o un migliora-mento della qualità della vita», l’art. 13 del nuovo codice deontologico dei medi-ci italiani. V. anche l’art. 7 della Carta dei diritti del morente, redatta dal Comita-to etico della Fondazione Floriani di Milano nel maggio 1997, che pone il diritto«a non subire interventi che prolunghino il morire».

31 «Una cura volta ad ottenere la guarigione quando le probabilità di succes-

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ancora attraverso il riferimento a concetti di valore che rinviano al sen-so della prosecuzione della vita 32. Al di là delle differenti definizioniche non sempre hanno contribuito ad una sua chiarificazione per lavarietà dei criteri che le giustificano 33, il termine esprime la necessitàdi individuare un limite nella pratica clinica, che dia conto della ragio-ne per la quale trattamenti in astratto somministrabili, non vengononel caso concreto praticati perché ritenuti non accettabili in sé o per ilrisultato che producono; in sostanza, una risposta contro la tendenzaallo scientismo, alla disumanizzazione della relazione terapeutica, alplaying God (giocare a fare il Padreterno) 34. L’accanimento terapeuti-co è comunque, quanto meno sotto il profilo deontologico e morale, unillecito, soprattutto quando vi sia una precisa opposizione del pazien-te in ordine alla prosecuzione delle cure.

In verità, il dibattito sulla «medical futility», in incremento negliStati Uniti, intende riconoscere un vasto ambito di autonomia alla va-lutazione medica nella individuazione e selezione dei trattamenti piùappropriati rispetto all’autodeterminazione del paziente assunta comevalore preminente: dunque, anche in assenza di una determinazione divolontà, e persino contro di questa. Si tratta di categorie di situazioniestreme, concernenti, nella prassi medica americana (DNR, cioè Do

so sono nulle e gli effetti collaterali comportano ulteriori sofferenze per l’am-malato» oppure semplicemente come «una cura inutile e sproporzionata rispet-to ai risultati prevedibili», così il documento del COMITATO NAZIONAE PER LA

BIOETICA, Questioni bioetiche relative alla fine della vita umana, del 14 luglio1995, che definisce l’accanimento terapeutico un «trattamento di documentatainefficacia in relazione all’obiettivo,a cui si aggiunga la presenza di rischio ele-vato e una particolare gravità per il paziente con ulteriore sofferenza, in cui l’ec-cezionalità dei mezzi risulti sproporzionata rispetto agli obiettivi». Per una po-sizione critica rispetto tale definizione, che si fonda su tre criteri: la documen-tata inefficacia e quindi l’inutilità della terapia, la gravosità del trattamento el’eccezionalità del mezzi terapeutici, non sempre calzanti, DEFANTI, Considera-zioni sul documento del CNB «Questioni bioetiche relative alla fine della vita uma-na», in Bioetica, 1997, 29.

32 L’accanimento si definisce come «quell’attività medica che, approssiman-dosi il processo di morte, consenta un breve prolungamento della vita fisica pre-cludendo l’espressione ormai irripetibile di aspetti importanti della personalitàdel malato», EUSEBI, Tra indisponibilità della vita, cit., 247. V. anche SEMINARA,Riflessioni in tema di suicidio, cit., 685-686.

33 Infatti è la stessa espressione di accanimento che sembra riferirsi all’uso distrumenti straordinari o sproporzionati, che di per sé si presenta come variabi-le e fonte di incertezze, poiché coinvolge inevitabilmente considerazioni di valo-re circa il senso del prolungamento di una vita biologica, e circa le possibilità diuna futura realizzazione spirituale del paziente (v. infra).

34 SANTOSUOSSO, Valutazione medica ed autonomia del paziente: accanimentoterapeutico ed eutanasia, in Medicina e diritto, cit., 188.

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Not Resuscitate Orders 35), casi in cui il medico decide di non interveni-re in caso di arresto cardiorespiratorio, di interrompere la nutrizione eidratazione artificiale in soggetti in stato vegetativo persistente, in cuiè assente una determinazione di volontà del paziente, ed in generaletutti i casi in cui i trattamenti non producono, secondo l’esperienza delmedico, benefici, anche se hanno un effetto sul piano strettamente fi-siologico.

Circoscrivendo la nozione di accanimento terapeutico vietato a si-tuazioni particolari in cui non si tratta di decidere tra la vita e la mor-te, ma tra la morte e una vita vegetativa artificiale o meramente biolo-gica, il limite dell’accanimento terapeutico, nell’ambito di un’obiettivavalutazione medica, prescinde da un’autodeterminazione e si pone co-me imperativo etico: la prosecuzione a tutti i costi è deontologicamen-te vietata perché si traduce nell’esercizio di un potere sul corpo altrui.In questi termini, ritagliando uno spazio di valutazione medica auto-noma circa la proporzione ed efficacia della cura, emerge una diffe-renziazione tra eutanasia passiva, volontaria o involontaria, ed accani-mento terapeutico: a distinguere l’ambito concettuale, è la considera-zione che non tutte le situazioni di eutanasia si pongono in relazionead una prosecuzione «accanita» di terapie, come nel caso di richiestadi rinuncia o di interruzione di terapie di sostentamento artificiale invita. L’obiettivo della cessazione della sofferenza, che deve orientare ilmedico nei trattamenti di fine vita, può infatti concernere situazioniben lontane da queste che si pongono ai confini con la definizione nor-mativa di morte, allorquando si tratti di scegliere, in casi in cui non viè ancora una completa distruzione delle cellule cerebrali, di non intra-prendere terapie curative di insorgenze patologiche indipendenti dallostato di malattia terminale o di ricorrere a terapia palliativa priva disuccesso per la cura del morente.

35 A partire dal 1972 in alcuni ospedali americani si è sviluppata la prassi diregolamentare alcune decisioni mediche riguardanti l’applicazione di terapierianimatorie. Il Do not resuscitate Orders consiste nella direttiva che consente almedico di sospendere o non impiegare tecniche di rianimazione su pazienti peri quali queste sono ritenute inutili o onerose. La prassi del DNR è diversamentesviluppata nei vari ospedali: in alcuni opera nell’ambito dei liwing will, in quan-to vi sia stata una esplicita richiesta, altri ospedali si avvalgono del parere del co-mitato etico, in altri sono i medici a concordare la condotta da tenere. SANTO-SUOSSO, Autonomia del medico e «futility», in Medicina e diritto, cit., 170 ss., se-condo cui il dibattito sulle richiesta di cure futili appartiene all’esperienza ame-ricana, e testimonia uno spostamento di tendenza a favore dell’autonomia deci-sionale del medico.

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CAPITOLO II

I TESTAMENTI DI VITA E LA VOLONTA DEL PAZIENTE

SOMMARIO: 1. Il fondamento di giustificazione morale dell’eutanasia: l’auto-nomia del paziente. – 2. Segue: i testamenti di vita. – 3. Il procedimento di ri-costruzione della volontà presunta del paziente ed il giudizio sostitutivo delterzo. – 4. La liceità del trattamento medico quando l’esito è sicuramente«infausto». – 5. Il consenso del paziente al trattamento medico.

1. Il fondamento di giustificazione morale dell’eutanasia: l’autono-mia del paziente

L’elemento della volontà del paziente, quale requisito costitutivodell’eutanasia, vuole sortire un effetto di rassicurazione collettiva, af-finché ciascuno si possa sentire salvaguardato dal rischio di essere uc-ciso, senza averne fatto espressa richiesta. Il richiamo al consenso delpaziente definisce l’eutanasia come una facilitazione al suicidio di chida solo, stanco di vivere, non riesce o non ha la possibilità di assumer-si la responsabilità della morte.

Tuttavia, proprio la volontà del paziente costituisce il punto ne-vralgico della questione. Anche se un largo consenso compete al ri-spetto dell’autonomia del paziente 1, il quale ha diritto di accettare orifiutare trattamenti sanitari che siano prevedibili nello sviluppo del-la patologia in atto, è però anche noto, e risulta evidente nell’espe-rienza corrente, che tale criterio spesso ha difficoltà ad operare pervari motivi: perché non può materialmente esservi una volontà del pa-ziente contestuale al trattamento (casi di stato vegetativo persistenteo in generale di sopraggiunta incapacità naturale) o ancora perché ilcontenuto di essa suscita conflitti, come quando il paziente rifiuta te-

1 Secondo la concezione di CHARLESWORTH, L’etica della vita. I dilemmi dellabioetica in una società liberale, Roma, 1996, il diritto morale a morire sarebbe ilderivato del riconoscimento dei valori della società liberale, ed in particolaredel l’autonomia morale di ciascun individuo.

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rapie salvavita o al l’opposto, richiede trattamenti che i medici consi-derano «futili» 2.

Si mostra in tutta evidenza la precarietà dell’affermazione dell’au-tonomia individuale del paziente quale criterio unico e generale di re-golamentazione dell’attività medica e la difficoltà di individuare ununico argomento giustificativo che escluda completamente l’altro 3.

In linea di principio i critici delle teorie volontaristiche negano chela volontà, quale unico criterio di legittimazione, possa reggere alla ve-rifica di numerosi elementi. In primo luogo si trascura la difficoltà diravvisare un consenso vero e libero in una situazione ospedaliera, incui la struttura comporta un potere di suggestione del medico cheesercita una certa autorità. La condizione di fiducia e affidamento nelrapporto tra medico e paziente, e la posizione di subalternità e dipen-denza che un paziente ha verso i suoi familiari impediscono di indivi-duare un processo di formazione della volontà totalmente libero da in-terferenze e manipolazioni. Il paziente sarebbe quindi facilmente sug-gestionabile e possibilmente indotto dalla sensazione di essere un pe-so per i familiari, o anche per la società.

La volontà del paziente, anche quando espressa chiaramente e seriasarebbe inoltre inattendibile, perché possibilmente viziata dalla situa-zione di dolore e sofferenza, dallo stato di depressione psichica in cui sitrova chi lotta contro il dolore. Le richieste di morte possono quindiesprimere bisogni più complessi rispetto a quelli esternati, come dimo-stra anche un’attenta analisi statistica: nella maggior parte dei casi sitratta di sotterranee richieste di aiuto, di conforto spirituale in situa-zioni di solitudine e di angoscia, che spariscono quando si riesce a rom-pere il muro di incomunicabilità tra il paziente e il mondo esterno 4.

In verità, se da un lato la questione del fondamento morale dell’eu-tanasia si presenta certamente problematica, è parimenti evidente che

2 Vi sono dunque coloro che, traendo spunto dai limiti che la volontà incon-tra nell’operare, negano un generale ruolo del consenso del paziente, riducendol’ambito di autonomia delle sue scelte ad uno spazio marginale, di fatto limitatoal solo caso del paziente cosciente e capace, che esprima una volontà conformea quella del medico. In tali casi la decisione sui trattamenti sarebbe monopoliodel medico, il quale godendo di una certa autonomia decisionale, deve orientar-si in modo da tutelare i migliori interessi oggettivi del paziente. Su questa pro-blematica SANTOSUOSSO, Valutazione medica e autonomia del paziente, cit., 167.

3 Così LECALDANO, Bioetica, cit., 77.4 Tutto ciò deporrebbe per un’accezione della solidarietà a favore degli inter-

venti salvavita e della tutela della vita ad ogni costo, e a negare che possa, anchesul piano empirico oltre che logico astratto, esserci una contiguità di significatie di emozioni tra compassione e aiuto a morire. Su questo punto, AA.VV., Euta-nasia da abbandono. Anziani cronici non autosufficienti. Nuovi orientamenti cul-turali e operativi, Torino, 1988.

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l’obiezione ad una generale autenticità al consenso, nei termini in cui èriferita, sembra più suggestiva che razionale, ed avulsa anche da qual-siasi contesto: che la volontà dell’individuo non nasca e si sviluppi iso-latamente, ma si formi anche in relazione alla storia di vita dell’indivi-duo, al ruolo degli interessi dei terzi, alle convinzioni del medico, allasensibilità rispetto alle decisioni ed interessi altrui e concezioni, appar-tiene alla realtà e al normale corso degli eventi. Non esiste una volontàpura che non sia la risultante di una serie di fattori materiali o emotivi,personali o di terzi, di suggestioni più o meno lontane. Inoltre non ap-partiene ad una visione realistica della vita, ed è estranea all’ordina-mento giuridico nel suo complesso, l’idea che un processo di volontàpossa avvenire in modo acritico e asettico: lo dimostra il fatto che la tu-tela civile della volontà riguarda solo i casi in cui questa subisca un’in-fluenza determinata da fattori estranei, intenzionalmente diretti alloscopo di deviarne il normale iter di formazione, con esclusione di tuttiquegli episodi che, pur interferendo nello scorrere degli accadimenti,non determinano delle vere e proprie «patologie» della volontà. D’altraparte, appare quantomeno pretenziosa, se non mistificante, un’indagi-ne volta a scandagliare nel sottobosco delle motivazioni inconsce 5.

Sembra invece ad un primo acchito più plausibile l’obiezione per laquale il riferimento esclusivo al principio di autonomia del pazientecade in contraddizione con se stesso, a causa del rischio di discostarsicomunque e in ogni caso da quella che è o sarebbe stata la reale conte-stuale volontà del paziente; e ciò non soltanto nei casi di sopraggiuntaincapacità del paziente, nell’impossibilità quindi di acquisire una suadeterminazione attuale, ma anche quando questi abbia in precedenzadisposto per il futuro con i c.d. testamenti di vita.

2. Segue: i testamenti di vita

Il diritto di autodeterminazione della persona incontrerebbe limita-zioni assolute nelle circostanze in cui questa venga a perdere la capa-

5 È infatti vero che spesso quello che diciamo vuol dire qualcosa d’altro e tal-volta magari di opposto: se non fosse così non ci sarebbero la psicologia, la psi-coanalisi, la psichiatria. Ma fare di ciò un principio che ci autorizza a decideresul significato delle richieste di un altro, interpretandole in chiave opposta aquello che esplicitamente dicono, significa stabilire che ciascuno di noi può di-sporre a piacimento della volontà altrui, e costituisce un uso improprio e stru-mentale di un livello di indagine nella psiche altrui cui il linguaggio giuridico de-ve restare assolutamente estraneo. In tal senso FLORES D’ARCAIS-TETTAMANZI, Labioetica tra fede e disincanto, cit., 51-52. Allo stesso modo ARGENTIERI, Relazioneal convegno «Il diritto ad una morte dignitosa», Milano, 12 dicembre 2000.

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cità di decidere ovvero di comunicare le proprie decisioni. Per garanti-re l’estensione della libertà personale del paziente anche in questi casi,si rende necessario prevedere uno strumento nuovo – attualmente noncontemplato dall’ordinamento giuridico vigente – che consenta allapersona, finché si trova nel possesso delle sue facoltà mentali, di daredisposizioni per l’eventualità e per il tempo nel quali tali facoltà fosse-ro gravemente scemate o scomparse.

Il testamento di vita o biologico nasce sull’onda dei timori nei con-fronti dell’accanimento terapeutico soprattutto nei paesi anglosassoni,ma ormai è noto anche in tutti paesi d’Europa, ed anche in Italia 6.

6 Per una traduzione in lingua italiana del Natural Death Act della California,approvato nel 1976 (legge sulla morte naturale) che per primo riconobbe il di-ritto del paziente a disporre per iscritto in ordine alla somministrazione di tera-pie nel caso di sopraggiunta incapacità, V. CRISCUOLI, Sul diritto di morire natu-ralmente, in Riv. dir. civ., 1977, 84.

Nel 1990, sulla falsa riga del living will californiano, è stato proposto, dopo ildisegno di legge Fortuna del 1984, dalla Consulta di Bioetica – un’associazione diispirazione laica sorta nel 1989 – un documento analogo, detto «Carta dell’auto-determinazione», che i pazienti sono chiamati a sottoscrivere dando disposizioniai loro familiari, ai medici curanti e alle persone coinvolte nell’assistenza, circala fase terminale della propria malattia. Il testo della «Carta dell’autodetermina-zione» della Consulta di Bioetica Italiana è riportato in Riv. it. med. leg., 1992,171. Un modello di liwing will o testamento biologico è stato recentemente ela-borato dall’associazione Exit-Italia (l’associazione italiana per il diritto ad unamorte dignitosa che fa parte di una federazione europea e mondiale il cui rico-noscimento ufficiale è avvenuto il 16 ottobre 1999 a Lussenburgo). Il contenutoessenziale concerne il rifiuto di idratazione o alimentazione artificiale e di ogniforma di rianimazione, di qualsiasi trattamento attivo terapeutico di malattie in-tercorrenti, e la richiesta di opportuno trattamento analgesico anche se questopuò affrettare la morte.

È stato recentemente presentato al Senato della Repubblica un disegno dilegge (n. 4694), d’iniziativa dei senatori Manconi, Carrella e Pettinato, comunica-to alla presidenza il 29 giungo 2000, concernente «Disposizioni in materia diconsenso informato e di dichiarazioni di volontà anticipate nei trattamenti sani-tari», il quale mira ad attribuire alla persona una precisa fondazione e garanziagiuridica al suo diritto all’autodeterminazione, anche nel caso di perdita della ca-pacità di decidere o di esprimere le sue volontà. Il principio è quello della pienaautonomia di scelta del paziente, e del rispetto e vincolatività delle dichiarazionidi volontà relative a trattamenti medici, anche quando la capacità sia venuta me-no. In particolare l’art. 2 dice: «Ogni persona capace ha diritto di prestare o ne-gare il proprio consenso in relazione ai trattamenti sanitari che stiano per essereeseguiti o che siano prevedibili nello sviluppo della patologia in atto. La dichia-razione può essere formulata e restare valida anche per il tempo successivo allaperdita della capacità naturale. Il rifiuto deve essere rispettato dai sanitari, anchequalora ne derivasse un pericolo per la salute o per la vita, e li rende esenti daogni responsabilità». Il disegno di legge riprende la proposta presentata alla Ca-mera dei Deputati dai deputati Grignaffini ed altri il 10 febbraio 1999.

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L’idea che lo sottende presenta analogie con il testamento ordinario indiritto successorio: si tratta, infatti, di disporre, in un caso, della desti-nazione dei propri beni dopo la morte, e, nel l’altro, della sorte del pro-prio corpo infermo nelle ipotesi di una futura incapacità di autonomiadecisionale 7. Con tali testamenti biologici, si fornisce al medico un do-cumento attraverso il quale ricostruire la volontà del paziente, in mo-do che l’eventuale sospensione (o prosecuzione) dei trattamenti risultisuffragata dal consenso di questi 8.

La forma con cui viene manifestato tale atto di volontà anticipata èvaria, anche se si conoscono testi standardizzati e suggeriti da diverseassociazioni proeutanasiche. Anche il contenuto può essere vario. Ge-neralmente, in quelle forme standardizzate, il paziente autore del te-stamento richiede che, in caso di malattia o di evento traumatico irre-versibilmente evolutivo verso la morte a breve termine o verso gravihandicap fisici o mentali con inaccettabile compromissione della qua-lità della propria vita, non vengano messe in atto manovre rianimato-rie o cure straordinarie, ma soltanto terapie intese alla sedazione deldolore, anche se suscettibili eventualmente di accelerare l’exitus. Inqualche ipotesi ricorrono volontà accessorie, riguardanti ad esempiola determinazione di un terzo soggetto fiduciario quale «esecutorie te-stamentario» incaricato del rispetto delle disposizioni impartite o qua-le sostituto designato competente ad esercitare i diritti del paziente.Spesso è prevista la presenza di testimoni, la durata di validità del te-stamento nel tempo, la sua revocabilità, ed anche la previsione di nonperseguibilità del personale sanitario che si sia adeguato alla volontàdel dichiarante.

Anche il Codice di deontologia medica del 1998 si è pronunciato, all’art. 34,a favore delle direttive anticipate, disponendo che « il medico, se il paziente nonè in grado di esprimere la propria volontà in caso di grave pericolo di vita, nonpuò non tenere conto di quanto precedentemente manifestato dallo stesso».

7 Ovviamente non è sostenibile una vera ep ropria analogia con il testamen-to proprio del diritto successorio, in quanto tali testamenti di vita non sono fi-nalizzati a regolare, post mortem, una situazione patrimoniale, ma sono atti travivi destinati a divenire operanti quando il testante è ancora in vita, sebbene nonpiù capace. Si tratta quindi di una dichiarazione di volontà unilaterale da ese-guirsi in una situazione data, e nel caso di delega ad un esecutore, di un manda-to, così PORTIGLIATTI BARBOS, Diritto a morire, cit., 9.

8 I fautori dell’etica dell’autonomia richiamano la necessità di disporre diret-tive anticipate per le situazioni di fine vita, promovendo la istituzionalizzazionedi tali documenti in modo che ad essi sia attribuito pieno riconoscimento giuri-dico. Qualora si diffondesse tale prassi, il legislatore dovrebbe predisporre termi-ni e modalità, ed eventualmente una sorta di silenzio assenso, in assenza di unaprecisa determinazione, sulla scia di quanto è accaduto con la recente legislazio-ne in tema di trapianti, con la difficoltà di individuare una procedura che non pri-vilegi né l’etica della disponibilità della vita né quella della non disponibilità.

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A tali testamenti di vita o biologici in verità non è riconosciuta unapiena validità ed efficacia giuridica, specie nei confronti di una conse-guente limitazione dell’autonomia decisionale del sanitario curante,nel caso in cui egli non voglia attenervisi, e della esenzione della re-sponsabilità penale, nel caso opposto in cui egli si faccia interprete edesecutore di tali volontà. Attualmente sembra prevalere la tesi che at-tribuisce a tali dichiarazioni il solo valore, non vincolante, di indizioattraverso cui ricostruire una ipotetica o presunta volontà del pazien-te; sarà allora comunque necessaria una ricostruzione ipotetica o pre-sunta della volontà del paziente, sulla base di un giudizio complessivoche tiene conto delle precedenti dichiarazioni, ma anche della sua Wel-tunsschaung 9.

Il nodo essenziale riguarda dunque la loro vincolatività, general-mente non riconosciuta, sotto un duplice profilo: per il medico curan-te, il quale può anche disattendere le volontà del suo paziente, e perl’ordinamento giuridico, che non tiene in conto di tali disposizioni aifini dell’esenzione della responsabilità del sanitario che ad esse si siaadeguato. Le ragioni di tale atteggiamento di forte sfavore si pongonosu diversi livelli.

Innanzitutto, il primo argomento concerne le possibilità di una am-pia ed effettiva tutela dell’autonomia decisionale del paziente: si con-testa che il testamento biologico davvero rispetti l’autonomia del pa-ziente, poiché anche nelle migliori delle ipotesi in cui la decisione eu-tanasica sia presa in anticipo e in forma chiara ed esplicita, nel pienopossesso delle proprie facoltà mentali, si tratta pur sempre di un’ipote-tica previsione sul valore che si attribuirà alla propria vita in condizio-ni future e prive di esperienza diretta, che può anche non coinciderecon la valutazione che il paziente non è più in grado di esprimere.

9 I testamenti di vita al più avrebbero il valore di indizi attraverso cui rico-struire, insieme ad altri elementi, la volontà «presunta» del paziente. In propo-sito V. UHLENBRUCK, Der Pateintenbrief. Die privatautonomie Gestaltung des Re-chts auf einen menschenwürdigen Tod, in NJW, 1978, 566; ID., Zur Rechtsver-bindlichkei des Patiententestaments, in MedR, 1983, 16; SPANN, Die Patientente-stament. Zur Verbindlichkeit einer bei Gesundheit abgegebenen allgemein gehaltenWillensrklärug des Patienten an der Arzt, mögliche ärztliche Massnahmen nachSchwinden der Willensfreiheit zu unterlassen, in MedR, 1983-84, 13; WUERMELING,Rechtliche Relevanz von Patientenverfügungen, in MMW, 1984, 974; ID., Patien-tentestamente, in MMW, 1984, 973; HARTMANN, Patientenverfügung und psychia-trische Verfügung. Verbindlich für den Arzt?, in NSTZ, 2000, 113. I testamenti divita non sarebbero vincolanti non soltanto a causa delle incertezze che una qual-siasi prognosi infausta presenta, ma anche perché giuridicamente irrilevanti fin-ché il de cuius è ancora in vita; l’unico testamento esistente e valido per il nostroordinamento giuridico è quello mortis causa. Cfr. TAMBURRINO, Relazione a Attidegli incontri di studio su Il testamento di Vita, Roma, 1985, Istituto italiano dimedicina sociale, 1985, 61.

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Ebbene, anche se vi sono delle dichiarazioni di volontà espresse dalpaziente anteriormente al sopraggiungere di uno stato di incoscienzao di demenza, in presenza delle quali è nota e dimostrabile la volontàdi rifiutare ulteriori terapie e di esprimere il diritto ad una propriamorte, tali precedenti previsioni non sarebbero vincolanti, in quantocarenti sotto il profilo della attualità, e scarsamente attendibili, poichésoltanto in situazioni reali di sofferenza il soggetto potrà effettivamen-te elaborare un giudizio critico circa il valore e la qualità della sua vitafutura 10.

Infine, sorge l’interrogativo: nei casi di sopraggiunta incapacità delpaziente che pure ha disposto esplicitamente, ma che può ancoraesprimere una sua determinazione, sebbene non si trovi in pieno pos-sesso delle sue facoltà mentali (paziente affetto da senilità, o demente),a quale concetto di autonomia occorre fare riferimento: alla manife-stazione di volontà anteriore al sopraggiungere dello stato di demenzao a quella successiva, di colui che ormai è un demente 11?

A ben vedere, i rilievi riferiti non sono tutti egualmente persuasivi.Non sembra che l’invalidità del testamento di vita possa farsi discen-dere dall’inefficacia di una volontà non attuale, dal momento che in al-tri casi l’ordinamento giuridico attribuisce validità alla volontà inat-

10 Le «disposizioni testamentarie» riguardano situazioni e condizioni futuretalmente estreme e difficilmente immaginabili, mai sperimentate in precedenza,di cui non è possibile supporre una coerenza e razionalità delle scelte, tanto chela scarsa attendibilità della decisione sulla propria morte e sul senso della pro-pria vita sarebbe confermata dalla regola della assoluta libera revocabilità di es-se. Così MANTOVANI, Aspetti giuridici, cit., 459; IADECOLA, La rilevanza del consen-so del paziente al trattamento medico-chirurgico, in Riv. it. med. leg., 1986, 65.Sulla configurazione di un «dovere» del medico di soddisfare le richieste di assi-stenza dei malati terminali, in senso critico, v. il Parere del Comitato Nazionaleper la Bioetica sulla proposta di risoluzione sull’assistenza dei malati terminali, 6settembre 1991, a proposito della risoluzione presentata al Parlamento europeonel 1991, detta proposta Schwartzenberg. Per i relativi commenti v. SGRECCIA, Ladiscussione sull’eutanasia al Parlamento Europeo, in Medicina e morale, 1991,1105; SCARPELLI, Bioetica laica, cit., 129 s. e 133 s.

11 Il problema è stabilire se il soggetto divenuto incapace sia ormai condan-nato a subire sul proprio corpo le decisioni altrui o se invece non debba ritener-si degna di rispetto ed espressione di una «propria» autodeterminazione anchela decisione del paziente demente, in contrasto con quanto chiaramente e fer-mamente affermato in stato di coscienza e prima dell’aggravarsi delle condizio-ni di salute. Per queste problematiche, KADISH, Consenso a morire e pazienti in-capaci, in Vivere: diritto o dovere, cit., 189 ss. In proposito v. il caso riportato daDWORKIN, Il dominio della vita, cit., 261 ss., del paziente che, divenuto demente,pur avendo anteriormente disposto a favore della rinuncia di terapie di mante-nimento artificiale in vita, non manifestava alcun desiderio di morire, ma anziappariva relativamente soddisfatto delle sue condizioni di vita.

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tuale del testatore, anche in relazione a disposizioni non patrimoniali(come ad esempio ai fini del riconoscimento del figlio naturale ex art.254 c.c.), riconoscendo al contrario ad essa massima estensione.

Il punto nevralgico della vincolatività dei testamenti di vita riguar-da invece più propriamente l’aspetto relativo all’efficacia scriminanteo escludente la responsabilità di colui che si attiene ad essi, dal mo-mento che nessun principio giuridico attribuisce all’autonomia indivi-duale un’espansione tale da «coprire» anche i comportamenti tenutida terzi 12. Le difficoltà aumentano notevolmente qualora si considericarente il requisito della attualità del consenso al momento del compi-mento del fatto, sì da escludere anche l’applicazione della fattispecieattenuata del l’omicidio del consenziente 13.

3. Il procedimento di ricostruzione della volontà presunta del pazien-te ed il giudizio sostitutivo del terzo

Consideriamo invece la situazione, assai meno chiara, in cui man-chi qualsiasi manifestazione di volontà in ordine al trattamento tera-

12 Sulla individuazione di un’»Istanza» competente ad assistere sia il pazien-te, nella esatta individuazione dei suoi bisogni, sia il medico, nell’assumere unadecisione medica conformandosi alla volontà del paziente, nella prassi di qual-che paese si è suggerita la soluzione di creare delle forme di controllo attraversodei comitati etici o professionali affinché si eviti che il medico sia solo di frontea queste così pesanti responsabilità. Tali comitati sarebbero una sorta di corpiintermedi, composti da équipes interdisciplinari.

Ma la questione cruciale attiene alla definizione del peso giuridico che assu-me la decisione del comitato e dei rapporti che si definiscono con le forme dicontrollo giurisdizionale. Il rischio è infatti quello di apprestare una forma dicontrollo sulle decisioni che, se facesse venire meno la tutela penale, sostituen-dola totalmente, non avrebbe a sua volta alcuna possibilità di rimedio. Il comi-tato etico non dovrebbe quindi essere strutturato in modo che la sua valutazio-ne nel caso concreto precluda il controllo da parte dell’autorità giudiziaria, poi-ché così si creerebbe una sorta di giurisdizione volontaria, magari troppo sensi-bile agli orientamenti di alcuni componenti di maggiore autorità morale, cosìGUSTAPANE, Eutanasia e diritto penale, in Eutanasia e diritto alla vita, cit., 137 ss.Sui comitati etici, EUSEBI, Profilo giuridico dei Comitati etici, in Comitati etici.Una proposta bioetica per il mondo sanitario, a cura di VIAFORA, Padova, 1995,228; FRENI, Biogiuridica e pluralismo etico-religioso, Milano, 2000, 267.

13 Piuttosto, l’applicazione dell’art. 50 c.p. non presuppone che la manifesta-zione sia necessariamente concomitante con il fatto lesivo, ma semplicementeche intervenga prima del fatto lesivo, purché vi sia una corrispondenza tra fattovoluto e l’avverarsi delle condizioni cui è subordinata tale volontà, così GIUNTA,Diritto a morire e diritto penale, cit., 107.

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peutico. Nelle situazioni di incapacità del paziente, soprattutto qualo-ra egli verta in condizioni «terminali» di vita, o anche nelle ipotesi disopravvivenza puramente vegetativa, in cui le condizioni fisiche sonotali da non consentire di sperare in un rallentamento della malattia oin un ritorno di coscienza del paziente, si tende a ricostruire ipotetica-mente il consenso del paziente, ovvero quale sarebbe stata, qualorafosse stata esternata, la sua volontà, avvalendosi di esternazioni fattein stato di capacità, scritte o verbali, anche se sfornite dei requisiti pro-pri dei c.d. testamenti di vita 14. A favore di tale ricostruzione ipoteticae presunta della volontà da parte di un soggetto legittimato militanoevidenti esigenze di uguaglianza e di rispetto della dignità del pazien-te, ovvero la necessità di decidere anche in situazioni che sotto il pro-filo sostanziale, non si differenziano da quelle in cui il paziente è ca-pace, anzi spesso sono ancora più disperate 15.

Tuttavia si ritiene che la pretesa di interpretare in via presuntiva edipotetica desideri e volontà in assenza di precise indicazioni costitui-sce una fittizia soluzione, per il fatto che qui il richiamo al principioconsensualistico può apparire eufemistico, se non formale o fuorvian-te 16. Infatti viene effettuato un vero e proprio giudizio prognostico cir-

14 Questo procedimento di ricostruzione della volontà del paziente, cioè dicosa egli avrebbe presumibilmente voluto, deve tenere conto degli interessi, del-le preferenze, dello stile ed ideali di vita del paziente, e supporre che questi sicomporti anche in tali situazioni coerentemente con tale ordine di valori.

15 Il disegno di legge n. 4694 del 2000 recante «Disposizioni in materia diconsenso informato e di dichiarazioni di volontà anticipate nei trattamenti sani-tari» prevede la nomina di un fiduciario che, nel caso di incapacità del paziente,eserciti i diritti (di informazione, consenso, rifiuto e dichiarazione delle proprievolontà) del paziente. La nomina deve avvenire con atto scritto. In assenza diuna dichiarazione scritta e della designazione diretta di fiduciario, se il pazien-te verte in stato di incapacità naturale irreversibile, è previsto il ricorso al giudi-ce tutelare per la nomina di un fiduciario.

Anche la bozza del disegno di legge recante «Disposizioni a garanzia della li-bertà di scelta in materia di interruzione volontaria della propria sopravviven-za», oltre a riconoscere il diritto all’informazione sanitaria e a prestare o rifiuta-re il consenso ad una procedura terapeutica, nonché il diritto a scegliere le mo-dalità della fine della propria esistenza con una dichiarazione di volontà scritta,vincolante anche successivamente al sopraggiungere della perdita della capa-cità, prevede la designazione di un fiduciario che garantisca l’adempimento del-le volontà manifestate nella dichiarazione. Il fiduciario in questo disegno di leg-ge non detiene un pieno potere rappresentativo e sostitutivo del paziente, ma èun semplice garante della corretta esecuzione delle sue volontà. In caso di as-senza di determinazione scritta e della nomina di un fiduciario, è previsto il ri-corso al giudice tutelare che provvede alla nomina.

16 Ricorrendo alla costruzione del consenso presunto, si corre il rischio di ri-durre la volontà del paziente ad una mera finzione. Deve allora distinguersi il

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ca la volontà del paziente in situazioni in cui le reazioni umane sonodel tutto incontrollabili e inaspettate, spesso anche non razionali nécoerenti, con il rischio di sovrapporre una propria decisione a quellareale, ma sconosciuta del paziente, e di penalizzare comunque la suaautonomia e autodeterminazione. Non soltanto, infatti, si tratterebbecomunque di un giudizio di un terzo estraneo su cosa avrebbe deside-rato il paziente, ma tale procedimento interpretativo presuppone, oltreche una notevole capacità di calarsi nella mentalità di un altro, una de-finizione del ruolo e dell’entità dell’interferenza inevitabile di interessivalidi di terzi, determinati (parenti, o prossimi) o indeterminati (pa-zienti in simili condizioni di malattia), nonché l’individuazione di unsoggetto competente a sindacare questa autorità sostitutiva. Il proble-ma nasce dal fatto che, quando si cerca di individuare il soggetto legit-timato ad autorizzare la sospensione di tecniche di rianimazione o dimantenimento in vita allo stato vegetativo, o autorizzato a risolvere iconflitti nel caso di concorrente legittimazione 17, possono venire allaluce interessi diversi o confliggenti, riconducibili al gruppo familiare,alla classe medica, alla società nella forma dell’amministrazione dellagiustizia, naturalmente con piani di valori e motivazioni profonda-mente diverse, in cui si intrecciano fattori collettivi e individuali, tracui le convinzioni diffuse in un’epoca, le valutazioni individuali, valu-tazioni in termini di costi e benefici 18.

consenso presunto dall’ipotesi di consenso putativo; si ha consenso presuntoquando il soggetto agente, pur sapendo che nel caso in specie un consenso nonesiste, lo considera esistente sulla base della considerazione che la persona, oveconoscesse le condizioni reali del fatto, certamente o probabilmente l’avrebbeprestato. È putativo quando, in base a certe condizioni di fatto o rapporti tra de-terminate persone, si considera come certamente esistente un consenso, purnon disponendo di prove certe e palesi. Solo nel primo caso si pone il problemadel come determinare la presunzione del consenso: è controverso se debba av-venire in base all’utilità oggettiva del trattamento per il paziente, ovvero in basea quella che sarebbe la probabile opinione del paziente (utilità soggettiva).

17 Il punto cruciale attiene alla individuazione di una terza istanza compe-tente ad interpretare l’autentica volontà espressa nel testamento biologico, arappresentare la volontà di questi, a risolvere il conflitto qualora sussistano di-scordanze e dubbi. Il disegno di legge n. 4694 del 2000 prevede la disciplina delconflitto di interessi, qualora sussista contrasto tra la volontà del fiduciario de-signato e la volontà dichiarata dal paziente e il parere dei medici. La soluzionedel conflitto è affidata al giudice, il quale decide con ordinanza.

18 Invero, le difficoltà si evidenziano per il fatto di dover prescindere dal giu-dizio soggettivo dell’interprete (il medico o il rappresentante legale) e dei suoipersonali canoni di razionalità, o anche da ciò che sia corrispondente alla suadeontologia professionale. Sulla struttura e l’efficacia della presunzione di con-senso, da distinguere dal consenso putativo, V. MANNA, Considerazioni in tema diconsenso presunto, in Giust. pen., 1984, 168; contra DEL CORSO, Il consenso del

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Queste sono le ragioni che spostano l’asse giustificativo dal princi-pio di autonomia a quello dei migliori interessi, che opererebbe anchenel caso di ricostruzione interpretativa della volontà del paziente, cosìcome più palesemente, in quello in cui un terzo si sostituisce del tuttoal paziente. In tali casi l’esercizio del right to die è rimesso ad un surro-gate decision maker, fiduciario o rappresentante, che in sede giudizia-ria ricostruisce quelle che presuntivamente sarebbero state le volontàdel paziente tenendo in conto i desideri e le opinioni espresse quandoera capace, ma anche secondo un criterio di tutela dei (oggettivi o sog-gettivi?) migliori interessi di questi, o infine in caso di divergenze ri-mettendo la decisione al giudice 19.

Il ricorso ad un giudizio sostitutivo in base al criterio dei migliori in-teressi riflette l’obiettivo di fornire un criterio non solo di ampia appli-cazione, ma anche di natura oggettiva, poiché conduce all’individua-zione di quale opzione di trattamento sarebbe oggettivamente preferi-bile dal punto di vista del paziente, considerando la sua specifica con-dizione 20. L’individuazione del soggetto competente ad assumere tale

paziente nell’attività medico-chirurgica, in Riv. it. dir. proc. pen., 1987, 566 checritica l’inquadramento nell’ambito della struttura logico-giuridica delle presun-zioni legali e lo riconduce piuttosto in quella delle finzioni, poiché il giudizio de-duttivo basato sull’id quod plerumque accidit, nel caso di oggettiva incapacità delpaziente ad acconsentire al trattamento, non si basa su fatti noti, ma su fatti dicui è certa l’inesistenza.

19 BUSNELLI, Il diritto e le nuove frontiere della vita umana, in Iustitia, 1987,263. Secondo RIEGER, Die mutmassliche Einwilligung in den Behandlungsebbru-ch, Frankfurt am Main, 1997, il fondamento dell’efficacia esimente del consensopresunto non risiede nel diritto all’autodeterminazione del paziente, ma nellateoria del rischio consentito. L’ordinamento giuridico potrebbe assumere il ri-schio di una carenza di volontà reale qualora presumibilmente ciò corrispondaagli interessi individuali del titolare del bene.

20 L’argomento di legittimazione morale e giuridica delle pratiche eutanasi-che che rinvia alla determinazione dei «migliori interessi» del paziente, assumeun criterio sostanziale di valutazione, di pertinenza di un altro soggetto, allo sco-po di definire se le sofferenze e il danno ricollegabili al mantenimento ulteriorein vita non superino, alla stregua di criteri utilitaristici, i possibili benefici. Laquestione dei rapporti gerarchici tra i due principi, autonomia e migliori inte-ressi, divide il campo della bioetica tra dottrina della sacralità della vita (che siispira ad un solidarismo giuridico), ed utilitarismo individualistico. La diver-genza concerne la concezione di ciò che è bene per l’uomo, ed in particolare suciò che rende la vita un bene ed un valore fondamentale. Il principio di tuteladel l’autonomia individuale e quello della tutela dei miglior interessi sono staticoncepiti in termini di contrapposizione reciproca. Il rapporto tra tutela degliinteressi e tutela dell’autonomia è quindi alternativo: al primato dell’uno corri-sponde una sottovalutazione dell’altro. Chi pone a fondamento il principio di au-tonomia, ispirandosi al liberalismo individualistico, riconosce a ciascuno il di-

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decisione avviene secondo i normali meccanismi della rappresentanzalegale: ad esempio, se si tratta di un minore, la competenza spetta ai ge-nitori, anche qualora questi dovessero determinarsi nel senso del -l’interruzione o del rifiuto di terapie salvavita, poiché ad essi è affidatala cura della persona, comprensiva anche della tutela della sua dignità.

Tuttavia questa applicazione del giudizio sostitutivo di terzi (rap-presentanti legali, medici e giudici) rivela notevoli difficoltà che con-cernono l’individuazione di quali siano o debbano essere i veri, ogget-tivi, interessi del paziente, considerando che qualunque scelta può ri-sultare non coincidente con la volontà o gli interessi concreti del pa-ziente 21. La considerazione dei migliori, oggettivi interessi del pazien-te, secondo un meccanismo di sostituzione paternalistica della volontàdel paziente con una «ragione» oggettiva, può risentire della concezio-ne personale e della sensibilità del soggetto qualificato ad emettere ilgiudizio sostitutivo.

4. La liceità del trattamento medico quando l’esito è sicuramente «in-fausto»

Già da tempo Karl Engisch aveva sostenuto che il problema della li-ceità delle decisioni mediche di fine vita (Sterbehilfe) dovesse essere ri-condotto nell’ambito naturale dei presupposti di liceità dell’attivitàmedico chirurgica, tra cui primeggia per significato e ruolo, il consen-so del paziente 22. L’individuazione del fondamento di liceità del trat-

ritto di stabilire una propria «concezione di bene». Coloro che si richiamano agliinteressi, facendo riferimento agli elementi qualitativi della vita umana, sem-brano invece orientarti verso una oggettiva concezione di bene.

21 Le difficoltà di individuazione dei veri interessi del paziente si intuisconotenendo a mente che sia sottoporre un malato a terapie intensive e intubazioni,prolungando la sua agonia, che privarlo di una parte, sia pur breve e dolorosa divita, può costituire per lui un «danno», a seconda dell’ordine di preferenze. En-trambi gli argomenti introducono un fattore di tipo valutativo e morale, e cioè laconsiderazione che la morte rappresenti un bene per lo stesso paziente o, all’op-posto, che il prolungamento di una vita dolorosa ed inconsapevole anche quan-do sia inevitabile l’esito mortale, costituisca sempre e comunque un male, un no-cumento, anch’esso irreversibile, ZAMBRANO, Eutanasia, diritto alla vita e dignitàdel paziente, cit., 883; nella letteratura anglosassone l’argomento è ricorrente, inproposito V. KENNEDY, Relazione al Convegno Internazionale sul tema «una nor-ma giuridica per la bioetica», Siena 9-11 giungo 1994.

22 ENGISCH, Der Artz an der Grenzen des Lebens. Strafrechtliche Probleme desLebensschutzes, 1973, Bonn; ID., Suizid und Euthanasie nach deutschen Recht, inSuizid und Euthanasie als human- wissenschalisches Problem, cit., 312.

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tamento medico-chirurgico, e del ruolo specifico che gioca, nell’ambi-to della relazione terapeutica, l’autodeterminazione del paziente, assu-me una certa specificità con riferimento alle ipotesi di trattamenti me-dici il cui esito è sempre, per definizione, «infausto» ed è costituito dal-la morte del paziente. L’ampliarsi del campo di attività della medicinaal di fuori della c.d. giustificazione terapeutica in senso stretto, anchein relazione a trattamenti che hanno a che fare con la morte del pa-ziente, risolleva questo interrogativo mai sopito. Includendo nell’am-bito dei trattamenti medici anche quegli interventi in cui la finalità te-rapeutica assume contenuti particolari, non sempre finalizzati ad unaprospettiva di cura o di guarigione, deve chiedersi sulla base di qualicoordinate possa svilupparsi un discorso di qualificazione giuridicadella condotta del medico che, pur perseguendo uno scopo «benevolo»per il paziente, ha a che fare comunque con la sua morte. Il problemadella liceità delle pratiche eutanasiche dunque, assume una sua speci-ficità, poiché circoscrive la qualificazione giuridica della condotta atti-va o omissiva del medico in relazione al delitto di omicidio doloso, an-che quando il paziente è già affetto da una patologia grave e preesi-stente che avrebbe certamente, di lì a poco, provocato la morte. Ed in-fatti, malgrado l’opera del medico sia esclusivamente mossa dall’obiet-tivo di alleviare le sofferenze fisiche e psichiche del paziente, questa,almeno apparentemente, non ha sortito alcun effetto benefico rispettoalla sua morte: l’evento lesivo è connesso causalmente alla condotta at-tiva o omissiva del medico, sebbene non costituisca l’obiettivo princi-pale perseguito, ma solo l’effetto indiretto, secondario, probabile opossibile della somministrazione o del l’astensione terapeutica, inrealtà mossa dall’intento di sottrarre il paziente dagli strazi di un’ago-nia inaccettabile.

La questione della liceità penale dei trattamenti medici è da tempopresente alla letteratura giuridica, sebbene sia a tutt’oggi connotata daun panorama assai frastagliato di posizioni 23. L’aspetto che colpisce

23 L’individuazione del fondamento giuridico di liceità del trattamento medi-co-chirurgico costituisce una questione irrisolta, precipitato ideologico di una vi-sione formalistica e sacrale del corpo nella sua integrità materiale, secondo cui iltrattamento medico implica abitualmente una interferenza in beni personalissi-mi e primari del soggetto, i quali – sembrerebbe – vengono attinti in modo tale dadescrivere, quantomeno in astratto, eventuali fatti di reato. Questo paradossoesprime la dimensione conflittuale dell’attività medica, che si eleva tra interessealla salvaguardia o promozione della salute dell’individuo, ed aggressione edesposizione a pericolo dell’integrità fisica o della stessa vita: ogni operazione chi-rurgica, se guardata nel suo sviluppo effettuale e sotto il profilo naturalistico,comporta sempre un’alterazione funzionale dell’organismo o di una sua parte.

Per una panoramica sulle diverse teorie circa il fondamento di liceità deltrattamento medico, v. IADECOLA, Potestà di curare e consenso del paziente, cit.,

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maggiormente è la diversità di soluzioni adottate per giungere adun’unica ed incontrastata conclusione di lapalissiana evidenza: nessu-no ne mette il dubbio la liceità, che sembra essere un postulato, ma èdavvero difficile districarsi nella varietà di costruzioni dogmatiche cheal quesito vogliono fornire una soluzione unica e plausibile.

La dottrina ha proposto numerose interpretazioni sul tema, espres-sive, con differenti sfumature, di due principali atteggiamenti. Da unlato la giustificazione del trattamento sanitario viene ricondotta aduna applicazione diretta di principi generali del sistema penale: si fa ri-corso alle cause di giustificazione codificate 24, si afferma la carenzaassoluta dell’elemento psicologico del dolo 25, o infine la carenza di unfatto tipico di reato 26; dall’altro si è voluto tenere conto di un ampio

passim; GIUSINO PARODI-NIZZA, La responsabilità penale del personale medico e pa-ramedico, in Giurisprudenza sistematica di diritto penale, diretta da BRICOLA-ZA-GREBELSKY, Torino, 1996, 168.

24 Si ricorre per lo più al consenso dell’avente diritto (così SENSINI, In tema diconsenso al trattamento medico-chirugico, in Zacchia, 1971, 1983 ss.) o all’eserci-zio di un diritto (MANTOVANI, I trapianti e la sperimentazione umana nel diritto ita-liano e straniero, cit., 203) o ancora allo stato di necessità, in assenza di consen-so del paziente (FORTUNA, Sterilizzazione per evitare il pericolo di vita per eventua-li future gravidanze, in Giur. merito, 1972, 292). In proposito v. RIZ, Medico - Re-sponsabilità penale del medico, in Enc. giur. Treccani, XIX, 1990, 9. In giurispru-denza, sullo stato di necessità, v. Cass., Sez. I, 11 novembre 1986, massima inRiv. pen., 1988, 201.

25 La prima formulazione organica della teoria si deve al GRISPIGNI, Il con-senso dell’offeso, Roma, 1924, 129-130; ID., Il fondamento della liceità del tratta-mento medico-chirurgico, in Riv. it. dir. pen., 1940, 48, che sosteneva l’atipicitàdella condotta del medico a causa dell’assenza nell’agente della volontà di lede-re gli interessi protetti. Allo stesso modo GUARNIERI, Diritto penale e influenze ci-vilistiche, Milano, 197, 271, affermava che l’agente non sarebbe mosso dall’in-tenzione di ledere (ossia di trarre profitto o di arrecare un danno) al paziente,bensì da quella di giovare. In realtà molte delle articolate tesi che escludono larilevanza penale del trattamento medico con argomenti che concernono l’ele-mento soggettivo, fanno rientrare dalla finestra ciò che esce dalla porta: pur nonfacendo alcun cenno alla necessità di un espresso consenso del paziente, attri-buiscono una valenza decisiva sulla costruzione dell’illecito in astratto integratodall’operare del medico, al consenso c.d. presunto, il quale in tali situazioni nonopererebbe come causa di giustificazione non codificata (così ARNEDT, Die mut-massliche Einwilligung als Rechtfertigungsgrund, Breslau, 1929), ma come causadi esclusione della colpevolezza. La tesi è assai risalente, essendo stata per la pri-ma volta sostenuta da CARRARA, Programma di diritto criminale, Lucca, 1882.Successivamente ha trovato sostenitori in ALTAVILLA, Consenso dell’avente diritto,in Noviss. Dig. It., IV, Torino, 1960, 115, e da ONDEI, Consenso dell’avente diritto,in Enc. forense, II, 1968.

26 INTRONA, La responsabilità professionale nell’esercizio delle arti sanitarie, Pa-dova, 1955; CATTANEO, La responsabilità del professionista, Milano, 1958.

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quadro di riferimento all’interno del quale opera il sanitario, in mododa cogliere il valore e il significato dell’attività nel globale contesto so-ciale. In questa prospettiva si colloca la teoria dell’adeguatezza socialedell’attività medica 27 e quella che individua cause di giustificazionenon codificate 28.

Le diverse teorie elaborate dalla dottrina sul fondamento di legitti-mazione del trattamento medico toccano vari livelli della teoria delreato. Tutte insieme presentano aspetti che colgono la complessità de-gli interessi coinvolti e le esigenze di tutela: il consenso del paziente, lanecessità della cura, il contenuto della volontà del medico. A ciascunadi esse corrisponde una costruzione dogmatica. Ma, con riferimentoal l’eutanasia, la qualificazione di liceità della condotta del medico simuove nell’ambito di più ristrette coordinate rispetto a quelle che ca-ratterizzano la generalità dei trattamenti medici: l’esito è certamenteinfausto; l’elemento psicologico certamente il dolo, trattandosi di si-tuazioni in cui le prestazioni sanitarie sono effettuate avendo ben pre-sente quali potrebbero essere le conseguenze letali che una determina-ta somministrazione farmacologica o l’astensione terapeutica possonoavere sul paziente; anche il consenso non sempre è acquisito conte-stualmente e può del tutto mancare.

Pertanto, alcune delle costruzioni sulle quali si è voluta fondare laliceità del trattamento medico, ovvero quelle che distinguono a secon-da dell’esito di esso, sono destinate ad avere un ruolo ben ridotto finoa risultare del tutto carenti, se non si precisa in che senso l’esito possaqualificarsi «infausto» rispetto alla norma che incrimina l’omicidio 29.

27 BETTIOL, Diritto penale, Parte generale, Padova, 1973.28 Sull’esistenza di cause di giustificazione non codificate, VASSALLI, Alcune

considerazioni sul consenso del paziente e lo stato di necessità nel trattamento me-dico-chirurgico, in Arch. pen., 1973, 99.

29 Due sono le costruzioni giuridiche in merito. Una prima configurazione as-sume una posizione differenziata a seconda dell’esito dell’intervento medico: siesclude a priori la sussistenza di un illecito penale qualora il trattamento medicoabbia avuto un esito fausto, a prescindere dalla presenza o meno del consenso delpaziente. In tal caso si afferma la mancanza di tipicità del fatto in questione, giac-ché il benessere fisico e psichico del paziente, lungi dall’essere pregiudicato opeggiorato, risulta difeso e potenziato dall’azione del medico, CRESPI, La respon-sabilità penale nel trattamento medico-chirurgico con esito infausto, cit., 17. Inve-ce, si ravvisano fattispecie di reato qualora l’esito sia stato infausto, con la neces-sità di dover verificare la sussistenza delle due variabili, costituite dal consensodel paziente e dal corrispondente elemento psicologico della colpa o del dolo, econseguentemente, di attribuire la responsabilità al medico a titolo di lesioni o diomicidio. La distinzione tra esito fausto ed infausto, ai fini della ricostruzionedella liceità del trattamento medico, acquista un preciso valore giuridico, poichéconsente di focalizzare la qualificazione di illiceità alle sole ipotesi in cui all’in-

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Si tratta piuttosto di focalizzare l’attenzione sulle teorie che puntanosul contenuto e sul significato dell’attività medica, anche mettendo inrisalto il consenso del paziente rispetto alla somministrazione o asten-sione terapeutica. Quest’ultima prospettiva, quella che realizza mag-giori plausi, deve però superare il dato della «irrilevanza» del consen-

tervento medico sia seguito l’evento malattia o morte, ma arbitrariamente, ovve-ro in assenza di una espressa determinazione del paziente che acconsente al trat-tamento. Nel caso di esito infausto, il trattamento produce sì una lesione, da rite-nersi però giustificata se ricorrono gli schemi fissati dalle varie cause di giustifi-cazione. Non l’atto curativo (qualificabile come tale per lo scopo oggettivo e le fi-nalità dell’agente) ma gli esiti dell’atto costituiscono i parametri sulla base deiquali qualificare in termini di liceità o meno la condotta del medico.

Nella prospettiva di una localizzazione della tutela della libertà del paziente,se si assume la liceità ex se dell’attività medica con esito fausto, poiché penal-mente atipica, ne segue che il difetto di consenso non potrà mai trovare una tu-tela penale se non si verifica un evento lesivo, neppure indirettamente attraver-so le norme poste a tutela dell’integrità fisica o della vita umana: il consenso nonpuò incidere sulla qualificazione giuridica della attività del medico, che si giocaquindi tutta in relazione alla definizione di esito «fausto» o «infausto». In verità,una siffatta interpretazione, per quanto attribuisca al consenso del paziente unruolo per nulla marginale nella ricostruzione dei limiti e del fondamento di li-ceità del trattamento medico chirurgico, assegna ad esso un anomalo significa-to di fattore causale nella produzione dell’evento, sebbene l’oggetto del consen-so si appunti sul trattamento medico in sé, e non sui paventati esiti lesivi, cosìABBAGNANO TRIONI, Considerazioni sul consenso del paziente nel trattamento medi-co chirurgico, cit., 143. La seconda prospettiva, che qualifica l’attività di per sé le-cita a prescindere dall’esito, altrettanto si rivela carente sotto il profilo della tu-tela del consenso. Se si concepisce l’intervento medico in assenza del consenso,qualunque sia l’esito, come un atto che comprime la libertà di autodetermina-zione del paziente, in modo da riconoscere ad essa un’autonoma meritevolezzadi tutela, si dovrebbe qualificare tale attività come arbitraria indipendentemen-te dalla produzione causale dell’evento infausto. Questa prospettiva richiedeperò l’introduzione di un’apposita fattispecie incriminatrice che sanzioni la vio-lazione delle regole dell’arte medica e la mancanza di un consenso preventivodel paziente, a prescindere dal verificarsi di un esito infausto, attualmente as-sente. Sicché, l’alternativa, l’unica de iure condito praticabile, è di rinsaldare ilconsenso alla tutela dell’integrità fisica o della vita umana, con la conseguenzadi considerare il trattamento non coperto dal consenso che dia origine ad un esi-to negativo infausto, fonte per il medico di responsabilità penali per l’evento,nella misura in cui l’attività integri un’ipotesi tipica di reato. In tal modo si deli-nea un ambito di protezione che, se non esaurisce, quantomeno «copre» unaparte della tavola di valori coinvolti nell’ipotesi di trattamento eseguito senza ilconsenso. DEL CORSO, Il consenso del paziente, cit., 541. V. in proposito anchePAPPALARDO, Considerazioni in tema di consenso al trattamento medico-chirurgicoe colpa del sanitario, in Critica del dir., 1979, 103; POSTORINO, Ancora sul «concor-so» del paziente nel trattamento medico-chirurgico, in Riv. pen., 1993, 45; RUGGIE-RO, Il consenso dell’avente diritto nel trattamento medico-chirurgico. Prospettive diriforma, in Riv. it. med. leg., 1993, 207.

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so del titolare del diritto allorquando si tratti della vita umana. Pertan-to, la liceità di alcune pratiche eutanasiche richiede una costruzionepeculiare del consenso del paziente quale elemento che elimina in ra-dice rilevanza alla condotta del medico, a prescindere dall’esito deltrattamento, affinché nessuna aggressione alla sua libertà o ai suoi in-teressi si sia verificata.

5. Il consenso del paziente al trattamento medico

La necessità dell’acquisizione preventiva del consenso del pazienteall’esecuzione di un trattamento medico, ormai affermata anche nellaprassi, discende da una lettura «in positivo» dell’art. 32, secondo com-ma, Cost., dalla quale risulta confermata l’ipotesi interpretativa dellaconfigurazione del diritto alla salute come libertà individuale, oltre checome interesse collettivo e pubblico 30. Prevalente è la soluzione, affer-mata anche nella giurisprudenza più recente 31, che ricorre alla figura

30 Così anche la Convenzione sui diritti umani e la biomedicina, approvata dalConsiglio d’Europa nel 1997 afferma che qualsiasi intervento medico effettuatosenza il consenso della persona deve ritenersi illecito (art. 5). Altrettanto, il co-dice di deontologia medica del 1998 precisa che il medico «non deve intrapren-dere attività diagnostica o terapeutica senza il consenso del paziente validamen-te informato (art. 32).

31 In proposito, si segnala la Corte d’Assise di Firenze, sent. 18 ottobre 1990,che ha ritenuto, trovando poi conferma in appello e in Cassazione (Sez. V, 21aprile 1992, in Cass. pen., 1993, 63) che debba rispondere di omicidio preterin-tenzionale il primario chirurgo ospedaliero che ha realizzato consapevolmente evolontariamente un intervento operatorio di più grave entità rispetto a quellomeno cruento per il quale aveva ottenuto il consenso, in assenza di necessità edurgenza terapeutiche. Cfr. RODRIGUEZ, Ancora in tema di consenso all’atto medi-co-chirurgico. Note sulla sentenza del 10 ottobre 1990 della Corte d’Assise di Firen-ze, in Riv. it. med. leg., 1991, 1117; BOSCHETTO, Consenso del paziente e posizionesoggettiva del chirurgo in Difesa pen., 1994, 76. Per alcuni commenti a questa ten-denza giurisprudenziale da parte di magistrati, v. SCOLOZZI, Brevi considerazionisul trattamento medico-chirurgico, in Giust. pen., 1992, II, 176; POLVANI, Il con-senso informato all’atto medico: profili di rilevanza penale, in Giust. pen., 1993, II,734; RAMAJOLI, Intervento chirurgico con esito infausto senza che sussistano lo sta-to di necessità e il «consenso informato» del paziente, conseguenze penali a caricodel l’operatore, in Giust. pen., 1996, II, 124. In giurisprudenza, si ravvisa ancheuna responsabilità contrattuale per il medico che sia intervenuto in assenza diun valido ed informato consenso del paziente, così Cass., Sez. III, 26 marzo1981, n. 1773, in Arch. civ., 1981, 544; Cass., Sez. III, 12 giungo 1982, n. 3604, inResp. civ. prev., 1984, I, 86; qualche posizione più isolata si è espressa in sensofavorevole al consenso presunto, Cass., Sez. I, 16 giugno 1986, in Foro it., 1987,

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del consenso del paziente o del suo legale rappresentante quale causadi giustificazione, con la conseguenza di ritenere che il trattamentomedico chirurgico costituisca un fatto illecito conforme a fattispeciepenale, ma non antigiuridico. In verità, il riferimento al consenso qua-le requisito di liceità, e quindi il problema del trattamento medico ar-bitrario, costituisce una tematica acquisita in tempi relativamente re-centi, in corrispondenza dell’affermarsi di quella nuova concezione chevalorizza i diritti del paziente, e non soltanto i doveri del medico, e checolloca medico e paziente su una posizione di sostanziale parità. Que-sta tendenza costituisce una vera «rivoluzione culturale», che arreca unduro colpo alla concezione paternalistica, conferendo all’autonomiaindividuale un peso nella direzione dell’esclusione della responsabilitàdi colui che l’ha assecondata e si è conformato ad essa 32.

Questo drastico superamento della filosofia ippocratica, in relazio-ne alla quale il medico si vedeva riconosciuto il diritto-dovere di inter-venire comunque sul corpo del paziente, non rivelando nulla circa lesue condizioni di salute 33, richiede, sotto il profilo penale, una precisaqualificazione giuridica del trattamento medico arbitrario, che passaattraverso la qualificazione sistematica di quella variabile essenzialedella liceità, costituita dal consenso del paziente 34.

Infatti, se da un versante, la centralità del consenso nel settore del -l’attività terapeutica, da solo o insieme ad altre cause di giustificazio-

II, 4. Infine, sotto il profilo delle responsabilità disciplinari, v. la Commissionemedica del consiglio dell’ordine dei medici chirurghi e odontoiatri della provinciadi Firenze - deliberazione del 24 novembre 1992, che, nel caso di trattamento chi-rurgico difforme rispetto a quello preventivamente concordato, ha individuatouna condotta deontologicamente illecita del medico, irrogando la sanzione di-sciplinare della radiazione dall’albo, in Riv. it. med. leg., 1994, 233.

32 Tuttavia già in epoca risalente GRISPGNI, sollevava l’interrogativo della re-sponsabilità penale del medico per il trattamento arbitrario, Il problema della re-sponsabilità penale per il trattamento medico-chirurgico «arbitrario», in Scuolapos., 1914, 43.

33 Il principio del consenso informato è recepito dagli artt. 32-35 del nuovocodice di deontologia medica del 1998. V. BILANCETTI, La responsabilità penale ecivile del medico, 1998, Padova. Con riferimento al vecchio codice di deontologi-ca medica, V. MARZI-MAZZEO, Informazione e consenso del paziente, in Il nuovoCodice di deontologia medica commentato per articolo, Milano, 1991, 163 ss. Inproposito anche le norme di legislazione ordinaria che pongono il consenso delpaziente come presupposto di liceità del trattamento medico, assicurano, nel ca-so di trattamento arbitrario, quanto meno la tutela civile.

34 Sul punto PASSACANTANDO, Il difetto del consenso del paziente nel trattamen-to medico e i suoi riflessi sulla responsabilità penale del medico, in Riv. it. med.leg., 1993, 107; BONELLI GIANNELLI, Consenso e attività medico-chirurgica, in Riv.it. med. leg., 1991, 13.

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ne, è assodata, quale elemento di essenziale rilevanza su cui motivarela liceità dei trattamento terapeutico, e certamente l’esaltazione delprincipio del consenso informato ha giovato a favore della riduzione diuna ingiustificata zona di impunità di cui godeva la classe medica,d’altro lato non è ancora chiaro quale debba essere la veste tecnico –giuridica, la sua collocazione sistematica assunta, l’effettivo suo peso,ai fini della qualificazione giuridica della condotta del medico.

L’attuale soluzione prevalente anche in giurisprudenza, se da un la-to soddisfa immediatamente le preoccupazioni di assicurare una am-pia tutela del consenso, sia pure indirettamente collegata alla tuteladel l’integrità fisica, d’altra parte riconosce al consenso uno spazio as-sai limitato, nel solo nel luogo dell’antigiuridicità, ovvero nel luogo incui si esprime la conflittualità tra valutazione penale e valutazionecomplessiva di un fatto apparentemente lesivo di interessi protetti.

La consolidata impostazione che qualifica il consenso come causadi esclusione dell’antigiuridicità, presta il fianco ad alcune osservazio-ni che coinvolgono diversi piani. Si osserva che, qualificando tecnica-mente il consenso del paziente come causa di giustificazione, si attri-buisce alla volontà del paziente una particolare connotazione di signi-ficati interna alla logica penalistica (sebbene le scriminanti abbianouna natura extrapenalistica), sotto il profilo tecnico-giuridico, che noncorrisponde pienamente con il significato sociale che questo riveste 35.

Il consenso prestato dal paziente non è un qualsiasi accordo, ma unatto di accettazione e di fiducia, con cui si esprime la volontà di aderi-re e sottoporsi, nel proprio personale interesse, ad un trattamento sa-nitario; non vi è in queste ipotesi una mancanza di interesse alla tute-la di un bene giuridico che ha subito un’aggressione da altri, dal mo-mento che il paziente è in realtà fortemente interessato al suo stato di

35 Si osserva che, prestando maggiore attenzione alle dinamiche dei rapportiinterpersonali, l’affermazione di un ruolo di assoluta centralità del consenso,quale unica variabile da cui dipende la liceità del trattamento medico, produceuno squilibrio nell’ambito della relazione terapeutica, che necessariamente deveconnotarsi come rapporto fiduciario, in cui l’uno si affida alle capacità tecnichedell’altro. La presenza del consenso, esaminata secondo un’astratta e formale vi-sione paritetica, rischia invece di stravolgere la delicatezza di significati che inquella relazione si intrecciano, attivando dinamiche conflittuali cui il medicodeve piegarsi. Questa discrasia è segnalata anche dal conflitto normativo che sieleva tra codice deontologico del medico e tutela penale, poiché il primo assegnaal medico un ampio margine di discrezionalità nell’an e nel quomodo dell’acqui-sire il consenso e nell’espletamento del dovere di informazione, mentre la se-conda non ammette pari flessibilità, richiedendo una formale manifestazionedella volontà del paziente. Sottolinea questi aspetti evidenziando che l’indivi-duo, da malato, è un soggetto antirazionale, che spesso non vuole sapere, masoltanto essere rassicurato, JASPERS, Il medico nell’età della tecnica, Milano, 1991.

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salute e all’andamento del trattamento terapeutico; né può dirsi che ilpaziente, prestando il proprio consenso, abbia così voluto abdicare al-la tutela penale (e giuridica in generale) dei propri interessi. Si eviden-zia quindi il limite di un’analisi che ricorre alle cause di giustificazio-ne codificate ed in particolare al consenso dell’avente diritto, disposi-zione che mal si adatta al problema della liceità del trattamento medi-co-chirurgico 36.

Un ultimo, queste ricostruzioni, volte ad escludere che l’interventomedico abbia prodotto una «malattia nel corpo o nella mente» 37, se ri-ferite all’ipotesi di morte del paziente, non appaiono altrettanto profi-cue, non essendo possibile collegare la morte di un individuo alla pos-sibilità di realizzazione della sua salute, se non spostando l’oggetto diosservazione piuttosto che sull’evento in sé considerato, sui contenutidel l’attività medica e sui possibili benefici, in vista di un complessivomiglioramento delle condizioni di vita del paziente, a prescindere dal -l’esito che si sarebbe comunque, da lì a poco, verificato. La condottadel medico deve confrontarsi con i limiti di efficacia dell’eventualeconsenso preventivo del paziente, inoperante di fronte ai beni indispo-nibili come la vita o limitatamente disponibili come l’integrità fisica 38.

36 Così GUARNIERI, Diritto penale ed influenze civilistiche, cit., 264 ss.; RIZ, Ilconsenso dell’avente diritto, cit., 1979, 52.

37 Se infatti si prescinde dalla identificazione della malattia con qualsiasi al-terazione anche soltanto anatomica dell’integrità fisica, assumendo al contrariouna nozione più ampia della stessa, è ovvio che nessuna lesione personale sussi-ste, e può escludersi in radice il verificarsi dell’evento di cui all’art. 582 c.p., perla ragione che non la malattia, ma un vantaggio per la salute, è l’esito dell’inter-vento.

38 Dunque, la difficoltà di rendere sempre e comunque operante il consensoquale esimente si manifesta proprio allorquando si tratti di beni giuridici ritenu-ti indisponibili, rispetto ai quali occorre capire se operi l’art. 5 c.c. e il regime didisponibilità in esso previsto. Varie sono le soluzioni che affrontano in questospecifico settore il problema dei rapporti tra consenso scriminante e divieto di at-ti di disposizione del proprio corpo. Tra queste, vi è la posizione di coloro che dis-solvono il rapporto tra esimente e disposizione posta nel codice civile, ritenendoinoperante l’art. 5 c.c., e pertanto negando l’estensione di limiti all’operatività del-la scriminante del consenso, qualora si tratti di interventi medici. Costoro evi-denziano quanto sia radicalmente differente lo stesso oggetto del consenso, nonpotendo la norma civilistica riferirsi agli atti di disposizione «funzionali», direttia realizzare un vantaggio per la salute. Secondo parte della dottrina il limite po-sto dall’art. 5 c.c. non opera neppure nel caso di irreversibili alterazioni fisiche opsichiche, perché il consenso al trattamento medico con finalità terapeutiche noncostituisce una causa di giustificazione, ma esprime una manifestazione dellapersonalità rispetto alla quale nessun limite è posto dalla legge; solo quando man-ca la finalità terapeutiche, il consenso incontra i limiti del l’art. 5 c.c. Così ROMA-NO, Commentario sistematico al codice penale, Milano, 1987, 452 s.

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La tesi che ricorre al consenso del paziente quale causa di esclusionedell’antigiuridicità trova ostacolo nel sistema di norme penali poste atutela della vita umana che nessuna rilevanza riconosce alla volontàdel titolare del bene e al suo consenso. Con riferimento alle situazioniin cui è in gioco la vita umana, non solo il consenso non incide sulla ri-levanza penale del fatto, ma l’assenza di una determinazione non im-pedisce, anzi obbliga il sanitario ad apprestare un’attività finalizzata alsalvataggio della vita umana. I margini d’operatività del consenso sa-rebbero alquanto ristretti in campo chirurgico (limitatamente alle solelesioni lievissime), mentre sarebbero quasi nulli nella netta maggio-ranza degli interventi chirurgici, in cui sia stata comportata una dimi-nuzione permanente dell’integrità fisica. La soluzione di ricorrere alconsenso del l’avente diritto come disposizione generale per ogni trat-tamento medico, anche quando il suo esito confluisce verso la mortedel paziente, mantenendo fermi i limi di disponibilità dei diritti perso-nali, conduce ad un vicolo cieco se non viene dissolto il difficile rap-porto tra norma civile e penale, e rifondata la liceità del trattamentomedico a prescindere dal verificasi dell’evento. In relazione a questiepisodi, l’unico percorso logico da seguire è quello che nega che quellamorte che si è concretamente verificata abbia a che fare con la con-dotta del medico, ossia sia una morte «cagionata» da una condotta

Di contrario avviso, secondo cui il consenso del paziente sarebbe subordina-to alla condizione del rispetto dei confini dell’area di disponibilità del relativo in-teresse, NANNINI, Il consenso al trattamento, cit., 92 ss; DE CUPIS, Integrità fisica,cit., 3. Va tuttavia ricordato che già nel 1958 la giurisprudenza non metteva as-solutamente in dubbio la natura disponibile del bene dell’integrità fisica, am-mettendo pienamente che un valido consenso possa escludere l’antigiuridicitàdel reato di lesioni. La Pretura di Grosseto, 17 gennaio 1965, in Giust. pen., 1958,II, c.80, con nota contraria di DE RUBERTIS, infatti ha affermato che «in tema dilesioni personali non trova applicazione l’art. 5 c.c., norma che ha rilevanza so-lo civilistica», così argomentando la decisione: il delitto di lesioni personali hacome oggetto di tutela l’integrità fisica dell’uomo quale individuo e non per lasua importanza sociale. Così anche la già citata sentenza Cass. 18 giugno 1987 aproposito delle pratiche di sterilizzazione volontaria non terapeutica, ove si sta-bilisce che «il generico divieto degli atti dispositivi del proprio corpo ammettederoghe da parte del legislatore, non in contrasto con l’art. 32 Cost., a tutela del-la salute», in Riv. it. med. leg., 1988, 593. Così AMATO, Sulla liceità della sterilizza-zione volontaria, cit., 555.

Estende l’operatività del consenso dell’avente diritto oltre i limiti dell’art. 5c.c., anche con riferimento ad operazioni chirurgiche che comportano esiti in-fausti lesioni o morte, in quanto l’atto è ritenuto conforme a consuetudine, RIZ,Il consenso dell’avente diritto, Padova, 1979, 51. In tal caso, la consuetudine nonrileverebbe direttamente sulla qualificazione di liceità del fatto, ma ai fini delladefinizione dell’elemento normativo «diritto disponibile», ovvero sulla fontenormativa circa la disponibilità del bene in oggetto, in tal modo estendendol’ambito di operatività dell’art. 50 c.p. oltre i limiti posti dall’art. 5 c.c.

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umana, se in realtà il morbo preesiste all’intervento ed il medico ha so-lo terapeuticamente tentato di eliminarlo senza riuscirvi; piuttosto lavera causa del decesso deve essere ricercata a monte, nella malattiache il medico intendeva curare (v. infra).

Pertanto, si suggerisce un superamento della distinzione tra inter-venti medici in relazione all’esito di essi, a favore di un’unica soluzio-ne che abbia come punto di osservazione l’attività del sanitario in séconsiderata, a prescindere dai suoi risultati. Nella prospettiva di un’os-servazione del fenomeno meno formalistica e causale, si pone l’accen-to sull’utilità sociale dell’attività – le stesse finalità e caratteristiche in-trinseche– che costituisce la ragione giustificatrice della liceità deltrattamento medico-chirurgico 39.

39 La teoria dell’adeguatezza sociale, che esclude la configurabilità dell’illeci-to fin nel suo aspetto tipico, inserisce invece un elemento di valutazione che at-tiene alla condotta del medico in sé e per sé: si risolve in toto il problema della li-ceità del trattamento medico, anche a prescindere dall’esito, poiché viene postol’accento unicamente sul significato sociale dell’atto, secondo una valutazionesostanziale, che impedisce di configurare un’effettiva lesione di interessi, qualo-ra l’intervento medico sia effettuato correttamente, secondo i dettami dellascienza ed indirizzato ad uno scopo di cura. Ciononostante il riferimento al si-gnificato sociale dell’attività medica, indipendentemente dalle conseguenze in-fauste sembra non essere dotato di sufficienti requisiti di giuridicità per fornireun sicuro fondamento. La teoria dell’adeguatezza sociale presenta aspetti di so-stanziale indeterminatezza e genericità, trattandosi di un criterio di difficile ap-plicazione che richiede una pacifica e consolidata accettazione sociale della con-dotta realizzata, difficilmente raggiungibile soprattutto qualora ci si riferisca acasi limite. In verità, le correnti di pensiero che più o meno direttamente si ri-chiamano alla dottrina della c.d. adeguatezza sociale, nessuna rilevanza ricono-scono alla circostanza che il medico sia intervenuto rispettando o meno la deci-sione del malato. La valutazione positiva dell’atto medico prescinde dalla consi-derazione che il terapeuta abbia agito nella cornice di un principio di autono-mia, oltre che dal risultato positivo o negativo per la salute del paziente, doven-dosi invece dare pieno riconoscimento agli effetti complessivi che l’interventoproduce in termini di benessere della persona. In proposito GREGORI Adeguatez-za sociale e teoria del reato, Padova, 1969; FIORE, L’azione socialmente adeguatanel diritto penale, Napoli, 1966, 171; Id., Azione socialmente adeguata, in Enc.giur. Treccani, IV, Roma, 1988, 8. Per una concezione del bene giuridico nell’am-bito e all’interno di un flusso di rapporti sociali e in connessione con altri beniriconosciuti dal sistema, così WELZEL, Studien zum System des Strafrechts, inZSTW, 1939, 491.

Una delle applicazioni della teoria dell’adeguatezza sociale, quale fondamen-to politico-sostanziale della liceità dell’attività medica, è quella che ricorre allascriminante dell’esercizio di un diritto, comprensiva non solo dei diritti sogget-tivi e delle facoltà, ma anche tutte le attività giuridicamente autorizzate dalloStato, tra le quali l’esercizio della professione medica. Pertanto, sarebbe il medi-co, in virtù della sua abilitazione professionale, ad esercitare un diritto all’esple-

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Secondo le più recenti affermazioni il consenso del titolare del di-ritto dovrebbe assumere, nell’ambito dell’attività sanitaria, un signifi-cato ed un ruolo dogmatico ben più ampio di quello proprio delle cau-se di giustificazione: la stessa volontà di sottoporsi al trattamentoesclude in radice che si tratti di alcuna aggressione. Dunque, per sag-giare se possano o meno dirsi integrate fattispecie di reato nell’esecu-zione di un trattamento medico arbitrario, occorre indagare non nelluogo dell’antigiuridicità, bensì in quello della tipicità 40. Solo in modoassai riduttivo il consenso del paziente potrebbe essere costruito tecni-camente come causa di esclusione dell’antigiuridicità, in quanto porre

tamento della correlativa attività, rendendo leciti gli atti compiuti. Così nellamanualistica PADOVANI, Diritto penale, IV ed., Milano, 1998, 199 ss., secondo ilquale l’attività medico-chirurgica rappresenta in sé un’attività giuridicamenteautorizzata a tutela della salute, allorché l’intervento sia effettuato da personaabilitata all’esercizio professionale, con il consenso pieno, reale ed informato delpaziente, in presenza di una necessità terapeutica, nel pieno rispetto delle rego-le dell’arte medica. L’Autore ritiene che il consenso non possa operare come cau-sa di giustificazione, qui richiesto per legittimare l’intervento, e non per coprir-ne l’esito: se un’attività è lecita, essa resta tale, qualunque sia l’esito.

Altro tentativo volto a cogliere l’intima ragione di liceità del trattamento me-dico a prescindere dall’esito che l’intervento abbia in concreto prodotto, è il ri-corso alla scriminante dell’adempimento di un dovere, che fa perno anch’essasull’abilitazione all’esercizio della professione sanitaria, da cui discenderebbel’obbligo, derivante dalla legge professionale e dalla consuetudine, di salvaguar-dare la salute del paziente e l’obbligo penalmente sanzionato di impedirne lamorte, NUVOLONE, I limiti taciti della norma penale, Padova, rist. 1972, 171 ss.; PU-LITANÒ, Esercizio di un diritto e adempimento di un dovere, in Dig. disc. pen., IV,Torino, 1990, 320. Così coerentemente PEDRAZZI, Consenso dell’avente diritto, cit.,144. Una particolare elaborazione è quella di coloro che ravvisano nel consensoun requisito limite all’autorizzazione legislativa dell’attività medica, necessarioaffinché questa goda della scriminante dell’esercizio di un diritto, purché peròl’esito non sia infausto, poiché la morte o le lesioni non potrebbero rientrare nelcontenuto dell’autorizzazione, MANTOVANI, I trapianti e la sperimentazione uma-na nel diritto italiano e straniero, cit., 203 e ss.; ID., La responsabilità del medico,in Riv. it. med. leg., 1980, 23. In giurisprudenza il riferimento a questa scrimi-nante è proposito in termini di una sorta di autolegittimazione dell’attività me-dica, così Cass., Sez. III civ., sent. 30 aprile 1996, dep. il 15 gennaio 1997, in BI-LANCETTI, La responsabilità civile e penale, cit., secondo cui «l’attività medica tro-va fondamento non tanto nel consenso dell’avente diritto, che incontrerebbespesso l’ostacolo dell’art. 5 c.c., bensì in quanto essa stessa legittima ai fini dellatutela di un bene costituzionalmente garantito quale il bene della salute, cui ilmedico è abilitato dallo Stato». V. anche BENINCASA, Liceità e fondamento dell’at-tività medico-chirurgica a scopo terapeutico, in Riv. it. dir. proc. pen., 1980, 732;LEONE, L’esimente dell’esercizio di un diritto, Napoli, 1970, 135.

40 La liceità del trattamento medico per assenza di un fatto tipico è stata re-centemente ripresa da INTRONA, La responsabilità professionale nell’esercizio dellearti sanitarie, cit., 21.

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a fondamento della liceità il consenso come scriminante equivale aconfermare l’ipotesi della illiceità in re ipsa del trattamento chirurgicoe a contraddire che il trattamento possa avere un’autonoma giustifica-zione, tratta dalla sua intrinseca ed innegabile utilità sociale ed indivi-duale. Il consenso del titolare del diritto avrebbe invece una valenzaben più significativa, non identificandosi con quella particolare figuraprevista dal codice penale all’art. 50 c.p. 41, ma sarebbe piuttosto un re-quisito imprescindibile di liceità del trattamento, un presupposto ne-cessario a salvaguardia di quel diritto individuale ed incoercibile che èla salute, posto a tutela della libertà morale del paziente, senza il qua-le qualsiasi interferenza sul corpo dell’individuo avrebbe carattere ar-bitrario ed illecito. I referenti tecnici –formali di questo mutamento diprospettiva risiedono in un processo evolutivo nel l’interpretazione de-gli artt. 13 e 32 Cost., che valorizza i contenuti della disposizione co-stituzionale in tema di diritto alla salute, alla luce della quale la solu-zione «interventista» sembra ictu oculi porsi in netto contrasto. Il va-lore del consenso va più esattamente messo in relazione alla libertà diautodeterminazione del malato in ordine a scelte che attengono al pro-prio stato di salute, anzi ne costituisce il naturale presidio, definendo ipresupposti ed il fondamento della liceità del trattamento medico, ma,come vedremo, anche i limiti.

41 Sostiene che il consenso richiesto per l’attività medico chirurgica non è ilconsenso ai sensi dell’art 50 c.p., differenziandosi da questo non soltanto per lacostruzione dogmatica, ma anche per i requisiti di operatività e l’ampiezza delraggio di tutela, PEDRAZZI, Consenso dell’avente diritto, in Enc. dir., IX, Milano,1961, 144. Infatti la volontà del paziente non riveste il significato di rinuncia al-la tutela penale, ed inoltre non sarebbero identici i requisiti di validità del con-senso, soprattutto con riferimento alla capacità del paziente. Se si tratta infattidi una manifestazione di volontà che trae legittimazione e fondamento dal prin-cipio costituzionale che si desume dagli artt. 13 e 32 Cost., si dovrà ammettereche anche i soggetti incapaci possono esercitare tale libertà.

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CAPITOLO III

L’EUTANASIA ATTIVA E PASSIVA

SOMMARIO: 1. La problematicità della differenziazione tra atti ed omissioni:l’eutanasia attiva e passiva. – 2. Recenti orientamenti giurisprudenziali intema di responsabilità del sanitario qualora vi sia stata un’anticipazione del-la morte. – 3. La condotta omissiva del medico: i casi di astensione terapeu-tica. – 4. L’eutanasia passiva: l’interruzione di una serie causale di salvatag-gio. – 5. La responsabilità penale per l’ipotesi attiva: la somministrazione diterapie del dolore. – 6. Dal rifiuto di cura al diritto alla morte. La rilevanzadella volontà del paziente nell’eutanasia attiva e passiva.

1. La problematicità della differenziazione tra atti ed omissioni: l’eu-tanasia attiva e passiva

Alla luce dei risultati dell’indagine precedentemente condotta, untentativo di ricostruzione di uno spazio di liceità del «trattamento me-dico dei morenti» può essere diretto verso altre direzioni, ovvero su unlivello antecedente quello concernente l’esclusione dell’antigiuridicità.

In questa prospettiva di ricerca, nell’analisi della fenomenologia ri-conducibile all’espressione eutanasia viene in rilievo la distinzione, as-sai diffusa negli ambienti giuridici, tra forma attiva e passiva, il cuifondamento risiede nella differenza che sussiste, sul piano naturalisti-co, morale e giuridico, tra l’agire e l’omettere, tra Killing e letting die 1.Questa distinzione, ovvero l’antica querelle circa l’esistenza o meno diuna differenza moralmente significativa tra atti ed omissioni trova lesue radici all’interno di un contesto «deontologico» di tutela della vita

1 Questa ricostruzione fattuale delle situazioni di eutanasia in relazione al ti-po di condotta posta in essere dal sanitario, corrisponde, in modo speculare, al -l’altra differenziazione che tiene in conto dei possibili contenuti della volontà delpaziente: al diritto ad essere lasciati morire corrisponde una condotta omissiva,al diritto a morire, in linea di massima, una condotta commissiva del medico. V.BRINGEWAT, Diskussion Bericht I: Terminologische und typologische Probleme beider Erfassung von Suizid und Eutanasie, in Suizid und Eutanasie als human -und wissenschtliches Problem, cit., 9.

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umana, al fine di contemperarne le rigidità in situazioni in cui non neè esigibile il rispetto, quali appunto nel caso di prolungamento di pe-nosa agonia. Nell’ambito dell’etica della sacralità – indisponibilità del-la vita umana, la differenziazione tra omissioni lecite ed azioni illeciteveniva individuata attraverso la teoria del doppio effetto, secondo cuivi è differenza tra ciò che direttamente voluto e ciò che invece, pur es-sendo prevedibile e persino previsto, costituisce un effetto collaterale(sul piano causale) e non voluto (sul piano psicologico) dell’atto 2.

La distinzione tra forme attive ed omissive venne sviluppata suc-cessivamente, sul piano tecnico giuridico, nei paesi di lingua tedesca,poiché lì fu elaborata una particolare figura giuridica che consente piùagevolmente di escludere le responsabilità penali per la condotta omis-siva del medico, a differenza di quella attiva. La differenziazione feno-menologica tra atti ed omissioni, che spesso sul piano naturalisticopuò sembrare carente ed opinabile, mira ad evidenziare una diversaqualificazione morale e giuridica della condotta del medico, relativa aldifferente apporto causale nella produzione dell’evento. È sul terrenodella causalità che si coglie la caratterizzazione tra eutanasia attiva epassiva: mentre nell’eutanasia passiva l’omissione del medico si inseri-sce in un processo causale già messosi in moto autonomamente checonduce alla morte, nell’eutanasia attiva la condotta umana è il fattorecausale unico, o concorrente con altri, dell’evento letale. La distinzio-ne tra lasciar morire (eutanasia passiva) ed uccidere (eutanasia attiva)dovrebbe riflettere principalmente una differenza sul piano descritti-vo, naturalistico-causale: nel primo caso la morte è la conseguenza diuna malattia di cui il medico non ha impedito l’evolversi, nel secondoè la conseguenza della sua azione. Si comprende allora il minore di-svalore morale dell’omissione, che consiste nel non aver impedito un

2 Secondo la teoria del doppio effetto (o del male minore) è moralmente leci-to compiere atti che comportano, oltre a uno o più effetti positivi, anche effettinegativi, purché siano rispettate quattro condizioni: l’atto non deve essere mo-ralmente negativo; l’intenzione dell’agente nel compiere l’atto deve essere diret-ta ad ottenere l’effetto positivo, pur nella consapevolezza che possa aversi un ef-fetto negativo inevitabilmente; l’effetto negativo non deve essere mezzo necessa-rio e preliminare al conseguimento del risultato positivo; vi devono essere con-dizioni tali di gravità da indurre l’agente ad optare per l’atto dal doppio effettorispetto ad altre possibili alternative, ossia l’effetto buono deve essere propor-zionalmente maggiore di quello cattivo. Questa teoria è stata oggetto di nume-rose interpretazioni all’interno della teologia morale cattolica, dando peso oraall’elemento della proporzionalità, attraverso la distinzione tra mezzi ordinari emezzi straordinari di cura, ora a quello dell’intenzione, attraverso la distinzionetra volontà intenzionale e prevedibilità dell’evento. Sul punto, PRIVITERA, Dupliceeffetto, in Dizionario di bioetica, a cura di LEONE-PRIVITERA, Acireale (Catania),1994, 309; FOOT, Das Abtreibungsproblem und die Doktrin der Doppelwirkung, inMoralische Probleme um Leben und Tod, cit., 196.

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evento, la cui causa, in senso naturalistico e cinetico, non è costituitada una condotta umana 3.

In verità, in quest’ambito si suole anche annoverare condotte chenon sono omissive in senso naturalistico, ma che sono comunque assi-milate ad esse, assumendo il medesimo significato sociale. Sono tali adesempio l’azione commissiva del medico che interrompe una terapia,già intrapresa, di sostentamento artificiale in vita o che appare ormaisproporzionata ed assolutamente inadeguata a contribuire ad un mi-glioramento della salute. In tal caso, in termini di causazione materia-le, si sarebbe costretti a ritenere che l’interruzione di un processo cau-sale di salvataggio sia la condicio sine qua non della morte, se non si ri-corresse all’espediente di assimilare l’azione all’omissione, e poi di ri-correre a criteri che limitano il dovere giuridico di impedire l’evento,in modo da escludere la responsabilità penale del medico.

La distinzione tra eutanasia attiva e passiva, propria del dibattitocontemporaneo, è finalizzata a distinguere modalità di trattamentomedico del tutto lecite, per le quali è addirittura improprio e fuorvian-te il riferimento all’eutanasia (eutanasia senza efficienza causale, chenon abbrevia la vita o il distacco da macchine di sostentamento artifi-ciale in vita di pazienti ormai irreversibilmente e totalmente cerebro-lesi, giuridicamente ormai morti), forme di eutanasia per le quali si co-minciano a profilare soluzioni di liceità (eutanasia attiva indiretta, re-lativa alla somministrazione di analgesici che concorrono ad accelera-re la morte, ma solo al fine di alleviare il dolore), casi di eutanasia pas-siva sottratte ad ogni rilevanza penale (eutanasia passiva medianteomissione in accordo o per volontà del paziente, riconducibili al rifiu-to di trattamento sanitari), e forme di eutanasia attiva assimilate aqueste ultime al fine di estenderne la liceità (eutanasia passiva me-diante azione con o in assenza di una determinazione del paziente, inrelazione all’interruzione di tecniche di sostentamento artificiale in vi-

3 In particolare, nell’ambito dell’eutanasia attiva andrebbero ricondotte tuttele situazioni in cui la morte del paziente è da ricollegare causalmente, in con-corso ad un processo patologico in atto, ad una condotta materiale del medicoche si attiva in favore del suo paziente. Le possibilità di intervento riguardanosoprattutto l’uso di terapie del dolore finalizzate ad alleviare le sofferenze fisichee psichiche del paziente, e non escludono in via di principio una collaborazioneda parte dello stesso paziente che, ad esempio, assume da sé il farmaco che, perle dosi, potrà cagionare la sua morte (c.d. suicidio assistito). Nell’ambito dell’eu-tanasia passiva si suole invece ricondurre la condotta puramente omissiva delmedico, cioè non impeditiva di una catena causale, in atto ed autonoma, checonduce alla morte del paziente, ad esempio quando non sia intrapresa la curadi processi patologici insorgenti, permettendo così che la malattia faccia il suocorso e conduca alla morte, oppure qualora non siano attivate tutte le terapie dirianimazione o di sostentamento artificiale in vita.

L’eutanasia attiva e passiva 135

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ta) ed infine forme di aiuto assolutamente illecite (eutanasia attiva di-retta).

Queste differenziazioni, tuttavia, se registrano una forte «tenuta»sul piano giuridico, poiché fondano diversi presupposti di accerta-mento della responsabilità penale, invece sul piano descrittivo– natu-ralistico, e persino morale, rischiano di sfumarsi e di perdere di sen-so 4. In verità, da un punto di vista più pragmatico, il diverso significa-to causale e morale tra lasciare morire (eutanasia passiva) ed uccidere(eutanasia attiva), era più nettamente evidente in relazione a situazio-ni storiche diverse, legate ad una forte povertà di strumenti di lotta e diintervento dal punto di vista tecnico di fronte ad una morte imminen-te del paziente. Oggi, tale differenza sul piano causale non è così chia-ra come allora: cosa pensare nel caso in cui si lasci morire un pazienteprossimo alla morte e allo stato terminale a seguito di un’infezione pol-monare, pur essendo possibile la terapia antibiotica? Che differenzatra un fare che provoca solo l’anticipazione della morte che sarebbe dalì a poco arrivata e un non fare e lasciare che la morte arrivi, quando ilrisultato, facilmente evitabile anche se solo temporaneamente, è iden-tico in entrambi i casi?

La complessità dei trattamenti, specie quelli ad alta tecnologia ap-plicati alla fase finale della vita, ha reso sempre più difficile tracciareuna netta linea divisoria corrispondente all’agire e l’omettere: inun’epoca in cui il medico può sempre effettuare una prestazione sani-taria, e in cui anche il semplice astenersi dal fare, richiede che si faccia(distaccare dai respiratori artificiali, togliere il sondino nasogastrico el’alimentazione e idratazione artificiali), la distinzione tra agire edomettere sembra fondata su un parametro di valutazione diverso daquello della pura causalità o del poter o non poter fare qualcosa, intro-ducendo un elemento di contraddizione nelle teorie deontologiche 5.

4 Per una critica alla tradizionale distinzione tra eutanasia attiva e passiva,evidenziando l’identità di risultato, RACHELS, Uccidere, Lasciar morire e il valoredella vita, in Bioetica, 1993, 271, che non soltanto nega questa differenziazionema afferma anche che, se valutata sotto il profilo delle conseguenze per il pa-ziente, è più umana l’eutanasia cagionata attivamente che quella mediante unacondotta omissiva. V. anche HOERSTER, Warum keine aktive Sterbehilfe, in ZRP,1988, 1; THOMAS, Sind Handeln und Unterlassen unterschiedlich legitimiert?, inEthik Med., 1993, 70. In generale gli utilitaristi tendono a sottovalutare le diffe-renze empiriche tra queste classi di situazioni, così SINGER, Ripensare la vita. Lavecchia morale non serve più, Milano, 1996, 88 s.; REICHLIN, L’eutanasia nellabioetica di impostazione utilitaristica. Analisi critica dei testi di J. Rachels e di H.Kuhse, in Medicina e morale, 1993, 331.

5 Questa commistione di considerazioni di tipo conseguenzialista, nell’ambi-to di un contesto di tipo deontologico, è sottolineata da NERI, Eutanasia, cit.,passim; KUHSE, The sanctity of life doctrine in Medicine, cit., passim.

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Ed infatti numerose sono le critiche rivolte al tentativo di fondareuna legittimazione morale alla distinzione tra cagionare e lasciar mo-rire che, in quanto incentrata su parametri sostanziali e qualitativi divalutazione, sarebbe più coerente all’interno dell’utilitarismo conse-guenzialista che riconosce decisivo rilievo morale alla valutazione del-le conseguenze degli atti, piuttosto che alla valutazione morale delleazioni e motivazioni dell’agente. Nell’ottica utilitarista della qualità, anulla rileva che si tratti di agire attivo o di omettere, cui corrispondeuna diversa efficienza causale a seconda che si attivi un processo ezio-logico o si astenga dall’impedire che tale processo in atto conduca allaproduzione dell’evento, dal momento che l’evento, identico in entram-be le situazioni, dovrebbe costituire l’esclusivo elemento di valutazio-ne, anche quando è provocato da atti di segno diverso.

2. Recenti orientamenti giurisprudenziali in tema di responsabilitàdel sanitario qualora vi sia stata un’anticipazione della morte

Malgrado queste considerazioni, è impossibile sviluppare un’anali-si del dibattito e dei tentativi di ricostruzione giuridica delle diverseforme di eutanasia prescindendo dalla distinzione tra eutanasia attivae eutanasia passiva. In proposito, occorre sgombrare il campo da si-tuazioni in cui la condotta del medico, sotto un profilo meccanico enaturalistico, è totalmente priva di efficienza causale rispetto la morte.L’ipotesi, quella meno discussa e controversa, riguarda il caso in cuil’aiuto, consistente nell’alleviare le sofferenze fisiche e psichiche delpaziente durante la fase terminale della vita, non comporta alcun ac-corciamento di essa 6. In questo caso, non si verifica alcun evento in-fausto, o altrimenti, qualora questo si fosse verificato, non sarebbe ri-conducibile causalmente al trattamento medico, essendo stata la tera-pia ininfluente rispetto alla catena causale in atto che ha condotto allamorte. In assenza di un evento letale è quindi evidente che per la con-dotta attiva del medico non si profila alcuna responsabilità, e che soloeufemisticamente la situazione può essere accomunata a quelle di eu-tanasia in senso proprio. Pertanto, in simili situazioni, non sarebbe ap-propriato fare riferimento al termine eutanasia, che presuppone, nel -l’accezione moderna, situazioni limite in cui è inevitabile provocare, o

6 Nella letteratura tedesca, V. MAYRHOFER-PORGES, Möglichkeiten und Grenzender Schmerzausschaltung mittels Nervenblockaden, in Suizid und Euthanasie alshuman-wissenschatliches Problems, cit., 121; DÖLLING, Zulässigkeit und Grenzender Sterbehilfe, in MedR, 1987, 6; FRITSCHE, Der Arzt und seine Verpflichtung zurSterbehilfe, in MedR, 1993, 126

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concorrere a provocare la morte del paziente. Questa fenomenologiasarebbe un aiuto nel morire, non soltanto lecito, ma addirittura dove-roso, qualora sia richiesto, rientrando tra i compiti del medico non sol-tanto quello di curare, ma anche quello, nei casi di inutilità delle cure,di alleviare il dolore, ovvero di preparare il paziente alla morte (la c.d.eutanasia interior) 7. Sul presupposto che la cultura medica modernaha acquisito piena consapevolezza degli autonomi caratteri patologicidella sintomatologia dolorosa, l’aiuto nel morire puro, ovvero la som-ministrazione delle c.d. cure palliative, dunque, rientra nell’attivitàmedico-chirurgica, non presentando alcuna peculiarità rispetto ad al-tri trattamenti terapeutici circa il fondamento, i presupposti di liceitàed i limiti 8.

Una volta chiarito il piano di riferimento del termine, escludendo leipotesi in cui non è in gioco la tutela della vita del paziente ma, al più,la perdita dello stato di coscienza, vengono in rilievo le forme «pro-prie» di eutanasia.

L’eutanasia attiva prevede la somministrazione di antalgici o di te-rapie del dolore, quando però tali farmaci o terapie, per caratteristicheintrinseche o per le dosi somministrate, comportino indirettamente,ma probabilmente, o solo eventualmente, l’accorciamento della vitadel malato. Si pone quindi l’interrogativo se il dovere di lenire le soffe-renze sussista anche quando i farmaci con tali proprietà siano spro-porzionati rispetto alle possibilità di successo o comportino l’effetto

7 Sarebbe tuttavia dovere del medico informare il paziente nei casi in cui laterapia del dolore comporti anche la perdita di coscienza, così da acquisire unospecifico consenso. Sotto questo profilo si evidenziano le controversie in riferi-mento ai limiti del dovere del medico di lenire il dolore. Sebbene appaia ormaipacifica la legittimità della somministrazione di terapie del dolore, che nullahanno a che vedere con il cagionare la morte, si è riproposto l’interrogativo aproposito della perdita, temporanea o irreversibile, dello stato di coscienza. Il li-mite al dovere di lenire il dolore sarebbe dato dalla possibilità che il pazientepossa essere privato in tutto o in parte, dello stato di coscienza, e da ciò discen-derebbe il relativo divieto di somministrazione di terapie che, anche se non com-portano un abbreviamento della vita, possono comportare una privazione, più omeno deliberata e voluta, della coscienza. La terapia del dolore, anche nelle si-tuazioni in cui si profila, con il consenso del paziente, obbligatoria, non dovreb-be mirare ad esaurire la consapevolezza affinché si annulli la percezione dellasofferenza, poiché una simile pratica, si afferma, che pure non toglie la vita masottrae al malato la coscienza, diverrebbe una forma di eutanasia in senso pro-prio. Così EUSEBI, Omissione dell’intervento terapeutico ed eutanasia, in Arch.pen., 1985, 515.

8 Pertanto dovrebbe ritenersi che la rilevanza penale della condotta si rivele-rebbe, al contrario, ove l’aiuto non fosse prestato, nell’ipotesi opposta della man-cata somministrazione in caso di richiesta, a titolo di lesioni colpose o di omis-sione di soccorso.

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collaterale della morte e ciononostante il paziente li richieda, o se in-vece si imponga deontologicamente il dovere di prolungare e mante-nere in vita, anche contro la volontà dello stesso titolare del diritto. An-che in queste situazioni, come in quelle precedentemente illustrate,l’azione del medico è finalizzata dall’obiettivo di attenuare o eliminareal massimo le sofferenze del paziente, ma stavolta tale obiettivo «pas-sa» attraverso l’abbreviazione della vita. In tal caso la morte del pa-ziente è cagionata, in quelle circostanze e modalità, dalla sommini-strazione, sia pure consensuale, di una terapia che, per definizione, èconcausa o causa unica del processo che conduce alla morte.

Nei termini suddetti, è evidente che il riconoscimento della liceitàdi queste pratiche trova un forte ostacolo nel divieto di uccidere. D’al-tra parte, comincia a diffondersi l’opinione che tale condotta del sani-tario, purché non finalizzata a provocare direttamente la morte del pa-ziente, possa essere ritenuta pienamente lecita e corrispondente ai do-veri deontologici del medico 9. Generalmente la soluzione di simili ca-si viene ricercata riconducendo il fenomeno nell’ambito del trattamen-to medico-chirurgico, ed in particolare, più recentemente l’orienta-mento della dottrina sul tema è caratterizzato da una finalizzazionedel l’indagine sul piano dell’accertamento del nesso causale tra la con-dotta del medico e il verificarsi dell’evento, al fine di escludere, già sulpiano della tipicità, l’imputazione della morte del paziente all’agire delmedico. Infatti, per quanto concerne queste ipotesi attive, si fa riferi-mento al criterio del «non aumento del rischio» di verificazione del -l’evento morte, mentre, per quanto concerne quelle passive, come ve-dremo in seguito, si ritiene che non sussista alcun dovere giuridico diimpedire l’evento, e quindi che non vi sia alcuna omissione penalmen-te rilevante, causa dell’evento non impedito 10.

Ma il paradosso che viene in rilievo, in questa direzione di ricerca,è che questi sforzi della scienza giuridica non sono in sintonia con gliindirizzi attuali invalsi nella prassi giurisprudenziale in tema di re-sponsabilità medica, che sono orientati in tutt’altra direzione. L’argo-mento è segnato da una sensibile oscillazione, ed infine un assesta-mento, su una linea di marcato sfavore verso il medico, spesso suf-fragata da ricorrenti argomentazioni legate ad imprescindibili esi-genze di tutela di un bene primario, quale la vita umana, da salva-guardare sopra ogni cosa e ad ogni costo, così giustificando una più

9 La Carta dei diritti del morente, della Fondazione Floriani, prevede il dirit-to al sollievo del dolore e della sofferenza art. 4; così anche la Carta dei diritti delmalato cronico in evoluzione di malattia, della Facoltà di medicina «AgostinoGemelli» (art. 2).

10 Per una critica a questa differenziazione, SCHNEIDER, Tun und Unterlassenbeim Abbruch lebenserhaltender medizinischer Behandlung, Berlin, 1997.

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ampia applicazione dell’art. 40 c.p., sia per le condotte attive che perquelle passive.

Questa ricostruzione dell’accertamento causale non concerne i casiin cui consti a posteriori che l’evento, eliminando mentalmente la con-dotta attiva, non si sarebbe certamente verificato. Le condotte sicura-mente causali rispetto alla lesione non sono in discussione: il puctumdolens concerne i casi in cui l’omissione o l’azione abbiano acceleratoo modificato l’offesa, ed in questione è la significatività di questa mo-difica reale di tempo o di modalità di verificazione dell’evento realeprovocata dall’omissione (ossia dall’aver omesso condizioni impediti-ve o negative dell’evento) rispetto all’evento ipotetico (diversa verifica-zione o mancata verificazione). L’omissione (o l’azione) cioè incide suitempi e sui modi dell’evento, sul contesto spazio-temporale, ma nonsulla certezza o alta probabilità che l’evento venga del tutto impedito onon causato.

In queste situazioni, va sempre più affermandosi nella prassi unindirizzo rigoristico finalizzato a consentire un accollo della respon-sabilità per l’evento. Soprattutto allorquando sia in gioco la tutela dibeni altamente personali, si ritiene sufficiente accertare se l’inosser-vanza della condotta abbia determinato un rilevante aumento del ri-schio di verificazione dell’evento, o altrimenti se la condotta dovero-sa ipotetica (non somministrare certi farmaci a certe dosi) avrebbeavuto significative probabilità di salvare, anche momentaneamente,il bene giuridico, mentre quella omessa posta in essere ne ha aumen-tato il rischio di verificazione. Sono ormai frequenti le pronunce incui si ritiene sufficientemente dotata di idoneità quella condotta al-ternativa e ipotetica che solo «probabilmente» avrebbe sortito l’effet-to di salvare la vita umana 11. Con riferimento più specifico all’omis-

11 In verità la giurisprudenza riguarda la responsabilità colposa, attiva oomissiva. V. Cass. 22 aprile 1987, in Cass. pen., 1989, 72, «Nella ricerca del nes-so di causalità in tema di responsabilità colposa del medico, al criterio della cer-tezza degli effetti può sostituirsi quello della probabilità degli effetti e della ido-neità della condotta a produrli: quindi il nesso sussiste quando l’opera del sani-tario se correttamente e tempestivamente intervenuta, avrebbe avuto non già lacertezza, ma una apprezzabile possibilità di successo che la vita sarebbe statasalvata». Allo stesso modo Cass. 18 ottobre 1990, in Cass. pen., 1992, 2102; Cass.12 luglio 1991, in Foro it., 1992, II, 363 con nota di GIACONA, Sull’accertamento delnesso di causalità tra la colposa omissione di terapia e la morte del paziente, in cuisi afferma la responsabilità qualora l’opera del sanitario avrebbe potuto evitarel’evento anche solo con probabilità apprezzabili nella misura del 30 per cento;Cass. 20 gennaio 1993, in Riv. pen., 1993, 1003; Cass. 27 novembre 1993, in Giur.it., 1994, 2, 634. Dunque, si ritiene sufficiente accertare che l’inosservanza dellaregola di condotta avrebbe determinato un rilevante aumento del rischio di ve-rificazione dell’evento. In verità occorrerebbe stabilire anche se l’osservanza del-

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sione, deve ritenersi appagante un grado di probabilità più basso nel-la causalità omissiva rispetto a quella attiva, e cioè di un minore gra-do di certezza probatoria rispetto a quella che può esigere la causa-lità reale delle condotte attive: il garante non potrebbe astenersi dal-la condotta di salvataggio solo perché ex ante appaiono scarse le pro-babilità di successo della sua condotta positiva, avendo egli l’obbligodi intervenire anche quando tali chances siano basse 12. Questo orien-tamento giurisprudenziale, sul piano della causalità omissiva, preve-de il ricorso a parametri fondati su una ratio diversa da quella dellaverifica eziologica, che si pongono cioè su un piano del tutto alterna-tivo rispetto all’approccio naturalistico, sulla base del convincimentoche l’omissione avrebbe una valenza probabilistica maggiore rispettoal l’azione 13.

In sostanza, si nega che nei reati omissivi il rapporto di causalità siauguale a quello esistente nei reati commissivi di evento, perché non viè un nesso di derivazione tra dati reali del mondo esterno. Il riconosci-mento di un fondamento squisitamente normativo della causalitàomissiva fa di essa non un vero e proprio rapporto causale, ma unequipollente diretto ad assicurare la riferibilità penale dell’evento nonimpedito, dal momento che l’omissione non avrebbe alcuna efficaciaeziologica in senso stretto, non sarebbe cioè capace di provocare una

la condotta conforme al dovere di diligenza avrebbe, oppure no, potuto impedi-re l’evento. Con la conseguenza che, in virtù del principio in dubio pro reo, ogniqual volta vi sia un dubbio circa l’attitudine della condotta alternativa lecita ascongiurare l’evento, non dovrebbe sussistere responsabilità. Sul tema, v. CRESPI,La «colpa grave» nell’esercizio dell’attività medico-chirurgica, in Riv. it. dir. proc.pen., 1973, 255.

12 La settorialità dei parametri adottati nell’accertamento causale della con-dotta attiva o omissiva del sanitario, sembra essere giustificata in generale dal -l’approccio medico-scientifico, il quale non professa certezze, ma verosimiglian-ze, procede per ipotesi ed attraverso verifiche; sul tema STELLA, Le «incompren-sioni» fra scienza giuridica e scienza medico-legale, cit., 7; FIORI, Il criterio di pro-babilità nella valutazione medico-legale del nesso causale, in Riv. it. dir. proc. pen.,1991, 29. Ma sappiamo che il concetto di causalità proprio della legge penaleprescinde dalla conoscenza analitica della vicenda eziologica, essendo sufficien-te una ricostruzione che trovi fondamento nella comune esperienza, così PARO-DI-GIUSINO-NIZZA, La responsabilità penale del personale medico e paramedico, inGiurisprudenza sistematica di diritto penale, diretta da BRICOLA-ZAGREBELSKY, To-rino, 1996, 168; BARNI, Il giudizio medico-legale della condotta sanitaria omissiva,in Riv. it. med. leg., 1994, 3; ID., Il rapporto di causalità materiale in medicina le-gale, Padova, 1995.

13 Sul tema DONINI, Lettura sistematica delle teorie dell’imputazione oggettivadel l’evento, parte II, in Riv. it. dir. proc. pen., 1989, 1118; CASTALDO, L’imputazio-ne oggettiva nel delitto colposo d’evento, Napoli, 1989, 139; FORTI, Colpa ed eventonel diritto penale, Milano, 1990, 639.

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nuova catena causale, cui è riconducibile l’evento 14. Pertanto, nella re-sponsabilità omissiva, il ragionamento di tipo ipotetico, anziché quel-lo effettuale, dovrebbe avere maggiormente cittadinanza ed un valoremaggiormente costitutivo rispetto alla verifica della causalità attiva.

In verità, questa differenziazione tra causalità attiva e omissivasembra essere legata ad un paradigma culturale che concepisce la cau-salità in senso realistico-naturalistico e la causa come sinonimo dienergie fisiche tali da produrre un evento, ovvero come elemento cine-tico reale ed attivo di una sequela di accadimenti. Assumendo inveceuna logica funzionalista e normativista dell’imputazione causale, ov-vero non esclusivamente legata al nesso naturalistico, non vi è motivodi distinguere tra causa attiva ed omissiva, poiché sia l’agire che l’o -mettere, pur nella loro strutturale diversità, appaiono funzionalmenteequivalenti nell’attribuire ad un soggetto la responsabilità per l’evento,ed in entrambi i casi si richiede la ricostruzione di un decorso causaleipotetico, ossia la costruzione di condizioni negative ed ipotetiche, me-diante il ricorso a condizionali controfattuali, ad ipotesi alternative al-la causalità storica 15. Anche l’agire attivo sarà fonte di responsabilità

14 La diatriba circa l’equivalenza tra causalità attiva ed omissiva è nota: dauna parte coloro che affermano, ricorrendo all’aliud factum, che anche l’impedi-re sia una categoria realistica della causalità, e che quindi la causalità omissivanon presenti alcuna strutturale differenza rispetto a quella attiva, dall’altra inve-ce, chi, partendo dalla premessa che l’omissione assume consistenza solo su unpiano normativo, ritiene che questa non possa spiegare una reale efficacia cau-sale, non essendo una vera e propria causa in senso fisico o cinetico, DONINI, Lacausalità omissiva e l’imputazione «per aumento del rischio», in Riv. it. dir. proc.pen., 1999, 32 ss.

Sulla causalità omissiva, V. SPASARI, L’omissione nella teoria del diritto pena-le, Milano, 1957, 58; ANTOLISEI, Il rapporto di causalità in diritto penale, Padova,1934, rist. Torino, 1960, 199; ONDEI, Osservazioni sulla causalità nei reati di omis-sione, in Giust. pen., II, 1949, 184; SINISCALCO, Causalità (rapporto di), in Enc.dir., VI, Milano, 1960, 639; PONZ DE LEON, La causalità dell’omissione nel sistemapenale, Milano, 1964; GRASSO, Il reato omissivo improprio, Milano, 1983; RENDA,Sull’accertamento della causalità omissiva nella giurisprudenza medica, in Foroit., 1986, II, 351; FIANDACA, Causalità, in Dig. disc. pen., II, 1988, 126; STELLA, Rap-porto di causalità, in Enc. giur., XXV, 1991, 14; PALIERO, La causalità del -l’omissione: formule concettuali e paradigmi prasseologici, in Riv. it. med. leg.,1992, 821; PATERNITI, La causa del fatto-reato, Milano, 1994; ROMANO, Commenta-rio sistematico del codice penale, II ed., vol. I, Milano, 1995; FIANDACA-MUSCO, Di-ritto penale parte generale, III ed., Bologna, 1995, 194. Nella letteratura tedescapiù risalente, WOLFF, Kausalität von Tun und Unterlassen, Heidelberg, 1965.

15 Secondo la formula della teoria della condicio sine qua non, sono giuridi-camente cause le condizioni che, se si eliminano mentalmente dal decorso rea-le, fanno venire meno l’evento – perché è la loro presenza ad averlo determinato– così come lo sono quelle che fanno venir meno l’evento se si aggiungono men-

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non soltanto per la sua causazione «reale», ma altresì e soprattutto perla competenza funzionale del soggetto a spiegare socialmente l’eventoin ragione del suo potere di fatto e dell’approfondimento del rischioscatenato dal suo operare colposo o doloso.

Allora, l’operazione di fare dell’aumento del rischio un esclusivo cri-terio di imputazione dell’evento nella sola causalità omissiva compor-ta un’arbitraria estensione della sfera della responsabilità penale, poi-ché si fonda principalmente su un giudizio di disvalore della condotta,che ha aumentato il rischio di verificazione dell’evento 16. Questa inde-bita trasformazione degli illeciti di danno in reati di pericolo e di puracondotta, secondo il criterio del rischio aumentato, viene estesa nonsoltanto alle ipotesi omissive o al l’interruzione di un processo causaledi salvataggio, assimilate alle prime, ma anche ad alcune condotte at-tive dolose, in cui l’agire ha contribuito a diminuire le chances di sal-vezza del bene giuridico oltre una certa soglia, ed è indispensabile unaccertamento ipotetico per verificare la rilevanza giuridica dello stessonesso di causalità ai sensi del l’art. 40 c.p. Qualora l’evento si sarebbecomunque verificato, e l’intervento medico ne abbia solo modificato le

talmente al decorso reale – perché è la loro assenza ad aver condizionato l’even-to. Nella causalità omissiva, l’assenza dell’intervento attivo è la condizione nega-tiva dell’evento, in quanto un tempestivo e doveroso intervento, che in realtà nonc’è stato, avrebbe avuto possibilità di successo. In queste ipotesi, il giudizio fat-tuale consiste in una mera constatazione del verificarsi dell’evento, che prescin-de da una vera «causazione» da parte dell’omittente, mentre il giudizio contro-fattuale concerne la ricostruzione della condotta illecita, supponendo un com-portamento alternativo lecito che in realtà non si è verificato. A questa ricostru-zione attraverso parametri normativi della condotta omissiva, segue poi l’accer-tamento, anch’esso in via ipotetica, dell’efficienza causale delle condizioni nega-tive dell’evento. La causalità omissiva sarebbe una causalità ipotetica con unastruttura doppiamente probabilistica, poiché deve supporsi mentalmente realiz-zata l’azione doverosa omessa, e poi nuovamente ipotizzare se, in presenza di es-sa, l’evento sarebbe venuto meno.Così DONINI, La causalità omissiva, cit.; STELLA,Leggi scientifiche e spiegazione causale in diritto penale, Milano, 1975. In propo-sito, FIANDACA, Reati omissivi e responsabilità penale per omesso impedimento del -l’evento, in Foro it., 1983, II, 235; ID., missione di misure anti-AIDS e contagio diun’infermiera in un reparto ospedaliero, in Foro it., 1990, I, c. 59. Nella letteratu-ra tedesca, WOLTER, La imputacion objetiva y el sistema moderno del Derecho pe-nal, in Internationale Dogmatiken objektiven Zurechnung und der Unterlassung-sdelikte. Omision y imputacion objetiva en Derecho penal, a cura di GIMBERNAT-SCHÜNEMANN, 1994, Madrid, 65; Schünemann, Sobre el estado actual de la dogma-tica de los delits de omision en Alemania, in Internationale Dogmatik der objekti-ven Zurechnung und der Unterlassungsdelikte, cit., 11; Jakobs, La imputacionobjetiva en Derecho penal, Madrid, 1996.

16 CRESPI, Medico chirurgo, in Dig. disc. pen., VII, 1996, 599; FIANDACA, Proble-mi e limiti della responsabilità professionale dello psichiatra, in Foro it., 1988, 128;GRASSO, Il reato omissivo improprio, cit., 548.

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coordinate temporali, si afferma la responsabilità a titolo di omicidionon soltanto quando si cagiona la morte di un soggetto che avvengaistantaneamente, ma anche quando si determini l’anticipazionedell’evento letale, o per non aver dolosamente impedito il verificarsi 17.Forse la giurisprudenza, così facendo, trascura l’indagine circa l’effi-cienza causale non della condotta omissiva, bensì di quella attiva maipotetica, di cui dovrebbe essere verificata l’idoneità, ovvero le alte pro-babilità, a scongiurare l’evento. La condotta doverosa ipotetica forseavrebbe solo inciso sulle modalità spazio-temporali di verificazione diesso? L’affermazione della responsabilità sulla sola base del criterioprobabilistico, alla stregua del c.d. criterio dell’aumento del rischio,anche quando non sia certo che la condotta diligente avrebbe impedi-to il verificarsi dell’evento, purché sia accertato che la condotta ne hadeterminato un rilevante aumento del rischio di verificazione, non puòche suscitare forti perplessità.

3. La condotta omissiva del medico: i casi di astensione terapeutica

La eutanasia passiva consensuale o volontaria concerne i casi in cuiil medico, pur conoscendo il corso degli eventi, sia rimasto intenzio-nalmente inattivo per permettere che il processo causale si svolga sen-za impedimenti legati all’operatività di coefficienti causali estranei.Nelle decisioni mediche di «astensione terapeutica» l’acceleramentodella morte è determinato dall’omissione di terapie dirette al prolun-gamento artificiale della vita, dalla rinuncia ad intraprendere terapieeziologiche relative a processi morbosi sopraggiunti ad una malattiainguaribile che conduce ad una morte prossima, oppure dalla sospen-sione o interruzione di tali terapie già attivate. La fenomenologia pre-sa in esame attiene anche alle ipotesi di sospensione o interruzionequalificate come omissive, ma che in realtà sono condotte commissiveassimilate a quelle omissive.

La casistica di questo tipo di decisioni mediche presenta due va-rianti, a seconda che il paziente sia ancora in stato di capacità di in-tendere e volere o invece non sia più in grado di esternare la propriavolontà. In quest’ultimo caso si distingue l’ipotesi in cui il paziente ab-bia in precedenza manifestato le proprie volontà attraverso i c.d. testa-menti di vita, da quella in cui tale ricostruzione della volontà non puòessere effettuata o perché nessuna intenzione in proposito sia statamai manifestata o perché la ricostruzione dalla volontà non raggiunge

17 Così Cass. 26 settembre 1990, in Cass. pen., 1992, 2100, in tema di colpaprofessionale.

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un grado ragionevole di prova. Alle ipotesi di eutanasia consensuale,sotto il profilo oggettivo è assimilata quella in cui il paziente ha dispo-sto le sue volontà antecedentemente al sopraggiungere dello stato diincapacità, con i c.d. testamenti di vita 18.

L’eutanasia passiva volontaria, tra le numerose decisioni medicheche comportano un abbreviamento del decorso di morte e che si con-figurano giuridicamente come concause della morte, è forse l’ipotesimeno controversa, poiché ad essa è riconosciuta una certa autonomarilevanza, in vista di una completa e massima espansione del diritto al -l’autodeterminazione del paziente. Si ritiene infatti che, qualora il pa-ziente, debitamente informato e capace (si suole dire «competente»)abbia esplicitamente richiesto (o rifiutato fin dall’inizio) il distacco delrespiratore o l’interruzione delle terapie straordinarie di sopravivenzain vita, questa volontà costituisca un limite invalicabile oltre cui losforzo medico deve arrestarsi.

Il punto controverso però attiene alla ricostruzione giuridica diquesta ipotesi di liceità. Infatti, con riferimento ai trattamenti medicidei morenti, è inevitabile che la posizione di garanzia del medico fini-sca per trasformarsi nel dovere di impedire la morte. Obbligo di ga-ranzia che, si badi, prescinde dalla volontà del paziente, dal momentoche le fattispecie di reato poste a tutela della vita umana rendono la vo-lontà della vittima inidonea ad esonerare da responsabilità il medi-co 19. Il consenso – o dissenso – a sottoporsi a trattamenti finali ed

18 Qualora si assuma la loro vincolatività, la situazione diviene identica aquella volontaria o consensuale, essendosi in presenza di una espressa determi-nazione del paziente: in entrambi i casi la volontà del paziente, espressa o solopresumibile da tali dichiarazioni, costituisce il criterio di legittimazione dellacondotta del medico, il quale ad essa deve attenersi, sia nel senso dell’interru-zione delle terapie, che nel senso della prosecuzione.

19 È pacificamente affermato che il medico assuma il ruolo di garante pereffetto dell’instaurarsi del rapporto di cura, le cui caratteristiche sono quelleproprie del rapporto di affidamento, che riconducono alla posizione di prote-zione, piuttosto che alla posizione di controllo, dovendosi richiedere al medi-co il compimento di una certa attività qualificata professionalmente. Nellamaggior parte dei casi sarà il paziente titolare del bene a rivolgersi al medico,assegnandogli la posizione di garanzia mediante un atto di trasferimento ne-goziale (posizione derivata). Secondo un altro orientamento è la c.d. necessitàterapeutica a rendere doveroso l’intervento del medico, ed incardinare la posi-zione di garanzia; in tal caso si dovrebbe affermare la natura originaria e difonte legislativa della posizione di protezione del medico, i cui referenti sonovariamente individuati nell’art. 32 Cost., per i casi di interventi obbligatori, o,nelle altre ipotesi, nella legge n. 833 del 1978, le cui finalità sono quelle dellapromozione, mantenimento e recupero della salute fisica e psichica di tutta lapopolazione, in proposito Cfr. DEL CORSO, Il consenso del paziente, cit., 567-569; IADECOLA, Eutanasia. Problematiche giuridiche e medico-legali, Padova,

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estremi, sarebbe dunque privo di alcuna valenza ai fini della qualifica-zione in termini di liceità del fatto. E ciò vale tanto per l’azione che perl’omissione, lasciando confluire ciascuna di queste situazioni fattualiverso una rigorosa ed inesorabile applicazione delle norme penali po-ste a tutela della vita umana 20.

I codici deontologici tendono a smussare tale obbligo di garanziainnanzitutto con riferimento ai casi di accanimento terapeutico 21. Inuna prospettiva più ampia, comincia ad affermarsi sempre più diffu-samente l’idea essi debbano trovare un preciso limite nell’autodeter-minazione del paziente, ossia nel principio di autoresponsabilità 22. Lericostruzioni più recenti tendono dunque ad indagare proprio sul con-

1991, 36, ritiene che tale dovere di intervento nasca dalla stessa legge profes-sionale.

20 Si tenga presente che sono frequenti le pronunce in cui alcun valore vie-ne attribuito alla determinazione della persona offesa ai fini dell’esclusione delnesso causale, ma solo ai fini dell’applicazione dell’attenuante per il concorsodel fatto doloso del soggetto passivo (art. 62, n. 5, c.p.). Ad esempio, si affermache il rifiuto della persona offesa di sottoporsi alle terapie adeguate possa legit-timare un’attenuazione della responsabilità dell’agente, ma non sottrae alle re-gole generali del rapporto di causalità e l’attribuzione di responsabilità per ilfatto illecito di un terzo. Così Cass. 13 gennaio 1964, in Giust. pen., 1964, II,801: il fatto doloso della persona offesa, che malintenzionatamente agisce al fi-ne di nuocere il colpevole, quando si inserisca come fattore concorrente nelladeterminazione dell’evento, può legittimare un’attenuazione della responsabi-lità dell’agente (art. 62, n. 5, c.p.), ma non sottrae alle regole generali del rap-porto di causalità; contraddittoriamente, anche Cass. 26 aprile 1966, in Cass.pen., 1967, 396: il rifiuto della persona offesa di sottoporsi ad un intervento chi-rurgico non costituisce causa sopravvenuta interruttiva del nesso di causalitàdel reato di lesioni; Cass. 8 febbraio 1967, in Giust. pen., 1967, II, 1164: la man-canza di cure appropriate dovuta ai sanitari o alla stessa persona offesa non in-terrompe il nesso di causalità tra azione illecita che abbia determinato la ma-lattia e poi l’evento, derivato da complicazioni patologiche che siano lo svilup-po naturale del processo morboso. E ciò anche quando la persona, colpita dainfezione tetanica a seguito di lesioni per fatto altrui, si rifiuti di praticare laprofilassi specifica. Infatti poiché la cura non è sempre sicuramente efficace ilrifiuto può aggravare il rischio, e giammai porsi coma causa unica sopravvenu-ta interruttiva del nesso.

21 BRICOLA, Vita diritto o dovere, cit., 218. Sul riconoscimento del rifiuto di te-rapie già la «Dichiarazione sull’eutanasia della Sacra Congregazione per la dottri-na della fede», e l’art. 36 del Codice di deontologia medica del 1995 nonché ilnuovo codice di deontologia medica del 1998 che stabilisce che «in ogni caso, inpresenza di un documentato rifiuto di persona capace di intendere e di volere, ilmedico deve desistere dai conseguenti atti diagnostici o curativi, non essendoconsentito alcun trattamento medico contro la volontà della persona» (art. 32).

22 In proposito, MILITELLO, La responsabilità penale dello spacciatore per lamorte del tossicodipendente, Milano, 1984.

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tenuto di questo «dovere» del medico, che trova nel principio dell’au-toresponsabilità un limite generale all’imputazione oggettiva dell’even-to, poiché l’esigenza di prestare attenzione agli interessi concreti dellavittima delinea una posizione di garanzia che finisce lì dove vi è unagestione diretta dei propri interessi attraverso un atto di autodetermi-nazione 23. Diversamente, ove si volesse ritenere che l’obbligo di garan-zia del medico non trovi limite di fronte ad una determinazione del pa-ziente, si dovrebbe assumere come oggetto di tutela agli effetti dellanorme penali un fatto puramente biologico (il che corrisponderebbead un’antinomia, poiché la legislazione vigente definisce chiaramenteil concetto normativo di morte in modo non coincidente con l’ipotesidi una vita esclusivamente biologica ed artificiale) o un valore astrattoe normativo che prescinde da una concreta individuazione degli inte-ressi individuali. Viceversa, il dovere di curare non risponde ad esigen-ze di giustizia generale, di ordine collettivo, ma sorge rispetto un indi-viduo determinato. Quindi, se il paziente, adeguatamente informato,pretende o acconsente all’interruzione della cura, il medico, in base alprincipio voluntas aegroti suprema lex, è esonerato dall’obbligo di im-pedire l’evento, ed agisce conformemente al suo dovere. Infatti, venen-do meno il presupposto di liceità del trattamento, il medico non avreb-be alcun coinvolgimento, né psicologico, né materiale, alla produzionede l l’evento, poiché la posizione di garanzia trova fonte in un accordo,nel consenso del paziente, e conseguentemente trova limite nell’auto-

23 Si segna così una inversione di tendenza all’interno della dogmatica deireati omissivi, nata ed orientata in funzione di una ampia tutela degli interessidella vittima. Quell’espansione dei doveri di solidarietà che ampliava le posi-zioni di garanzia non rifletteva un’esigenza di tutela dell’interesse di una vitti-ma concreta, ma l’interesse generale alla salvaguardia di certi beni, provocandoanche fenomeni degenerativi, di eccessiva responsabilizzazione del singolo difunzioni di tutela pubbliche. La stessa costruzione teorica delle fonti delle po-sizioni di garanzia, soprattutto nelle posizioni di controllo, in particolare allafigura del l’Ingerenz, in cui la creazione di un pericolo determina un bisogno disicurezza e l’aspettativa di un intervento eliminatore del pericolo, ha rappre-sentato un chiaro segnale della tendenza a fare del diritto penale uno strumen-to di solidarietà politica e delle posizioni di garanzia, delle fonti di doveri soli-daristici, così SEELMANN, Opferinteressen und Handlungsverantwortung in derGarantenpflichtedogmatik, cit., 243. L’autore aggiunge che si è trattato di unmodello mutuato dalla dottrina civilistica, trasferito in campo penale, che su-scita forti interrogativi di natura politico-criminale. Non è infatti del tutto chia-ro come mai la fiducia, l’affidamento destato ai terzi a causa della creazione diun pericolo, o del mancato apprestamento di mezzi a tutela e prevenzione di unpericolo, l’esistenza di un’organizzazione, possano tramutarsi in dovere giuri-dico di scongiurare tale pericolo e di attivarsi. V. MÖRSBERGER, Stichwort Ga-rantenpflicht. Erläuterungen zu einen schwierigen Rechtsbegriff, in Helfen mit Ri-siko, 1997.

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determinazione del paziente 24. L’assunzione di un obbligo di garanzianon può precludere del tutto che il titolare del bene garantito ne possain un qualche modo disporre, né comporta l’irrilevanza della sua vo-lontà 25. L’esercizio del diritto di autodeterminazione del pazientecomporta quindi, di nuovo, uno spostamento delle responsabilità, ma

24 Si pone allora il seguente interrogativo: la costruzione che individua nellavolontà del paziente un limite che segna i presupposti del dovere di garanzia delmedico, rimane coerente anche qualora tale attività sia posta in essere da unsoggetto sfornito della qualifica soggettiva di medico, o altrimenti la medesimacondotta comporta la configurazione di illecito penale?

Con riferimento alla possibilità di una soluzione differenziata per le diversecategorie di soggetti, a seconda che la morte sia la conseguenza della mancatasomministrazione di terapie o invece si prescinda da uno stato morboso e dal-le qualità del soggetto agente, sembra deporre lo stato della disciplina anche co-stituzionale della materia (l’art. 32, secondo comma, Cost. si riferisce espressa-mente soltanto ai trattamenti sanitari); d’altra parte considerazioni di ordinesostanziale conducono a ritenere che, qualora il fatto sia identico negli elemen-ti soggettivi ed oggettivi a quelle ipotesi su cui si registra una convergenza di li-ceità, è evidente che la volontà del paziente, costituisce manifestazione di un di-ritto di libertà che impone rispetto erga omnes e che si dirige nei confronti dichiunque, e non soltanto verso il medico, il quale certamente è il soggetto piùqualificato ad effettuare una valutazione della situazione clinica del paziente,ma materialmente non è l’unico esecutore della volontà del suo paziente. La li-mitazione della responsabilità in capo al medico non costituisce una scrimi-nante propria, ma discendente dall’estensione del diritto di libertà all’interno,ma anche al di fuori, della relazione terapeutica. Così GIUNTA, Diritto di moriree diritto penale, cit., 98 ss., che riconduce nell’ambito della scriminante dell’art.51 c.p. l’interruzione della macchina effettuata da persona diversa dal medico,ma nel rispetto delle leges artis, anche se colui che pone in essere tale condottanon potrà sfuggire alla responsabilità per delitto di esercizio abusivo di unaprofessione. Medesimi rilievi valgono per i casi di somministrazione di terapiedel dolore effettuata da persona diversa dal medico. Secondo CRESPI, Medico,cit., 600, questa soluzione muove da una nozione di attività medico-chirurgicache include tra i requisiti dell’atto medico, la qualifica soggettiva o formale dichi lo pratica: vale a dire la sua abilitazione. Si tratta di un’inclusione arbitra-ria dato che – a pena di tautologia – la definizione di un’attività non può dipen-dere dalla qualifica di chi la compie, essendo anzi il suo svolgimento un ele-mento di definizione formale del soggetto che la esegue; si propende quindi peruna nozione oggettiva di attività medica, che fa leva sulle finalità e sul rispettodelle leges artis.

25 Se è certamente vero che il consenso è il presupposto di legittimità di ognitrattamento medico, è evidente che solo ritenendo che si tratti di posizione deri-vata, che nasce da un accordo, il dissenso del paziente potrebbe costituire unasorta di revoca unilaterale o recesso dall’accordo. Diversamente è più problema-tica l’incidenza della volontà del titolare del bene tutelato se si tratta di una po-sizione originaria ex lege.

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in senso inverso: dal garante di nuovo al titolare 26. Se così si assume,deve concludersi che la volontà del paziente limita gli obblighi di soli-darietà – garanzia del medico, il cui comportamento ad oltranza no-nostante la contraria volontà potrebbe, al contrario, assumere rilevan-za penale 27.

26 Dunque, non si eleva alcun conflitto tra potestà di curare e diritto del pa-ziente, poiché in presenza di una volontà contraria del titolare dell’interesse pro-tetto, non sussistono gli estremi affinché un’omissione possa essere consideratala causa penalmente rilevante di un evento; o meglio, deve ammettersi che nonvi è stata alcuna omissione in senso normativo, non essendovi alcun obbligo giu-ridico di riferimento. Così per tutti, MANTOVANI, I delitti contro la persona, 1995,Padova, 123. Nella dottrina tedesca, v. LABER, Der Schtz des Lebeas, cit., 224;SCHRÖDER, Beihilfe zum Selbstmord und Tötung auf Verlangen, in ZSTW, 1994,577; KUTZER, Strafrechliche Grenzen der Sterbehilfe, in NSTZ, 1994, 110; HIRSCH,Der sterbende Mensch. Rechtliche Grenzen der ärtzlichen Behandlungspflicht, inZRP, 1986, 239; ID., Behandlungsabbruch und Sterbehilfe, cit., 597; SCHMITT, DasRecht auf eigenen Tod, in MDR, 1986, 617; ID., Eutanasie aus der Sich des Juri-sten, in JZ, 1979, 462; Stratenwerth, Sterbehilfe, in Schweizerzeitschrift für Stra-frecht, 1978, 60; HANACK, Euthanasie in strafrechtlicher Sicht, in Euthanasie. Pro-bleme der Sterbehilfe. Eine interdisziplinäre Stellungsnahme, cit., 121.

27 Questo orientamento trova un seguito anche nella recente sentenza dellaPretura di Roma, che esclude la responsabilità a titolo di omicidio colposo per ilmedico che abbia omesso di eseguire una trasfusione di sangue «salvavita» adun paziente che per motivi religiosi l’abbia rifiutata, poiché il medico, in man-canza di un consenso del paziente, non è destinatario di un obbligo giuridico diintervento attivo. In tal senso Pret. Roma, 3 aprile 1997, in Cass. pen., 1998, 950,con nota in senso contrario di IADECOLA, La responsabilità penale del medico traposizione di garanzia e rispetto della volontà del paziente, 953.

Nella fattispecie, i sanitari, avendo acquisito il rifiuto espresso del pazientecon certezza sia dalla dichiarazione di volontà sottoscritta dal paziente e con-trofirmata da due testimoni, sia dal rifiuto preventivo espresso oralmente, ave-vano interpellato il Procuratore della Repubblica affinché fosse data l’autorizza-zione a trasfondere il paziente, in contrasto alle sue volontà. I medici avevanocercato cioè una via istituzionale per effettuare una terapia trasfusionale, benessendo consapevoli che dall’omissione, sarebbe seguita la morte del paziente, evolendo escludere la volontarietà dell’evento morte. E difatti il pretore ha esclu-so la configurazione del dolo, affermando che il medico aveva in ogni modo cer-cato di evitare il probabile evento letale, e ravvisato un’eventuale responsabilitàa titolo di colpa. Sul tema, Corte d’Assise di Cagliari, 10 marzo 1982, e Corted’Assise d’Appello di Cagliari, 13 dicembre 1982, in Foro it., 1983, II, 27 ss. (casoOneda) con nota di FIANDACA; v. anche Pret. Catanzaro, 13 gennaio 1981, in Giu-st. civ., 1981, 3098; Pret. Caloria, 27 novembre 1977, in Dir. e giur., 1964, 841;Cass. 16 febbraio 1987, n. 203, in Arch. pen., 1988, con nota di RAYOLA, Diritto al-la vita, libertà religiosa e società, 589. V. D’ALESSIO, I limiti costituzionali dei trat-tamenti «sanitari», cit., 536; NUVOLONE, Religione e diritto alla vita, in Indice pen.,1982, 133; LENER, I testimoni di Geova e la punizione dell’omicidio, in Civiltà cat-

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Il rifiuto cosciente e responsabile alla somministrazione di terapieè stato solo in epoca recente considerato la soglia che vincola la deci-sione medica. L’idea che una persona, anche se cosciente ed in gradodi autodeterminarsi, potesse esprimere una sua volontà in direzioneopposta alla cura non era considerata minimamente persuasiva e ra-gionevole. Si spiega così la scelta assolutamente interventista diffusa alivello culturale tra i medici improntata sul «fare tutto ciò che è possi-bile per il paziente», e per altro verso, l’impegno dei giuristi volto allaricerca di giustificazioni a sostegno di quella prassi, affinché fosserointrapresi tutti i tentativi di cura anche in caso di una sola possibilitàdi sopravvivenza ed a costo di gravi menomazioni del paziente sia a li-vello fisico che neurologico.

L’orientamento consolidato negava dunque che l’esercizio del pote-re di autodeterminazione del paziente potesse estendersi ad libitum, fi-no a comprendere anche la libertà di rifiutare le terapie necessariequoad vitam, poiché rispetto alla libertà morale e il diritto all’autode-terminazione si riteneva prevalente l’interesse alla salvaguardia dellasua vita o della sua salute sulla base di un ipotetica determinazione deipropri interessi, conformemente all’istinto di conservazione (in dubiopro vita). Sarebbe pertanto poco plausibile sottoporre i doveri del me-dico ad una sorta di «condizione risolutiva» costituita dal dissenso delpaziente, qualora siano in gioco esigenze di tutela della vita – e non so-lo della salute –. Seguendo questa ricostruzione, che ha goduto di mag-gior seguito, il principio consensualistico dovrebbe scomparire del tut-to per lasciare spazio ad altre ragioni legittimanti 28, quali ad esempioquelle che puntano sulla «necessità medica» ovvero sullo stato di ne-cessità, per giustificare trattamenti sanitari salvavita, in assenza, edanche contro, la volontà dell’ammalato 29.

tolica, 1982, IV, 159; CRISAFULLI, In tema di emotrasfusioni obbligatorie, in Dir. esoc., 1982, 557; DEL RE, Culti emergenti e diritto penale, in Scritti in onore di U.Pioletti, 1982, 115; FIANDACA, Diritto alla libertà religiosa e responsabilità penaleper omesso impedimento dell’evento, in Foro it., 1983, II, 27; PARODI GIUSINO, Trat-tamenti sanitari obbligatori, libertà di coscienza e rispetto della persona umana, inForo it., 1983, 2660; SANTACROCE, Trasfusioni di sangue, somministrazione di emo-derivati e consenso informato del paziente, in Giust. pen., 1997, II, 118.

28 È questo il paradosso che il consenso è costretto a mettere in luce in situa-zioni in cui è in gioco la vita umana e non è possibile ricorrere al legale rappre-sentate: richiamato per tutelare la libertà di autodeterminazione del paziente,quando questa non può esprimersi, il consenso lascia il passo ad altre cause digiustificazione, facendo del medico l’unico arbitro delle decisioni mediche.

29 Sostiene che il rifiuto del paziente ad un trattamento «salvavita», implican-do un atto di disposizione della vita stessa (che è ritenuto bene inviolabile ed in-disponibile) sia contra legem e non possa essere vincolante per il medico, né esi-merlo da responsabilità penali qualora si attenga a tale rifiuto, ben potendo inve-

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Ma il generalizzato richiamo allo stato di necessità, se giustifical’intervento del medico in assenza del consenso, lascia irrisolto il pro-blema delle possibili conseguenze penali che potrebbero derivare dal-la mancanza di intervento, posto che si facoltizza, ma non si obbliga ilmedico ad intervenire 30. Rimane infine poco chiaro perché mai la ne-

ce lecitamente intervenire anche contro il consenso del paziente senza che si con-figuri alcun profilo di liceità, in quanto ritiene operante lo stato di necessità, laquale prescinde dalla volontà del soggetto riguardato dalla condotta giustificata,IADECOLA, Potestà di curare e consenso del paziente, cit., 11 ss.; ID., Il trattamentomedico-chirurgico di emergenza e il dissenso del paziente, in Giust. pen., 1989, 120;RIZ, Medico, cit., 9, nei soli casi di trattamenti obbligatori; RUGGIERO, Il consensodell’avente diritto nel trattamento medico-chirurgico, cit., 20; EUSEBI, Sul mancatoconsenso al trattamento medico, cit., 734, che riafferma il valore indisponibile del-la vita umana e contesta l’interpretazione dell’art. 32, secondo comma, Cost. inchiave prevalentemente volontaristica. Su questa posizione, recentemente AVECO-NE, La responsabilità penale del medico, cit., 36, il quale ritiene esistente non soloun diritto, ma un dovere di intervenire anche contro la volontà del paziente quan-do si tratti di salvargli la vita. A queste premesse si sono ispirati alcuni preceden-ti giurisprudenziali, in cui il giudice ha autorizzato emotrasfusioni su pazientidissenzienti, in quanto ricorreva il pericolo di un pregiudizio irreparabile ed im-minente per la sua vita, v. Pret. Pescara, 8 novembre 1974, in Nuovo dir., 1975, II,253. In tal senso la Corte di Cassazione ha affermato l’obbligo di effettuare l’inie-zione antitetanica anche in caso di dissenso del paziente, Cass. pen., 2 febbraio1967, in Giust. pen., 1967, II, 1184. Così MANTOVANI, Il problema della disponibi-lità, cit., 63, che tuttavia evidenzia i rischi di un uso generalizzato dello stato dinecessità, che potrebbe, in nome dell’urgenza, consentire un superamento dei li-miti posti dall’art. 5 c.c. a prescindere dal consenso e dalle finalità terapeuticheper il paziente, ID., I trapianti e la sperimentazione umana nel diritto italiano e stra-niero, cit., 240. Di contrario avviso è però parte della dottrina, in proposito BARNI-DELL’OSSO-MARTINI, Aspetti medico-legali e riflessi deontologici del diritto a morire,cit., 29; MODUGNO, Trattamenti sanitari «non obbligatori» e Costituzione, cit., 308.In verità la giurisprudenza e dottrina ricorrono alla scriminante in questionesempre in subordine quando non sia possibile acquisire il consenso valido.

Altra dottrina giustifica l’intervento su paziente dissenziente ricorrendo alconsenso presunto, CATTANEO, La responsabilità del professionista, cit., 270, men-tre quella più risalente ricorre alla legittima difesa, MANZINI, Trattato di diritto pe-nale italiano, cit., 409-410.

30 In verità prevale l’opinione secondo cui il medico non ha solo la facoltà exart. 54 c.p., ma persino il dovere di ostacolare la morte di colui che consapevol-mente la sceglie, opponendo ad un intervento di salvataggio, un lucido e fermodissenso, così che l’astensione del medico assuma rilevanza ai sensi della fatti-specie che punisce l’istigazione o aiuto al suicidio. Ma a prescindere dall’obbligodi scongiurare l’evento che scaturisce dalla posizione di garanzia, incombe sulmedico uti homo il dovere di prestare l’assistenza occorrente. In altre parole, sipotrebbe configurare come concorrente anche una responsabilità a titolo diomissione di soccorso, quale fattispecie che assolve ad una funzione di chiusuradi un sistema di nome penali che tutelano la vita umana ad oltranza, in qualun-que situazione e a prescindere da qualsiasi volontà dello stesso soggetto tutelato.

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cessità debba riferirsi solo al pericolo di vita, e non anche al pericoloalla salute del paziente, così da giustificare un maggiore raggio d’azio-ne dell’art. 54 c.p.

La tesi che fonda il dovere di intervento medico sulla fattispecie di omissione disoccorso nel caso di suicidio ha trovato larghi consensi in dottrina, ritenendosiche nessuna incidenza abbiano le particolari circostanze che hanno in concretodeterminato la situazione di pericolo attuale, né l’atteggiamento contrario o fa-vorevole all’aiuto, del soggetto passivo. La norma che punisce l’omissione di soc-corso, più ampia nell’ambito di applicazione rispetto quelle poste a tutela della vi-ta, verrebbe applicata in via esclusiva in tutte le situazioni in cui l’omittente siaun quisque de populo; nei confronti di un qualsiasi terzo, la punibilità della con-dotta omissiva può essere ricondotta solo nell’ambito della violazione dei doveridi solidarietà umana a titolo di omissione, mentre per soggetti qualificati da de-terminate caratteristiche soggettive (i c.d. garanti) la punibilità concerne sia lecondotte omissive che attive, a titolo di omicidio o partecipazione al suIcidio. Ciònonostante, più recentemente si osserva che una simile ricostruzione sortisce l’ef-fetto di dilatare eccessivamente lo spettro di azione dell’omissione di soccorso, ol-tre a complicare i rapporti tra le diverse fattispecie, sovrapponendole inutilmen-te. Il riferimento all’omissione di soccorso non sembra congruo e pertinente conla situazione del medico, poiché la norma dell’art. 593 c.p. non si rivolge in parti-colare ai medici, ma alla generalità dei consociati. Qualora si tratti di soggettoqualificato da una posizione di garanzia, il richiamo più congruo invece concer-ne l’istigazione o aiuto al suicidio, ed in particolare la condotta di agevolazione alsuicidio che tocca le regole della causalità sia materiale che eventualmente omis-siva, o quella dell’omicidio del consenziente, se la morte è procurata dal medico,purché ricorrano i presupposti di operatività della clausola di equivalenza postadall’art. 40, secondo comma, c.p. Non vi è dubbio che, se anche questa situazio-ne, connotata da una convergenza della volontà dell’omittente e di quella dellavittima, fenomenologicamente costituisce un’omissione di soccorso, normativa-mente debba essere ricondotta in una forma di aiuto omissivo al suicidio, o diomicidio del consenziente mediante omissione, quali fattispecie esclusive, pur-ché però sia incardinata una posizione di garanzia. Ovvero, le norme poste a tu-tela della vita umana possono essere integrate anche attraverso un’omissione disoccorso volontariamente diretta a favorire la morte, lasciando cioè che operiuna serie causale già iniziata ed autonomamente efficiente, ma questa conver-genza di norme è solo apparente, perché soltanto in assenza di una posizione digaranzia può assumere rilevanza la fattispecie di cui all’art. 593 c.p. La confluen-za, piuttosto che l’alternatività tra le norme, presta il fianco ad obiezioni ulterio-ri. Assumendo la ricostruzione che lascia cadere l’obbligo del medico in presenzadi un’opposizione da parte del paziente, si giunge inevitabilmente all’adozionedella regola della rilevanza della volontà del paziente, qualora questi si oppongaall’intervento, ai fini della configurazione dell’omicidio del consenziente, mentrenessuna rilevanza potrebbe assumere ai fini dell’omissione di soccorso. Così REI-NOTTI, Omissione di soccorso, cit., 43; GROSSO, Difesa legittima e soccorso di neces-sità, Milano, 1964, 227; GIULIANI BALESTRINO, Dovere di soccorso e stato di necessitàin diritto penale, cit., 13 ss.; NANNINI, Il consenso, cit., 522; EUSEBI, Sul mancatoconsenso al trattamento medico: profili giuridico-penali, in Riv. it. med. leg., 1995,736; IADECOLA, Potestà di curare, cit., 121. Altrimenti la doverosità discenderebbe

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Pertanto, deve concludersi che il dovere di prolungare la vita del pa-ziente non sia illimitato, ma al contrario possa essere circoscritto dal-la volontà espressa del paziente che rifiuta la somministrazione di te-rapie; e ciò non soltanto quando si tratti di una contraria volontà at-tuale, ma anche precedentemente espressa. Sembra quindi che di taledeterminazione il medico non possa prescindere, affinché si tuteli l’in-tegrità fisica da interventi estranei non desiderati. Alla volontà del pa-ziente, reale o legale, il medico deve sottomettersi, non potendosenediscostare se non a prezzo di assumere le responsabilità per tale con-dotta arbitraria 31.

Sembra invece pacifica l’ipotesi in cui il paziente, adeguatamenteinformato, manifesti un interesse alla prosecuzione delle cure, sebbe-ne queste abbiano natura puramente palliativa: in tal caso, nonostantel’ir reversibilità del decorso, il medico dovrà attenersi alla volontà delpaziente con conseguente estensione dell’obbligo di garanzia al man-tenimento in vita del paziente garantendo il maggior benessere possi-bilmente 32. Tuttavia è in discussione se la richiesta del paziente obbli-ghi il medico anche alla somministrazione di terapie ritenute ormai fu-tili, sproporzionate, ostinate, essendo soltanto il paziente l’unico sog-getto competente a valutare se un prolungamento della vita in quellecondizioni in cui verte, costituisce per lui un danno e un’aggressionealla sua dignità.

4. L’eutanasia passiva: l’interruzione di una serie causale di salva-taggio

Passiamo adesso ad affrontare la questione che riguarda la confi-gurazione giuridica della condotta del medico, allorquando questa si

dal reato di rifiuto di atti d’ufficio, qualora si tratti di medici appartenenti allastruttura pubblica, sulla qualifica soggettiva del medico-chirurgo, v. CRESPI, Me-dico-chirurgo, cit., 589. Nella letteratura giuridica tedesca, GEILEN, Probleme des §323c StGB, in Jura, 1983, 78; POHLMEIER, Selbstmord und Selbstmordverhütung,München, 1983; DÖLLING, Suizid und unterlassene Hilfeleistung, in NJW, 1986,1017; HEIN, Die Grenzen der Hilfeleistungspflicht des Arztes in Suizidfällen, Bonn,1992; RAMACCI, Premesse per una revisione, cit., 221; ID., I delitti di omicidio, cit.,161; DEL CORSO, Il consenso del paziente, cit., 570.

31 Il medico non ha quindi alcun dovere di curare, né tanto meno di curare adlibitum, poiché si tratta di un dovere, rectius, di una potestà, che trae legittimazio-ne dal consenso del paziente e nasce ab origine limitata dalla volontà di questi, ilcui atteggiarsi in senso contrario alla cura, paralizza l’azione doverosa del medico.

32 STELLA, Il problema giuridico dell’eutanasia: l’interruzione e l’abbandono del-le cure mediche, in Riv. it. med. leg., 1984, 1007.

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realizzi materialmente con un agire attivo, e non con un’omissione pu-ra, e precisamente con un’interruzione attiva dei decorsi causali di sal-vataggio, cui segue l’evento che tuttavia si verifica a causa di un auto-nomo processo patologico.

Il problema dell’interruzione di terapie di sostentamento artificialein vita e delle tecniche di rianimazione si colloca nell’ambito del capi-tolo dell’interruzione di un processo causale di salvataggio (Abbrucheiner Rettungscausalität), in cui il processo mortale deve essere attri-buito all’interruzione di un’attività precedentemente intrapresa, an-nullandone gli effetti. La produzione dell’evento suole essere ricondot-ta nell’ambito della causalità omissiva, quindi per equivalente, poichéquesto si è prodotto senza aver innescato un processo attivo di intera-zione di forze, ma da un autonomo processo patologico. Sebbene sot-to il profilo fattuale la condotta si configuri chiaramente come un fa-cere positivo, si è affermata l’idea che tale condotta sul piano normati-vo assuma il significato di quell’omissione vietata dalla norma: si trat-terebbe dunque di un agire attivo sul piano fattuale, ma che vale giuri-dicamente come un’omissione.

Sulla base di questo dato è stata elaborata, ma nell’ambito della let-teratura giuridica di lingua tedesca, la figura giuridica del reato omissi-vo c.d. mediante commissione (Unterlassung durch Tun), già conosciu-ta da tempo, ma studiata e presa in considerazione recentemente pro-prio in relazione ai casi suddetti di interruzione dolosa di una terapianon più utile e significativa per il paziente, allo scopo di estendere la co-struzione elaborata a proposito dei limiti alla posizione di garanzia 33.Infatti, qualora sussista una richiesta del paziente, tale omissione nonassume rilevanza penale in capo a colui che ha precostituito una situa-zione di salvataggio, pur sussistendo una posizione di garanzia.

Si tratta di una affascinante ricostruzione che tuttavia incontra di-verse obiezioni nella stessa dottrina tedesca in cui è fiorita, e ciò per ilsuo carattere artificioso che richiede un vera e propria operazione ditravisamento della realtà, poiché in simili ipotesi, si assiste ad un aliudagere, e cioè un agire diversamente ed in direzione opposta rispetto aquella che la norma penale di divieto richiedeva. Ed in effetti qui

33 Su questi aspetti, MEYER-BAHLBURG, Unterlassen durch Begehen, in GA,1968, 49; ROXIN, An der Grenze von Begehung und Unterlassung, in Festschrift fürENGISCH, Frankfurt am Main, 1969, 380; SEELMANN, Probleme der Unterscheidungvon Handeln und Unterlassen im Strafrecht, in JUS, 1987, 33.

In particolare, SAX, Zur rechtlichen Problematik der Sterbehilfe durch vorzeiti-gen Abbruch einer Intensivbehandlung.Überlegungen zum Unterlassen durch Tun,zum Schutzzweck der Norm und zur scheinbaren Rechtsgutverletzung, in JZ, 1975,145; SCHÖCH, Beendigung lebenserhaltender Massnahmen. Zugleich eine Bespre-chung der Sterbehilfe-Entscheidung des BGH vom 13.09.1994, in NSTZ, 1995, 153.

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l’agente tiene una condotta, ma non nella direzione voluta dalla nor-ma, così equivalendo ad un’omissione. Pertanto, non sarebbero chiarele ragioni di tale sostanziale equivalenza delle due condotte, a fronte diun’indubbia diversità naturalistica 34.

La costruzione dell’omissione mediante azione viene, per contro,avvalorata e sostenuta maggiormente, poiché in questi casi l’aliud age-re sarebbe pienamente identificato con un’omissione, la quale, in pre-senza di una precisa determinazione di volontà del paziente, sarebbedel tutto irrilevante penalmente. Ovvero si tratterebbe più precisamen-te di un’omissione mediante azione, e non di un agire che sottende unomettere lecito, perché non si tratta di un agire altrimenti e in sensoopposto all’obbligo, ma di un agire attraverso cui si adempie l’obbligodi attenersi e rispettare la volontà del paziente di sottrarsi a terapienon obbligatorie.

Il punto centrale della costruzione è che non può esservi alcuna ap-prezzabile differenza tra l’interruzione di terapie già intraprese e rinun-cia ab initio a somministrarle (questa sarebbe un’omissione vera anchenaturalisticamente), poiché il medico in entrambi i casi non ha instau-rato il processo causale che conduce alla morte del paziente, ma si in-serisce nel corso di un processo già messosi in moto naturalmente edautonomamente. È quindi sul terreno della causalità che si coglie la ca-ratterizzazione dell’eutanasia passiva: è tale la condotta di chi non im-pedisce l’evento-morte, la cui causa, in senso fisico e cinetico, non è co-stituita da una condotta umana, è un’omissione, anche quando la con-dotta è propriamente attiva. Evidenziando dunque il medesimo signifi-cato normativo e sociale della condotta del medico, sia che si tratti diagire attivo o di omissivo, l’aspetto che assume rilievo è l’inesistenza de-gli obblighi di cura, in presenza del limite costituito da una diretta ge-stione e tutela del titolare del bene protetto, che rifiuta la cura 35.

5. La responsabilità penale per l’ipotesi attiva: la somministrazionedi terapie del dolore

La tendenza giurisprudenziale precedentemente descritta utilizzaparametri normativi di attribuzione della responsabilità partendo dauna nozione di causa come quell’antecedente consistente nella con-dotta del medico che abbia soltanto aumentato le probabilità di veri-

34 Così GIUNTA, Diritto di morire, cit., 93.35 ENGISCH, Tun und Unterlassen, in Festschrift füer W. GALLAS, Berlin-New

York, 1973, 163, che fa riferimento al medesimo senso sociale.

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ficazione dell’evento o non abbia agito in modo da aumentare lechance di salvezza del bene, così anticipando o modificandone le mo-dalità di realizzazione. Ad essa, per contro, corrisponde l’articolarsidi tentativi volti ad escludere la rilevanza della condotta attiva cui siricollega eziologicamente la morte del paziente, quando questa costi-tuisca soltanto una conseguenza possibile o altamente probabile del-la somministrazione di farmaci analgesici, puntando sulla presuntariduzione del rischio, o sul non sensibile aumento di verificazione diun evento che si sarebbe inevitabilmente verificato, anche se con di-verse coordinate spazio-temporali e causali. L’indagine è ancora fina-lizzata sul piano dell’imputazione oggettiva, ma stavolta, in una dire-zione opposta: per negare la responsabilità penale. La ricostruzionedella liceità della condotta del medico avviene diffusamente attraver-so criteri normativi alla stregua dei quali correggere i risultati cuiconduce una rigorosa applicazione di una teoria causale puramentenaturalistica. L’argomento fa perno ancora una volta sulla riduzioneo non aumento del rischio, negando che in queste ipotesi si sia sensi-bilmente aumentate le probabilità di verificazione dell’evento, ed ol-trepassato il limite oltre il quale la condotta attiva assume rilevanzapenale 36.

Tuttavia, per quanto concerne le pratiche di eutanasia attiva, talesoluzione non sortisce alcun rilevante effetto sul piano pratico, poichési assume, per definizione, che l’eutanasia attiva acceleri la verificazio-ne dell’evento, sia pure indirettamente e come effetto collaterale. L’au-mento del rischio, quale ipotesi di esclusione dell’imputazione oggetti-va dell’evento per l’assenza di una sensibile probabilità statistica di suaverificazione, contraddice l’ipotesi assunta, cioè dell’efficienza causa-le, sia pure eventuale o indiretta, di tale somministrazione sulle moda-lità di verificazione dell’evento, e non fa altro che accertare se una con-dotta sia stata la causa rispetto ad un certo evento, oppure non lo siastata.

L’unico risultato che l’applicazione del criterio dell’aumento del ri-schio sortisce è quello di differenziare l’eutanasia attiva che causaprobabilmente o solo possibilmente la morte, ovvero a distinguere leipotesi in cui si crei una semplice possibilità di rischio di anticipazio-ne della morte (esclude l’imputazione oggettiva), da quelle di vero eproprio aumento del rischio di anticipazione (comporta imputazioneoggettiva). Ciò significa che solo la somministrazione di farmaci chenon sono tali per composizione, a provocare la morte, ma possono, incerte circostanze e in condizioni di salute fortemente deteriorate,provocarla, può essere considerata priva di un’efficienza eziologica,mentre i casi in cui il rischio del verificarsi della morte non è solo

36 STELLA, Il problema giuridico dell’eutanasia, cit., 1015.

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probabile, ma costituisce una certezza, sono dotati di tale efficienzacausale 37.

Il risultato, oltre ad essere assai misero, presuppone una chiara escientifica distinzione tra intervento che eventualmente causa la mor-te dall’intervento che probabilmente causa la morte, per natura estre-mamente sottile e tecnica, nonché rimessa alla diagnosi dello stato disalute complessivo del paziente. In realtà, nei casi in questione, non sitratta di aumentare il rischio di un evento che con altissime probabi-lità si verificherà in ogni caso, ma di interferire nel processo causaleanticipandone la verificazione, cioè modificandone le coordinate spa-zio-temporali. Non si tratta di una intensificazione della lesione, checomunque è data dalla morte del paziente, ma di valutare questo even-to, rispetto a quello alternativo che si sarebbe, con altre modalità, veri-ficato in ogni caso. La condotta del medico sortisce un’incidenza su unprocesso causale in atto che alla lunga avrebbe condotto al medesimoesito, anche se con modalità diverse, introducendo fattori autonomidotati di efficacia causale. Come valutare allora questa incidenza cau-sale, ed il «significato» che questi fattori che introducono modifiche adun processo causale preesistente? Si individua la necessità di «ridefi-nire» l’evento e di elaborare criteri che consentano di cogliere il signi-ficato e la portata di questi fattori causali rispetto al bene giuridicoprotetto: cioè rispetto agli effettivi e concreti interessi del titolare delbene, a prescindere da una valutazione astratta, normativa, della tute-la della vita umana.

Queste considerazioni inducono a prendere in considerazione il cri-terio dello scopo della norma violata che introduce un elemento di va-lutazione sostanziale: può affermarsi che le terapie del dolore con il ri-schio di abbreviamento della vita abbiano un significato sociale deltutto diverso da quello del delitto di omicidio, e cioè che una vita inagonia, che sta spegnendosi, non è meritevole di tutela penale e puònon rientrare tra gli scopi di tutela della norma, procrastinare la dura-ta della vita biologica. D’altra parte, l’argomento presta il fianco adun’o biezione: essendo scopo della norma che incrimina l’omicidioquello di tutelare la vita umana, il riferimento a tale ratio di tutela nonsarebbe di alcun ausilio, ma puramente tautologico, poiché rinvia a

37 BRICOLA, Vita diritto o dovere, cit., 216. Nella letteratura tedesca, PELZL, Andie Grenzen, cit., 188; HOHMANN-KÖNIG, Zur Begründung des strafrechtlichen Ve-rantwortlichkeit in den Fällen der aktiven Suizidteilnahme, in NSTZ, 1989, 304; re-centemente, LABER, Der Schutz des Lebeus, cit., 214, secondo cui la somministra-zione di farmaci non è punibile solo quando, con il consenso reale o presunto delpaziente, l’abbreviamento della vita è solo un possibile effetto dell’operato delmedico. Diversamente prevedeva il progetto alternativo del 1986 (AE-Sterbehil-fe) al par. 214a (v. infra).

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sua volta a considerazioni attinenti al «senso» e alle «ragioni» attualidella tutela della vita umana, che, così come sembrano essere model-late nel nostro codice penale, sono del tutto sorde alle ragioni indivi-duali, alle condizioni concrete e reali dell’individuo, titolare dell’inte-resse protetto.

6. Dal rifiuto di cura al diritto alla morte. La rilevanza della volontàdel paziente nell’eutanasia attiva e passiva

Il riferimento al contenuto e ai limiti degli obblighi solidaristici diimpedire l’evento in relazione al potere di autodeterminazione del pa-ziente, se da un lato fornisce una chiave di soluzione al problema del-la liceità dell’eutanasia passiva, dall’altro lascia impregiudicato il rap-porto tra il divieto costituzionale di trattamenti medici in contrastocon la volontà del paziente e le fattispecie penali poste a tutela della vi-ta umana, riproponendo, ancora una volta la contrapposizione tra iprincipi morali della sacralità e qualità della vita umana.

La tesi più rigorista amplifica il principio della sacralità – indispo-nibilità della vita umana, fino al punto di negare il diritto al malato ter-minale di rifiutare le terapie che lo tengono in vita, dato che ciò equi-varrebbe ad un’ammissione del diritto a lasciarsi morire. In certe si-tuazioni terminali o in vista di interventi rischiosi, il rifiuto di cure puòapparire assimilabile al suicidio, e perciò inaccettabile 38.

L’altra posizione invece nega i presupposti giuridici e concettuali diquesta tesi: al contrario, l’ordinamento giuridico fornisce chiare indi-cazioni a favore di un ampio riconoscimento del c.d. diritto a rifiutarele cure, senza alcun limite oggettivo, e in modo speculare non conce-pisce il dovere del medico come obbligo incondizionato ed illimitato.Pertanto il diritto a rifiutare le cure attrarrebbe a sé la piena liceità ditutte le condotte del medico, siano esse commissive o attive, purchéconsensuali.

Tra le due opposte ed estreme tesi, poi si muove quella mediana cuiperviene la dottrina maggioritaria che afferma l’incoercibilità del vive-re facendo leva sul secondo comma dell’art. 32 Cost. Anche quandoconduce alla morte, il consapevole rifiuto di cure integra il contenuto

38 Pertanto, sarebbe tendenzialmente illimitato il dovere di curare e di man-tenere in vita il paziente, e ciò fino al punto da configurare l’astensione terapeu-tica del medico che si attiene alle indicazioni del paziente come un’omissionepenalmente rilevante, riconducibile ora nell’art. 579, ora nell’art. 580 c.p., nellaforma dell’agevolazione al suicidio; in questo senso EUSEBI, Omissione dell’inter-vento terapeutico ed eutanasia, in Arch. pen., 1985, 525.

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di un diritto costituzionale, purché si tratti di un lasciar morire. Non sitratterebbe quindi di un diritto a morire ma del diritto a non curarsi,garantito costituzionalmente, e della sua massima estensione fino alleconseguenze più estreme, lasciandosi morire. La libertà di autodeter-minazione attrae nella sua orbita solo condotte omissive, e non anchecasi di autoaggressione o la condotta attiva di un terzo, che contribui-sce a causare la morte e viene attratta nell’ambito applicativo delle duefattispecie penali 39. In poche parole, mentre il consenso del pazienterivolto ad una pratica eutanasica riconducibile a quelle di tipo attivonon annulla il carattere antigiuridico della condotta del medico, maconduce solo alla configurazione di una forma attenuata di omicidio,il consenso del paziente relativo ad una attuale o futura astensione te-rapeutica invece paralizza l’estensione e la stessa esistenza della posi-zione di garanzia, ed esclude la responsabilità penale del medico chenon si sia attivato in salvataggio del suo paziente, ex art. 32, secondocomma, Cost. Ma ciò solo ove la morte non sia stata in termini natu-ralistici «cagionata» dal medico, ma sia stata soltanto non impedita, ri-spetto ad una serie causale naturale ed autonoma, su cui il medico noninterferisce.

Su queste conclusioni si registra una certa convergenza. Ora, se èpregevole lo sforzo dogmatico finalizzato a sottrarre all’applicazionedelle norme penali tali attività mediche, è anche innegabile che richie-de una forzatura eccessiva leggere tra le righe della norma prevista dal -l’art. 579 una differente rilevanza del consenso, quale accettazione allapropria morte da altri attivamente cagionata e accettazione della pro-pria morte quale conseguenza di facere negativo. La differenziazionecontenutistica tra diritto alla salute e diritto a morire, ricavata daun’in terpretazione dell’art. 32 Cost. come comprensivo del solo dirittoa rifiutare le cure, con esclusione di qualsiasi potere di disposizione at-tivo sulla propria vita, non è del tutto convincente, perché lascia in om-bra una riflessione sulle norme costituzionali che consentono una pie-na espansione delle posizioni di libertà.

Sotto un profilo più squisitamente tecnico-penale, è assai difficileritagliare uno spazio in cui risultino insieme compatibili la tesi che in-dividua nel rifiuto del paziente un limite al dovere del medico di cura-re, e una costruzione tecnica delle norme a tutela della vita come fatti-specie causali pure. I confini tra forme attive e passive sui quali de-marcare ipotesi di decisioni mediche lecite ed ipotesi illecite, spesso la-

39 Così MANTOVANI, I trapianti, cit., 87; ID., Aspetti giuridici, cit., 41; BARNI-DELL’OSSO-MARTINI, Aspetti medico-legali e riflessi deontologici, cit., 27 ss.; RAMAC-CI-RIZ-BARNI, Libertà individuale e tutela della salute, cit., 1983, 860; STELLA, Ilproblema giuridico dell’eutanasia, cit., 1018; VARANI, L’eutanasia nell’ordinamen-to giuridico italiano e nel nuovo codice, cit., 159.

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bili sotto il profilo fattuale, anche sul piano tecnico-giuridico mala-mente riescono a corrispondere ad un’effettiva individuazione di si-tuazioni di fatto per le quali nessuna rilevanza penale può prospettar-si, neppure in astratto. In verità tutte le ipotesi di eutanasia, sia nellaforma commissiva che in quella omissiva, consistendo per definizionein pratiche mediche che interferiscono nel processo patologico checonduce alla morte, ricadono nell’ambito applicativo delle fattispecielegali previste a tutela della vita umana, che si connotano per il datodella irrilevanza dell’autodeterminazione del paziente, laddove allacondotta del medico possa corrispondere un acceleramento della mor-te del paziente. L’identificazione dell’ambito della cura dei malati ter-minali, come specifico uso corretto del termine eutanasia, non segnaalcuna differenza rispetto al comune omicidio, nella forma rigorosa opiù attenuata, o alla partecipazione al suicidio, se non sul piano sulpiano descrittivo o su quello della critica del diritto vigente, non con-sentendo alcuna differenziazione che fa perno sui criteri di accerta-mento della causalità tra agire ed omettere o alle modalità di produ-zione dell’evento. Queste ricostruzioni dogmatiche non riescono quin-di a superare l’aporia e la contraddizione di dover applicare, a diffe-renza di quanto accade per un trattamento medico che non riguarda lafase terminale del paziente, le norme penali poste a tutela della vitaumana 40.

40 ENGISCH, Konflikte, Aporien und Paradoxien bei der rechtlichen Beurteilungder ärtzlichen Sterbehilfe, in Festschrift für DREHER, 1977, 310. Ed infatti i recentidisegni di legge e bozze in materia di dichiarazioni di volontà anticipate preve-dono espressamente una deroga agli artt. 579 e 580 c.p., o altrimenti una modi-fica dell’art. 50 c.p.

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CAPITOLO IV

L’EUTANASIA INVOLONTARIA

SOMMARIO: 1. L’eutanasia passiva involontaria o unilaterale: i mezzi ordina-ri e straordinari di cura e il criterio della proporzionalità. – 2. Segue: il «sen-so della vita» e la «perdita irreversibile della coscienza». – 3. La distinzionesecondo l’intenzione dell’agente: l’eutanasia (attiva o passiva) indiretta e di-retta.

1. L’eutanasia passiva involontaria o unilaterale: i mezzi ordinari estraordinari di cura e il criterio della proporzionalità

Come si è visto, il riferimento al diritto all’autodeterminazione delpaziente non è del tutto esaustivo quando si tratta di pazienti incapaciche non abbiano in precedenza esternato alcuna volontà. L’assenza diuna precisa determinazione da parte del paziente, sia di segno negati-vo che positivo, in ordine alla prosecuzione o interruzione delle cure,costituisce la generalità dei casi, poiché assai sovente i pazienti infer-mi non sono più nelle condizioni di esternare la loro volontà o di deci-dere autonomamente.

Nell’ipotesi, certamente più complessa, in cui manchi del tuttoqualsiasi presa di posizione da parte del paziente, le cui funzioni vitalisono ormai soltanto a livello vegetativo, si pone l’interrogativo circa ilsenso di una vita puramente biologica e in stato di incoscienza, pro-lungata quasi del tutto artificialmente. Ci si riferisce quindi a condi-zioni in cui manca la possibilità di una vita interiore, ad una condizio-ne di isolamento che è simile o prodromica della morte. In assenza diuna determinazione del paziente, l’obbligo di proseguire le cure persi-ste finché non intervenga la morte cerebrale, che segna cronologica-mente e normativamente il momento della morte?

In proposito si va affermando l’idea che il medico possa interrom-pere il trattamento e assumere direttamente una delle decisioni medi-che di fine vita già prima della morte cerebrale, pur in assenza di di-sposizioni da parte del paziente, dovendosi astenere da una condottadi ostinazione o accanimento terapeutico, che costituisce un illecitodeontologico. Il punto è individuare quale possa essere il criterio sulla

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base del quale giustificare la decisione medica e limitarne l’autonomia.Come si è avuto modo di notare, la soluzione cui si ricorre più fre-quentemente è quella della ricostruzione della volontà ipotetica o pre-sunta del paziente, così dando massima estensione al principio con-sensualistico e al diritto all’autodeterminazione del paziente, attraver-so l’interpretazione di ciò che sarebbe stata ragionevolmente la volontàdel paziente se si fosse trovato, cosciente, nelle condizioni in cui si tro-va. Ma più recentemente, nella prospettiva dell’individuazione di crite-ri oggettivi allo sforzo medico, si collocano le prospettive che effettua-no una valutazione utilitaristica degli interessi morali ed economicidel paziente e degli interessi generali alla prosecuzione di una terapiafutile o straordinaria, prescindendo del tutto da un criterio fondatosulla volontà 1.

Invero, già la teologia moralista classica ricorreva alla distinzionetra mezzi ordinari e mezzi straordinari di cura, secondo la quale l’ap-plicazione degli uni doveva ritenersi obbligatoria, quella degli altri ri-nunciabile. Il criterio della proporzionalità dei mezzi terapeutici venneelaborato verso la fine del secolo XVI in relazione ad operazioni chirur-giche che comportavano, a quei tempi, grandi sofferenze e mutilazionialla persona e riguardava principalmente le omissioni, ritenute lecitequando, in relazione all’entità della sofferenza del paziente, l’utilizza-zione della pratica terapeutica sarebbe straordinaria, sì da giustificarel’astensione terapeutica. Il criterio che fa perno sulla valutazione circal’ordinarietà o straordinarietà delle terapie si rivela però eccessivamen-te dipendente dallo stato di evoluzione della medicina (si è considerataordinaria la somministrazione dell’alimentazione artificiale e straordi-naria la respirazione artificiale), sicché poteva ritenersi esauriente nelquadro di una medicina relativamente statica dei secoli scorsi 2.

1 In proposito, l’art. 37 del codice deontologico del 1998 prevede che «in ca-so di compromissione dello stato di coscienza, il medico deve proseguire nellaterapia di sostegno vitale finché ritenuta ragionevolmente utile».

2 La relatività del giudizio si coglie immediatamente nel caso in cui due pa-zienti affetti dalla medesima malattia in fase terminale e in condizioni dispera-te, chiedono ambedue di essere aiutati a mettere fine alla propria vita. Ad unodei pazienti insorge una complicazione polmonare che richiede la somministra-zione di antibiotici, mentre nel secondo una complicazione che richiede ricorsoall’alimentazione artificiale. Nel primo caso il paziente muore a seguito dellacomplicazione polmonare che sarebbe stata evitata con il dovuto trattamento;nel secondo la rinuncia a procedere all’alimentazione artificiale provoca la mor-te per inedia. Secondo il parametro che fa perno sul carattere straordinario del-la cura, la terapia eziologica con antibiotici di sopravvenienze nel corso di pro-cessi patologici che conducono alla morte sarebbe da considerare straordinaria;sono invece ordinarie, e quindi non rinunciabili, le terapie che si limitano aduna terapia sintomatica, finalizzata ad alleviare il dolore o a mantenere il mala-

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Pertanto, la relazione tra questi gruppi di fattori (ossia mezzi ordi-nari o straordinari) è stata sostituita nel tempo con un diverso bino-mio, ovvero quello tra cure proporzionate e sproporzionate, che inse-risce un diverso parametro di valutazione poiché non pretende di sta-bilire quali siano i mezzi ordinari e quali non siano tali, ma che fondail giudizio di proporzione in rapporto alla situazione concreta in cuiverte il paziente 3. Dunque, si tratta di valutare una serie di diversi fat-tori, che vanno dalle possibilità di guarigione, alle condizioni di vitafutura del paziente, agli effetti collaterali e le complicanze della terapiastessa. Successivamente, con l’affinamento delle tecniche, sono statiaggiunti altri elementi di valutazione, relativi ai costi della lunga de-genza, al rapporto tra investimento di energie e il possibile esito nega-tivo della cura, alla natura sperimentale di questa, ecc., alla scarsezzadi risorse, o agli interessi prevalenti di altri pazienti con maggiori pro-babilità di ripresa, così da riconoscere, tra le ragioni, spesso tacite maassai frequenti, a favore dell’eutanasia involontaria, argomenti propridella casistica e letteratura americana, che scaturiscono da un’analisieconomica del diritto: non rientrerebbe tra i compiti del medico allun-gare la vita con metodi artificiali, senza tener conto dell’interesse ge-nerale ad una equa selezione e distribuzione delle limitate possibilitàtecniche a disposizione di altri pazienti che avrebbero maggiori pro-babilità di successo. Invero, l’elaborazione dei diversi criteri era fina-lizzata a porre un principio di soluzione alla questione dell’interruzio-ne dell’alimentazione e idratazione artificiale in pazienti in stato vege-tativo permanente, qualificate dal gruppo di studio «bioetica e neuro-logia» della società italiana di neurologia non come un qualsiasi attoterapeutico, ma mezzo normale di sostentamento, come tale una curasempre proporzionata, moralmente doverosa.

Le distinzioni tra mezzi ordinari e straordinari prima, e poi quellatra cure proporzionate ed eccessive e sproporzionate, che rappresenta-no il tentativo di stemperare l’assolutezza del dovere di preservazionedella vita umana di fronte ad una situazione di impossibilità morale 4,

to in vita, come l’alimentazione artificiale. Dunque: nel primo caso l’omissionesarebbe lecita, nel secondo invece non sarebbe accettabile moralmente, in quan-to concernente terapie normalmente dovute.

3 I mezzi cosiddetti proporzionati sono intesi come mezzi che offrono una ra-gionevole speranza di beneficio senza essere causa di grave disagio per il pa-ziente; quelli sproporzionati sono al contrario quelli dai quali non si attende al-cuna speranza di beneficio, ma che procurano solo un prolungamento precarioe penoso della vita. Mentre i primi sono moralmente obbligatori per il medico, isecondi sono dal punto di vista morale, elettivi.

4 Nella tradizione cristiana, così come il divieto di soppressione della vitaumana può ricevere eccezioni, altrettanto il dovere positivo di preservarla puòsubire della limitazioni, in quanto la vita umana costituisce il fondamento di tut-

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introducono considerazioni sulla qualità delle condizioni di vita delpaziente, invero coerenti solo nell’ambito delle teorie utilitariste 5, poi-ché nascondono un giudizio sul valore della vita 6: è infatti chiaro chenon sono i mezzi e la loro qualità, ma il loro uso in determinate circo-stanze a risultare ordinario o meno, qualunque sia il trattamento inquestione. Il giudizio etico sulla natura dei mezzi impiegati finisce conil basarsi con le condizioni della persona assistita, scivolando daun’etica della sacralità ad un’etica della qualità della vita; il mezzo im-piegato diviene straordinario in quanto straordinarie sono le condizio-ni del paziente 7.

ti i beni, e non è tutelata l’esistenza fisica in quanto tale. Ed infatti, nella Dichia-razione sull’eutanasia della Sacra Congregazione per la dottrina della fede si pren-de atto del mutamento terminologico collegato allo sviluppo delle tecniche, e siintroducono pertanto elementi di giudizio relativi alle condizioni dell’ammalato,alle spese sanitarie, alle difficoltà dell’intervento, in modo da incardinare il giu-dizio su elementi oggettivi, consentendo però una certa elasticità e adattabilitàall’evoluzione tecnologica.

5 MORI, Bioetica: la risposta della cultura contemporanea alle questioni moralirelative alla vita biologica, in Politeia, 1989, 10. Infatti la distinzione tra mezziproporzionati e sproporzionati equivale ad un abbandono dell’etica di base per-ché per essere adeguata al caso concreto deve inevitabilmente esprimere un giu-dizio morale privilegiando parametri soggettivi legati alle condizioni del pazien-te, ovvero in relazione al costo della prosecuzione delle terapie, in termini di do-lore e sofferenza, a cui non si accompagna un giudizio proporzionato di guari-gione.

6 ROMANO, Proporzionalità delle cure, in Dizionario di bioetica, cit., 764.7 La distinzione quindi tende ad introdurre nella valutazione morale elemen-

ti soggettivi non standardizzati, poiché non vi è un accordo sui criteri qualitati-vi che devono entrare in gioco nella valutazione, poco coerenti con una conce-zione che attribuisce ad ogni vita umana un eguale ma infinito valore, e con unaconcezione che vede nella vita umana un bonum honestum (ossia un bene asso-luto in quanto tale) e non un bonum utile (un bene fondamentale per la realiz-zazione di altri beni dell’uomo). In verità la distinzione tra valore intrinseco e va-lore strumentale della vita umana è accettata anche ai sostenitori della teoriadella qualità della vita, i quali evidenziano una diversa riflessione distinguendotra valore biologico e valore biografico. Mentre il valore della vita biologica èstrumentale, quello della vita biografica (cioè la narrazione presente delle pro-prie esperienze ed emozioni, progetti, relazioni) è intrinseco. La prima ha valo-re solo come mezzo per raggiungere l’altra, che rappresenta il vero valore o va-lore finale. Questo argomento tende a differenziare vite migliori e soddisfacentida vite infelici e sfortunate (è evidente che un uomo felice ha una vita miglioredi colui che soffre fisicamente o psicologicamente), pur mantenendo fermo ilprincipio dell’uguale rispetto della vita umana, così RACHELS, Uccidere, lasciarmorire e il valore della vita, cit., 277.

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2. Segue: il «senso della vita» e la «perdita irreversibile della co-scienza»

Gli argomenti che fanno perno sui mezzi ordinari o meno, sulla pro-porzionalità delle cure, o che valutano costi e benefici economici deitrattamenti, sono tutti orientati su modelli di tipo utilitaristico. Traquesti, si annovera il criterio del «senso della vita» che, con le sue com-ponenti fortemente suggestive e soggettive, presenta inevitabilmente ri-schi di strumentalizzazione: non essendo più possibile interpellare lostesso individuo circa il significato che egli ancora riconosce alla sua vi-ta futura, tale criterio rinvia all’individuazione di un’istanza esterna,competente a decidere sulla vita e sulla morte secondo propri parame-tri di giudizio. Pertanto si registrano altri tentativi che si allontananodal vago e soggettivo criterio del «senso della vita», per indicare quellodella inevitabilità e prossimità della morte, che rende inutile la sommi-nistrazione di qualsiasi terapia eziologica. Ma anche tale criterio nonriesce a superare l’interrogativo di fondo, e cioè se non rientri propriotra i compiti della medicina quello di impedire una morte predetermi-nata e imminente, e quindi se si possa rinunciare ad impedire la morte.

La soluzione maggiormente affermata è quella che fa riferimentoalla perdita irreversibile dello stato di coscienza, ovvero della perditatotale della capacità di comunicare con il mondo esterno. Quando siacaduta la speranza di recupero della coscienza spirituale, il dovere delmedico si arresta anche indipendentemente dal consenso preventivodel paziente, non essendo rilevante l’interesse a procrastinare un’esi-stenza irrimediabilmente compromessa e puramente biologica, poichél’intervento terapeutico servirebbe solo a posporre la morte 8. Ed infat-ti, la vita artificiale è equiparata a quella naturale, quindi tutelata nelmedesimo modo, purché il sostegno artificiale costituisca il mezzo te-rapeutico per il ritorno alla vita cosciente o alla vita autonoma 9; taleequiparazione non è però giustificata quando la situazione, secondo lamigliore scienza ed esperienza, è irreversibile, sicché l’organismoumano diviene quasi una macchina 10.

8 D’ADDINO SERRAVALLE, Brevi cenni in materia di eutanasia, in Legalità e giu-stizia, 1988, 319. La tesi secondo cui la perdita irreversibile della coscienza co-stituisce il limite ad ogni trattamento medico è stata fatta propria della Corte diAppello di Milano, decreto del 31 dicembre 1999, cit., che tuttavia ha sollevato laquestione dell’incertezza dei criteri, scientifici di definizione.

9 Così VERSPIEREN, Eutanasia? Dall’accanimento terapeutico all’accompagna-mento dei morenti, Cinisello Balsamo, 1985, 73 ss., secondo cui coscienza e vitadi relazione sono elementi essenziali per la definizione di persona umana.

10 HIRSCH, Behandlungsabbruch und Sterbehilfe, cit., 610; BOCKELMANN,Verlängertes Leben- verkürztes Sterben, in WMW, 1976, 145.

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D’altra parte, a queste considerazioni, si replica che il criterio dellacoscienza, pur suggestivo, non coglie la interconnessione tra funzionifisiche e spirituali, poiché esclude che le funzioni vegetative vitali sia-no pur sempre umane, e d’altra parte che la coscienza sia intrinseca-mente legata a processi biologici, i cui nessi funzionali e meccanisminon sono ancora perfettamente noti. La coscienza è un elemento ca-ratterizzante la vita umana, ma non l’unico, sicché sussiste l’obbligo diattivarsi anche quando vi è una sola possibilità di recuperare la vita ve-getativa: anche gli individui decerebrati per i quali l’attività di respira-zione e cardiocircolatoria non è spontanea, conservano integro il ba-gaglio dei diritti essenziali, alla vita, alla salute, all’integrità fisica. Sa-rebbe dunque erronea la totale assimilazione di casi di pazienti chehanno subito danni cerebrali (ad esempio cerebrolesi o handicappatigravi, soggetti in stato di coma irreversibile) alla completa morte cere-brale, dal momento che la perdita anche definitiva della coscienza nonfa decadere l’uomo dalla condizione umana e ciò equivarrebbe ad unaanticipazione del concetto normativo di morte 11.

Si obietta quindi che il limite alla doverosità dell’intervento medico,individuato nella possibilità di recupero della coscienza spirituale daparte del paziente, se pure presenta il pregio di prescindere da conside-razioni in ordine alla dignità o al valore della vita, tuttavia sembra con-tenere in sé i germi della distinzione tra essere umano e persona, e cioèconsiderazioni circa lo status giuridico dell’uomo, secondo quanto èstato anche recentemente sostenuto da alcune correnti del pensiero fi-losofico utilitarista che suppongono la possibilità di diversificazione ditutela giuridica in relazione al fatto che non tutti gli esseri umani han-no lo status di agenti morali, e cioè di persone, dotate di autonomia 12.

Nel dibattito sull’eutanasia passiva, il passaggio dall’uso di criteriformali (quale quello del consenso presunto o della distinzione tra mez-zi ordinari e mezzi straordinari) a favore di criteri più sostanziali, chetendono a mettere in evidenza l’impossibilità di un minimo di realizza-zione dell’individuo in condizioni terminali di vita, presenta il pregio dispostare la prospettiva verso il paziente, come soggetto concreto e por-tatore di un’istanza di dignità umana che non si identifica con la mera

11 EUSEBI, Omissione dell’intervento terapeutico e eutanasia, in Arch. pen.,1985, 508.

12 Si è giunti fino a supporre una non coincidenza tra il concetto di persona,in senso filosofico, culturale, medico, giuridico, e il concetto di uomo, in mododel tutto avulso da referenti di tipo naturalistico. L’uomo sarebbe infatti un con-cetto normativo che si compone di due elementi: l’esistenza biologica e il rico-noscimento sociale, spesso collegato alla sua autonomia e alla sua capacità dipensiero. Questo riconoscimento sociale presuppone un atto di accettazione e diattribuzione dello status di persona, diverso da quello di semplice essere umano,SINGER, Etica pratica, Napoli, 1989.

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sopravvivenza biologica, anche se certamente la presuppone. D’altraparte un tale slittamento verso criteri sostanziali offre il fianco a pene-tranti critiche per l’assunzione, inevitabile, di una prospettiva di valore.

3. La distinzione secondo l’intenzione dell’agente: l’eutanasia (attivao passiva) indiretta e diretta

La distinzione tra eutanasia diretta ed indiretta, a differenza diquella tra attiva e passiva, incentrata sul tipo di meccanismo causale diproduzione dell’evento, assume a criterio il possibile contenuto dellavolontà del medico nel momento in cui pone in essere una delle deci-sione mediche c.d. di fine vita. L’eutanasia si definisce «indiretta»quando la vita di un paziente viene abbreviata non intenzionalmente,pur discendendo dalla condotta del medico; ovvero l’abbreviazionedella vita è un effetto puramente collaterale od indiretto della sommi-nistrazione di forti analgesici o dell’interruzione o dell’omissione diuna cura che potrebbe prolungare la vita. Questa sottile distinzioneche prende in considerazione la connotazione psicologica dell’agiredel medico, evidenzia come, nel caso di somministrazioni di dosi piùmassicce di analgesici, anche se il medico prevede che la vita del pa-ziente potrà essere abbreviata, l’accettazione del rischio che la terapiapossa comportare quell’effetto non implica necessariamente, anzi sene differenzia, dall’accettazione della morte (eutanasia attiva diretta)come mezzo deliberato per porre fine alle sofferenze. Il rischio di talieffetti è ben presente al terapeuta, ma la serietà dei rischi è proporzio-nata alla prognosi della malattia, e la dose finalizzata a lenire i dolori.

Altrettanto, se si rinuncia alla somministrazione di antibiotici, in-sulina, cibo, liquidi, consentendo così che sopraggiunga la morte, sipone la necessità di differenziare la condotta omissiva diretta a pro-vocare la morte, da quella indiretta, qualora lo scopo non sia quello diinterrompere la vita del paziente, ma di rinunciare alla cura al fine diconsentire che la malattia faccia il suo corso. Nell’ambito delle con-dotte omissive, si tende ad agganciare la liceità della condotta del me-dico a parametri oggettivi, sì da poter dedurre il carattere diretto o in-diretto dell’effetto morte e qualificare la condotta omissiva del medi-co: sono così richiamati quei criteri di proporzione tra i mezzi utiliz-zati e obiettivi di cura che caratterizzano il dibattito sulle forme di eu-tanasia involontaria e sulle situazioni in cui l’accanimento terapeuti-co è vietato 13. Il fatto che poi, nella realtà delle dinamiche emozionali,

13 Qualora una persona possa essere mantenuta in vita senza molti rischi conl’uso di mezzo proporzionato, come ad esempio un derivato della penicillina, ma

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il paziente o anche lo stesso medico, possano sperare in una morte«dolce», non assume rilevanza, perché quel che conta è che l’azionenon sia il mezzo per raggiungere direttamente lo scopo di provocare lamorte del paziente, ma sia concepita come un mezzo necessario e nonaltrimenti sostituibile rispetto lo scopo ultimo, ovvero alleviare le sof-ferenze.

L’eutanasia indiretta presuppone concettualmente la sua differen-ziazione con la forma diretta di eutanasia, identica sotto il profilo og-gettivo, ma in cui l’acceleramento dell’esito mortale rappresenta l’obiet-tivo principale perseguito, quale unico ed estremo rimedio a condizio-ni così deteriorate di vita. La morte qui non è un effetto secondario,probabile o possibile, ma comunque non voluto, della somministrazio-ne di certe cure, ma è la finalità che l’operatore persegue, sia pure conmezzi che facilitano e rendono indolore il trapasso, allo scopo di sot-trarre il paziente dagli strazi dell’agonia. Questa situazione di uccisionediretta non presenta alcuna peculiarità rispetto ad un omicidio comu-ne, al più attenuato dai motivi di particolare valore sociale, se non peril fatto di verificarsi in ambiente medico, posto che alleviare il dolore al-trui è comunque una motivazione altruistica, anche se la condotta delmedico è deliberatamente finalizzata a provocare la morte. È questal’unica ipotesi perfettamente coincidente con le previsioni della leggepenale, e corrispondente alle intenzioni del legislatore sul fenomeno.

Sull’eutanasia indiretta invece si sono espressi favorevolmente siaesponenti del pensiero laico che religioso. L’argomento sostenuto tra-dizionalmente fa perno sulla distinzione del contenuto del dolo del -l’agente. Lo scopo infatti è quello di rimuovere uno stato di sofferenza,e non di uccidere, anche se la realizzazione di questo avviene attraver-so il verificarsi della morte. L’effetto ulteriore della morte, pur essendocausalmente riconducibile all’azione del farmaco, non ne costituiscel’oggetto specifico, ma è un effetto non voluto, che segue necessaria-mente sul piano naturalistico e causale, ma che è estraneo agli scopidel l’agente 14. Manca il dolo tipico del delitto di omicidio, perché

non se ne volesse fare uso, si dovrebbe dire che il medico che omette la sommi-nistrazione di questa terapia sta praticando una eutanasia passiva diretta, inquanto cioè la rinuncia a questi mezzi è finalizzata a provocare la morte. Se in-vece il medico rinuncia a mezzi non proporzionati, e il paziente decede, ma lasua intenzione è solo quella rinunciare allo scopo, e non di provocare la morte,deve parlarsi di eutanasia passiva indiretta. In tal senso ENGISCH, Suizid undEuthanasie nach deutschen Recht, cit., 329 ss.; STELLA, Il problema giuridico,1015; Ramacci, Premesse per una revisione, cit., 290; DE MARSICO, La lotta controil dolore, cit., 219.

14 Le soluzioni su questo piano, sembrano oggi arricchirsi con riferimento aduna concezione della colpevolezza che richiede una stretta partecipazione ed ap-partenenza del fatto materiale al vissuto psicologico cosciente del soggetto agente.

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l’agente, pur agendo con coscienza e volontà nel porre in essere l’azio-ne, non vuole l’evento, che tuttavia è conseguenza inesorabile della suaazione, ma rappresenta un rischio, che pure il medico conosce e pren-de in considerazione. Dunque, se confortata dal consenso del pazien-te 15, non acquista alcuna rilevanza penale la condotta del medico, maanzi il ricorso a tali terapie è doveroso, nonostante produca l’accelera-mento del processo di morte, poiché rientra tra i suoi compiti e doverianche quello di alleviare le sofferenze 16.

Nella costruzione tecnica di tale liceità, è di chiara evidenza la forteinfluenza che ha sortito la dottrina del doppio effetto, secondo la qualeun’azione di per sé benefica può comportare un ventaglio di eventi, deiquali alcuni sono benefici e voluti, ed altri non voluti e negativi. La teoriadel doppio effetto tende a scandagliare la situazione psicologica del -l’agente ed a riconoscere ad essa una certa accettabilità, purché la morte,conseguenza della sospensione o del mancato inizio di un trattamento,rappresenti solo l’effetto non direttamente voluto di un’omissione delmedico, la cui intenzione è invece quella di risparmiare al paziente il di-sagio derivante da un trattamento medico eccessivamente gravoso.

Tuttavia la differenziazione tra eutanasia indiretta, ritenuta dai piùlecita, ed eutanasia diretta, per la quale sono assolute le attribuzioni diilliceità 17, si presenta in tutta la sua problematicità, in quanto esclusi-vamente fondata su un elemento di natura psicologica, relativo alle fi-

In proposito, DE FRANCESCO, Il modello analitico tra dottrina e giurisprudenza: dom-matica e garantismo nella collocazione dell’elemento psicologico del reato, in Arch.pen., 1991, 107; MARINUCCI, Non c’è dolo senza colpa. Morte della «imputazione og-gettiva dell’evento» e trasfigurazione della colpevolezza, in Riv. it. dir. proc. pen.,1994, 33; DONINI, Il principio di colpevolezza, in AA.VV., Introduzione al sistema pe-nale, I, a cura di INSOLERA-MAZZACUVA-PAVARINI-ZANOTTI, Torino, 1997, 198.

15 In base ad un’autorevole opinione sostenuta in passato sarebbe il consen-so presunto, quale elemento tacito o inesistente in concreto, ad escludere il dolodel medico, il quale agendo in buona fede, sarebbe convinto che il proprio com-portamento non è contrario alla legge, così MANZINI, Trattato di diritto penale ita-liano, cit., 511 ss. GRISPIGNI, La liceità giuridico-penale del trattamento medico-chirurgico, cit., 479. La tesi dell’assenza dell’elemento psicologico è trattata dif-fusamente da NANNINI, Il consenso, cit., 48. Per una esposizione più recente diqueste teorie, V. anche AVECONE, La responsabilità penale del medico, cit., 14.

16 La prospettiva tende ad attribuire una rilevanza giuridica agli scopi e aimotivi dell’agire del medico, che certo non intende arrecare danno al paziente,ma al contrario vuole il complessivo miglioramento del suo stato, così ESER, Mö-glichkeiten und Grenzen der Sterbehilfe aus der Sicht eines Juristen, cit., 167.

17 Nella letteratura tedesca la forma diretta e attiva è ritenuta senza eccezio-ni punibile, neppure attraverso il ricorso al par. 34 StGB, LABER, Der Schütz desLebens, cit., 193; a favore dell’applicabilità, in casi eccezionali, del par. 34, HERZ-BERG, Sterbehilfe als gerechtfertige Tötung, cit., 3047.

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nalità dell’agente. Se così si vuole sottolineare la diversa intenzionedel l’agente, d’altra parte si amplia lo spettro del giudizio includendo lemotivazioni dell’agente che, evidentemente, se è determinato ad agiremalgrado la previsione dell’ulteriore esito negativo che si accompagnainderogabilmente a quello positivo desiderato, evidentemente accettao tollera anche tale effetto, ben potendo rinunciare al progetto 18. Que-sta differente connotazione dell’elemento psicologico rende alquantodubbiosa una ricostruzione della liceità dell’una che non intacchi l’as-sunto dell’illiceità dell’altra. Come superare gli argomenti che ne sotto-lineano il medesimo disvalore sul piano della morale positiva, se sisuppone la medesima situazione di fatto su cui interferisce il medico(ossia prossimità della morte, gravissimo stato di devastazione fisica epsicologica, eventuale consenso del paziente ecc.)? Ma anche assu-mendo una diversità sostanziale di significati delle due condotte, restail fatto che sono evidenti e spesso insormontabili le difficoltà probato-rie connesse a tale differenziazione: è estremamente difficile dimo-strare se l’ultima dose di antalgico che è stata somministrata e che pro-voca la morte, sia volta premeditatamente allo scopo di uccidere perinterrompere le sofferenze del paziente o invece la morte sia derivatacome conseguenza prevista e prevedibile, ma non voluta 19.

La tesi suppone una distinzione tra volontà dell’azione e mancanzadi volontà, ma coscienza del verificarsi dell’evento in relazione ad unfatto voluto, che è tipica del dolo eventuale 20. Pertanto, sembrava do-versi del tutto escludere quantomeno la presenza del dolo c.d. diretto o

18 Neppure sul piano delle intenzioni può ravvisarsi una differenziazione trale due ipotesi: in entrambi i casi il medico è vero, non vuole la morte, ma miraad essa perché non c’è altra ragione per omettere il trattamento se non quella dipermettere che la malattia faccia il suo corso ed il paziente possa morire.

19 In verità l’argomento, connotato dall’intento di cogliere l’effettivo atteggia-mento psicologico del medico e la proiezione positiva e benevola della sua con-dotta volontaria non mira a negare la coscienza del carattere illecito della pro-pria condotta, di cui il medico ben può essere consapevole, se edotto e al cor-rente dei rischi giuridici connessi all’esplicarsi della sua attività, quanto la ca-renza della volontà di aggredire beni giuridici, ovvero la caratterizzazione delelemento psicologico come coscienza e volontà di non produrre un danno, checostituirebbe causa di esclusione del dolo, così DELOGU, Teoria del consensodell’avente diritto, Milano, 1936, 41-42, o altrimenti la mancanza della coscienzae volontà di offendere il bene giuridico tutelato dalla norma incriminatrice, cheesclude il dolo, inteso come previsione e volizione dell’evento in senso giuridicoaltrimenti la mancanza della coscienza e volontà di offendere il bene giuridicotutelato dalla norma incriminatrice, che esclude il dolo, inteso come previsionee volizione dell’evento in senso giuridico, così PEDRAZZI, Consenso dell’avente di-ritto, cit., 151 ss.

20 V. CANESTRARI, Dolo eventuale e colpa cosciente, Milano, 1999.

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intenzionale: non v’è alcun dubbio che il risultato voluto o cui aspira ilmedico sia sempre la guarigione del malato, a prescindere dall’esitocon il quale in concreto, l’intervento si concluda. Gli esiti di questa so-luzione sono però discutibili: sappiamo che un certo risultato deveconsiderarsi voluto non soltanto quando è stato il punto di mira del -l’attività del soggetto, ma anche quando è stato previsto e al tempostesso, accettato nell’eventualità che si verifichi 21. È superfluo ricorda-re che secondo i principi generali dell’imputazione dolosa, la volontàdi uccidere può desumersi dal solo fatto di essere a conoscenza deglieffetti della terapia sulla vita del paziente: anche escludendo il dolo di-retto, il medico informato circa gli effetti della terapia e che comunquela somministra accettando il rischio di morte agisce con dolo eventua-le. È indifferente che egli voglia o non voglia la morte del suo paziente,poiché legge penale non distingue tra certezza dell’evento, risultatoconsapevole e voluto di una determinata azione, e semplice prevedibi-lità del medesimo come conseguenza non voluta ma prevedibile e pre-vista della propria azione

È noto inoltre che ad ogni tipo di intervento sono collegati rischi didanno, e che sono rari i casi di pericoli il cui insorgere non sia in qual-che modo prefigurabile. Il medico, quindi, sarebbe tenuto a risponde-re del reato di omicidio volontario anche nel caso in cui, pur rappre-sentandosi e prevedendo gli effetti dannosi o i rischi connessi al tipo diintervento, compia ciò nonostante, l’attività medica ed il cattivo esitosia dipeso solo dalla concomitanza di circostanze particolari. Un com-portamento idoneo e finalizzato a salvaguardare l’interesse protettoverrebbe equiparato a una condotta dominata da tutt’altre finalità.

Sulla base di queste osservazioni, si è voluta allora spostare l’atten-zione sugli indici oggettivi sui quali fondare un accertamento della di-rezione della volontà, così da restringere la rilevanza dell’elemento psi-cologico. Su questa direzione si colloca l’orientamento che ritiene siabbia dolo eventuale solo nel caso in cui l’atto compiuto cosciente-mente determini, in relazione al bene protetto, una situazione di ri-schio tale da oltrepassare i limiti di tolleranza che segnano, nel casospecifico, il confine tra l’area del consentito e quella del vietato. Il cri-terio dell’aumento del rischio, impiegato nell’approfondimento dellacolpa, qualificherebbe così anche il dolo dell’agente, escludendo quel-le condotte non connotate dalla piena consapevolezza di fare aumen-tare le probabilità di verificazione dell’esito infausto. Solo nella oppo-sta circostanza, in cui tale consapevolezza vi sia, l’eventuale risultatonegativo, qualora si verifichi, dovrebbe essere imputato a titolo di do-

21 GALLO, Il dolo. Oggetto e accertamento, in Studi urbinati, Milano, 1951-2,125 ss.; ID., Dolo (dir. pen.), in Enc. dir., XIII, Milano, 1964, 750; VASSALLI, Colpe-volezza, in Enc. giur. Treccani, Roma, 1988.

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lo. Verrebbe così attribuita rilevanza all’assenza di una volontà direttaesclusivamente all’aggressione del bene protetto, che caratterizza le si-tuazioni prese in esame, rendendo compatibile unicamente il dolo in-tenzionale, e non anche quello eventuale e diretto 22.

In proposito, si è pronunciata recentemente a favore dell’ammissi-bilità dell’eutanasia attiva indiretta per somministrazione di farmacianalgesici il BGH in Germania con sentenza del 1996 (caso c.d. dolati-na), in cui si afferma il principio della ammissibilità di tali terapie,somministrate con il consenso presunto o espresso del paziente, qua-lora la morte costituisca un effetto collaterale inevitabile e non voluto,benché prevedibile 23. Il BGH ha stabilito che solo uno dei medici im-putati avrebbe realizzato una pratica di eutanasia indiretta, che non èpunibile, essendo la morte non causata dal farmaco in questione, maun effetto collaterale (Nebenresultat) e non voluto della somministra-zione necessaria di una terapia analgesica forte.

22 Così NANNINI, Il consenso, che richiama la dottrina tedesca in proposito,cit., 54-55, note 65-66. A questa ricostruzione vengono, d’altra parte, sollevate al-cune obiezioni: si rileva che ciò può condurre ad un recupero nell’ambito dellaresponsabilità per colpa cosciente, di quelle condotte non contrassegnate dallatensione immediata della volontà verso l’evento, purché la condotta sia in con-trasto alle regole dell’arte. Ed inoltre, questa ricostruzione giunge ad una diffe-rente ricostruzione della struttura del dolo a seconda che si tratti di interventimedici, o di qualsiasi altra condotta astrattamente riconducibile ad una fatti-specie legale, così IADECOLA, «Diritto di morire» e potestà medica di curare, cit.,3664; ID., La responsabilità penale del medico tra posizione di garanzia e rispettodella volontà del paziente, in Cass. pen., 1999, 953.

23 In verità il caso concerne l’ipotesi di eutanasia attiva diretta che indiretta,poiché uno dei due medici che prescrisse la somministrazione di un analgesicopiuttosto potente, la dolatina, intendeva procurare la morte alla paziente al fine diereditare il suo cospicuo patrimonio; Beschluenigung des Todeseintritts durch Ein-satz schemerzlindernder Mittel, BGH del 15 novembre 1996, in NSTZ, 1997, 182.

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PARTE IV

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CAPITOLO I

SUICIDIO E ISTIGAZIONE AL SUICIDIO

SOMMARIO: 1. L’istigazione o aiuto al suicidio e l’omicidio del consenziente. –2. Il suicidio nella tradizione giuridica. – 3. Il problema della liceità del sui-cidio. La tesi della tipicità implicita e dell’antigiuridicità per violazione de-gli obblighi di solidarietà. – 4. Alle radici della tutela della vita umana: la li-bertà di morire. – 5. Le ragioni a fondamento dell’incriminazione della par-tecipazione al suicidio. – 6. L’idoneità ad interferire nel processo motivazio-nale del suicida nelle condotte di determinazione e rafforzamento. L’agevo-lazione. – 7. La presunta incostituzionalità delle leggi che vietano l’assisten-za al suicidio negli Stati Uniti: una svolta nel dibattito sull’eutanasia?

1. L’istigazione o aiuto al suicidio e l’omicidio del consenziente

È giunto il momento di verificare la compatibilità delle norme di di-ritto positivo a tutela della vita umana con le diverse fenomenologie dieutanasia. Ed infatti, nella generalità dei casi le pratiche eutanasichenon si esauriscono nell’ambito della pura soggettività individuale, masi realizzano con l’opera di terzi, che mettono in pratica la volontà del-la vittima, attenendosi alle direttive date, o assistendo, moralmente omaterialmente, l’attuazione diretta della volontà autolesionista. Il trat-to saliente, comune alle diverse ipotesi, è costituito dalla subordina-zione (reale o presunta) del terzo alla volontà della vittima, cui corri-sponde il coinvolgimento, a vario titolo, di autonome responsabilitàpersonali da parte di coloro che si prestano come strumento o ausilioper una realizzazione di tale potere dispositivo 1.

1 L’eutanasia è un’esperienza che prevede sempre l’implicazione materiale omorale di un altro, e non solo nella qualità di esecutore impersonale di una pre-cisa ed espressa manifestazione di volontà dell’interessato, ma in quanto sogget-to che prende parte emotivamente ad una vicenda esistenziale con uno spirito disimpatia o di solidarietà. Il rischio che quest’atteggiamento emozionale deter-mini una sorta di signoria, una situazione soggettiva di «diritto di disporre dellavita altrui», è sottolineato da COTTA, Aborto e eutanasia: un confronto, in Riv. fil.,1983, 22. Così, il documento del Comitato Nazionale di Bioetica «Questioni

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La ricostruzione del sistema normativo è finalizzata a ricercare il«senso» e le ragioni che sottostanno alla differenziazione concettuale edi configurazione giuridica tra atti di disposizione manu propriae (sui-cidio e partecipazione al suicidio) e atti di disposizione manu alius(omicidio del consenziente). La chiave interpretativa di questo quadro,in cui si individuano elementi discordanti e di diversa natura, è forni-ta da un dato negativo: il silenzio del legislatore penale in ordine al sui-cidio sia consumato che tentato. Questo dato, come vedremo, è di de-cisiva importanza perché contribuisce a definire il significato attualedi queste norme, le cui ragioni resterebbero altrimenti oscure.

Una prima modalità attraverso cui si manifesta la pratica eutanasi-ca riguarda il c.d. suicidio assistito, che richiama l’applicazione del de-litto di istigazione o aiuto al suicidio, concernente le situazioni in cuila morte è riconducibile causalmente al paziente che si è giovato di unqualsiasi apporto materiale o psicologico del medico. Nell’istigazioneo aiuto al suicidio, come nella fattispecie di omicidio del consenziente,si evidenzia una chiara volontà autolesionista da parte della vittima,ma in quest’ultimo delitto la realizzazione di tale volontà è fatta di-pendere esclusivamente dall’apporto del terzo (disponibilità manualius), mentre in quella dell’istigazione o aiuto al suicidio la morte de-ve essere riconducibile causalmente allo stesso soggetto passivo cheassume il ruolo di autore principale (disponibilità manu propria), alquale il terzo fornisce un contributo marginale e secondario 2.

Le ipotesi di eutanasia attiva e passiva, rispettivamente riconduci-bili ai delitti di istigazione o aiuto al suicidio e di omicidio del consen-ziente, dunque si avvicinano fortemente sotto il profilo della comunespinta motivazionale dell’agente, ma si differenziano nella attuazionemateriale di tale volontà: nell’istigazione o aiuto al suicidio la volontàdi morire del paziente non è solo espressa, o invocata, ma in una mi-sura preponderante attuata dalla stessa vittima, che è l’autore princi-pale e diretto dell’azione che conduce alla morte 3.

bioetiche relative alla fine della vita umana», cit., secondo cui l’eutanasia stravol-ge la necessaria relazionalità del diritto e il principio della parità ontologica tradue soggetti.

In generale, per una ricostruzione delle posizioni di responsabilità nel casodi suicidio altrui, V. BECKERT, Strafrechtliche Probleme um Suizidbeteiligung undSterbehilfe unter besonderer Berücksichtigung historischer und ethischer Aspekte,Aachen, 1996; CZINCZOLL, Solidaritätspflichten bei der Selbsttötung, Bonn, 1984.

2 In tal senso, Cass. 6 febbraio 1998, in Giust. pen., 1998, 449, in cui si speci-fica che in entrambe le fattispecie si punisce un nucleo comune, costituito dal«cagionare» la morte della vittima, diversamente caratterizzato per il pregressi-vo grado di efficienza causole di ciascuna delle condotte.

3 Nel delitto di istigazione o aiuto al suicidio si distinguono due tipologie dipartecipazione, a seconda che l’intervento del terzo extraneus sia finalizzato ad

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In particolare, nei rapporti con l’omicidio del consenziente, la con-dotta di agevolazione sembrerebbe segnare il confine tra partecipazio-ne ad un suicidio altrui e realizzazione di un omicidio con il consensodella vittima. Essa infatti descrive il tipo di partecipazione materialedel terzo estraneo al suicidio altrui, comprendendo la sola attività dichi in qualsiasi modo intervenga a facilitare l’esecuzione, senza pren-dere però parte materialmente alla realizzazione degli atti esecutivi 4.

La fattispecie di istigazione o aiuto al suicidio si presenta come unatra le più ostiche disposizioni del nostro codice penale, un vero rompi-capo di cui si è costretti a prendere atto, a capitolare, non essendo age-vole individuare una giustificazione convincente alle scelte tecniche edi politica criminale relative alla descrizione delle condotte incrimina-te. La norma infatti si connota in maniera del tutto peculiare rispettole altre norme incriminatrici, poiché il legislatore ha utilizzato la tec-nica di tipizzazione espressa di condotte proprie delle fattispecie con-corsuali, riferendosi a moduli comportamentali che solitamente nontraggono rilevanza direttamente dalla conformità ad un modello lega-le di condotta prevista dalla legge come reato, ma dall’effettivo contri-buto prestato alla realizzazione del tipo di fatto incriminato; in altreparole, nella fattispecie prevista dall’art. 580 c.p. sono elevate ad ipote-si autonoma di reato condotte che generalmente non raggiungono unlivello di autonoma rilevanza giuridico-penale, se non sono seguitedalla commissione di un reato 5. Sotto questo profilo l’art. 580 c.p. pre-

influenzare la volontà del suicida nel suo processo di formazione, partecipandoalla progettazione di esso, o altrimenti sia diretto a fornire un sostegno materia-le nella fase della realizzazione, apprestando un contributo che agevoli soltantol’esecuzione, cui dominus deve restare il paziente, ovvero la stessa vittima. Conriferimento alle situazioni eutanasiche, le condotte più ricorrenti si sostanzianonella prescrizione di farmaci, nell’approvvigionamento di essi o di qualsiasi al-tro mezzo idoneo a togliersi la vita, o anche nell’omettere di prestare l’interven-to che avrebbe salvato al vita.

4 Se l’agevolatore interviene assumendo un ruolo e compiti non secondari,ma di partecipe attivo nella fase esecutiva dal quale dipende la realizzazione del -l’evento, si potrebbe avere un mutamento del titolo del reato a favore della con-figurazione del reato più grave dell’omicidio del consenziente, sebbene la mortesia riconducibile causalmente non soltanto all’agevolatore, ma anche alla stessavittima. Ed infatti, la ricostruzione dell’ambito applicativo dell’omicidio del con-senziente deve essere tale da ritagliare uno spazio, più specificatamente punitodall’art. 580 c.p., relativo a condotte, anch’esse causali rispetto alla morte dellavittima, ma di minor incidenza.

5 Aderisce esplicitamente allo schema tipico della fattispecie concorsualenell’analisi della struttura della norma de quo la citata sentenza della Cassazio-ne del 6 febbraio 1998. Deve però evitarsi che una simile ricostruzione sortiscal’effetto di ritenere tipica ogni attività che, accedendo a quella della vittima, ab-bia in quest’ultima efficacemente creato o rafforzato il proposito suicidiario. Ri-

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senta l’anomalia di essere strutturato solo fattualmente come un’ipote-si di concorso di persone nel reato, in quanto, anche se l’autore svolgeuna effettiva funzione contributiva fornendo un apporto contenutisti-co e causale alla vicenda, manca l’aspetto della realizzazione in comu-ne o frammentata di un fatto che si identifica con un modello legaledescritto dal legislatore. L’istigazione o aiuto al suicidio giungerebbeal l’assurdo giuridico di qualificare punibile la partecipazione ad unfatto non preveduto dalla legge come reato nei confronti del suo auto-re 6. Pertanto, per evitare questo paradosso, si è soliti optare per unasoluzione che costruisce il fatto di reato su una condotta autonoma, equindi non accessoria rispetto a quella principale del suicida o del ten-tato suicida, ovvero per una soluzione che prescinde dall’ipotesi dellailliceità dell’azione del suicida 7.

spetto alla disciplina del concorso di persone, che recepisce un modello di tipiz-zazione unitario, le differenze attengono non solo alla descrizione espressa del-la tipologia delle condotte di partecipazione, ma soprattutto al fatto che la puni-bilità è riservata solo ai compartecipi che assumono un ruolo secondario, essen-do non punibile uno dei partecipi, l’autore principale, e per il fatto che le con-dotte incriminate non accedono ad un fatto previsto dalla legge come reato; sulpunto, MORMANDO, L’istigazione. I problemi generali della fattispecie ed i rapporticon il tentativo, Padova, 1995, passim.

6 Sotto il profilo ontologico, il delitto in esame sembra essere riconducibilenel l’ambito concettuale della realizzazione in comune di un reato in concorsocon persona non punibile, come dimostra la terminologia utilizzata nella distri-buzione dei ruoli ed il nesso tra azione istigatoria e fatto istigato secondo unoschema inconsueto, presente anche nel caso di sfruttamento della prostituzione.

7 L’autonomia dell’istigazione o aiuto al suicidio rispetto al generale fenome-no concorsuale è affermata sotto il profilo dogmatico, trattandosi di un’ipotesidi reato sui generis che solo apparentemente si struttura come ipotesi tipizzatadi concorso di persone. Si tratterebbe piuttosto di una fattispecie plurisoggetti-va necessaria anomala, dal momento che non tutti i soggetti necessari sono pu-nibili, ma solo colui che assume un ruolo secondario nell’ideazione o nell’esecu-zione del proposito, ricostruita secondo lo schema concorsuale, ma sottratta edin deroga a tale disciplina, in particolare rispetto l’art. 115 c.p., trattandosi diistigazione, sì accolta, ma non seguita da reato. In tal senso CARRARA, Program-ma del corso di diritto criminale, parte speciale, cit., parr. 1152 e 1158, che vede-va nella fattispecie corrispondente prevista dal codice Zanardelli un delitto suigeneris, una forma atipica di compartecipazione criminosa strutturata sulle con-dotte alternative della determinazione (far insorgere in altri l’idea, mai prima vo-luta e concepita) e dell’ausilio (attività a carattere accessorio di tipo materiale)che non consiste in un vero e proprio concorso nella esecuzione del suicidio, manel facilitare l’esecuzione.

Così CANESTRARI, Delitti contro la vita, in AA.VV., Diritto penale. Lineamenti diparte speciale, Bologna, 1998, 271; MANTOVANI, Diritto penale, Parte Speciale, De-litti contro la persona, Padova, 1995, I, 181; MIRRI, Vita e incolumità fisica (delit-ti contro la), in Enc. giur. Treccani, XXXII, Roma; MARINI, Delitti contro la perso-

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Propendendo, come avviene per la maggiore, per la ricostruzionedella norma come ipotesi di fattispecie autonoma (plurisoggettiva omonosoggettiva) il suicidio consumato o tentato non è un fatto di rea-to, ma un semplice dato di fatto 8. Il suicidio (o le lesioni in caso di ten-tato suicidio) costituisce un evento naturalistico complesso, rappre-sentato in questo caso da un fatto umano, responsabile e consapevole,provocato materialmente dalla stessa vittima, la cui volontà, nella solafase della progettazione, o anche in quella dell’attuazione, riceve a suavolta un contributo causale più o meno determinante da parte di unterzo.

Queste premesse tuttavia non dissolvono tutti i dubbi che la fatti-specie solleva ad ampio raggio. Ad esempio, un primo insormontabileenigma attiene alla ratio di tutela della norma, ulteriormente puntua-lizzata, rispetto alla generale incriminazione dell’omicidio, in relazione

na, Torino, 1996, 108, ravvisa nell’art. 580 una figura ad esecuzione plurisogget-tiva impropria. SCLAFANI-GIRAUD-BALBI, Istigazione o aiuto al suicidio, cit., 36 ss.V. anche ZANOTTI, Profili dogmatici dell’illecito plurisoggettivo, Milano, 1985. Al-tra dottrina, considerando che solo eventualmente l’istigazione o l’aiuto possaprovenire da più persone, avanza la tesi della fattispecie monosoggettiva, cosìRAMACCI, I delitti di omicidio, cit., 149-150, secondo cui il fatto costitutivo del rea-to è una condotta che causa indirettamente l’evento-morte, invece conseguenzadiretta dell’azione del suicida, la quale tuttavia nell’economia del delitto, non as-sume alcuna rilevanza.

8 Invero, la soluzione che individua i suddetti elementi come condizioneobiettiva di punibilità, affermata soprattutto nell’immediatezza della promulga-zione codicistica, risponde ad una lettura che privilegia il disvalore d’azione suquello di evento, tipica di uno stato autoritario che accoglie una visione del rea-to come espressione di una volontà ribelle piuttosto che come aggressione a be-ni giuridici tutelati. Di maggiore considerazione gode la ricostruzione che quali-fica, sotto il profilo tecnico formale, il suicidio, consumato o tentato, come even-to naturalistico, oggetto primario della volontà dell’agente, rispetto al quale oc-corre accertare l’esistenza di un rapporto causale con la condotta dell’agente, ov-vero l’esistenza del nesso di condizionamento tra la condotta in senso ampio isti-gatoria e un evento psichico, il proposito suicida, cui segue poi l’attuazione.

Il profilo soggettivo della condotta umana che sostanzia l’evento aveva in-dotto parte della dottrina più risalente a parlare di evento estremamente atipico,non solo perché è il fulcro portante dell’illecito, ma anche per il fatto di dover es-sere eziologicamente riconducibile all’attività consapevole di una persona diver-sa da quella chiamata a risponderne penalmente. Così SCLAFANI-GIRAUD-BALBI,Istigazione o aiuto al suicidio, cit., 29.

In proposito, MORRA, L’evento nel delitto di istigazione al suicidio, in Giur.compl. cass. pen., 1948, II, 429; ALTAVILLA, Istigazione o aiuto al suicidio, in Enc.For., IV, Milano, 1959, 168; PALOMBI, Istigazione o aiuto al suicidio, cit., 1024; PA-TALANO, I deltiti contro la vita, cit., 211; RAMACCI, I delitti di omicidio, cit., 150, edin particolare nota 156, secondo cui l’atto suicida è un elemento tipico del fattoe non un elemento esterno condizionante.

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all’esigenza di protezione della vita umana da quei comportamenti diterzi che, pur non consistendo in attività di aggressione fisica ed arbi-traria nei confronti della vittima, facciano sorgere, o assecondino, ilproposito suicida, o infine ne consentano una più agevole realizzazio-ne. Sembrerebbe logico poter affermare che il legislatore, attraverso lanorma in esame, abbia voluto fornire uno strumento normativo finaliz-zato alla prevenzione del suicidio, incriminando, se il suicidio giunga acompleta realizzazione o se ne derivi una lesione, le condotte di terziche favoriscono un’autoaggressione della vita umana. Si vuole cioè an-ticipare la soglia della punibilità, ma in senso orizzontale rispetto al sui-cida, sì da rompere qualsiasi solidarietà con il suicida ed impedire che,con o attraverso la cooperazione di terzi, una persona si suicidi.

Tale ordine argomentativo sarebbe coerente e convincente qualorasi potesse assumere a parametro interpretativo della norma in questio-ne il presupposto della illiceità del suicidio e, dunque, la necessità diuna sua prevenzione. Tuttavia il deficit di tipicità del suicidio sembra diostacolo ad una simile conclusione, sollevando l’imperioso l’interroga-tivo: quale allora la ratio della fattispecie legale contenuta nell’art. 580c.p., se non quella di ostacolare la realizzazione di un suicidio?

2. Il suicidio nella tradizione giuridica

Diviene allora essenziale comprendere se la scelta di non crimina-lizzazione del suicidio corrisponda ad una valutazione di piena liceità,oppure viceversa lasci trasparire un sostanziale atteggiamento di di-svalore. Sembrerebbe a prima vista trattarsi di una questione facil-mente risolvibile: la liceità del suicidio è di palmare evidenza nelle mo-derne società secolarizzate e improntate ai valori della laicità e libertàdel l’individuo, che non prevedono norme incriminatici del suicidio.Tuttavia ancora oggi la sua affermazione necessita di argomenti giu-stificativi a confutazione delle opposte tesi. Anche in un sistema laico,quale quello espresso dalla nostra Costituzione, il suicidio può con-servare un certo disvalore. L’alone di «antigiuridicità», se non di illi-ceità, rispecchia la difficoltà ad abbracciare con la ragione un atto in-comprensibile, destrutturante, che scardina gli stessi presuppostidell’esercizio della libertà.

L’atteggiamento culturale ed emozionale nei confronti del suicidionon costituisce certamente una costante della storia dell’uomo 9. Gli

9 BIRNBACHER, Selbstmord und Selbstmordvorsorge aus ethischer Sicht, in Mo-ralische Probleme um Leben und Tod bei Abtreibung, künstlicher Befruchtung, Eu-tanasie und Selbstmord, a cura di LEIST, Frankfurt am Main, 1990, 395.

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antichi classici avevano saputo riconoscere l’eventuale profonda eti-cità del suicidio, il più disperato di tutti gli atti di libertà, ossia la suapossibile strumentalità a valori altissimi di libertà, e ciò non soltantosul piano dei valori, ma anche su quello tecnico-formale delle sceltenormative. Se infatti nell’antica filosofia greca veniva considerato co-me atto lecito e rispettabile, quand’anche non fosse realizzato per mo-tivi religiosi o politici, nella concezione aristotelica e poi nella culturaromana cominciò ad affacciarsi l’idea del suicidio come un’offesa ver-so lo Stato 10. Quest’interpretazione così oscillante fu interrotta conl’avvento della dottrina cristiana 11, nel senso della incondizionata ri-provazione: il suicidio fu visto come un crimine gravissimo identifica-bile totalmente, quanto a gravità e disvalore, ad un omicidio, perchénegazione dell’appartenenza a Dio, la cui condanna si accompagnavaa sanzioni giuridiche, oltre che religiose, nei confronti del suicida, deisuoi beni o delle persone a lui vicine 12.

Nell’Europa del XVIII secolo il suicidio cominciò ad essere guar-dato con un atteggiamento più permissivo, ma certamente non di pie-na approvazione 13. Alla repressione medievale si è quindi succeduta

10 Per una disamina delle concezioni del suicidio in età classica V. MARRA,Suicidio, diritto e anomia, Napoli, 987, 16 ss.; ID., La percezione sociale del suici-dio. Autonomia e diritti umani, in Dei Delitti e delle pene, 1991, 19.

11 La stigmatizzazione del suicidio come peccato contro Dio si trova in AGO-STINO, De Civitate Dei, 1, 20 e TOMMASO D’AQUINO, Summa totius theologiae, III,1.XLVII, art. 6, 3. Ma la riprovevolezza dl suicidio sul piano morale, in quanto al-la stregua dell’omicidio, è ancora oggi affermata dalla dottrina cattolica. In pro-posito v. PIO XII, Discorsi e radiomessaggi, Città del Vaticano, 1958, XIX, 774; PIOXII, Discorso ai partecipanti al IX Congresso della società italiana di anestesiologia,24 febbraio 1957, in Acta Apostolicae Sedis, 1957, 146; Dichiarazione sul l’eutanasiadella sacra Congregazione per la dottrina della fede, cit., e, recentemente, la letteraenciclica Evangelium Vitae di PAPA GIOVANNI PAOLO II, Città del Vaticano, 1995.

12 La radicalizzazione del suicidio come fatto che esprime un disvalore eticoe giuridico, salvo alcune eccezioni, è dunque legata all’affermazione della dottri-na cristiana. Solo se proiettata in una visione trascendente, assiologica, ultrater-rena, la vita è sempre e indifferentemente un valore da preservare, e la sofferen-za piena di significato catartico. Non c’è da stupirsi se questo atteggiamento del-la Chiesa abbia indelebilmente segnato le successive opzioni ordinamentali nelsenso della repressione del suicidio, finché, con l’illuminismo, inizia a trovarespazio, anche se in modo ancora vago, l’idea della sua liceità o della non punibi-lità. Cfr. VIAZZI, Suicidio (istigazione o aiuto al), in Enc. giur. it., XV, III, Milano,1910; VOLTERRA, Sulla confisca dei beni dei suicidi, in Riv. dir. it., 1933, 393; CAP-PONI, Suicidio: studio etico e giuridico, Genova, 1913; CALOGERO, Suicidio (Filoso-fia), in Enc. it., XXXII, 1936, 970; PANNAIN, Omicidio, in Noviss. Dig. It., XI, 838.

13 Il rifiuto su basi razionali dell’etica che considera indisponibile la vitaumana in quanto sacra si rintraccia con chiara evidenzia nel saggio Sul suicidiodi HUME, in ID., Opere filosofiche, a cura di LECALDANO, III, Roma-Bari, 1987, 585

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via via una legislazione più moderata, che culmina con la depenaliz-zazione della condotta tra la fine del settecento e i primi dell’ottocen-to 14. La matrice individualistica dell’ideologia liberale avrebbe potutoforse svincolare la valutazione giuridica da quella religiosa e morale,ma l’affermazione dello Stato borghese non seppe porsi in una pro-spettiva compiutamente laica, come dimostra, con riferimento speci-fico al nostro paese, l’art. 585 del Codice albertino del 1839, che re-primeva il suicidio consumato e tentato, mantenendo così una lineadi continuità con una tradizione giuridica assai rigorosa ed ostile 15.Certo, il retroterra culturale ed ideologico di queste norme è mutato:la concezione del suicidio come rifiuto del divino ha segnato il passoa quella che vede nel suicidio la violazione di un dovere, giuridico osociale. Tra la fine dell’800 e gli inizi del ’900, ma sempre con caratte-ri di discontinuità, la riprovazione del suicidio divenne di caratteremorale e criminologico, piuttosto che religioso, in relazione al diffon-dersi della teoria dell’anomia, una delle espressioni più formalizzatedel rifiuto e del disordine sociale. In questa visione il suicidio fu con-cepito come atto egoistico di ribellione alle regole sociali condivisedal gruppo 16, ovvero un disturbo patologico della personalità, a se-conda dell’approccio psicologico o sociologico assunto 17. Questo pro-

ss., il quale ne afferma non solo la legittimità, ma anche il coraggio e la pruden-za. L’argomento con cui viene affermato che il suicidio non costituisce alcunaviolazione di un dovere, né verso Dio, né verso la società, né verso se stessi, sifonda su un principio di non contraddizione: se disporre della vita umana fosseuna prerogativa peculiare dell’onnipotente, sarebbe ugualmente criminoso sal-vare o preservare una vita in pericolo.

14 BECCARIA, Dei delitti e delle pene, Torino, 1965, pur non teorizzando un ve-ro e proprio diritto al suicidio, negava l’efficacia politico-criminale della incri-minazione del suicidio, escludendo quindi la punibilità per ragioni estrinseche.La codificazione Leopoldina del 1786, seguendo il solco tracciato da Beccaria,escluse il suicidio dal novero dei delitti, così come il codice francese del 1810 cheescludeva anche ogni responsabilità per la partecipazione al suicidio, mentre ilcodice toscano del 1835, pur non incriminandolo direttamente, prevedeva unafattispecie incriminatrice della partecipazione al suicidio. Su questa concezionedi collocano il codice napoletano del 1819 e quello parmense del 1839.

15 Sui precedenti storici, Cfr. per tutti MANZINI, Trattato di diritto penale, VIII,Torino, 1985, 110; CADOPPI, Una polemica fin de siecle sul dovere di vivere: EnricoFerri e la teoria dell’omicidio-suicidio, in Vivere: diritto o dovere, cit., 126 ss.

16 Per una spiegazione «sociale» del suicidio, MARRA, La repressione legale delsuicidio. Analisi e sviluppo della ricostruzione durkheimiana, in Materiali per unastoria della cultura giuridica, 1986, XVI, 129; DURKHEIM, Il suicidio. Studi di so-ciologia, Torino, 1969.

17 La costruzione sembra risentire di un pregiudizio legato al diffondersi dicerte ricerche criminologiche e psichiatriche, che attestano l’alta percentuale

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cesso condusse ad una progressiva stigmatizzazione delle condotteche accedono ad un suicidio altrui o di chi acconsente alla propriamorte, piuttosto che la condotta suicidiaria in sé.

In verità, la mancata differenziazione tra interruzione arbitrariadella vita e interruzione voluta o richiesta da parte della stessa vitti-ma riflette una concezione dominante per lungo tempo dell’omicidio

statistica di casi di malattia mentale in suicidi tentati o consumati. BERNARDINI,Dal suicidio come crimine al suicidio come malattia, in Materiali per una storiadella cultura giuridica, 1994, 81; SONNECK-RINGEL, Zur Psychopatologie des Ster-bewillens, in Suizid als human-wissenschtliches Problems, cit., 77. Proprio questopresupposto è oggi totalmente accantonato, perché è il rispetto della dignitàumana a imporci di supporre sempre la coerenza e serietà delle scelte altrui, an-che quelle meno vicine al nostro modo di vedere. Il suicidio, in quanto situazio-ne estrema ma anche estremamente differenziata, non può essere ritenuto, sem-pre e senza eccezioni, frutto di follia, potendo in certi casi esprimere una preci-sa e dignitosa scelta in cui si esprime la persona umana.

Il fenomeno suicidiario, malgrado i numerosi studi disponibili sull’argomen-to, l’ampia ed articolata epidemiologia esistente, rimane comunque un ambitodi ricerca oscuro e misterioso, sfuggente nelle sue coordinate e dinamiche emo-tive e motivazionali. Nonostante la sofisticatezza dell’elaborazione statistica (isuicidi sono più diffusi nelle fasce di popolazione giovanile o anziana, nel nordpiù che al sud, tra i disoccupati e i pensionati) certamente la scelta suicida ri-sponde a ragioni diverse e personalissime, anche dettate da fattori esterni e con-tingenti, sommati ad una situazione psicologica di scarso equilibrio. In questadirezione si sono spinte le ricerche psicanalitiche, sia quando collocano il suici-dio nell’istinto di morte o nel desiderio di vendetta di un narcisismo spietato, chenon necessariamente ravvisano nel suicidio uno «scacco terapeutico», essendofrutto di una passione. Sul punto, FESTINI-CUCCO-CIPOLLONE, Suicidio e comples-sità. Punti di vista a confronto, Milano, 1992. Lo stato di legittimità concettualedel c.d. suicidio «razionale» o «non patologico» costituisce una vexata questio.Alcuni studiosi ritengono che il suicidio sia un mistero antropologico che con-duce all’annullamento delle proprie residue possibilità esistenziali, e non sem-plicemente un sintomo psicopatologico. Il suicidio può essere un’evoluzione mi-steriosa dell’esistenza, FERLA-MITTINO-BOCA, Il suicidio: fallimento terapeutico omistero antropologico?, in Riv. sper. freniatr., 1992, 149. Oggi si ritiene che nel fe-nomeno suicidiario cooperano fattori esterni ed interni. Vi sono situazioni econdizioni di fatto che possono suggerire il suicidio, ma questi fattori devonopassare attraverso il filtro della capacità individuale di rapportarsi alla realtà, edi coglierne il senso. Il senso di realtà sarebbe compromesso nel suicida dal pre-dominio del mondo interno, TUGNOLI-GIORDANI, Alterazione del «senso» di realtà esuicidio, in Riv. sper. freniat., 1996, 110. V. anche EBERLEIN, Der Freiverantworte-te Suizid- ein Essay, in Sterbehilfe in der Gegenwart, a cura di ATROTT-POHLMEIER,Regensburg 1990, 49.

Sul significato «vitale» e creativo del suicidio, come atto di negazione e diriaffermazione del senso, come forma più paradossale di individualità che vacontro se stessa, secondo una prospettiva psicoanalitica, HILLMAN, Il suicidio el’anima, cit., passim; TREVI, Metafore sul simbolo, Milano, 1986, 93; ANTONUCCI,Pensieri sul suicidio, 1996, Milano, 17.

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come atto contrario agli interessi dello Stato, che arreca un dannoassai grave, non solo immediatamente privato, ma anche indiretta-mente pubblico, per l’offesa che provoca al senso di sicurezza e di fi-ducia dei cittadini nella tutela dei propri diritti. In questa logica an-che il suicidio, come l’omicidio, costituisce un’aggressione ad un be-ne di rilevanza non esclusivamente personale, ma pubblicistica, es-sendo la vittima semplice oggetto materiale del reato, e non vero sog-getto passivo 18.

Successivamente i tempi saranno maturi per una messa in crisi del-la concezione «funzionalizzata» o statuale dell’uomo e delle sue libertàe per una diversa, forse inconsapevolmente, percezione che nel con-flitto tra autonomia e difesa della vita umana, l’interesse individuale aporre fine alla propria vita, pur essendo contrario a quello che coin-volge le funzioni di tutela generale dell’ordinamento, non è destinatonecessariamente a soccombere. Si insinua l’idea che il suicidio nonpossa soggiacere ad una prospettiva interpretativa uniformante, esau-riente, avventurandosi in una spiegazione puramente meccanica. Siapure sulla base di modelli culturali poi del tutto tramontati, tra la finedell’800 e gli inizi del ’900, si rinvengono le prime aperte teorizzazionidella libertà di suicidio, che individuano il suo disvalore non tanto nel-la morte in sé – procurata manu proprie o manu alius – quanto nei mo-tivi per cui viene provocata 19. Sotto questo profilo, il consenso dellavittima alla propria morte o l’azione suicida assumono il diverso signi-

18 VANNINI, Il bene «vita» nel delitto di omicidio, in Arch. pen., 1947, 302; ID., Ildelitto di omicidio, Milano, 1960, 115; ANTOLISEI, Manuale di diritto penale italia-no, 1996, XII ed., a cura di CONTI, 277 ss. Si riteneva che l’individuo fosse sem-plice oggetto materiale del delitto, e non vero e proprio soggetto passivo. Infattil’interesse giuridico tutelato dalla norma era individuato nell’interesse pubblicoalla conservazione dell’esistenza dei consociati, affinché la comunità non sia pri-vata da uno dei suoi consociati, ovvero nell’interesse dello Stato alla sicurezzadella persona fisica ed in particolare alla vita di ciascun individuo, MANZINI, Trat-tato di diritto penale italiano, parte II, cit., 86. In un simile contesto culturale, lavita deve essere tutelata impersonalmente dalla legge penale per la natura pub-blicistica dell’interesse coinvolto, che non è solo quello demografico, ma anchedi garanzia dell’ordine pubblico, della convivenza sociale, LUPONE, Riflessionisull’omicidio pietatis causa, in Arch. pen., 1975, 65.

19 FERRI, L’omicidio-suicidio, IV ed., Torino, 1895, 14 ss. L’illustre positivista,uno dei primi e più convinti assertori del diritto a morire, insiste proprio su questopunto relativo al danno sociale arrecato con il suicidio: l’individuo non si identifi-ca con lo Stato anche se in qualche modo ne è parte; i doveri solidaristici che sonofunzionalmente connessi con l’appartenere ad essa si incardinano, ma solo finchéegli vi appartiene, cioè finché vive; egli può sottrarsi ai doveri, sottraendosi al rap-porto con la società, ovvero uccidendosi. L’Autore teorizza quindi il diritto di suici-darsi, così come quello di farsi uccidere, purché l’agente sia mosso da motivi chenon abbiano nulla di antisociale: tali sarebbero soprattutto i sentimenti di pietà.

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ficato di atti attraverso cui l’individuo esercita un diritto sulla propriapersona, ed anche i motivi di colui che si fa interprete ed esecutore diquesta volontà acquistano una rilevanza, oltre che morale, giuridica 20.Ciò comporta l’effetto, opposto rispetto all’approccio di tipo religioso,di assimilare tutte le condotte di terzi che solidarizzano con colui cheè stanco di vivere, al suicidio solitario e razionale e alla sfera di liceitàriservata a questa scelta 21.

L’idea di una assoluta libertà di suicidio apparve però eccessiva epertanto ebbe poca fortuna, come dimostra il dibattito successivo allapubblicazione già della prima edizione dell’Omicidio-Suicidio 22, e lasuccessiva introduzione all’art. 370 del codice del 1889 del reato di isti-gazione o aiuto al suicidio, nonché la mancanza di una figura, per laprima volta introdotta nel codice del 1930, corrispondente all’omicidio

20 Certamente uno degli aspetti più interessanti concerne proprio il riferi-mento ai motivi dell’agente. Questo aspetto, alquanto trascurato perché ritenutotroppo legato ad un’impostazione rigidamente positivista volta a cogliere la par-ticolare pericolosità dell’agente, si rivela di estrema modernità. Infatti la rile-vanza dei motivi equivale ad un riferimento alla situazione concreta in cui si tro-va la vittima e che condiziona la volontà dell’agente. Prescindendo da un ricercavolta a penalizzare l’atteggiamento interiore dell’agente, il riferimento ai motivipuò essere inteso, se tradotto in un linguaggio moderno ed attuale, come situa-zione psicologica dell’agente in cui deve riflettersi la situazione concreta in cuiverte la vittima: dunque la sua volontà, le condizioni in cui si trova, ecc. Il riferi-mento ai motivi «onorevoli» è esplicito nella fattispecie di omicidio del richie-dente prevista dall’art. 114 del codice penale svizzero. In proposito, PEDRAZZINI,L’omicidio del consenziente nel diritto penale contemporaneo con particolare rife-rimento al codice penale svizzero, Lucerna, 1949.

21 Sul solco di questa tendenza, si arrivò a ritenere molto più tardi, che coluiche acconsente alla propria morte debba essere ritenuto sostanzialmente, unsuicida, VANNINI, Quid iuris? Manuale di esercitazioni pratiche in diritto penale,IV, Istigazione o aiuto al suicidio, Milano, 1950, 11.

22 Le rivoluzionarie idee dell’omicidio-suicidio ebbero eco anche successiva-mente. Il GRISPIGNI, Il consenso dell’offeso, Roma, 1924, 438, auspicò la differen-ziazione dell’omicidio del consenziente dall’omicidio comune, l’introduzione diuna fattispecie unica in cui omicidio del consenziente e istigazione al suicidiotrovano spazio e di una specifica fattispecie sull’eutanasia che affida al giudice ilcompito di autorizzarne. Si proponeva di evitare l’applicazione della pena neicasi in cui si determina una sorta di stato di necessità a favore dell’agente deri-vante dallo pressione psicologica e di conflitto interiore, tale da individuare nel-la morte l’unico rimedio ad un’agonia ormai inevitabile. Tuttavia la tesi fu osteg-giata da coloro che rilevano la sproporzione del danno arrecato rispetto al dan-no minacciato, in situazioni in cui si elide il dolore uccidendo il sofferente. Ne-gava il valore psicologico e giuridico del consenso e del motivo MORSELLI, L’uc-cisione pietosa (l’eutanasia), 1923, che negava il valore psicologico e giuridico delconsenso e del motivo di pietà.

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del consenziente 23. Al consenso della vittima non venne data quindinessuna rilevanza e anzi nella relazione al progetto preliminare del mi-nistro Zanardelli si legge che l’uccisione del consenziente debba para-gonarsi ad un vero e proprio omicidio, così come tutte le situazioni incui la partecipazione al suicidio riguardasse un infermo di mente 24.

Il codice Rocco risentì degli strascichi tra scuola classica e positiva:pur non prevedendo una fattispecie incriminatrice del suicidio, man-tiene la figura dell’istigazione o aiuto al suicido, sulla falsariga dell’art.370 del codice Zanardelli 25 riconoscendo per la prima volta la differen-za strutturale ed assiologica tra omicidio del consenziente e partecipa-zione al suicidio, ovvero la differenziazione tra atti di disposizione ma-nu propriae e manu alius.

23 Infatti la dottrina, pur riconoscendo l’autonomia strutturale della parteci-pazione al suicidio, affermava che l’uccisione del consenziente non fosse altroche un omicidio, perché il terzo è autore volontario del fatto di uccidere, a dif-ferenza di chi aiuta al suicidio altrui, che non fa che degli atti preparatori, sen-za interferire nella fase esecutiva. Altra parte invece riteneva che la partecipa-zione all’altrui suicidio avesse dovuto essere valutata alla stregua dell’omicidiovolontario, PESSINA, Elementi di diritto penale, II, Napoli, 1883, 16 ss. Così CRI-VELLARI, Il codice penale per il Regno d’Italia, VII, Torino, 1896, 745. Nella Rela-zione ministeriale presentata alla Camera dei Deputati nella tornata del 22 no-vembre 1887, in cui si afferma che l’uccisione del consenziente non è altro cheuna tipica ipotesi di omicidio volontario, dovendosi valutare come irrilevante lapresenza di un consenso della vittima, avente ad oggetto il più indisponibile tratutti i beni giuridici.

24 Tuttavia l’introduzione della fattispecie di partecipazione al suicidio nelcodice penale italiano del 1889 venne a scontrarsi con una coscienza sociale in-capace di comprenderne a fondo e farne proprie, le ragioni legittimanti, dandocosì l’avvio ad una prassi indulgenziale che poco differenziava le due tipologie dsituazioni. Nella prassi le giurie popolari spesso finivano per estendere la disci-plina prestata dall’istigazione al suicidio anche a ipotesi di omicidio determina-to da fini altruistici, ed in generale, si diffondeva un atteggiamento di clemenzae comprensione rispetto a situazioni così dolorose. Questo «diritto giurispru-denziale» della solidarietà ha certamente influenzato la scelta di riconoscere unaqualche rilevanza, sia pure fattuale, al consenso dell’offeso, così SCLAFANI-GI-RAUD-BALBI, Istigazione o aiuto al suicidio, cit., 18.

25 Ma con un ambito applicativo ben più ampio: accanto alle due tipologiepreviste dal previgente art. 370, viene attribuita tipicità, ad integrazione del ge-nus della determinazione, anche alla condotta tendente a «rafforzare l’altruiproposito di suicidio». Inoltre, se il codice Zanardelli richiedeva come requisitoindefettibile che il suicido fosse avvenuto, l’art. 580 invece pone come sufficien-te che dal tentativo di suicidio sia derivata una lesione personale grave o gravis-sima, operando tra le due ipotesi (del suicido consumato) una differenziazionesul piano sanzionatorio, che comunque lascia intravedere una scelta di penaliz-zazione più ampia rispetto alle condotte di terzi partecipative ad atti di autole-sionismo.

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3. Il problema della liceità del suicidio. La tesi della tipicità implicitae dell’antigiuridicità per violazione degli obblighi di solidarietà

Giungiamo quindi ai nostri giorni: il dato di partenza è costituitodal l’assenza di una disposizione penale che espressamente sanzioni lacondotta suicidiaria, e dalla contemporanea previsione di una normache punisce le condotte di partecipazione all’altrui suicidio. Deve dun-que chiedersi quale argomentazione abbia ispirato il legislatore nellascelta di non sanzionare il suicidio, ma di prevedere condotte di parte-cipazione che altrimenti sarebbero rimaste impunite: cioè se la man-cata penalizzazione del suicidio tradisca una valutazione di sostanzia-le approvazione, o se sia la conseguenza di motivazioni estrinseche chedimostrano soltanto l’impossibilità o la sconvenienza della pena.

Gli argomenti addotti a favore della qualificazione di illiceità o an-tigiuridicità del suicidio sono accomunati dall’intento di superare laconstatazione del deficit di tipicità, allo scopo di far emergere un so-stanziale atteggiamento negativo da parte del legislatore, dimostratodal l’ampia aurea di disvalore che lo circonda 26. Una di queste costru-zioni è quella che afferma la tipicità implicita del suicidio in quanto,sebbene non esplicitamente vietato, riconducibile alla fattispecie gene-rale che incrimina l’omicidio 27.

La tesi presuppone una piena equiparazione fenomenologica e giu-ridica del suicidio all’omicidio. A riprova di ciò, si evidenzia che la fat-tispecie di omicidio incentra la descrizione della condotta unicamentenel l’effetto della produzione dell’evento «morte di un uomo», senza al-cuna altra precisazione, né relativa alle modalità di realizzazione diquesto, né alla caratteristiche della vittima. Questo tipo di tecnica de-scrittiva consentirebbe di assimilare – non escludendolo expressis ver-bis con locuzioni più precise – l’ipotesi dell’omicidio ai casi in cui la

26 Lo dimostrano gli artt. 579 e 580 c.p., e altri segnali possono trarsi dagliartt. 572, secondo comma e 586 c.p. Si ricordino anche l’art. 14 della legge n. 47del 1948 e art. 30, ventesimo comma della legge n. 223 del 1990, che incrimina-no le pubblicazioni e le radio teletrasmissioni a contenuto impressionante, talida provocare il diffondersi dei suicidi, e più recentemente la contravvenzioneprevista dagli artt. 114-117 del T.U. n. 773 delle leggi di P.S. del 1993 che incri-mina la pubblicazione di «ritratti di suicidi». Sul tema DURANO, Il suicidio nel di-ritto italiano oggi, in Rass. arma carab., 1971, 695.

27 La non punibilità del suicidio esprimerebbe semplicemente la scelta, det-tata da ragioni dogmatiche o comunque estrinseche ad un giudizio di approva-zione, di non sanzionare un fatto illecito penalmente o quanto meno antigiuri-dico. Così NUVOLONE, Linee fondamentali di una problematica del suicidio in Ita-lia, in Suicidio e tentato suicidio in Italia, Milano, 1967, 389; MANTOVANI, I tra-pianti e la sperimentazione umana nel diritto italiano e straniero, cit., 392; VANNI-NI, Il delitto di omicidio, Milano, 1935, 1-2.

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vittima si identifichi con lo stesso autore del fatto. L’opera di estensio-ne in via interpretativa dell’omicidio al suicidio sarebbe confortata, ol-tre che dalla genericità della fattispecie legale, anche dalla considera-zione sostanziale che in entrambi i casi si tratterebbe di tutelare la vi-ta umana da un intervento aggressivo che ne interrompe il naturale de-corso. Dunque identico sarebbe l’evento e le sue modalità di produzio-ne, lo stesso il bene giuridico leso, medesimo il disvalore del fatto. Ir-rilevante sarebbe invece il dato fattuale che a cagionare e volere lamorte sia la stessa vittima-autore 28.

Il tentativo di fondare una generale punibilità del suicidio sulla fat-tispecie di omicidio comune giunge da parte della dottrina tedesca,che ne ha sostenuto la punibilità a norma della fattispecie incrimina-trice dell’omicidio, salvo poi ad escludere l’effettiva punizione a causadel l’operatività di una particolare causa di esclusione della colpevolez-za di natura extra giuridica, paragonabile allo stato di necessità: il sen-so di perdita di valore della vita da parte dello stesso titolare, la neces-sità ed inevitabilità della scelta autodistruttiva, la percezione dell’im-possibilità a continuare a vivere, di essere posti di fronte ad una tre-menda alternativa tra trascinare una vita senza senso o affrontare unamorte significativa e liberatoria, porrebbero il suicida in una situazio-ne che rende inesigibile continuare a vivere 29. Questa particolare si-

28 Sostanzialmente in questi termini la tesi secondo cui il suicidio costituisceun fatto illecito impunito, ma non tollerato, ALTAVILLA, Delitti contro la persona.Delitti contro la stirpe, in Trattato di diritto penale, coord. da FLORIAN, IV ed.,1934, 151.

29 In particolare, si ritiene presente la medesima struttura di conflitto di va-lori che costituisce la ratio della legge sull’interruzione della gravidanza o dellenorme che escludono la punibilità dei familiari e di se stessi per i reati di favo-reggiamento, in cui la condotta dell’agente è condizionata da uno stato di coa-zione psicologica che deriva dall’irrisolvibile conflitto tra l’estrema esigenza diporre fine alla propria vita ormai insopportabile e dall’altro la consapevolezzadel valore sociale dell’azione, così SCHMIDHÄUSER, Selbstmord und Beteiligung amSelbestmord in strafrechtlicher Sicht, in Festschrift für H. WELZEL, 1974, 801. Allostesso modo anche Gallas ravvisa uno stato di necessità interiore e di coscienza,che spiega la non punibilità del suicidio sul piano delle cause di esclusione del -l’antigiuridicità o della colpevolezza, essendo il suicidio per l’autore un fatto«non vietato», ma non per ciò pienamente lecito, GALLAS, Strafbares Unterlassenim Fall einer Selbsttötung, in JZ, 1960, 649. Nella letteratura italiana, CASSIANO,L’istigazione al suicidio, in Riv. pen., 1953, 406.

La soluzione che esclude la colpevolezza del suicida riecheggia il modello delconflitto non risolvibile di doveri tutelanti la vita umana sviluppato a propositodei celebri «processi sull’eutanasia» a carico dei sanitari che avevano redatto leliste dei malati gravi di mente da inviare ai centri di sterminio, venendo così ac-cusati di concorso in omicidio. Il conflitto di doveri, in tali casi, però concerne-va la vita di alcuni contro la vita di tutti, così che il principio secondo cui la vita

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tuazione giustificante renderebbe quindi di fatto inoperante una ipo-tetica norma incriminatrice del suicidio.

è bene sottratto a qualsiasi giudizio di bilanciamento non veniva in alcun modointaccato. Poiché in entrambi i casi si trattava di doveri concernenti la vita uma-na, ovvero tra divieto di uccidere e obbligo di impedire la morte, era possibile ri-conoscere uno stato di necessità sovralegale che scaturisce dal poter salvare al-cuni dei malati per evitarne lo sterminio di tutti. Successivamente, venne soste-nuto che l’eventuale astensione dei medici nel redigere le liste sarebbe stata alcontrario antigiuridica, poiché sottraendosi al conflitto, i medici avrebbero vio-lato altresì il dovere di salvaguardare la vita di alcuni dei pazienti.

Ma come accennato, la situazione del suicida ben si distacca da quella con-cernente il programma nazista di eutanasia per il fatto che il conflitto è a carat-tere monosoggettivo e concerne non il medesimo bene, vita contro vita di duesoggetti diversi, ma due diversi interessi, vita contro morte di un medesimo sog-getto, ovvero il dovere di vivere e il diritto a sottrarsi ad una situazione di intol-lerabile sofferenza, tale da porre in dubbio il principio dell’assolutezza di tuteladella vita. In tal caso la soluzione che afferma la liceità della scelta del suicidasul piano della colpevolezza, si rivela estremamente cauta sotto il profilo tecni-co rispetto quella che esclude l’antigiuridicità, poiché presuppone la contrarietàad un modello di condotta presentato come «doveroso»: ovvero il dovere di vi-vere. Su questo tema, VIGANÒ, Stato di necessità e conflitti di doveri, Milano, 2000,533, che richiama la monografia di BARATTA, Antinomie giuridiche e conflitti dicoscienza. Contributo alla filosofia e alla critica del diritto penale, Milano, 1963.Sul conflitto di doveri, WELZEL, Zum Notstandsproblem, in ZSTW, 1951, 47; GAL-LAS, Pflichtenkollision als Schuldausschliessungsgrund, in Festschrift für Mezger,1954, 311; KÜPER, Noch eimal: rechtfertigender Notstand, Pflichtenkollision undübergesetzliche Entschuldigung, in Jus, 1971, 1971, 474; HRUSCHKA, Pflichtenkol-lision und Pflichtenkonkurrenzen, in Festschrift für LARENZ, München, 1983, 257.

La ricostruzione del suicidio come sintomo ed epilogo di una sindrome psi-copatologica, costituisce una giustificazione della non punibilità di una condot-ta comunque carica di disvalore ed aggressiva di beni giuridici protetti. La solu-zione della non punibilità viene affermata partendo dal presupposto dell’incapa-cità del suicida, così che il suicidio, in quanto delitto eccezionale (Sonderdelikte),non è punibile secondo un principio proprio del diritto consuetudinario, e pre-cisamente a causa di una condizione soggettiva e personale di esclusione dellapunibilità, non estensibile ai partecipi, rispetto ai quali vige inderogabile la re-gola dell’accessorietà, e quindi una piena punibilità. Infatti, le cause di esclusio-ne della punibilità a favore del suicida, essendo di natura soggettiva e personale,non si estendono a favore dei partecipi, limitandone la punibilità, ma lascianoresiduare a loro carico la responsabilità a titolo di concorso in omicidio, cosìBRINGEWAT, Tötung auf Verlangen und der sog. erweiterte Selbstmord, in NJW,1973, 2215; ID., Die Strafbarkeit der Beteiligung an fremder Selbsttötung als Grenz-problem der Strafrechtsdogmatik, in ZSTW, 1875, 623. Questi tentativi di giustifi-care la non punibilità del suicidio si collocano al limite del l’esclusione dell’im-putabilità del reo per il riconoscimento di uno stato di incapacità. Ma, da un la-to lo stato psichico della vittima giustifica l’illiceità del suicidio, che non espri-merebbe una volontà sana, libera e consapevole, quindi meritevole di tutela daparte dell’ordinamento giuridico; dall’altra invece queste condizioni forniscono

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Il differente trattamento giuridico del suicidio rispetto all’omicidionon potrebbe quindi essere tautologicamente spiegato affermando ildeficit di tipicità del primo rispetto al secondo, ma adducendo argo-menti sistematici e dogmatici che diano ragione di tale dato normati-vo e della sottostante scelta politico criminale, altrimenti arbitraria edillogica. Così, l’assenza di una corrispondente fattispecie incriminatri-ce non sarebbe significativa di una valutazione positiva, ma è il risul-tato di un bilanciamento di interessi operato in astratto dal legislatorein relazione alla situazione di pressione e coazione psicologica in cuiverte l’autore-vittima.

L’argomento, sviluppato soprattutto nell’ambito della letteratura te-desca, rappresenta senz’altro l’espediente più semplice per dotare difondamento giustificativo la punibilità non soltanto del suicidio in sé,ma anche e soprattutto delle condotte di partecipazione al suicidio a ti-tolo di concorso nell’omicidio, essendo assente in quell’ordinamento,una fattispecie corrispondente a quella prevista dall’art. 580 c.p. Tutta-via simili estensioni interpretative sembrano contrastare, il divieto dianalogia e il principio di tassatività, che richiede rigorosamente unaespressa e determinata descrizione del fatto di reato. L’argomento, ol-tre a scontrarsi con il dato del diritto positivo che non contempla alcu-na norma incriminatrice del suicidio, richiede acrobatiche interpreta-zioni della fattispecie legale, ipotizzando una completa identificazio-ne, sul piano descrittivo-naturalistico, e dunque anche normativo, del -l’omicidio al suicidio. Non sembra però che, né sul piano ontologico nésu quello semantico, le due espressioni possano coincidere. L’elemen-to naturalistico «omicidio», utilizzato dal legislatore nel titolo dellafattispecie, non può non coincidere con quanto generalmente intesonel comune linguaggio, e cioè causare la morte di un «altro» uomo.L’o micidio si differenzia dal suicidio, come del resto la differenteespressione linguistica dimostra, per il diverso significato che la nostra

giustificazione all’esclusione della punibilità, secondo un ordine argomentativoquanto meno tautologico, poiché lo stato di limitata capacità di intendere e divolere spiega i limiti alla libertà di autodeterminarsi in senso autolesionista, maè anche la condizione che impedisce l’irrogazione della pena e rende superfluala stessa configurazione di un fatto colpevole. La tesi rispecchia quelle conce-zioni che interpretano la scelta autodistruttiva come indissolubilmente legata adisturbi mentali patologici, incomprensibile ed estranea ad ogni ragione. Lostesso CARRARA, Programma, parte speciale, cit., par. 1155, ricorreva allo schemadella «presunzione di furore» del suicida. Nell’ambito della letteratura tedesca,il suicidio non costituisce un reato perché la volontà del suicida è del tutto irri-levante e viziata, ed il suo diritto all’autodeterminazione incontra limiti proprioin ragione dell’incapacità del soggetto. V. anche GEILEN, Suizid und Mitve-rantwortung, in JA, 1976, 145; ID., Euthanasie und Selbstbestimmung. JuristischeBetrachtungen zum «Recht auf den eigenen Tod», Tübingen, 1975.

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cultura, sia antica che attuale, collega sul piano morale e religioso. Latesi sembra sorvolare sul fatto che, sotto il profilo definitorio e descrit-tivo, omicidio e suicidio sono ben altra cosa: interrompere una vitacontro la volontà del proprio titolare ed invece provocare da se stessi lapropria morte sono, non solo sotto il profilo del disvalore (ossia secon-do il criterio di valutazione assunto), ma già su quello descrittivo e on-tologico, fatti ben diversi. L’operazione interpretativa comporrebbequindi l’effetto di attribuire all’elemento naturalistico «omicidio» unambito descrittivo spiù ampio rispetto quello comunemente attribui-togli, provocando uno sfalsamento dei contenuti definitori e semanticitra «sfera laica» e linguaggio giuridico.

Fallito il tentativo di agganciare il suicidio alla generale fattispecieposta a tutela della vita umana, l’assioma della liceità del suicidio vie-ne posto in chiave problematica secondo un altro ordine argomentati-vo. Il suicidio costituirebbe la più grave violazione dei doveri di solida-rietà che incombono su ciascun individuo, ed in particolare la viola-zione del dovere di vivere o di continuare a vivere, il cui fondamento èdato dagli artt. 2 e 32 della Costituzione 30. In particolare, l’art. 2 Cost.,che certamente include tra i diritti inviolabili dell’individuo anche il di-ritto alla vita, deve essere inteso come riconoscimento di un diritto acontinuare a vivere, la cui garanzia concerne le sole interferenze arbi-trarie ed aggressioni provenienti da terzi, e non come attribuzione diun potere di disposizione sulla propria vita. Inoltre il collegamento tral’art. 2 Cost., nella parte in cui pone a carico dell’individuo inderogabi-li doveri di solidarietà, e l’art. 32 Cost., relativo al solo diritto a rifiuta-re le cure, avallerebbe l’interpretazione della vita come valore funzio-nale all’interesse dell’intera collettività e della salute come diritto nondisponibile se non nella misura negativa della reazione ad un’arbitra-ria ingerenza sul proprio stato di salute, che non sia finalizzata a tute-

30 In Germania la tesi è stata sostenuta attraverso il richiamo alle norme dipolizia poste a tutela della pubblica quiete, che pongono il dovere di impedireanche con la forza il suicidio, ed in particolare al par. 216 STBG che puniscel’omicidio su richiesta della vittima, dal quale deve dedursi a contrario la confi-gurazione di un dovere di continuare a vivere, che solo de facto non è punito consanzioni penali, ma la cui violazione costituisce comunque un illecito. Il suicidiosarebbe dunque un fatto che, pur non essendo espressamente vietato, costituiscecomunque un illecito a norma dei parr. 26 e 27 STBG, ed altrettanto le condottedi partecipazione di terzi, così KLINKEMBERG, Die Rechtspflicht zum Weiterlebenund ihre Grenzen, in JR, 1978, 445. Tuttavia l’Autore, pur affermando l’esistenzadi un dovere di vivere, individua dei limiti alla vincolatività di tale dovere, se-gnati dallo sviluppo delle arti mediche. Il rispetto della dignità umana e l’inesi-gibilità del dovere di vivere in condizioni avvilenti e di terribili sofferenze segna-no il confine con situazioni limite, la cui individuazione spetta però solo alla me-dicina e all’etica. In tutti questi casi anche la partecipazione al suicidio è del tut-to lecita e non si incardina alcuna posizione di garanzia.

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lare, oltre che l’interesse del titolare del diritto, l’interesse della collet-tività 31.

A questa ricostruzione delle libertà e dei doveri di solidarietà ab-biamo già prestato una particolare attenzione, dimostrandosi in con-trasto con quelle norme costituzionali che descrivono il diritto alla sa-lute come interesse disponibile da parte del suo titolare, almeno finchénon interferisce con interessi collettivi.

Pertanto, la ragione – si afferma – di questa scelta è da ricercare nel

31 In tal senso BELLINI, Aspetti costituzioni con più specifico riferimento alla li-bertà religiosa, cit., 64; D’ADDINO SERRAVALLE, Atti di disposizione del corpo, cit.,198; MORTATI, La tutela della salute nella Costituzione italiana, cit., 444. In unaprospettiva filosofica la tesi dell’antigiuridicidità del suicidio è sostenuta da VI-TALE, L’antigiuridicità «strutturale» del suicidio, in Riv. intern. fil. dir., 1983, 461.

Le tesi dell’illiceità o antigiuridicità del suicidio trovano, secondo i loro so-stenitori, una conferma nella lettura dei principi costituzionali, ed in particola-re nell’art. 2, secondo comma, frase 1, della Costituzione tedesca, che sancisce ildiritto alla vita, da intendersi come diritto del titolare a difendersi da aggressio-ni al bene che giungono da terzi, dal quale non può desumersi alcun diritto amorire, essendo una norma che ha come destinatario il potere politico e che sicolloca nella dimensione dei rapporti tra individuo e potere statuale. Al contra-rio, un suo riconoscimento, indipendentemente dalle ragioni che lo motivano, sicontrapporrebbe all’esigenza di tutela della dignità umana, che obbliga anche iltitolare. Il riferimento invece al primo comma dell’art. 2 GG, che garantisce il li-bero sviluppo della personalità è stato spesso presente nella giurisprudenza delBundesgerichtshof negli anni ’50, ma per disapprovare il suicidio. La norma in-fatti è intesa comunemente come volta ad affermare un fondamentale dirittodell’individuo: il diritto all’autodeterminazione, cioè il valore della libertà diazione dell’individuo, ma che incontra limiti nella misura in cui offende i dirittidei terzi, la legge morale o l’intero ordinamento. Escluso che terzi possano van-tare la pretesa a continuare a vivere, l’illegittimità costituzionale del suicidio ve-niva sostenuta per contrasto alla Sittengesetz (legge morale), ERBEL, Das Sittenge-setz als Schranke der Grundrechte. Ein Beitrag zur Auslegung des Artikel 2, Absatz1 des Grundgesetz, Berlin, 1971.

In verità la tesi dell’illiceità costituzionale del suicidio è sostenuta in tempi piùrecenti solo da una parte assai minoritaria della dottrina tedesca, e lo stesso rife-rimento alla legge morale non è più concepito in termini di sistema di valori im-mutabile e precostituito, ma in relazione al sentire sociale. Per le posizioni che in-dividuano un margine di liceità del suicidio, v. OTTO, Recht auf eigenen Tod, cit.,29; Schmidhäuser, convinto assertore dell’illiceità del suicidio, riconosce l’esi-stenza di limiti al diritto alla vita, attraverso il rinvio all’art. 2, primo comma, GGche, nel far riferimento al diritto al libero sviluppo della personalità dell’indivi-duo, richiama i limiti posti dalla legge morale. Quindi anche il diritto alla vitanon è né assoluto ed intangibile, potendosi prospettare situazioni in cui tale do-vere diritto non è esigibile al titolare. Altrettanto KLINKEMBERG, Die Rechtspflichtzum Weiterleben und ihre Grenzen, cit., 445 ss., non ricostruisce il dovere di vive-re come un dovere assoluto, ma al contrario rimette all’etica e alla medicina l’in-dividuazione di quelle situazioni limite che rendono meno vincolante il dovere.

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fatto che, essendovi coincidenza naturalistica tra colui che è obbligatoad astenersi da una determinata condotta e colui che ha interesse al -l’osservanza di tale dovere di astensione, l’eventuale rinuncia alla tute-la di questo interesse non attiva alcuna reazione dell’ordinamento pe-nale e pertanto è irrilevante giuridicamente. Dunque, considerazionidi inopportunità o sconvenienza che rispondono ad esigenze politico-criminali, ovvero l’inefficacia intimidatoria e rieducativa della sanzio-ne, nonché l’impossibilità pratica di comminarla, inducono a non pu-nire il suicidio e rendono superflua una norma incriminatrice, e nonuna sostanziale approvazione del fatto 32.

4. Alle radici della tutela della vita umana: la libertà di morire

In verità, gli argomenti esternati a giustificazione di una siffattascelta politico-criminale non sembrano sufficientemente convincenti,dal momento che non forniscono una altrettanto esauriente giustifica-zione alla mancata previsione del suicidio tentato, che non sarebbe,come nel caso del suicidio consumato, una mera petizione di principiopriva di conseguenze sanzionatorie per il reo, né alla presenza nel no-stro ordinamento di una fattispecie che penalizza le condotte di soli-darietà al suicidio 33.

32 Il silenzio della legge penale, stando a quanto enunciato nella relazione mi-nisteriale al codice penale, è da ricondurre al fatto che l’incriminazione sarebbepriva di conseguenze sanzionatorie, dal momento che, una volta consumato, ilreato dovrebbe estinguersi per la morte del reo. V. ALTAVILLA, Il suicidio nella psi-cologia, nell’indagine giudiziaria e nel diritto, Napoli, 1932, 206.

33 Circa le ragioni politico-criminali della non punibilità del suicidio fallito leopinioni sono vastissime; molti muovono dalla premessa della inopportunitàpratica della punizione, in quanto inadeguata ad agire come controspinta versole tensioni autolesioniste manifestate dal soggetto, così BRASIELLO, Il consensodel l’offeso in tema di delitti contro l’incolumità individuale, in Riv. pen., 1932, 529.Altri invece mettono l’accento su ragioni umane e di solidarietà, posto che la vit-tima del gesto disperato ha già ricevuto una sanzione, una autopunizione, e sa-rebbe eccessivo infierire con i rigori della legge, così GRANATA, L’istigazione alsuicidio, in Riv. pen., 1940, 372. Deve peraltro ricordarsi che, vigente il codiceZanardelli, che non prevedeva l’ipotesi del suicidio fallito, si erano levate criticherispetto ad una simile scelta, evidenziando il medesimo disvalore della condottain entrambi i casi, anche se diversi sono gli eventi autolesionisti e la incongruitàdi trattamento di chi abbia aiutato o indotto altri al suicidio, ed ottiene l’obietti-vo desiderato, soggetto a pena, mentre chi invece, abbia indotto od aiutato altrial suicidio, ma il tentativo è fallito comportando gravi conseguenze fisiche, deb-ba essere esente da pena, CIVOLI, Trattato di diritto penale, parte speciale, IV, Mi-lano, 1916, 14.

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In verità, per il legislatore del tempo il suicidio costituisce una in-debita usurpazione dei diritti e degli interessi pubblici alla promozio-ne demografica, alla cui punibilità si è costretti a rinunciare non soloperché è impossibile comminare una sanzione, ma anche perché il sui-cidio è un’aggressione alla vita umana singolarissima, che ha cometeatro la solitudine più assoluta 34. La lacuna in tema di suicidio nonesprime una piena valutazione positiva, lasciando trasparire unapreoccupazione nella mens legislatoris in ordine a simili fatti, che soloin quanto monadicamente circoscritti in un ambito di silenzio e priva-tezza assoluta non interferiscono con l’esigenza di affermazione di unamorale positiva non corrispondente con quella individuale. Nell’in-treccio delle relazioni intersoggettive, il suicidio o l’omicidio del con-senziente richiamano nuovamente l’interesse statuale alla repressione.Il suicidio è dunque collocato in una sfera di liceità solo di fatto, asso-lutamente estranea e refrattaria al diritto, noncurante del mondo delleregole, il cui depositario è l’individuo in una dimensione di solitudineestrema, rispetto alla quale è assunto un atteggiamento che, più dineutralità o di rispetto, deve definirsi di indifferenza 35. Il disinteressedel legislatore penale dunque esprime il senso di non accesso e di limi-te intrinseco, rispetto ad una dimensione che si sottrae ad una pro-spettiva valutativa, purché l’azione si esaurisca in se stessa e non espli-chi alcun rapporto con altre persone 36.

Questo ordine argomentativo tuttavia sembra comprimere ingiusti-ficatamente il valore dell’autonomia, invertendo il rapporto logico traregola (libertà) ed eccezione (divieto) ed implicano una differenziazio-ne concettuale tra le categorie della liceità (non solo penale) e della li-

34 Negano l’esistenza di un diritto al suicidio, MANTOVANI, Diritto penale, par-te speciale, I, Delitti contro la persona, Padova, 1995, 93; RAMACCI, Premesse allarevisione, cit., 209.

35 Questa sfumatura di significati tra neutralità, indifferenza e tolleranzacontribuisce ad individuare le vere ragioni politico criminali che giustificano ilsistema normativo vigente. La neutralità consiste in un tipo di relazione tra ilsoggetto cui viene attribuita e un insieme di elementi rispetto ai quali appunto ilsoggetto si pone come neutrale. Essa si definisce come un non propendere pernessuna delle pretese o posizioni valutative alternative. Nella filosofia liberale laneutralità si definisce rispetto alle diverse concezioni di bene sostenute dai cit-tadini negativamente come astensione dell’intervento statuale dall’interferirenelle differenti concezioni etiche sostenute, ma richiede anche un impegno po-sitivo da parte dello Stato di creare e mantenere le condizioni per cui nessunaconcezione etica si trovi sfavorita rispetto alle altre. In proposito, VERZA, La neu-tralità liberale e il valore dell’autonomia, in Politeia 2000, 21.

36 Così recentemente, SCLAFANI-GIARAUD-BALBI, Istigazione o aiuto al suicidio,cit., 32; nello stesso senso PAPPALARDO, L’eutanasia pietosa, cit., 111. Nella lette-ratura più risalente MANZINI, Trattato di diritto penale, cit., 11.

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bertà, escludendo che ciò che è un atto lecito per l’ordinamento giuri-dico possa essere considerato un atto libero. In un ordinamento plura-listico, tutto quello che non è vietato, deve considerarsi conseguente-mente perfettamente lecito e costituisce manifestazione ed esercizio diuna libertà.

Ed invero, questa affermazione trova conforto anche nelle norme didiritto penale positivo, che attraverso un’operazione esegetica, lascia-no desumere a contrario il principio generale secondo cui solo le arbi-trarie ingerenze nella sfera individuale altrui sono meritevoli di pena,e non tutte le altre, e meno che mai quelle provenienti dallo stesso ti-tolare. Il principio discende da una lettura a tutto tondo dell’art.50 delcodice penale 37 e da una ricognizione delle poche norme penali che in-criminano atti di autolesionismo, le quali, ad un più attento esame, ri-sultano finalizzate, piuttosto che dall’obiettivo di prevenire le condottedi autolesionismo in sé, dall’esigenza di impedire che si eserciti un pro-prio diritto in modo emulativo, ovvero al solo scopo di danneggiare in-teressi altrui 38.

37 L’art. 50 c.p., pur non disciplinando espressamente le autoaggressionicompiute su se stessi lesive dell’integrità fisica, implicitamente esprime il prin-cipio della liceità penale degli atti dispositivi sul proprio corpo, anche se forte-mente lesivi dell’integrità fisica, se realizzati direttamente manu propria dal tito-lare del diritto e a prescindere dall’assunzione di un impegno negoziale. Infatti,la stessa esegesi del consenso dell’avente diritto conduce alla conclusione dellapiena liceità, almeno fattuale, di atti autolesionisti realizzati su se stessi senza al-cun apporto di terzi. Dunque il contenuto della norma si estende in due direzio-ni: quella implicita della libertà di disporre direttamente dei propri beni perso-nali (disponibilità manu propriae); l’altra, più direttamente enunciata come prin-cipio generale dell’ordinamento giuridico, che riconosce al titolare del diritto lapossibilità di disporne tramite altri, acconsentendo alla lesione e rinunciando al-la tutela che l’ordinamento appresta (disponibilità manu alius). Così recente-mente STORTONI, Riflessioni in tema di eutanasia, cit., 480.

38 Tali norme si caratterizzano tutte per il fatto che la criminalizzazione dellecondotte di autolesionismo poste in essere dallo stesso soggetto titolare del dirit-to rispondono all’esigenza di tutela di interessi che non sono immediatamente dipertinenza individuale, cosicché questi interessi individuali contro la stessa vo-lontà ed autodeterminazione del titolare ricevono tutela solo indiretta e occasio-nalmente, in quanto entrino nel fuoco degli interessi altrui, collettivi o individua-li anch’essi. Le limitazioni alla libertà di disporre manu propriae non sono quindifunzionali ad esigenze di protezione paternalistica di «tutela da se stessi»; al con-trario, i profili di tutela sono apertamente estranei al soggetto stesso, e tendono acogliere anche un elemento di «frode» che è insito nella condotta autolesionista.

Si esamini in proposito l’art. 642 c.p. che punisce la fraudolenta distruzionedella cosa propria e mutilazione della propria persona al fine di conseguire ilprezzo di un’assicurazione. Certamente la norma costituisce un’ipotesi lampan-te di incriminazione di una condotta autolesionista; ma a ben guardare, è evi-

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Questi elementi esegetici, desumibili dal diritto vigente, ed infine in-seriti in un contesto culturale assai diverso rispetto quello in cui hannovisto luce le norme penali poste a tutela della vita umana, segnano il net-to declino di quella concezione che vedeva intersecarsi interessi pubbli-ci e individuali, con incondizionato primato dei primi sui secondi. Il da-to negativo dell’assenza di una norma incriminatrice perde quindi quelcordone ombelicale che lo legava ad una certa ideologia, o comunquealle intenzioni originarie del legislatore, inserendo quella scelta in unoscenario costituzionale che ha come indiscusso fulcro la tutela e il ri-spetto della persona umana 39. Il quadro complessivo della Carta costi-tuzionale, sia pure per certi versi contraddittorio ed ambiguo, lasciaemergere, a conferma dell’ipotesi fatta, un’assoluta preminenza del va-lore individuale su quello sociale e collettivo: la pertinenza individualedel bene della vita umana si manifesta innanzitutto nel l’inquadramentodi tale interesse come diritto di libertà, diritto inviolabile ad essere la-sciato in vita, dovendosi d’altro canto necessariamente escludere che ta-le diritto possa tramutarsi, nella sua proiezione sociale, in un dovere divivere, che infatti risulta del tutto sfornito di sanzione, e quindi incoer-cibile, come è chiaramente posto con riferimento alla salute 40.

dente che la collocazione tra i reati contro il patrimonio, la stessa finalità speci-fica di conseguire – ingiustamente – il prezzo dell’assicurazione che qualifica ildolo, mettono in evidenza il carattere fraudolento della condotta autolesionista,il cui obiettivo è frodare l’assicurazione. La norma quindi risponde all’esigenzadi tutelare interessi patrimoniali altrui (in particolare dell’assicurazione) frau-dolentemente lesi e messi a repentaglio da una condotta autolesionista la cui fi-nalità è esclusivamente quella di danneggiare interessi altrui, anche a costo di le-dere i propri. Altrettanto gli artt. 157 e 158 del codice penale militare di pace vie-tano le lesioni procurate al fine di sottrarsi all’obbligo del servizio militare; an-che qui la finalità è esclusivamente quella di non adempiere ai doveri di servito-re della Patria, ed inoltre il soggetto attivo non è un qualsiasi individuo, maesclusivamente il militare. Così, ma con riferimento esclusivo ai diritti patrimo-niali, il reato di incendio di cosa propria, che costituisce un’ipotesi di limitazio-ne della propria libertà di disporre dei beni, allorquando tale libertà possa de-terminare un pericolo per l’incolumità pubblica. Sembrerebbe anche qui che illegislatore abbia sottratto alla disponibilità del titolare un diritto di natura pa-trimoniale, se non si dovesse tenere conto della incidenza che assume l’interessecollettivo nella costruzione della fattispecie, in relazione alla complessiva lesi-vità del fatto. Infine rileva il reato di autocalunnia, in cui l’interesse all’ammini-strazione della giustizia supera quello individuale che induce l’individuo ad in-colparsi falsamente di un reato, salvo che il fatto sia stato commesso per esservistato costretto dalla necessità di salvare se medesimo o un prossimo congiuntoda un grave e inevitabile nocumento nella libertà e nell’onore. In tal caso l’inte-resse collettivo è prevalente rispetto a quello individuale.

39 In tal senso SEMINARA, Riflessioni in tema di suicidio e di eutanasia, cit., 688.40 Nella letteratura d’oltralpe, si è fatta strada l’opinione secondo cui il suici-

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In tal senso la morte e il morire devono essere visti come un aspet-to della realizzazione e manifestazione della propria personalità, e per-tanto, in questa misura, appartengono alla vita, e rientrano tra i com-piti di tutela del diritto penale, preposto a garanzia della vita umana,non solo nella sua dimensione temporale e quantitativa, ma anche nel-la realizzazione qualitativa, in relazione cioè a ciò che appare signifi-cativo in base ad un ordine di valori del tutto autonomo ed individua-le, che finisce per segnare anche il contenuto concettuale dell’offesa 41.

Le ragioni attuali di legittimazione dell’intervento penale e dellascelta politico-criminale di non incriminare il suicidio, anche solo ten-tato, possono essere identificate, secondo una lettura orientata ai valo-ri costituzionali, nei limiti di legittimità dell’intervento penale nei con-fronti di fatti espressivi di libertà primarie, e non già aggressivi di talilibertà 42, e nella visione secondo cui la vita assurge a bene giuridico

dio, se da un lato non riceverebbe la tutela accordata al diritto alla vita dall’art.2, primo comma del Grundgesetz, d’altra parte neppure costituisce la violazionedi un dovere di vivere, trattandosi di manifestazioni della persona lecite.

Nell’ambito degli studiosi di lingua tedesca più recenti si nega che il diritto al-la vita garantito dalla Costituzione possa implicare una corrispondente posizio-ne soggettiva di «dovere di vivere» in capo al titolare. L’argomento portante aconfutazione dell’esistenza di un simile dovere, che altrimenti avrebbe dovutocondurre all’incriminazione di qualsiasi condotta autolesionista (consumo di al-cool, droghe o nicotina) è che esso descriverebbe un rapporto di subordinazionedel singolo alla società non più compatibile con i sistemi democratici e plurali-stici, in cui l’individuo è espressione del potere statuale, è Träger der Staatsgewalt.Tale concezione si pone in contrasto con le norme del diritto vigente, che pongo-no la netta distinzione tra Fremdschädigung e Selbstschädigung per ragioni stori-che, interpretative e culturali, così ROXIN, Die Mitworkung beim Suizid- Ein Tö-tungsdelikt?, in Festschrift für DREHER, 1977, 331, il quale evidenzia anche che illegislatore ha limitato la punibilità al solo omicidio, con esclusione del suicidiogià dall’inizio del 19° secolo, e che quando ha inteso riferire il fatto anche allastessa vittima lo ha fatto espressamente come nel caso del par. 109 relativo alreato di autodanneggiamento. V. In proposito GEILEN, Euthanasie und Selbstbe-stimmung. Juristische Betrachtungen zum Recht auf den eigenen Tod, Tübingen,1975; BOTTKE, Suizid und Strafrecht, Berlin, 1982; ID., Probleme der Suizidbeteili-gung, in GA 1983, 22; FINK, Selbstbestimmung und Selbstötung, Köln, 1992.

41 Se si assume che «offesa» equivale ad una aggressione di un bene giuridi-co contro l’interesse (pubblico o individuale) ad un indisturbato mantenimentoe godimento, rinunciare alla vita non può costituire un’aggressione al bene giu-ridico, perché la morte appartiene alla vita, e non vi è alcuna distruzione di unvalore quando manchi l’interesse alla conservazione del bene, in quanto tuteladella vita significa anche diritto ad accettare i limiti naturali della vita, e cioè an-che la morte, così SAX, Zur recthtlichen Problematik der Sterbehilfe, cit., 145.

42 Il riconoscimento del diritto alla vita non può tradursi nella pretesa versola vita o verso la morte, ovvero in una posizione di pretesa verso l’intero ordi-namento giuridico ma neppure nell’imposizione di una posizione soggettiva to-

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fonte di valori in ragione della sua dimensione soprattutto soggettivaed individualistica, e solo in subordine solidaristica 43. Colui che è stan-co di vivere non può essere obbligato a continuare a farlo: questo sa-rebbe un atto che esorbita dalla misura della condotta esigibile anchemoralmente dal buon samaritano, al quale è chiesto di fare agli altricome se stesso, ma non di più. La configurazione della vita come do-vere supererebbe la misura del sacrificio esigibile.

In effetti, sebbene in molti ordinamenti siano esistite o esistanotuttora norme che puniscono il suicidio o la partecipazione al suici-dio, nessuna indagine ha dimostrato che la minaccia della pena abbiamai influito sulla percentuale dei suicidi consumati o tentati 44. In-nanzitutto, è in dubbio se il diritto penale, attraverso la funzione posi-tiva di stabilizzazione delle norme, possa assicurare una disapprova-zione etica del suicidio e delle condotte di aiuto, in quanto ciò sarebbecontrario a quegli obiettivi di pluralismo che l’ordinamento si prefig-ge. Ma altre e ben più profonde ragioni si rivelano, poiché rispetto al-la morte (voluta o minacciata) il diritto penale sarebbe uno strumentoinutile, come dimostra il fatto che il suicidio sia spesso tentato nume-rose volte, proprio allo scopo di provocare un intervento salvifico, eche quasi mai venga dolosamente omessa l’azione di salvataggio 45. Alcontrario, i rari casi in cui terzi non impediscano o agevolino la rea-lizzazione del suicidio dimostrano che le possibilità di salvataggio econvincimento del suicida che intende fermamente realizzare il suo

talmente sottratta al dominio del suo titolare. All’obiezione circa la configura-zione di un «diritto ad essere ucciso», come logico corollario del riconoscimen-to della cittadinanza nel nostro ordinamento del diritto a morire, che richiedel’apprestamento di mezzi e servizi da parte dello Stato per garantire e consenti-re l’esercizio del diritto, occorre precisare che solo i diritti «sociali» impongonoprestazioni a carico dello Stato: il diritto alla salute attribuisce al singolo unapretesa alla cura e all’apprestamento di strutture sanitarie; ma il diritto alla vi-ta non consiste nella pretesa a venire al mondo (con l’interruzione della gravi-danza il diritto alla vita può retrocedere di fronte al diritto alla salute della ma-dre). V. CORSO, I diritti sociali nella Costituzione italiana, in Riv. trim. dir. pub-bl., 1981, 770.

43 Così SEMINARA, Riflessioni in tema di suicidio e di eutanasia, cit., 674; ROM-BOLI, Atti di disposizione del proprio corpo, cit., 245. Di segno opposto, nel sensodella prevalenza della proiezione sociale del bene protetto, sono invece le consi-derazioni di ZAMBRANO, Eutanasia, diritto alla vita, cit., 870. Al contrario, che ilriconoscimento della disponibilità dell’interesse risponda a una logica utilitari-sta, e non personalista, MANTOVANI, Aspetti giuridici dell’eutanasia, cit., 451.

44 Sulle finalità di prevenzione della pena, GIUNTA, Quale giustificazione per lapena? Le moderne istanze della politica criminale tra crisi dei paradigmi preventi-vi e disincanti scientistici, in Pol. dir., 2000, 265.

45 ROXIN, Die Mitworkung beim Suizid- Ein Tötungsdelikt?, cit., 352.

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proposito sono minime e quindi che la minaccia della pena è già privadi efficacia 46. Sotto il profilo dell’effettività della sanzione, una ipote-tica norma incriminatrice del suicidio sarebbe pertanto destinata alladisapplicazione, non essendo dotata di alcuna capacità di influenzarein senso profilattico la condotta dell’uomo, e ciò non solo a causa del-la sopravvenuta morte del reo, anche perché chi sceglie la morte non èpsicologicamente condizionabile.

In tal senso assume rilevanza l’art. 27 Cost., che nel vietare la penadi morte, oltre a esprimere efficacemente il rispetto della dignità del -l’uomo, lascia intravedere un preciso atteggiamento del legislatore co-stituente nei confronti della morte 47. Dal divieto costituzionalmenteprevisto di infliggere la morte come sanzione, può desumersi una con-cezione che vede il vivere e il morire come fenomeni sottratti all’ambi-to della doverosità giuridica (si badi, ma non della giuridicità). La mor-te (se inflitta come pena) non è una libera scelta ma un’imposizione acontenuto fortemente afflittivo che corrisponde alla massima ed estre-ma negazione di tutti i diritti e le libertà, cui non si ricollega alcuna al-tra finalità di tipo preventivo, se non quella della definitiva neutraliz-zazione dell’autore dell’illecito.

Il nostro ordinamento costituzionale ha posto un preciso e chiaroveto a questo utilizzo della morte, perché totalmente in contrasto agliobiettivi di prevenzione e risocializzazione che lo stesso art. 27 dellaCostituzione pone, lasciando intravedere una concezione della vita edella morte come momenti fondamentali dell’individuo che la legge

46 Da questo punto di vista, anche l’incriminazione delle condotte di parteci-pazione, logicamente connessa all’incriminazione della condotta principale, sa-rebbe dannosa in quanto i soggetti preposti ad impedire l’evento sarebbero con-tinuamente esposti al rischio di essere accusati non appena vengano a cono-scenza di propositi suicidi (ad esempio lo psichiatra presso cui era in cura il sui-cida), o altrimenti sarebbero responsabili anche a titolo di dolo eventuale ogniqualvolta abbiano, con azioni o omissioni, suscitato un proposito suicida. Larealtà dimostra invece che eventuali esternazioni da parte del suicida, così comeil tentativo messo in atto, siano spesso veri e propri appelli, richieste di aiuto, laricerca di una soluzione ad una situazione di malessere, rispetto ai quali la mi-naccia della sanzione appare fortemente inadeguata alle finalità di prevenzione.Il tentativo di suicidio in certi casi può rappresentare una manifestazione sinto-matica di uno stato di difficoltà rispetto al quale non c’è sensibilità o attenzione,quindi un appello alla vita che non può essere represso.

47 Per un riferimento all’art. 27, quarto comma, Cost. quale fonte di una tu-tela espressa e diretta del bene della vita, nella letteratura civilistica, BIANCA, Di-ritto civile, I, La norma giuridica, I soggetti, Milano, 1987, 160. Recentemente,SCORDAMAGLIA, I diritti dell’uomo e la pena di morte, Relazione al Congresso in-ternazionale «I diritti dei singoli e delle collettività nel nuovo millennio», 7 set-tembre 2000, Roma.

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può prendere in considerazione esclusivamente come dimensioni di li-bertà individuale, e non in termini di imposizione, di doverosità. Ciòconsente di supporre che, così come non può essere imposto di mori-re, altrettanto a nessuno può essere imposto di vivere. Il che equivale adire che la morte, come la vita, non possono giammai consistere in do-veri, ma semmai in libertà.

5. Le ragioni a fondamento dell’incriminazione della partecipazioneal suicidio

Alla luce dell’indagine svolta, è giocoforza concludere che il datodella liceità del suicidio impedisce di desumere la criminosità dellapartecipazione da una ipotetica criminosità del suicidio, che invece co-stituisce un fatto lecito. Ciononostante, la stessa tecnica di descrizionedella fattispecie, incentrata sulle condotte istigatorie, sembra condur-re, ancora una volta, nella direzione opposta. Infatti le condotte istiga-torie in senso ampio, in quanto manifestazioni di pensiero connotateda una diretta e concreta attitudine ad influenzare l’altrui volontà, me-diante la manifestazione della propria, così da incidere sulla realizza-zione del fatto istigato, presentano un profilo di pericolosità che nonattiene alla condotta istigatoria in sé, ma che inerisce e si puntualizzarispetto ai beni aggrediti dal fatto istigato 48, poiché è in relazioneall’esigenza di apprestare una tutela anticipata all’interesse che verreb-be leso, qualora venisse realizzato il fatto istigato, che si coglie la peri-colosità dell’istigazione.

48 L’istigazione, proprio per questa idoneità che presenta ad incidere sulcomportamento altrui, non sarebbe una semplice manifestazione del pensiero,sia pure partecipata o animosa, ma una condotta che fuoriesce nelle modalità daun sereno piano comunicativo, presentando aspetti di condizionamento e con-vincimento delle condotte altrui, estranei all’ambito di tutela che l’art. 21 Cost.appresta e che pongono in pericolo concreto interessi tutelati penalmente, cosìCorte Cost. n. 108 del 1974, in Riv. it. dir. proc. pen., 1974, 444. In proposito FIO-RE, Libertà di manifestazione del pensiero e reato di istigazione, in Giur. merito,1974, 7; DE VERO, Istigazione, libertà di espressione e tutela dell’ordine pubblico, inArch. pen., 1976, 8; STORTONI, L’incostituzionalità dei reati di opinione: una que-stione liquidata?, in Foro it., 1979, II, 899.

Se dotata di tali caratteristiche di idoneità e finalità particolari, l’istigazionepuò eventualmente assumere le connotazioni di manifestazioni coercitive, diret-te ad esercitare una violenza morale sulle persone e ad imporsi in forma impe-rativa coartandone la volontà, la cui illiceità andrebbe vagliata in rapportoall’art. 13 Cost. e all’interesse all’intangibilità della propria sfera personale, sia fi-sica che psichica.

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Alla luce di queste considerazioni, tenendo a mente che la risolu-zione che si intende eccitare, determinare o rafforzare non costituisceun reato, ma una condotta libera e lecita, che può rappresentare l’eser-cizio di una libertà costituzionale ex art. 32, secondo comma, Cost.,non si comprende quale debba essere il profilo di pericolosità che giu-stifichi l’anticipazione di tutela ovvero l’incriminazione di un fatto che,qualora dovesse avvenire senza la partecipazione di terzi, sarebbe deltutto lecito 49, soprattutto se si considera la costruzione dell’istigazioneo aiuto al suicidio come reato ad evento necessario, in cui l’evento è co-stituito da una condotta umana di un soggetto responsabile. Se si po-ne l’accento sulla verificazione dell’evento, sembrerebbe chiaro trat-tarsi di un reato finalizzato a prevenire e sanzionare il danno alla vita(o all’integrità fisica) arrecato dalla stessa vittima, con il contributo dicondotte partecipative morali o materiali di terzi 50.

Se il suicidio costituisse davvero un fatto perfettamente lecito, chenon suscita in sé l’interesse del legislatore, la ratio della punibilità dellecondotte di partecipazione dovrebbe essere individuata altrove ed inchiave di tutela delle libertà individuali, in quanto autonomamente do-tate di un indice di forte pericolosità 51. Pertanto, non resta che ricerca-re tale profilo di pericolosità e di offensività non in relazione al fatto isti-gato, ma nella condotta istigatoria in sé, a prescindere da una valutazio-ne di disvalore dell’atto autolesionistico, ed escludendo che scopo dellanorma possa essere la repressione e prevenzione del suicidio. La rico-gnizione di questa norma penale dovrà essere condotta assumendo co-me griglia interpretativa la liceità del suicidio, che assume il ruolo di li-mite tacito della norma, la quale non può essere interpretata in maniera

49 Infatti il solo carattere della idoneità ex ante ed in concreto ad incidere nel-la realizzazione di un fatto valutato in termini di liceità dal legislatore difficil-mente riesce ad evidenziare la necessità di apprestare una tutela anticipata adun interesse che, qualora venga leso a prescindere dalla condotta istigatoria al-trui, non riceverebbe alcuna tutela. Per gli altri casi nei quali il fatto istigato nonha natura criminosa, TONINI, Istigazione, tentativo e partecipazione al reato, inStudi in onore di G. Delitalia, Milano, 1984, 1578 ss.

50 La configurazione della norma come reato di danno comporterebbe inol-tre l’ammissibilità del tentativo di istigazione o aiuto al suicidio, punibile in as-senza dell’evento costituito dalla morte o dalle lesioni, con eccessivo arretra-mento della soglia della punibilità, incompatibile con il dato della liceità sia delsuicidio consumato che tentato.

51 Il fondamento giustificativo della norma non starebbe quindi nell’assuntodel l’indisponibilità della vita umana, né in una concezione della sua tutela ag-ganciata al riferimento ad interessi statuali e collettivi (l’individuo come mem-bro di una collettività, il cui valore è direttamente proporzionale al ruolo in essasvolto), o ad argomentazioni paternalistiche, che non troverebbero alcun coe-rente riscontro nella scelta di porre il suicidio come fatto lecito.

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da supporre implicitamente che il fatto di disporre manu propria dellapropria vita costituisca un atto da disincentivare 52.

In quest’ottica potrebbe essere convincente una ricostruzionedell’oggetto di tutela specifico della norma nell’esigenza di protezionedel suicida da interferenze provenienti da terzi nel corso del procedi-mento di formazione della sua volontà, affinché simili scelte autole-sioniste siano attribuibili con assoluta certezza unicamente alla vo-lontà del titolare del bene stesso, a garanzia della sua autoresponsabi-lità 53. E ciò anche nell’evenienza che dalla collaborazione di terzi deri-vino le lesioni gravi o gravissime quali conseguenze di un tentativo disuicidio fallito 54. Potrebbe quindi individuarsi un preciso profilo di tu-tela della vita umana, nella libertà di ciascuno di scegliere di morire li-beramente senza alcun condizionamento esterno, assicurandosi che il

52 Così RAMACCI, Premesse alla revisione, cit., 213; ID., I delitti di omicidio, cit.,156.

53 In generale, su questi temi, OTTO, Eigenwerantwortliche Selbstschädigungund- gefährdung, in Festschrift für H. TRÖNDLE, Berlin-New York, 1989, 157.

54 Numerosi problemi solleva, sotto il profilo della qualificazione giuridica edel fondamento politico-criminale, la previsione della responsabilità a caricodell’istigatore per conseguenze lesive gravi o gravissime non volute che la vittimasi sia auto procurata nel realizzare un suicidio fallito. È in questione in qualeschema di imputazione soggettiva debba ricondursi il caso in cui alla condottadel reo sia seguito un suicidio fallito per volontà della vittima o per altre cause (lanorma non specifica) che comporti però una lesione grave o gravissima della in-tegrità fisica, che costituisce l’evento autolesionista diverso da quello volutodall’istigatore, concretamente verificatosi. Le ipotesi in proposito sono diverse. Sipotrebbe trattare di un’autonoma figura criminosa, non riconducibile allo sche-ma dell’aberratio delicti perché l’evento realizzato, anche se diverso da quello vo-luto, non dà luogo ad un diverso titolo di responsabilità, né è spiegabile in termi-ni di responsabilità oggettiva, essendo comunque il suicidio, anche se fallito, vo-luto dall’agente. Ciò che non è voluto riguarda le conseguenze – di minore gravitàlesiva – della condotta della vittima: le lesioni gravi o gravissime al posto dellamorte, così SCLAFANI-GIRAUD-BALBI, Istigazione o aiuto al suicidio, cit., 38 s.

Altri individuano una sorta di preterintenzione all’incontrario, in cui l’even-to non voluto è di minore gravità rispetto a quello voluto, e non è ulteriore, nonsi aggiunge cioè a quest’ultimo, ma è alternativo ad esso. Altrimenti potrebbeprospettarsi una punibilità a titolo di dolo eventuale, dimostrando che non soloil suicidio sia previsto e voluto, ma sia stata presa in considerazione la possibi-lità di fallimento, e si accetti il probabile prodursi di danni fisici di minore gra-vità della morte, così PATALANO, I delitti contro la vita, cit., 228-229. Altra ipotesiè quella che ravvisa una figura speciale di tentativo, presentata dalla legge nellaforma del tentativo compiuto, in cui l’evenienza di lesioni gravi o gravissime nonsi propone come evento diverso e alternativo alla morte, ma come mancata veri-ficazione dell’evento morte, analogamente a quanto avviene nell’ipotesi di tenta-to omicidio, RAMACCI, I delitti di omicidio, cit., 152 s.

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suicidio si svolga in un ambito di solitudine e di assenza di relazioni,poiché il legislatore diffida di tali interventi, dubita della buona fede dicolui che interferisce in una decisione così estrema, che vuole sia per-sonalissima ed aliena da ogni influenza esterna. Dunque, si tratta didefinire a quali condizioni il condizionamento o tipo interferenza eser-citata comporta la responsabilità esclusiva per scelte operate da altri,in modo da superare la soglia dell’autoresponsabilità per la sceltad’azione compiuta dall’esecutore principale del fatto.

La partecipazione al processo decisionale dell’aspirante suicida puòavvenire o con mezzi e metodi illeciti (avvalendosi di mezzi di pressionepsicologica, abusando di uno stato della vittima o di una posizione diautorità, di poteri di suggestione o ingannando la vittima, o minaccian-dola, o infine usandole violenza) o con metodi di persuasione del tuttoleciti (istigazione, determinazione, rafforzamento). Ed è proprio questaattività di interferenza nel processo di formazione della volontà che vie-ne elevata dal legislatore a fatto di reato: l’aver convinto del tutto o con-tribuito a convincere qualcuno con qualsiasi mezzo a fare qualcosa,purché risulti dimostrata l’intenzione di provocare il fatto oggetto diistigazione, l’idoneità causale della manifestazione istigativa a raggiun-gere l’obiettivo e l’effettiva influenza causale nella ideazione e progetta-zione del proposito suicida. Solo a queste condizioni verrebbe superatala soglia del rischio quotidiano di condizionamento psicologico che cia-scuno è chiamato a fronteggiare autoresponsabilmente 55, sì da indivi-duare una lettura della norma conforme ai principi costituzionali.

Tuttavia, queste considerazioni devono arrestarsi ad una più atten-ta analisi della norma, che invece si struttura in relazione a condotte dimaggiore ampiezza, sia sotto il profilo dell’efficacia eziologica, sia dalpunto di vista della necessità di tutela di colui che assume libere auto-determinazioni autolesioniste.

Infatti, come accennato, il legislatore non si è limitato ad apprestaretutela dall’interferenza di coloro che, sfruttando un particolare stato didebolezza, di minorata difesa a causa delle condizioni di incapacità, oinfine avvalendosi di mezzi di coercizione della volontà, cooperano conla vittima affinché si tolga la vita. Al contrario, il presupposto è la pienacapacità del soggetto che al suicidio è determinato, istigato, o agevola-to 56, poiché ricadono nell’ambito applicativo della norma le condotte di

55 SERENI, Istigazione al reato e autoresponsabilità. Sugli incerti confini delconcorso morale, Roma, 2000, 176 ss.

56 L’istigazione può consistere nello sfruttamento o in un abuso delle situa-zioni nelle quali manchi nell’istigato uno dei presupposti dell’autoresponsabi-lità. Ma i casi in cui la vittima è minore di anni 14 o incapace sono equiparati al -l’omicidio, e quelli in cui la vittima è minore di anni 18, equiparati all’omicidiodel consenziente. Si tratterebbe di ipotesi speciali di omicidio comune, e non di

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condizionamento psichico che concernono un soggetto, l’aspirante sui-cida, pienamente responsabile e non alterato psichicamente. Il rischiodella comunicazione può dunque essere neutralizzato dal ricevente, inquanto soggetto responsabile capace di un confronto paritario.

Lo spettro d’azione della fattispecie legale si spinge oltre, non solo inrelazione ai requisiti soggettivi della stessa vittima, ma anche con riferi-mento alle modalità di realizzazione della condotta, che costituisce ilmezzo di condizionamento della libertà di scelta del destinatario. Per ciòche riguarda le condotte di interazione psichica, ricadono nel suo ambi-to applicativo, condotte di insorgenza motivazionale che si avvalgonodella persuasione con mezzi leciti privi dell’efficacia condizionante an-che ad una verifica causale ex post, o perché si inseriscono in un proces-so decisionale già instauratosi (istigazione-determinazione), o perché silimitano soltanto a rafforzare un proposito già rinsaldato, pur essendoper definizione sfornite della efficacia eziologia necessaria per influen-zare in qualche modo la determinazione del suicida (rafforzamento).

6. L’idoneità ad interferire nel processo motivazionale del suicida nel-le condotte di determinazione e rafforzamento. L’agevolazione

Si richiede allora una maggiore attenzione alle caratteristiche strut-turali delle figure tipiche della determinazione (o istigazione) e raffor-zamento, che parrebbero adoperate promiscuamente dal legislatorenella descrizione della condotta. Questo uso forse grossolano della ter-minologia sarebbe indiziato dal fatto che l’espressione presente nel ti-tolo, ovvero «istigazione», non corrisponde alla descrizione delle con-dotte contenuta nel precetto, in cui ricorre l’espressione «determina-zione». Proprio con riferimento all’istigazione o aiuto al suicidio, ver-rebbe confermata l’idea che non sussista una effettiva differenza onto-logica e giuridica tra le due locuzioni, a seconda che la risoluzione del -l’istigato sia già sussistente o meno 57.

istigazione o aiuto al suicidio, così PATALANO, I delitti contro la vita, cit., 219-230;MARINI, Delitti contro la persona, cit., 97; MANTOVANI, Diritto penale, parte specia-le, I, cit., 182; RAMACCI, I delitti di omicidio, cit., 148-149. In tali casi infatti il sui-cida agisce senza discernimento e pertanto chi lo induce ad agire ne è responsa-bile come se agisse di persona. Il rinvio alle disposizioni relative all’omicidio nonè quindi quoad poenam, ma ad substantiam, poiché la materia in tal caso deveessere trattata come un fatto di omicidio comune. Ciò induce ad escludere chela ratio della norma possa essere ricercata nell’esigenza di maggior tutela di sog-getti psichicamente deboli, ipotesi che invece richiama automaticamente i delit-ti di omicidio, e non di partecipazione al suicidio.

57 Sulle diverse tipologie delle condotte adeguate ad integrare l’illecito, si veda-

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Seguendo questo ordine di idee, la determinazione, il rafforzamen-to non sarebbero dotate ciascuna di un proprio significato normativo,ma sarebbero semplici sinonimi contraddistinti dall’attitudine delmezzo ad influenzare la volontà del terzo nel suo processo di forma-zione, appartenenti al generale fenomeno istigatorio inteso in sensoampio. Tra le due espressioni – istigazione o determinazione – non cisarebbe quindi una differenza di struttura, essendo entrambe, o l’unao l’altra, contrassegnate dalla medesima connotazione che riguarda ilcarattere della idoneità ex ante a provocare il suicidio, senza il qualesarebbero condotte del tutto lecite. Tali condotte devono interferire sulprocesso motivazionale, o provocandolo ex novo o incidendo su unadeterminazione già esistente, così influenzando la volontà di un terzonel suo processo di formazione. L’incidenza causale deve convergeresul l’evento nelle sue precise e concrete modalità di realizzazione, sia alivello materiale che psicologico, affinché la realizzazione del fatto siadeterminata da una nuova ed autonoma manifestazione di volontà daparte dell’istigato, ma per le medesime finalità e con le medesime mo-dalità indicate nel mandato 58. Le condotte di «interazione psichica», siinseriscono nel l’ambito del fenomeno della c.d. convergenza motiva-zionale, ovvero sono delle forme di collegamento intellettivo che si per-fezionano con l’ac coglimento del proposito da parte dell’istigato, e chegenerano un’autonoma e originaria decisione di costui 59. Tale conver-genza si esprime dal momento che, nell’accoglimento di un’istigazio-ne, l’istigato recepisce i motivi prospettati dall’istigatore, e li trasformain propri, ponendo in essere una nuova azione assistita da un autono-mo coefficiente psicologico, ma il cui contesto motivazionale nonchéle finalità e modalità realizzative devono essere direttamente discen-denti dalla progettazione operata dall’istigatore. L’istigato, affinché sia

no, VANNINI, Quid iuris?, Milano, 1951, 9 ss.; PALOMBI, Istigazione o aiuto al suici-dio, in Enc. dir., XXII, Milano, 1983, 294; PATALANO, I delitti contro la vita, cit., 218.

58 ENGISCH, Das Problem der psychischen Kausalität beim Betrug, in Festschriftfür HELLMUTH v. WEBER, Bonn, 1963, 247; RAMAJOLI, Appunti in tema di causalitànel reato di istigazione o aiuto al suicidio, in Arch. pen., 1953, I, 315; DONATI, Do-lo specifico e idoneità dell’azione nel reato di istigazione al suicidio, in Giur. it.,1951, II, c. 121; PATALANO, I delitti di contro la vita, cit., 226. Nella manualistica,FIANDACA-MUSCO, Diritto penale, cit., 441 ss..

59 Per approfondimenti V. CASSIA, Rapporto di causalità e concorso di personenel reato, Roma, 1968, 204; ALBEGGIANI, Imputazione dell’evento e struttura obiet-tiva della partecipazione criminosa, in Ind. pen., 1977, 403; VIGNALE, Ai confinidella tipicità: l’identificazione della condotta concorsuale, in Riv. it. dir. proc. pen.,1983, 1358; DONINI, La partecipazione al reato tra responsabilità per fatto proprioe responsabilità per fatto altrui, in Riv. it. dir. proc. pen., 1984, 192; GUERRINI, Ilcontributo concorsuale di minima importanza, Milano, 1997; MAIWALD, Causalitàe diritto penale, Milano, 1999.

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tale, non deve aver deciso per proprio conto e autonomamente di agi-re nel senso prospettato, ma occorre che l’istigazione sia la causa delfatto. Se la decisione fosse già assunta, l’istigazione infatti perderebbeinevitabilmente rilevanza, non essendo già sul piano ontologico dotatadella efficienza eziologia ad influenzare la condotta altrui. È infatti lanatura relazionale del concetto di istigazione che impone un accerta-mento del collegamento eziologico tra l’istigazione e l’altrui determi-nazione volitiva, e che esclude dalla definizione di istigazione tuttequelle condotte inidonee o inutili 60.

Sulla base di queste premesse, se può sembrare convincente chel’espressione determinazione sia stata utilizzata come equivalente diquella di istigazione, lo stesso non può affermarsi per quella di raffor-zamento, che costituisce una novità del legislatore del ’30 rispetto alcodice Zanardelli 61.

60 Il collegamento motivazionale e psicologico tra la condotta dell’istigatoree quella dell’istigato deve essere accertato prima sul piano definitorio attraver-so un giudizio prognostico unitario ex ante su base totale, che si esprime nei ca-ratteri della univocità e idoneità di cui devono essere dotate tutte le condotteistigatorie tipizzate – quindi sia l’istigazione, che appare solo nel titolo, sia alladeterminazione che al rafforzamento – poi sul piano diagnostico e condiziona-listico, verificando ex post se l’istigazione è stata concretamente la causa, il so-strato motivazionale del fatto istigato, ovvero se si è mantenuto un rapporto, re-lativo alle modalità, alle finalità e alle motivazioni, tra condotta di istigazione,determinazione volitiva dell’istigato, e realizzazione del fatto istigato. Certa-mente sono notevoli le difficoltà di accertamento della causalità psichica, per ilfatto che in questa tipologia di concorso il rapporto causale viene mediato dallavolontà altrui, che implica di regola la libertà della propria scelta d’azione. Ilcollegamento psicologico tra la condotta dell’istigatore e quella dell’istigato ri-chiede quindi che, al giudizio prognostico sull’idoneità della condotta, si ac-compagni una valutazione volta a stabilire se, nel caso concreto, l’istigazioneabbia effettivamente sortito un proprio effetto causale sulla condotta altrui, inquanto si sia insediata nella psiche dell’istigato. Questo nesso condizionalisticodi tipo psicologico si sottrae all’ordine delle leggi scientifiche, generali o stati-stiche, non essendo scientificamente realizzabile una codificazione generale deiprocessi motivazionali umani, senza un’analisi psicologica dell’intera persona-lità. Si tratta infatti di verificare l’incidenza causale di una attività intellettualesulla determinazione volitiva autonoma e responsabile di un altro soggetto, checertamente non può essere effettuata alla stregua dei comuni parametri di ac-certamento del nesso condizionalistico, ovvero attraverso il ricorso di leggiscientifiche. V. SEMINARA, Riflessioni sulla condotta istigatoria come forma di par-tecipazione al reato, in Riv. it. dir. proc. pen., 1983, 1125; INSOLERA, Concorso dipersone nel reato in Dig. disc. pen., III, 1988, 458; GRASSO, Pre-Art. 110, in Com-mentario sistematico del codice penale, a cura di ROMANO-GRASSO, II ed., vol. II,Milano, 1996.

61 Come già accennato, nel codice Zanardelli la disposizione comprendeva so-lo due forme di attività: una morale, descritta con l’espressione determinazione,

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Se la condotta di determinazione deve definirsi come qualsiasi for-ma di collegamento intellettivo che si perfeziona con l’accoglimentodel proposito e che a sua volta origina una nuova ed autonoma deci-sione da parte dell’istigato, e dunque deve ritenersi comprensiva anchedel l’istigazione, è ovvio che la condotta di rafforzamento, se non vuoleessere ritenuta pleonastica e inespressiva, deve distinguersi dalla pre-cedente, e non possa equivalere all’istigazione o determinazione. Ilrafforzamento potrebbe quindi supporre la condotta di chi è già auto-nomamente e preventivamente determinato, e che è sfornita di quellaidoneità da valutarsi ex ante ed in concreto, tenendo conto di tutte lecircostanze presenti, anche quelle non note all’agente, ad influenzareun evento psichico. In definitiva nella fattispecie in esame, il legislato-re adopera espressioni linguistiche ulteriori a quelle riferite alle con-dotte di istigazione e determinazione, facendo riferimento anche acondotte di rafforzamento, che si distanziano fortemente dalle con-dotte riconducibili ai normali schemi della responsabilità concorsuale,e che si collocano ai margini con quella, tradizionalmente inclusa trale forme di partecipazione materiale, della agevolazione 62. Nel raffor-zamento vengono pertanto comprese anche condotte di ausilio moralepiù blando che si pongono come limitrofe rispetto al fenomeno causa-le della insorgenza motivazionale, e che tendono ad ampliare, forse ec-cessivamente, l’ambito di tutela del bene, essendo sfornite tecnica-mente dei requisiti della idoneità ad incidere nel processo di forma-zione della volontà dell’autore-vittima. I consigli e le istruzioni, chequalificano la condotta dell’autore come rafforzamento, nonché tutticasi in cui il contributo del terzo non si inserisce nella fase della for-mazione della volontà, ma solo marginalmente in quella puramenteesecutiva del proposito, trovano una forte e personale motivazione nel-la psiche dell’istigato, che agisce secondo una realizzazione propria odiversamente finalizzata, rompendo così quel rapporto di influenzapsichica 63.

L’agevolazione (nel titolo richiamata con l’espressione aiuto) alludeal l’attività materiale con la quale si procurano alla vittima i mezzi ne-cessari a rendere il suicidio possibile, o comunque apprezzabilmentepiù agevole, o alla condotta con cui si rimuovono ostacoli o difficoltà

l’altra materiale, per a quale si richiedeva la prestazione di mezzi per l’esecuzio-ne del suicidio.

62 Così MORMANNO, L’istigazione, cit., 55.63 Dal concetto di rafforzamento devono essere escluse quelle casistiche defi-

nite di adesione, di solidarietà, di stabilizzazione o di tolleranza che conduconoad una responsabilità esclusiva dell’autore. Il rafforzamento psichico assume unlimitato spazio di rilevanza penale in relazione a situazioni di forte carica emo-tiva dell’autore, così SERENI, Istigazione e autoresponsabilità, cit., 185.

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che si frappongono alla realizzazione del proposito suicida 64, o infinealla semplice omissione del garante che non si attiva per impedire ilsuicidio 65.

64 STORTONI, Agevolazione e concorso di persone nel reato, Padova, 1981, 153,qualora l’evento sia ricollegabile causalmente interamente alla condotta del sog-getto diverso dalla vittima, potrà configurarsi l’ipotesi dell’omicidio del consen-zientemente l’ipotesi di agevolazione al suicidio concerne condotte di tipo mate-riale con efficacia eziologica più ridotta e marginale.

65 Non si esclude un aiuto omissivo al suicidio riconducibile alla forma del -l’agevolazione (mentre maggiori perplessità suscita una determinazione-istiga-zione mediante omissione), purché il soggetto abbia violato un obbligo giuridi-co di attivarsi. Si ritiene che tale dovere sussista in capo a coloro che hanno ob-blighi di assistenza familiare, ma anche in capo a persone cui l’individuo è affi-dato per ragioni di educazione, di cura, di vigilanza, di custodia; in tal senso RA-MACCI, I delitti di omicidio, cit., 16. In proposito, GRÜNWALD, Die Beteiligung dur-ch Unterlassen, in GA, 1959, 110.

Un profilo di rilevanza penale ha assunto la condotta omissiva dell’agentecarcerario che, di fronte ad un prolungato sciopero della fame del detenuto chepuò condurre alla morte, non intervenga con l’alimentazione coatta, accettandoil rischio che dallo sciopero possa derivare il suicidio del detenuto. Infatti, se-condo un orientamento diffuso nei paesi d’oltralpe, nel caso di mera inerzia deltitolare di una posizione di garanzia, non appena sia sopraggiunto lo stato di in-coscienza della vittima, il dominio dell’atto si trasferisce al partecipe,anche sequesti non abbia concretamente agito o influito decisivamente sulla realizzazio-ne dell’evento. La soluzione tesa a giustificare l’intervento coatto in caso di inca-pacità della vittima è stata estesa oltre ai casi emblematici di pazienti psichica-mente alterati, in generale ogni qual volta alla scelta suicida corrisponda il so-praggiungere lento di uno stato di incapacità. Una volta perso il controllo degliaccadimenti si incardinerebbe sempre in capo al terzo che assiste inattivo unaposizione di garanzia da cui scaturisce l’obbligo di impedire l’evento, e la conse-guente responsabilità penale nella forma dell’agevolazione omissiva al suicidio oa titolo di omicidio ex art. 580, terzo comma, c.p. Ad esempio, la giurisprudenzaha configurato l’omicidio colposo applicando il terzo comma dell’art. 580 c.p.come ipotesi anomala di aiuto omissivo al suicidio punibile a titolo di colpa a ca-rico dello psichiatra ospedaliero nel caso di suicidio di malato di mente, per averomesso colposamente di ordinarne il ricovero ospedaliero nonostante le richie-ste di lui e dei familiari e la conoscenza di un precedente tentativo di suicidio,diagnosticando un mero stato di ansia, anziché una grave forma depressiva conrischio suicidiario, così Trib. Bolzano, 9 febbraio 1984, in Giur. merito, 1985, II,681. La tesi suddetta ha subito un ampliamento con riferimento alle situazionidi cattività del paziente: tali condizioni di limitazione della libertà personale ver-rebbero infatti ad incardinare in capo agli agenti carcerari una posizione di ga-ranzia con un raggio di azione amplissimo, e d’altra parte la situazione di catti-vità sarebbe un elemento preclusivo di una scelta veramente libera. Sull’obbligodi un’alimentazione coatta qualora il detenuto abbia perduto le capacità di au-todeterminazione, PULITANÒ, Sullo sciopero della fame di imputati in custodia pre-ventiva, in Quest. giust., 1982, 371; FASSONE, Sciopero della fame, autodetermina-

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Appare quindi forse eccessiva la preoccupazione del legislatore,qualora fosse quella anzidetta, di punire le condotte di agevolazione,che possono presupporre anche una divergenza di opinioni e che pos-sono essere motivate anche diversamente, sia quelle di rafforzamento,che pur riguardando il momento della formazione della decisione diuccidersi, sono incapaci di incidere casualmente o di deviare la dire-zione di tale processo volitivo.

Sembra potersi concludere che la fattispecie leale di cui all’art. 580del codice penale incrimina sotto il medesimo titolo di illecito e con ilmedesimo rigore sanzionatorio, figure decisamente eterogenee: il fat-to di chi dolosamente abbia fatto insorgere in altri l’intenzione del sui-cidio, e quello di chi abbia consapevolmente rafforzato un propositosuicidiario preesistente. Lo squilibrio, se appurato assumendo glischemi dell’imputazione riconducibile alle consuete tipologie di con-dotta concorsuale, si percepisce in relazione al principio di proporzio-ne (la pena o è troppo elevata per l’ausiliatore, o è troppo blanda perl’istigatore) e in relazione al principio di uguaglianza, essendo palpa-bilmente diverso il disvalore dei fatti puniti con la medesima pena, vi-ceversa accomunati sotto la medesima fattispecie, e cioè il contributomorale insieme a quello materiale 66.

Inoltre, altre perplessità di ordine costituzionale emergono consi-derando che le condotte di aiuto e di collegamento intellettivo rientra-no tra le modalità attraverso cui si esprime la libertà di associazione, edunque godono della relativa copertura costituzionale. Il punto di par-tenza è che le istigazioni presentano tutte un nucleo semantico che at-tiene al collegamento intersoggettivo; in quanto condotte di interrela-zione soggettiva, esse si inseriscono nell’ambito delle attività praticheche si traducono in forme partecipative e associative; anche le condot-te di aiuto o agevolazione – come dir si voglia a seconda che si assumacome più significativa l’espressione contenuta nel titolo (aiuto) o nelprecetto (agevolazione) – descrivono attività di collaborazione e parte-

zione e libertà personale, in Quest. giust., 1982, 345; BUZZI, L’alimentazione coattanei confronti dei detenuti, in Riv. it. med. leg., 1982, 284; ALLEGANTI-GIUSTI, Sullosciopero della fame del detenuto. Aspetto medico-legali e deontologici, Padova,1983; GRASSO, Il reato omissivo improprio, cit., 303; SEMINARA, Riflessioni in temadi suicidio e di eutanasia, cit., 699; VIGANÒ, Stato di necessità e conflitti di doveri,cit., passim. In giurisprudenza, App. Milano, ord. 30 dicembre 1981; Trib. Pado-va, ord. 10 gennaio 1983, in Foro it., 1983, 234 con nota di FIANDACA, Sullo scio-pero della fame nelle carceri.

66 Rileva SEMINARA, Riflessioni in tema di suicidio, cit., 721 ss. che il sistemadi norme costituito dall’omicidio delc onsenziente e dall’istigazione al suicidio èfortemente inadeguato, perché da un lato accomuna situazioni diverse sotto lamedesima fattispecie, dall’altro riporta sotto fattispecie diverse fatti sostanzial-mente equivalenti.

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cipative che si strutturano secondo il modulo associativo, sia pure ru-dimentale, in itinere ed appena abbozzato. Infatti nel contenuto delladisposizione costituzionale devono essere ricondotte sia le condotte diassociazione in senso stretto (l’essersi associati – quindi i casi di aiutoal suicidio, ossia di realizzazione in comune del fatto, con assunzionedi un ruolo secondario nella fase esecutiva dell’autore), che, sotto unprofilo dinamico, il venire costituendo una societas sceleris, ossia tuttele condotte di partecipazione, anche solo psicologica, al reato. Certo,nel caso delle istigazioni la struttura associativa è assai più embriona-le rispetto ai reati associativi, occasionale e priva di un collegamentostabile che sopravvive e si sovrappone ai singoli partecipanti, creandoun ente autonomo dotato di propria vitalità, e che rende perciò più pe-ricoloso l’agire del singolo per la collettività qualora il proposito sia larealizzazione di fatti di reato 67.

Ricondotte quindi le istigazioni e l’aiuto sotto l’alveo applicativodella disposizione costituzionale che garantisce la fondamentale li-bertà di associazione, come giustificare la speciale responsabilità pe-nale del partecipe alla realizzazione del fatto alla luce dell’art. 18 Cost.che, nell’affermare la fondamentale libertà di associazione, vieta soloquelle associazioni costituite al fine di commettere un fatto qualificatocome reato, quando la fattispecie di cui all’art. 580 c.p. presenta l’ano-malia di accedere ad un fatto che invece è lecito? Se ciò che è vietato alsingolo in quanto tale, è vietato anche al singolo che opera come com-ponente di una struttura associativa, possono le manifestazioni isti-ganti, le condotte di partecipazione ad atti non delittuosi formare og-getto di un valido divieto, finché gli atti stessi non sono elevati a delit-to, senza entrare in conflitto con tale norma fondamentale 68?

67 Ma queste differenze attengono più che altro alla disciplina e all’inquadra-mento dogmatico di teoria generale del reato, che ai contenuti e all’ambito diestensione delle garanzie costituzionali delle libertà. Quindi, malgrado si sia vo-luto sottrarre la fattispecie in esame dall’istituto generale del concorso di perso-ne nel reato, non si dissolvono in pieno i problemi di costituzionalità che la nor-ma solleva in relazione all’art. 18 Cost. Sulla base delle premesse fatte, a nullaimporta stabilire in che rapporto si collochi la fattispecie rispetto alla disciplinadel concorso di persone del reato, perché la disposizione costituzionale ha unraggio di azione assai vasto che va al di là dell’inquadramento dogmatico e checomprende certamente anche tali condotte. Dal punto di vista sostanziale, sottoil profilo ontologico e fatture, il fenomeno è identico, ciò che differenzia è la tec-nica di descrizione della fattispecie e la disciplina relativa.

68 In particolare, per quanto attiene alle condotte di associazione in sensostretto, ossia l’essersi associati, è interessato il secondo comma dell’art. 18 Cost.,relativo alle associazioni segrete e quelle a carattere militare. Per quanto attieneinvece a quelle condotte di partecipazione ancora embrionali, che riguardano lafase genetica e dinamica del venire formando una societas, il limite costituzio-

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7. La presunta incostituzionalità delle leggi che vietano l’assistenza alsuicidio negli Stati Uniti: una svolta nel dibattito sull’eutanasia?

La sopravvivenza delle norme che incriminano la partecipazioneal suicidio sembra essere messa in discussione negli Stati Uniti, at-tualmente scenario effervescente di un dibattito pubblico centratosui temi che concernono l’estensione delle libertà individuali. In par-ticolare, la campagna a favore della legalizzazione dell’eutanasia edel suicidio assistito si è sviluppata al punto tale da sollevare que-stioni di legittimità costituzionale verso le norme, presenti larga-mente in molti Stati americani, che incriminano la partecipazione oaiuto al suicidio.

La prima tappa di questo percorso è l’acquisizione, avvenuta in viagiurisprudenziale, del diritto a rifiutare terapie di sostentamento vita-le anche nel caso in cui sia sopraggiunta la materiale impossibilità adesprimere le proprie volontà, e non soltanto qualora si disponga deic.d. testamenti di vita. Allora, se vi è accettazione del diritto a rifiutaretrattamenti vitali anche quando sia sopraggiunto lo stato di incapacità,a maggior ragione deve essere riconosciuta la possibilità di assistere ilpaziente cosciente, ma materialmente impossibilitato a procurarsi lamorte, se non tramite l’ausilio di terzi.

Sulla base di queste premesse, negli Stati Uniti è stata sollevata laquestione di legittimità costituzionale di alcune leggi che incriminanol’assistenza al suicidio davanti alle corte distrettuali di Washington e diNew York 69, dando così il via ad un’importante vicenda giudiziaria

nale è previsto al primo comma dell’art. 18 Cost. Si tratta di un limite teleologi-co, che riguarda le finalità della condotta del cittadino all’interno della forma-zione sociale. In altre parole la disposizione costituzionale dice: ciò che è con-sentito al singolo in quanto tale, è consentito anche se posto in essere nell’ambi-to e con i mezzi propri di una struttura associativa; anzi costituisce un’attività incui si esprime una delle libertà fondamentali dell’individuo, che trova garanzianella Carta costituzionale, ESPOSITO, La libertà di manifestazione del pensiero, cit.,passim. Dubita della legittimità costituzionale dell’art. 580 c.p., STORTONI, Rifles-sioni in tema di eutanasia, in Indice pen., 2000, 481.

69 In quell’occasione un gruppo di filosofi morali, tra cui Dworkin, Nozick,Nagel, Rawls, ha pubblicato una memoria difensiva del suicidio assistito, in qua-lità di amici curiae, appoggiando l’associazione Compassion in Dying, una asso-ciazione senza scopo di lucro che promuove la diffusione della cultura del suici-dio assistito, che si era costituita come ricorrente. La memoria è stata integral-mente pubblicata in Rivista dei libri, luglio-agosto 1997, con il titolo, Suicidio as-sistito: la memoria dei filosofi. Per un commento,VIANO, Protezione della vita esuicidio assistito nella sentenza della Corte Suprema degli Stati Uniti, in Riv. fil.,1998, 5; ID., Il suicidio assistito di fronte alla Corte Suprema degli Stati Uniti, inBioetica, 1998, 360; DEFANTI, A proposito delle sentenze della Corte Suprema degli

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(c.d. caso Glucksberg), poi conclusasi il 26 giugno 1997 con una pro-nuncia della Suprema Corte degli Stati Uniti a favore della costituzio-nalità delle norme incriminatici del suicidio assistito poste dalle leggidello stato di Washington e dello Stato di New York 70, che ha annulla-to le sentenze dei giudici distrettuali di appello. In sostanza, l’eccezio-ne di incostituzionalità sollevata dai ricorrenti di New York, ed inizial-mente accolta dalla corte distrettuale, era basata sulla presunta con-traddizione tra le leggi che vietano l’aiuto al suicidio e il XIV emenda-mento della Costituzione degli Stati Uniti, che contiene il principio diuguaglianza o clausola di eguale protezione (egual protection clause),poiché le leggi in questione prevedevano una disparità di trattamentotra pazienti che possono rifiutare o interrompere trattamenti di man-tenimento artificiale in vita, affinché siano lasciati morire, e pazientiche, per liberarsi delle sofferenze, dovrebbero affrettare la morte con ilsuicidio 71. I ricorrenti di Washington avevano invece sostenuto un al-tro aspetto del XIV emendamento, ossia la clausola della procedura re-golare e conforme alla legge (c.d. due process clause), secondo cui lalegge che vieta l’assistenza al suicidio priva i malati terminali in pos-sesso delle loro facoltà e desiderosi di porre fine alla propria vita sen-za attendere la conclusione naturale, di un fondamentale diritto di li-bertà, ovvero l’interesse a determinare il momento e il modo della pro-pria morte, il quale riceverebbe implicitamente tutela nella parte delXIV emendamento in cui vieta che siano apportate limitazioni a dirit-ti fondamentali senza un regolare processo 72.

Stati Uniti sulla presunta incostituzionalità delle leggi che vietano l’assistenza alsuicidio, in Bioetica, 1998, 351.

70 In particolare, nel codice penale del 1994 dello Stato di Washington era sta-ta ribadita la norma, in vigore fin dal 1854, che puniva l’assistenza al suicidio;inoltre, malgrado il Natural death Act del 1979 avesse posto la differenza tra in-terruzione o rinuncia di un trattamento di sostentamento artificiale in vita e sui-cidio, successivamente era stata approvata una legge che puniva l’istigazione oaiuto al suicidio con una pena punibile con la reclusione fino a cinque anni e conla multa fino a 10.000 dollari. Misure analoghe sono contenute nella legislazio-ne dello Stato di New York.

71 In proposito DWORKIN, Il dominio della vita, cit., 247 ss. V. inoltre BUSNEL-LI, Il diritto e le nuove frontiere, cit., 263 ss. che, a commento di una sentenzaemanata negli anni ’80 dalla Corte Suprema del New Jersey, che poneva a fon-damento dell’eutanasia passiva la self-determination del paziente, e cioè il dirittoa rifiutare le cure, evidenzia come corrisponda ad una violazione del principio diuguaglianza che un paziente incapace sia mantenuto in vita più a lungo di unpaziente capace, in presenza delle stesse circostanze di fatto.

72 Nell’accogliere il ricorso, i giudici della corte distrettuale si sono rifatti al-la sentenza Casey, in tema di interruzione della gravidanza e alla sentenza Cru-zan, da tali precedenti ricavando il principio secondo cui la proibizione del sui-

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Contro le sentenze di primo e secondo grado dei giudici distrettua-li del secondo e del nono circuito, la Corte Suprema articola numeroseed approfondite argomentazioni volte ad escludere che, tra i nuovi di-ritti non numerati nel Bill of Rights (quali il diritto alla riservatezza, al-la privacy coniugale, all’uso di contraccezionali, al rifiuto di misure disostegno vitale) possa trovare tutela anche il right to die.

Il primo argomento addotto in proposito si riconduce alla clausoladi eguale protezione. Il trattamento differenziato è pienamente legitti-mo quando concerne situazioni particolari, e la differenza si coglie sulpiano delle intenzioni del medico: una cosa è non intraprendere untrattamento o provvedere ad una cura palliativa aggressiva, altra è pro-vocare la morte intenzionalmente; ovvero, esiste una differenza tra uc-cidere e lasciar morire che va ricercata non sul piano causale, essendoidentico il risultato per le due classi di azioni, ma su quello delle in-tenzioni: nell’un caso il medico potrebbe non avere alcuna intenzionedi provocare la morte, ma solo quella di rispettare i desideri del pro-prio paziente, nell’altro deve averla, e la legge distingue classi di azioniche provocano il medesimo risultato, se esse sono state intraprese«per» quel certo fine, da quelle che sono state intraprese «nonostante»quelle conseguenze non volute ma previste 73.

Ma l’argomento forte concerne la metodologia assunta dalla Cortenel l’esaminare i casi per i quali è invocato il XIV emendamento: oc-corre che sia pienamente dimostrato che, in tutta la tradizione stori-ca e giuridica americana, compresi i precedenti giurisprudenziali, uc-cidere e lasciar morire non esprimano un diverso valore, e quindi chenon soltanto per il lasciar morire, ma anche a favore del suicidio, visia un profondo e radicato riconoscimento di liceità. La Corte inveceritiene che il rifiuto e la condanna del suicidio appartengono all’ere-dità filosofica, legale e culturale del paese, presenti da più di 700 anninella tradizione angloamericana del common law, nonché in quasitutti gli Stati membri dell’Unione, principi che verrebbero stravolti

cidio medicalmente assistito pone una limitazione indebita all’esercizio di un in-teresse di libertà costituzionalmente protetto. La corte di appello distrettuale siera inoltre riferita ai correnti atteggiamenti sociali e storici nei riguardi del sui-cidio assistito, concludendo per il riconoscimento di un diritto a morire costitu-zionalmente garantito.

73 La Corte si ferma anche a soppesare gli interessi statuali contrari al rico-noscimento del diritto al suicidio assistito, rispetto ai rischi di abusi ed errori neiconfronti dei soggetti più deboli o incapaci, che porrebbero la necessità ed estre-ma difficoltà di valutare le ragioni dei suicidi, sì da distinguere suicidi avventatida quelli commessi al solo scopo di mettere fine alle proprie sofferenze fisiche.Il rischio dei passi successivi riflette la difficoltà di individuare uno stoppingpoint che distingua nettamente il suicidio medicalmente assistito alle situazioniin generale incriminate nelle leggi esistenti.

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qualora fosse accolta la rivendicazione del diritto a morire 74. In altreparole, secondo la Corte, non esiste una tradizione legislativa e giuri-dica americana, e tutta la storia dei paesi civili, favorevole ad ricono-scimento, tra i diritti costituzionali, del diritto di commettere suicidioche includa in sé anche il diritto ad essere assistiti nel commetterlo,anche se importanti elementi di novità sono stati apportati dalla me-dicina contemporanea ed anche se, in epoche più recenti, dall’incri-minazione al suicidio, si è passati alla punizione della sola partecipa-zione ad un suicidio altrui 75. Il caso ha in messo in evidenza la limi-

74 Nel sistema di Common Law il suicidio fu considerato reato (felony) permolti secoli, probabilmente già dal VII sec. d.C., fino a tempi recentissimi. Risa-le solo al 1961 il Suicide Act, che ha abrogato il reato di omicidio, introducendola fattispecie di minore gravità dell’aiuto e istigazione al suicidio. Ma fino a quel-la data il suicidio venne considerato una forma di omicidio o di auto-omicidio,piuttosto che un fatto diverso ed autonomo rispetto ad esso. La sanzione previ-sta concerneva i beni del suicida, ed in particolare nella requisizione dei beni afavore della Corona e in pene corporali inflitte sul corpo inanimato. Diversa-mente, nel caso di tentato suicidio fallito, si configurava un reato di minore gra-vità di tentato omicidio, o altrimenti, nei casi in cui si fosse procurata la mortedi un’altra persona anche involontariamente, si puniva il sopravvissuto a titolodi concorso in omicidio, in cui l’elemento del dolo era affermato sulla base del-la teoria dell’intenzione criminosa trasferita, secondo cui il dolo si trasferiscedalla vittima suicida.

In verità già nella Sez. IV dell’Homicide Act del 1957 la responsabilità del par-tecipe al suicidio era qualificata come manslaughter, una figura di omicidio piùtenue non classificato come murder, ma solo nel 1961 fu introdotto lo specificoreato di Betting suicide, allo scopo di colmare le lacune derivanti dall’abolizionedei reati di suicidio e tentato suicidio. Il Suicide Act ha dunque abolito questenorme, introducendo però il fatto di reato di chi «aiuta, istiga, consiglia o pro-cura il suicidio di un altro o il tentato suicidio di un altro», prevedendo la reclu-sione di un periodo non superiore di 14 anni. Inoltre, qualora sia la stessa vitti-ma a chiedere l’aiuto al suicidio, opera al diversa fattispecie del Consens-killing,ossia l’omicidio del consenziente, in cui la distinzione tra i due reati corrispon-de a quella tipica del common law tra perpetrators e accessories.

75 Analizzando poi nello specifico i precedenti giurisprudenziali, costituiti dalcaso Casey e Cruzan, la Corte afferma che in quelle sentenze non vi era stato unriconoscimento di una sorta di «autosovranità» dell’individuo, di un concettoastratto di autonomia personale e della libertà come diritto a definire, secondo lapropria concezione l’esistenza, il significato e il mistero della vita. Il caso Cruzandiscende dall’applicazione di una regola fondamentale del common law, secondocui si ha reato di battery quando si interferisce nella sfera personale senza il suoconsenso ed una giustificazione, e dal diritto, ormai acquisito, di un individuo dirifiutare un trattamento medico, anche quando si tratta di idratazione e nutrizio-ne che mantiene in vita, secondo la dottrina del consenso informato.

Alla stessa casistica, analizzata dalla Corte, si erano invece richiamati i ri-correnti, in ragione di una tendenza giurisprudenziale che garantisce la libertà

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tatezza di una metodologia di valutazione sviluppata sulla base deiprecedenti, che mal si adatta a queste questioni, in cui occorrerebbe,affinché possano essere apertamente affrontate, abbandonare la tra-dizione e riconoscere che esistono innovazioni etiche che con essapossano mettersi in contrasto.

dei soggetti adulti e capaci di prendere decisioni sulla propria vita, riconoscen-do, come nel caso dell’aborto, un’ampia sfera di libertà nella determinazione deipropri interessi. Ma da ciò – replica la Corte – non si può dedurre che ogni deci-sione intima e personale debba godere di un’uguale tutela costituzionale e pro-tezione giuridica. La Corte, insomma, manifesta un certo imbarazzo a trattarecome materia costituzionale questioni che solo il potere legislativo può definirenei singoli casi.

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CAPITOLO II

OMICIDIO DEL CONSENZIENTE EAUTODETERMINAZIONE

SOMMARIO: 1. La rilevanza del consenso della vittima nel delitto di omicidiodel consenziente. – 2. La liceità delle condotte che accedono al suicidio:l’esempio del codice penale tedesco.

1. La rilevanza del consenso della vittima nel delitto di omicidio delconsenziente

L’omicidio del consenziente si colloca al confine tra condotte lecitedi autolesionismo e divieto di uccidere 1, in un punto di equilibrio lacui variabile è costituita dal «peso» che si riconosce alla volontà auto-lesionista della vittima: da un lato, considerando l’esecutore un sem-plice strumento materiale della volontà di questa, l’omicidio del con-senziente può essere assimilato, da un punto di vista sostanziale, alsuicidio 2, ed eventualmente attratto all’interno di questa sfera di li-ceità; d’altro, in una prospettiva opposta, può acquistare una gravitàpari ad un comune omicidio volontario 3. Tra queste opposte soluzio-

1 La qualificazione delle pratiche eutanasiche secondo lo schema dell’omici-dio del consenziente concerne situazioni estreme in cui il medico si astiene dainterventi volti ad ostacolare che il processo morboso possa fare il suo corso o al-trimenti qualora l’anticipazioine della morte sia conseguenza della sommini-strazione di terapie del dolore. Sull’omicidio del consenziente, V. INTRONA, Omi-cidio del consenziente ed analisi psichiatrico-forense della validità del consenso, inRiv. it. med. leg., 1987, 20; PANNAIN-SCLAFANI-CORRERO-STARACE, L’omicidio delconsenziente. Notazioni giuridiche, criminologiche, di politica criminale e legisla-tive in tema di omicidio del consenziente, in AA.VV., Criminologia dei reati omici-diari e del suicidio, a cura di FERRACUTI, 1988, Milano, 193.

2 In proposito è degna di nota l’opinione del Mantovani che considera l’omi-cidio del consenziente un delitto che si sostanzia in una sorta di «suicidio permani altrui», MANTOVANI, Diritto penale, parte speciale, cit., 170.

3 Invero, era intento del legislatore porre fine alle contrastanti opinioni circa

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ni, quella del legislatore del 1930 è caratterizzata dalla novità della pre-visione di un’autonoma fattispecie attenuata di omicidio che, se da unlato restringe l’efficacia scriminante che avrebbe sortito in queste ipo-tesi il consenso del titolare del diritto, d’altra parte, riconoscendo l’in-discutibile influenza che tale consenso dell’offeso gioca in ordine allagravità del reato, fornisce precise indicazioni in ordine alla disponibi-lità del bene «vita umana» 4.

Ed infatti, dalla norma incriminatrice deve trarsi una innegabile ri-levanza del consenso, sia pure solo fattuale e non inquadrata nell’am-bito delle cause di esclusione dell’antigiuridicità, quantomeno comeelemento specializzante e degradante del reato che gioca sulla diversalesività del fatto sotto il profilo psicologico. Il consenso alla lesione da

l’assimilazione e la riconducibilità dell’omicidio consensuale a norme penali giàesistenti, ovvero l’omicidio volontario o l’istigazione al suicidio, riconoscendo adesso una specificità che va ricercata nell’incidenza del consenso alla propria uc-cisione non solo sulla colpevolezza dell’autore, ma anche sull’offensività del fat-to. Sia pure nell’ambito di una prospettiva di illiceità, la scelta tecnica tenta dipacificare le diverse posizioni, distinguendo l’ipotesi dell’incapacità del consen-ziente, la sola da ricondurre nell’ambito della più grave fattispecie dell’omicidiocomune, da quella specifica regolata dall’art. 579 c.p., il cui presupposto di ap-plicazione è invece la piena capacità della vittima.

4 Infatti, all’epoca della redazione del codice penale la dottrina del tempo ne-gava che la vita umana fosse un bene di esclusiva pertinenza del singolo, essen-do in auge la teoria della duplicità di tutela, secondo cui la vita rappresenta an-che un interesse diretto dello Stato a promuovere la stirpe. Si riteneva che con ilconsenso il titolare del diritto potesse rinunciare alla propria quota di interesseprotetto, ma non certamente all’interesse statuale, esorbitante dalla propria tito-larità. Il consenso della vittima lascerebbe residuare comunque il danno imme-diato e diretto arrecato all’interesse demografico statuale, che giustifica la puni-bilità dell’omicidio malgrado l’espressa rinuncia alla tutela penale da parte delsoggetto passivo. Si giunse persino ad affermare che solo a causa di un errore to-pografico, di una svista da parte del legislatore, l’art. 579 è stato collocatonell’ambito dei delitti contro la persona, pur essendo più propriamente un delit-to sulla, ma non contro la persona, giacché l’azione che lo pone in essere colpi-sce un bene che, per virtù del consenso, ha perso il suo riflesso soggettivo, manon quello pubblico ed oggettivo, come dimostra la minor pena prevista. In altritermini la concezione dominante supponeva la piena identificazione tra titola-rità del diritto e potere di disposizione e giustificava l’anomalia dell’incrimina-zione dell’omicidio con il consenso del soggetto passivo, derogatoria rispettoall’art. 50 c.p., negando a questi la titolarità esclusiva dell’interesse protetto, alcontrario di pertinenza anche dello Stato.

L’idea che la vita fosse un bene di esclusiva spettanza individuale veniva so-stenuta già in quei tempi dal PANNAIN, Il concetto di persona nei delitti contro lavita e l’incolumità individuale, particolarmente del bene «vita» nell’omicidio, in Ar-ch. pen., 1947, 306. Nega che il bene protetto sia costituito da un «diritto sogget-tivo alla propria vita», ma piuttosto dalla vita umana in sé, in ragione dellaproiezione sociale del valore del bene, RAMACCI, I delitti di omicidio, cit., 138.

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parte del titolare del bene incide chiaramente sul disvalore del fatto, edevidenzia un certo rapporto con l’offesa al bene giuridico che, sebbenenon sia tale da escludere del tutto la tipicità o da annullare la rilevan-za penale del fatto, mitiga la reazione sanzionatoria connessa alla fat-tispecie base dell’omicidio semplice, a motivo della presenza di quel -l’intreccio di volontà, di quella fusione di intenti tra agente e vittima 5.Ciò significa che in fattispecie simili il consenso si atteggia come ele-mento del fatto che, non soltanto l’agente deve rappresentarsi, ma in-terferisce anche nel processo motivazionale di questi, determinandouna volontà che altrimenti non si sarebbe formata o si sarebbe diver-samente formata 6. Ciascuno di loro – autore e vittima – può esserespontaneamente motivato da un’autonoma risoluzione ma, indipen-dentemente dalle personali motivazioni, l’autore deve essere consape-vole del consenso della vittima, affinché si determini un «incontro divolontà», una fusione di intenti in ordine alla realizzazione dell’omici-dio, e circa le modalità e i tempi 7. Dunque l’autore agisce in accordocon la vittima, che desidera morire: questa volontà del soggetto passi-vo è riconosciuta dal legislatore, che esprime, rispetto all’omicidio dichi non vuole morire, una diversa valutazione politico-criminale delfatto 8. Si manifesta chiaramente il rapporto tra volontà dell’offeso e di-svalore del fatto, proprio delle ipotesi in cui il consenso abbia una piùforte incidenza sulla stessa tipicità, sebbene nel caso in specie si pon-ga solo un problema di attenuazione del rigore sanzionatorio in corri-spondenza di una minore pericolosità e lesività.

Alla luce di queste considerazioni, può affermarsi che anche nellafattispecie di cui all’art. 579 c.p. il consenso sia espressione del ricono-scimento di una certa modalità di disporre del bene della vita, in cui ilpotere di disposizione non esclude la rilevanza penale e antigiuridicadel fatto, ma incide sul tipo di illecito e sul disvalore del fatto 9.

5 ZACZYK, Strafrechtliches Unrecht und die Selbstverantwortung des Verletzten,Heidelberg, 1993.

6 Nell’omicidio del consenziente infatti il consenso può (ma non deve neces-sariamente, non essendo compresa nella descrizione della fattispecie la causalitàpsichica) costituire un motivo determinante del processo volitivo dell’agente.

7 Nel senso contrario, che il consenso, se oggettivamente accertato, sia rile-vante ai fini della configurazione della fattispecie, anche se ignorato dall’autore,RAMACCI, I delitti di omicidio, cit., 145.

8 Anche nel delitto di omicidio del consenziente è tipizzata espressamenteuna forma di realizzazione concorsuale di un fatto di reato: il consenso alla pro-pria uccisione sigilla una sorta di «accordo», realizzando una forma di concorsotra consenziente vittima (concorso morale) e autore, esecutore del reato.

9 Si ricordi che una simile efficacia «minorante» del consenso era presenteanche nell’abrogato art. 552, che prevedeva il delitto di «procurata impotenza al-

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Ed in effetti, il legislatore nel definire il regime di disponibilità delbene protetto attraverso la descrizione della fattispecie legale, ha inte-so, una volta per tutte ed in astratto, operare una composizione di in-teressi riconducibili al titolare e alla collettività, così risolvendo il con-flitto tra gli interessi in gioco attraverso una attenuazione della san-zione penale.

Ciononostante, anche in questi casi non è esclusa un’applicazionedella fattispecie che consenta delle manovre di «disponibilità» del be-ne, anche se sulla base di circostanze che prescindono dal consenso 10.

In questa luce, si pone il problema di ridefinire quale sia il fonda-mento giustificativo della scelta politico-criminale di punire l’omicidiocon il consenso della vittima. Assumendo l’ipotesi che il fondamentogiustificativo della tutela della vita umana debba collocarsi esclusiva-mente in una prospettiva personalista, e cioè nell’ottica della tuteladella persona umana come valore dotato di dignità in sé, è giocoforzaritenere che i limiti alla libertà di disporre manu alius debbano neces-sariamente essere connessi all’esigenza di preservare la vita umana, ilpiù elevato dei beni giuridici protetti, da una lesione gravissima ed ir-reversibile. Ma l’esigenza di stigmatizzazione e stabilizzazione del fon-damentale divieto di uccidere, non coglie la ragione peculiare del de-litto di omicidio del consenziente, rispetto al generale omicidio.

Le ragioni della scelta positiva di incriminare l’omicidio di colui cherichiede la morte sono da ricercare nel fatto che tale particolare «sui-cidio» per mano altrui non si consuma nella sfera personale e privatadel suicida, ma si spinge troppo in avanti, fino a coinvolgere più diret-tamente la sfera di terzi, oltrepassando la soglia che demarca le con-dotte punibili da quelle non punibili. Su queste premesse si rivela il

la procreazione» con il consenso della vittima. La norma infatti si poneva ri-spetto alla fattispecie di lesioni personali gravissime da cui derivi « la perditadella capacità di procreare» negli stessi termini in cui si rapportano l’art. 579 ri-spetto all’omicidio comune. La sterilizzazione contro la volontà della vittima eraquindi punita ex art. 583, secondo comma, n.3, mentre, se acconsentita a richie-sta, ex art. 552. In proposito PADOVANI, Sterilizzazione, cit., 1085; DEL RE, Steriliz-zazione volontaria: non-lesione, lesione giustificata o delitto?, cit., 50.

10 Sebbene possa sembrare che il legislatore abbia voluto ridurre al minimoquella possibilità di operare un bilanciamento degli interessi in gioco, escluden-do che possa avere prevalenza incondizionata la sola volontà del titolare, è tut-tavia possibile che della valutazione operata in astratto residuino tracce di di-sponibilità o indisponibilità; l’esigenza alla composizione degli interessi con-trapposti può riemergere ancora, ma stavolta in modo più flessibile e condizio-nato dalle circostanze, dal tipo di atti di disposizione, nel luogo dell’antigiuridi-cità. Su queste problematiche, SCHIAFFO, Le situazioni «quasi scriminanti» nellasistematica teleologica del reato, Napoli, 1998, 257 ss. Nel senso di una limitatadisponibilità della vita umana, in base al par. 34 StGB, MERKEL, Einleitung undTeilnahme am Suizid, cit., 82; SCHRÖDER, Beihilfe zum Selbstmord, cit., 574.

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fondamento paternalista dell’art. 579 c.p. E cioè il costituire norma ec-cezionale e derogatoria rispetto al principio generale dell’art. 50 c.p.,motivata dalla necessità di limitare cautelativamente la libertà di di-sporre di se stessi in modo irreversibile 11. Concrete esigenze di tutelapossono quindi fornire un solido fondamento giustificativo, e non l’esi-genza di proteggere simbolicamente l’assolutezza di un principio, il di-vieto di uccidere, ovvero l’indisponibilità della vita, che non è principiodotato di rilevanza giuridica. I limiti alla disponibilità sono quindi do-vuti ad un atteggiamento di una certa riluttanza verso gli atti di dispo-sizione della vita tramite altri, sia in relazione al fatto che terzi interfe-riscano in una simile e così estrema decisione, che il legislatore vuolesia personalissima (tutela da terzi), sia in relazione alla irrevocabilitàdella disposizione, irrimediabilmente distruttiva, possibilmente legataa stati d’animo momentanei e passeggeri (tutela da se stessi), ovvero ri-spetto alle difficoltà probatorie che la fattispecie presenta, circa l’esi-stenza, la portata del consenso, non essendo più in vita il titolare 12. Laprospettiva personalista induce quindi a ritenere che la ratio giustifi-catrice di tale delitto risieda nell’esigenza di garantire che decisioni co-sì personali si realizzino interamente da parte dello stesso titolare del

11 Una eventuale regolamentazione dell’eutanasia non corrisponderebbeall’introduzione di un’eccezione al generale divieto di uccidere, ma significhe-rebbe soltanto un’espansione del principio di tradizione romanistica volenti nonfit injuria attraverso una diversa configurazione tecnica della categoria della di-sponibilità che incide sulla stessa offensività del fatto, o meglio, l’eliminazionedi un’eccezione (tale sarebbe l’art. 579 c.p.) all’art. 50 c.p., coerente e compatibi-le con l’intero e attuale sistema penale. Così con riferimento al sistema penale te-desco, KAUFMANN, Euthanasie, Selbsttötung, Tötung auf Verlangen, cit., 137; WIL-LIS-JÄGER, Menschenwürde und Tötung auf Verlangen, in ZRP, 1988, 41. Nellostesso senso, HERZBERG, Straffrei Beteiligung am Suizid und gerechtfertige Tötungauf Verlangen, in JZ, 1988, 182.

In proposito VANNINI, Della massima «volenti non fit injuria» nel diritto pena-le, estratto della Riv. pen., LXXXIV, fasc. III, 1916. Per una ricostruzione stori-ca, nel diritto romano, canonico e germanico del reato di omicidio del consen-ziente, PEDRAZZINI, L’omicidio del consenziente nel diritto penale contemporaneo,cit., p. 20 ss. La massima ulpianea nulla injuria est, quae in volentem fiat esprimeun’esigenza basilare del sistema giuridico che tuttavia acquista ruolo e signifi-cato, sotto il profilo storico-comparatistico, assai variabile, così MAINWALD, Elconsientimiento del lesionado en el derecho y en la dogmatica penal alemanes, inJustificacio y exculpacion en derecho penale (coloquio hispano-aleman de derechopenale), Madrid, 1995, 125. In base a tale principio si riconosce una forte inci-denza della volontà del titolare del diritto sulla tipicità del fatto anche in rela-zione a fattispecie nelle quali manca qualsiasi riferimento esplicito o anche im-plicito alla volontà individuale. In proposito v. ALBEGGIANI, Profili problematici,cit., 13 ss.

12 SCHRÖDER, Beihilfe zum Selbstmord und Tötung auf Verlangen, cit., 565.

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diritto, e che conseguentemente sostituzioni nella realizzazione di taliscelte non sono consentite per il pericolo che l’intervento estraneo nonsia del tutto corrispondente ad una volontà attuale e concreta del tito-lare del diritto 13. La scelta legislativa si spiega in vista di esigenze di tu-tela da possibili condizionamenti psicologici della vittima, sì da assi-curare una piena autonomia e indipendenza al suicida dai pericoli diuna decisione avventata 14, da suggestioni e interferenze esterne, al fi-ne di garantire quanto più è possibile la certezza e serietà della scelta,che per natura deve essere strettamente personale. Il divieto di sostitu-zione nella realizzazione nella realizzazione di scelte autolesionisticheimpone quindi al legislatore di assumere un criterio normativo per as-sicurarsi la serietà e personalità di tale scelta, richiedendo che la vitti-ma stessa superi la soglia della morte.

Tuttavia, la scelta compromissoria contenuta nell’art. 579 c.p. limi-ta fortemente le intenzioni originarie, impedendo che possa essere in-vocata anche nei casi più diffusi, elementari ed accettati di eutanasia,che vennero in questione proprio nel corso dei lavori preparatori 15. In-fatti il dato normativo che si pone inesorabilmente all’interprete, qua-lora si voglia verificare la riconducibilità della fattispecie in questione

13 Su questi argomenti, HOERSTER, Rechtsethische Überlegungen zur Freigabeder Sterbehilfe, cit., 1786 ss., secondo il quale il fondamento giustificativo delpar. 216 StGB, corrispondente al delitto di omicidio del consenziente, rispecchiun modello paternalista, perfettamente giustificato dall’irreverisibilità del dan-no arrecato alla vita. L’Autore però non esclude l’ammissibilità di alcune prati-che eutanasiche nel momento in cui venga definitivamente meno la prospettivaper il malato di una vita piena e realizzata, a causa delle condizioni di salute incui verte. In tali casi la tutela penale della vita è priva di alcun fondamento giu-stificativo, non ha alcun senso, proprio perché vengono meno i presupposti chene giustificano una tutela, e cioè le prospettive di una futura vita felice e realiz-zata. V. anche HIERSCH, Einwilligung und Selbstbestimmung, cit., 775; BADE, DerArzt an den Grenzen von Leben und Recht. Über die Erlaubtheit ärztlicher Ster-behilfe unter der besondern Berücksichtigung des par. 216, Lübeck, 1988; JAKOBS,Zum Unrecht der Selbesttötung und der Tötung auf Verlangen. Zugleich zumVerhältnis von Rechtlichkeit und Sittlichkeit, in Festschrift für Arth. K Aufmann,1993, 459.

14 JAKOBS, Die zanhärtzliche Heilbehandlung als Werkleistung, in NJW, 1975,1437. Critica l’assunto dell’incondizionato valore della vita umana, recentemen-te MÜLLER, Tötung auf Verlangen. Wohltat oder Untat?, Stuttgart, 1997.

15 In tema di eutanasia la relazione ministeriale al progetto del codice pena-le sembra riferirsi proprio a questa norma, in modo da tenere conto delle situa-zioni in cui la vittima sia persona sofferente o affetta da malattia incurabile ed ilreo sia mosso da sentimenti di pietà, partecipazione e solidarietà verso di que-sta, pur non mettendo in discussione il principio dell’indisponibilità della vitaumana, RELAZIONE MINISTERIALE AL PROGETTO DEFINITIVO, in Lavori Preparatori alCodice Penale e di Procedura Penale, Roma, 1929, 373 ss.

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alle diverse pratiche di eutanasia, è assai sconfortante: le previsionisuccessive escludono la possibilità di applicazione alla stragrandemaggioranza dei casi compresi sotto il termine, trattandosi per la mag-giore di consenso prestato da malati terminali, che giacciono in statocomatoso o di semi coscienza, le cui capacità mentali sono messe du-ramente a prova dalle condizioni di forte deterioramento fisico o dallastessa somministrazione di farmaci anestetizzanti, spesso necessitatada interventi invasivi. Si consideri inoltre che in simili situazioni diffi-cilmente può ravvisarsi un consenso validamente prestato, poiché è ta-le solo quello prestato da colui che si trova in stato di salute e di pie-nezza delle facoltà mentali, quindi in condizioni del tutto diverse daquelle in cui la vita può diventare odiosa, ed in circostanze che rara-mente ricorrono nel caso di moribondi sottoposti a terapie antidolori-fiche.

A condizionare ulteriormente l’ambito applicativo della norma è laconsiderazione che tutte le situazioni di approfittamento dello stato diinfermità o di deficienza psichica, ovvero tutte quelle in cui si profila-no esigenze di tutela particolari di soggetti più deboli, sono esclusedall’applicazione della fattispecie attenuata, e non solo quelle in cui ilconsenso sia stato carpito fraudolentemente, o vi sia stata una qualsia-si coercizione della volontà della vittima, o ancora un potenziale ap-profittamento di uno stato di debolezza mentale 16.

La stessa validità del consenso prestato dal malato ancora coscien-te deve essere vagliata con estrema cautela, richiedendosi particolarirequisiti di capacità troppo vaghi per poter essere ricondotti, anche la-tamente alla tradizione giuridica. Ne rappresenta un esempio l’ipotesidel terzo comma, sub 3, che fa riferimento ad un «consenso estortocon suggestione», le cui reminiscenze con il reato di plagio, dichiaratoincostituzionale, sono di chiara evidenza. Sarebbero pressioni psicolo-giche o solo suggestive le conversazioni durante cui il medico diagno-stichi l’incurabilità della malattia, adempiendo al dovere di informareil paziente?

Questo stato di prostrazione psicologica, legato alla percezione delprogressivo avvicinarsi dello stato di isolamento interiore e dal mondo

16 Infatti il comma 3 riconduce alle disposizioni relative all’omicidio i casi incui il consenziente sia minore degli anni 18 o infermo di mente o in condizionidi deficienza psichica, o il cui consenso sia stato estorto con violenza, minaccia,inganno o suggestione. Simili casi in cui deve certamente dubitarsi della pienez-za del consenso e della capacità del titolare a prestarlo, sono sottratti all’ambitoapplicativo della norma, poiché si suppone del tutto irrilevante e viziato il con-senso. La preoccupazione di tutelare il consenziente suggestionabile, incapace,ecc. è quindi estranea alla finalità della norma, che invece appresta la tutela pa-ternalistica «forte» per qualsiasi altro caso in cui della serietà del consenso nonsi possa dubitare.

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esterno, è difficile da comprendere da colui che da tale dimensione èlontano, e può apparire patologico. In queste situazioni di assenza dilucidità, di depressione, il percorso seguito dal medico, che si muove aiconfini della vita, può condurre all’applicazione dell’ipotesi generale diomicidio comune, semmai con qualche attenuante.

Le difficoltà interpretative aumentano notevolmente qualora si siain presenza di un consenso esternato da un paziente anteriormente adun sopraggiunto stato di incapacità, per fatto che il requisito della at-tualità del consenso al momento del compimento del fatto, non sem-bra essere flessibile a questa estensione temporale. Si pone dunque intutta evidenza l’incompatibilità della fattispecie in esame con l’ipotesiin cui il paziente abbia disposto anteriormente al sopraggiungere alsuo stato di incapacità con i c.d. testamenti di vita.

2. La liceità delle condotte che accedono al suicidio: l’esempio del codicepenale tedesco

Il rigore del codice penale italiano in tema di tutela della vita uma-na, rispetto a fatti di «autolesionismo» si coglie soprattutto nel con-fronto con altre esperienze straniere: il diritto penale francese, adesempio, sconosceva fino ad epoche recentissime una norma corri-spondente il nostro delitto di istigazione o aiuto al suicidio 17. Altret-

17 La legge del 31 dicembre 1987, n. 87-1133 «tendant à reprimer la provoca-tion au suicide» inserisce, dopo l’art. 318, gli artt. 318-1 e 318-2. L’art. 318-1 di-ce: «Chiunque avrà istigato altri al suicidio, tentato o consumato, è punito con lacarcerazione da 2 mesi a 3 anni e con al multa da 6.000 a 200.000 franchi o conuna di queste due pene soltanto. La pena della carcerazione è aumentata a 5 an-ni se il delitto è commesso contro una persona minore degli anni 15. Le penepreviste al primo comma sono applicabili a coloro che hanno fatto della propa-ganda e della pubblicità in qualsiasi modo per prodotti, oggetto o metodi racco-mandati vivamente come mezzi per darsi la morte». L’art. 318-2 stabilisce: «Ledisposizioni dell’art. 285-17 sono applicabili ai delitti previsti dall’art. 318-1.Quando uno di questi delitti è commesso con un mezzo di comunicazione au-diovisivo, il direttore, o all’occorrenza, il condirettore della pubblicazione saràperseguito come autore principale se il messaggio incriminato è stato oggetto diregistrazione preliminare alla comunicazione al pubblico. In mancanza, l’auto-re, ed in mancanza dell’autore, il produttore è perseguito come autore principa-le. Quando il direttore o il condirettore della pubblicazione è chiamato in causa,l’autore è perseguito come complice. Le disposizioni del presente comma noncostituiscono ostacolo all’applicazione dell’art. 60 c.p. In ogni caso i documentiscritti, visivi o sonori serviti a realizzare il reato potranno essere sequestrati econfiscati; l’argano giudicante potrà, inoltre, ordinare la distruzione in tutto o inparte, di questi documenti».

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tanto, era assente l’omicidio del consenziente, e al consenso della vitti-ma non era riconosciuta alcuna rilevanza ai fini del trattamento san-zionatorio.

Più forte è invece il contrasto tra la legge penale italiana e il codicepenale tedesco che risulta caratterizzato per l’assenza di una disposi-zione che incrimina la partecipazione al suicidio sia materiale che mo-rale 18. Similmente al nostro sistema invece è presente la fattispecie in-criminatrice dell’omicidio su richiesta, contenuta nel par. 216 StGBche, sebbene richieda elementi più dettagliati (una seria richiesta, enon un semplice consenso), prevede una sanzione assai più mite diquella che l’art. 579 c.p. commina.

Da questi dati dovrebbe quindi concludersi che il sistema di normepenali poste a tutela della vita umana nel codice tedesco sia orientatoin senso meno repressivo rispetto al codice italiano, ritagliando ampimargini di liceità sia con riferimento alla condotta suicidiaria in sé, siarispetto ad eventuali terzi coinvolti nella progettazione o esecuzionedel suicidio.

Il codice penale tedesco pone dunque la necessità e la difficoltà dinettamente distinguere il fatto punibile dell’omicidio su richiesta daquello non punibile della partecipazione al suicidio. La sottile distin-zione è quanto mai fonte di incertezze e contrasti, ma fondamentale,poiché chi somministra una dose mortale di veleno con il consenso esu richiesta seria della vittima, provocandone la morte, è punibile conuna pena detentiva da 6 mesi a 5 anni, mentre chi prepara la dose mor-tale e si limita a porgerla al suicida, ma materialmente non la sommi-nistra, è esente da pena.

La distinzione tra condotte non punibili di partecipazione ad un

L’approvazione di questa legge si inserisce in un clima culturale assai acce-so, sia a casa del successo che aveva sortito la pubblicazione di un libro che con-teneva consigli sul come provocare la propria morte, sia per la presentazione diun disegno di legge, mai approvato, tendente ad ammettere la liceità dell’euta-nasia passiva neonatale. In proposito v. NANNINI, Il consenso, cit., 533 in partico-lare nota 15; SCLAFANI, Politica criminale e prospettive interpretative della leggefrancese n. 87-1113 del 31 dicembre 1987 sull’istigazione al suicidio, in Arch. pen.,1988, 11.

18 Ed infatti si afferma coerentemente che, in assenza di una specifica previ-sione legislativa, non essendo il suicidio un fatto tipico e non costituendo reatoil fatto principale, non possa operare la regola dell’accessorietà prevista al par.28 StGB che disciplina il concorso di persone nel reato. V. DOWLAND, Die Straf-barkeit der aktiven Beteiligung an gebotswidrig unterlassener Hilfstätigkeit- Zuglei-ch ein Beitrag zur Stellung der Garantenpflicht innerhalb der Akzessorietätsrege-lung (par. 28 StBG), Bielefeld, 1981; FORNASARI, I principi del diritto penale tede-sco, Padova, 1993; DE SIMONE-FOFFANI-FORNASARI-SFORZI, Il codice penale tedesco,Padova, 1994.

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suicidio altrui e condotte punibili di omicidio su richiesta della vitti-ma è stata delineata attraverso il criterio oggettivo del c.d. dominiodel fatto (c.d. Tatherrschaft) e secondo il criterio soggettivo della dire-zione della volontà dell’autore (c.d. Willensrichitung des Handeln-den) 19.

Un sistema penale così delineato non ha impedito tuttavia neppu-re in tempi non molto lontani il proliferare delle più svariate tesi fina-lizzate all’incriminazione di condotte attive di partecipazione o diomesso impedimento. In occasione di alcuni casi giudiziari, la giuri-sprudenza e la dottrina tedesca più risalenti, in dispregio dei più ele-mentari principi di legalità e frammentarietà, hanno invece elaboratocostruzioni dogmatiche volte a sovvertire il disegno del dato normati-vo, sì da rendere punibili condotte di partecipazione al suicidio.L’espediente tecnico di tale opera finalizzata ad apportare un notevo-le restringimento delle condotte non punibili, è quello di restringere lanozione di suicidio al solo suicidio libero e responsabile, con correla-tivo ampliamento della nozione di omicidio 20. Ne è seguita una ri-

19 Entrambi i criteri sono deputati a tratteggiare la linea di distinzione tra li-ceità ed illiceità: si tratta di partecipazione non punibile al suicidio finché l’ulti-ma fondamentale decisione che innesca il processo causale che conduce allamorte rimane nel dominio della vittima che può fino alla fine revocare la propriadecisione, così che l’attività del terzo si configura come semplice aiuto al suici-dio, mentre se l’ultimo atto del processo causale che conduce alla morte è affi-dato alla volontà e alla condotta di un terzo, e sono sottratte le possibilità di do-minio del fatto da parte della vittima, si tratterà di omicidio del consenziente pu-nibile secondo la legge penale, purché si possa stabilire se sussisteva una seria eponderata decisione di morire da parte della vittima, dotata della capacità di in-tendere e di volere (criterio oggettivo). È inoltre necessario che risulti dimostra-ta la volontà di acquisire il dominio del fatto, e non la semplice volontà di forni-re un ausilio al suicidio (criterio soggettivo).

20 Inizialmente il correttivo alla regola della non punibilità della partecipa-zione al suicidio riguardava le sole condotte di partecipazione sia attiva al suici-dio di soggetti non perfettamente responsabili delle proprie scelte. Assumendouna nozione normativa di suicidio più ristretta di quella comune, che include so-lo il suicidio libero e responsabile di un soggetto capace, l’ipotesi della attiva par-tecipazione alla realizzazione del suicidio di un incapace venne ritenuta assimi-labile, sotto il profilo giuridico, al reato di omicidio, anche quando il c.d. domi-nio del fatto sia rimasto in capo al suicida. Infatti nei casi di vittima minore dietà o incapace, oltre ai casi più evidenti di autoria mediata, di coercizione o in-ganno, pur essendo marginale il ruolo attivo del terzo questi era considerato au-tore diretto, quindi punibile ai sensi della fattispecie monosoggettiva di omicidiocomune, mentre il sucida uno strumento nelle mani di altri. Alla streguadell’orientamento suddetto quindi la distinzione tra partecipazione al suicidio eomicidio del consenziente coinvolge un accertamento oggettivo, nel quale si po-ne specificatamente il problema dell’individuazione della linea di discrimine tra

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qualificazione delle condotte che accedono al suicidio come modalitàdi realizzazione di un omicidio, con un risultato quindi forse ancorapiù repressivo di quello proprio del codice penale italiano. Ma si trat-ta di elaborazioni che appartengono ad un’epoca impregnata di soli-darismo e dal l’illusione di una completa ed esaustiva tutela dell’indi-viduo da qualsiasi fonte di aggressione o pericolo che provenienti per-sino nell’ambito dei rapporti familiari. È la storia dell’estensione dei

partecipazione a suicidio e omicidio, ed un secondo accertamento che riguardadirettamente il suicida, e cioè i criteri per valutare l’autonomia e responsabilitàdel suicida. Questo accertamento di natura soggettiva è prioritario; solo se la vit-tima è capace e responsabile opererà il criterio oggettivo del dominio dell’ultimoirreversibile atto, ossia del momento oltre il quale la decisione non può più es-sere revocata; se in quel momento il dominio degli accadimenti è nelle mani del-lo stesso suicida, che può ancora tirarsi indietro fino all’ultimo, la partecipazio-ne non sarà punibile, così HEINITZ, Teilnahme und unterlassene Hilfeleistung beimSelbstmord, in Juristische Rundschau, 1954, 403.

Successivamente, l’estensione della punibilità riguardò anche la partecipa-zione omissiva del terzo al suicidio altrui, attraverso la costruzione del c.d. «do-minio del fatto che salta». Tutte le volte in cui sopraggiunga lo stato di inco-scienza della vittima, il dominio del fatto «salta» in capo al partecipe che divie-ne autore diretto, mentre la vittima diviene autore mediato, (anche se non è suf-ficiente la mera volontà dell’autore di acquisire un aiuto, ma occorre la volontàdi acquisire il dominio del fatto). In tal modo il terzo, o in qualità di garante a ti-tolo di omicidio mediante omissione, o a titolo di omissione pura o propria pernon aver prestato l’assistenza occorrente, risponde per aver omesso l’impedi-mento del suicidio. Esemplificando ulteriormente, il coniuge che assiste al sui-cidio del marito e non interviene una volta sopraggiunto lo stato di incoscienzadella vittima, ad esempio somministrando un antidoto e neutralizzando gli ef-fetti del veleno, è punibile a titolo di omicidio. La liceità del suicidio e della par-tecipazione al suicidio era quindi limitata ai soli casi di suicidio razionale, re-sponsabile e «puro», e cioè in cui la vittima ha il completo dominio del l’azionein tutto il suo realizzarsi, e quindi dell’intero fatto (c.d. Tatherrschaft), e non sus-sista una posizione di garanzia in capo al partecipe.

Attraverso la figura giuridica del «dominio del fatto che salta» e la ricostru-zione di una posizione di garanzia in capo al terzo si aprono le porte alla puni-bilità delle condotte omissive, mettendo anche in discussione l’assioma dell’ati-picità-liceità del suicidio e delle condotte di partecipazione ad esso. Dai suddet-ti casi si evince un orientamento giurisprudenziale alquanto ambiguo e con-traddittorio. Infatti, mentre da un lato si pone come fondamento della non pu-nibilità del suicidio e delle condotte di partecipazione altrui il principio della au-toresponsabilità della vittima, si afferma d’altra parte che, una volta provocato-si lo stato di incoscienza, l’autodeterminazione della vittima non può fornire unaaltrettanto esauriente giustificazione, ma costituisce solo uno dei fattori di valu-tazione del comportamento del terzo. V. in proposito WELZEL, Zur Dogmatik derechten Unterlassungsdelikte, in besondere des par. 330c StGB, 1953; NEUMANN,Die Strafbarkeit der Suizidbeteiligung als Problem der Eigenverantwortlichkeit desOpfers, in JA, 1987, 24.

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doveri di solidarietà, che proprio in Germania ha visto raggiungerel’apice 21.

Gli orientamenti attuali nulla hanno a che vedere ormai con tali co-struzioni logiche: è netto il rifiuto per le interpretazioni del suicidio co-me fatto illecito e per la configurazione di un dovere di vivere a caricodell’individuo. La dottrina maggioritaria tende invece a mettere in ri-salto il nucleo di libertà che il suicidio esprime, in quanto manifesta-zione del diritto all’autodeterminazione. Si riconosce pertanto che afondamento della scelta di escludere dall’ambito delle condotte puni-bili il suicidio, come condotta individuale e solidale, sia l’imprescindi-bile esigenza di tutela di un ambito di privatezza, in cui considerazio-ni e valutazioni «esterne» al soggetto non possono accedere. Non sol-tanto si consente all’individuo di esercitare la propria autonomia finoalle più estreme conseguenze, ma si delinea anche un ambito in cui ta-le autonomia può trovare riconoscimento anche in una dimensione so-ciale, di «solidarietà». Qualsiasi siano le motivazioni del suicida, non èconsentito al diritto penale ingerirsi in questa scelta, la cui realizza-zione non necessariamente deve avvenire nella più assoluta solitudinedi affetti, ma anche con la solidarietà del partecipe.

21 In proposito, si ricordi la sentenza «storica» del Bundesgerichitshof nel1952, con cui il tribunale tedesco estesa gli obblighi di solidarietà nell’ambitodelle relazioni familiari, anche a prescindere da uno stato di incapacità: si trat-tava di una donna che assistette al suicidio del marito e non intervenne, pur po-tendolo fare senza grossi sforzi. Il Bundesgerichtshof infatti ravvisò nella con-dotta della donna la violazione di una posizione di garanzia e prospettò l’impu-tazione a titolo di omicidio mediante omissione. Venne esclusa la configurazio-ne del delitto di omissione di soccorso, negandosi che il suicidio razionale po-tesse essere equiparato ad una situazione di pericolo. Pur essendo assente unaespressa disposizione incriminatrice, la punibilità delle condotte omissive dinon impedimento al suicidio (e non soltanto di quelle attive nei confronti di unsoggetto incapace) venne ricondotta alle disposizioni in tema di omicidio, cosìDREHER, Kann ein Ehegatte, der den Selbstmord des anderen zulässt, ein Tötung-sdelikt begehen? Ein Beitrag zum Urteil des BGH vom 12.02.1952 - 1 StR 59/50, inMDR, 1952, 771; HERZBERG, Beteiligungen einer Selbsttötung oder tödlichen Selb-stgefährdungen, in JA, 1985, parte 1-2, 131-1771, parte 3-4, 265-336; WAGNER,Selbstmord und Selbstmordverhinderung, Karlsruhe, 1975. Il BGH quindi hainaugurato una nuova tendenza, seguita da una parte della dottrina, secondocui, fermo il principio dell’atipicità del suicidio, e della conseguente non punibi-lità delle condotte di partecipazione attiva, in caso di omesso impedimento di unsuicidio il terzo che assiste e non interviene è sì punibile, ma non a titolo di con-corso al suicidio – il che sarebbe contrario al principio di legalità – o a titolo diomicidio del consenziente, ma in relazione alla fattispecie monosoggettiva diomicidio semplice e a titolo di autore principale.

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CAPITOLO III

LA REGOLAMENTAZIONE DELL’EUTANASIA

SOMMARIO: 1. I modelli di regolazione dell’eutanasia. – 2. Il pericolo dei c.d.passi successivi. – 3. Il modello giudiziario: l’eutanasia passiva negli StatiUniti e nel Regno Unito. – 4. Il modello legislativo: il progetto alternativo diriforma del codice penale tedesco. – 5. Il modello misto: l’eutanasia in Olan-da. – 6. Gli esiti dell’indagine: il modello della giustificazione procedimen-tale.

1. I modelli di regolazione dell’eutanasia

Nelle richieste di regolazione dell’eutanasia si esprime il conflittodeterminato dall’esistenza di diversi modelli culturali e il problemadell’individuazione di un paradigma di regolazione che non faccia pro-pria una particolare opzione o etica di base, ma che riesca a rifletteretale conflittualità. L’obiettivo della realizzazione congiunta di valorispesso tra loro contrapposti, ovvero la loro contemporanea salvaguar-dia, richiede che alla base del giudizio di comparazione sia collocato ilmetavalore del rispetto della diversità e della pluralità, sulla base delquale orientare l’opzione. Due sono i possibili modelli di regolazione,teoricamente in grado di realizzare l’obiettivo prefisso e di rispecchia-re maggiormente diversità e pluralità: il modello legislativo e il model-lo giudiziario 1.

Il modello della soluzione giudiziaria può apparire preferibile ri-spetto a quello della legislazione, poiché la legge, almeno nella suastruttura tradizionale, si presenta come scelta definitiva tra valori inconflitto, che comporta una delegittimazione quasi totale di quello sa-crificato. La regolamentazione secondo una norma giuridica individuauna soluzione che cristallizza un’opzione determinata rispetto ad infi-nite altre, rischiando di fare della norma giuridica un veicolo autorita-rio tramite cui imporre valori come fossero assoluti. Lo strumento le-

1 RODOTÀ, Modelli culturali e orizzonti della bioetica, in Questioni di bioetica, acura à di RODOTÀ, Bari, 1993, 421.

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gislativo, se visto come «regolamentazione di supremazia», appare po-co adatto, in una società pluralista, ad impedire la definitiva delegitti-mazione di alcune delle posizioni in campo e i conflitti che ne discen-derebbero. Nel modello che ripiega sulla decisione giudiziaria, invecenon c’è cristallizzazione di rigide regole, lì dove una sola regola sembrasempre arbitrio; non c’è alcuna giustificazione dogmatica. La sceltanon si presenta mai come definitiva, in quanto si riferisce ad un casospecifico e non alla generalità dei casi. Questo modello regolativo ga-rantisce maggiore aderenza alla situazione concreta, consente una suacontinua adattabilità ad una realtà in trasformazione da un lato, madal l’altro non assicura certezza e prevedibilità delle scelte punitive 2.

2. Il pericolo dei c.d. passi successivi

Il maggior pericolo connesso alla diffusione e legalizzazione del -l’eu tanasia sarebbe costituito dalla conseguenza di apportare unabreccia al fondamentale divieto di uccidere, da cui scivolerebbe, senzaalcuna possibilità di impedimento, un inverosimile ed amplissimo al-largamento delle situazioni ammissibili, sì da farne una pratica gene-ralizzata. L’argomento rivolge l’attenzione non ai rischi di una cattivaapplicazione nel singolo caso, ma nasconde la preoccupazione di unaperdita di significatività del valore intangibile della vita umana. Il ri-schio dei c.d. passi successivi, cioè della progressiva ed inarrestabileestensione della pratica a situazioni in principio escluse provochereb-be, a livello di psicologia collettiva, effetti disastrosi in termini di per-dita di sicurezza, legati alla messa in crisi di quello che costituisce unprimordiale tabù per l’uomo: il divieto di uccidere un proprio simile 3.

2 Nell’esperienza concreta di alcuni paesi, l’evoluzione delle tecniche di rego-lazione dell’eutanasia dimostra una certa propedeuticità dell’esperienza giudi-ziaria rispetto alla produzione legislativa, che apre la via a sistemi «misti», concaratteri di flessibilità propri del modello giudiziario, e di certezza propri diquello legislativo, tali da assicurare coesistenza di opzioni diverse.

3 Spesso, anche da parte di coloro che sono in linea di principio favorevoli al-la legalizzazione dell’eutanasia ed in generale alla libera disponibilità della vitaumana, si afferma che, pur essendo l’eutanasia in via di principio perfettamentelecita moralmente, è opportuno che venga vietata a causa delle disastrose con-seguenze sociali che si verificherebbero a seguito di una sua legalizzazione. Tragli aspetti di praticabilità di una simile scelta politico criminale, si sottolineaquello più preoccupante, degli effetti politici e psicologici, a livello collettivo,della messa in crisi del tabù del divieto di uccidere. Questo argomento, che è dicarattere esclusivamente empirico, giunge alla giustificazione di una assolutapenalizzazione delle condotte eutanasiche a causa del disastro sociale che la

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Il timore di elevate probabilità di abusi ed errori nella prassi, inevi-tabilmente connesso all’applicazione quotidiana, e di progressive teo-riche estensioni di legittimazione a casi diversi da quelli inizialmentepresi in considerazione, costituisce un centrale argomento a carattereteorico-empirico di ostacolo alla regolamentazione dell’eutanasia 4.Chi usa questo argomento parte dalla constatazione che, oltre alle con-seguenze volute e desiderate, da una scelta possono derivare ancheconseguenze non volute ed indesiderabili 5: dove andremo a finire? La

configurazione di eccezioni al generale divieto di uccidere e di disporre della vi-ta umana comporterebbe; VAN DER BURG, The slippery Slope Argument, in Ethics,1991, 42. Tuttavia si obietta che simili rischi concernono un piano puramenteempirico, e non razionale e logico, non intaccando, sul piano teorico e morale,l’ammissibilità di almeno alcune pratiche eutanasiche. Inoltre, se davvero la pre-visione di casi di omicidio lecito dovesse infrangere il principio giuridico fonda-mentale dell’intangibilità della vita umana, non dovrebbe esistere alcuna causadi giustificazione all’uccisione di un uomo, così KAUFMANN, Euthanasie Selbsttö-tung Tötung auf Verlangen, in Strafrecht zwischen Gestern und Morgen, Köln-Ber-lin-München, 1983, 137. Segnala i rischi di una perdita delle funzioni simboli-che e politiche del diritto penale nell’affermazione di valori, con conseguente ca-duta delle finalità di prevenzione generale, qualora fosse messo in crisi il tabùdel divieto di uccidere, HASSEMER, Symbolisches Strafrecht und Rechtsgüter-schutz, in NSTZ, 1989, 553; HERZOG, Gesellschaftliche Unsicherheit und stafrech-tliche Daseinvorsorge, Frankfurt am Main, 1991.

4 FEINBERG, evidenzia che i rischi di abusi e di errori, paventati dagli opposi-tori dell’eutanasia, non sono di maggior peso del danno certo, cui si obbliga asopportare colui che, stanco di vivere, è condannato a prolungare una vita perlui non più significativa, Trascurare deliberatamente il merito del singolo caso,cit., 176.

5 Il rischio di conseguenze imprevedibili o non desiderabili assolutamenteconnesso con l’attuazione di una scelta, costituisce un argomento la cui struttu-ra logica è la seguente: se si ammette A in futuro si sarà costretti ad ammettereanche B, situazione non desiderata e valutata negativamente. L’ineluttabilità delpassaggio da A a B è diversamente argomentata. Secondo una versione, l’impat-to che la legalizzazione dell’eutanasia volontaria può avere a livello collettivo na-sce dalla considerazione che la legalizzazione può favorire un processo in cuimuta la percezione della negatività dell’eutanasia non volontaria, che non è am-messa ed è ritenuta irragionevole. Infatti l’elemento della volontà del pazientesortisce un effetto di rassicurazione collettiva da abusi e rischi di essere uccisisenza averne fatto richiesta. Il richiamo necessario al consenso definisce l’euta-nasia come una sorta di facilitazione al suicidio.

Secondo un’altra versione, il rischio di estensione è reale o perché tra A e Bnon esistono in effetti sufficienti differenze tali da impedire che anche per B siadduca il medesimo argomento giustificativo; o perché, pur essendo differenti,queste due situazioni si collocano su una linea progressiva che le rende difficil-mente distinguibili. Ma allora, se davvero non vi sono forti differenze, dal puntodi vista morale, tra A e B, neppure A dovrebbe essere legalizzata. Trasportandoqueste considerazioni nel vivo della discussione sull’eutanasia volontaria ed in-

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legalizzazione dell’eutanasia potrebbe condurre, in un prossimo futu-ro, ad operazioni di massa nei confronti degli individui più deboli, chenon acconsentano ad essa, e in sostanza tradursi in uno strumento re-pressivo di annientamento di tutti coloro la cui vita è ritenuta non de-gna di essere vissuta, anche contro la loro volontà?.

L’argomento, certamente suggestivo, tocca un punto nevralgico inordine alle conseguenze eventuali ed indesiderate dell’eutanasia, espri-mendo efficacemente i pregiudizi e le paure di scivolamento nella giu-stificazione morale della pratica, dal primato assoluto della volontà in-dividuale (principio di autonomia) all’esigenza sostanziale di assicura-re il bene del paziente e di liberarlo da uno stato di sofferenza (princi-pio della tutela dei migliori interessi), anche in assenza di una precisae chiara determinazione.

L’esperienza olandese, che costituisce l’esempio più vecchio di re-golamentazione della materia dimostrerebbe, secondo alcuni, un’evo-luzione, o uno slittamento, sul piano delle giustificazioni morali, dal -l’insistenza sul principio del rispetto dell’autonoma decisione del pa-ziente al dovere di eliminare un gravissimo stato di sofferenza. La pra-tica in Olanda quindi si troverebbe già su quel «pendio scivoloso» chedal l’eutanasia su richiesta porta necessariamente a quella senza ri-chiesta 6.

volontaria, occorrerà riflettere circa la reale consistenza tra le due situazioniipotizzate; solo se tale differenza è bene demarcata, il rischio dello scivolo nonpuò essere adombrato; se invece tali differenze non esistono, non esistono le ra-gioni che possono essere addotte per legalizzare l’una e per non ammettere l’al-tra. Così NERI, Eutanasia. Valori, scelte morali, dignità delle persone, cit., 157 ss.

6 Sul punto, NERI, L’eutanasia in Olanda: una difesa, in Quando morire?, cit.,156; VINCIGUERRA-RICCI-ASCOLI, Il diritto giurisprudenziale olandese in tema di eu-tanasia attiva e di suicidio assistito, in Sistema penale in transizione e ruolo del di-ritto giurisprudenziale, a cura di FIANDACA, Padova, 1997, 85.

L’esperienza olandese offre un’opportunità unica per valutare empiricamen-te la reale consistenza di un pericolo che viene spesso paventato dagli opposito-ri dell’eutanasia, cioè che essa possa scivolare su uno slippery slope, che portil’eutanasia volontaria a forme di eliminazione involontaria di soggetti deboli,privi di protezione, la cui assistenza sia un onere per la famiglia e la società.

L’obiettivo del rapporto van der Maas del 1995 è infatti quello di cogliereun’eventuale variazione di frequenza delle pratiche eutanasiche nei cinque anniche vanno dal 1990 al 1995. In numeri assoluti, si è passati da circa 2300 casi nel1990 a circa 3200 casi nel 1995. Il dato di maggiore rilevanza in quest’ottica, èquello relativo ai casi di eutanasia non richiesta, ovvero dei casi in cui il pazien-te non è capace di esprimere la propria volontà: è probabile l’inclusione di alcu-ni casi di eutanasia motivata dall’alleviamento del dolore psichico non dettatoda patologie in corso che conducono alla morte. Sarebbero dunque numerosi gliaspetti che dimostrano come sia già in atto quello scivolamento su di un pianoinclinato, dal rispetto dell’autonomia a quello della liberazione dalla sofferenza,interpretato da molti come chiaro indizio dell’affermarsi di una cultura della

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3. Il modello giudiziario: l’eutanasia passiva negli Stati Uniti e nelRegno Unito

Il dibattito sull’eutanasia ha indiscutibilmente avuto origine e mag-giore sviluppo nei paesi angolosassoni. In questi paesi, vi è la consoli-

morte, che nega il significato della sofferenza e della morte e che instaura unavera e propria tecnocrazia dei medici sui pazienti. La discussione pubblica chesi è svolta in Italia a commento di tale prassi è spesso preoccupata di confutarela giustificazione teorica dell’eutanasia, mettendone in luce le ambiguità e lacontraddittorietà, così da dimostrare il fallimento dell’esperienza pratica. Peruna critica al fondamento teorico del principio di autonomia, evidenziando i ri-schi che esso presenta, CORRADI, Eutanasia, La strage olandese, in Avvenire, 25novembre 1994, 9; TEN HAVE, L’eutanasia in Olanda: un’analisi critica della si-tuazione attuale, in Quando morire, cit., 119; REICHLIN, L’eutanasia in Olanda:contraddizioni, ambiguità, alternative, in Quando morire, cit., 173, secondo cui laliberalizzazione olandese dell’eutanasia non sarebbe sinceramente ispirata al ri-spetto dell’autonomia individuale, ma subirebbe pesantemente il condiziona-mento di un’etica pubblica orientata secondo principi utilitaristici di massimiz-zazione del benessere totale, a discapito del rispetto dei singoli.

In verità, secondo altri, i dati salienti di questa ricerca empirica, rispetto aquella precedente del 1991, depongono in tutt’altra direzione: si dimostra inveceche successivamente al rapporto Remmelink del 1991 i casi di eutanasia invo-lontaria sono diminuiti. La nuova indagine van der Maas sembrerebbe quindifalsare empiricamente l’ipotesi del piano inclinato verso una cultura della mor-te. I motivi di questo aumento sarebbero invece in parte dovuti, secondo gli au-tori dell’inchiesta, ad un generale invecchiamento della popolazione e dall’inci-denza del cancro. Risulta dall’indagine del 1995 che si è ridotta la percentualedei casi di interruzione della vita senza richiesta esplicita dei pazienti (la per-centuale è passata dallo 0.8 allo 0.7%). È noto invece che il precedente rapportodel 1991 aveva appurato l’esistenza di circa 1000 casi in cui era stata presa la de-cisione medica in assenza di una consultazione del malato: elevata era stata l’in-cidenza dei casi di eutanasia involontaria sulla cifra finale, poiché bassa è la per-centuale dei medici che hanno ammesso di aver preso tale decisione medica sul-la base di una richiesta del paziente. Gli avversari dell’eutanasia avevano visto inquesto la dimostrazione evidente dell’esistenza di uno slippery slope: una voltaammesso il principio dell’eutanasia a richiesta, il corpo medico avrebbe assuntosempre più facilmente decisioni non rispettose della vita dei pazienti. In veritàrisulta che in quei 1000 casi, al momento della decisione medica, nessuno deipazienti era in grado di partecipare alla decisione, e che questa era stata presadopo la consultazione di un collega, in situazioni in cui le alternative terapeuti-che solo in una bassa percentuale erano possibili e la terapia consisteva in curepalliative; si trattava infine spesso di pazienti privi di familiari, ovvero di sogget-ti con cui in precedenza la decisione medica era stata discussa. Al contrario, ri-sulta dal rapporto del 1995, che la decisione è stata condivisa nella stragrandemaggioranza dei casi, il grado di abbreviazione della vita è minimo. In sostanza,sembra poter concludere che non vi è stato quello slittamento verso pratichescorrette e irrispettose della vita dei malati che si poteva temere, ed il nuovo stu-

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data tendenza a risolvere le questioni politiche e morali in questionigiudiziarie. La caratteristica dell’esperienza americana è dunque quel-la di essere segnata da famosi casi giudiziari di cui si sono occupate laCorte suprema federale e le Corti statuali. È prevalente, in quel sistemagiuridico, un modello di soluzione giudiziario poiché la giurispruden-za per prima intuisce e diviene portavoce dei nuovi movimenti di opi-nione pubblica. In tal modo il sistema giuridico statunitense si presen-ta in un rapporto di costante sincronia con i mutamenti di valutazionietiche, che si traducono in questioni giudiziarie, ben presto trasfuse instrumenti ufficiali legislativi 7.

dio dimostra invece che i casi di eutanasia involontaria sono diminuiti. La nuo-va indagine van der Maas sembrerebbe quindi falsare empiricamente l’ipotesidel piano inclinato verso una cultura della morte. Così DEFANTI, L’eutanasia inOlanda. A proposito del nuovo «rapporto van der Maas», in Bioetica, n.1, 1997, 11.

7 A seguito di alcuni casi giudiziari prende il via un’ampia produzione di ini-ziative legislative, alcune delle quali tradotte in leggi, e di pronunce giudiziarie.Risale al 1976 la promulgazione nello Stato della California, del Natural DeathAct che riconosce la possibilità di disporre per il non impiego o l’interruzionedelle terapie di sostentamento vitale nel caso in cui il paziente versi all’estremodelle sue condizioni di salute. Nel 1991 è stato approvato il Patient Self Determi-nation Act che ha imposto a livello federale, alle strutture sanitarie che parteci-pano ai programmi Medicare e Madicaid di dare ai pazienti informazioni sullapossibilità di formulare direttive anticipate. Il Self Determination Act del 1991 èuna legge federale che impone di dare ai malati che entrano in istituzioni di cu-ra che ricevono finanziamenti pubblici, informazioni scritte sui diritti dei pa-zienti di partecipare alla decisione medica e di formulare direttive anticipate.

Infatti già nel 1991 i cittadini dello Stato americano di Washington erano sta-ti chiamati a pronunciarsi sull’approvazione di un’iniziativa legislativa, sostenu-ta dall’associazione Americans Against Human Suffering, a favore della legaliz-zazione dell’eutanasia e del suicidio assistito, ma che non ebbe esito positivo.Un’analoga iniziativa fu condotta nello Stato della California nel 1992, ma conuguale esito, mentre nel 1994 nello Stato dell’Oregon fu approvata una propostadi legge, recante il titolo Death with dignity Act, anche se con un margine di mag-gioranza assai limitato. Le disposizioni contenute nel Death with dignity Act tut-tavia non sono ancora entrate in vigore poiché è ancora pendente su di esse unricorso di costituzionalità, dal momento che le autorità mediche avevano intesousare fondi federali per pagare i medici che hanno praticato l’eutanasia, mentreil Congresso successivamente ha deciso di proibire i finanziamenti dell’eutana-sia. Si tratta di una legge che consente ai residenti nello Stato, purché maggio-renni e affetti da malattia terminale, di inoltrare, prima verbalmente, e poi periscritto e alla presenza di testimoni, dopo un consulto tra paziente e il medicocurante circa le condizioni reali di salute e la prognosi della sua malattia, e di unulteriore consulto tra il medico curante ed un collega che confermi la diagnosi,la sua richiesta di prescrizione di una dose letale di un farmaco; a questa richie-sta scritta e poi nuovamente verbale corrisponde un nuovo colloquio con il me-dico curante, ma non prima di 15 successivi alla richiesta verbale e 48 ore suc-cessive a quella scritta, il paziente potrà ricevere la prescrizione della dose leta-

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Il diritto anglosassone ha quindi inizialmente attuato una politicagiudiziaria di «depenalizzazione» dell’eutanasia in via di fatto, che nonha compromesso l’esistenza delle norme poste a tutela della vita uma-na. Il percorso è stato quello dell’asserzione dei diritti individuali, edalla rivendicazione del diritto all’autodeterminazione del paziente nelrifiutare terapie di sostentamento vitale, anche nei casi di incapacità,fino a giungere ad una generale delegittimazione, in nome del princi-pio di uguaglianza, delle norme che impediscono una partecipazioneattiva del medico nonché dello stesso medesimo paziente nel autopro-curarsi la morte.

Dunque, la pratica dell’eutanasia nella cultura statunitense e nellaprassi ospedaliera è da tempo radicata, anche se il primo caso giudi-ziario risale al 1976 (caso Karen Quinlan) a proposito della rimozionedel respiratore artificiale che consente una prosecuzione della soprav-vivenza 8. La Corte Suprema di Morristown fu dell’idea che l’interesseindividuale alla rimozione del respiratore fosse superiore all’interessedello Stato alla conservazione della vita in condizioni puramente vege-tative, senza alcuna ragionevole probabilità di miglioramento futuro,ed affermò, attraverso un’interpretazione evolutiva del diritto alla pri-vacy, il right to die nella manifestazione relativa al rifiuto di terapie.

le del farmaco. Per esplicita previsione, il medico che decide di prendere parte atale procedura, alla quale può sottrarsi, non è responsabile sia sotto il profilo ci-vile, penale, che disciplinare. V. in proposito MAGLIONA, Aiuto punibile o norma-le atto medico? Breve panoramica internazionale, in Dir. pen. e processo, 1996, 10,1268.

Proprio tra il 1994 e il 1995 è stata svolta un’inchiesta su 828 medici appar-tenenti allo Stato di Washington, dalla quale risultò che il 12% di questi aveva ri-cevuto una o più richieste esplicite per l’assistenza al suicidio e il 4% una o piùrichieste per l’eutanasia attiva volontaria. Al 24% dei pazienti che chiesero l’as-sistenza al suicidio furono prescritti i mezzi adeguati, ma solo il 21% ne feceuso. Il 14% delle richieste per eutanasia fu accettato; V. BACK, Physician-assistedsuicide and euthanasia in Washington State, in Journal of the American MedicalAssociation, 275, 1996, 919. L’inchiesta dimostrò come l’eutanasia attiva e l’assi-stenza al suicidio sia considerata accettabile nel caso di dolori persistenti, ed inparticolare il 22% degli oncologi era d’accordo per l’eutanasia e il 45% per l’assi-stenza al suicidio. In proposito, EMANUEL-FAIRCLOUGH-DANIELS-CLARRIDGE, Eutha-nasia and physician-assisted suicide: attitudes and experiences of oncology pa-tiens, oncologists, and the public, in The Lancet, 347, 1997, June 29, 1805.

8 Il caso venne posto dai genitori di una giovane donna che un anno prima,per cause non chiarite, aveva subite gravi danni al cervello, e giaceva in un «per-sistente stato vegetativo cronico», a causa del quale la donna non possedeva piùalcuna funzione cognitiva. Dopo un certo periodo i genitori della donna si rivol-sero al tribunale e alla Suprema Corte di Morristown, affinché potessero averel’autorizzazione ad interrompere questi mezzi straordinari di mantenimento invita. V. in proposito RACHELS, La fine della vita. La moralità dell’eutanasia, Tori-no, 1989, 109; BARCARO, Eutanasia, cit., 61.

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Venne pertanto autorizzata la sospensione di un mezzo terapeutico,quale il respiratore, considerato straordinario, ma venne negata l’in-terruzione dell’alimentazione artificiale, considerata mezzo ordinariodi sopravvivenza. Karen rimase in vita in quello stato per altri dieci an-ni, grazie all’uso di una sonda con cui veniva nutrita, finché morì dipolmonite acuta, per curare la quale non si fece ricorso agli antibioticinecessari.

La sentenza segna una tappa fondamentale sul tema del diritto amorire, non soltanto perché esclude qualsiasi responsabilità civile epenale in capo ai sanitari che materialmente distaccarono il respirato-re di fronte all’esercizio del diritto alla privacy della paziente, ma ancheperché, trattandosi di paziente incapace, la Corte dovette affrontare ilproblema della ricostruzione ipotetica e presunta della volontà dellapaziente, in assenza di una precedente dichiarazione o qualsivogliamanifestazione di volontà circa la prosecuzione di terapie di sostenta-mento artificiale in vita. La Corte ritenne che si poteva ragionevol-mente presumere che l’avente diritto avrebbe consentito all’interruzio-ne delle cure, se avesse potuto decidere in proposito. Pertanto, si giun-se al riconoscimento del diritto a rifiutare i trattamenti anche qualorasi tratti di pazienti incapaci, e non solo quando tale volontà sia docu-mentata per iscritto in un living will o comunque dimostrata a mezzotestimonianza, ma anche nei casi dubbi, in assenza di una prova certaacquisita anteriormente al sopraggiungere dello stato di incapacità, insede giudiziaria ed in via ipotetica, attraverso il riconoscimento di unalegittimazione decisoria o sostitutiva di un familiare che si mette «neipanni mentali» del malato. Fu quindi autorizzato il distacco dei mac-chinari che consentono la sopravvivenza del paziente 9.

In un successivo caso giudiziario, con la sentenza Cruzan v. Direc-tor, Missouri Depeartiment of Health del 1990, la Suprema Corte ebbeoccasione di intervenire ancora una volta sul direttamente sul tema delcd. right to die 10. Anche in questo caso il problema era stabilire chi do-

9 I principi su enunciati hanno trovato applicazione anche nei successivi ca-si giudiziari Conroy del 1985 e Jobes del 1987. Così anche Corte Suprema delNew Jersey, 24 giungo 1987, in Foro it., 1988, 291, con nota di PONZANELLI, Il di-ritto a morire: l’ultima giurisprudenza della corte del New Jersey.

10 Si trattò di una giovane donna di nome Nancy Cruzan che a seguito di in-cidente stradale rimase in stato vegetativo persistente per oltre sette anni; puressendo alimentata con un sondino ed avendo le proprie facoltà mentali e co-gnitive irrimediabilmente compromesse, la donna respirava spontaneamente epoteva continuare a vivere in quella condizione per molti anni. Corte Supremadegli Stati uniti d’America, 25 giugno 1990, in Foro it., 1991, IV, 66 con note diSANTOSUOSSO, Il paziente non cosciente e le decisioni sulle cure: il criterio della vo-lontà dopo il caso Cruzan, e di PONZANELLI, Nancy Cruzan, La Corte suprema degliStati uniti e il «right to die».

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vesse prendere le decisioni terapeutiche e con quali criteri, qualora ilpaziente sia incosciente e manchino del tutto le possibilità di recuperodelle facoltà cognitive. In questo caso la richiesta dei legali rappresen-tanti concerneva l’interruzione della terapia di nutrizione artificiale,ovvero di un mezzo considerato ordinario di cura, che fu accolta in ba-se ad una particolare applicazione del diritto alla privacy,ma successi-vamente negata dalla Corte Suprema a causa dell’insufficienza deglielementi probatori circa l’effettiva volontà della paziente 11. Il casoCruzan segna un punto di svolta nel dibattito americano sulle scelte ditrattamento dei malati non coscienti in stato vegetativo permanente.Accogliendo le indicazioni dell’American Academy of neurology, ap-provate nel 1986 dal Council on Ethical and Judicial Affairs, la Corteha configurato la somministrazione della nutrizione e idratazione co-me trattamenti sanitari, quindi come tali rifiutabili, anche sulla base didirettive anticipatamente espresse dal paziente, qualora queste nonriescano più a promuovere il suo benessere.

Nel Regno Unito venne affrontato un caso simile dalla giurispru-denza nel 1989 (caso Tony Bland) 12. Si trattava della richiesta di inter-ruzione della l’alimentazione artificiale e della terapia antibiotica di ungiovane diciassettenne in stato vegetativo permanente a seguito di in-cidente di cui fu vittima nel corso di una partita di Football. In quel ca-so la House of Lords, la Corte Suprema inglese, decise nel 1993 esclu-

11 La Suprema Corte degli Stati Uniti ridimensionò fortemente il concetto diprivacy rispetto alla precedente giurisprudenza, proprio sul punto delle modalitàdi acquisizione del consenso del paziente (informed consent), escludendo la pos-sibilità di ricorrere ad un giudizio sostitutivo o di invocare la volontà del pa-ziente solo come espediente generico ed artificiale. E nel caso in specie, la vo-lontà della paziente di rifiutare un trattamento medico vitale allorquando si fos-se trovata in uno stato vegetativo, sia pure espressa o dichiarata in vita, come af-fermavano i genitori, non risultava sufficientemente provata, dal momento chela semplice dichiarazione fatta tempo prima dell’incidente fu ritenuta una sem-plice manifestazione di un’opinione priva della serietà necessaria in simili situa-zioni. Sulla base di nuove disposizioni testimoniali i genitori Cruzan ottenneroda un Tribunale del Missouri l’autorizzazione ad interrompere l’alimentazionemediante mezzi artificiali.

12 In Gran Bretagna il dibattito sull’eutanasia fa la sua comparsa agli inizidel ’900. Risalgono al 1936 e al 1950 le prime proposte di legge presentate allaCamera dei Lord nelle quali sono indicate le condizioni in base alle quali è pos-sibile praticare l’eutanasia volontaria, affidando un potere di controllo sull'esi-stenza di esse ad un funzionario incaricato dal Ministro della Sanità. In caso diesito positivo, l'iter del procedimento si sarebbe concluso con un nulla osta. Nelmaggio del 1990 laproposta del 1936 venne riscritta e presentata alla Camera deiComuni, ma venne respinta anche in questo caso, con motivazioni relative al-l'affermazione della santità della vita umana. V. HELME, The Voluntary Euthana-sia (Legislation) Bill (1936) revised, in Journal of Medical Ethics, 1991, 25.

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dendo la responsabilità del medico. Le argomentazioni della Supremacorte inglese però divergono profondamente da quelle proprie dellagiurisprudenza statunitense. Il criterio cardine adottato infatti non èquello della volontà del diretto interessato (ricostruita attraverso testi-monianze ricorrendo ad un giudizio sostitutivo) ma una valutazionemedica nel merito circa lo stato vegetativo permanente e le possibilitàdi trattamento terapeutico. In sostanza i medici orientano la decisionesulla base dei best interest del paziente 13.

4. Il modello legislativo: il progetto alternativo di riforma del codicepenale tedesco

Il modello di soluzione legislativa ha trovato una sua reale concre-tizzazione recentemente in Spagna e in Olanda. In particolare, è di re-cente conio in Spagna l’adozione, nel nuovo codice penale del 1995, diuna fattispecie di partecipazione al suicidio e di omicidio del consen-ziente in cui è prevista la circostanza che la vittima soffra di gravi sof-ferenze non sopportabili che l’avrebbero sicuramente condotta allamorte; la soluzione tuttavia non è quella della liceità (escludendo l’an-tigiuridicità) o della non punibilità, ma quella della attenuazione deltrattamento sanzionatorio, sulla scia di quanto proposto in Italia nelprogetto di riforma del codice penale del 1992 (progetto Pagliaro) 14.

La medesima soluzione della previsione di una fattispecie attenua-ta di omicidio commesso in determinate condizioni oggettive è pre-

13 Nella decisione ha giocato un forte ruolo il documento del comitato eticodella British Medical Association del 1992 che prevede la possibilità di sospende-re l’alimentazione quando il coma persista da oltre un anno. KEON, Commentoalla sentenza sul caso Tony Bland. Uscire dalla «via mediana»: la depenalizzazionegiudiziaria dell’eutanasia passiva non volontaria, in Bioetica, 1997, n. 3, 313. V.Recentemente ARLIDGE, The Trial of Dr David Moor, in The Criminal Law Review,2000, 31; J.C. SMITH, A Commenti on Moor’s Case, in The Criminal Law Review,2000, 41.

14 V. Codice penale spagnolo, introduzione di Olivares, Padova, 1997. L’art. 143,che sostituisce il vecchio art. 409, si connota anche per la scelta di sottrarre a pu-nibilità la condotta di aiuto materiale al suicidio con atti non necessari, indivi-duando un restrittivo ambito di aiuto al suicidio non punibile. Ma il suddetto qua-dro normativo è stato messo in crisi in occasione della realizzazione di un proget-to di aiuto al suicidio, cui collaborarono ben otto persone, ciascuna di esse con unruolo ridottissimo, minimo, non necessario, al fine di permettere ad un caro ami-co ormai paralizzato a letto da oltre trent’anni, di potersi uccidere, evitando che ta-le responsabilità ricadesse in uno solo di questi. Il caso è stato riportato dalla cro-naca giudiziaria italiana, in La Repubblica, 28 febbraio 1998. Cfr. recentemente,MONTICELLI, L’eutanasia nel codice penale spagnolo del 1995, in Ind. pen., 1999, 923.

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sente nell’art. 326 del codice penale della Colombia, di cui recente-mente è stata sollevata la questione di costituzionalità davanti allaCorte costituzionale, la quale tuttavia, affermando la legittimità diquesta forma attenuata di omicidio pietoso, ha colto l’occasione percircoscriverne l’applicazione ai soli casi di eutanasia involontaria, eper affermare la piena liceità di tutte le condotte di eutanasia messe inpratica dal medico con il consenso del paziente 15. La pronuncia della

15 Sentenza della Colombia n. c-239/97, in Bioetica, 1999, n. 3, 536, con notadi POCAR.

La sentenza della Corte costituzionale della Colombia del 1997 ha affermatola costituzionalità di questa forma attenuata di omicidio pietoso, cogliendo l’oc-casione per pronunciarsi ben oltre la mera differenziazione dell’omicidio pieto-so da un qualsiasi altro omicidio, entrando nel pieno della problematica dell’eu-tanasia, in modo da stagliare pratiche (il suicidio assistito, e le altre forme di eu-tanasia volontaria) che immediatamente, per diretta applicazione dei principicostituzionali di tutela dell’autonomia e della sovranità individuale, si allonta-nano dall’area della punibilità delineata dall’art. 326 c.p., così che la fattispeciedi omicidio attenuato concerna le sole ipotesi di eutanasia passiva involontaria,qualora ricorrano condizioni estreme di sopravvivenza del paziente. Infatti, lapunibilità si giustifica in ragione del fatto che essa prescinde del tutto dal con-senso della vittima: sebbene siano specificate le condizioni oggettive (lo stato diintensa sofferenza derivante da una lesione fisica o da infermità grave ed incu-rabile) e soggettive (lo scopo di pietà e di porre fine alle sofferenze) che consen-tono l’applicazione della norma meno grave, non vi è alcun cenno alla volontàdel sofferente. L’assenza di questo elemento poneva forti indizi di incostituzio-nalità a carico della fattispecie incriminatrice: il consenso della vittima è del tut-to irrilevante, non essendo neppure presente nel vigente codice penale colom-biano il delitto dell’omicidio del consenziente?

Malgrado questa grave lacuna del codice penale, la Corte costituzionale hafornito un’interpretazione della norma sorprendente che parte dall’assunzionedel pluralismo e del rispetto della dignità umana come principi immediatamen-te normativi. Si legge infatti nella sentenza che la Costituzione colombiana del1991 ha introdotto significative novità per quanto attiene alla concezione dei di-ritti fondamentali e del rispetto dell’autonomia morale dell’individuo. In questomutato quadro normativo, che vede nella dignità il valore centrale, deve esserecollocato l’art. 326 del c.p. D’altro canto, l’art. 95 Cost. afferma che la solidarietàcostituisce uno dei postulati fondamentali dello Stato, principio che comportal’obbligo per tutti i cittadini di recare soccorso con mezzi umanitari a coloro chesi trovano in una situazione di bisogno.

Sulla base di queste premesse la Corte colombiana afferma che a nessunopuò essere imposto di vivere in condizioni estreme, e che sarebbe pretenziosoobbligare alcuno a comportamenti eroici. Il principio di autonomia, la sfera disovranità individuale, impongono un ridimensionamento del valore della vitacome qualcosa di sacro ed intangibile rispetto alle concrete condizioni di vita,soprattutto nelle situazioni in cui l’alternativa è tra morire in condizioni stabili-te dal soggetto o tra morire in condizioni dolorose e reputate non dignitose. Per-tanto, qualora la pratica eutanasia sia corredata dal consenso del paziente (sono

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Corte costituzionale del 20 maggio 1997 ha sostanzialmente «depena-lizzato» le pratiche terapeutiche di cura del dolore e di eutanasia pur-ché siano suffragate dal consenso del paziente.

Ma un progetto di puntuale regolamentazione delle diverse fatti-specie di euatanasia attiva e passiva, per la verità non andato in porto,giunge dall’esperienza giuridica d’oltralpe. Rispetto alle posizioniespresse nel corso del 56° Deutsche Juristentag svoltosi nel 1986, in oc-casione del quale fu oggetto di attenzione un progetto di soluzione le-gislativa alla questione, il dibattito all’interno della scienza giuridicatedesca si è assestato sulla conclusione di non ritenere opportuna unamodifica legislativa, ritenendosi sufficiente ed adeguata una definizio-ne in via giudiziaria, attraverso gli strumenti normativi esistenti chefanno perno sulle esimenti o sulle scusanti, ovvero facendo ampio ri-corso all’istituto della rinuncia della pena 16.

le ipotesi di suicidio assistito o di somministrazione di terapie del dolore con-sensuale), essa è immediatamente lecita per diretta applicazione dei principi co-stituzionali, mentre l’ambito applicativo dell’omicidio pietoso concerne le solesituazioni di eutanasia passiva involontaria.

16 In proposito ESER, Freiheit zum Sterben- Kein Recht auf Tötung, in JZ, 1986,876; BAUMANN, Alternativentwurf eines Gesetzes über Sterbehilfe (AE- Sterbehilfe).Entwurf eines Arbeitskreises von Professoren des Strafrechts und der Medizinsowie ihrer Mitarbeiter, Stuttugart-New York, 1986; MUSCHKE, Gesetzliche Rege-lung der Sterbehilfe?, Giesssen, 1988.

In particolare progetto prevedeva le seguenti modifiche al codice penale:§ 214 (eutanasia passiva). Interruzione o omissione di misure terapeutiche

di mantenimento in vita: «Chiunque interrompe o omette terapie di manteni-mento in vita non commette un illecito se: – il paziente lo ha richiesto espres-samente e seriamente; – il paziente ha perso irrimediabilmente la coscienza oin nel caso di neonato gravemente handicappato se nessuno ne ha fatto richie-sta; – se si può supporre che il paziente avrebbe rifiutato la terapia, qualora fos-se stato informato circa la durata e le condizioni del suo futuro stato di salute;– se a causa della incurabilità della malattia secondo lo stato della scienza at-tuale ulteriori terapie non sarebbero utili. La fattispecie si applica anche nel ca-so di tentato suicidio da parte del paziente». § 214a (eutanasia indiretta) Tera-pie del dolore: «Chi in qualità di medico o su indicazioni mediche somministracon il consenso espresso o presunto del paziente, farmaci che alleviano il dolo-re, non commette un illecito anche se questi comportano come effetto collate-rale l’accelerazione della morte». § 215. Omesso impedimento del suicidio. «Chiomette di impedire il suicidio di un altro non commette un illecito se il suicidiosi fonda su una volontà libera, responsabile, espressamente manifestata del sui-cida o comunque riconoscibile come tale sulla base delle circostanze di un fat-to. Una tale decisione non può essere effettuata se il suicida era inferiore di di-ciotto anni o se manca una volontà responsabile a norma dei §§ 20-21». § 216.Omicidio su richiesta. «Chiunque cagiona la morte di un uomo con il suo serioconsenso è punito con pena detentiva da sei mesi a cinque anni. Il giudice puòrinunciare alla pena nei casi previsti nel precedente comma se l’omicidio è sta-

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I principi cardine del progetto alternativo del 1986 erano quelli difornire una chiara e completa disciplina di tutte le situazioni di euta-nasia, apprestando una «nuova» tutela della vita umana a prescinderedal concetto di «valore». Pertanto si affermava l’ammissibilità delle te-rapie del dolore; dell’interruzione di misure terapeutiche di manteni-mento artificiale in vita; il primato dell’aiuto nel morire sull’aiuto amorire; il rispetto dell’autodeterminazione del paziente e anche dellalibera volontà suicida attraverso una definizione dei limiti al dovere diprestare soccorso; l’ammissibilità dell’aiuto a morire passivo, la puni-bilità dell’omicidio su richiesta, salvo la previsione di eccezioni esentida pena. In particolare, il progetto alternativo conteneva alcune novitàdi un certo rilievo, prevedendo espressamente l’istituto della rinunciaalla pena qualora l’omicidio su richiesta della vittima fosse stato com-messo per porre fine ad un grave e non più tollerabile stato di soffe-renza non altrimenti alleviabile. Le soluzioni che proponevano una ge-nerale abrogazione del par. 216 StGB, sostenute nel corso del dibatti-to, hanno avuto scarsa eco, ritenendosi invece necessario stemperarel’assolutezza del divieto in relazione a situazioni particolari (quandoad esempio l’omicidio è realizzato con dolo eventuale) e delineando li-miti all’obbligo di impedire il suicidio.

Successivamente a quell’incontro del 1986 è del tutto tramontata laprospettiva di una soluzione legislativa, ma la conflittualità sul temaSterbehilfe si è trasferita nelle aule giudiziarie, aprendo la strada ad unmodello di soluzione di tipo giudiziario 17.

Ed in effetti, due sono i più recenti casi che in cui è affrontata aper-tamente la questione della punibilità del medico che attua una deci-sione medica di fine vita. Nel caso Hackethal, la giurisprudenza tede-sca ha escluso la punibilità del medico ex par. 216 StGB per aveva for-nito un aiuto ad una sua paziente affinché, dopo aver subito ben tre-dici interventi chirurgici, potesse morire. Il medico, convinto della de-terminazione della donna, le aveva procurato una dose letale di vele-no, che ella poi bevve da sola. In assenza di una fattispecie incrimina-trice del l’aiuto al suicidio, l’OLG di Monaco negò la punibilità del me-dico, escludendo ab origine l’incardinarsi di una posizione di garan-zia, stante l’espresso rifiuto della paziente di sottoporsi ad ulteriori in-terventi 18. Ma la giurisprudenza tedesca si spinge ancora oltre nel ca-

to commesso per porre fine ad un grave e non più tollerabile stato di sofferen-za che non poteva essere alleviato con altri mezzi».

17 BENZLER-PERELS, Justiz und Staatverbrechen. Über den juristischen Umgangmit der NS Euthanasie, in NS Euthanasie von Gericht, 1996, 16.

18 Si ritenne che il medico non era stato né autore diretto, né autore media-to di quella morte, poiché la donna ha agito responsabilmente da sola, nel pie-no controllo delle proprie azioni, e ciò anche quando aveva perso lo stato di co-

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so Raverburg, in cui si giunge ad escludere la punibilità del familiareche, sulla base delle richieste della paziente, aveva staccato il respira-tore artificiale (eutanasia passiva consensuale) 19.

Più recentemente, in questa direzione, assume maggiore rilievo lasentenza del BGH del 1996 sul cd. caso Kempten, con cui viene per laprima volta apertamente indirettamente affermata l’ammissibilitàdel l’eutanasia passiva, qualora si ravvisino alcuni presupposti di fatto,indicati dall’Ordine dei medici (BundesartzCammer), relativi all’in-staurarsi di un processo patologico che conduce alla morte, allo statoterminale del paziente, alla manifestazione di una volontà espressa echiara del malato di rifiuto delle terapie di mantenimento in vita 20. Ilcaso si definisce con una sentenza di condanna, a causa dell’assenzadei requisiti richiesti dall’ordine professionale, ma si può desumere acontrario che, in presenza di tutte le suddette circostanze, l’interru-

scienza, dal momento che non è riscontrabile se, in questo breve lasso di tem-po, il medico avrebbe potuto impedire la morte. La sentenza segna un’impor-tante evoluzione rispetto alla costruzione, fino allora dominante, del «dominiodel fatto che salta», in relazione alla quale veniva ravvisata la punibilità a titolodi omicidio mediante omissione, qualora la vittima avesse perso lo stato di co-scienza. In ogni caso, si legge nella motivazione, qualora si fosse ritenuta rile-vante la condotta omissiva del medico, tale omissione sarebbe stata giustifica-ta ex par. 34 STGB per il conflitto di doveri che dilania il medico; si sarebbe po-tuta ravvisare altrimenti la causa di esclusione della colpevolezza analoga aquella prevista nel par. 35, o infine l’istituto della rinuncia della pena in base alpar. 60. Nell’esperienza tedesca è diffusa la tesi che fa riferimento al par. 34StGB, HERZBERG, Der Fall Hackethal: Strafbare Tötung auf Verlangen?, in NJW,1986, 1635; ID., Sterbehilfe als gerechtfertige Tötung im Notstand?, in NJW, 1996,3043. V. in proposito FORNASARI, Diritto giurisprudenziale e cause di giustifica-zione nell’esperienza tedesca, in Sistema penale in transizione e ruolo del dirittogiurisprudenziale, a cura di FIANDACA, Padova, 1997, 21; ID., Il principio di inesi-gibilità nel diritto penale, Padova, 1990; VIGANÒ, Stato di necessità e conflitti didoveri, cit., 375.

19 Si trattava della condizione di prossimità alla morte della moglie dell’im-putato, sottoposta a ripetuti interventi intensivi di rianimazione artificiale, instato di semi coscienza a causa dei forti sedativi che le venivano somministrati.La donna in numerose discussioni aveva espresso il desiderio di essere lasciatamorire e di voler rifiutare terapie intensive. In tale stato di semi coscienza, tra-mite una speciale macchina da scrivere che le consente di esprimersi, la donnaaveva confessa al marito il desiderio di essere lasciata morire. Il marito accogliela richiesta, distacca la macchina di respirazione artificiale, e rimane accanto alei fino alla morte, LG Raverbug, in NStZ, 1987, 229.

20 Così altrettanto in Svizzera, l’ordine dei medici aveva fornite delle diretti-ve a favore dell’eutanasia, ACCADEMIA SVIZZERA DELLE SCIENZE MEDICHE, Direttiveconcernenti l’eutanasia, in Appendice a BARNI-DELL’OSSO-MARTINI, Aspetti medico-legali e riflessi deontologici del diritto a morire, cit., 26.

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zione delle terapie a cui consegue la morte del paziente non avrebberealizzato una violazione dei doveri deontologici del medico 21.

Il caso concerne la richiesta dell’interruzione dell’alimentazione ar-tificiale (mezzo ordinario di sopravvivenza) da parte di un parente del-la paziente, che si fa interprete delle sue volontà non dichiarate periscritto, di essere lasciata morire 22. Si tratta infatti della decisione di

21 VERREL, Der BGH legt nach: Zulässigkeit der indirekten Sterbehilfe. An-merkung zur Sterbehilfeentscheidung des BGH vom 15.11.1996, in Medizin undRecht 1997, 248; KUTZER, Wir brauchen keine neuen Gesetze zur Sterbehilfe. In be-sonderen Ausnahmefällen könnte auch eine Tötung auf Verlangen straffrei sein, inZRZ, 1997, 3, 117; TOLMEIN, Tödliches Mitleid: kritische Anmerkungen zur Urteildes Bundesgerichtshofs im «Kemtener Fall» (NJW, 1995, p 204), in Kritische Justiz1996, 4, 510; SCHEREIBER, Behandlungsabbruch und Sterbehilfe, in Lebensverlän-gerung aus medizinischer ethischer und rechtlicher Sicht, 1995, 3-34; DÖRNER,Hält der GBH die «Freigabe der Vernichtung lebenensunwerten Leben» wieder fürdiskutabel?, in ZRP, 1996, 93; BERNSMANN, Der Umgang mit irreversibel bewus-stlosen Personen und das Strafrecht, in ZRP, 1996, 87; SCHÖCH, Beendigung leben-serhaltender Massnahmen, in NSTZ, 1995, 153.

22 Il caso riguarda un’anziana signora da tempo ricoverata presso una casa dicura a Kempten, ed affetta da demenza organica presenile, che subisce un primoarresto cardiaco nel settembre del 1990; la signora viene immediatamente riani-mata, ma a seguito dell’arresto subisce gravi ed irreversibili danni cerebrali: nonè più capace di inghiottire, non reagisce a stimoli acustici e nervosi, ed è co-stretta all’alimentazione artificiale per mezzo di una sonda nasale. Dopo tre an-ni le condizioni della signora sono stazionarie, ed il medico curante propone alfiglio di interrompere l’alimentazione artificiale, per somministrare solo tè, af-finché la morte sopraggiunga indolore nell’arco di tre settimane. Il figlio della si-gnora, consultatosi con il medico curante che propone l’interruzione dell’ali-mentazione artificiale, convinto e rassicurato dallo stesso circa la liceità dell’in-terruzione delle terapie, accetta la proposta, ricordando che la madre, parecchianni prima, aveva dichiarato di non voler essere lasciata morire. Pertanto, d’ac-cordo con il medico curante, egli stesso, in qualità di responsabile delle curescrive nella cartella clinica una data dal momento in cui dovrà essere interrottal’alimentazione proteica e vitaminica per quella priva di sostanze nutritive. Ilpersonale sanitario della casa di cura tuttavia, malgrado la data a decorrere dal-la quale si sarebbe dovuta interrompere la terapia fosse ancora lontana, inter-pella il tribunale tutelare, il quale vieta l’interruzione dell’alimentazione artifi-ciale. Il LG condanna il medico ed il figlio per omicidio tentato, ma in appelloentrambi gli imputati vengono prosciolti. La sentenza di assoluzione in appelloè legata al fatto che gli autori non avevano ancora interrotto la terapia e che lamorte è sopraggiunta naturalmente; non si sono ravvisati neppure gli estremidel tentativo punibile, ma in linea di principio l’assenza della volontà del pa-ziente e delle condizioni di prossimità della morte e dell’irreversibilità dello sta-to, secondo le regole indicate dal BundesartzCammer del 1993, avrebbero resopunibile la condotta degli imputati a titolo di omicidio. Adeguandosi a tali indi-cazioni provenienti dall’ordine professionale, il LG ritenne non sussistenti i pre-supposti giustificativi oggettivi della c.d eutanasia passiva, dal momento che la

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sostituire ad una alimentazione nutriente, un’alimentazione a basso onullo valore nutrizionale, che non costituisce interruzione di una mi-sura terapeutica straordinaria o eziologica, e quindi non esigibile edobbligatoria, ma interruzione di un mezzo di sostentamento essenzia-le e necessario per chiunque. Il figlio della donna si rivolse al tribuna-le tutelare per vedere accolta la sua richiesta, ma il tribunale rigettòl’istanza in quanto non vi erano le condizioni che autorizzano questadecisione medica, ovvero la prossimità della morte dovuta ad uno sta-to di salute fortemente ed irreversibilmente deteriorato, una chiara eprecisa manifestazione di volontà circa l’interruzione delle cure, e unampio potere di legittimazione sostitutiva del figlio o del medico adesprimere le sue volontà, in assenza di una espressa designazione. Ladonna morì entro l’anno, ma a causa di un edema polmonare.

Gli spunti di riflessione che offre la sentenza del BGH non concer-nono solo l’implicita affermazione della liceità dell’eutanasia passivain presenza di determinate circostanze di fatto (di rilievo è la conside-razione della natura terapeutica, e quindi rifiutabile, dell’alimentazio-ne artificiale). L’ulteriore elemento di novità si individua in relazioneall’applicazione analogica del par. 1904 BGB che prevede il ricorso algiudice tutelare affinché si autorizzi giudizialmente la somministra-zione di terapie nei casi di incapacità del paziente e di impossibilità aricostruire le sue volontà sufficientemente. Il BGH ha infatti ritenutala competenza del giudice a decidere, essendo medesimi gli obiettivi ela ratio, non solo nel caso della somministrazione di terapie urgenti,ma anche in quello inverso dell’interruzione di terapie salvavita, pur-ché verifichi l’esistenza di quelle condizioni fattuali che, secondo le di-rettive indicate dall’ordine professionale dei medici, consentono l’in-terruzione di terapie di sostentamento artificiale in vita 23. Il ricorso ad

malattia della signora non era irreversibile, che la morte non era ancora immi-nente e immediatamente legata all’interruzione delle terapie di prolungamentoartificiale in vita e che la signora fosse ancora vitale (lebensfähig).

Il caso Kempten presenta un ulteriore aspetto che concerne l’errore sul divie-to, per il fatto che gli imputati erano convinti che la sostituzione dell’alimentazio-ne della paziente fosse comportamento lecito e pienamente ammissibile, non es-sendo a conoscenza del fatto che l’ordine dei medici aveva modificato nel 1993 leindicazioni deontologiche formulate già nel 1979 nel caso di perdita irreversibiledella coscienza, imponendo di iniziare la procedura giurisdizionale che prevedel’autorizzazione del tribunale tutelare nel caso di pazienti incapaci, a norma delpar. 1904 BGB. I due imputati ritenevano ancora vigenti le regole indicate dall’or-dine dei medici nel 1979, dal momento che essi sono convinti di poter ricostruirela volontà presunta del paziente ormai incapace, ed poter agire in sua vece.

23 Il par. 1904 BGB dispone che, qualora debbano essere effettuati interventiterapeutici nei confronti di pazienti che non sono in grado di prestare il consen-so, il consenso del legale rappresentate abbisogna dell’autorizzazione, a seguito

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un provvedimento giudiziale di autorizzazione sembra avviare la Ger-mania verso un modello di soluzione giudiziaria, che prescinde da unariformulazione delle fattispecie penali.

5. Il modello misto: l’eutanasia in Olanda

La discussione sull’eutanasia, da decenni ancora dibattuta in moltipaesi a livello teorico, in Olanda ha prodotto una pratica diffusa già daparecchi anni, recentemente confluita nell’approvazione di una propo-sta di legge da parte del Parlamento, che esplicitamente prevede l’in-troduzione nel codice penale olandese di una causa di esclusione dellapunibilità qualora l’eutanasia e il suicidio assistito vengano realizzatidal medico in osservanza dei requisiti indicati dalla stessa legge e pur-ché abbia redatto un referto sulle cause di morte del paziente indican-do le condizioni del suo operato, in conformità alle disposizioni dellalegge mortuaria 24.

In verità, la pratica eutanasica in Olanda ha sempre incontrato unlargo favore sia nell’opinione pubblica che negli ambienti medici, tan-

di istanza, del tribunale tutelare quando sussiste il fondato pericolo che il pa-ziente, a causa delle terapie, possa morire o subire un grave danno. Senza tale au-torizzazione la somministrazione di terapie sulla base del solo consenso del lega-le rappresentante solo nel caso di imminente pericolo di vita. Si è ritenuto appli-cabile analogicamente il par. 1904 anche qualora si tratti della interruzione o del-la rinuncia ad intraprendere una terapia. In tal caso il giudice procede ad una ri-costruzione giudiziale della volontà presunta del paziente, secondo par. 1901BGB, in modo che non venga violato il bene obiettivo del paziente, interrompen-do o rinunciando ad una misura che prolunga la vita. Ma il giudice può anchegiustificare una nuova terapia e obbligare il medico a somministrarla, qualora ri-tenga che ciò corrisponda più esattamente alla presunta volontà del paziente.

24 In particolare, la legge n. 133 del 1991 sulla consegna dei cadaveri, con laquale venivano apportate modifiche all’art. 10 della legge sulla sepoltura dellesalme, successivamente la legge n. 643 del 1993, ed infine la legge entrata in vi-gore il 1° giugno 1994, approvata con decreto ministeriale del 17 dicembre 1993,n. 688, impongono al medico che ha praticato una delle procedure volte ad ac-celerare il momento della morte del paziente, di redigere una relazione infor-mativa che descriva dettagliatamente la storia clinica del paziente e nella qualerisultino indicati i requisiti richiesti per effettuare la pratica. Tale relazione de-ve essere consegnata insieme alla denuncia delle cause di morte, al medico loca-le necroscopico, al quale compete l’ispezione del cadavere e la verifica della sus-sistenza dei presupposti richiesti. Il medico necroscopo, essendo un pubblico uf-ficiale, ha l’obbligo di informare l’autorità giudiziaria qualora vi sia il sospetto direato. In proposito, GUGLIELMI, Eutanasia attiva e passiva: aspetti di diritto com-parato, in Giur. merito, 1999, 920

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to che la stessa giurisprudenza da numerosi anni si è mostrata cle-mente, ricorrendo alla clausola della forza maggiore, prevista dall’art.40 del codice penale olandese, allorquando il medico si fosse trovatonella situazione di decidere tra dar seguito al dovere di alleviare insop-portabili dolori al suo paziente e dovere di preservargli la vita 25. Datempo è quindi diffusa una certa sensibilità sul tema, attestata da unaletteratura giuridica impegnata nella costruzione, in ambito normati-vo, di categorie generali al fine di giungere alla non punibilità, e dal -l’approvazione, fin dal 1991, di diverse leggi che hanno recepito le in-dicazioni indicate dall’ordine dei medici e codificato i principi elabo-rati dalla giurisprudenza in tema di suicidio assistito.

In Olanda la prassi dell’eutanasia è radicata da anni, continuamen-te monitorata, controllata dalle istituzioni con indagini empiriche esondaggi (il rapporto Remmelink 26 risale al 1991 e rapporto van der

25 La prima apertura giurisprudenziale a favore dell’eutanasia risale al 1973,allorché la Corte regionale di Leeuwarden sospese l’esecuzione della pena inflit-ta ad un medico che aveva somministrato alla propria madre su richiesta di lei,una dose letale di morfina. La corte ritenne che il medico che pratica l’eutanasianon possa appellarsi alla forza maggiore psichica (psychological compulsion),cioè come caso di coscienza ma che piuttosto si verifica una situazione di con-flitto di doveri, e precisamente tra il dovere di curare e prolungare la vita del pa-ziente e quello di alleviarne le sofferenze, sia fisiche che psichiche.

Negli anni successivi, il tribunale (caso Bijsterbosch) pronunciò il non luogoa procedere per difetto di antigiuridicità sostanziale nei confronti di un medicodi famiglia che aveva provocato la morte di un paziente di 89 anni, facendo ap-pello all’art. 40 del codice penale olandese che esclude la punibilità qualora il fat-to sia stato commesso per forza maggiore, relativa all’esistenza di un conflitto didoveri. Senz’altro massime furono le aperture della giurisprudenza a propositodel caso van der Slegtenhorst del 1987, in cui la Suprema Corte concluse per l’as-soluzione, pur non essendo stata perfettamente seguita la procedura invalsa nel-la prassi per la generalità dei casi. Per un’analisi della casistica in Olanda, V. VIN-CIGUERRA-RICCI ASCOLI, Il diritto giurisprudenziale olandese in tema di eutanasiaattiva e di suicidio assistito, in Sistema penale in transizione e ruolo del diritto giu-risprudenziale, a cura di FIANDACA, Padova, 1997, 85; MAGLIONA, Aiuto punibile onormale atto medico? Breve panoramica internazionale, in Dir. pen. e proc., 1996,1266; KEOWN, The Law and the practice of the Eutanasie in Holland (La legge e lapratica dell’eutanasia in Olanda), in The Law Quaterly Review, 1992, 51.

26 Negli anni ’90, la consapevolezza della diffusione della pratica eutanasica,unita alla mancanza di dati attendibili sulla sua entità e alle sue modalità, portòad una prima indagine sociologica, in accordo tra il Governo olandese e l’ordinedei medici, nota come «rapporto Remmelink», dal nome del Presidente dellacommissione ministeriale che l’aveva promossa, volta a fornire dati attendibilicirca i fatti di eutanasia attiva, di suicidio assistito e di casi di eutanasia invo-lontaria. Secondo il rapporto Remmelink le diverse pratiche di eutanasia sonostate praticate dai medici in un anno il 5% dei casi di paziente deceduti. Scopodel l’inchiesta non era soltanto quello di individuare i casi di eutanasia, ma più in

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Maas 27 al 1995), resa ammissibile già dal 1991 attraverso delle modifi-

generale di documentare con quale frequenza vengono assunte nella pratica cli-nica, decisioni mediche suscettibili di abbreviare il decorso delle fasi finali dellavita, utilizzando l’acronimo MDEL (medical decisionins concernine the end of life).Il questionario distingueva: eutanasia propriamente detta, vale a dire la prescri-zione o la somministrazione di farmaci con l’intenzione esplicita di rendere pos-sibile il trapasso del paziente; il suicido medicalmente assistito, definito come laprescrizione o la somministrazione di farmaci con l’intenzione di permettereche il paziente si suicidi; la terapia del dolore tale da causare un’abbreviazionedella vita; l’interruzione di vite senza richiesta esplicita; la sospensione o rinun-cia di trattamenti di sostegno vitale. Il rapporto prevede un accurato studioesplicativo, descrittivo e retrospettivo sulle patologie, sull’età, sul sesso dei pa-zienti aiutati a morire.

I risultati dimostrarono ad una certa diffusione della pratica eutanasica pro-priamente detta (vale a dire l’interruzione attiva della vita di un paziente in sta-to terminale) che incideva con una percentuale dell’1,7-1,9 sul totale delle mor-ti. Assai più raro era il suicidio medicalmente assistito, responsabile solo dello0,2% dei decessi. Destò particolare scalpore la percentuale relativamente eleva-ta, intorno allo 0,7 delle morti attribuibili alla somministrazione di farmaciesplicitamente intesa ad interrompere la vita del paziente in assenza di una suaesplicita richiesta in tale senso.

27 A distanza di 5 anni dal «rapporto Remmelink», successivamente alla leggedel 1994 che ha istituzionalizzato la pratica, le maggiori istituzioni olandesehanno promosso un’indagine pressoché sovrapponibile alla prima, coordinatacome la precedente da P.J. van der Maas, i cui risultati sono stati diffusi all’opi-nione pubblica in un articolo pubblicato nel 1996 sul New England Journal ofmedicine. Lo scopo dell’indagine successiva era di cogliere un’eventuale varia-zione della frequenza delle pratiche eutanasiche. I risultati hanno dimostratoche l’incidenza dell’eutanasia (quella propriamente detta) è aumentata solo dipoco, dall’1,7 al 2,3 nel 1995, mentre l’incidenza del suicidio assistito è sostan-zialmente invariata, dallo 0,2-0,3 del 1990 allo 0,4 al massimo % nel 1995. So-stanzialmente invariata la pratica della somministrazione di farmaci analgesici,l’interruzione della vita in assenza di richiesta esplicita è leggermente diminui-ta, mentre più alta risulta l’incidenza dei casi in cui si rinuncia o si sospendonotrattamenti di sostentamento vitale

Si tenga presente che già dalla metà degli anni ‘80 la prassi era ampiamen-te diffusa in tutta l’Olanda e che buona parte dei medici (circa l’88%), già allo-ra, si era dichiarata propensa a ricorrere all’eutanasia ritenendo corrisponden-te alla coscienza del medico e alla sua deontologia, il dovere di alleviare le sof-ferenze del paziente. Il rapporto riguardante la prassi del 1995 tende a indivi-duare le categorie di pazienti che muoiono per eutanasia distinguendoli in ba-se all’età (si tratta per lo più di pazienti al di sotto dei 65 anni), per malattie(l’80% soffriva di cancro), a seconda dei motivi addotti dallo stesso paziente chefa richiesta di eutanasia. L’inchiesta del 1995 ha dimostrato che la praticadell’alleviamento del dolore e di altri sintomi con possibile effetto di accorcia-mento della vita incide per circa il 19,1% sul totale delle morti. È interessantenotare due dati: la percentuale presumibile di accorciamento della vita è statadi meno di 24 ore nel 64% dei casi e meno di una settimana nel 16%; nell’85%

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che apportate al regolamento di polizia mortuaria che riconoscevanoal medico la possibilità di mettere in pratica una decisione di fine vitadel paziente terminale, qualora vi fossero i requisiti richiesti dal -l’associazione medica (consulto di più medici, stato di sofferenza, ri-chiesta seria e ponderata, completa informazione sul decorso del mor-bo, assenza di alternative praticabili, condizioni di malattia termina-

dei casi i medici erano consapevoli di tale effetto sulla durata della vita del pa-ziente, anche se non lo desideravano, e solo nel 15% dei casi la pratica era al-meno in parte tesa ad affrettare la morte. È invece più frequente la decisionemedica di non iniziare o di sospendere un trattamento di sostegno vitale. In talcaso, l’indagine sulle intenzioni dei medici dimostra che in un’alta percentuale,il 66% dei casi, il medico aveva l’intenzione di affrettare la morte, mentre solonel restante 34% il medico aveva solo presente la possibilità che questo avve-nisse. Il dato riguardante le intenzioni è senza dubbio uno dei più interessantidell’inchiesta, mettendo bene in evidenza come la distinzione tra le diverse ca-tegorie di eutanasia siano alquanto labili, soprattutto se incentrate sull’atteg-giamento psicologico del medico. In proposito EIJK, Eutanasia: terminologia eprassi clinica, prassi clinica, in RTLU, II, 1997, 231; VAN DER WAL-P.J. VAN DER

MAAS, Euthanasie en andere mediche beslissingen rond het levenseinde. De prak-tijk en de meldingsprocedure, l’Aia, 1996.

Significativa novità del rapporto van der Maas, è costituita dal fatto che ilformulario prevede come possibilità quella in cui non vi sia richiesta da partedel paziente, come può avvenire per i neonati, i malati in stato di coma, i de-menti, aprendo una breccia rispetto ai principi recepiti, che chiedevano salda-mente una forte volontà e richiesta. Altra novità concerne l’applicazione dellapratica anche verso pazienti affetti da gravi affezioni psichiatriche. Infatti re-centi casi, l’uno del 1994 riguardante il dottor Chabot, l’altro del 1995 riguar-dante il dottor Prinz, attestano un processo di progressivo allargamento dellecondizioni fattuali di legittimazione della pratica, trattandosi di paziente chenon verte in condizioni terminali, ma che accusa gravi sofferenze psichiche, edi un neonato affetto da gravissimi handicap con limitate possibilità di soprav-vivenza. Nel caso Prinz il tribunale ritenne che il medico avesse agito in stato dinecessità, ritenendo sufficiente la richiesta dei genitori del neonato. L’appelloallo stato di necessità da parte del medico fu accolto sia dal tribunale di Alk-maar che dalla Corte di Amsterdam, Gerechtshof van Amsterdam, Arrestnummer23-002076, 1995. Il caso Chabot presenta la peculiarità di concernere un pa-ziente che, per l’età e per le condizioni di salute, non verte in uno stato di ma-lattia terminale, in assenza di una grave patologia fisica che avrebbe condottoalla morte, ma in una grave forma di depressione. Il dottor Chabot, uno psi-chiatra appartenente all’associazione per l’eutanasia volontaria, accolse la ri-chiesta del paziente e prescrisse i farmaci che egli stesso assunse. Lo Chabot fe-ce appello alla forza maggiore in situazione di necessità, trovandosi in una si-tuazione di conflitto tra il dovere di proteggere la vita e quello di lenire le soffe-renze dall’altra. La Corte accolse il richiamo alla causa di giustificazione nel ca-so di assistenza al suicidio, e non fu escluso in linea di principio che questo ri-chiamo fosse pertinente anche nei casi in cui la sofferenza non dipende da unamalattia somatica, ma da una psicosi, richiedonsi piuttosto in questi casi una

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le), e sia stato fatto un rapporto sulle cause di morte del paziente 28. At-traverso questa disciplina amministrativa la soluzione di liceità venivarealizzata in virtù della decisione del P.M. di astenersi dal promuovereun’azione penale, qualora il medico abbia adempiuto all’obbligo di se-gnalazione al medico necroscopo comunale e si fosse attenuto alle in-dicazioni della classe medica recepite dal Governo 29. La discreziona-lità dell’azione penale faceva sì che il medico, indicando nel formula-rio con esattezza le condizioni di fatto in cui ha operato, potesse ra-gionevolmente confidare sull’impunità, senza che vengano minima-mente intaccate le norme penali poste a tutela della vita umana.

La recente legge approvata nel 2001 dal Parlamento olandese sispinge oltre rispetto questa disciplina, prevedendo espressamene lanon punibilità del medico che abbia agito in conformità alla legge stes-sa attraverso una modifica delle norme del codice penale. Secondo ta-

particolare cautela nella diagnosi di incurabilità del medico curante e circa lepossibilità di cure alternative. Malgrado le sentenze di assoluzione per aver agi-to in stato di necessità, in primo grado ed in appello, il caso giunse alla Supre-ma Corte che però stavolta ritenne rilevante l’inosservanza della condizione cherichiede la consultazione di un medico collega esterno, non essendovi stata pos-sibilità di appurare la presenza di alternative reali alla morte della paziente. Lasentenza fu dunque di colpevolezza per aiuto al suicidio, anche se la pena ven-ne non eseguita per altre circostanze e venne applicato un provvedimento di-sciplinare.

In proposito sull’ammissibilità del eutanasia anche per pazienti affetti dasindrome psichiatrica, si veda il Death with dignity Act dell’Oregon, che richiedeespressamente che il paziente che richiede la morte non sia affetto da depres-sione, LEE-NELSON-TILDEN-GANZINI-SCHMIDT-TOLLE, Legalizin assisted suicide-Views of physicians in Oregon, in The England Journal of Medicine 334, 1996, 310.

28 Già dal 1973 l’associazione medica reale olandese (KNMG) aveva indivi-duato i criteri in base ai quali il medico avrebbe potuto invocare l’esimente pre-vista dall’art. 40 c.p. olandese. In particolare si stabilì: 1) deve sussistere la libe-ra volontà del paziente, consultato ed interpellato più volte; 2) il medico deveaver illustrato al paziente le sue condizioni dal punto di vista clinico; 3) la ri-chiesta non deve essere espressione di una momentanea depressione; 4) lo statodi sofferenza del paziente deve essere persistente, insopportabile, senza speran-za, determinato da tre cause: il dolore, una condizione fisica deteriorata senzadolore, una sofferenza che non sia fisica ma dovuta a fattori sociali o a una sin-drome psichiatrica; 5) L’assenza di alternative ad una pratica eutanasia. La pros-simità alla morte non è un requisito imprescindibile, purché le sofferenze sianoinsopportabili. La decisione del medico presuppone una consultazione con unaltro collega che ha seguito il paziente, e poi con un collega esterno.

29 Nel 1994 le linee-guida formulate dall’ordine professionale sono state in-corporate in un regolamento ministeriale, una sorta di Direttiva generale Am-ministrativa, che vincola il PM nell’esercizio dell’azione penale, obbligandolo adastenersi dal promuovere l’azione qualora ricorrano i requisiti in essa descritti.

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le normativa il referto del medico 30 verrà sottoposto ad un giudizio daparte di una delle cinque Commissioni regionali di Controllo, le qualidetengono un potere di veto maggiormente vincolante sulla decisionedel P.M. di promuovere l’azione penale 31. Qualora la Commissione de-cida che l’estinzione della vita del paziente abbia soddisfatto i criteri didiligenza posti a carico del medico infatti il caso viene immediata-mente archiviato, senza che il parere venga rimesso alla valutazionedel P.M., salvo che questi riscontri irregolarità nella procedura. In talcaso il P.M. mantiene la facoltà di aprire le indagini, ma dovrà consul-tare il Ministro di Giustizia. Se invece la Commissione di controllo va-luta negativamente l’operato del medico, non avendo questi operatosecondo i paramenti di diligenza, il rapporto viene inviato al P.M., ilquale avvia l’azione penale. In tal caso, sarà poi compito del giudice va-lutare se nel singolo caso sussistano gli estremi della forza maggiore.

In sostanza, attualmente la non punibilità della condotta dipende inprima istanza dal parere vincolante della Commissione di controllo, ein caso di esito negativo, dal giudizio emesso dal magistrato inquiren-te al quale viene inviato il rapporto, il quale può applicare la normasullo stato di necessità o forza maggiore, qualora ravvisi un conflitto didoveri tale da far prevalere il dovere deontologico di alleviare le soffe-renze del paziente sul divieto di cagionare la morte.

La peculiarità della situazione olandese si manifesta all’analisi delquadro normativo in tema di tutela della vita umana e dall’attuale as-senza di strumenti dogmatici attraverso cui individuare, già de iurecondito, fattori di liceità di questa diffusa prassi. La situazione olande-se è dunque abbastanza paradossale, poiché la legge penale olandesepunisce l’omicidio comune, l’omicidio del consenziente e la partecipa-zione al suicidio 32. Il sistema penale olandese ha affrontato quindi il

30 Secondo il regolamento di polizia mortuaria, il medico necroscopo redigeuna relazione con cui si effettua un primo controllo circa la sussistenza dei re-quisiti e il rispetto dei criteri, ed invia la propria e la relazione del medico al Pro-curatore della Regina, all’ispettore regionale della sanità e alla commissione dicontrollo.

31 Nel 1998 furono costituite cinque Commissioni regionali di controllo,composte da un medico, un giurista ed un esperto in etica, direttamente nomi-nate dal ministro di giustizia e dal ministro della sanità.

32 Infatti il codice penale olandese prevede il reato di omicidio comune, di-stinto in intenzionale (art. 287 doodslag) e intenzionale e premeditato (art. 289moord). È inoltre esistente il reato di omicidio del consenziente (art. 293) men-tre la cooperazione al suicidio altrui è punita quando si istiga intenzionalmentealtri al suicidio, ai aiuta a commetterlo o si procurano i mezzi (art. 294), con lasola eccezione del caso in cui l’assistenza al suicidio fosse consistita nel fornireinformazioni che lo agevolano, poiché l’art. 294 punisce la prestazione dei mez-zi e non le semplici informazioni.

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tema secondo un approccio estremamente pragmatico, che prescindedalle scelte sui principi, assumendo un modello regolamentativo chelascia intatte le norme poste a tutela della vita umana, ma che assicu-ra la non punibilità qualora siano rispettati i criteri indicati dall’asso-ciazione medica olandese. Si tratta quindi di un modello di soluzionealquanto nuovo, sul piano pratico, che si radica fortemente sull’appli-cazione giurisprudenziale.

L’approvazione del disegno di legge sull’eutanasia fa dell’Olanda ilprimo paese che prevede espressamente che in determinate circostan-ze, l’eutanasia e il suicidio assistito non siano punibili, segnando un ul-teriore passaggio rispetto i precedenti legislativi costituiti dalle modi-fiche al regolamento di polizia mortuaria 33. La soluzione avviene at-traverso la previsione di una causa di esclusione della punibilità (o for-se, una sorta di causa di giustificazione) di fatti astrattamente ricon-ducibili alle norme incriminatrici, purché siano rispettate le condizio-ni indicate nella legge sulla «Verifica dei requisiti ai fini dell’estinzionedella vita su richiesta e del suicidio assistito», e purché il medico abbiasegnalato il suo operato dando piena informazione del caso.

Nella sostanza la nuova legge non apporta modifiche alle condizio-ni in base alle quali l’estinzione della vita su richiesta e suicidio assi-stito da parte del medico sono tollerati. I requisiti sono infatti i mede-simi 34; nuova di questa legge è l’ampiezza della loro formulazione e il

33 In verità nel maggio 1995 in Australia è stata approvata dall’assemblea legi-slativa dello Stato del Northen Territory il Rights of the Terminally III Bill, cheespressamente legalizza l’eutanasia volontaria e l’assistenza al suicidio, preve-dendo la facoltà per i pazienti maggiorenni affetti da una malattia incurabile ter-minale di richiedere l’assistenza di un medico per porre fine alla propria esisten-za. Il medico designato può ottemperare alla richiesta o rifiutarla; nel primo ca-so occorre che sia verificata la sussistenza delle condizioni richieste dalla legge:che il paziente sia affetto da patologia che conduce alla morte, se non fosse trat-tata con mezzi straordinari, che non sussistano ragionevoli alternative di cura;che l’unico trattamento sia quello del sollievo dal dolore; che il paziente sia infor-mato delle possibili alternative terapeutiche, compresa la medicina palliativa, lacura psichiatrica e i mezzi straordinari di sostentamento in vita; che la patologiacomporti una forte sofferenza; che la decisione sia libera, seria, ponderata. Il te-sto di questa legge è interamente riportato in un articolo di SINGER, The legalisa-tion of voluntary eutanasia in the Northern Territory, in Bioethics 9, 1995, n. 5, 419.

La legge trova un ampio appoggio nella popolazione, dato che più del 75% èfavorevole all’eutanasia, e in un’inchiesta svolta tra i medici dell’Australia delSud del 1991 dimostra che il 45% dei medici intervistati è favorevole alla lega-lizzazione della pratica, mentre già il 19% l’avrebbe eseguita in numerosi casi.Ma il parlamento ed il senato australiano hanno annullato questa legge territo-riale, per cui essa attualmente non è in vigore, v. per questa panoramica, EIJK,Eutanasia: terminologia e prassi clinica, cit., 221 ss.

34 Ovvero una libera e ponderata richiesta del paziente; uno stato di soffe-

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riconoscimento di un valore vincolante al controllo amministrativo daparte di organismo misti, cui è soggetto il medico.

La recente legge dunque sembra delineare un modello nuovo di re-golamentazione dell’eutanasia, che sembra dare per assodato il rico-noscimento dell’incapacità del diritto e della dogmatica a fornire unasoluzione unica. Il modello prevede che la legge si limiti a indicare inmodo neutrale il procedimento da seguire, affidando ad un soggetto (ilmedico curante, in prima istanza, che può decidere se accogliere o me-no la richiesta, e la Commissione di controllo in seconda istanza, chevaglia la sussistenza delle condizioni, e solo successivamente l’organogiudiziario) il compito di comporre gli interessi in gioco. L’osservanzadel procedimento decide del fatto se la condotta del medico sia anti-giuridica o meno.

Questa soluzione consente una coesistenza di diversi modelli di giu-stificazione morale alla pratica dell’eutanasia. Infatti la regolamenta-zione si limita a porre le condizioni di legalità della pratica, a prescin-dere da un’indagine circa le intenzioni del medico, dirette ad uccidereo no (perde così la distinzione tra eutanasia diretta ed indiretta); nep-pure è rilevante che la volontà del medico sia quella di rispettare l’au-tonomia del paziente, o piuttosto che la sua motivazione sia quella diliberarlo da insopportabili sofferenze. Ciò che conta è il rispetto delleprocedure che garantiscono che l’intervento avvenga solo in seguito auna decisione autonoma del paziente, senza entrare nel merito di que-sta decisione, né nei meandri delle sue motivazioni. La soluzione pra-ticata in Olanda propende per un affidamento allo Stato e ai suoi stru-menti legislativi di controllo della correttezza procedurale di pratiche,come l’eutanasia, nelle quali i cittadini manifestano le proprie creden-ze morali private. Così la legge non fa propria un’opzione – disponibi-lità indisponibilità della vita – a scapito di un’altra e di non propende-re per una concezione del diritto fortemente impegnato nella difesadella morale o di una morale. Siamo ai limiti del diritto penale, in si-tuazioni in cui la sanzione non ha alcuna efficacia di prevenzione.

Questa soluzione ricalca la struttura della esimente fatta propriadalle legge sull’interruzione della gravidanza 35. La costruzione di que-sta esimente è alquanto anomala, per il fatto che la giustificazione diun’offesa di un bene giuridico non avviene attraverso l’individuazione

renza non sopportabile; una completa informazione dello stato di salute; l’as-senza di alternative terapeutiche praticabili; la consultazione di un altro medicoindipendente che verifichi l’esistenza dei suddetti requisiti; che il medico abbiaoperato con diligenza.

35 Anche in queste situazioni, in cui il conflitto verte tra due soggetti distinti,la madre ed il futuro figlio, la legge penale prevede una serie di condizioni (ditempo e di modi) la cui osservanza rende l’interruzione della gravidanza un fat-to non antigiuridico.

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in concreto di un diritto o di un interesse prevalente, poiché la deci-sione viene affidata unicamente ad un soggetto, e rimane solo da veri-ficare se si è realizzata nell’ambito dei precisi presupposti richiesti dal-la legge.

L’anomalia rispetto alle «classiche» esimenti si evidenzia chiara-mente. Nell’ambito delle scriminanti codificate, il conflitto è risoltouna volta per tutte, attraverso l’individuazione di un interesse preva-lente e di un altro soccombente, secondo una valutazione positiva di«prevalenza» che dipende soltanto dalla meccanica verifica circa l’esi-stenza dei presupposti richiesti. Sull’esistenza dei requisiti richiestidalla legge decide caso per caso il giudice penale, dalla cui valutazionediscende la configurazione del fatto come antigiuridico; in nessun ca-so tale decisione può essere affidata ad un terzo.

Invece, nel modello di giustificazione procedimentale, svolge unruolo essenziale e primario l’esistenza di oggettive condizioni fisichedel paziente. Questa diagnosi è il presupposto imprescindibile affinchéil medico, adeguandosi alla volontà del paziente qualora questa sia sta-ta espressa, possa invocare la causa di giustificazione che pone il me-dico nella possibilità di posporre l’interesse a prolungare la vita perbreve tempo a quello di alleviare insopportabili sofferenze. Ovvero, ilmodello affida nelle mani di due soggetti la decisione circa la valuta-zione e bilanciamento degli interessi in gioco: il paziente, direttamen-te coinvolto, o chi per lui, ed il medico (sottoposto al controllo dellaCommissione regionale), in qualità di soggetto estraneo dotato di qua-lifiche tecniche. Entrambi, nel rispetto delle procedure, e non il dirit-to, individuano quale sia l’interesse prevalente.

6. Gli esiti dell’indagine: il modello della giustificazione procedimen-tale

Se ad indirizzare il medico nella ricerca ed individuazione della te-rapia più appropriata sono i reali interessi del paziente, e non un pre-concetto ed astratto dovere di tutela, deve aprirsi uno spiraglio di li-ceità a favore di alcune fenomenologie che l’eutanasia presenta. Tut-tavia, l’impossibilità di raggruppare un ampio consenso attorno aiprincipi sostanziali rende assai incerto e poco definito quale possa es-sere il ruolo del diritto penale in questa materia.

Ed infatti, proprio rispetto alle pratiche indirette per le quali è me-no controversa l’accettabilità, si evidenzia maggiormente il paradossodi un forte contrasto con il diritto positivo. Le elaborate classificazionisotto il profilo oggettivo e causale o delle intenzioni dell’agente pecca-no di scarsa flessibilità, si rivelano dai confini angusti, evidenziandocome, nelle sue svariate forme, sia necessaria una giustificazione più

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36 In astratto si delineano due modelli di soluzione al conflitto, rispondenticiascuno ad una logica diversa. L’una, di tipo oggettivo, individua una situazio-ne la cui presenza elimina il carattere illecito del fatto; l’altra, di tipo soggettivo,esclude semplicemente il rimprovero di colpevolezza rivolto all’agente. Secondo

convincente sul piano tecnico-giuridico. Di ostacolo è anche una radi-cata fiducia riposta sul diritto penale, concepito come uno strumento«forte» di tutela, che manifesta grandi potenzialità pedagogiche e sim-boliche Pertanto, la ricerca di soluzioni di liceità si dirige su altri pia-ni, abbandonando quello che fa riferimento agli strumenti codificati:non resta che sviluppare la ricerca al limite delle modifiche del dirittopositivo.

Forse in Italia i tempi non sono maturi per una regolamentazionedelle situazioni in cui si manifesta la necessità che la morte soprag-giunga e la malattia possa fare il suo corso; e probabilmente nessunodi noi è in grado con certezza di individuare quali possano essere i pro-pri bisogni in una situazione così difficile da immaginare. Tuttavia ildibattito su queste questioni costituisce un’immancabile occasione perun confronto con situazioni che impongono un totale ripensamentodelle categorie di pensiero classiche.

Questa «rivoluzione culturale» sta nel fatto di poter esplicitamentericonoscere, a prescindere da motivazioni «eroiche» (la salvezza dellapatria, il sacrificio per Dio, la solidarietà per la società), che la vita nondebba soggiacere ad una spietata tutela, indifferente alle condizioni divita concrete del suo titolare. Il dovere deontologico del medico rispet-to alla sofferenza fisica e psicologica può risultare prevalente rispettoal dovere di impedire la morte, anche qualora la cura presenti l’effettosecondario di cagionare un indebolimento delle resistenze organichedel malato, tale da causare la morte stessa.

Alla base di queste situazioni limite, vi è il riconoscimento di unaforte conflittualità emotiva: la morte del paziente è il male minore chedeve essere tollerato, un sacrificio necessario a cui nessuno avrebbe po-tuto sottrarsi. Rispetto ad esse, non può che rivendicarsi un uso del di-ritto più equilibrato e cauto, una riflessione più neutrale e distaccata.

L’incapacità della dogmatica a fornire una soluzione unica che nonesprima un’opzione prevalente rispetto le altre in gioco conduceall’elaborazione della teoria dello «spazio libero dal diritto», sviluppa-ta proprio a proposito di questioni che pongono irrisolvibili questionidi coscienza, per le quali l’ordinamento giuridico non è in grado distabilire in generale ed in via di principio qual’è la decisione più giu-sta. Si tratta di situazioni di conflitto esistenziale, che riecheggiano lostato di necessità, in cui non è il diritto a poter fornire una soluzionema il singolo individuo, che da solo può decidere responsabilmentequal è il da farsi 36.

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il primo modello la norma di regolamentazione concorre con quella che vieta dicagionare un danno nella individuazione dell’offesa; nel secondo, la norma de-scrive l’insieme delle condizioni in base ai quali non è possibile rimproverarel’autore per la violazione del divieto.

37 HASSEMER, Prozedurale Rechtfertigungen, in Festschrift für G. MAHRENHOLZ,1994, 731.

La concezione di uno spazio libero dal diritto peraltro sembra sup-porre implicitamente una carenza o impossibilità di regolamentazionedi questioni rimesse alla coscienza del singolo. Si giunge così all’ela-borazione di un modello diverso, di c.d. giustificazione procedurale,in cui manca una diretta valutazione da parte del legislatore circa il bi-lanciamento degli interessi in gioco, ma vengono rigorosamente defi-niti gli ambiti oggettivi entro i quali l’individuo può esplicare la pro-pria autonomia decisionale.

Nel modello della giustizia o di giustificazione procedurale, non c’èuna vera valutazione da parte del legislatore degli interessi in gioco, unbilanciamento di essi, che si risolve in un giudizio di prevalenza del -l’uno sull’altro. La causa di giustificazione consiste nell’osservanza diuna procedura, la quale garantisce solo in maniera neutra la tutela del -l’interesse, affidando la soluzione di tale conflitto direttamente ai sog-getti coinvolti. L’ordinamento giuridico accetta la decisione responsa-bile senza chiedersi quale ne siano le ragioni, verificando solo il ri-spetto della procedura 37. Nel modello di giustificazione procedimenta-le, svolge un ruolo essenziale e primario l’esistenza di oggettive condi-zioni fisiche del paziente, e l’esistenza di una certa diagnosi costituisceun presupposto imprescindibile affinché il medico, adeguandosi allavolontà del paziente qualora questa sia stata espressa, possa inoltrarela procedura ed attuare la decisione medica di fine vita lecitamente.

Certamente, questo modello di soluzione «neutra» dei conflitti fun-ziona bene in un paese culturalmente ed ideologicamente coeso, in cuiil pubblico ha una certa fiducia verso il corpo medico, cui si affidal’esecuzione di questo gesto estremo. Questo dimostra quanto sia ne-cessaria più che una discussione teorica ed astratta sui principi mora-li o una riflessione sulle categorie giuridiche, una attenta analisi delcontesto sociale e sanitario di riferimento.

Nei Paesi Bassi è ancora vivo il rapporto paziente e medico comeuna relazione di conoscenza, anche emotiva ed affettiva: molti malatiterminali chiedono di essere dimessi dall’ospedale e si affidano al loromedico curante, cui rivolgono talora, in fase avanzata della malattia, larichiesta di eutanasia. Ben diversa è la situazione negli Stati Uniti, incui la percentuale dei decessi in ospedale è elevatissima e in cui la fi-gura del medico di famiglia è pressoché scomparsa; le decisioni medi-che sono assunte in un ambiente istituzionalizzato, freddo e asettico,

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38 In Olanda medici e giuristi si muovono all’unisono verso la giustificazionedella condotta del medico, a prescindere dalla qualificazione del suo interventocome attivo o passivo, e ciò , qualora dovesse avere inizio nu procedimento pe-nale, per irregolarità della procedura attuata dal medico, ampliando il concettodi antigiuridicità materiale, ricostruendo in modo più elastico i caratteri dellostato di necessità o altrimenti ricorrendo alle scusanti, quale luogo normativo incui trova spazio il conflitto di doveri. L’eutanasia in Olanda è una prassi che sca-turisce in base ad un processo di adeguamento osmotico e continuo, non richie-de un’inversione dei principi sull’assolutezza del bene protetto, non presupponeun’affermazione di diritti «nuovi».

39 La casistica riportata attesta la ricezione di un modulo diffuso ed accettatodalla classe medica, che prevede, nei casi estremi, l’instaurarsi di un procedimen-to di giurisdizione volontaria, con autorizzazione da parte del giudice tutelarequalora il paziente sia incapace, non solo nel caso, di somministrazione di terapie,ma anche in quello inverso, non specificato dalla legge, dell’interruzione di esse.

nell’ambito di un rapporto di tipo contrattuale, in cui la fiducia non èscontata. Vi sono poi considerazioni di tipo economico, dal momentoche nei Paesi Bassi esiste un forte sistema di welfare che esclude checonsiderazioni di tipo economico possano giocare sulla decisione delpaziente. Altro accade negli USA in cui al medicina è largamente pri-vata, con costi elevatissimi, e in cui le ragioni di mercato (efficienza,costi) incidono sulle decisioni della famiglia, inducendola a chiederel’interruzione delle cure (si pensi al caso Cruzan, in cui i genitori dellapaziente, stremati dai costi del sostegno artificiale in vita della figliadopo numerosi anni, chiesero il distacco dal respiratore).

Questo diverso contesto sociale incide fortemente sulle caratteristi-che della discussione pubblica sull’eutanasia. In Olanda vi è una mag-giore fiducia nella decisione del medico, maggior equilibrio nella rela-zione terapeutica, meno accentuato è il dibattito in termini di affer-mazione di diritto e di rivendicazione di libertà 38.

Nei paesi anglossassoni la conflittualità su questi temi è molto altae si gioca a livello di movimenti di opinione, di grandi battaglie giudi-ziarie, in cui il giudice è chiamato a provvedere direttamente alle ri-chieste dei pazienti e a fornire un principio di soluzione al conflitto trarispetto della vita umana e dignità nella morte, secondo un modello ditipo giudiziario.

Altrettanto, in Germania sembra affermarsi un modello giudiziariodi regolamentazione dell’eutanasia che, pur non passando attraversola modifica delle norme penali a tutela della vita, individua un percor-so, già de iure condito, di ammissibilità soprattutto nell’ipotesi di in-terruzione di cure, mentre più aperti sono i riconoscimenti della liceitàdella somministrazione di terapie del dolore con effetto negativo sulladurata della vita 39.

Tuttavia è ingenuo ritenere che i dati forniti dall’esperienza stranie-

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ra olandese siano facilmente trasportabili nel nostro paese. La panora-mica su alcuni paesi dimostra quanto il dibattito sia presente ed at-tuale, ma quanto diversi siano da Stato a Stato gli approcci e le solu-zioni normative; e anche quando si manifesta una apertura a favore diuna discussione pubblica sull’eutanasia, i toni, i punti di vista, sonosviluppati in modi del tutto peculiari, risentendo del contesto sociale,economico, del retroterra culturale, della coesione sul piano dei valoricivili, della apertura alle sperimentazioni in campo sociale, del sistemadi assistenza sanitaria, dal tessuto familiare e sociale, ed infine daun’etica comune.

In Italia, si evidenziano le differenze con la cultura anglosassone, econ quella dei paesi bassi, poiché qui ancora ampio è l’ambito di esten-sione del potere decisionale del medico sullo stato di salute del pazien-te; dietro quest’ampiezza però si cela un certo scetticismo verso la fi-gura del medico: addirittura è stata per lungo tempo sviluppata la te-matica della doverosità dell’intervento del medico, della sua responsa-bilità per inadempimento, della liceità dell’intervento anche con il dis-senso del paziente. Solo recentemente si coglie un nuovo profilo di il-legittimità dell’attività medica, quello del trattamento medico arbitra-rio, contro o in assenza della volontà del paziente. In Italia, il sistemasanitario è in crisi, è un ibrido tra modello assistenzialista e retaggiopaternalista, tra fiducia e responsabilità verso il corpo medico, e diffi-denza verso una categoria che si allontana sempre di più dalla figuratradizionale e che infrange il rapporto fiduciario che dovrebbe essernela linfa vitale. Non è un caso che l’accettazione dell’eutanasia è un for-te atto di coraggio che può assumersi solo una società attenta ai biso-gni individuali, che gode di un efficiente sistema sanitario improntatoall’eguale accesso alle cure mediche.

Certo, l’esperienza olandese non è aliena da perplessità: forse essatradisce, in questo prevedere una «giustificazione procedimentale»una eccessiva apertura dei concetti giuridici a tendenze sostanzialisti-che, e anche sui requisiti di liceità dell’eutanasia si levano voci di chiteme lo scivolamento in quel pendio sdrucciolevole che chissà doveconduce, e che è una vanificazione dell’istanza della certezza del dirit-to, rispetto ad un così ampio riconoscimento del pluralismo e dellescelte etiche autonome ed individuali. Il rischio è forse quello di unasterile e falsa neutralità del diritto, dell’assenza di modelli di riferi-mento, dell’incapacità di coesione del diritto, o di un astratto disinte-resse per le preferenze degli individui.

Tuttavia si presentano numerose ed implacabili, le questioni giudi-ziarie che vedono rimettere al giudice, spesso civile, il compito di deci-dere. Sulla scia di quanto da tempo è accaduto nei paesi anglosassoni,e più recentemente anche in Germania, il giudice tutelare si vede inve-stito di un procedimento finalizzato ad attenere l’autorizzazione nonsolo alla somministrazione di terapie urgenti a soggetti incapaci, con-

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tro il diniego posto dai rappresentanti legali (artt. 330-333 c.c.), maanche nel senso opposto, dell’interruzione di terapie concernenti ma-lati in stato vegetativo permanente (cure straordinarie) o l’interruzionedell’alimentazione e idratazione artificiale, considerate mezzi ordinaridi sussistenza in vita non rinunciabili ( artt. 357-424 c.c.).

Salvo a voler riconoscere al giudice una maggiore flessibilitànell’esercizio dell’azione penale, qualora si ravvisi l’irrilevanza penaledel fatto, sulla scorta di un’applicazione analogica delle norme del co-dice civile riferite, si potrebbe suggerire l’istituzione di un organo giu-dicante ad hoc, una sorta di giudice tutelare speciale, assistito da unesperto di fiducia, cui competa, in seconda istanza, di autorizzare ovietare la cura che il medico intenda praticare nel caso particolare,qualora manchi una volontà espressa o altrimenti ricostruibile del pa-ziente, e ciò in tempi brevissimi o comunque compatibili con la gravitàe l’emergenza della situazione, rimanendo però nel merito al medico ladecisione e la scelta della terapia più appropriata.

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