ESECUZIONE DELL’ORDINE DEL SUPERIORE E RESPONSABILITA’...
Transcript of ESECUZIONE DELL’ORDINE DEL SUPERIORE E RESPONSABILITA’...
DIRITTO PENALE STUDI
__________________________________________
DEBORA PROVOLO
ESECUZIONE DELL’ORDINE
DEL SUPERIORE
E RESPONSABILITA’ PENALE
P a d o v a
2 0 0 9
Di questa ricerca ho posto inconsapevolmente le prime basi in un’ormai
lontano soggiorno di studio presso la Juristische Fakultät della Humboldt Universität zu Berlin. Essa è stata ispirata, proprio nella sua vocazione interdisciplinare e comparatistica, da Silvio Riondato, la cui guida ha il raro pregio di lasciar libero l’allievo nel pensiero.
Per quanto libera e disinteressata, ogni ricerca ha bisogno di mezzi adeguati. Mi è gradito ricordare e ringraziare anzitutto per quelli messi a disposizione dal Dipartimento di Diritto pubblico, internazionale e comunitario dell’Università degli Studi di Padova, tra i quali l’apporto del progetto di ricerca di Ateneo “Adempimento del dovere e ordine criminoso”, diretto dal prof. Enrico Mario Ambrosetti. Non sarebbe peraltro stato possibile soddisfare il gravoso compito della comparazione senza il supporto di preziosi soggiorni presso il Max-Planck-Institut für ausländisches und internationales Strafrecht di Freiburg im Breisgau, tesoro universale della ricerca penalistica.
INDICE - SOMMARIO
INTRODUZIONE AL PROBLEMA DELL’ORDINE CRIMINOSO NEL SISTEMA
PENALE IN APPROCCIO INTERDISCIPLINARE E COMPARATISTICO ........................ 1
1. L’obbedienza all’ordine criminoso nel sistema penale italiano. Un approccio
interdisciplinare in prospettiva penalistica............................................................... 1
2. L’apporto comparatistico alla disciplina dell’esecuzione dell’ordine del superiore
in prospettiva di riforma e nel diritto internazionale penale. ................................. 10
CAPITOLO PRIMO - ADEMPIMENTO DEL DOVERE E ORDINE
CRIMINOSO NELL’ORDINAMENTO GIURIDICO ITALIANO.....................23
SEZIONE I - ADEMPIMENTO DEL DOVERE COME CAUSA DI GIUSTIFICAZIONE.
L’ORDINE LEGITTIMO........................................................................................................ 25
1. Il fondamento della scriminante “adempimento del dovere” (art. 51, co. 1°, c.p.).25
2. Le fonti del dovere scriminante. ............................................................................ 32
2.1. L’adempimento di un dovere derivante da una norma giuridica. ............ 33
2.1.1. Il problema della rilevanza scriminante di norme appartenenti ad
un ordinamento giuridico straniero o all’ordinamento
comunitario. ............................................................................... 35
2.2. L’adempimento del dovere derivante da un ordine legittimo della
pubblica autorità. ..................................................................................... 37
2.2.1. Nozione di ordine. Concezione naturalistica e concezione
giuridica. .................................................................................... 37
2.2.2. Il rapporto di supremazia e il dovere di obbedienza (rinvio). .... 40
2.2.2.1. La problematica concernente il c.d. ordine privato.................... 42
2.2.3. I presupposti di legittimità dell’ordine. Legittimità formale e
legittimità sostanziale. ............................................................... 44
II
SEZIONE II – LA DISCIPLINA DELL’ORDINE CRIMINOSO NEL CODICE PENALE . 47
1. La responsabilità del superiore che ha impartito l’ordine criminoso. .................... 47
2. L’affermazione della normale corresponsabilità dell’esecutore dell’ordine
criminoso (art. 51, 3° co., c.p.). Le cause di non punibilità per l’esecuzione
dell’ordine criminoso. ............................................................................................ 49
2.1. L’errore di fatto sulla legittimità dell’ordine. Il problema della rilevanza
dell’errore su legge extrapenale............................................................... 49
2.2. L’ordine criminoso insindacabile (art. 51 ult. co. c.p.) (rinvio)............... 52
SEZIONE III - ORDINE ILLEGITTIMO TRA DOVERE DI OBBEDIENZA E DOVERE DI
DISOBBEDIENZA. ................................................................................................................ 55
1. Rapporto gerarchico e dovere di obbedienza. ........................................................ 55
2. I vizi di legittimità dell’ordine. L’ordine criminoso. ............................................. 61
3. Contenuto e limiti del dovere di obbedienza. Il sindacato sulla legittimità
dell’ordine.............................................................................................................. 62
3.1. La disciplina prevista per gli impiegati civili dello Stato. ....................... 65
3.1.1. Ordine illegittimo e dovere di rimostranza. ............................... 70
3.1.2. Il dovere di disobbedienza nei confronti dell’ordine criminoso o
costituente illecito amministrativo............................................. 72
3.2. La disciplina prevista per i militari e assimilati. ...................................... 76
3.2.1. L’ordine illegittimo come limite al dovere di obbedienza. Il
sindacato sulla legittimità dell’ordine. ....................................... 79
3.2.2. Il dovere di disobbedienza nel caso di criminosità, anche non
manifesta, dell’ordine ricevuto. ................................................. 81
3.2.3. La problematica concernente l’ordine illegittimo confermato
(rinvio). ...................................................................................... 82
SEZIONE IV - SINDACATO SULLA LEGITTIMITA’ DELL’ORDINE CRIMINOSO..... 85
1. L’ordine criminoso “insindacabile” (di diritto) nell’orientamento della dottrina
tradizionale. ........................................................................................................... 85
1.1. Delimitazione dei casi in cui “la legge non consente alcun sindacato sulla
legittimità dell’ordine” ai subordinati militari e assimilati. ..................... 86
1.2. Il contenuto del sindacato attribuito all’inferiore .................................... 87
III
1.2.1. La manifesta criminosità come limite (di diritto) all’impossibilità
di sindacare la legittimità sostanziale dell’ordine. ..................... 88
1.2.1.1. Evoluzione storica della “manifesta criminosità”. ..................... 90
1.2.2. Ruolo della coscienza della criminosità dell’ordine da parte del
subordinato. ............................................................................... 96
1.3. Il dibattito dottrinale sul fondamento della non punibilità dell’esecutore
dell’ordine criminoso insindacabile. Cenni sulla distinzione tra cause di
giustificazione e cause di esclusione della colpevolezza. ........................ 97
1.3.1. Ordine criminoso insindacabile vincolante quale ordine che
opera come causa di giustificazione. ....................................... 105
1.3.2. Ordine criminoso insindacabile come causa di esclusione della
colpevolezza. ........................................................................... 110
2. Rilievi critici sulla configurabilità di ordini criminosi vincolanti e/o insindacabili.
113
3. L’obbedienza all’ordine criminoso al vaglio dei principi costituzionali.............. 119
3.1. Ruolo della previsione di responsabilità diretta dei funzionari e dei
dipendenti pubblici (art. 28 Cost.). Profili di illegittimità costituzionale
dell’art. 51 ult. co. c.p............................................................................ 121
4. La manifesta criminosità costituisce limite alla scusabilità dell’errore di diritto
penale. 124
4.1. Il problema del criterio di determinazione della manifesta criminosità. 133
CAPITOLO SECONDO - ADEMPIMENTO DEL DOVERE E ORDINE
CRIMINOSO IN ALTRI ORDINAMENTI........................................................137
SEZIONE I – L’ESECUZIONE DELL’ORDINE NEI SISTEMI DI CIVIL LAW................ 139
1. Il modello tedesco. La disciplina dell’esecuzione dell’ordine (Handeln auf Befehl).
La distinzione tra Rechtfertigungsgründe e Entschuldigungsgründe................... 139
1.1. L'esecuzione dell'ordine legittimo come causa di giustificazione non
codificata ............................................................................................... 143
1.2. La nozione formale e materiale di ordine nel diritto penale militare. .... 144
1.3. Il dovere di obbedienza e le cause di non vincolatività dell'ordine ...... 149
IV
1.4. La responsabilità dell'inferiore per l’esecuzione dell’ordine criminoso. Il
criterio della manifesta criminosità. ...................................................... 157
1.4.1. Raffronto con la disciplina realtiva agli impiegati civili dello
Stato. ........................................................................................ 163
1.5. L’ordine illegittimo vincolante. Il c.d. “ordine pericoloso”................... 164
1.6. Rilievi conclusivi sulla disciplina dell’esecuzione dell’ordine in
Germania. .............................................................................................. 171
1.7. I “Mauerschützenurteile”....................................................................... 173
1.8. L’adeguamento al diritto internazionale penale: il Völkerstrafgesetzbuch.
180
2. La disciplina dell’esecuzione dell’ordine in Francia. La distinzione tra cause
oggettive e soggettive di esclusione della responsabilità penale.......................... 182
2.1. L’«ordre de la loi» come fatto giustificativo......................................... 185
2.2. L’ordine dell’autorità legittima. ............................................................ 187
2.2.1. Il commandement illégal. La responsabilità per l’esecuzione
dell’ordine manifestamente criminoso..................................... 188
3. La disciplina dell’adempimento del dovere nell’ordinamento penale spagnolo.
Cenni sulla distinzione tra “causas de justificación” e “causas de exculpaciòn”.
194
3.1. Il “cumplimento de un deber” come causa di giustificazione. ............... 195
3.2. La problematica concernente la c.d. “obediencia debida”. L’ordine
manifestamente antigiuridico ................................................................ 197
SEZIONE II – LA DEFENCE OF SUPERIOR ORDER NEI SISTEMI DI COMMON LAW
207
1. La categoria delle “defences”............................................................................... 207
2. L’esecuzione dell’ordine nel diritto inglese, scozzese e irlandese. ...................... 213
3. L’adempimento del dovere nel diritto penale americano..................................... 219
3.1. Le fonti in tema di obbedienza all’ordine gerarchico militare............... 221
3.2. I requisiti di legittimità dei military orders e il dovere di obbedienza... 222
3.3. L’ordine illegittimo. La responsabilità penale dell’inferiore per
l’esecuzione dell’ordine criminoso: a) nella statute law........................ 224
3.3.1. b) nella case law. In particolare, il caso Calley. ...................... 226
3.4. L’ordine “obviously” illegal. Rilievi conclusivi .................................... 228
V
CAPITOLO TERZO - L’ECCEZIONE DI ORDINI SUPERIORI NEL
DIRITTO INTERNAZIONALE PENALE .........................................................231
1. Luoghi dell’obedience to superior order nelle fonti............................................ 234
2. Definizione della categoria delle “defences” ai fini di inquadramento
dell’obedience to superior order. ........................................................................ 240
3. Il dibattito dottrinale sull’ammissibilità (e in che limiti) della defence dell’ordine
superiore nel diritto internazionale penale. .......................................................... 245
3.1. La teoria del respondeat superior.......................................................... 246
3.2. La teoria della absolute liability. ........................................................... 248
3.3. Il difetto di mensa rea come causa di esclusione della responsabilità per il
subordinato esecutore: errore di diritto e compulsion............................ 248
4. L’eccezione di ordini superiori nei trattati e nella prassi dei Tribunali incaricati di
giudicare le violazioni del diritto internazionale penale. ..................................... 251
4.1. La defence of superior order nelle convenzioni internazionali. ............ 252
4.2. La disciplina dell’obbedienza all’ordine superiore negli Statuti e nella
prassi dei Tribunali internazionali. Il rigetto del principio del respondeat
superior. ................................................................................................ 254
4.2.1. La repressione dei crimini di guerra alla fine del primo conflitto
mondiale. ................................................................................. 254
4.2.1.1. Il ruolo della manifesta criminosità nei processi c.d. di Lipsia
(1921). Il caso Llandovery Castle. ..................................... 255
4.2.2. L’obbedienza all’ordine come mera circostanza attenuante negli
Statuti dei Tribunali internazionali di Norimberga e Tokyo
(1945). ..................................................................................... 256
4.2.2.1. La libertà di scelta (moral choice) come criterio per determinare
la responsabilità dell’esecutore dell’ordine........................ 257
4.2.3. La prassi dei Tribunali militari alleati dopo il 1945 (Subsequent
Proceedings). La rilevanza dell’ordine superiore sul piano della
compulsion o dell’errore di diritto. .......................................... 258
4.2.4. La considerazione dell’obbedienza all’ordine ai fini della
mitigazione della pena negli Statuti dei Tribunali internazionali
per i crimini commessi nella ex Jugoslavia (1993) e in Ruanda
(1994). Il caso Erdemovic........................................................ 260
VI
4.2.5. La defence of superior order nello Statuto della Corte penale
internazionale permanente. Il principio dell’irrilevanza
dell’ordine come defence per se . ............................................ 261
4.2.5.1. La nozione di “superior order” ............................................... 265
4.2.5.2. La sussistenza della “legal obligation to obey”: il rinvio al diritto
nazionale ............................................................................ 266
4.2.5.3. La rilevanza dell’errore di diritto nei limiti della manifesta
criminosità. La presunzione assoluta di manifesta criminosità
degli ordini di commettere genocidio o crimini contro
l’umanità. Rilievi critici. .................................................... 267
5. Il problema della configurabilità di una norma di diritto internazionale
consuetudinario sulla responsabilità dell’esecutore dell’ordine criminoso.......... 270
5.1. La prassi delle Corti nazionali in sede di repressione di gravi violazioni
dei diritti dell’uomo. L’affermazione della responsabilità del subordinato
per l’esecuzione dell’ordine manifestamente criminoso........................ 270
CAPITOLO QUARTO - CONSIDERAZIONI CRITICHE E DE JURE
CONDENDO 275
SEZIONE I - L’ADEMPIMENTO DEL DOVERE NEI PROGETTI DI RIFORMA DEL
CODICE PENALE ITALIANO ............................................................................................ 277
1. Le innovazioni apportate alla disciplina dell’adempimento del dovere nei progetti
di riforma del codice penale................................................................................. 277
1.1. Distinzione tra cause di giustificazione e scusanti. L’introduzione della
categoria delle cause soggettive di esclusione della responsabilità o
scusanti nel Progetto Pagliaro, nel Progetto Nordio e nel Progetto
Pisapia. .................................................................................................. 282
2. La questione concernente il c.d. ordine privato. .................................................. 287
2.1. La previsione dell’ordine privato tra le cause soggettive di esclusione
della responsabilità nel Progetto Pagliaro.............................................. 288
2.2. L’efficacia scriminante dell’adempimento del dovere derivante da un
ordine privato nel Progetto Grosso. ....................................................... 289
2.3. La rilevanza scusante dell’ordine privato nel progetto Nordio.............. 291
VII
2.4. L’ordine del privato come causa soggettiva di esclusione della
responsabilità nel Progetto Pisapia. ....................................................... 291
3. La disciplina dell’errore sulla legittimità dell’ordine........................................... 292
4. L’ordine criminoso insindacabile. ....................................................................... 296
4.1. Il recepimento nei progetti di riforma dei principi elaborati in dottrina e in
giurisprudenza in sede di interpretazione dell’art. 51 ult. co. c.p.
L’irrisolto problema del criterio di determinazione della manifesta
criminosità. ............................................................................................ 297
4.1.1. La collocazione dell’ordine illegittimo insindacabile tra le cause
soggettive di esclusione della responsabilità nel Progetto
Pagliaro.................................................................................... 298
4.1.2. La scusante dell’ignoranza dell’illegittimità dell’ordine non
sindacabile della pubblica autorità nel Progetto Nordio. ......... 300
4.1.3. L’esecuzione dell’ordine illegittimo “vincolante” nel Progetto
Pisapia...................................................................................... 301
SEZIONE II – CONSIDERAZIONI CONCLUSIVE ........................................................... 303
1. Rilievi critici sul mantenimento de lege ferenda della categoria dell’ordine
illegittimo insindacabile e/o vincolante. L’esigenza di ricondurre la disciplina
dell’esecuzione dell’ordine criminoso nell’alveo del principio di colpevolezza. 303
2. Gli esiti dell’indagine comparatistica. Qualche riflessione in prospettiva di riforma.
307
3. Principio di responsabilità penale individuale e limiti di ammissibilità della defence
of superior order nel diritto internazionale penale. Considerazioni di sintesi. ... 312
4. L’esigenza di personalizzazione del giudizio di evitabilità dell’errore di diritto con
riferimento ai militari. Conclusioni de jure condendo. ........................................ 320
BIBLIOGRAFIA ................................................................................................................... 327
INTRODUZIONE AL PROBLEMA DELL’ORDINE CRIMINOSO NEL
SISTEMA PENALE IN APPROCCIO INTERDISCIPLINARE E
COMPARATISTICO
SOMMARIO: 1. L’obbedienza all’ordine criminoso nel sistema penale italiano. Un approccio
interdisciplinare in prospettiva penalistica - 2. L’apporto comparatistico alla disciplina
dell’esecuzione dell’ordine del superiore in prospettiva di riforma e nel diritto internazionale
penale.
1. L’obbedienza all’ordine criminoso nel sistema penale italiano. Un
approccio interdisciplinare in prospettiva penalistica.
Il tema dell’esecuzione dell'ordine dell'autorità costituisce un punto di
osservazione privilegiato per un’indagine critica su molteplici istituti
fondamentali di diritto penale generale, dalle cause di giustificazione agli istituti
che in vario modo confluiscono nell’ampio seno della teoria della colpevolezza,
ma anche, per fare solo un ulteriore rilevante esempio, il concorso di persone nel
reato. E’ un’indagine che chiama in gioco categorie concettuali sviluppate
nell’ambito della sistematica penalistica anche più recente, come la distinzione
tra cause di giustificazione e cause di esclusione della colpevolezza, tuttora
autorevolmente ritenuta uno dei «problemi-chiave» della teoria generale del
reato1. Questa distinzione, anche a prescindere dal valore dogmatico che si
intenda riconoscerle, accompagna la gran parte dei tentativi della dottrina, sia de
iure condito che de iure condendo, di ricondurre a sistema i diversi e per certi
aspetti eterogenei problemi sollevati nel «territorio penale» dall’esecuzione
dell’ordine. Si tratta di categorie concettuali impiegate dalla dottrina penalistica
anche straniera, che consentono di rendere conto e al contempo porre a confronto
le soluzioni proposte in tema di esecuzione dell’ordine, in particolare di quello
1 ESER A., Funzioni, metodi e limiti della ricerca in diritto penale comparato, in
Diritto penale XXI secolo, 2002, n.1, 23.
NOTE PRELIMINARI
2
criminoso, sia da parte delle varie e opposte concezioni che, come si dirà meglio
nel testo, da parte dei differenti ma non perciò solo incomparabili ordinamenti
penali2. Si è perciò ritenuto opportuno accogliere tale distinzione, seppur in via
provvisoria e meramente strumentale, anche nel presente lavoro.
La questione fondamentale concerne invero, non da oggi3, la rilevanza
penalistica dell’obbedienza all’ordine illegittimo (in quanto criminoso) del
superiore. Essa rappresenta uno dei nodi gordiani della teoria delle cause di
esclusione della responsabilità penale e taglia trasversalmente anche altri rami
dell’ordinamento giuridico. Per quanto riguarda l’ordinamento italiano, il
problema è stato (ri)proposto dall’ultimo comma dell’articolo 51 del codice
penale vigente, risalente al 1930, laddove - in eccezione al principio della normale
corresponsabilità del subordinato nell’illecito penale commesso per ordine del
superiore (art. 51 co. 3° c.p.) – è prevista la non punibilità per l’esecutore
dell’ordine illegittimo «quando la legge non gli consente alcun sindacato sulla
legittimità dell’ordine». L’espresso riferimento alla «legge» che non
consentirebbe all’inferiore alcun sindacato sulla legittimità dell’ordine, costituisce
un elemento normativo di questa controversa esimente, il quale impone di
allargare l’indagine ad altri rami dell’ordinamento giuridico, anzitutto (ma non
solo) al diritto amministrativo. Sotto questo primo profilo, vi è necessità di
individuare i presupposti di legittimità dell’ordine e dei limiti del potere-dovere di
sindacato attribuito all’inferiore, alla stregua della disciplina di settore prevista per
ciascuna tipologia di subordinato.
2 V. infra . 3 Vedi in tal senso, restando per il momento alla letteratura giuridica italiana,
BETTIOL G., L’ordine dell’autorità nel diritto penale (1934), in ID., Scritti giuridici, I, Padova, 1966, 109: «Le nostre ricerche hanno particolarmente di mira l’ordine illegittimo, perché quello conforme alla legge non suscita difficoltà interpretative risolvendosi la sua esecuzione in una mediata applicazione di una norma giuridica».
NOTE PRELIMINARI
3
Questa vocazione “interdisciplinare”4, sulla quale già Giuseppe Bettiol
aveva richiamato l’attenzione nella prima monografia italiana dedicata
all’argomento (1934)5, non è certo venuta meno ma se ne è andata invece
progressivamente accentuando l’importanza negli ultimi tre quarti di secolo. A ciò
ha contribuito in Italia dapprima la progressiva affermazione dell’ordinamento
costituzionale, per cui l’irresponsabilità per esecuzione di ordini criminosi non
può fondarsi su di un pubblico interesse che autorizzi al crimine, mentre gli
individui umani devono tutti rispettare il diritto obiettivo; e poi il lento ma
inesorabile emergere del diritto internazionale penale, laddove ha preso forma, in
superamento del principio del respondeat superior, l’opposto principio fondante
della responsabilità personale dell’individuo esecutore, individuo non più protetto
dallo scudo della sovranità statale.
Su queste basi, una questione di carattere eminentemente penalistico,
cioè scoprire il significato dell’ultimo comma dell’art. 51 c.p. e tentare una
soluzione del problema che il legislatore ha posto ormai quasi ottant’anni fa,
richiede preliminarmente di ricostruire la natura del rapporto gerarchico che lega
4 Si fa qui riferimento ad una «interdisciplinarietà di tipo interno», ossia «relativa ai
collegamenti che non possono, malgrado tutto, non stabilirsi fra gli studiosi dei vari rami del diritto e fra le varie specie di operatori giuridici» (PALADIN L., Interdisciplinarità nelle prospettive dei giuristi, in AA. VV., Accademia e interdisciplinarità - I. Saggi, a cura di RIONDATO E., Padova, 1998, p. 237, secondo il quale «un approccio interdisciplinare rimane indispensabile dall’angolo visuale dei giuristi», nonostante l’inevitabile prevalere della specializzazione anche nell’ambito della scienza giuridica contemporanea, in ragione anche di una «giungla legislativa ed amministrativa» che impone «conoscenze sempre più settoriali o addirittura puntuali: indipendentemente dalle quali i giudici stessi non possono osservare il precetto iura novit curia, individuando e ricostruendo d’ufficio, con le proprie forze, la legislazione da far valere; ma debbono addirittura ricorrere – in certi casi estremi – alla consulenza di particolari operatori giuridici, che in tal modo divengono i veri e propri depositari della corretta applicazione delle leggi» (p. 233).
5 Con il suo giovanile studio l’insigne Maestro intendeva infatti richiamare l’attenzione sul problema dell’esecuzione dell’ordine proprio perché si trattava (ieri come oggi) di un problema trascurato dalla letteratura giuridica italiana, il quale presenta invece non solo «un notevole interesse teorico perché in esso particolarmente si riflettono alcune delle più importanti dottrine che dividono il campo degli studiosi» (di diritto penale), ma in quanto «costituisce anche un punto di contatto del diritto penale con altre branche dell’ordinamento giuridico» (BETTIOL, L’ordine dell’autorità nel diritto penale (1934), cit., 109).
NOTE PRELIMINARI
4
il subordinato esecutore all’ «autorità», e la correlata disciplina del potere/dovere
di sindacato sulla legittimità dell’ordine nei differenti settori della pubblica
amministrazione. Una particolare attenzione deve essere dedicata
all’organizzazione militare, nel cui ambito la dottrina penalistica comunemente
ritiene di poter reperire i casi eccezionali di ordini illegittimi insindacabili e/o
vincolanti6. Tuttavia, l’esigenza di inquadramento sistematico della questione
conduce necessariamente l’indagine lungo le più generali linee evolutive
dell’organizzazione della pubblica amministrazione, nel cui contesto istituzionale
anzi costituzionale deve del resto essere inserita la disciplina dell’organizzazione
militare con gli eventuali suoi caratteri di specialità. Negli ultimi sessant’anni si è
assistito ad un vero e proprio mutamento di paradigma sul piano
dell’organizzazione dell’amministrazione pubblica, contrassegnato dal graduale
superamento della tradizionale concezione autoritaria del rapporto e della
subordinazione gerarchica, attraverso l’affermazione della posizione paritaria tra
datore di lavoro e dipendente, nell’ambito della c.d. privatizzazione del rapporto
di lavoro della generalità dei dipendenti delle pubbliche amministrazioni (con
l’esclusione, tra gli altri, dei militari). Un processo complesso, questo della
privatizzazione del lavoro pubblico, non ancora concluso e non privo di
contraddizioni, ma che nondimeno si inserisce in una più ampia e
“programmatica” attuazione del dettato costituzionale (artt. 28 e 97), alla stregua
del quale va con sempre maggior stringenza affermandosi un principio di legalità
dell’azione amministrativa rafforzato in senso sostanziale, ossia inscindibile dalla
considerazione di una consapevole e quindi responsabile partecipazione di ogni
pubblico dipendente al perseguimento del buon andamento della
amministrazione di appartenenza7. E’ in questo contesto ordinamentale che va
6 Di ciò si dirà ampiamente infra cap. I, sez. IV. 7 Sul tema della c.d. «amministrazione di risultato», con particolare riferimento al non
facile problema dell’equilibrio tra il polo dell’efficienza e quello della garanzia della legalità, vedi AA.VV., Principio di legalità e amministrazione di risultati: atti del Convegno, Palermo
NOTE PRELIMINARI
5
oggi ad inserirsi pure il processo di c.d. democratizzazione dell’organizzazione
militare, sulla quale ha profondamente inciso la legge n. 382/1978 nell’intento di
conformare la disciplina militare al rinnovato assetto costituzionale italiano,
entro il quale deve essere collocata la cosa militare. Nell’attuale ordinamento
giuridico italiano, invero, il militare non può in alcun modo essere considerato
“solo «carne da cannone», uomo alienato, ma un cittadino che sente non già
diminuiti ma potenziati i suoi diritti e i suoi doveri”8. Anche nei rapporti penali e
processuali penali che attengono alla disciplina (di cui il dovere di obbedienza
all’ordine del superiore è senza dubbio il pilastro cardine) potranno operare
norme speciali in relazione alla caratterizzazione del rapporto che unisce il
soldato allo Stato o in ragione delle situazioni nelle quali il militare è chiamato
ad operare, ma non potranno esistere valide norme in contrasto con i principi
generali e soprattutto con la Costituzione9. Ammesso pure che la formazione
della personalità del militare debba anzitutto conformarsi all’idea della disciplina
intesa quale anima delle forze armate, anche nei regimi democratici e liberali10,
resterebbe comunque il problema di individuare i limiti che la legge anche penale
ponga al dovere di obbedienza ed alla sua efficacia esimente: limiti che variano a
seconda che si tratti di uno Stato totalitario (che tendenzialmente non pone limiti)
27-28 febbraio 2003, a cura di IMMORDINO M. e POLICE A., Torino, 2004 e AA.VV., Le riforme della L. 7 agosto 1990, n. 241 tra garanzia di legalità ed amministrazione di risultato, a cura di PERFETTI L. R., Padova, 2008.
8 BETTIOL G., Sul diritto penale militare dell’atteggiamento interiore (1978), in Scritti giuridici 1966-1980, Padova, 257.
9 BETTIOL, op. ult. cit., 257-258. 10 BETTIOL, op. ult. cit., 258, il quale precisa che nel mondo militare la disciplina
“deve diventare un modo di essere dell’orientamento personale dell’appartenente alle forze armate per cui la astensione da ogni tipo di azione penalmente rilevante deve essere un modo normale e sistematico della mente e della coscienza del militare” e la definisce come “un qualche cosa che investe tutta la personalità dell’appartenente alle forze armate e lo caratterizza come soggetto qualificato per l’incidenza su di lui di valori estranei a chi militare non è”, assegnandole così un ruolo di “momento soggettivo che dà ad ogni reato militare una colorazione nel quadro della più ampia visione del diritto penale dell’atteggiamento interiore”. Per un’attenta analisi del Gesinnungsstrafrecht propugnato da Giuseppe Bettiol e,
NOTE PRELIMINARI
6
o di uno Stato di diritto (il quale tende a limitare, in varia guisa, il dovere di
obbedienza).
La valenza ideologica e storicamente condizionata del tema in questione
non preclude la possibilità (ed anzi il dovere) per l’interprete di reperire,
attraverso il prisma del quadro costituzionale, adeguati criteri orientativi che
permettano di ricondurre entro i limiti della ragionevolezza una questione
politicamente sensibile come è appunto quella posta dall’esecuzione di ordini
criminosi. Da questo punto di vista, l’esigenza di un approccio interdisciplinare
al complesso problema dell’esecuzione dell’ordine del superiore si ricollega
all’idea di “sistema”, inteso però non come un dato precostituito e, per così dire,
ontologico, quanto piuttosto come un’esigenza di ricondurre ad unità molteplici e
frammentari elementi normativi, tenendo conto, nella soluzione di ogni singolo
problema giuridico, di tutto l’ordinamento giuridico complessivamente
riguardato11. Si propone qui il tentativo di superare talune barriere elevate tra i
diversi rami dell’ordinamento, superare la specializzazione ed incomunicabilità
che affligge cultori di discipline “confinanti” (come, per es., quelli del diritto
penale, del processo penale ovvero del diritto internazionale), al fine di restituire
un minimo grado di sistematicità al quadro normativo esistente, attraverso il
ricorso ai principi generali dell’ordinamento giuridico e quindi ai principi della
più in generale, per una rilettura del pensiero dell’insigne giurista patavino, v. RIONDATO S., Un diritto penale detto “ragionevole”. Raccontando Giuseppe Bettiol, Padova, 2005.
11 Cfr. PALADIN, Interdisciplinarità nelle prospettive dei giuristi, cit., secondo il quale “la circostanza che il sistema stesso non rappresenti un dato precostituito e per così dire ontologico non esclude per nulla, ed anzi comporta, che ogni giurista degno di questo nome abbia l’onere della sistemazione: … cioè di uno sforzo, continuamente rinnovato, mediante il quale va ricercata ed imposta la superiore coerenza del diritto complessivamente inteso; senza di che si finirebbe per degradare l’ordinamento ad un caos normativo, rendendo impossibile o del tutto arbitrario – in particolar modo – l’esercizio della giurisdizione.” (p. 234) In questo senso, si deve riconoscere che, anche se il nostro legislatore non vi fa esplicito riferimento, “quella che sempre si è affermata è stata l’interpretazione sistematica, non soltanto della singola legge, ma di interi rami del diritto e poi dell’intero ordinamento: interpretazione sistematica la quale esige che le molteplici leggi siano riguardate nel loro insieme e non a pezzi e bocconi” (p 235).
NOTE PRELIMINARI
7
Carta costituzionale, i principi sopraordinati, atti a governare imperativamente
anzitutto l’interpretazione delle leggi, quanto meno nel senso che ogni interpretee
deve – nelle misure consentite dalla elasticità del testo – privilegiare il significato
conforme ai principi stessi, anziché quello difforme dalla Costituzione12.
Occorre tuttavia inoltre percorrere i “luoghi” del diritto internazionale
penale, che nel presente lavoro saranno sì considerati mantenendo la ricerca in
una prospettiva rivolta precipuamente al sistema penale italiano, ma con la
consapevolezza che il problema dell’esecuzione dell’ordine (ed in particolare
dell’ordine criminoso) è di estrema attualità soprattutto sul piano
internazionalistico13, e di qui si riflette inesorabilmente sul diritto nazionale. La
ricerca sugli orientamenti giurisprudenziali e sui casi notevoli concernenti
l’adempimento dell’ordine criminoso conduce ad imbattersi in sentenze per la
gran parte emesse da tribunali internazionali oppure da giudici nazionali ma su
casi internazionalmente rilevanti. La c.d. eccezione di ordini superiori è invero
tuttora una delle defences maggiormente invocate di fronte ai tribunali
internazionali e nazionali competenti a giudicare crimini di guerra o contro
l’umanità, commessi da inferiori gerarchici in ottemperanza ad ordini impartiti dai
loro superiori. Su tale eccezione converge però non solo il rilievo che il tema
dell’obbedienza è strettamente collegato ad interessi fortemente statalistici,
relativi tanto alla necessità di garantire la prontezza e l’efficienza delle Forze
armate, quanto alla pretesa dello Stato di riservarsi, in base al tradizionale
principio di sovranità nazionale, la potestà punitiva per i crimini commessi dai
propri soldati; emerge infatti anche la riflessione sull’ interferenza tra le diverse
valutazioni dell’ordinamento interno e dell’ordinamento internazionale:
l’esperienza della storia dell’ultimo secolo ha tragicamente dimostrato quanto
spesso un ordine formalmente legittimo alla stregua dell’ordinamento statuale
12 PALADIN, Interdisciplinarità, cit., 236. 13 V. amplius infra, capitolo terzo.
NOTE PRELIMINARI
8
risulti invece criminoso per il diritto penale sovranazionale14. E’ allora di
immediata evidenza il potenziale conflitto tra diritto internazionale e nazionale, in
risposta al quale il diritto internazionale penale ha sviluppato regole specifiche
sulla defence of superior order. Si tratta di regole prodotte a diversi livelli
normativi (dagli strumenti pattizi alla giurisprudenza giudicante e dottrinale), con
le quali la disciplina interna deve confrontarsi quantomeno sul piano della
ragionevolezza delle scelte normative poste dal legislatore nazionale (o avanzate
dalla giurisprudenza ampiamente intesa), piano nel quale entrano ormai anche
considerazioni comparatistiche; ma il confronto sollecita inoltre l’individuazione
di un più o meno stringente obbligo di armonizzare il diritto interno agli strumenti
del diritto internazionale.
La menzionata vocazione interdisciplinare che caratterizza il tema
dell’esecuzione dell’ordine del superiore (ed in particolare dell’ordine criminoso)
si sostanzia dunque anche in quell’esigenza di apertura ad altri ordinamenti
giuridici che va sempre più imponendosi, e partecipa a sua volta alla formazione
di un diritto internazionale penale, quasi in una rievocazione ideale delle più
risalenti ambizioni di universalizzazione della scienza giuridica europea. Si
potrebbe allora notare che l’interdisciplinarietà promossa dalla valutazione
costituzionalmente orientata tende a far emergere l’unità sistematica tra i diversi
rami dell’ordinamento, e una volta riflessa nella prospettiva sovranazionale
impone di valorizzare la considerazione comparatistica dei differenti sistemi
penali. Certo, la realizzazione di un sistema penale unitario sovranazionale si
presenta ancora come una meta lontana; nondimeno meritoriamente la scienza
internazional-penalistica va perseguendola anche attraverso l’elaborazione di
“nuove” categorie concettuali propriamente internazional-penalistiche15. Anche in
questo percorso unificante, interdisciplinarietà e comparazione sono da intendersi
14 PALAZZO F., Corso di diritto penale, parte generale, Torino, 2006, 359 s.
NOTE PRELIMINARI
9
non come strumenti accessori da porre in campo in via eventuale e secondaria a
sostegno di un quadro sistematico precostituito e/o di un progetto legislativo
politicamente predeterminato, bensì come momenti costitutivi e irrinunciabili
della ricerca penalistica.
Ad ogni modo, forse proprio a causa di una spiccata complessità e
problematicità difficilmente risolvibile all’interno di una visione rigorosamente
sistematica del diritto penale nazionale in prospettiva auto-referenziale,
unitamente ad una inveterata “diffidenza” della scienza penalistica nei confronti
del diritto internazionale penale nella cui sfera pure gravita il tema
dell’esecuzione dell’ordine criminoso, la letteratura giuridica italiana ha
nell’ultimo trentennio mostrato modesto interesse per il tema che me occupa, e
gli esiti cui essa è pervenuta in sede di interpretazione dell’art. 51 c.p. ultimo
comma sorprendentemente propendono, seppur in varia guisa, per la
configurabilità di ordini criminosi insindacabili e/o vincolanti16 - tali esiti sono
rimasti pressoché immutati negli ultimi quarant’anni17. Si profila cioè una
soluzione, grosso modo corrispondente all’eccezione di ordini superiori ovvero
respondeat superior, ove traspaiono obiettivamente esigenze di tutela
dell’ordine/obbedienza. Tale soluzione almeno a prima vista confligge con la
scelta di principio attuata dal diritto internazionale penale che non conosce ordini
criminosi insindacabili (vedi per esempio articoli 32 e 33 Statuto di Roma). Il
15 Sul tema v. ampiamente BORSARI R., Diritto punitivo sovranazionale come
sistema, Padova, 2007, 531 ss., e bibliografia ivi citata. 16 Degli orientamenti della dottrina in riferimento all’ultimo comma dell’art. 51 c.p. si
darà conto ampiamente nel capitolo primo, sez. IV. 17 In effetti, dopo il citato fondamentale lavoro di Giuseppe Bettiol (1934), e quello di
A.Santoro (L’ordine del superiore nel diritto penale) del 1957, la dottrina penale italiana ha prodotto, di notevole, tre brevi voci enciclopediche (Delitala, Regina, Santoro) e alcuni contributi perlopiù sintetici e/o settoriali (per i riferimenti bibliografici v. infra nota 45). Mancano ad ogni modo nella letteratura penalistica recente italiana lavori monografici, l’ultimo consistendo in un saggio di S. Vinciguerra (Profili sistematici dell’adempimento del dovere imposto da una norma giuridica, 1971), mentre pressoché assente risulta l’indagine comparatistica. In parte diverso è invece il discorso sul piano del diritto internazionale penale, dove la letteratura è ben più ampia.
NOTE PRELIMINARI
10
presente lavoro tende appunto a riproporre all’attenzione della comunità
scientifica il problema, secondo un approccio interdisciplinare e comparatistico.
2. L’apporto comparatistico alla disciplina dell’esecuzione dell’ordine del
superiore in prospettiva di riforma e nel diritto internazionale penale.
L’opportunità di svolgere un’indagine comparatistica concernente
l’adempimento del dovere e l’ordine criminoso non dovrebbe richiedere
giustificazioni, perché se è vero che con gli studi di diritto comparato gli occhi si
aprono alle diverse culture giuridiche ed è quindi possibile combattere sterilità
intellettuale e rigidità sociale18, allora ogni ricerca che voglia dirsi critica e non
meramente ricognitiva presuppone sempre un momento in senso lato
comparatistico.
Piuttosto, l’esigenza di sottoporre ad esame critico la nuova (anche se non
sempre innovativa) regolamentazione della materia che si va proponendo da più di
quindici anni nei progetti di riforma19, ripropone con maggior urgenza l’esigenza
di sottoporre l’istituto in parola al vaglio necessariamente critico dell’indagine
comparatistica20.
Non si tratta semplicemente di ricorrere ad ordinamenti di altri paesi al
fine di fornire una “una massa di notizie disarticolate” sulle norme straniere che
18 ESER A., Funzioni, metodi e limiti della ricerca in diritto penale comparato, cit.,
32. Nello stesso senso, v. anche ZWEIGERT K.-KÖTZ H., Introduzione al Diritto Comparato. I - Principi fondamentali, Milano, 1998, 17-18: “La funzione primaria del diritto comparato è, come quella di tutti i metodi scientifici, la conoscenza… la ricerca comparatistica stimola infine la critica al proprio sistema di diritto, contribuendo così allo sviluppo dello stesso, più di quanto non faccia la dogmatica nazionale”.
19 V. infra cap. IV, sez. I. 20 Sulla funzione della comparazione in prospettiva di riforma v. CADOPPI A.,
Introduzione allo studio del diritto penale comparato, Padova, 2004, passim; ESER, op. ult. cit., 14 ss.; JESCHECK H., Sviluppo, compiti e metodi della comparazione di diritto penale, in Riv. it. dir. proc. pen., 1965, 297 ss.; PALAZZO – PAPA, op. cit., 19 ss.; VINCIGUERRA, Diritto penale inglese comparato, cit., 32 ss.; ZWEIGERT K.-KÖTZ H., Introduzione al Diritto Comparato, cit., 15 ss.
NOTE PRELIMINARI
11
regolano la materia, tra le quali il nostro legislatore dovrebbe scegliere quelle che
ritiene “politicamente” più opportune. Questa scelta metodologica (se di metodo
si può parlare) costituirebbe, a tacer d’altro, un limite ingiustificato che
impedirebbe un adeguato approfondimento dello studio comparatistico del
problema considerato. Da un lato, il risultato in tal modo raggiunto sarebbe assai
insoddisfacente sul piano della conoscenza comparatistica degli ordinamenti
esaminati (per le ragioni che si vedranno in seguito), e, dall’altro, sarebbe altresì
scarso l’apporto in prospettiva di riforma, in quanto dal mero dato normativo il
legislatore, sfornito di ogni parametro e criterio di riferimento, non sarebbe in
grado in alcun modo di valutare l’effettiva e pratica portata degli esiti di questo
tipo di ricerca.
Allo stesso tempo, però, non si può nemmeno pretendere di trovare la
regolamentazione che, nella sua totalità, si presenti come la “migliore” in assoluto
e che, sola, alla stregua di un principio universalmente riconosciuto, dovrebbe
essere assunta a modello dal legislatore italiano o da un ipotetico “legislatore”
sovranazionale21.
Si tratta, invece, di porre a confronto la regolamentazione effettivamente
praticata in altri sistemi giuridici, al fine di individuare, ove possibile, le
convergenze e le divergenze su alcuni punti comuni che fungano da direttive di
cui il legislatore di uno Stato democratico e di diritto (quale è quello italiano) deve
ragionevolmente tener conto nell’approntare la disciplina di un problema
complesso, sul piano sistematico ma anche di politica criminale, come quello
trattato. Inoltre, un’indagine comparatistica concernente un numero
sufficientemente ampio di ordinamenti stranieri consentirà anche di verificare se
sia effettivamente possibile pervenire alla formulazione di principi comuni in tema
21 JESCHECK, Sviluppo, compiti e metodi della comparazione di diritto penale, cit.,
312: “ci sarà oggi ben difficilmente concesso di derivare il «diritto giusto» semplicemente dalla generalità di una evoluzione, anche se a ciò la comparazione dei diritti potrebbe
NOTE PRELIMINARI
12
di obbedienza all’ordine criminoso e di manifesta criminosità dell’ordine, nonché
di verificare l’apporto della comparazione giuridica nella enucleazione dei
principi generali del diritto internazionale penale.
Nella consapevolezza, peraltro, che quali che siano le differenti alternative
di regolamentazione, la “scorta di soluzioni”22, che la ricerca comparatistica possa
offrire, la scelta è in ultima un giudizio di valore che deve essere compiuto dal
potere legislativo23.
Quest’ultima considerazione si mostra particolarmente pertinente di fronte
ad un tema a forte connotazione politica come risulta essere prima facie, ma anche
al vaglio della storia, quello dell’adempimento dell’ordine criminoso, la cui
disciplina, posta sul piano inclinato del rapporto tra autorità e libertà, svolge il
ruolo di cartina di tornasole per testare le inclinazioni autoritarie ovvero,
rispettivamente, liberali degli ordinamenti. Invero, per quanto ampio sia il
margine di discrezionalità che il potere politico-legislativo possa (e voglia)
arrogarsi nello scegliere tra le diverse soluzioni possibili, non si dovrebbe mai
dimenticare che autorità e libertà non sono nel diritto due termini antitetici24: se la
libertà trova nell’autorità la sua garanzia e ad un tempo il suo limite25, resta da
chiedersi se possa ancora chiamarsi “diritto” quello di uno Stato che dispieghi la
forza del suo apparato per sopprimere, anche soltanto in via eccezionale ed in
nome di superiori esigenze di ordine e difesa nazionale, la libertà umana. La
semplice forza non è più l’unico criterio di riconoscimento della sovranità, perché
facilmente indurci. Il gran numero di linee parallele ci indica soltanto una determinata tendenza internazionale: se questa poi possa definirsi «giusta» è un altro problema”.
22 L’efficace espressione di Zitelmann, riportata da ZWEIGERT-KÖTZ, op. cit., 17, si ritrova in quasi tutta la letteratura giuscomparatistica, anche penale.
23 ESER, Funzioni, cit., 15. 24 Nel linguaggio comune l’autorità viene considerata come limitazione esterna della
libertà e a questa contrapposta. In realtà, tale contrapposizione si instaura sempre tra libertà e potere, non tra libertà e autorità. In questo senso, v. COTTA S., voce Autorità, in Enc. filos., vol. I, Roma, 1979, p. 638.
25 CAPOGRASSI G., Riflessioni sull’autorità e la sua crisi, in Opere, V, Milano, 1959, vol. I, 300 ss.
NOTE PRELIMINARI
13
vanno affermandosi giudizi di valore, in particolare tra l’altro quelli relativi al
rispetto dei diritti fondamentali26.
Ora, senza entrare nel merito se (o, più realisticamente, in che limiti) la
comparazione possa rivendicare quella “neutralità” che generalmente viene negata
alla scienza giuridica “nazionale”27, il problema dell’ordine criminoso può e deve
essere affrontato ricorrendo agli istituti ed ai principi penalistici che si sono
affermati, in forza di criteri apprezzabili sul piano della ragionevolezza, nei
principali sistemi giuridici del mondo e che riconoscono e garantiscono la persona
umana, tutelandone la libertà e la dignità anche, e soprattutto, nel momento penale
(con il principio di legalità, ampiamente inteso, e della responsabilità penale
individuale).
Peraltro, il problema dell’opportunità di mettere mano alla
reinterpretazione e eventualmente alla riforma della disciplina dell’esecuzione di
ordini criminosi (art. 51, ult. co., c.p.), si ripropone, in tutta la sua pratica attualità,
anche al fine di armonizzare tale disciplina con le soluzioni provenienti dal diritto
internazionale penale ed in particolare dallo Statuto della Corte penale
internazionale permanente28. Lo Statuto di Roma, infatti, accogliendo le istanze
codificatorie e di sistematicità avanzate in sede dottrinale, ha previsto ampie
norme di parte generale, tra le quali hanno immediata rilevanza, per il tema che ci
occupa, quelle concernenti la defence dell’obbedienza ad ordini superiori (articoli
32 e 33).
Oltre a tutto ciò, se questa parte generale, come è stato autorevolmente
sostenuto, è derivata dai principi generali di diritto penale come sono formulati
26 RIONDATO S., Conclusioni, in AA.VV., Diritto e Forze armate. Nuovi impegni, a
c. di RIONDATO S., Padova, 2001, 415. 27 Sul punto v., con particolare riferimento al diritto penale, PALAZZO-PAPA,
Lezioni, cit., 36 s.; VINCIGUERRA, op. ult. cit., 33. 28 Lo Statuto di Roma, già ratificato dallo Stato italiano, è entrato in vigore il 1°
luglio 2002.
NOTE PRELIMINARI
14
nei principali sistemi di giustizia del mondo29, al contempo lo Statuto annovera tra
le fonti sussidiarie applicabili dalla Corte proprio «i principi generali di diritto
ricavati dalla Corte in base alla normativa interna dei sistemi giuridici del mondo»
(art. 28, I co. lett. c). A prescindere dalla controversa natura di questi principi
generali (fonti oppure criteri di interpretazione del diritto internazionale penale)30,
questa semplice annotazione è già di per sé sufficiente per porre in risalto il ruolo
fondamentale ed imprescindibile che la comparazione ha svolto, e dovrà svolgere,
nella formazione e nello sviluppo del diritto internazionale penale31: se, invero, lo
studio delle diverse fonti (dalle convenzioni alla giurisprudenza ampiamente
intesa) del diritto internazionale penale permette di «fotografare», in qualche
misura32, l’evoluzione dei principi generali dei maggiori Stati del mondo, sono i
singoli sistemi giuridici che contribuiscono in prima istanza – ai diversi livelli di
produzione del diritto alla formazione di quei principi generali del diritto penale
richiamati più volte dai documenti internazionali.
Lo Statuto di Roma costituisce peraltro l’ultimo (e non conclusivo) passo
di un lungo cammino che può essere fatto risalire, in prima approssimazione, allo
Statuto istitutivo del Tribunale militare internazionale di Norimberga (1945), a
partire dal quale viene riaffermato il principio della responsabilità penale
29 BASSIOUNI M. C., Le fonti e il contenuto del diritto penale internazionale. Un
quadro teorico, Milano, 1999, 7. In particolare, per l’opinione che la disciplina dell’obedience to superior order stabilita dal nuovo Statuto (art. 33) sia stata stabilita “sulla base dell’orientamento dominante”, v. JESCHECK, I principi del diritto penale internazionale, cit., 12.
30 Sul tema v. infra, capitolo III. 31 Sull’importanza della comparazione nel diritto internazionale penale, v., tra gli
altri, AMATI E., L’efficacia esimente dell’ordine del superiore in relazione ai crimini di guerra nel diritto interno e nel diritto internazionale, in Ind. Pen., 2001, 949 ss; VIRGILIO M., Verso i principi generali del diritto criminale internazionale, in AA.VV., Crimini internazionali tra diritto e giustizia, a c. di ILLUMINATI G. – STORTONI L. – VIRGILIO M., Torino, 2000, 43 ss.
32 Non si possono trascurare i condizionamenti storici e politici che sempre sottendono alla formazione di questi strumenti del diritto internazionale , i quali solo tendenzialmente e non senza contraddizioni riescono a far propri i principi generali del diritto penale formatisi nei più diversi paesi del mondo.
NOTE PRELIMINARI
15
individuale per comportamenti vietati dal diritto internazionale. In tal modo, il
diritto internazionale, che storicamente era destinato a regolare esclusivamente la
condotta degli Stati e delle organizzazioni internazionali, si è andato via via
affermando come un sistema normativo in grado di destinare le sue regole agli
individui anche direttamente, e non solo attraverso la mediazione degli Stati
(tramite l’adeguamento con legge interna).
Se si ammette allora una reciproca influenza tra diritto interno dei singoli
Stati e diritto internazionale (impregiudicata restando, per il momento, la
questione della controversa natura di questa influenza), ossia se si è disposti
quantomeno a riconoscere che i “luoghi” dei rispettivi ordinamenti di fatto
possono entrare (e di fatto entrano) nell’iter argomentativo delle sentenze dei
giudici internazionali e, rispettivamente, nazionali, l’indagine comparatistica sugli
ordinamenti penali dei diversi paesi si impone anche nella prospettiva
dell’ordinamento giuridico interno, in considerazione del ruolo fondamentale che
spetta ai principi generali dei maggiori sistemi giuridici del mondo nella fase
genetica e nel momento applicativo del diritto internazionale penale.
L’enucleazione dei principi di diritto internazionale penale non può, invero,
prescindere dallo studio comparatistico, stante il progressivo ampliarsi degli spazi
giuridici sovranazionali e la creazione di tribunali internazionali chiamati ad
applicare un complesso di principi di diritto generalmente riconosciuti.
Con riferimento alla questione che qui ci occupa, l’ormai lungo tempo
trascorso dallo Statuto di Norimberga allo Statuto di Roma, consente inoltre di
chiedersi se sia possibile rinvenire una norma di diritto internazionale
consuetudinario in tema di obbedienza all’ordine del superiore, in quanto tale
direttamente applicabile anche nei procedimenti penali interni relativi ai crimini
internazionali.
Quest’ultimo profilo, però, richiama all’attenzione anche la funzione che
la ricerca comparata può svolgere, a prescindere dalla controversa vigenza di una
NOTE PRELIMINARI
16
norma di diritto internazionale, nell’interpretazione «della pura e semplice legge
interna», svolgendo così «una funzione di controllo»33. In tal senso, non è da
escludersi che la considerazione del trattamento riservato al problema dell’ordine
criminoso in altri Paesi che si informano ai principi fondamentali dello Stato
democratico e di diritto, possa costituire un elemento utile (anche se solo in via
indiretta ed in conformità ai principi generali dell’ordinamento costituzionale
italiano) nella valutazione della «ragionevolezza» dell’art. 51, ult. co. del nostro
codice penale, in sede di un eventuale giudizio di legittimità costituzionale. Infatti,
soluzioni tendenzialmente uniformi, se non possono imporsi quali
necessariamente ‘vere’, possono tuttavia meritare preferenza in quanto si rivelino
le meno condizionate da particolari e contingenti esigenze di politica criminale34.
Queste considerazioni preliminari, unitamente all’esigenza pratica di
contenere entro limiti ragionevoli l’ambito della ricerca, giustificano la scelta
degli ordinamenti giuridici che si è ritenuto di porre a confronto per un più
fecondo approfondimento del problema dell’ordine criminoso: una scelta che
include paesi di civil law (Germania, Francia, Spagna) e di common law
33 ESER, Funzioni, metodi e limiti della ricerca in diritto penale comparato, cit., 13.
L’A. pone in rilievo come anche in sede giudiziaria, dal confronto con “una legge straniera per l’interpretazione della propria, ne può derivare come effetto un giudizio critico su quest’ultima”: in questo modo, conclude l’A., “la ricerca comparata giudiziale può, attraverso un semplice mezzo interpretativo, acquisire una funzione di controllo” (corsivo dell’autore).
34 Così PALAZZO - PAPA., Lezioni di diritto penale comparato, cit., 41 (i quali citano l’esempio della sentenza n. 341/1994 Cost.). In questo senso, v. anche CADOPPI, Introduzione allo studio del diritto penale comparato, cit., 50-53; e RIONDATO, Competenza penale della comunità europea, cit. 16 ss, 76 ss, 163 ss e passim (in riferimento al diritto penale “costituzionale”). Sulla possibilità di utilizzare il diritto comparato - come “extrema ratio” e sempre nel rispetto delle “esplicite norme di diritto nazionale” - nell’interpretazione delle norme di diritto nazionali di dubbia interpretazione, v. anche, ma con specifico riferimento al diritto civile (ed in particolare alla giurisprudenza della Corte federale tedesca), ZWEIGERT K.-KÖTZ H., Introduzione al Diritto Comparato, cit., 21-22. Per alcune considerazioni generali sul valore “giuridico” dell’attività giuscomparatistica svolta in sede giurisprudenziale, v. G. GORLA, Prolegomeni ad una storia del diritto comparato europeo, in AA.VV., L’apporto della comparazione alla scienza giuridica (a c. di SACCO R.), Milano, 1980, 270; TARUFFO M., The Use of Comparive Law by Courts, in AA.VV., Rapport nationaux italiens au XIVe Congrès Internazional de Droit Comparé, Athènes 1994, Associazione italiana di diritto comparato, Milano, 1994, 49 ss.
NOTE PRELIMINARI
17
(Inghilterra, Scozia, Irlanda e Stati Uniti d’America), oltre al complesso ed affatto
originale sistema del diritto internazionale penale.
E’ chiaro, peraltro, che porre a confronto sistemi giuridici così diversi
(anche se non necessariamente contrapposti) comporta difficoltà e limiti da
superare35. A parte la classica distinzione tra i sistemi di civil law e sistemi di
common law – distinzione che certo non perde tutta la sua consistenza, nemmeno
a seguito della “scoperta” del ruolo della giurisprudenza nei primi36, e della
progressiva statutorizzazione del diritto penale nei secondi37 -, il sistema
eterogeneo e frammentario delle fonti del diritto internazionale penale
(convenzioni, principi generali del diritto, consuetudini) non condivide, sul piano
sistematico oltre che di legittimazione “costituzionale”, le caratteristiche del
diritto penale positivo in vigore nei maggiori sistemi di giustizia penale del
mondo. Nemmeno la funzione della giurisprudenza internazionale, per quanto
decisiva al fine di determinare il diritto internazionale “vivente”, è paragonabile al
sistema dei precedenti vincolanti, tipico dei paesi di common law. Per non dire,
poi, del ruolo del tutto peculiare che è chiamata a svolgere la dottrina, in ordine
alla formulazione dei principi generali del diritto in sede giurisprudenziale ed alla
ricognizione, se non proprio “produzione”, delle altre fonti del diritto
internazionale penale (in particolare consuetudinario).
35 Sulle differenze sistemiche o culturali tra i sistemi di common law e quelli di civil
law v. CADOPPI, Introduzione allo studio del diritto penale comparato, cit., 437 ss.; ID., Civil Law e Common Law: contrapposizione sistemica o culturale?, in CANESTRARI S. – FOFFANI L., Il diritto penale nella prospettiva europea Quali politiche criminali per quale Europa?, Milano, 2005, 99 ss.; v. altresì RIONDATO, Un diritto penale detto «ragionevole», cit., 148 ss.
36 V., sul punto, FORNASARI G. – MENGHINI A., Percorsi europei di diritto
penale, Padova, 2005, 13 ss., RIONDATO S., Retroattività del mutamento penale giurisprudenziale sfavorevole, tra legalità e ragionevolezza, in AA.VV., Diritto e clinica per l’analisi della decisione del caso, Padova, 2000, 239 e bibliografia ivi citata.
37 Cfr. CADOPPI, Introduzione allo studio del diritto penale comparato, cit., 153 ss.; PALAZZO – PAPA, op. cit., 177 ss.
NOTE PRELIMINARI
18
Si rende dunque necessario il ricorso “spregiudicato”, per così dire, ai
molteplici “formanti” dell’esperienza giuridica38, senza rinunciare ad indagare
tutte le “fonti” di diritto scritto (trattati e convenzioni, carte costituzionali, leggi e
codici, regolamenti ed atti governativi, raccolte giurisprudenziali e contributi della
dottrina) e di diritto non scritto (consuetudini, giurisprudenza internazionale,
giurisprudenza nazionale, principi generali del diritto); senza rinunciare,
insomma, a considerare anche gli strumenti giuridici più controversi (quanto alla
possibilità di fungere da vere e proprie «fonti del diritto») e tenendo conto
dell’interazione che sempre opera tra questi diversi formanti, avendo a mente
altresì la diversa posizione che tutte queste “fonti” occupano nel sistema di
produzione del diritti, nazionali ed internazionale.
Peraltro, anche fermandosi agli ordinamenti giuridici nazionali, il semplice
reperimento delle norme codicistiche relative all’adempimento del dovere e
all’ordine criminoso si mostrerebbe non solo infruttuoso, ma anche fonte di grossi
equivoci. Questo rilievo non attiene soltanto alla distinzione tra sistemi di civil
law e sistemi di common law. Invero, per fare solo alcuni esempi, dedurre
dall’assenza di una particolare disciplina in tema di adempimento del dovere nello
Strafgesetzbuch che l’ordinamento tedesco non ha una disciplina relativa al tema
che qui ci occupa, sarebbe molto più di un equivoco, se si considera che al
contrario il sistema germanico fornisce una delle regolamentazioni più dettagliate
dell’ordine criminoso. Parimenti, il processo di codificazione che ha interessato il
diritto penale americano, non può in alcun modo esonerare dall’indagare altre
fonti, quali atti presidenziali e case law, se si vuole avere una corretta nozione del
problema e delle relative soluzioni approntate dall’ordinamento americano.
In definitiva, reperire un elenco acritico delle norme che disciplinano
l’adempimento del dovere nei sistemi giuridici presi in esame, si mostra del tutto
38 GAMBARO A. – SACCO R., Sistemi giuridici comparati, Torino, 2002, 6 ss.
NOTE PRELIMINARI
19
insoddisfacente per una corretta impostazione, in sede comparatistica, del
problema dell’ordine criminoso.
Una chiave di lettura può invece essere rappresentata, ancora una volta,
dall’inquadramento del problema sul piano della distinzione tra cause di
giustificazione e cause di esclusione della colpevolezza, la quale conduce ad
ampliare la comparazione anche ad altri temi di parte generale. Peraltro, anche se
tutti i sistemi penali considerati hanno sviluppato, quantomeno in sede dottrinale,
la distinzione in parola, non si possono nascondere le difficoltà ed i limiti che
questo tipo di ricerca può incontrare.
Innanzitutto si deve tenere a mente che, a differenza di quanto è accaduto
in taluni sistemi europei di diritto continentale, quali ad esempio l’Italia, la
Germania e la Spagna, nell’ordinamento francese, caratterizzato da un più
marcato pragmatismo, la teoria generale del reato è stata oggetto di minore
approfondimento39. A questo proposito, come meglio si dirà nel prosieguo della
trattazione, la Francia pare avvicinarsi maggiormente ai sistemi di common law,
dove la mancata differenziazione tra le diverse defences ha un’origine e un
significato prettamente processuali, di cui sarà bene tenere conto in sede di
comparazione. Al contempo, non privo di rilevanza teorica è il fatto che il Model
Penal Code statunitense, per restare ad un paese di common law, conosce la
distinzione tra justification e excuse. Al contrario, lo Statuto della Corte
internazionale sembra misconoscere la distinzione tra cause di giustificazione e
cause di esclusione della colpevolezza, avendo previsto un'unica categoria, sotto
la generica denominazione di “Grounds for excluding criminal responsibility”.
Più in generale, però, questi brevi cenni pongono in evidenza ulteriori
elementi di differenziazione, terminologica e di “stili”, anche tra paesi
appartenenti alla stessa “famiglia” di giustizia penale, ai quali sarà opportuno dare
39 MANACORDA S., Reato nel diritto penale francese, in Digesto disc. pen., XI,
1996, 305.
NOTE PRELIMINARI
20
il giusto peso nella trattazione dei diversi sistemi. In effetti, i problemi di
traduzione non comportano sempre problemi soltanto terminologici, ma possono
anche indurre ad equivoci in ordine alla corretta comprensione dei testi esaminati.
D’altra parte, se tutte queste considerazioni devono indurre a diffidare di
facili conclusioni in ordine ad analogie o differenze sussistenti tra la disciplina
dell’eccezione di ordini superiori nei diversi sistemi, è anche vero che un’analisi
troppo particolareggiata rischia di disperdersi nei dettagli, facendo perdere di vista
ciò che vi è di comune tra i diversi istituti oggetto di comparazione. Invero, per
quanto differenti siano i concetti e gli istituti che nei diversi sistemi gravitano
intorno all’eccezione di ordini superiori, si tratta pur sempre di elementi che per
essere comparabili devono avere, e in effetti hanno, dei necessari punti comuni
che fungono da termine di confronto40. Piuttosto, dunque, che fornire un elenco di
norme sulla disciplina del superior order nei diversi paesi, si tratta invece di
tenere nel debito conto delle differenze teoriche e pratiche (oltre che
terminologiche) che si possono riscontrare nei diversi sistemi giuridici, e di dare
così all’indagine un’estensione il più possibile tendente alla macrocomparazione.
Anche sotto questo profilo, allora, il tema dell’esecuzione dell’ordine
criminoso, per l’ampiezza degli istituti chiamati in causa, si presenta come un
punto di partenza ideale per la comparazione dei sistemi giuridici considerati.
Invero, se “nessuna comparazione di singoli istituti della parte generale è
attendibile se non investe la parte generale nella sua interezza”41, non si può non
apprezzare l’utilità dell’inquadramento del problema dell’ordine criminoso sul
40 V. JESCHECK, Sviluppi. compiti e metodi della comparazione di diritto penale, in
Riv. it. dir. proc. pen., 298: “per quanto diversa possa infatti essere la situazione della criminalità nei singoli stati, si tratta sempre di grandezze comparabili: di comportamenti umani, di violazione di norme giuridiche e di beni giuridici, di colpevolezza e di espiazione...”. In questo senso v. anche VINCIGUERRA, Diritto penale inglese comparato, cit., 8 (“gli oggetti del confronto debbono essere comparabili”), il quale precisa che “non sono invece comparabili entità che svolgono una funzione giuridico-penale diversa: il sistema delle fonti della norma penale non è comparabile con la disciplina della colpevolezza.”
41 VINCIGUERRA S., Diritto penale inglese comparato. I principi, Padova, 2002,
NOTE PRELIMINARI
21
piano della distinzione tra cause di giustificazione e cause di esclusione della
colpevolezza, che è appunto uno dei «problemi-chiave» della teoria generale del
reato42.
D’altra parte, la prospettiva comparatistica è proprio quella che meglio
consente di constatare la relatività e la storicità che caratterizza anche la
menzionata distinzione dogmatica (come ogni altra distinzione concettuale),
suggerendo al contempo di considerare il problema dell’ordine criminoso anche e
soprattutto nella prospettiva processuale: senza chiamare in causa l’annosa
questione della strumentalità o del servaggio del diritto sostanziale (e della sua
scienza) nei confronti del processo penale (o viceversa)43, si tratta semplicemente
di prendere atto della unilateralità, e quindi della parzialità e scarsa utilità
euristica, di ogni interpretazione che non tenga nel debito conto (sia in sede di
giudizio concreto che in sede di sistemazione delle categorie dottrinali) la
costitutiva coessenzialità di diritto e processo, i quali rappresentano «due facce
della stessa medaglia»44.
15.
42 ESER, Funzioni, metodi e limiti della ricerca in diritto penale comparato, cit., 23. 43 Per un primo approccio al problema dei rapporti tra diritto e processo penale v.
PULITANO’ D., Sui rapporti tra diritto penale sostanziale e processo, in Riv. dir. proc. pen., 2005, 951 e ss.; ID., Consensi e fraintendimenti sui rapporti tra diritto penale sostanziale e processo; in Dir. proc. pen., 2007, 517 ss; RUGGIERO G., Ideologia e dogmatica sui rapporti fra diritto penale e processo, in Dir. proc. pen., 2007, 255 ss.
NOTE PRELIMINARI
22
44 Così PADOVANI T., Il crepuscolo della legalità nel processo penale. Riflessioni
antistoriche sulle dimensioni processuali della legalità penale, in Indice pen., 1999, 527.
SEZIONE I - ADEMPIMENTO DEL DOVERE COME CAUSA DI
GIUSTIFICAZIONE. L’ORDINE LEGITTIMO
SOMMARIO: 1. Il fondamento della scriminante “adempimento del dovere” (art. 51, co. 1°, c.p.).
- 2. Le fonti del dovere scriminante. - 2.1. L’adempimento del dovere derivante da una norma
giuridica. - 2.1.1. Il problema della rilevanza scriminante di norme appartenenti ad un
ordinamento giuridico straniero o all’ordinamento comunitario. - 2.2. L’adempimento del
dovere derivante da un ordine legittimo della pubblica autorità. - 2.2.1. Nozione di ordine.
Concezione naturalistica e concezione giuridica. - 2.2.2. Il rapporto di supremazia e il dovere di
obbedienza (rinvio). - 2.2.2.1. La problematica concernente il c.d. ordine privato. - 2.2.3. I
presupposti di legittimità dell’ordine. Legittimità formale e legittimità sostanziale.
1. Il fondamento della scriminante “adempimento del dovere” (art. 51, co.
1°, c.p.).
Un corretto inquadramento del problema dell’adempimento dell’ordine
criminoso non può prescindere da una preliminare considerazione del fondamento
e dei presupposti del dovere scriminante derivante da una norma giuridica o da un
ordine legittimo dell’autorità.
L’adempimento del dovere derivante da una norma giuridica o da un
ordine legittimo della pubblica autorità costituisce, in base all’art. 5145, 1° co.,
45 Sull’art. 51 c.p. v. ALBEGGIANI F., sub art. 51, in ARDIZZONE S. – RONCO
M. (diretto da), Codice penale ipertestuale, Torino, 2007, 306; BETTIOL G., L’ordine dell’autorità nel diritto penale (1934), in ID., Scritti giuridici, I, Padova, 1966, 109; DELITALA G., Adempimento di un dovere, in Enc. dir., I, 1958, 567; FIANDACA G., sub art. 51, in CRESPI A. – STELLA F. – ZUCCALÀ G., Commentario breve al codice penale, Padova, 2008, 192; PADOVANI T., Ordine criminoso e obbedienza gerarchica nel diritto penale italiano, in Dei delitti e delle pene, 1987, 477; PULITANO’ D., Esercizio di un diritto e adempimento di un dovere, in Digesto disc. pen., vol. IV, 1990, 320; REGINA A., Esercizio di un diritto e adempimento di un dovere, Enc. giur., XIII, Roma, 1989; RIONDATO S. - CUSUMANO M.T., sub art. 51, in MARINI G. - LA MONICA M. - MAZZA L. (diretto da), Commentario al codice penale, Tomo I, UTET, Torino, 2002, 401; SANTORO V., L’ordine del superiore nel diritto penale, Torino, 1957; ID., Esercizio di un diritto, adempimento di un dovere, in Noviss. dig. it., VI, 1960, 825; VINCIGUERRA S., Profili sistematici
ADEMPIMENTO DEL DOVERE COME CAUSA DI GIUSTIFICAZIONE
26
c.p., causa di esclusione “della punibilità”. Più precisamente, colui che agisce
adempiendo ad un dovere direttamente imposto da una norma giuridica o in
esecuzione di un ordine legittimo dell’autorità si trova ad agire in presenza di una
causa di giustificazione46.
L’ordinamento impone al soggetto l’obbligo di tenere un dato
comportamento che altrimenti costituirebbe reato; e poiché manca l’
antigiuridicità del fatto, ne esclude la punibilità47.
Non sarebbe logico, invero, che uno stesso ordinamento giuridico vietasse
e contemporaneamente imponesse una medesima condotta: la scriminante è
espressione del principio di non contraddizione48, di ragioni di coerenza e quindi
anche di giustizia materiale. Si tratta di un principio di per sé già vigente nel
dell’adempimento del dovere imposto da una norma giuridica, Milano, 1971; VIGANO’ F., sub art. 51, in DOLCINI E. – MARINUCCI G. (a cura di), Codice penale commentato, I, 2006, 536;
Per la manualistica v. ANTOLISEI F., Manuale di diritto penale, Milano, 2003, 275; BETTIOL G. – PETTOELLO MANTOVANI L., Diritto penale, Padova, 1986, 368; FIANDACA G. – MUSCO E., Diritto penale. Parte generale, Bologna, 2008, 246; MANTOVANI F., Diritto penale. Parte generale, Padova, 2007, 252; MANZINI V., Trattato di diritto penale italiano, (a c. di PISAPIA G. D.) vol. II, Torino, 1981, 326; MARINI G., Lineamenti del sistema penale, Torino, 1993, 399; MARINUCCI G. – DOLCINI E., Manuale di diritto penale, Milano, 2006, 159; PADOVANI T., Diritto penale, Milano, 2008, 150; PAGLIARO A., Principi di diritto penale. Parte generale, Milano, 2003, 438; PALAZZO F., Corso di diritto penale, parte generale, Torino, 2006, 347; RIZ R., Lineamenti di diritto penale, Bolzano, 2006, 201; ROMANO M., Commentario sistematico del codice penale, I, artt. 1-84, Milano, 2004, 540. Specificamente, in tema di adempimento del dovere nel diritto penale militare, v. BRUNELLI D. – MAZZI G., Diritto penale militare, Milano, 2007, 97; RIONDATO S., Diritto penale militare, Padova 1998, 201; VENDITTI R., Il diritto penale militare nel sistema penale italiano, Milano 1997, 180; GARINO V., Manuale di diritto e procedura penale militare, Bresso 1985, 131. ID., Esercizio di un diritto e adempimento di un dovere nel diritto penale militare, in Digesto disc. pen., vol. IV, UTET, Torino, 1990, 331.
46 La dottrina è unanime sul punto: v., per tutti, MANTOVANI, op. cit., 252. Secondo DELITALA, Adempimento, cit., 567: “Se il comportamento del soggetto, nonostante la sua corrispondenza ad un modello di reato, è, non solo lecito, ma addirittura doveroso, appare ovvia l’illazione che la presenza di questa causa incide non tanto sull’elemento soggettivo del reato, escludendo la intenzione delittuosa, quanto sulla stessa antigiuridicità della condotta”.
47 ROMANO, Commentario, cit., 548. 48 V., tra gli altri, DELITALA, op. cit., 567; FIANDACA – MUSCO, Diritto penale,
cit., 242; REGINA, Esercizio di un diritto e adempimento di un dovere, cit., 6.
ADEMPIMENTO DEL DOVERE COME CAUSA DI GIUSTIFICAZIONE
27
nostro ordinamento giuridico, a prescindere da qualsiasi previsione normativa49.
L’idea che quello esplicitato dall’art. 51 c.p. sia un principio logico di per sé già
presente in ogni ordinamento trova conferma nel fatto che anche riguardo alle
legislazioni in cui la scriminante non è espressamente contemplata non si è mai
dubitato della sua operatività50.
Si fa riferimento, in proposito, anche al “conflitto di doveri”: il medesimo
soggetto si trova ad essere, in concreto, destinatario di due doveri che hanno
contenuto incompatibile (dovere di attuare il comportamento impostogli e, al
contempo, dovere di astenersi dall’attuare tale comportamento per evitare di
violare la legge penale), con conseguente impossibilità di adempierli entrambi,
dato che l’adempimento dell’uno comporta necessariamente la violazione
dell’altro51. Il principio di non contraddizione esige, appunto, che il conflitto di
doveri venga risolto individuando il dovere giuridico prevalente52.
49 PULITANO’, Esercizio, cit., 322. 50 E’ il caso del diritto penale tedesco, nel quale si è sempre riconosciuta l’efficacia
scriminante dell’adempimento del dovere, pur mancando nello StGB un’espressa disposizione in tal senso. Cfr., per tutti, Hirsch, Vor § 32, in StGB. Leipziger Kommentar. Großkommentar, 11. Auf., 1994, n. marg. 173 ss.; Jescheck e Weigend, Lehrbuch des Strafrechts. Allgemeiner Teil, Berlin, 1996, 395.V. amplius infra, cap. II, sez. I.
51ALBEGGIANI, sub art. 51, in ARDIZZONE – RONCO (diretto da), Codice penale ipertestuale, cit., 319; VIGANO’, sub art. 51, cit., 441. Sul complesso tema del conflitto di doveri, anche con riferimento all’art. 51 c.p., cfr. di recente, nella dottrina italiana, MEZZETTI E., «Necessitas non habet legem»? Sui confini tra “impossibile” ed “inesigibile” nella struttura dello stato di necessità, Torino, 2000; VIGANO’ F., Stato di necessità e conflitti di doveri. Contributo alla teoria delle cause di giustificazione e delle scusanti, Milano, 2000. La figura del conflitto di doveri è oggetto di ampio dibattito in Germania: per un primo approccio alla dottrina tedesca, v. GALLAS W., Plichtenkollision als Schuldausschließungsgrund, in Festschrift für Edmund Mezger, München-Berlin, 1954, 311; HRUSCHKA J., Pflichtenkollisionen und Plichtenkonkurrenzen, in Festschrift für Karl Larenz zum 80. Geburtstag, München, 1983, 257 ss.; KÜPER W., Differenzierung zwischen Rechtfertigungs- und Entschuldigungsgründen: Sachgerecht oder notwendig? Überlegungen am Beispiel von «Notstand», «Pflichtenkollision» und «Handeln auf dienstliche Weisung», in AA.VV., Rechtfertigung und Entschuldigung, I, Freiburg i. Br., 1987, 343 ss.; OTTO H., Pflichtenkollision und Rechtswidrigkeitsurteil, 3. Auf., Marburg, 1978.
52 Cfr. VIGANO’, sub art. 51, cit., 557.
ADEMPIMENTO DEL DOVERE COME CAUSA DI GIUSTIFICAZIONE
28
Si discute in dottrina se l’art. 51 c.p. si limiti a ribadire un principio (quello
di non contraddizione53, appunto) di per sé già operante nel sistema oppure se la
norma svolga un’autonoma funzione. Secondo qualche autore, l’art. 51
costituirebbe “norma di collegamento” fra i diversi settori dell’ordinamento
giuridico con la specifica funzione di integrare nel sistema penale norme di natura
extrapenale impositive di un dovere (o attributive di un diritto)54. A ciò si è
tuttavia obiettato che, anche in assenza di una norma “in bianco” come l’art. 51
c.p., sussisterebbe comunque la necessità logica di eliminare, mediante
l’interpretazione, eventuali antinomie tra norme penali e norme appartenenti ad
altri settori dell’ordinamento giuridico, al fine di evitare qualificazioni
contraddittorie (in termini, per es., di illiceità e di doverosità) di una medesima
condotta55.
In ogni caso, se è chiaro che la scriminante risponde all’esigenza di evitare
che l’ordinamento giuridico entri in contraddizione con se stesso, il mero richiamo
al principio secondo cui ciò che è dovere non può essere reato, non è sufficiente a
risolvere il problema di fondo, ossia quello di individuare la reale portata del
dovere e del reato: in altri termini, il principio di non contraddizione esprime la
53 In argomento si è da taluno affermato che l’effetto scriminante non è, a rigore,
conseguenza del principio di non contraddizione, giacché quest’ultimo comporta l’eliminazione dell’antinomia o dell’incompatibilità tra due norme mediante l’eliminazione di una di esse, mentre nel caso in esame la norma impositiva del dovere e quella incriminatrice continuano a coesistere, ed anzi l’efficacia scriminante postula proprio la sopravvivenza di entrambe nel sistema: ROMANO, sub art. 51, cit., 548.
54 Con riferimento all’esercizio di un diritto, V. CARACCIOLI I., L’esercizio del diritto, Milano, 1963, 193 ss., secondo il quale poiché ogni settore dell’ordinamento è autonomo e risponde ad esigenze sue particolari «non è affatto detto che un comportamento facoltizzato da un settore extrapenale dell’ordinamento non potrebbe, di per sé, in mancanza della “norma di collegamento” fra i due settori, cadere sotto i rigori della legge penale». E’ appena il caso di precisare che la problematica in esame concerne sia l’adempimento del dovere che l’esercizio del diritto, entrambi previsti dal primo comma dell’art. 51 c.p.
55 Così VIGANO’, sub art. 51, cit., 537. Sul punto cfr. anche PULITANO’, voce Esercizio di un diritto e adempimento di un dovere, cit., 321.
ADEMPIMENTO DEL DOVERE COME CAUSA DI GIUSTIFICAZIONE
29
mera esigenza di una soluzione del conflitto tra norma incriminatrice e norma
impositiva del dovere, senza tuttavia offrirne i criteri56.
Secondo qualche autore, nel caso dell’adempimento del dovere, la
valutazione comparativa del valore degli interessi in conflitto è “cristallizzata”,
una volta per tutte, nella previsione scriminante57: la prevalenza è dunque
attribuita all’interesse all’attuazione della volontà statuale sul contrapposto
interesse protetto dalla norma penale.
Ora, è vero che l’art. 51 c.p. rivela senz’altro una preferenza, alla stregua
del bilanciamento di interessi contrapposti, per l’interesse all’attuazione di certi
comandi giuridici58.
D’altra parte, però, non si può ritenere che con la codificazione della
norma in esame il legislatore abbia effettuato, una volta per tutte, il bilanciamento
tra l’interesse alla non lesione di beni giuridici penalmente protetti e l’interesse
all’esplicitazione dell’ordinamento e all’attuazione della volontà statuale, dando
preferenza sempre e comunque al secondo. La disposizione in commento, infatti,
come si è detto, di per sé non indica i criteri atti a stabilire quando la norma di
liceità debba prevalere rispetto alla norma penale e presuppone anzi già risolto
l’apparente conflitto di norme in favore della prima59.
56 Così MANTOVANI F., Esercizio di un diritto (dir. pen.), in Enc. dir., XV, 1966,
629; cfr. anche PULITANO’, Esercizio di un diritto e adempimento di un dovere, cit., 321. 57 In tal senso PADOVANI, Diritto penale, cit., 139, il quale afferma, in riferimento
anche all’esercizio di un diritto, che, nel caso dell’art. 51, primo co., c.p., «l’interesse che queste situazioni giuridiche tendono a soddisfare è privilegiato, una volta per tutte, dalla loro stessa qualificazione giuridica (diritto e dovere giuridico)», mentre in altre ipotesi (es. art. 52 c.p.) la prevalenza dell’uno o dell’altro interesse in conflitto, deriva, invece, da una valutazione comparativa del giudice, in base ad un apprezzamento concreto. L’A. afferma peraltro che, affinché la norma facultizzante o quella impositiva del dovere scrimini, è logicamente necessario che la sua previsione sia derogatoria (e quindi speciale) rispetto a quella incriminatrice.
58 RIONDATO – CUSUMANO, sub art. 51, in MARINI - LA MONICA -MAZZA
(diretto da), Commentario al codice penale, cit., 401 ss. 59 Così MANTOVANI, Diritto penale, cit., 252 ss., 258 ss.: secondo l’A. l’art. 51
sarebbe una norma sostanzialmente inutile nella sua funzione dichiarativa dell’efficacia scriminante delle norme sul diritto o sul dovere. Conf. FIANDACA, sub art. 51, cit., 192;
ADEMPIMENTO DEL DOVERE COME CAUSA DI GIUSTIFICAZIONE
30
La questione relativa al fondamento della causa di giustificazione in esame
si inserisce nella più ampia problematica concernente le c.d. antinomie giuridiche:
due norme sono antinomiche quando appartengono ad un medesimo ordinamento
giuridico e sono tra loro incompatibili60. Di fronte ad un conflitto tra la norma
incriminatrice e la norma che attribuisce il diritto o impone il dovere, sarà
l’interprete a dover ricercare i criteri di soluzione del problema nell’ambito
dell’intero ordinamento giuridico61. L’efficacia scriminante sarà desumibile dal
“tipo” di rapporto tra la norma impositiva del dovere e quella incriminatrice62. Nei
casi in cui la norma sul dovere e quella penale appaiano riferirsi ad un medesimo
fatto, l’una imponendolo e l’altra vietandolo, solo una di esse sarà in realtà
applicabile: secondo la dottrina maggioritaria la prevalenza dell’una o dell’altra
norma andrà accertata mediante i classici criteri di risoluzione dei conflitti tra
norme, e dunque mediante i criteri di gerarchia delle fonti, cronologico e,
VIGANÒ, sub art. 51, cit., 424, secondo il quale l’art. 51, oltre che inutile, sarebbe addirittura fuorviante per l’interprete perché crea la falsa impressione che, nel conflitto tra norma incriminatrice e norma impositiva del dovere sia sempre quest’ultima a dover prevalere, mentre frequenti sarebbero i casi in cui è proprio la norma incriminatrice a delimitare l’ambito di applicazione dell’altra.
60 Sul punto cfr. ampiamente MANTOVANI, Esercizio di un diritto (dir. pen.), cit., 630. Anche l’ipotesi del conflitto di doveri è riconducibile alla complessa categoria delle antinomie giuridiche. In argomento cfr. BARATTA A., Antinomie giuridiche e conflitti di coscienza, Milano, 1963, in critica all’elaborazione della scienza penalistica tedesca sul tema del conflitto di doveri (Pflichtenkollision); v. anche la recensione critica di CALVI A. A. all’opera di Baratta (e a quella di END H., Existentielle Handlungen im Strafrecht. Die Pflichtenkollision im Lichte der Philosophie von Karl Jaspers, München, 1959) in Riv. it. dir. e proc. pen., 1963, 539 ss. Sul conflitto di doveri con specifico riguardo all’art. 51 c.p. v. VIGANO’, sub art. 51, in DOLCINI – MARINUCCI (a cura di), Codice penale commentato, cit., 441 ss., che riporta l’esempio del testimone tenuto a riferire fatti lesivi dell’altrui reputazione: il conflitto di doveri sorge, in questo caso, tra la norma che impone al testimone di riferire i fatti di cui è a conoscenza (art. 372 c.p.) e la norma che vieta a chiunque di offendere l’altrui reputazione (art. 595 c.p.). Secondo l’A. (Stato di necessità, cit., 483 ss.) un conflitto di doveri potrà aversi allorché sussista un’antinomia tra due norme di natura prescrittiva che qualifichino la stessa condotta in termini contrari (obbligatorio/vietato).
61 Sul punto v. RIONDATO, Diritto penale militare, cit., 174. 62
MANTOVANI, Diritto penale, cit., 252 ss. In senso conforme cfr. PULITANÒ, voce «Esercizio di un diritto e adempimento di un dovere», cit., 321;.
ADEMPIMENTO DEL DOVERE COME CAUSA DI GIUSTIFICAZIONE
31
soprattutto, di specialità, i quali operano sul piano dei rapporti tra norme63. Si è
peraltro correttamente osservato che restano comunque implicati giudizi di valore
fortemente dipendenti dall’interprete che deve ricostruire il bilanciamento di
interessi cui lo stesso legislatore tende mediante l’art. 51 c.p.64.
Parte della dottrina contesta che debba trovare applicazione lo schema del
concorso apparente di norme e del principio di specialità, anzitutto in base alla
considerazione che quest’ultimo principio sembra rispondere a precise esigenze
solo nell’ambito di un medesimo ramo dell’ordinamento e, in secondo luogo,
perché nel conflitto apparente di norme si applica una delle norme con totale
esclusione dell’altra, mentre nel caso dell’art. 51 c.p. entrambe le norme
concorrono a qualificare un fatto tipico scriminato. Secondo questa impostazione,
il legislatore, nella causa di giustificazione in esame, ha piuttosto proceduto ad un
bilanciamento di interessi contrapposti: nel caso dell’adempimento del dovere ha
ritenuto prevalente l’interesse all’esplicitazione dell’ordinamento e all’attuazione
della volontà statuale rispetto all’interesse alla non lesione di beni giuridici
penalmente tutelati65. Non sarebbe pertanto necessario che la norma di liceità sia
speciale rispetto a quella incriminatrice, potendo un fatto essere scriminato anche
in base ad una norma avente carattere assolutamente generale, mentre non
dovrebbe viceversa esservi una norma penale che specificamente incrimini un
comportamento estrapolandolo da quelli che sarebbero consentiti dalla norma di
liceità66.
Si è da taluno precisato, in proposito, che il campo di applicazione delle
scriminanti in esame non andrebbe ridotto ad una mera situazione di conflitto tra
63Cfr., per tutti, MANTOVANI, Diritto penale, cit., 258; più in generale sul problema
delle antinomie giuridiche e sui relativi criteri di soluzione v. ID., Esercizio di un diritto (dir. pen.), cit., 627. Cfr. anche PULITANO’, op. cit., 324.
64 RIONDATO – CUSUMANO, op. cit., 403 s. 65ROMANO, op. cit., 541 s., 548. 66 ROMANO, op. loc. cit. Per la necessaria specialità della norma scriminante rispetto
a quella incriminatrice cfr. PAGLIARO, Principi di diritto penale, cit., 434.
ADEMPIMENTO DEL DOVERE COME CAUSA DI GIUSTIFICAZIONE
32
norme da risolvere in via astratta attraverso il ricorso ai sopra indicati tradizionali
criteri di soluzione, giacché altrimenti si dovrebbe considerare superflua la
disposizione dell’art. 51, 1° co., c.p.: si tratterebbe, piuttosto, di riconoscere la
convergenza, sul medesimo fatto concreto, di una norma di liceità e di una norma
incriminatrice e di procedere secondo la logica del bilanciamento concreto propria
della generalità delle scriminanti67.
In realtà, per la risoluzione del conflitto tra norme creato dalla
convergenza, relativamente alla fattispecie concreta, di una norma incriminatrice e
di una norma attributiva di un dovere, l’interprete dispone in particolare dei
criteri ermeneutici di gerarchia, specialità e posteriorità. Tuttavia essi
costituiscono meri ausili per la ricostruzione della voluntas legis nel caso
concreto, alla cui determinazione l’interprete potrà pervenire attraverso i più
disparati percorsi ermeneutici, tra cui rientra anche l’impiego del criterio del
bilanciamento degli interessi68.
2. Le fonti del dovere scriminante.
Il dovere, per poter esplicare efficacia scriminante, non può che essere un
dovere giuridico, cioè un obbligo imposto dall’ordinamento; di conseguenza, non
potrà costituire causa di giustificazione l’esecuzione di un dovere morale o di
convenienza sociale69. Il dovere sorge da una norma imperativa che impone al
67 ALBEGGIANI, sub art. 51, cit., 307 ss., il quale precisa che ad operare un tale
bilanciamento presiederanno criteri di carattere essenzialmente valutativo, di fonte prevalentemente giurisprudenziale, ricavabili da un confronto tra i beni in conflitto nel contesto delle concrete modalità di svolgimento dei fatti.
68 Così VIGANO’, sub art. 51, cit., 424. Per l’opinione secondo cui il bilanciamento di interessi costituisce criterio extralegale residuale al quale ricorrere qualora non sia possibile risolvere il conflitto tra norme in base ai criteri logici di specialità, gerarchia e posteriorità cfr. MANTOVANI, Esercizio di un diritto (dir. pen.), cit., 631.
69 La giurisprudenza ha escluso che il dovere civico, inteso come quell'obbligo morale che deriva dalla situazione in cui un cittadino viene a trovarsi quando, in sua presenza, di un bene destinato alla collettività venga fatto un uso non conforme alla stessa destinazione,
ADEMPIMENTO DEL DOVERE COME CAUSA DI GIUSTIFICAZIONE
33
soggetto di tenere un determinato comportamento o di astenersi da una
determinata condotta, nell’interesse di altri: ovviamente il dovere deve avere
come contenuto la realizzazione di un comportamento corrispondente ad un
determinato tipo di reato70.
Come emerge dalla lettura del primo comma dell’art. 51, il dovere
scriminante può trovare la propria fonte71 in una norma giuridica oppure in un
ordine legittimo della pubblica autorità.
2.1. L’adempimento di un dovere derivante da una norma giuridica.
E’ dibattuto, in dottrina, il significato della generica espressione “norma
giuridica” contenuta nell’articolo in esame. Il problema concerne le fonti
normative che possono avere efficacia scriminante ai sensi dell’art. 51 c.p., con
riferimento anche alla questione dell’operatività del principio della riserva di
legge per le cause di giustificazione.
In generale, su tale questione non tutta la dottrina è concorde. Invero,
secondo qualche autore anche le norme scriminanti debbono soggiacere al
principio di stretta legalità72. Altra parte della dottrina, invece, in considerazione
del fatto che le cause di giustificazione sono norme non penali dell’intero
ordinamento giuridico, esclude che le stesse debbano essere soggette al principio
costituzionale della riserva di legge e al divieto di analogia73. Secondo qualche
possa essere ritenuto quel particolare dovere imposto da una norma giuridica ex art. 51 c.p.: Cass. Pen., sez. V, 15 novembre 1968, in Giust. pen., 1969, II, 971.
70 Per tutti, SANTORO, Esercizio di un diritto, adempimento di un dovere, cit., 828 ss.
71 Sulle particolari problematiche concernenti l’applicabilità della scriminante dell’adempimento del dovere nel trattamento terapeutico e l’individuazione delle fonti del dovere professionale del medico v. DASSANO F., Il consenso informato al trattamento terapeutico tra valori costituzionali, tipicità del fatto di reato e limiti scriminanti, in Studi in onore di Marcello Gallo, Torino, 2004, 388 ss.
72 In tal senso REGINA, Esercizio di un diritto e adempimento di un dovere, cit., 3. 73 Così MARINUCCI G., Fatto e scriminanti. Note dommatiche e politico –
criminali, in Riv. it. dir. proc. pen., 1983, 1235 s., secondo cui le scriminanti saranno soggette solo a riserva di legge o ad altri vincoli formali propri dei campi di materia da cui
ADEMPIMENTO DEL DOVERE COME CAUSA DI GIUSTIFICAZIONE
34
autore, infine, un problema di compatibilità con l’art. 25, 2° co., Cost. non si
porrebbe poiché la riserva di legge sarebbe rispettata dalla stessa previsione legale
dell’art. 51 c.p.74.
Per quanto concerne nello specifico l’adempimento del dovere, secondo parte
della dottrina, la norma giuridica potrebbe anche derivare da una fonte di rango
inferiore alla legge statale, dato che il dovere è espressamente riferito a qualsiasi
norma giuridica75: possono pertanto avere rilevanza scriminante norme impositive
di doveri provenienti da qualsiasi fonte (legge statale o regionale, regolamento,
consuetudine). Su questa linea di pensiero, si argomenta proprio sostenendo che la
riserva assoluta di legge prevista dall’art. 25 Cost. non riguarderebbe le cause di
giustificazione76. La locuzione “dovere imposto da una norma giuridica” dovrebbe
dunque essere intesa in senso lato, comprensiva di qualsiasi precetto giuridico,
emanato dal potere legislativo o esecutivo77.
E’ tuttavia preferibile l’opinione di quegli autori che contestano che il termine
“norma giuridica” costituisca mero elemento normativo, definibile in base a
qualsiasi fonte. Secondo questa impostazione, la riserva di legge rispetto alle
scriminanti sarebbe non assoluta, bensì relativa, nel senso che il dovere
provengono. Contra GROSSO C.F., Cause di giustificazione, in Enc. giur., VI, 1988, 5. Sulla natura di norme non penali delle cause di giustificazione e sulla possibilità di una loro estensione analogica, anche con riferimento agli elementi normativi cui esse rinviano per la loro determinazione, cfr. altresì RONCO M., Il principio di legalità, in ID.(opera diretta da), La legge penale. Fonti, tempo, spazio, persone, Bologna, 2006, 84: in particolare, l’A. ritiene che, in riferimento all’esercizio del diritto e all’adempimento del dovere, sia ammissibile l’estensione per analogia dei principi giuridici che regolano l’attribuzione del diritto o del dovere relativo.
74 ROMANO, sub art. 51, in ROMANO (a cura di), Commentario, cit., 543. 75 PADOVANI, op. cit., 151. V. anche RIZ, Lineamenti, cit., 202, il quale rileva che
l’art. 51, parlando non di legge ma di norma giuridica, non può che riferirsi a qualsiasi precetto giuridico: rientrano nel concetto non solo la legge in senso formale ma anche gli atti aventi forza di legge, gli atti normativi regolamentari, gli atti compiuti in esecuzione di un regolamento o di una direttiva self executing dell’UE.
76 In questo senso cfr. MARINUCCI – DOLCINI, Manuale di diritto penale, cit., 149 s.; FIANDACA -MUSCO, Diritto penale, cit., 159.
77 Così FIANDACA – MUSCO, Diritto penale, cit., 247. In questo senso si è altresì espressa la giurisprudenza: cfr., ad es., Cass. Pen., sez.V., 15 novembre 1968, cit.
ADEMPIMENTO DEL DOVERE COME CAUSA DI GIUSTIFICAZIONE
35
scriminante può essere concretizzato anche da fonti sublegislative, provenienti
dall’intero ordinamento giuridico, purché esso trovi il fondamento ultimo nella
legge statale. Il dovere potrebbe perciò derivare da una legge ordinaria, da una
legge regionale corrispondente sul punto ai principi di una legge statale, da un
regolamento esecutivo conforme alla legge, da una consuetudine secundum
legem78. Non entra dunque in gioco il principio di stretta legalità79 bensì soltanto
l’esigenza che la gerarchia delle fonti sia rispettata (e che la deroga alla legge si
fondi, in ultima istanza, su una legge, secondo il canone della riserva relativa)80.
2.1.1. Il problema della rilevanza scriminante di norme
appartenenti ad un ordinamento giuridico straniero o
all’ordinamento comunitario.
Un’ulteriore aspetto problematico concernente l’adempimento del dovere
derivante da una norma giuridica, è quello relativo alla possibilità che il dovere
derivi da ordinamenti giuridici diversi da quello italiano.
La dottrina prevalente esclude che norme straniere possano esplicare
efficacia scriminante nei confronti di fatti commessi nel territorio italiano81.
78 MANTOVANI, Diritto penale, cit., 252 ss. Secondo VIGANO’, Sub art. 51, cit.,
442, lo stesso articolo 51, riconoscendo efficacia scriminante all’ordine legittimo dell’autorità implicitamente ammette che il dovere scriminante possa derivare anche da una fonte subordinata (come un regolamento o un provvedimento amministrativo), purché l’atto promanato dalla fonte subordinata sia conforme alla legge: deve essere, cioè, la legge a stessa a conferire all’autorità, almeno implicitamente, il potere di imporre una condotta conforme ad una fattispecie di reato. Nello stesso senso v. CARACCIOLI I., Manuale di diritto penale, Padova, 2005, 395.
79 Così, invece, REGINA, op. cit., 6. 80 Contra PADOVANI, Diritto penale, cit., 147 e 151, secondo il quale l’esigenza del
rispetto della gerarchia delle fonti si giustifica, invece, nell’ipotesi dell’esercizio di un diritto ma non nel caso dell’adempimento del dovere perché, in questo secondo caso, “il conflitto riguarda doveri (e non già un dovere ed una facoltà): se la rilevanza del dovere giuridico non si estendesse a tutte le situazioni giuridicamente cogenti (ad es. anche in base ad un regolamento autonomo), il destinatario rischierebbe comunque di incorrere in una responsabilità: penale, se osserva il dovere extrapenale; civile, amministrativa o disciplinare se osserva quello penale”.
81 V., per tutti, MANTOVANI, Diritto penale, cit., 253. Contra DELITALA,
ADEMPIMENTO DEL DOVERE COME CAUSA DI GIUSTIFICAZIONE
36
Si ammette, per contro, che i fatti commessi all’estero e punibili ai sensi
della legge italiana possano essere giustificati da norme giuridiche straniere, a
condizione che il nostro ordinamento riconosca tale diritto straniero. Poiché,
infatti, l’ordinamento italiano è tenuto a conformarsi alle norme di diritto
internazionale generalmente riconosciute (art. 10 Cost.), il dovere scriminante
potrà promanare anche da un ordinamento straniero, quando il diritto
internazionale esiga che tale dovere sia riconosciuto valido dallo Stato italiano82.
E’ escluso, conseguentemente, che una norma appartenente ad un
ordinamento giuridico straniero possa costituire fonte di dovere scriminante se è
in contrasto con il c.d. diritto delle genti (non potrà mai essere giustificata, ad es.
la commissione di un crimine contro l’umanità) o con interessi fondamentali dello
Stato italiano83.
Il dovere scriminante può derivare anche da fonte comunitaria. Non si può
dubitare, infatti che esista una competenza comunitaria penale c.d. negativa: il
diritto comunitario, in forza del suo “primato” sul diritto nazionale e della diretta
applicabilità, può comportare la restrizione dell’area della punibilità, operando
anche in senso scriminante84.
Adempimento, cit., 569.
82 PAGLIARO, Principi, cit., 435. V. anche, nello stesso senso, MANTOVANI, Diritto penale, cit., 253; MARINI, Lineamenti, cit., 400; ROMANO, Commentario, cit., 543.
83 V., per tutti, ROMANO, Commentario, cit., 543. 84 RIONDATO S., Profili di rapporti tra diritto comunitario e diritto penale
del’economia (“influenza”, poteri del giudice penale, questione pregiudiziale ex art. 177 T.CE, questioni di costituzionalità), in Riv. trim. dir. pen. ec., 1997, 1142; RIZ, Lineamenti, cit., 203, che annovera tra le fonti del dovere scriminante i regolamenti comunitari e le direttive comunitarie self executing; FIANDACA – MUSCO, op. cit., 61. In generale sul rapporto tra diritto penale e diritto comunitario v. RIONDATO S., Competenza penale della Comunità europea. Problemi di attribuzione attraverso la giurisprudenza, Padova, 1996; RIZ R., Diritto penale e diritto comunitario, Padova, 1984.
ADEMPIMENTO DEL DOVERE COME CAUSA DI GIUSTIFICAZIONE
37
2.2. L’adempimento del dovere derivante da un ordine legittimo
della pubblica autorità.
L’ordine dell’autorità può essere fonte del dovere scriminante85, come si è
detto.
Ora si precisa anzitutto che anche alla base dell’ordine dell’autorità deve
esserci una norma giuridica, come si ricava del resto dal requisito di legittimità; in
ogni caso, infatti, il dovere giuridico, per avere valenza scriminante, deve essere
attuazione di una volontà in senso lato riferibile allo Stato86.
Per poter costituire causa di giustificazione l’ordine deve, dunque, essere
legittimo e deve essere stato impartito da una pubblica autorità.
2.2.1. Nozione di ordine. Concezione naturalistica e concezione
giuridica.
L’ordine, come tutti gli atti amministrativi, è un atto di volontà posto in
essere da una pubblica Amministrazione nell’esplicazione di una potestà
amministrativa; più precisamente, esso rientra, tra le varie categorie di atti
amministrativi, in quella dei provvedimenti, ossia di quegli atti autoritativi tipici e
nominati preordinati alla realizzazione di interessi specifici affidati alle cure
dell’Amministrazione, e consistenti in statuizioni destinate a produrre
modificazioni di situazioni giuridiche87.
85 Per un’indagine sull’evoluzione storica della disciplina dell’ordine dell’autorità v.
BETTIOL, L’ordine dell’autorità, cit., 109 ss.; MANZINI, op. cit., 325 ss. 86 ROMANO, Commentario, cit., 550. Nello stesso senso v. anche PULITANO’, op.
cit., 327, il quale precisa che “l’ordine dell’autorità… non è fonte normativa del dovere, ma è la fattispecie concreta cui una norma giuridica riconnette un dovere d’esecuzione, con conseguente effetto scriminante nel caso che la condotta dovuta sia conforme a un tipo di reato”.
87 SANDULLI A.M., Manuale di diritto amministrativo, I, Napoli, 1989, 611: in quanto provvedimento amministrativo, l’ordine ha le caratteristiche dell’autoritarietà (ossia la possibilità di produrre unilateralmente nella sfera giuridica di altri soggetti le modificazioni
ADEMPIMENTO DEL DOVERE COME CAUSA DI GIUSTIFICAZIONE
38
L’ordine costituisce il più tipico provvedimento amministrativo destinato
ad incidere sul rapporto autorità – libertà88. Esso rientra tra i provvedimenti a
contenuto precettivo mediante i quali l’Amministrazione crea obblighi in capo al
destinatario. Si tratta di una dichiarazione di volontà, emessa da un soggetto della
pubblica amministrazione nell’esercizio della potestà ordinatoria amministrativa
diretta ad imporre ad un soggetto passivo obblighi immediati e diretti, previa la
comminatoria di una misura giuridica in caso di disobbedienza89.
L‘ordine può imporre obblighi positivi (di fare) oppure negativi (di non
fare) e quindi potrà sostanziarsi in un comando oppure in divieto; la forma con cui
viene impartito può essere sia scritta che orale. Esso, inoltre, ha natura di
provvedimento amministrativo recettizio e pertanto acquista efficacia solo se
portato a conoscenza del destinatario90.
L’ordine, in quanto atto amministrativo, deve possedere determinati
requisiti di esistenza e legittimità, la cui mancanza rende l’ordine rispettivamente
inesistente o illegittimo, come meglio si vedrà nel capitolo terzo91.
previste dalle proprie statuizioni), della esecutività (intesa come capacità di produrre di per sé solo e automaticamente l’effetto che la legge vi ricollega), dell’inoppugnabilità (trascorsi i termini previsti dalla legge) e dell’esecutorietà (per cui esso può essere eseguito direttamente dalla p.a. anche contro il volere di chi dovrebbe dare il proprio consenso all’esecuzione).
88 BASSI F., Ordine (dir. amm.), in Enc dir., XXX, Milano,1980, 995. 89 GALATERIA L., Teoria giuridica degli ordini amministrativi, Milano, 1950, 68.
Criticamente sul punto v. BASSI, op. cit., 997 ss. che pone l’attenzione sulla struttura e sulla funzione del procedimento amministrativo di cui l’ordine costituisce il risultato finale, risolvendo la nozione di ordine in quella di procedimento ablatorio personale. Nello stesso senso VILLATA R., L’atto amministrativo, in AA.VV., Diritto amministrativo, (a c. di MAZZAROLLI L., PERICU G., ROMANO A., ROVERSI MONACO F.A., SCOCA F.G.), II, Bologna, 1998.
90 La generale nozione di ordine amministrativo che si è data vale anche in ambito militare: v. SABINO A, Sub art. 23 in AA.VV., Il nuovo ordinamento disciplinare delle Forze Armate, (a cura di RIONDATO S.), Padova, 1995, 184. A differenza di quanto previsto nel sistema penale militare tedesco (v. § Nr. 2 WStG), non è, infatti, rinvenibile nel nostro ordinamento una definizione formale di ordine gerarchico valevole ai fini penalistici in ambito esclusivamente militare. Sul punto v. infra cap. II, sez. I, par. 1.2.
91 Per quanto riguarda le numerose classificazioni cui gli ordini sono soggetti e la distinzione tra ordini ed altre categorie ad essi affini, si rinvia all’opera di SANTORO, L’ordine del superiore, cit.
ADEMPIMENTO DEL DOVERE COME CAUSA DI GIUSTIFICAZIONE
39
Se l’ordine è una manifestazione di volontà da parte di chi possiede una
potestà ordinatoria, che si rivolge ad altri imponendo di tenere un determinato
comportamento, sotto minaccia di una sanzione, significa che esso presuppone un
rapporto di supremazia e, correlativamente di soggezione (vincolo di
subordinazione). In capo al destinatario dell’ordine sorge, dunque, un dovere di
obbedienza.
In dottrina si discute se l’ordine sia concetto naturalistico oppure giuridico.
Chi propende per la prima opinione92, sostiene che l’ordine sia un concetto
di carattere naturalistico, che in particolari circostanze e qualora sussistano
determinati presupposti, acquista natura e rilevanza giuridica: esso, inteso come
manifestazione di volontà del superiore, è un’azione che, come tale, è prima di
tutto un fenomeno naturalistico e, poi, eventualmente giuridico. La legittimità e
l’illegittimità sono qualificazioni giuridiche dell’ordine e presumono che esso sia
determinato sulla base di criteri extragiuridici; di conseguenza, al fine di
qualificare una manifestazione di volontà come ordine è sufficiente che sussista
un rapporto di supremazia di un soggetto su di un altro, inteso come pura e
semplice realtà di fatto.
Secondo altri autori93 non si può invece dubitare della natura normativa del
concetto di ordine, “poiché esso attinge la sua validità dall’esistenza fra datore
dell’ordine e subordinato di un potere di comando (potestà ordinatoria)... la cui
attribuzione spetta all’ordinamento giuridico”.
Ad ogni modo, non pare dubitabile che, per poter parlare di ordine
giuridicamente inteso, sia necessario che il rapporto di supremazia sia
riconosciuto dall’ordinamento giuridico. Né pare dubitabile che l’ordine si connoti
anche per una sua imprescindibile materialità, peraltro mai sufficiente ad
esaurirne la natura.
92 Per tutti, BETTIOL, L’ordine dell’Autorità, cit., 126 ss. 93 SANTORO, Esercizio, cit., 829. Per un’approfondita trattazione dell’argomento v.
ADEMPIMENTO DEL DOVERE COME CAUSA DI GIUSTIFICAZIONE
40
2.2.2. Il rapporto di supremazia e il dovere di obbedienza (rinvio).
Il rapporto di supremazia, e quindi di subordinazione, che assume
rilevanza ai fini dell’art. 51 c.p. può avere carattere generale o speciale, a seconda
che riguardi la collettività (ad es. l’ordine di polizia) oppure che riguardi uno o più
soggetti legati alla pubblica amministrazione da un rapporto qualificato di
dipendenza (l’ordine gerarchico)94. Ai fini dell’art. 51 c.p., dunque, destinatario
dell’ordine può essere, in linea di principio, chiunque95.
Il dovere di obbedienza inerisce, di conseguenza, alla posizione passiva del
soggetto sottoposto ad un vincolo pubblicistico di subordinazione generale o
speciale96.
Non v’è dubbio, tuttavia, che il rapporto gerarchico, di cui la potestà
ordinatoria è l’istituto portante, sia stato oggetto di particolare attenzione da parte
della dottrina che si è occupata dell’art. 51 c.p., in quanto, nell’ambito dei rapporti
di supremazia speciale, il dovere di obbedienza è tradizionalmente considerato
come funzionale alla pronta ed efficace realizzazione dei fini istituzionali della
pubblica amministrazione: è appunto il perseguimento dell’interesse pubblico che
consente, sul piano del bilanciamento di interessi, di giustificare una condotta
materialmente lesiva di un bene giuridico penalmente tutelato97.
ID., L’ordine del superiore, cit., 29 ss.
94 BETTIOL, L’ordine dell’autorità, cit., 128; DELITALA, Adempimento, cit., 570; PADOVANI, Diritto penale, cit., 151; ROMANO,Commentario, cit., 550. V. anche RIONDATO S., Diritto penale militare, cit., 204, nota 128, il quale afferma l’irrilevanza, agli effetti dell’art. 51, della distinzione tra ordini propri (ordini c.d. di polizia) e ordini impropri (c.d. gerarchici). Su tale ultima distinzione v. BASSI, op.cit., 998, il quale esclude dal novero degli ordini amministrativi gli ordini c.d. impropri.
95 MARINI, Lineamenti, cit., 400, il quale precisa che non si è dunque “in presenza di una scriminante propria o «privilegiata», richiedente nel soggetto cui si riferisce specifiche qualità giuspubblicistiche”.
96 ZACCARIA F., Obbedienza (Dovere di), in Noviss. dig. it., XI, 1965, 534. 97 Sul punto v. BETTIOL – PETTOELLO MANTOVANI, Diritto penale, cit., 370
ADEMPIMENTO DEL DOVERE COME CAUSA DI GIUSTIFICAZIONE
41
Si vedrà più oltre fino a che punto la particolare posizione dell’inferiore
gerarchico possa incidere sui limiti posti al dovere di obbedienza, anche in
relazione all’ordine illegittimo c.d. insindacabile (art. 51 ult. co.).
Il rapporto di supremazia/subordinazione che viene in considerazione ai
fini della scriminante è quello di natura pubblicistica, giacché l’art. 51 c.p. fa
espresso riferimento all’ordine legittimo emanato dalla “pubblica autorità”.
Quanto all’interpretazione della locuzione “pubblica autorità”, si oscilla, in
dottrina, tra chi vi ricomprende i soli pubblici ufficiali98 e chi vi include anche gli
incaricati di pubblici servizi99.
Secondo certa giurisprudenza a beneficiare della scriminante sarebbero i
pubblici ufficiali, gli incaricati di un pubblico servizio ed i privati esercenti un
servizio di pubblica necessità100.
ss., in cui si pone in evidenza che se “nei rapporti interni di gerarchia l’inferiore potesse rifiutarsi di eseguire gli ordini a lui imposti dal superiore, l’attività dello Stato e degli altri enti pubblici ne risulterebbe paralizzata o fortemente scossa”.
98 CARACCIOLI, Manuale, cit., 397, il quale ritiene che tale interpretazione sia necessitata dal fatto che, nel 2° co. dell’art. 51, il superiore è qualificato come “pubblico ufficiale”. V. anche MANZINI V., Trattato di diritto penale italiano, (a c. di PISAPIA G.D.), II, Torino, 1981, 325.
99 BETTIOL - PETTOELLO MANTOVANI, Diritto penale, cit., 370. 100 Così Cass. Pen., sez. IV, 20 ottobre 1967, in Cass. Pen. Mass., 1968, 1371. Contra
Cass. Pen., sez. III, 9 maggio 1957, in Giust. pen., 1957, II, 879 (con nota di SANTORO).
ADEMPIMENTO DEL DOVERE COME CAUSA DI GIUSTIFICAZIONE
42
2.2.2.1. La problematica concernente il c.d. ordine privato.
La disciplina dell'ordine dell’autorità come causa di giustificazione è
dunque circoscritta agli ordini che siano manifestazione della potestà pubblica.
La rilevanza di un ordine proveniente da privati, agli effetti dell’art. 51
c.p., viene generalmente esclusa, in dottrina, perché, anche se tale ordine è
espressione di un potere ordinatorio riconosciuto dall’ordinamento (tipico è il caso
del rapporto di subordinazione tra datore e prestatore di lavoro in ambito
privatistico), non può l’interesse privato prevalere su quello pubblico tutelato
dalla norma penale. In altri termini, solo il perseguimento di un pubblico
interesse, per il quale è prevista l’attribuzione di una potestà ordinatoria in capo
alla pubblica autorità, può giustificare la lesione di un bene giuridico penalmente
tutelato101.
La possibile rilevanza dell’ordine privato ai fini dell’art. 51 c.p. è
pacificamente esclusa anche in giurisprudenza102.
101 La dottrina è concorde sul punto: v., tra gli altri, MANTOVANI, Diritto penale,
cit., 253; PADOVANI, Diritto penale, cit., 151; ID., Osservazioni sulla rilevanza penale dell’ordine “privato”, in Mass. giur. lav., 1977, 464; PULITANO’, op. cit., 327. Sulla possibilità che anche un ordine privato possa determinare la liceità di una condotta penalmente rilevante, v. SANTORO, L’ordine, cit., 81 ss.; ID., L’esecuzione di ordini privati come causa di giustificazione, in Studi in memoria di Filippo Grispigni, Milano, 1956, 525 ss.: secondo l’A. se il consenso dell’avente diritto esclude l’illiceità penale allorché si tratti di diritti disponibili, a maggior ragione l’illiceità deve considerarsi esclusa quando il fatto è stato compiuto non come esercizio di una facoltà, ma in adempimento di un ordine privato che il destinatario era tenuto ad eseguire. L’A. precisa inoltre che l’ordine privato del superiore al dipendente è comunque inefficace qualora si riferisca a diritti altrui o a diritti spettanti allo stesso titolare dell’ordine, ma tutelati a prescindere dalla volontà di quest’ultimo.
102 Cfr., ad es., Cass. Pen., sez. IV, 11 maggio 1993, in Orient. giur. lav., 1993, 1024; Cass. Pen., sez. VI, 19 giugno 1990, in Riv. pen., 1991, 875 (nella specie l’ordine era stato impartito dal dirigente di una casa privata di ricovero per anziani); Cass. Pen., sez. V, 26 giugno 1990, in Cass. pen., 1991, 774 (secondo cui l’art. 51 prende in considerazione esclusivamente i rapporti di subordinazione previsti dal diritto pubblico e non anche i rapporti di diritto privato, come quelli intercorrenti tra i privati datori di lavoro ed i loro dipendenti); Cass. Pen., sez. V, 28 maggio 1984, in Cass. pen., 1986, 48 (nella specie è stato ritenuto rapporto di diritto privato, e dunque escluso dall’operatività della scriminante, quello
ADEMPIMENTO DEL DOVERE COME CAUSA DI GIUSTIFICAZIONE
43
Un’eventuale esclusione della punibilità per l’esecutore dell’ordine privato
potrebbe venire in considerazione sotto il profilo soggettivo della mancanza di
colpevolezza, nell’ipotesi in cui egli non avesse né la consapevolezza, né la
concreta possibilità di rendersi conto della illiceità del fatto103; la non punibilità
deriva, dunque, dall’applicazione dei principi generali in tema di colpevolezza.
Alcuni autori104 ravvisano, a fondamento dell’eventuale non punibilità per
l’esecutore dell’ordine privato criminoso (sempre sul piano dell’esclusione della
colpevolezza) l’impossibilità di esigere da costui un comportamento di rifiuto nei
confronti del superiore gerarchico, stante il condizionamento della volontà subito
dall’esecutore stesso. Tuttavia, in conformità a quanto affermato dalla prevalente
dottrina105, pare difficile ammettere che l’inesigibilità possa costituire causa
generale di esclusione della colpevolezza, in assenza di una scusante
espressamente prevista dal legislatore; non è chiaro, dunque, su quali basi l’ordine
privato, non trovando alcun riferimento nel codice penale, possa rientrare tra le
scusanti ammesse106.
intercorrente tra una associazione o società sportiva ed i suoi dipendenti); Cass. Pen., sez. II, 4 novembre 1982, ivi, 1984, 1642 (in tema di rapporti tra l’istituto di credito e i suoi dipendenti); Cass. Pen., sez. III, 21 gennaio 1981, ivi, 1982, 926 (in riferimento ad ordini impartiti da parte del legale rappresentante di una compagnia petrolifera); Cass. Pen., sez. IV, 20 ottobre 1967, cit. Cfr. però Cass. Pen., sez. IV, 28 novembre 1975, in Mass. giur. lav., 1977, 464 (con nota di PADOVANI) e in Cass. pen., 1977, 585 (con nota di LATTANZI) la quale sembrerebbe, invece, attribuire efficacia scriminante anche all’ordine privato: tuttavia pare che la corretta interpretazione della sentenza sia quella che riconduce la rilevanza dell’ordine privato sul piano della colpa (sul punto cfr. PADOVANI, Osservazioni, cit., 467 s.; PULITANÒ, op. cit., 328). Nella giurisprudenza di merito cfr. Pret. La Spezia, 20 febbraio 1978, in Foro it., II, 33, che ha escluso l’applicabilità dell’art. 51 nel caso di reato commesso dal ministro del culto cattolico in obbedienza all’ordine del superiore gerarchico.
103 Così MANTOVANI, op. ult. cit., 253, il quale porta l’esempio della responsabilità dell’esecuzione dell’ordine di rimuovere determinate installazioni antinfortunistiche del tecnico preposto, ma non del semplice lavoratore, qualora solo il primo sia in grado di rendersi conto, per le specifiche attribuzioni conferitegli, dell’illegittimità dell’ordine. Nello stesso senso PULITANO’, op. cit., 328.
104 FIANDACA - MUSCO, op. cit., 248. 105 Cfr., per tutti, MANTOVANI, op. cit., 375 ss., nonché gli stessi FIANDACA e
MUSCO, op. cit., 369 ss. 106 Come si vedrà, il Progetto Pagliaro ha previsto tra le cause soggettive di
ADEMPIMENTO DEL DOVERE COME CAUSA DI GIUSTIFICAZIONE
44
2.2.3. I presupposti di legittimità dell’ordine. Legittimità formale e
legittimità sostanziale.
Affinché l’ordine dell’autorità possa costituire causa di giustificazione per
il subordinato esecutore è necessario che esso sia legittimo.
Solo se l’ordine è integralmente legittimo, infatti, le condotte del superiore
e del subordinato, ossia l’emanazione e l’esecuzione dell’ordine, si porranno come
attuazione di una volontà statuale idonea giustificare la lesione materiale di un
bene giuridico penalmente tutelato107.
Legittimità significa, in generale, osservanza delle norme giuridiche che
regolano l’atto. L’ordine, poiché rientra nella categoria degli atti amministrativi,
deve essere immune dai vizi di legittimità propri di questo tipo di atti, ossia
l’incompetenza, la violazione di legge e l’eccesso di potere108.
In giurisprudenza si è in proposito affermato che per l'applicazione della
scriminante dell’adempimento del dovere è necessario che l'ordine sia legittimo,
ossia promanante dall'autorità competente, che sia stato dato nella forma prescritta
e che, infine, il suo contenuto rientri nell'esplicazione del servizio del subordinato
quanto all'essenza, ai mezzi ed al fine109.
La dottrina penalistica, trattando della legittimità dell’ordine, fa
riferimento, di solito, ai requisiti di legittimità formale e di legittimità sostanziale.
L’ordine si considera formalmente legittimo se sussistono i tre requisiti della
competenza del superiore ad impartirlo, della competenza del subordinato (o,
esclusione della colpevolezza anche l’ordine privato, qualora sussistano determinate condizioni; nel recente Progetto Nordio l’ordine privato figura tra le scusanti ammesse. V. infra, cap. IV, sez. I, par. 2.1. e 2.3.
107 ROMANO, Commentario, cit., 550. V. anche MANTOVANI, Diritto penale, cit., 254, il quale il afferma che solo l’ordine legittimo scrimina sia chi lo impartisce e chi lo esegue, perché il primo adempie un dovere derivante da una norma giuridica e il secondo indirettamente attua la volontà contenuta in tale norma.
108 Sui vizi di legittimità dell’ordine v. infra sez. III, par. 2. 109 In questi termini si è espressa Cass. Pen., sez. I, 27 gennaio 1987, in Cass. pen.,
ADEMPIMENTO DEL DOVERE COME CAUSA DI GIUSTIFICAZIONE
45
comunque, del destinatario) ad eseguirlo e dell’emanazione nelle forme prescritte
dalla legge. La legittimità sostanziale riguarda, invece, la sussistenza dei
presupposti di diritto e di fatto stabiliti dalla legge per l’emanazione dell’ordine110.
La preferenza mostrata dalla dottrina penalistica per l’utilizzo della
dicotomia “legittimità formale/legittimità sostanziale”, piuttosto che per l’uso
della tripartizione classica dei vizi dell’atto (incompetenza, violazione di legge e
eccesso di potere) sembra essere giustificata dalla sua funzionalità rispetto alla
determinazione dell’ampiezza del sindacato sulla legittimità dell’ordine consentito
all’esecutore, in relazione all’ultimo comma dell’art. 51 c.p. Infatti, la prevalente
dottrina ritiene che sia sempre ammesso il sindacato sulla legittimità formale
dell’ordine da parte dell’inferiore, mentre sottopone il potere di sindacato sulla
legittimità sostanziale a rilevanti limitazioni. Di ciò si dirà criticamente oltre111.
1988, 1855. Conf. Cass. Pen., sez. I, 10 giugno 1982, ivi, 1983, 882.
110 V., per tutti, FIANDACA – MUSCO, op. cit., 248. 111 V. infra cap. I, sez. IV.
SEZIONE II – LA DISCIPLINA DELL’ORDINE CRIMINOSO NEL
CODICE PENALE
SOMMARIO: 1. La responsabilità del superiore che ha impartito l’ordine criminoso. - 2.
L’affermazione della normale corresponsabilità dell’esecutore dell’ordine criminoso (art. 51, 3°
co. c.p.). Le cause di non punibilità per l’esecuzione dell’ordine criminoso. - 2.1. L’errore di
fatto sulla legittimità dell’ordine. Il problema della rilevanza dell’errore su legge extrapenale. -
2.2. L’ordine criminoso insindacabile (art. 51 ult. co. c.p.) (rinvio).
1. La responsabilità del superiore che ha impartito l’ordine criminoso.
L’art. 51 c.p. prende in considerazione anche l’ordine illegittimo
(criminoso), stabilendo, innanzitutto, che “se un fatto costituente reato è
commesso per ordine della Autorità, del reato risponde sempre il pubblico
ufficiale che ha dato l’ordine”(co. 2°).
Il principio affermato è, dunque, quello della normale responsabilità del
superiore che ha emanato l’ordine criminoso per il fatto commesso dal
subordinato in esecuzione dello stesso. L’utilizzo dell’avverbio “sempre”,
peraltro, non esclude la non punibilità del superiore per difetto di colpevolezza o
per la presenza di un’altra causa di giustificazione112.
Il pubblico ufficiale è, secondo i principi generali del concorso di persone
nel reato, autore “mediato” del reato113.
L’espressa affermazione della responsabilità del superiore è peraltro
superflua, in quanto desumibile dai principi generali in tema di concorso114. A
questo proposito, è stato da taluno rilevato che la presenza nel sistema dell’art. 51
112 Per tutti, ROMANO, Commentario, cit., 551. 113 PULITANO’, Esercizio, cit., 328. 114 PADOVANI T., Le ipotesi speciali di concorso nel reato, Milano, 1973, 164;
VIGANO’, sub art. 51, cit., 452, il quale rileva come la responsabilità del datore dell’ordine discenderebbe comunque, anche in assenza dell’art. 51, 2° co., dalla sua posizione di istigatore (e dunque di concorrente morale) del fatto di reato commesso dall’esecutore. Nello stesso senso cfr. PALAZZO, Corso di diritto penale. Parte generale, cit., 355.
ORDINE CRIMINOSO
48
2° co. non solo sarebbe inutile, ma anzi renderebbe problematica l’estensione
delle disposizioni specificamente dettate per il concorso e quindi anche
l’applicazione della circostanza aggravante prevista dall’art 112 n. 3 c.p.115, che
pure sembra formulata proprio per l’ipotesi della responsabilità del superiore116.
Se non sembra dubitabile l’applicabilità, a carico del superiore,
dell’aggravante citata117, è anche vero che l’esplicita affermazione della
responsabilità del superiore è stata probabilmente conseguenza del dibattito sulla
natura della “non punibilità” dell’esecutore dell’ordine criminoso insindacabile
(art. 51, ult co. c.p.), alternativamente concepita come causa di giustificazione o
come scusante118. Invero, la configurazione dell’ordine criminoso insindacabile
come causa di giustificazione comporta il “pericolo” della comunicabilità della
scriminante ai compartecipi, a sensi dell’art. 119, 2° co. c.p. Di qui, la necessità
dell’espressa previsione della punibilità del superiore. Come meglio si vedrà
oltre119, questi dubbi interpretativi non hanno tuttavia ragion d’essere, non solo
per l’inaccettabilità dell’inquadramento dell’ordine criminoso insindacabile tra le
cause di giustificazione, ma anche, e più radicalmente, per l’impossibilità di
rinvenire, nel nostro ordinamento giuridico, norme configuranti ordini criminosi
insindacabili e/o vincolanti.
115 L’art. 112 , n. 3 c.p. prevede l’aumento di pena “per chi, nell’esercizio della sua
autorità… ha determinato a commettere il reato persone ad esso soggette”. 116 PADOVANI, Le ipotesi speciali, cit., 164: secondo l’A. la previsione espressa
della responsabilità del p.u. per il reato commesso per suo ordine ha la sola funzione di dichiarare la natura “subiettiva” della scriminante, ai sensi dell’art. 119, 1° co. c.p. Su queste tematiche v. infra cap. I, sez. IV.
117 BETTIOL, L’ordine dell’autorità, cit., 176; SANTORO, L’ordine del superiore, cit., 223 ss.
118 Sul punto v. PADOVANI, op. ult. cit., 161 ss. 119 V. infra cap. I, sez. IV.
ORDINE CRIMINOSO
49
2. L’affermazione della normale corresponsabilità dell’esecutore
dell’ordine criminoso (art. 51, 3° co., c.p.). Le cause di non punibilità per
l’esecuzione dell’ordine criminoso.
Come risulta espressamente dal 3° comma dell’art. 51, del reato commesso
per ordine risponde anche il subordinato che lo ha eseguito.
Il principio affermato è dunque quello della normale corresponsabilità
dell’inferiore nell’illecito penale commesso per ordine del superiore.
Lo stesso articolo 51 prevede, tuttavia, la non punibilità dell’esecutore
dell’ordine criminoso se costui per errore di fatto ha ritenuto l’ordine legittimo (3°
co.) oppure se la legge non gli consente alcun sindacato sulla legittimità
dell’ordine (4° co.).
2.1. L’errore di fatto sulla legittimità dell’ordine. Il problema della
rilevanza dell’errore su legge extrapenale.
Il 3° comma dell’art. 51 prende in considerazione l’ipotesi in cui
l’inferiore, per errore di fatto, abbia ritenuto di obbedire ad un ordine legittimo,
sancendone la non punibilità. Tale non punibilità poggia su un difetto di
colpevolezza: l’inferiore agito senza dolo poichè ha erroneamente supposto la
presenza di una situazione che corrisponde ad una scriminante.
La formulazione della norma in esame ha fatto sorgere dubbi circa
l’interpretazione dell’espressione “errore di fatto”, sotto un duplice profilo: ci si è
chiesti, infatti, se essa riguardi anche l’errore su legge extrapenale e quale sia la
rilevanza di un errore colposo sulla legittimità dell’ordine.
Quanto al primo problema, alcuni autori120, attenendosi strettamente al
dato testuale, sostengono che l’art. 51 3° comma si riferisce esclusivamente
all’errore di fatto e non anche all’errore su legge extrapenale. Sarebbe rilevante,
120 SANTAMARIA, Lineamenti, cit., 95.
ORDINE CRIMINOSO
50
dunque, secondo questa impostazione, soltanto l’errore su circostanze materiali e
non anche l’errore sulla legittimità che abbia come causa l’erronea interpretazione
o l’ignoranza di una norma extrapenale121. Rispetto a qualsiasi altra scriminante
sarebbe possibile invocare a propria scusa qualsiasi errore, di fatto o di diritto, che
si sia risolto sul fatto della causa di giustificazione; diversamente, rispetto
all’ordine illegittimo della pubblica autorità scuserebbe solo l’erronea convinzione
di legittimità derivata da particolari circostanze materiali: l’art. 51 , 3° co. sarebbe
una previsione speciale a carattere restrittivo122. La soluzione restrittiva, adottata
anche dalla prevalente giurisprudenza123, si giustificherebbe in base alla
considerazione che se si interpretasse l’espressione “errore di fatto” contenuta
nell’art. 51 3° comma in senso ampio, la norma si limiterebbe a ripetere
puntualmente quanto previsto in generale dall’art. 59 comma 4°, risultando quindi
superflua124.
Pare, tuttavia, preferibile l’opinione della dottrina maggioritaria125, che,
sulla premessa che la legittimità è elemento normativo della scriminante delineata
121 Secondo DELITALA, Adempimento, cit., 572, un simile rigorismo potrebbe forse
essere giustificato dalla considerazione che “una volta ammessa la sindacabilità dell’ordine, non si può sotto pena di ridurre l’efficacia del sindacato, riconoscere valore di scusa anche ad un errore sulla legittimità che non abbia le sue radici in un vero e proprio errore di fatto”.
122 PADOVANI T., Ordine criminoso e obbedienza gerarchica nel diritto penale italiano, in Dei delitti e delle pene, 1987, 478 ss.
123 V., tra le altre, Cass. pen., 30 gennaio 1963, in Cass. pen., 1963, 493; Cass., 9 maggio 1957, in Giust. pen., 1957, II, 879, con nota di SANTORO A. Cfr. altresì Cass. Pen., sez. IV, 17 gennaio 1972, in Cass. Pen. Mass. ann., 1973, 1227, in cui, nel caso di delitto colposo per inosservanza di ordini, si è affermata l’inapplicabilità dell’esimente di cui all’art. 51, 3° co., se la condotta colposa sia determinata da erronea interpretazione dell’ordine ricevuto per ciò che attiene all’oggetto e ai limiti dell’ordine stesso e, quindi, alla sua efficacia giustificante, giacché in tal caso l’errata interpretazione dell’ordine si risolve in nell’ignoranza o nell’errore di diritto inescusabili, poiché a ciascuno incombe l’obbligo di accertare i limiti e le condizioni secondo cui deve svolgersi la sua attività.
124 PADOVANI, op. ult. cit., 479. 125 V. FIANDACA – MUSCO, Diritto penale, cit., 250; GROSSO, L’errore sulle
scriminanti, cit., 204; PAGLIARO, Principi, cit., 439; ROMANO, Commentario, cit., 551, il quale rileva che “il parallelismo tra il dovere derivante dall’ordine dell’autorità e quello derivante da una norma giuridica, fa propendere per la rilevanza anche dell’errore su legge diversa dalla legge penale”.
ORDINE CRIMINOSO
51
dall’art. 51, 3° co., attribuisce rilevanza anche all’errore su norma extrapenale, in
ossequio ai principi generali derivanti dagli artt. 47, co 3° e 59, co. 4°c.p.126.
Peraltro, accogliendo la tesi restrittiva si arriverebbe alla conseguenza che
per il superiore l’ambito della situazione putativa scusante sarebbe più esteso che
per il subordinato, giacché per il primo valgono le norme generali e non l’art. 51
3° co.127.
Conferma della validità della tesi da ultimo prospettata si ricava anche dal
tenore dell’art. 51 3° comma c.p., giacché la locuzione “errore di fatto” è
utilizzata anche nella rubrica dell’art. 47, dove è intesa in senso ampio128.
Per quanto riguarda, invece, il problema della rilevanza dell’errore
colposo, sembra preferibile ritenere che, nel silenzio dell’art. 51 3° co., debba
farsi luogo alla disciplina generale in tema di errore sulle cause di giustificazione
di cui all’art. 59, 4° co., il quale prevede la responsabilità a titolo di colpa quando
il fatto sia previsto dalla legge come delitto colposo129.
Taluni autori, tuttavia, anche nel tentativo di dare un significato
all’esistenza di un’autonoma disposizione relativa all’errore sulla legittimità
dell’ordine, ritengono che l’art. 51, 3° co., tacendo in merito ad un’eventuale
residuale responsabilità colposa (prevista, invece, sia nell’art. 47 che nell’art. 59
c.p.), permetterebbe di non dover indagare se il soggetto è caduto in errore per
126 V. anche PULITANO’, Esercizio, cit., 330, il quale precisa che lo spazio per un
errore extrapenale escludente il dolo è ravvisabile, in linea di massima, nell’errore sui presupposti legali sostanziali di legittimità dell’ordine, mentre l’errore sui presupposti legali d’efficacia vincolante di un dato tipo di ordine ricadrebbe nella disciplina prevista dall’art. 5 c.p. (ad es. l’errore di chi abbia eseguito, ritenendosi a ciò obbligato, provvedimenti coercitivi non emessi dall’autorità giudiziaria nelle forme dovute).
127 GROSSO, L’errore sulle scriminanti, cit., 206. 128 Cfr. ALBEGGIANI, sub art. 51, cit., 322; RIONDATO, Diritto penale militare,
cit., 206, il quale pone in evidenza che per “errore di fatto” deve intendersi un errore che per un verso si struttura come quello disciplinato dall’art. 47 c.p., comprensivo dunque anche dell’errore su legge extrapenale, e per l’altro verso ricade sulla legittimità dell’ordine, la quale abbraccia un campo più vasto di quello interessato dall’art. 47.
129 Di questa opinione sono, tra gli altri, BETTIOL, L’ordine, cit., 174; MANTOVANI, Diritto penale, cit., 255.
ORDINE CRIMINOSO
52
colpa o senza colpa130. Su questa linea di pensiero si è affermato131 che l’art. 51 3°
co. costituirebbe una deroga all’ultimo comma dell’art. 59 c.p. nella parte in cui
esso prevede la rilevanza dell’errore colposo. Ciò comporterebbe la non punibilità
dell’esecutore anche nell’ipotesi in cui l’errore sia inescusabile e risponderebbe
all’intenzione del legislatore di trattare con maggior benevolenza il subordinato,
“in vista dello stato di soggezione morale in cui egli si trova nei confronti del
superiore che emana l’ordine”132.
2.2. L’ordine criminoso insindacabile (art. 51 ult. co. c.p.) (rinvio).
L’ultimo comma dell’articolo 51 c.p. stabilisce che “non è punibile chi
esegue l’ordine illegittimo quando la legge non gli consente alcun sindacato sulla
legittimità dell’ordine”. E’ chiaro che il tipo di illegittimità cui fa riferimento la
disposizione in esame non può che essere la criminosità, giacché l’art. 51 riguarda
la responsabilità di colui che per ordine abbia commesso un fatto costituente
reato.
La formulazione di questa norma ha fatto sorgere, in dottrina, contrasti
interpretativi relativamente ai limiti dell’insindacabilità, all’individuazione delle
categorie di subordinati a cui essa si riferisce e, soprattutto, all’inquadramento
della “non punibilità” nell’ambito delle cause di giustificazione o delle scusanti.
Di ciò si tratterà criticamente oltre133.
A prescindere, tuttavia, dalle risultanze delle elaborazioni dottrinali in sede
di interpretazione della norma in esame, ci si può chiedere, su un piano più
generale, se sia possibile, nell’attuale assetto dell’ordinamento giuridico italiano,
130 Cfr. FROSALI R.A., L’errore nella teoria del diritto penale, 1933, 463; ROCCO,
Sul progetto preliminare di un nuovo codice penale, in Opere giuridiche, Roma, 1933, III, 593; SANTORO, L’ordine del superiore, cit., 255.
131 GROSSO, L’errore sulle scriminanti, cit., 243. 132 GROSSO, L’errore sulle scriminanti, cit., 243. 133 V. infra sez. IV.
ORDINE CRIMINOSO
53
la configurazione stessa di una categoria di ordini criminosi insindacabili e/o
vincolanti.
L’art. 51 ult. co. c.p. contiene un espresso rinvio alla “legge” che non
consente all’inferiore alcun sindacato sulla legittimità dell’ordine. Si è, dunque, in
presenza di un elemento normativo della fattispecie scriminante; pertanto, per
valutare l’applicabilità dell’art. 51 ult. co., è necessario fare riferimento alle
norme di diritto amministrativo che disciplinano il rapporto gerarchico nei
differenti settori pubblici e stabilire, in base ad esse, se, ed entro quali limiti, il
subordinato può esercitare il sindacato sulla legittimità dell’ordine.
Nel prossimo capitolo ci si soffermerà, dunque, sulla disciplina
concernente il contenuto e i limiti del dovere di obbedienza del dipendente
pubblico civile e militare.
SEZIONE III - ORDINE ILLEGITTIMO TRA DOVERE DI
OBBEDIENZA E DOVERE DI DISOBBEDIENZA.
SOMMARIO: 1. Rapporto gerarchico e dovere di obbedienza. - 2. I vizi di legittimità dell’ordine.
L’ordine criminoso. - 3. Contenuto e limiti del dovere di obbedienza. Il sindacato sulla
legittimità dell’ordine. - 3.1. La disciplina prevista per gli impiegati civili dello Stato. - 3.1.1.
Ordine illegittimo e dovere di rimostranza. – 3.1.2. Il dovere di disobbedienza nei confronti
dell’ordine criminoso o costituente illecito amministrativo. - 3.2. La disciplina prevista per i
militari e assimilati. - 3.2.1. L’ordine illegittimo come limite al dovere di obbedienza. Il
sindacato sulla legittimità dell’ordine. - 3.2.2. Il dovere di disobbedienza nel caso di criminosità,
anche non manifesta, dell’ordine ricevuto. - 3.2.3. La problematica concernente l’ordine
illegittimo confermato (rinvio).
1. Rapporto gerarchico e dovere di obbedienza.
L’ordine dell’autorità, rilevante ai fini dell’art. 51 c.p., può, come si è
detto, riferirsi ad un rapporto di supremazia/subordinazione sia speciale (ordine
gerarchico) che generale (ordine di polizia).
Particolare interesse riveste, ai fini della presente indagine, l’ordine
gerarchico, cioè l’ordine inerente ad un rapporto qualificato di dipendenza
pubblicistica in virtù del quale la condotta di un soggetto è vincolata dalla volontà
di un organo sovraordinato134.
Il rapporto gerarchico è il fondamento del potere ordinatorio speciale, che
ne costituisce, per così dire, il “nucleo forte”135, e del correlativo dovere di
obbedienza dell’inferiore. La violazione del dovere di obbedienza da parte
dell’inferiore è sanzionata disciplinarmente e, in ambito militare, anche
penalmente (art. 173 c.p.m.p.).
134 PADOVANI, Diritto penale, cit., 151. Per approfondimenti sulla nozione di
gerarchia cfr. SANDULLI, op. cit., 239 ss.; SCOCA F.G., I modelli organizzativi, in AA.VV., Diritto amministrativo, cit., I, 604 ss.
135 SCOCA, op. cit., 605.
ORDINE ILLEGITTIMO
56
Il dovere di obbedienza, come espressione di un vincolo di supremazia
speciale, inerisce dunque al soggetto partecipe dell’organizzazione, presentandosi
come strumentale per la realizzazione dei fini dell’organizzazione stessa,
assicurando il coordinamento e quindi l’efficienza dell’azione di tutti i soggetti
che ne fanno parte.
Ora, se è vero che una subordinazione di carattere funzionale si presenta
come necessaria in ogni organizzazione preordinata ad un fine136, altrettanto vero
è che, storicamente, la necessità che i singoli uffici fossero legati da un vincolo
gerarchico piramidale ha assunto un carattere ancor più immanente nell’ambito
dell’organizzazione amministrativa137.
La nozione di gerarchia, nata e sviluppatasi nell’ambito dell’ordinamento
militare, come già anche in ordinamenti di antica tradizione (come quello
canonico), si è poi trasferita sul terreno dell’organizzazione amministrativa,
arrivando a rappresentarne il principio portante. Inizialmente utilizzata per
indicare una relazione di dipendenza personale, tale nozione si è poi affermata
come modello cardine dei rapporti tra uffici.
Nel corso del tempo, si è assistito, tuttavia, alla progressiva attenuazione
dell’intensità del rapporto gerarchico, determinata in primo luogo dall’attuazione
della disciplina costituzionale sull’organizzazione amministrativa. La distinzione
delle “sfere di competenza” nell’ordinamento degli uffici, in conformità a quanto
disposto dall’art. 97 Cost., ha determinato, infatti, l’affievolimento del potere di
ingerenza nell’attività dell’ufficio subordinato138.
Ma più in generale, anche nel più ristretto ambito di operatività del
principio di gerarchia, l’obbedienza gerarchica è da considerare non già come un
atteggiamento di passiva sottomissione ad un potere autoritativo bensì come una
136 Anche nell’ambito del diritto privato, infatti, la subordinazione gerarchica è il
tratto caratteristico del rapporto di lavoro (v. artt. 2086; 2104 c.c.). 137 Sul punto v. ZACCARIA, Obbedienza, cit., 534. 138 Sull’evoluzione del concetto di gerarchia v. SCOCA, op. cit., 605 ss. In argomento
ORDINE ILLEGITTIMO
57
forma di attiva cooperazione al raggiungimento di finalità condivise sia
dall’inferiore, tenuto all’obbedienza, che dal superiore gerarchico che impartisce
l’ordine139.
Non si può, infine, non porre in rilievo come il processo di privatizzazione
del pubblico impiego, che ha idealmente preso le mosse dal D. Lgs. n. 29 del 1993
(ora sostituito dal D.Lgs. n. 165 del 2001), abbia ulteriormente inciso sul rapporto
gerarchico, sia dal punto di vista dell’estensione (se non addirittura della natura)
del dovere di obbedienza, sia in ordine al correlativo potere disciplinare (in virtù,
appunto, di una riqualificazione sia dell’uno che dell’altro in senso più o meno
coerentemente privatistico). Invero, a questo processo di privatizzazione (processo
non privo di contraddizioni e difficoltà di ordine anche tecnico-giuridico, data la
natura “ibrida” che viene in tal modo ad assumere il rapporto di lavoro alle
dipendenze della P.A.), corrisponde la progressiva affermazione, anche
nell’ordinamento italiano (a partire dalla legge n. 241/1990 e successive
modificazioni140), di una concezione dell’amministrazione pubblica come
“amministrazione di risultato”, ossia di un’amministrazione chiamata a
rispondere, almeno nelle intenzioni del legislatore141, non solo della legittimità
formale del proprio operato, ma anche e soprattutto dei risultati raggiunti
(performance oriented)142.
v. anche CONTI G., Organizzazione gerarchica e Stato democratico, Padova, 1989.
139 Così ZACCARIA F., Obbedienza (Dovere di), in App. Noviss. dig. it., V, 1984, 306.
140 Vanno in particolare ricordate, ai fini del discorso di cui nel testo, le modifiche introdotte alla legge n. 241/1990 dalla legge n. 15/2005, ed in particolar modo gli artt. 21octies e 21nonies, ispirati al principio di matrice processualcivilistica del cd. raggiungimento dello scopo.
141 E’ ben nota, infatti, la mancata realizzazione, da più parti lamentata, di un efficiente ed effettivo (ossia non meramente “burocratico”) sistema di “valutazione delle performance” anche del sistema pubblico in grado di promuovere l’ambizioso “mutamento di paradigma” nella gestione della cosa pubblica.
142 Risultati che l’assetto normativo attuale vorrebbe sottoposti a controlli non solo di legittimità e di regolarità amministrativa e contabile, ma anche di gestione, strategici e di valutazione dei dipendenti pubblici (in particolare dei dirigenti). Per uno sguardo d’insieme
ORDINE ILLEGITTIMO
58
Una concezione dell’amministrazione pubblica, insomma, che – spostando
il fulcro dell’organizzazione dal concetto “burocratico” di gerarchia a quello
“aziendalistico” di competenza (ampiamente intesa) e al contempo subordinando
il principio di legalità formale alle esigenze di efficienza dell’azione
amministrativa - inevitabilmente prefigura possibili tensioni tra “amministrazione
di risultato” e “amministrazione legale”, ponendo problemi di compatibilità tra gli
istituti legati ai valori dell’efficienza e il principio costituzionalmente
irrinunciabile della legalità. Da qui la necessità di riaffermare il principio di
legalità dell’azione amministrativa, non contrapponendolo bensì integrandolo
(potenziandolo nei suoi aspetti sostanziali) con il dovere normativamente regolato
di uniformarsi al principio di buon andamento dell’amministrazione pubblica (art.
97 Cost.)143.
In questo contesto normativo in continuo mutamento, non priva di
interesse, per il tema che qui ci occupa (esecuzione di ordini illegittimi), risulta
essere anche la recente riforma in materia di produttività del lavoro pubblico144, la
sull’attuale assetto dell’organizzazione pubblica in Italia si rimanda alla Relazione al Parlamento sullo stato della Pubblica Amministrazione per il 2007, 2 voll., in http://www.innovazionepa.gov.it/ministro/azioni_ministro/3159.htm (sul tema della «valutazione della performance» vedi in particolare il vol. I, pp. 193 e ss. e il vol. II, pp. 63 e ss.). In tema di valutazione delle performance vedi anche l’articolo “Valutazione dei risultati pubblici e contratti collettivi” pubblicato sulla rivista elettronica Arannewsletter, 2007, n. 6 (www.aranagenzia.it). Con riferimento anche ai possibili contrasti tra “amministrazione legale” e “amministrazione di risultato”, vedi il sintetico scritto di LOGIUDICE F., Amministrazione di risultato: verso un sistema performance oriented, 14 settembre 2006, in http://www.altalex.com/index.php?idnot=34814.
143 Sul tema della c.d. «amministrazione di risultato», con particolare riferimento al non facile problema dell’equilibrio tra il polo dell’efficienza e quello della garanzia della legalità, vedi AA.VV., Principio di legalità e amministrazione di risultati: atti del Convegno, Palermo 27-28 febbraio 2003, a cura di IMMORDINO M. e POLICE A., Torino, 2004 e AA.VV., Le riforme della L. 7 agosto 1990, n. 241 tra garanzia di legalità ed amministrazione di risultato, a cura di PERFETTI L. R., Padova, 2008.
144 Ci si riferisce in particolare alla legge n. 15/2009 (recante la «Delega al Governo finalizzata all'ottimizzazione della produttività del lavoro pubblico e alla efficienza e trasparenza delle pubbliche amministrazioni nonché disposizioni integrative delle funzioni attribuite al Consiglio nazionale dell'economia e del lavoro e alla Corte dei conti») e al
ORDINE ILLEGITTIMO
59
quale se da un lato mira ad ampliare ulteriormente i poteri disciplinari dei
dirigenti pubblici (ossia dei superiori gerarchici per eccellenza) riconducendoli
nell’alveo dei poteri organizzatori (e quindi discrezionali) del datore di lavoro
privato, dall’altro sottrae la disciplina del sistema sanzionatorio dei pubblici
dipendenti ai contratti collettivi, per riassegnarla alla competenza legislativa (tra
le «norme imperative inderogabili»), nell’ambito di un generale processo di
“rilegificazione” messo in atto dalla riforma stessa.
D’altra parte, anche in ambito militare, dove pure permane la natura
eminentemente personale del rapporto gerarchico, si è assistito ad una evoluzione
del principio di subordinazione e si è passati da una situazione di assoluta
sottomissione dell’inferiore ai superiori in grado ad un “rapporto di dipendenza
determinato dalla gerarchia militare” (art. 4 d.P.R. 545/1986), più conforme al
mutato assetto dell’ordinamento giuridico generale145.
Con l’entrata in vigore della legge 382 del 1978 (Norme di principio sulla
disciplina militare) la disciplina militare, ossia quel complesso di norme
giuridiche attinenti allo status di militare, e, concernenti quindi i diritti e doveri
del miliare, ha subito una profonda trasformazione. Il chiaro intento della legge
sui principi è, infatti, quello di conformare la disciplina militare al dettato
costituzionale e, in particolare, all’art. 52 3° Cost., secondo cui “l’ordinamento
militare si informa allo spirito democratico della Repubblica”. Ciò emerge con
evidenza dal tenore della legge, la quale enuncia che l’ordinamento e l’attività
delle Forze armate si informano ai principi costituzionali e che il loro compito
fondamentale è la salvaguardia delle libere istituzioni (art. 1)146, e individua altresì
conseguente decreto legislativo (approvato in via definitiva il 9 ottobre 2009 e in corso di pubblicazione).
145 SANTORO V., Sub art. 4, in AA.VV, Il nuovo ordinamento disciplinare delle Forze Armate, cit., 66.
146 L’art. 1 della l. n. 382/78 è stato abrogato dall’art. 1, co. 7, della l. 14 novembre 2000, n. 331 (Norme per l’istituzione del servizio militare professionale). Tuttavia i commi da 1 a 5 dell’art. 1 l. 331/2000 ripetono nella sostanza il contenuto dell’abrogato art. 1 l. 382/78, stabilendo che “1. Le Forze armate sono al servizio Repubblica. 2. L’ordinamento e le attività
ORDINE ILLEGITTIMO
60
il fondamento dei doveri del militare nell’assoluta fedeltà alle istituzioni
repubblicane (art. 4, 1° co)147.
In questo contesto, la gerarchia non può, dunque, più significare
ingiustificato privilegio del superiore, né l’obbedienza può essere cieca, giacché
essa è uno strumento che ha valore soltanto nei limiti in cui ha valore lo scopo cui
è diretta148. L’obbedienza deve, al contrario, essere vigile, affinché l’attuazione
della volontà del superiore si concreti in attività direttamente rivolte al
perseguimento dei compiti istituzionali delle Forze armate.
Al militare perciò si chiede di osservare le norme relative alla disciplina e
al rapporto gerarchico con “senso di responsabilità e consapevole
partecipazione”, come espressamente previsto dall’art. 4 comma 2° della legge sui
principi. In sostanza, ciò che si richiede al militare è che nel suo operare si renda
consapevole dei supremi valori dell’ordinamento statuale e delle finalità
dell’istituzione e partecipe della loro realizzazione in osservanza della
Costituzione e dalle leggi149.
Premesse queste generali considerazioni in merito all’evoluzione del
dovere di obbedienza, e prima di esaminare più in dettaglio quale sia la normativa
prevista in materia per gli impiegati civili dello Stato e per i militari, è opportuno
enucleare la nozione di ordine illegittimo. Se non v’è dubbio, infatti, che l’ordine
delle Forze armate sono conformi agli articoli 11 e 52 della Costituzione e alla legge. 3. Compito prioritario delle Forze armate è la difesa dello Stato. 4. Le Forze armate hanno altresì il compito di operare al fine della realizzazione della pace e della sicurezza, in conformità alle regole del diritto internazionale ed alle determinazioni delle organizzazioni internazionali delle quali l’Italia fa parfte. 5. Le Forze armate concorrono alla salvaguardia delle libere istituzioni e svolgono compiti specifici in circostanze di pubblica calamità e in altri casi di straordinaria necessità ed urgenza.”
147 In argomento v. PELLEGRINO B., Valori costituzionali della disciplina militare e sua tutela nel codice penale militare di pace e nelle nuove norme di principio, in Rass. giust. mil., 1979, 21 ss.
148 MAGGIORE R., Brevi considerazioni sull’esimente dell’obbedienza all’ordine gerarchico militare, in Rass. Arma Carab., 1979, 183; PELLEGRINO B., Nuovi profili in tema di obbedienza gerarchica, in Riv. it. dir. e proc. pen., 1978, 151.
149 RIONDATO, Diritto penale militare, cit., 214.
ORDINE ILLEGITTIMO
61
legittimo faccia sempre sorgere il dovere di obbedienza per il subordinato che lo
riceve, ben più complessa è la questione riguardante la posizione dell’inferiore nei
confronti dell’ordine illegittimo, in quanto le esigenze connesse all’efficienza
dell’attività della pubblica amministrazione potrebbero far ritenere che in
presenza di determinati interessi (come il perseguimento di un risultato
«pubblicisticamente» qualificato), ed entro certi limiti (per es. la «manifesta»
criminosità), possa essere dovuta obbedienza anche all’ordine illegittimo.
2. I vizi di legittimità dell’ordine. L’ordine criminoso.
L'ordine rientra, come si è visto150, nella categoria degli atti
amministrativi; la sua illegittimità può derivare, pertanto, dalla presenza di uno
dei tre vizi che, secondo l’elaborazione della dottrina amministrativista, possono
inficiare gli elementi essenziali dell’atto amministrativo: incompetenza,
violazione di legge ed eccesso di potere151.
L’incompetenza si verifica quando colui che emana l’ordine abbia
esorbitato dai limiti della propria competenza, e sempre che la mancanza di potere
di impartire l’ordine non derivi da un vero e proprio difetto di attribuzione, nel
qual caso l’atto sarebbe addirittura inesistente.
L’eccesso di potere riguarda, invece, la finalità per cui l’ordine è stato
emanato. Esso consiste, dunque, nella deviazione dell’atto dalla sua finalità
istituzionale: ciò accade quando l’ordine è emanato per un fine diverso rispetto a
quello per il quale il potere di emanarlo era stato attribuito al superiore. Si parla,
più propriamente, in questo caso, di “sviamento di potere”, il quale rientra nella
più ampia categoria dell’eccesso di potere, che comprende anche tutti i vizi
dell’iter logico di formazione dell’ordine (ossia l’illogicità, l’irragionevolezza,
150 V. supra sez. I, par. 2.2.1. 151 Per una dettagliata analisi dei vizi di legittimità dell’atto amministrativo si rinvia a
SANDULLI, Manuale, cit., 705 ss. e a VILLATA, op. cit., 1464 ss.
ORDINE ILLEGITTIMO
62
l’incoerenza dell’iter logico), che possono far sorgere il dubbio che vi sia una
divergenza tra la sua finalità tipica e quella realmente perseguita (c.d. figure
sintomatiche dell’eccesso di potere).
La violazione di legge, infine, è la categoria più ampia dei vizi di
legittimità e ha carattere residuale, nel senso che ricorre tutte le volte in cui il
vizio non è riconducibile né a incompetenza né ad eccesso di potere.
L’ordine criminoso è un ordine illegittimo. Più precisamente, l’ordine di
commettere un reato, ossia di compiere un’attività vietata dalla legge penale, ha
contenuto illecito. Pertanto, la manifestazione di volontà con la quale si impone
all’inferiore una condotta costituente reato solo impropriamente può essere
definita un ordine, dato che la sua stessa esistenza è esclusa per l’illiceità penale
del suo contenuto152.
3. Contenuto e limiti del dovere di obbedienza. Il sindacato sulla legittimità
dell’ordine.
L’ultimo comma dell’articolo 51 c.p. esclude la punibilità dell’esecutore
dell’ordine illegittimo (criminoso) nel caso in cui la legge non gli consenta alcun
sindacato sulla legittimità dell’ordine.
L’espresso rinvio, operato dalla disposizione in esame, alla “legge” che
non consente alcun sindacato sulla legittimità dell’ordine, impone la
considerazione delle norme di diritto amministrativo che regolano la potestà
ordinatoria e il correlativo dovere di obbedienza nei diversi settori pubblici, al fine
di verificare se vi siano nel nostro ordinamento norme che, escludendo per
l’inferiore la possibilità di sindacare l’ordine, prevedano casi in cui il dovere di
obbedienza si estenda anche all’ordine criminoso.
152 In questo senso v. ROSIN G., Il militare fra dovere di obbedienza e dovere di
disobbedienza. L’esecuzione dell’ordine criminoso, in Rass. giust. mil., 1982, 219.
ORDINE ILLEGITTIMO
63
Dall’estensione del potere di sindacato sulla legittimità dell’ordine
attribuito all’inferiore dipende, invero, la configurazione del dovere di obbedienza
in termini più o meno assoluti153.
Se, infatti, al dipendente non fosse in ipotesi consentito alcun sindacato
sulla legittimità dell’ordine, egli dovrebbe obbedire anche all’ordine illegittimo.
La teoria dell’obbedienza assoluta viene tradizionalmente giustificata dalla
necessità per la pubblica amministrazione di avere un’organizzazione efficiente al
fine di meglio soddisfare un interesse pubblico, nonché dalla considerazione che il
superiore sia, quanto meno per la sua maggiore esperienza, più qualificato del
subordinato nell’interpretare la legge e applicarla alla fattispecie concreta154.
Al contrario, se al subordinato è consentito un sindacato pieno sulla
legittimità dell’ordine, sia sotto il profilo formale che sotto quello sostanziale, il
dovere di obbedienza riguarderà soltanto l’ordine legittimo: l’inferiore, infatti,
avendo la possibilità di valutare la legittimità dell’ordine, dovrà disobbedire
all’ordine che non sia conforme alla legge155.
153 Per una panoramica sulle principali teorie relative al sindacato di legittimità del
pubblico impiegato v. MANFREDI SELVAGGI C. A., Fedeltà ed obbedienza nel pubblico impiego, Poggibonsi, 1995, 68 ss.
154 Questa teoria, accolta pienamente nello Stato assoluto, ha subito attenuazioni nel corso del tempo, giungendo all’esclusione del dovere di obbedienza nel caso di ordine criminoso. In critica a questa teoria si è affermato (v. ORLANDO V.E., Principi di diritto amministrativo, Firenze, 1892, 105) che “la gerarchia amministrativa non presuppone l’annichilimento della volontà dell’agente in quella del superiore” giacché “l’ufficio pubblico di cui l’inferiore è incaricato non gli proviene dal superiore ma dalla legge”.
155 Sul punto v. GALATERIA, Teoria giuridica degli ordini amministrativi, cit., 197 ss: “gli organi amministrativi ed i cittadini non stanno di fronte ad un atto amministrativo viziato solo nella alternativa se devono obbedienza a questo atto oppure no, ma stanno nell’alternativa se essi debbono piuttosto tenere presente la legge, oppure l’atto amministrativo che alla legge non corrisponde”, dove non v’è dubbio che, in questa alternativa, bisogna sempre tener fede alla legge. Inconveniente di questa teoria è la possibilità che l’esecuzione dell’ordine si lasciata alla valutazione del tutto subiettiva dell’inferiore, con il rischio della paralisi dell’attività amministrativa: in questo senso v. , tra gli altri, CARDONE A., La subordinazione gerarchica nel rapporto di pubblico impiego, in Amm. it., 1956, 502.
ORDINE ILLEGITTIMO
64
Tra la teoria dell’obbedienza assoluta e quella del sindacato sostanziale (o
pieno), se ne pongono altre intermedie, quale quella secondo cui al subordinato è
consentito soltanto il sindacato sulla legittimità formale dell’ordine (competenza
del superiore ad impartire l’ordine, competenza dell’inferiore ad eseguirlo,
rispetto dei requisiti di forma dell’atto), con esclusione del sindacato sulla
legittimità sostanziale156 oppure quella c.d. della rimostranza, per cui l’inferiore,
qualora l’ordine gli appaia palesemente illegittimo, deve farlo presente al
superiore157.
Poste queste generali considerazioni sul rapporto tra sindacato di
legittimità e dovere di obbedienza, per un inquadramento in senso lato sistematico
della questione, risulta funzionale esaminare preliminarmente la disciplina
concernente il contenuto e i limiti del dovere di obbedienza prevista per gli
impiegati civili dello Stato e solo in un secondo distinto momento quella prevista
per i militari. Se, infatti, è specificamente per questi ultimi che si tende, in
dottrina158, a ritenere configurabili categorie di ordini criminosi insindacabili (per
cui si rende necessaria una approfondita trattazione ad hoc della disciplina di
settore), non si può disconoscere l’utilità di tratteggiare, seppur per sommi capi, le
linee evolutive generali dell’organizzazione della pubblica amministrazione nel
nostro ordinamento, nel cui contesto istituzionale (e costituzionale) deve ad ogni
modo essere inserita la speciale disciplina dell’organizzazione militare.
In effetti, il c.d. processo di privatizzazione che ha investito in via generale
il rapporto di lavoro dei dipendenti dell’amministrazione pubblica, ha comportato
156 Questa teoria è sostenuta, ad es., da DE VALLES A., La validità degli atti
amministrativi, Padova, 1986, 374. Si vedrà più oltre (sez. IV) come questa teoria sia stata sostenuta al fine di interpretare l’ultimo comma dell’art. 51 c.p., pur con l’ammissione che l’impossibiltà di sindacare la legittimità sostanziale trovi un limite nella manifesta criminosità dell’ordine.
157 A sostegno di questa tesi v. ZACCARIA F., I limiti al dovere di obbedienza nel rapporto di pubblico impiego, Roma, 1962. In critica v. ORLANDO, op. cit., 105, secondo il quale “nella sfera del diritto non può trovare ospitalità il criterio affatto subiettivo della evidenza”.
ORDINE ILLEGITTIMO
65
un vero e proprio mutamento di paradigma, con il graduale superamento della
tradizionale concezione autoritaria del rapporto e della subordinazione gerarchica,
attraverso l’affermazione della posizione paritaria tra datore di lavoro e
dipendente. Un processo complesso (questo della privatizzazione del lavoro
pubblico) che non senza contraddizioni si inserisce in una più ampia e
“programmatica” attuazione del dettato costituzionale (artt. 28 e 97), alla stregua
del quale si vede con sempre maggior stringenza affermarsi un principio di
legalità dell’azione amministrativa rafforzato in senso sostanziale, ossia
inscindibile dalla considerazione di una consapevole e quindi responsabile
partecipazione di ogni pubblico dipendente al perseguimento del buon andamento
della amministrazione di appartenenza.
3.1. La disciplina prevista per gli impiegati civili dello Stato.
Prima della c.d. privatizzazione del pubblico impiego, il dovere di
obbedienza per gli impiegati civili dello Stato trovava esplicita previsione nell’art.
16, 1° co. del d.P.R. 10 gennaio 1957 n. 3 (Testo Unico degli impiegati civili dello
Stato), il quale stabiliva che “l’impiegato deve eseguire gli ordini che gli siano
impartiti dal superiore gerarchico relativamente alle proprie funzioni e
mansioni”. Il dovere di obbedienza non veniva meno nel caso in cui insorgessero
difficoltà o inconvenienti relativi all’esecuzione dell’ordine: in tal caso sorgeva
per l’inferiore l’obbligo di riferirne ai superiori seguendo la via gerarchica (art.
16, 2° co.). L’art 17, rubricato “Limiti al dovere verso il superiore”, prevedeva: il
dovere di rimostranza nei confronti dell’ordine palesemente illegittimo, con il
conseguente obbligo di esecuzione dell’ordine rinnovato per iscritto; il dovere di
disobbedienza qualora l’ordine costituisse illecito penale159.
158 V. infra cap. IV. 159 “L’impiegato al quale, dal proprio superiore, venga impartito un ordine che egli
ritenga palesemente illegittimo, deve farne rimostranza allo stesso superiore, dichiarandone le ragioni. Se l’ordine è rinnovato per iscritto, l’impiegato ha il dovere di darvi esecuzione. L’impiegato non deve comunque eseguire l’ordine del superiore quando l’atto sia vietato
ORDINE ILLEGITTIMO
66
A seguito della menzionata privatizzazione del pubblico impiego (riforma
attuata con il D. Lgs. n. 29/1993, ora sostituito dal D. lgs. n. 165 del 2001160), i
rapporti di lavoro dei dipendenti delle amministrazioni pubbliche sono stati quasi
integralmente assoggettati alla disciplina privatistica del codice civile (capo I,
titolo II, del libro V) e delle leggi sui rapporti di lavoro subordinato nell’impresa
(così ora l’art. 2, comma 2, prima parte del D. lgs. 165/2001), con l’eccezione del
personale che, per espressa previsione di legge, rimane «in regime di diritto
pubblico». La privatizzazione, infatti, per espresso disposto dell’art. 3 co. 1° del
D. lgs. 165/2001, non riguarda talune categorie di dipendenti, tra cui i magistrati
ordinari, amministrativi e contabili, gli avvocati e procuratori dello Stato, il
personale militare e quello delle forze di polizia di Stato, il personale della
carriera diplomatica e prefettizia, i quali restano assoggettati ai rispettivi
ordinamenti, che costituiscono normativa speciale rispetto a quella generale
prevista dal d. P.R. n. 3 del 1957 (quest’ultima troverà, dunque, applicazione
unicamente nelle eventuali ipotesi non disciplinate dalle specifiche normative di
settore) 161.
Le norme speciali e generali previgenti (tra cui il Testo Unico degli
impiegati civili dello Stato del 1957) - dichiarate «inapplicabili» già a seguito
dalla legge penale” (art. 17). In commento agli articoli sul dovere di obbedienza contenuti nel Testo Unico del 1957, v. FORTUNATO M.A., I doveri del pubblico impiegato, in AA.VV., Il pubblico impiego. Principi generali, (a c. di VOLPE G.), Torino, 1991, 216 ss.; ILARI V., Impiego pubblico, Milano, 1983, 108 ss.; TERRANOVA S., Il rapporto di pubblico impiego, Milano, 1995, 125 ss.; VIRGA P., Il pubblico impiego, Milano, 1991, 196 ss.; ZACCARIA, Obbedienza, cit., 535.
160 Il D. Lgs. 3 febbraio 1993, n. 29, relativo alla «razionalizzazione dell’organizzazione delle amministrazioni pubbliche e revisione della disciplina in materia del pubblico impiego, a norma dell’articolo 2 della legge 23 ottobre 1992, n. 421», già profondamente modificato da alcuni decreti delegati successivi (in particolare dal D. Lgs. 4 novembre 1997, n. 396, dal D. Lgs. 31 marzo 1998 n. 80 e dal D. Lgs. 29 ottobre 1998, n. 387), è stato infine abrogato dal D. lgs. 30 marzo 2001, n. 165 recante «Norme generali sull’ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche» (art. 72, lettera t).
161 Sul punto cfr. MELE E., La responsabilità dei dipendenti e degli amministratori pubblici, Milano, 2000, 116 ss.
ORDINE ILLEGITTIMO
67
della stipulazione dei contratti collettivi del quadriennio 1994-1997 - hanno
cessato di «produrre effetti» dal momento della sottoscrizione, per ciascun ambito
di riferimento, dei contratti collettivi del quadriennio 1998-2001162.
La materia dei doveri del dipendente, rientrando nel contenuto del rapporto
di lavoro, è stata fatta oggetto di contrattazione collettiva (art. 40, comma 1 del D.
lgs. 165/2001)163: in sostanza, dunque, la disciplina del dovere di obbedienza dei
dipendenti delle amministrazioni pubbliche si ricava essenzialmente dalle
disposizioni dei contratti collettivi nazionali stipulati per i diversi comparti della
pubblica amministrazione164. Gli articoli 16 e 17 del T.U. del 1957, invece, pur
non essendo stati espressamente abrogati, non sono più direttamente applicabili se
non nelle residuali ipotesi non disciplinate dalle specifiche normative di settore
per il personale ancora «in regime di diritto pubblico», o nel caso in cui un
contratto collettivo nazionale vi faccia espresso riferimento165.
162 Questo singolare meccanismo di «disapplicazione» della disciplina legislativa e
regolamentare da parte dei contratti collettivi - già previsto per la disciplina transitoria dall’art. 72, 1° co. del D. Lgs. 29/1993 (e ora recepito dall’art. 69, comma 1 D. lgs. 165/2001) - è stato istituzionalizzato in via permanente dal D. Lgs. 165/2001, il quale stabilisce che «eventuali disposizioni di legge, regolamento o statuto, che introducano discipline dei rapporti di lavoro la cui applicabilità sia limitata ai dipendenti delle amministrazioni pubbliche, o a categorie di essi, possono essere derogate da successivi contratti o accordi collettivi e, per la parte derogata, non sono ulteriormente applicabili, salvo che la legge disponga espressamente in senso contrario» (art. 2, comma 2, seconda parte).
163 Per una visione generale sulla disciplina del pubblico impiego dopo la privatizzazione, anche in raffronto alla disciplina previgente, cfr. DI GESÙ C.- MARICA F. – MONTANARI W., Il rapporto di pubblico impiego. Normativa, giurisprudenza e dottrina, Padova, 2000; CARINGELLA F. - MARINO R. - SILVESTRO C., Il lavoro nelle pubbliche amministrazioni dopo il D.Lgs. 165/2001 e la L. 145/2002: dottrina, giurisprudenza, appendice normativa, Napoli, 2002; VIRGA, Il pubblico impiego dopo la privatizzazione, Milano, 2002.
164Per un commento alle disposizioni contenute nei contratti collettivi di comparto cfr. AA.VV., Il lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche. I contratti collettivi di comparto. Commentario (diretto da CARINCI F.), Tomo II, Milano, 1997. I testi integrali anche dei più recenti contratti collettivi nazionali sono consultabili sul sito ufficiale www.aranagenzia.it.
165 E’ il caso del C.C.N.L. 2002-2005 del comparto scuola il quale, nonostante contenga già una norma specifica che disciplina l’obbligo di obbedienza e i relativi limiti (art. 89, co. 3, lett. l), include, peraltro ad abundantiam, tra le norme che «continuano a trovare applicazione», l’art. 17 del D.P.R. n. 3/57 (art. 142, co. 1, lett. f), n. 2).
ORDINE ILLEGITTIMO
68
A parte i dubbi di legittimità costituzionale che un così singolare
meccanismo di “disapplicazione” può sollevare166, per quanto riguarda
segnatamente i doveri dei dipendenti e le infrazioni disciplinari, si è da taluni
affermato167 che, alla luce della disciplina contrattuale concretamente adottata, la
riforma ha inciso più sulle fonti che sui contenuti, dato che di fatto vi sarebbe
stato un recepimento, nelle norme dei C.C.N.L, di regole ed istituti che
componevano il quadro normativo previgente. Questa affermazione può dirsi in
prima approssimazione condivisibile per il dovere di obbedienza.
A titolo d’esempio, l’art. 23 del C.C.N.L. del 1995 per il comparto
Ministeri (al quale rinvia l’art. 10 del C.C.N.L. 2002-2005 del medesimo
comparto) indica, tra i doveri del dipendente, quello di “eseguire gli ordini
inerenti l’espletamento delle proprie funzioni o mansioni che gli siano impartiti
dai superiori”.
L’articolo in esame stabilisce altresì, sempre sulla falsariga dell’art. 17 del
T.U. del 1957, che, qualora il dipendente ritenga che l’ordine sia palesemente
illegittimo, deve farne rimostranza a chi l’ha impartito, dichiarandone le ragioni, e
che nel caso in cui l’ordine sia rinnovato per iscritto l’inferiore ha il dovere di
166 Sul complesso problema della «disapplicazione» del d.P.R. 10 gennaio 1957, n. 3
e della previgente legislazione speciale in materia di pubblico impiego ad opera dei contratti collettivi (e segnatamente sulla questione della ambigua posizione dei contratti collettivi nazionali, eventualmente anche contra legem, nel sistema delle fonti del diritto) si rinvia a BATTINI S., Il rapporto di lavoro con le pubbliche amministrazioni, Padova, 2000, 428-451 e alla bibliografia ivi citata; BERNI P., Le sanzioni disciplinari negli enti locali. Interpretazione delle norme contrattuali: problemi e casi pratici, Milano, 1996, 13 ss. Cfr. SPEZIALE V., L’abrogazione della legge da parte del contratto collettivo, in AA.VV., Il lavoro alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni, cit., 140, il quale prospetta la legittimità costituzionale di questo meccanismo “delegificatorio”, configurando il contratto collettivo come un “fatto normativo” al cui verificarsi è condizionata l’eliminazione delle preesistenti norme di legge e che trova il suo fondamento “legale” nel D. lgs. 29/1993 (ora D. lgs. 165/2001). Per quanto riguarda in particolare la disapplicazione dell’art. 17 del T.U. del 1957, vedi quanto segue nel testo.
167 BATTINI, Il rapporto di lavoro, cit., 603.
ORDINE ILLEGITTIMO
69
darvi esecuzione, fermo restando il dovere di non eseguire l’ordine quando l’atto
sia vietato dalla legge penale o costituisca illecito amministrativo168.
La violazione del dovere di obbedienza, così come la violazione degli altri
doveri enunciati nel citato art. 23, comporta l’applicazione delle sanzioni
disciplinari previste dal contratto stesso.
Ciò premesso, si può affermare che dalle disposizioni relative al dovere di
obbedienza contenute nei contratti di comparto, così come accadeva sotto la
vigenza dell’art. 16 del d.P.R. del 1957169, si ricava un primo limite al dovere di
eseguire l’ordine impartito: se l’ordine non è inerente alle funzioni o mansioni
dell’impiegato, il dipendente non è tenuto ad eseguirlo.
Accanto a questo limite, si pone quello, espressamente menzionato sia
dall’art. 17 del Testo Unico del 1957 sia dalle disposizioni contenute nei contratti
di comparto, relativo all’illegittimità dell’ordine.
168 Pur con qualche diversità di formulazione, anche i CC.CC.NN.L. relativi agli altri
comparti della pubblica amministrazione contengono una norma nella sostanza corrispondente al citato art. 23. Cfr., ad es., l’art. 23 lett. h) del C.C.N.L. del 1995 per il personale del comparto delle regioni e delle autonomie locali (al quale rinvia ancora l’art. 22 del C.C.N.L. 2002-2005 del medesimo comparto), il quale, sulla falsariga dell’art. 17 del T.U. del 1957, stabilisce che il dipendente deve «eseguire le disposizioni inerenti l’espletamento delle proprie funzioni o mansioni che gli siano impartite dai superiori. Se ritiene che l’ordine sia palesemente illegittimo, il dipendente deve farne rimostranza a chi l’ha impartito, dichiarandone le ragioni; se l’ordine è rinnovato per iscritto ha il dovere di darvi esecuzione. Il dipendente non deve, comunque, eseguire l’ordine quando l’atto sia vietato dalla legge penale o costituisca illecito amministrativo». (al quale rinvia l’art. 10 del C.C.N.L. 2002-2005 del medesimo comparto); l’art. 89, co. 3, lett. l) del C.C.N.L. 2002-2005 del comparto scuola; l’art. 28, co. 3, lett. h) del C.C.N.L. del 1995 del comparto del personale del servizio sanitario nazionale (al quale rinvia l’art. 10 del C.C.N.L. 2002-2005 del medesimo comparto). Una menzione a parte merita l’art. 43, co. 3°, lett. h) del C.C.N.L. 2002-2005 del comparto Università, il quale, pur confermando il divieto di eseguire l’ordine «quando questo comporta la violazione della legge penale», non prevede più l’estensione del divieto anche all’illecito amministrativo (divieto invece previsto sino al precedente C.C.N.L. del medesimo comparto): questa singolare limitazione della responsabilità del dipendente, peraltro, essendo in netto contrasto con l’obbiettivo di responsabilizzazione costantemente perseguito dalla contrattazione collettiva anche del comparto università, fa presumere che si tratti in realtà di una svista materiale, più che di un altrimenti inspiegabile mutamento di tendenza.
169 Per un esame della disciplina del dovere di obbedienza prima e dopo la privatizzazione, v. MANFREDI SELVAGGI, Fedeltà ed obbedienza nel pubblico impiego, cit.
ORDINE ILLEGITTIMO
70
3.1.1. Ordine illegittimo e dovere di rimostranza.
Le norme sul dovere di obbedienza contenute nei C.C.N.L. prevedono
espressamente che il dipendente al quale venga impartito un ordine che egli
ritenga palesemente illegittimo deve farne rimostranza a chi lo ha emanato,
dichiarandone le ragioni. La disciplina ricalca quanto previsto dal citato art. 17 del
d.P.R. n. 3/1957.
A favore del dipendente è riconosciuto, dunque, il diritto di sollevare
rimostranza, chiedendo che l’ordine venga rinnovato per iscritto. La locuzione
“deve”, utilizzata dalle disposizioni in esame, fa ritenere che al dipendente sia
conferito un potere – dovere di fare rimostranza nei confronti dell’ordine
illegittimo170. Ciò comporta che il mancato esercizio della rimostranza possa dar
luogo alla responsabilità disciplinare171.
La rimostranza va esercitata specificando quali siano le ragioni per cui si
ritiene che l’ordine sia illegittimo; devono perciò essere indicati i vizi di
legittimità in esso riscontrati.
L’obbligo di rimostranza è posto sia nell’interesse dell’inferiore172, agli
effetti dell’esenzione dalla responsabilità amministrativa patrimoniale nei
confronti dell’amministrazione o dalla responsabilità per danni causati a terzi, sia
170 Sul punto v., per tutti, TERRANOVA, Il rapporto di pubblico impiego, cit., 128;
ZACCARIA, Obbedienza, cit., 534. Sulla rimostranza v. anche MAZZEO A., Sull’obbedienza e il diritto di rimostranza, in Riv. giur. scuola, 1977, 1.
171 In dottrina, v. per tutti, ILARI, op. cit., 109. In giurisprudenza v. Cons. di Stato, IV, 4 maggio 1971, n. 542, in Il Consiglio di Stato, 1971, I, 938, secondo cui “oltre al dovere di subordinazione esiste un dovere di rimostranza al superiore gerarchico avverso ordini palesemente illegittimi. Per questo il funzionario che non abbia rappresentato al superiore la situazione di illegittimità…è passibile di responsabilità disciplinare”.
172 V. ZACCARIA, Obbedienza, cit., 535, il quale afferma che l’istituto della rimostranza tende a conciliare il rispetto della subordinazione gerarchica e delle posizioni di supremazia con l’esigenza di salvaguardare la dignità umana e morale del dipendente, considerato “non come cieco e passivo strumento della volontà del superiore, ma come essere capace di apprezzare e valutare il proprio comportamento”.
ORDINE ILLEGITTIMO
71
nell’interesse della pubblica amministrazione, affinché sia garantita la legittimità
della sua azione173.
La rimostranza può essere definita come una forma di controllo giuridico e
può propriamente essere assimilata ad una richiesta di riesame rivolta al superiore.
Il fatto che l’impiegato possa sollevare rimostranza presuppone che egli abbia il
pieno sindacato sulla legittimità dell’ordine, sia formale che sostanziale174.
Affinché il subordinato possa fare rimostranza è necessario che l’ordine gli
appaia “palesemente” illegittimo. In dottrina175 si ritiene generalmente che il
termine “palesemente” sia stato utilizzato per evitare ingiustificati rallentamenti
nell’azione amministrativa dovuti a laboriose e opinabili interpretazioni di norme
giuridiche da parte dell’inferiore; in ogni caso, per poter rifiutare l’obbedienza e
sollevare rimostranza è necessario che l’ordine appaia ictu oculi, ossia senza
necessità di ulteriore indagine, illegittimo. Si è peraltro precisato176, che la
formula va interpretata nel senso che, affinché sussista un obbligo di rimostranza,
è necessaria una riconoscibilità estrinseca dell’illegittimità, in relazione alla
diligenza normale dell’impiegato medio.
Se a seguito della rimostranza l’ordine viene reiterato per iscritto dal
superiore, il subordinato ha il dovere di darvi esecuzione, rimanendo esonerato da
ogni responsabilità derivante dall’oggettiva illegittimità dell’atto posto in essere,
salvo che l’atto sia vietato dalla legge penale o, secondo la formulazione delle
173 MANFREDI SELVAGGI, op. cit., 78. 174 Per tutti, ZACCARIA, op. cit., 535. Contra ZANOBINI L., Corso di diritto
amministrativo, Milano, 1949, 236, il quale ha sostenuto che soltanto gli impiegati con funzioni non esecutive possono sindacare la legittimità sostanziale dell’ordine, mentre per gli impiegati esecutivi l’unico sindacato possibile sarebbe quello sulla legittimità formale. Non pare tuttavia che questa interpretazione fosse compatibile con il tenore testuale dell’art. 17 del Testo Unico, o che possa esserlo con le disposizioni contenute nei contratti di comparto, giacché queste norme non fanno distinzioni né tra le diverse categorie di impiegati né tra sindacato formale e sindacato sostanziale.
175 V. ILARI, Impiego pubblico, cit., 109; TERRANOVA, Il rapporto di pubblico impiego, cit., 127.
176 ZACCARIA, op. cit., 536.
ORDINE ILLEGITTIMO
72
disposizioni contenute nei C.C.N.L (v., ad es., art. 23 lett. h, C.C.N.L. comparto
Ministeri), costituisca illecito amministrativo.
3.1.2. Il dovere di disobbedienza nei confronti dell’ordine criminoso
o costituente illecito amministrativo.
Nel caso in cui la condotta ordinata dal superiore costituisca reato oppure
illecito amministrativo sorge per il dipendente un vero e proprio dovere di
disobbedienza: così dispongono le norme contenute nei contratti di comparto.
Rispetto alla disciplina contenuta nell’articolo 17 del Testo Unico del
1957, il dovere di non eseguire l’ordine è espressamente previsto, nei contratti
collettivi, anche nel caso in cui l’atto costituisca illecito amministrativo.
Ciò incide sulla portata dell’art. 4 della l. 24 novembre 1981, n. 689. Tale
articolo prevede, al 1° co., che non risponda delle violazioni amministrative chi ha
commesso il fatto nell’adempimento di un dovere, e, al 2°, che “se la violazione è
commessa per ordine dell’autorità, della stessa risponde il pubblico ufficiale che
ha dato l’ordine”. In mancanza di ulteriori precisazioni in merito alla
responsabilità di colui che abbia eseguito l’ordine di commettere illecito
amministrativo, si è ritenuto177 che la punibilità di quest’ultimo potesse essere
esclusa nel caso di errore sulla legittimità dell’ordine e nel caso di impossibilità di
sindacare l’ordine, analogamente a quanto disposto dall’art. 51 ult. co.
Dalle nuove disposizioni contenute nei C.C.N.L. non solo si trae conferma
del fatto che l’inferiore sarà sempre tenuto a sindacare anche la legittimità
amministrativa dell’ordine (giacché questo era evidente anche sotto la vigenza
177 DOLCINI E., sub art. 4, in DOLCINI E. – GIARDA A. – MUCCIARELLI F. –
PALIERO C.E. – RIVA CRUGNOLA E., Commentario delle “Modifiche al sistema penale”, Milano, 1982, 35 ss. In generale, sull’illecito depenalizzato-amministrativo v. RIONDATO S., Il reato. Delitto, contravvenzione, illecito amministrativo, illecito depenalizzato, illecito dell'ente giuridico, in RONCO M. (opera diretta da), Commentario sistematico al codice penale. Il reato, vol. II, Tomo I, Bologna, 2007, 14 ss.; ROSSI A., Illecito depenalizzato-
ORDINE ILLEGITTIMO
73
dell’art. 17 che prevedeva già il dovere di rimostranza), ma altresì si ricava che
egli dovrà disobbedire ad un simile ordine, anche se reiterato per iscritto dal
superiore, con conseguente impossibilità di configurare ordini illegittimi
(costituenti illecito amministrativo) vincolanti in quanto confermati.
La mancata espressa previsione nell’art. 17 del Testo Unico del dovere di
disobbedienza nei confronti dell’ordine costituente illecito amministrativo, non
implica, peraltro, nei limitati casi in cui esso trova ancora applicazione, una
diversità di disciplina rispetto alle disposizioni dei contratti collettivi.
Non sembra possibile ritenere, infatti, che, ai sensi dell’art. 17, l’inferiore
avesse il dovere di obbedire all’ordine costituente illecito amministrativo, o, più in
generale, ad un ordine comunque illegittimo (anche se non sotto il profilo penale o
amministrativo) seppur reiterato per iscritto.
Le disposizioni esaminate (sia l’art. 17 che le norme contenute nei contratti
collettivi), stabilendo che l’inferiore debba eseguire l’ordine ritenuto illegittimo se
confermato, non configurano ordini illegittimi vincolanti. Esse operano, invece,
sul piano soggettivo, a tutela del subordinato che abbia esternato i propri dubbi
circa la legittimità dell’ordine ricevuto. Se l’ordine è confermato per iscritto dal
superiore, l’inferiore che l’abbia eseguito andrà esente da responsabilità nel caso
in cui l’ordine risulti illegittimo.
Questa impostazione trae conferma anche dalla considerazione che esiste,
per il dipendente pubblico, un dovere di legalità, ossia l’obbligo di osservare
nell’esercizio delle proprie mansioni la Costituzione, le leggi e ogni altra norma
giuridica178. A tal riguardo si può rilevare che, per quanto concerne i doveri
gravanti sul pubblico dipendente, in quanto inserito nell’apparato organizzativo
della p.a., l’istituto del giuramento (con il quale viene richiesto a moltissime
categorie di impiegati pubblici di assolvere con lealtà e onore le funzioni loro
amministrativo: ambito di applicazione, Milano, 1990.
178 Sul punto v. SANDULLI, Manuale, cit., 308.
ORDINE ILLEGITTIMO
74
assegnate) non viene meno con la privatizzazione del pubblico impiego. Il
mantenimento di questo istituto, invero, trova la sua ragione non solo, e non tanto,
nella natura pubblica del rapporto (che si è giocoforza affievolita con la
privatizzazione), quanto piuttosto nell’esigenza di richiamare il dipendente delle
amministrazioni pubbliche al dovere di assolvere le sue funzioni in vista sì
dell’utilità pubblica, ma sempre nel pieno rispetto delle norme di legge179.
L’ipotesi, poi, che in sede di contrattazione collettiva si possa arrivare ad
introdurre un dovere di obbedienza cieca all’ordine del superiore anche qualora
l’atto costituisca un illecito penale (tale da poter ravvisare un ordine insindacabile
di cui all’art. 51, ult. co., c.p.), è a dir poco scolastica. E questo non soltanto in
base alla constatazione che tutti i contratti collettivi nazionali (ormai giunti alla
terza «tornata» di contrattazione) - oltre ad aver di fatto mantenuto, pur con alcune
trascurabili differenze di formulazione, la previsione del dovere di non eseguire
l’ordine quando l’atto sia vietato dalla legge penale - hanno ulteriormente
rafforzato il principio della non vincolatività dell’ordine comunque illegittimo,
estendendo il dovere di non eseguire l’ordine anche all’ipotesi in cui l’atto
costituisca «illecito amministrativo».
Invero, il pericolo che in sede di contrattazione collettiva venga
improvvidamente introdotto (eventualmente anche contra legem, in forza del
menzionato meccanismo della «disapplicazione») un dovere di eseguire ordini
criminosi, è scongiurato anche dal fatto che dal processo di privatizzazione del
pubblico impiego ne risulta affievolita (se non proprio del tutto soppressa) quella
natura prettamente pubblicistica del vincolo di stretta subordinazione gerarchica
su cui si fonderebbe appunto l’applicazione dell’art. 51, ult. co., c.p. Sul piano
normativo, la natura privatistica degli obblighi dei dipendenti delle
179 MELE, La responsabilità dei dipendenti e degli amministratori pubblici, cit., 112.
Sul punto v. anche ZUCCALA’ G., L’infedeltà nel diritto penale, Padova, 1961, 132, il quale pone in rilievo che “con la formula di giuramento si vuole ricordare all’impiegato…che esso, pur avendo delle particolari attribuzioni resta sempre cittadino e che quindi ha sempre al di
ORDINE ILLEGITTIMO
75
amministrazioni pubbliche è espressamente sancita dal D. lgs. 165/2001, il quale
riconduce la materia delle sanzioni disciplinari e della responsabilità alla
disciplina dell’art. 2106 c.c. e dell’art. 7 dello Statuto dei lavoratori (art. 55,
comma 2 del D. lgs. 165/2001)180.
Un’ulteriore, e definitiva, garanzia volta a scongiurare un’ipotetica
introduzione in sede di contrattazione collettiva di ordini illegittimi vincolanti, è
data dal fatto che il già menzionato dovere di osservanza delle leggi, anche e
soprattutto dopo la privatizzazione, non solo non può essere messo in discussione
in quanto “tutti i cittadini hanno il dovere di essere fedeli alla Repubblica e di
osservarne la Costituzione e le leggi” (art. 54, 1° co. Cost.), ma ancora oggi
mantiene un valore preminente nell’informare l’attività del dipendente nel
perseguimento degli interessi pubblici, che mai possono porsi in contrasto con
l’ordinamento giuridico generale181. Inoltre, non è privo di significato che il
Codice di comportamento dei dipendenti delle pubbliche amministrazioni
(D.P.C.M. 28 novembre 2000) - recepito in allegato ai contratti collettivi nazionali
di ciascun comparto per espresso disposto dell’art. 54, co. 2 del D. Lgs. N.
165/2001182 – ponga «il rispetto della legge» tra i principi a cui il dipendente deve
conformare la propria condotta (“nell’espletamento dei propri compiti il
dipendente assicura il rispetto della legge”, art. 2, co. 1); principio rispetto al
sopra di sé la Costituzione e le leggi”.
180 L’art. 2104, co. 2 c.c. (a cui rimanda l’art. 2106) stabilisce che il prestatore di lavoro deve «osservare le disposizioni per l'esecuzione e per la disciplina del lavoro impartite dall'imprenditore e dai collaboratori di questo dai quali gerarchicamente dipende». Un’ulteriore conferma, ove ce ne fosse bisogno, della natura tendenzialmente privatistica del vincolo di subordinazione gerarchica dei dipendenti delle amministrazioni pubbliche, è fornita da tutti i contratti collettivi nazionali della tornata 2002-2005, che si sono premurati di modificare la rubrica «doveri del dipendente» in «obblighi del dipendente» (vedi, uno per tutti, l’art. 11, lett. a) del C.C.N.L. 2002-2005 del comparto Ministeri).
181 Parla di “fedeltà qualificata”, LOMBARDI G., voce «Fedeltà (dir. cost.)», in Enc. dir., vol. XVII, Milano, 1968, 165 ss.
182 Dal recepimento del Codice di comportamento nei contratti collettivi deriva la sua obbligatorietà “giuridica”: con ciò risulta, pertanto, superata la questione circa la natura “etica” o “giuridica” del Codice stesso ( cfr. VIRGA, op. cit., 87).
ORDINE ILLEGITTIMO
76
quale risulta chiaramente incompatibile l’insindacabilità di un ordine contrario
alla legge.
In conclusione, ai fini della presente indagine, si può affermare che,
dall’esame della disciplina vigente in tema di dovere di obbedienza per gli
impiegati civili dello Stato, non sussistono (e non sono configurabili) ipotesi in
cui all’inferiore non sia consentito alcun sindacato sulla legittimità, formale e
sostanziale, dell’ordine.
L’ultimo comma dell’articolo 51 c.p., che ipotizza l’esistenza in diritto di
ordini criminosi insindacabili, non potrà, dunque, trovare mai applicazione per
questa categoria di dipendenti pubblici, come meglio si dirà oltre183.
Più controversa è invece la questione per i dipendenti ancora «in regime di
diritto pubblico» (tra i quali spiccano, per quanto concerne la materia qui trattata, i
militari e assimilati), per i quali si ritiene generalmente applicabile l’ipotesi
normativa degli ordini illegittimi insindacabili di cui all’art. 51, ult. co., c.p.
3.2. La disciplina prevista per i militari e assimilati.
Il rapporto gerarchico riveste fondamentale importanza nell’ambito
dell’ordinamento militare: il potere di impartire ordini e il correlativo dovere di
obbedienza sono, infatti, condizioni essenziali per il mantenimento della
disciplina e, di conseguenza, garantiscono l’efficienza e la prontezza delle Forze
armate nell’assolvimento dei loro compiti istituzionali. D’altro canto essi sono, al
contempo, possibile strumento per la realizzazione di violazioni dell’ordinamento
giuridico.
La legge 11 luglio 1978 n. 382, nello stabilire i principi cardine della
disciplina militare, ha preso in considerazione anche la problematica concernente
l’obbedienza gerarchica.
183 V. infra sez. IV.
ORDINE ILLEGITTIMO
77
Prima di procedere all’esame delle disposizioni relative ai militari, va
precisato che norme analoghe valgono per gli appartenenti alla Polizia di Stato e
per gli appartenenti al Corpo di polizia penitenziaria184; pertanto, nella trattazione
che segue, si farà riferimento alle sole norme previste in ambito militare.
L’art. 4, 2° co, della legge n. 382/78 stabilisce che il militare “osserva con
senso di responsabilità e consapevole partecipazione tutte le norme attinenti alla
disciplina e ai rapporti gerarchici” (art. 4, 2° co.). Sempre l’art. 4 precisa poi che
“gli ordini devono, conformemente alle norme in vigore, attenere alla disciplina,
riguardare il servizio e non eccedere i compiti di istituto” (co. 4°) e che “il
militare al quale viene impartito un ordine manifestamente rivolto contro le
istituzioni dello Stato o la cui esecuzione costituisce comunque manifestamente
reato ha il dovere di non eseguire l’ordine e di informare al più presto i
superiori” (co. 5°).
L’art. 4, 4° co. configura l’ordine integralmente legittimo. Secondo quanto
disposto da questo articolo, gli ordini gerarchici militari devono essere,
innanzitutto, attinenti al servizio e alla disciplina: devono, cioè, riguardare le
attività direttamente o indirettamente rivolte al perseguimento dei fini istituzionali
delle Forze armate ed essere conformi alle disposizioni che configurano i doveri e
i diritti riconducibili allo status militare. Esiste, peraltro, una stretta correlazione
tra servizio e disciplina, giacché il primo fra i doveri del militare è quello di
fornire le prestazioni di servizio, per cui se un ordine attiene al servizio riguarda
anche la disciplina e viceversa185.
184 Cfr. art 66 l. 1 aprile 1981, n. 121 per la Polizia di Stato e art. 10 l. 15 dicembre
1990, n. 335, per il Corpo di polizia penitenziaria. 185 In tema v. BRUNELLI – MAZZI, Diritto penale militare, cit., 455; RIONDATO
S., sub art. 25, in AA.VV., Il nuovo ordinamento disciplinare, cit, 179 ss.; ROSIN, Il militare, cit., 204 ss., VENDITTI, Diritto penale militare, cit., 182 ss.
ORDINE ILLEGITTIMO
78
Ulteriore requisito di legittimità dell’ordine è la non eccedenza dai compiti
di istituto: esso esprime l’esigenza che la finalità in concreto perseguita con
l’ordine sia conforme alla funzione pubblicistica che la legge gli attribuisce186.
La conformità dell’ordine alle norme in vigore si misura alla stregua della
rispondenza alle norme, concernenti al tempo stesso il servizio e la disciplina, che
configurano i diritti e i doveri relativi allo status di militare. La legittimità
dell’ordine dipende, infine, dall’assenza dei vizi che possono inficiare l’atto
amministrativo (incompetenza, violazione di legge ed eccesso di potere)187.
Il regolamento di disciplina militare (D.P.R. 545/86) opera a sua volta una
serie di univoci e precisi richiami alla necessaria legittimità dell’ordine gerarchico
stabilendo che “il superiore deve tenere per norma del proprio operato che il
grado e l’autorità gli sono conferiti perché siano esercitati e impiegati
unicamente al servizio e a vantaggio delle F.A. e per far osservare dai dipendenti
le leggi, i regolamenti, gli ordini militari e le disposizioni di servizio” (art. 21 co.
1). L’art. 23 co. 1 del medesimo regolamento dispone che gli ordini devono essere
emanati in conformità e nei casi previsti dalla legge; inoltre, l’emanazione di
ordini non attinenti alla disciplina o al servizio può essere punibile con la
consegna di rigore (n. 15 all. C reg. disc.) 188.
L’ordine integralmente legittimo fa sorgere per l’inferiore il dovere di
obbedienza e l’inottemperanza ad un simile ordine può comportare per il
subordinato la responsabilità disciplinare o penale.
L’art. 4 della legge sui principi, tuttavia, stabilisce a prima vista soltanto i
requisiti di legittimità dell’ordine e si limita a segnalare un’ipotesi in cui
186 Il difetto del requisito in esame darebbe luogo al vizio dello sviamento di potere:
sul punto v. RIONDATO, op. ult. cit., 180; ROSIN, Il militare, cit., 210. Secondo VENDITTI, Il diritto penale militare, cit., 186, la previsione che l’ordine non ecceda i compiti di istituto sarebbe superflua in quanto tale requisito non è che un aspetto della non attinenza al servizio.
187 RIONDATO, op. ult. cit., 180. 188 V., per un commento ai singoli articoli del regolamento di disciplina, AA.VV., Il
nuovo ordinamento disciplinare delle forze armate, cit.
ORDINE ILLEGITTIMO
79
sicuramente non sussiste il dovere di obbedienza (ordine manifestamente rivolto
contro le istituzioni dello Stato e ordine comunque manifestamente criminoso, per
i quali è previsto il dovere di disobbedienza), senza esaurientemente definire i
“confini” del dovere di obbedienza e quale sia la posizione dell’inferiore nei
confronti dell’ordine illegittimo.
3.2.1. L’ordine illegittimo come limite al dovere di obbedienza. Il
sindacato sulla legittimità dell’ordine.
Non v’è dubbio che l’ordine non attinente, in astratto e in concreto, al
servizio o alla disciplina non possa essere vincolante, dato che con esso viene
chiesta all’inferiore una prestazione estranea ai compiti di istituto e nemmeno
riconducibile alle specifiche situazioni giuridiche che caratterizzano lo status
militare 189. Altrettanto chiara è la non vincolatività dell’ordine manifestamente
rivolto contro le istituzioni dello Stato e dell’ordine manifestamente criminoso: in
tali casi la legge impone, al contrario, il dovere di disobbedire190.
189 Sul punto v., PELLEGRINO B., Sindacato di legittimità sostanziale dell’ordine e
disobbedienza nel sistema penale militare, in Giust. pen., II, 1974, 198. Che l’ordine non attinente al servizio o alla disciplina non sia vincolante si ricava anche dal tenore testuale della norma relativa al reato di disobbedienza (art. 173 c.p.m.p.) che punisce il militare che “rifiuta, omette, o ritarda di obbedire a un ordine attinente al servizio o alla disciplina, intimatogli da un superiore”. L’infelice formulazione di tale disposizione, che non contiene alcun riferimento alla legittimità dell’ordine, potrebbe però far sorgere il dubbio che possa essere dovuta obbedienza anche ad ordini illegittimi se attinenti al servizio o alla disciplina. Per un commento all’art. 173 c.p.m.p. v. BRUNELLI –MAZZI, Diritto penale militare, cit., 449 ss., GARINO V., Disobbedienza nel diritto penale militare, in Dig. disc. pen., IV, 190, 140; VENDITTI R., I reati contro il servizio militare e contro la disciplina militare, Milano, 1995, 205 ss. V. inoltre CADOPPI A., La rilevanza penale del “rifiuto” ed il reato di disobbedienza, in Riv. it. dir. e proc. pen., 1986, 613, relativamente alla concreta lesività del delitto di disobbedienza.
190 Si è sostenuto in dottrina (NUVOLONE P., Valori costituzionali della disciplina militare e sua tutela nel codice penale militare di pace e nelle nuove norme di principio, in Rass. giust. mil., 1979, 30) che, data la difficoltà di ipotizzare un’eversione che non costituisca reato, si deve dedurre che la legge ha inteso attribuire all’inferiore un diritto – dovere di disobbedienza di natura politica, al di fuori della criminosità dell’ordine. Per la configurabilità di ordini manifestamente rivolti contro le istituzioni dello Stato ma non anche
ORDINE ILLEGITTIMO
80
Non si può tuttavia neppure sostenere che un ordine criminoso, anche se in
modo non manifesto, possa far sorgere il dovere di obbedienza penalmente
sanzionato191. L’ordine di commettere un illecito penale è, come si è detto192, solo
apparentemente un “ordine”, giacché la sua stessa esistenza è esclusa dall’illiceità
del suo contenuto193.
Potrebbe rimanere il dubbio circa la vincolatività dell’ordine viziato da
illegittimità extrapenale. Alla luce delle disposizioni contenute nella legge sui
principi e nel regolamento di disciplina non si può tuttavia affermare che un
ordine comunque illegittimo possa far sorgere il dovere di obbedienza. Il richiamo
alla conformità alla legge dell’ordine, operato dall’art. 4, 4° co. l. 382/1978,
implica, infatti, che esso, per poter fondare il dovere di obbedienza, debba avere i
caratteri della legittimità formale e sostanziale. Riguardo allo stesso dovere di
obbedienza, il regolamento di disciplina prevede che l’obbedienza consista
nell’esecuzione degli ordini attinenti al servizio e alla disciplina, in conformità al
giuramento prestato (art. 5), nella cui formula viene dato rilievo all’osservanza
della Costituzione e delle leggi della Repubblica (art. 2 l. 382/78). L’art. 25 co. 1
reg. disc. richiede al militare l’esecuzione degli ordini ricevuti “nei limiti delle
relative norme di legge e di regolamento”.
L’insieme delle citate disposizioni conduce a ritenere che il subordinato sia
vincolato all’obbedienza solo nel caso in cui l’ordine sia integralmente legittimo.
Esiste dunque piena corrispondenza tra legittimità e vincolatività dell’ordine194. Il
criminosi v. ROSIN, op. cit., 213.
191 Su ciò la dottrina maggioritaria è concorde: v., tra gli altri, PELLEGRINO, Nuovi profili, cit., 156; PADOVANI, Ordine criminoso, cit., 483; ROSIN, op. cit., 219 ss.
192 V. supra, par. 2. 193 Relativamente al reato di disobbedienza, si è chiarito (PELLEGRINO, Nuovi
profili, cit., 155) che l’ordine il cui contenuto sia contrario alle norme penali solo apparentemente può soddisfare le esigenze del servizio e della disciplina e perciò la sua mancata esecuzione non è sussumibile nella fattispecie dell’art. 173 c.p.m.p.
194 Diversa è stata, invece, la scelta del legislatore tedesco, il quale ha consapevolmente rinunciato ad una piena corrispondenza tra legittimità e vincolatività dell’ordine gerarchico militare. Pertanto, ogni ordine giuridicamente esistente, emanato dal
ORDINE ILLEGITTIMO
81
militare può e deve accertare la legittimità dell’ordine e gli è, dunque, attribuito il
pieno sindacato sulla legittimità dell’ordine ricevuto195.
3.2.2. Il dovere di disobbedienza nel caso di criminosità, anche non
manifesta, dell’ordine ricevuto.
Escluso, in base alle considerazioni sin qui svolte, che la situazione
giuridica del militare nei confronti dell’ordine illegittimo, violi esso norme penali
o extrapenali, consista nel dovere di obbedire, si pone il problema di stabilire se,
di fronte ad un simile ordine, egli abbia la facoltà di scegliere tra obbedienza e
disobbedienza oppure se abbia un vero e proprio dovere di disobbedire.
L’ultimo comma dell’art. 4 contempla il dovere di disobbedienza nei
confronti dell’ordine manifestamente eversivo o la cui esecuzione costituisce
comunque manifestamente reato. Nonostante l’utilizzo dell’avverbio
“manifestamente”, si può ritenere, tuttavia, che la posizione del subordinato nei
confronti dell’ordine criminoso, manifestamente tale o no, consista comunque nel
dovere di disobbedire196. Infatti, la posizione del militare nei confronti dell’ordine
la cui esecuzione costituisca, manifestamente o no, reato, non è diversa da quella
di qualsiasi altro soggetto tenuto all’osservanza della legge penale e non emerge
alcuna ragione per ritenere che egli, nel contrasto tra la legge penale e la
competente superiore gerarchico, è vincolante ancorché illegittimo, a meno che non sia ravvisabile una delle cause di non vincolatività (Unverbindlichkeitsgründe) previste dalla legge (tra le quali va annoverato l’ordine criminoso). Sul punto v. infra cap. II, sez. I.
195 Per tutti, RIONDATO, Diritto penale militare, cit., 207; GARINO V., Esercizio di un diritto e adempimento di un dovere nel diritto penale militare, in Dig. disc. pen., 1990, 334.
196 La manifesta criminosità, prevista dall’art. 4, non esaurisce i casi in cui sorge per l’inferiore il dovere di disobbedire; essa fissa, piuttosto, il limite della scusabilità dell’errore o dell’ignoranza di diritto penale in cui sia incorso il militare che ha eseguito l’ordine criminoso senza che la criminosità gli fosse nota. Per queste considerazioni v. RIONDATO, Diritto penale militare, cit., 208; ROSIN, Il militare, cit., 235. Di ciò si dirà più ampiamente nel cap. IV.
ORDINE ILLEGITTIMO
82
manifestazione di volontà del superiore gerarchico, abbia la facoltà di privilegiare
quest’ultima e realizzare così un reato197.
La dottrina più attenta198 ritiene che sussista per il militare un dovere di
disobbedienza all’ordine comunque illegittimo, nella forma o nella sostanza. Tale
soluzione deriva dai principi enunciati dalla l. 382/78, nella quale si afferma che
“le Forze armate sono al servizio della Repubblica; il loro ordinamento e la loro
attività si conformano ai principi costituzionali” (art. 1, 1° co., ora abrogato: v.
l’art. 1, co.1 e 2 dell’art. 1 l. 331/2000, che sancisce il medesimo principio) e che
“l’assoluta fedeltà alle istituzioni repubblicane è il fondamento dei doveri del
militare” (art. 4, 1° co.): al militare si richiedono, dunque, positivi comportamenti
orientati alla tutela dell’effettività e della continuità dell’ordinamento
repubblicano e dei valori che esso esprime e garantisce. La legge sui principi
prende in considerazione una figura “ideale” di militare, al quale si richiede
“senso di responsabilità e consapevole partecipazione” (art. 4, 1° co.) nel
perseguimento delle finalità istituzionali e nell’assolvimento dei propri compiti,
nel rispetto della Costituzione e delle leggi199.
3.2.3. La problematica concernente l’ordine illegittimo confermato
(rinvio).
Qualche dubbio circa la configurabilità di una categoria di ordini
illegittimi vincolanti potrebbe nascere dalla lettura dell’articolo 25, 2° co., del
regolamento di disciplina. Secondo quanto stabilito da questa disposizione, “il
197 Sul punto v. ROSIN, Il militare, cit., 225 ss. Per la tesi secondo la quale l’inferiore
avrebbe facoltà di scelta tra l’obbedienza e la disobbedienza nei confronti dell’ordine manifestamente criminoso, v. BACHELET V., Disciplina militare e ordinamento giuridico statale, Milano, 1962, 190; PELLEGRINO, Nuovi profili, cit., 163.
198 MAGGIORE, Brevi considerazioni, cit., 180; RIONDATO, Diritto penale militare, cit., 213 ss.; ROSIN, Il militare, cit., 227 ss.
199 ROSIN, Il militare, cit., 228 ss. Secondo MAGGIORE, op. ult. cit., 180, all’ordine illegittimo, nel quale non può riconoscersi la chiamata dell’ordinamento, che può essere solo
ORDINE ILLEGITTIMO
83
militare al quale venga impartito un ordine che non ritenga conforme alle norme
in vigore deve, con spirito di leale e fattiva partecipazione, farlo presente a chi lo
ha impartito, dichiarandone le ragioni, ed è tenuto ad eseguirlo se l’ordine è
confermato”, salvo il dovere di disobbedienza all’ordine manifestamente rivolto
contro le istituzioni dello Stato o la cui esecuzione costituisce comunque reato.
Essa configura, dunque, un dovere di rimostranza in capo all’inferiore che nutra
dei dubbi sulla legittimità dell’ordine ricevuto e gli impone di eseguire l’ordine
confermato.
Per tutte le considerazioni più sopra fatte in tema di dovere di obbedienza
e dovere di disobbedienza, tale norma non può essere interpretata nel senso di
rendere vincolanti gli ordini criminosi o comunque illegittimi per i quali, si
ribadisce, sussiste il dovere di disobbedire. Essa opera esclusivamente sul piano
soggettivo (“…che non ritenga conforme alle norme in vigore”) a tutela del
subordinato che si trova spesso nell’impossibilità di fatto di effettuare una
ponderata valutazione della legittimità dell’ordine sotto tutti i profili, dato che
anche il semplice ritardo nell’adempiere è rilevante agli effetti del reato di
disobbedienza.
In sostanza, di fronte ad un ordine che egli ritenga illegittimo ma che il
superiore confermi, il subordinato potrà scegliere se obbedire o disobbedire; in
questa seconda ipotesi egli si assumerà il rischio di rispondere del reato di
disobbedienza nel caso in cui l’ordine sia in realtà legittimo.
L’art. 25 concerne dunque esclusivamente il profilo soggettivo dell’illecito
disciplinare o penale: il dubbio sulla legittimità dell’ordine (purché questo non si
manifestamente criminoso o eversivo) non sarà dunque sufficiente a fondare un
giudizio di colpevolezza per l’esecuzione dell’ordine illegittimo confermato; per
legittima, si correla il dovere di disobbedire del destinatario.
ORDINE ILLEGITTIMO
84
contro la piena consapevolezza dell’illegittimità dell’ordine (anche se confermato)
costituisce sempre elemento integrativo della colpevolezza200.
Un’erronea interpretazione della norma in esame ha indotto invece parte
della dottrina a ritenere che l’art. 51 ult. co., col prevedere la categoria degli ordini
criminosi insindacabili, faccia riferimento proprio all’ipotesi in cui l’obbligo di
eseguire l’ordine sia stato confermato all’inferiore che abbia fatto presenti le
proprie perplessità circa la legittimità dell’ordine ricevuto.
In realtà, dall’indagine condotta, è emerso che il sindacato pieno sulla
legittimità formale e sostanziale dell’ordine compete sempre al subordinato
esecutore, anche militare, il quale non solo non è tenuto ad obbedire all’ordine
criminoso (o comunque illegittimo) ma, anzi, ha in tali ipotesi un vero e proprio
dovere di disobbedienza.
Ciò comporta, come meglio si dirà nel prossimo capitolo, l’inapplicabilità
dell’ultimo comma dell’art. 51 c.p.
200 Per queste considerazioni v. RIONDATO, Diritto penale militare, cit., 216 ss.
SEZIONE IV - SINDACATO SULLA LEGITTIMITA’ DELL’ORDINE
CRIMINOSO
SOMMARIO: 1. L’ordine criminoso “insindacabile” (di diritto) nell’orientamento della dottrina
tradizionale. - 1.1. Delimitazione dei casi in cui “la legge non consente alcun sindacato sulla
legittimità dell’ordine” ai subordinati militari e assimilati. - 1.2. Il contenuto del sindacato
attribuito all’inferiore. - 1.2.1. La manifesta criminosità come limite all’impossibilità (di diritto)
di sindacare la legittimità sostanziale dell’ordine. - 1.2.1.1. Evoluzione storica della “manifesta
criminosità”. - 1.2.2. Ruolo della coscienza della criminosità dell’ordine da parte del
subordinato. - 1.3. Il dibattito dottrinale sul fondamento della non punibilità dell’esecutore
dell’ordine criminoso insindacabile. Cenni sulla distinzione tra cause di giustificazione e cause
di esclusione della colpevolezza. - 1.3.1. Ordine criminoso insindacabile vincolante quale ordine
che opera come causa di giustificazione. - 1.3.2. Ordine criminoso insindacabile come causa di
esclusione della colpevolezza. – 2. Rilievi critici sulla configurabilità di ordini criminosi
insindacabili e/o vincolanti. - 3. L’obbedienza all’ordine criminoso al vaglio dei principi
costituzionali. - 3.1. Responsabilità diretta dei funzionari e dei dipendenti pubblici (art. 28
Cost.): profili di illegittimità costituzionale dell’art. 51 ult. co. c.p. - 4. La manifesta criminosità
costituisce limite alla scusabilità dell’errore di diritto penale. - 4.1. Il problema del criterio di
determinazione della manifesta criminosità.
1. L’ordine criminoso “insindacabile” (di diritto) nell’orientamento della
dottrina tradizionale.
L’art. 51 c.p. ultimo comma sancisce la non punibilità dell’esecutore
dell’ordine criminoso qualora la legge non gli consenta alcun sindacato sulla
legittimità dell’ordine.
E’ opportuno considerare quali siano i principi elaborati dalla dottrina in
sede di interpretazione dell’ultimo comma dell’art. 51 c.p., prescindendo per ora
dalle risultanze dell’indagine condotta relativamente all’estensione del sindacato
di legittimità attribuito all’inferiore gerarchico dalle norme amministrative che
SINDACATO SULLA LEGITTIMITA’ DELL’ORDINE CRIMINOSO
86
regolano la potestà ordinatoria e il correlativo dovere di obbedienza nei diversi
settori pubblici201.
La prevalente dottrina penalistica ritiene che siano configurabili categorie
di ordini illegittimi (criminosi) insindacabili, della cui esecuzione il subordinato
non sarebbe chiamato a rispondere. Tuttavia, la configurazione di una simile
categoria di ordini risulta, per coloro che la ammettono, problematica sotto diversi
profili.
Si pone, anzitutto, il problema di determinare se l’impossibilità di
sindacare l’ordine riguardi tutte o solo alcune categorie di subordinati operanti
nella pubblica amministrazione; in secondo luogo, è necessario determinare la
portata di tale “insindacabilità”, se essa sia, cioè, assoluta oppure relativa; infine,
sorge il problema di definire se la “non punibilità” dell’inferiore vada inquadrata
tra le cause di giustificazione oppure tra le cause scusanti.
1.1. Delimitazione dei casi in cui “la legge non consente alcun
sindacato sulla legittimità dell’ordine” ai subordinati militari e
assimilati.
Per quanto riguarda la prima questione, la dottrina202 tradizionalmente
ritiene che la non punibilità prevista dall’ultimo comma dell’art. 51 c.p. per chi
abbia eseguito un ordine criminoso insindacabile vada riferita ai rapporti di
subordinazione di natura militare o assimilati (come gli agenti di polizia; gli
agenti di custodia, ecc.), caratterizzati dall’obbligo di obbedienza pronta e
rigorosa. Per quanto concerne, infatti, gli impiegati civili dello Stato non si dubita
201 V. supra sez. III. 202 V., tra gli altri, ANTOLISEI, Manuale, cit., 281; FIANDACA – MUSCO, Diritto
penale, cit., 250; MANTOVANI, Diritto penale, 254.
SINDACATO SULLA LEGITTIMITA’ DELL’ORDINE CRIMINOSO
87
che sia sempre ammesso il pieno sindacato sulla legittimità dell’ordine
ricevuto203.
Gli ordini insindacabili sarebbero, dunque, circoscritti a quei settori in cui
il pronto ed efficace esercizio dell’azione amministrativa è indispensabile e la
stretta obbedienza è necessaria per garantire l’esercizio di funzioni che, per loro
natura, richiedono un sollecito adempimento.
In realtà, come meglio si dirà oltre204, neppure in questi settori è possibile
ritenere che il sindacato sulla legittimità dell’ordine sia per l’inferiore totalmente
escluso o comunque limitato ad alcuni aspetti della legittimità stessa.
1.2. Il contenuto del sindacato attribuito all’inferiore
In dottrina vi è concordia nel ritenere che, anche nei settori in cui si
ammette l’esistenza di ordini criminosi insindacabili, tale insindacabilità non sia
comunque assoluta.
A tal proposito, nel tentativo di determinare l’esatta portata di questa
“insindacabilità”, la dottrina distingue205 tra sindacato sulla legittimità formale e
sindacato sulla legittimità sostanziale.
Il primo tipo di sindacato riguarda la competenza del superiore ad
impartire l’ordine, la competenza dell’inferiore ad eseguirlo e l’emanazione nella
forma prescritta dalla legge; il sindacato sostanziale, invece, è relativo alla
sussistenza dei presupposti stabiliti dalla legge per l’emanazione dell’ordine.
L’insindacabilità dell’ordine da parte dell’inferiore (con conseguente
esenzione dalla responsabilità per il reato commesso in esecuzione dell’ordine)
sarebbe soltanto relativa, potendo riguardare unicamente la legittimità sostanziale
203 Cfr., per tutti, ROMANO, sub art. 51, cit., 552 s. 204 V. infra par. 2. 205 V., per tutti, BAJNO R., In tema di sindacato sull’ordine dell’Autorità
nell’«adempimento di un dovere» ex art. 51 c.p., in Riv. it. dir. e proc. pen., 1981, 546.
SINDACATO SULLA LEGITTIMITA’ DELL’ORDINE CRIMINOSO
88
dell’ordine medesimo; si ritiene206, infatti, che l’ordine sia sempre sindacabile
relativamente alla legittimità formale. Così l’agente di polizia giudiziaria potrà
sempre rifiutare di eseguire il provvedimento del magistrato privo di
sottoscrizione, mentre non sarà legittimato a verificare che il provvedimento di
custodia cautelare da eseguire si fondi su sufficienti indizi di colpevolezza.
Qualche autore207, tuttavia, contesta che la legittimità formale dell’ordine
sia sempre sindacabile, giacché non sarebbe escluso che taluni aspetti della
legittimità formale dipendano, in realtà, da valutazioni di merito sottratte alla sfera
di attribuzioni dell’inferiore: l’ufficiale di polizia giudiziaria potrà, pertanto,
verificare che l’ordinanza sia stata emanata nella forma scritta come richiesto
dalla legge, ma non anche la competenza del giudice ad emanare tale ordinanza.
Secondo questa impostazione, in sostanza, la legittimità formale sempre
sindacabile da parte dell’inferiore sarebbe soltanto quella relativa alla esecutorietà
dell’ordine, idonea a condizionare il dovere di obbedienza208.
1.2.1. La manifesta criminosità come limite (di diritto)
all’impossibilità di sindacare la legittimità sostanziale
dell’ordine.
Secondo la dottrina prevalente, il sindacato sulla legittimità sostanziale
dell’ordine non sarebbe totalmente precluso al subordinato esecutore. Si ritiene,
206 V., tra i molti, FIANDACA –MUSCO, op. cit., 251; ROMANO, sub art. 51, cit.,
552 s. Secondo CARACCIOLI, Manuale, cit., 399, il problema va incentrato non tanto sul requisito della “legittimità”, ma su quello stesso dell’ “ordine”, pertanto, ad es., non potrà essere considerato “ordine”, ove sia richiesta la forma scritta, una mera prescrizione verbale: in mancanza di un vero e proprio ordine il subordinato non deve eseguire tale prescrizione e, nel caso in cui lo faccia, concorrerà nel reato con il superiore.
207 MANTOVANI, Diritto penale, cit., PADOVANI, Ordine criminoso, cit., 480; VIGANO’, sub art. 51, cit., 456.
208 PADOVANI, op. ult. cit., 480.
SINDACATO SULLA LEGITTIMITA’ DELL’ORDINE CRIMINOSO
89
infatti, concordemente, che l’inferiore risponda del reato commesso se la
criminosità era manifesta209.
L’ordine è considerato manifestamente criminoso quando l’illiceità penale
è evidente, ossia immediatamente percepibile come tale senza necessità di
ulteriori accertamenti210: l’esempio classico è quello dell’ufficiale ubriaco che
ordina di sparare sulla folla inerme. Si pone comunque il problema di stabilire se
la manifesta criminosità vada determinata in base a criteri oggettivi, soggettivi o
misti, come si vedrà nel prosieguo della trattazione211.
La manifesta criminosità è concepita, dunque, da parte della dottrina
tradizionale, come limite all’insindacabilità dell’ordine da parte dell’inferiore
gerarchico. Se il militare non ha ravvisato la criminosità dell’ordine, nonostante
questa fosse manifesta, risponderà del reato, proprio perché non ha avvertito un
disvalore di portata incontrovertibile212.
Il fondamento della responsabilità poggia, dunque, su un atteggiamento
personale di “cecità” o di “ostilità” del soggetto agente verso il diritto213.
Anche nella casistica giurisprudenziale è consolidato l’orientamento
secondo cui non è invocabile l’esimente dell’adempimento del dovere qualora sia
data esecuzione ad un ordine manifestamente criminoso214. Si è inoltre precisato
209 V., per tutti, ANTOLISEI, Manuale, cit., 281; PADOVANI, Ordine criminoso,
cit., 487; RIZ, Lineamenti, cit., 204; VENDITTI, Il diritto penale militare, cit., 193. 210 VENDITTI, op. ult. cit.,187. 211 V. infra par. 4.1. 212 Per tutti, MANTOVANI, Diritto penale, cit., 255 ss. 213 In questi termini si esprime PADOVANI, Ordine criminoso, cit., 486. 214 Cfr. Cass. Pen., sez. V, 10 marzo 1994, in Cass. pen., 2678 (che ha ritenuto
manifestamente criminoso l’ordine impartito dal maresciallo comandante il personale di custodia addetto ad un istituto penitenziario di distruggere documenti dell'amministrazione); Cass. Pen., sez. VI, 28 settembre 1984, in Giust. pen., 1986, II, 450 (secondo cui è palesemente delittuoso l’ordine di sostituire un provvedimento di diffida a demolire, mediante soppressione di tale atto, con un ordinanza di sospensione dei lavori). Nella giurisprudenza di merito cfr., di recente, Ass. Roma, 6 dicembre 2000, in Foro it., 2002, II, 564 (con nota di AMATO), in riferimento alle torture, detenzioni e uccisioni commesse in Argentina durante il regime dei generali. Sulle problematiche relative alla manifesta criminosità dell’ordine e alla coscienza della criminosità da parte del subordinato cfr. inoltre i casi Kappler e Priebke,
SINDACATO SULLA LEGITTIMITA’ DELL’ORDINE CRIMINOSO
90
che l’esimente de qua si applica a condizione che l'ordine superiore gerarchico sia
assolutamente insindacabile: ciò non si verifica quando l'ordine si concreta nella
richiesta di provvedere alla commissione di un reato, perché il manifesto carattere
delittuoso del comportamento ordinato comporta la sindacabilità dell'ordine
impartito215.
1.2.1.1. Evoluzione storica della “manifesta criminosità”.
La prevalente dottrina216 ritiene che il limite della manifesta criminosità sia
espressione di un principio generale, da sempre riconosciuto anche in
giurisprudenza.
Già prima dell’entrata in vigore dei codici penali militari, il limite della
manifesta criminosità fu introdotto dalla dottrina217 allo scopo di interpretare in
modo meno rigido la locuzione “alcun sindacato” prevista dall’art. 51 c.p. ult. co.,
la cui formulazione induceva a ritenere che, nell’ambito dell’ordinamento
militare, fosse fatto assoluto divieto all’inferiore di sindacare gli ordini ricevuti218.
relativi all’eccidio delle Fosse Ardeatine, di cui si dirà infra cap. III.
215 Così Cass. Pen., sez. V, 28 maggio 1984, in Cass. pen., 1986, 48. Nello stesso senso Cass. Pen., sez. V, 21 aprile 1983, in Giust. pen., 1984, II, 426 (in tema di registrazione in un atto pubblico di un’attestazione manifestamente non veritiera).
216 FIANDACA –MUSCO, Diritto penale, cit., 251; MANTOVANI, Diritto penale, cit., 255.
217 V. BETTIOL, L’ordine dell’autorità, cit.,152; CIARDI G., Obbedienza gerarchica militare. Sindacato sulla legittimità dell’ordine, in Riv. pen., 1931, 632 ss.
218 Questa interpretazione poteva essere indotta anche dalle parole usate nella Relazione del Guardasigilli, nei Lavori preparatori al codice penale, vol. V, § 65, secondo cui tale disposizione riguardava “quelle particolari situazioni che fanno del dipendente un semplice strumento della volontà del superiore”, come appunto si poteva ritenere che accadesse in ambito militare. In quel periodo storico, peraltro, quello militare era considerato come un ordinamento giuridico autonomo rispetto a quello statale, munito di organizzazione propria e portatore di speciali interessi, attuabili anche in deroga ai principi stabiliti dal diritto penale comune, e nel quale, dunque, l’interesse alla pronta obbedienza degli ordini poteva essere ritenuto prioritario rispetto all’interesse alla non lesione di beni giuridici penalmente tutelati.
SINDACATO SULLA LEGITTIMITA’ DELL’ORDINE CRIMINOSO
91
Anche la giurisprudenza, con due storiche sentenze del 1935219 e del
1937220 riconobbe la manifesta criminosità come limite all’assoluta insindacabilità
dell’ordine e alla non punibilità del militare ai sensi dell’art. 51, 4° co.221. Il
subordinato doveva, dunque, presumere sempre la legittimità dell’ordine impartito
dal superiore ed eseguirlo prontamente, a meno che l’ordine fosse palesemente
criminoso222.
Il limite della manifesta criminosità è stato poi espressamente recepito
nell’abrogato art. 40 del c.p.m.p., che trovava applicazione per i reati militari in
luogo dell’art. 51 c.p. Tale disposizione sanciva la normale irresponsabilità
dell’inferiore per il reato commesso per ordine, salvo appunto il caso in cui
l’esecuzione dell’ordine costituisse manifestamente reato223. Il subordinato
doveva sempre presumere la legittimità sostanziale dell’ordine, in virtù del
219 T.S.M. 3 dicembre 1935, in Riv. pen., 1935, 273: “In materia penale militare il
dovere dell’obbedienza da parte dell’inferiore cessa di fronte alla manifesta criminosità dell’ordine, non potendo in tal caso sussistere presunzione di legittimità”.
220 T.S.M. 11 dicembre 1937, in Riv. pen., 1937, 726,: il tribunale, dopo aver affermato che la “palese criminalità” dell’ordine è limite all’obbligo del militare all’obbedienza pronta, rispettosa e assoluta, riconosce che “non è causa che escluda o attenui la punibilità l’aver agito in esecuzione di un ordine del superiore, quando l’ordine immediatamente e senza possibilità di equivoci si appalesi criminoso”.
221 Secondo SGUBBI F., Rilevanza, fondatezza ed implicazioni della questione di legittimità costituzionale dell’art. 51 u.c. c.p., in Riv. it dir. e proc. pen., 1971, 483, il timore di fare dei militari dei meri strumenti nelle mani dei superiore aveva indotto dottrina e giurisprudenza “ad introdurre in via interpretativa in malam partem una limitazione alla scriminante ex art. 51 u.c. c.p. ed a considerare responsabile, al di fuori di qualsiasi dettato normativo, l’inferiore che commettesse un reato in esecuzione di un ordine palesemente criminoso”.
222 V. BETTIOL, L’ordine dell’autorità, cit., 152, secondo il quale “la «manifesta» o «palese» illegalità dell’ordine equivale…ad illegalità sostanziale «conosciuta» dal subordinato”.
223 Art. 40 c.p.m.p. (Adempimento di un dovere): “1. Per i reati militari, in luogo dell’art. 51 del codice penale, si applicano le disposizioni dei commi seguenti. 2. l’adempimento di un dovere, imposto da una norma giuridica o da un ordine del superiore o di altra autorità competente, esclude la punibilità. 3. Se un fatto costituente reato è commesso per ordine del superore o di altra autorità, de reato risponde sempre chi ha dato l’ordine. 4. Nel caso preveduto dal comma precedente, risponde del fatto anche il militare che ha eseguito l’ordine, quando l’esecuzione di questo costituisce manifestamente reato”. L’articolo è stato abrogato dall’art. 22 della citata legge n. 382/1978. Per un’analisi dell’art. 40, v. BRUNELLI
SINDACATO SULLA LEGITTIMITA’ DELL’ORDINE CRIMINOSO
92
principio di insindacabilità degli ordini gerarchici militari. Il sindacato sostanziale
era, dunque, limitato ai casi di manifesta criminosità224, la quale faceva venir
meno la generale presunzione di legittimità dell’ordine e, con essa, anche il
dovere di obbedienza.
Peraltro, secondo l’opinione prevalente in dottrina225, tramite l’art. 40,
l’ordine criminoso insindacabile (non manifestamente criminoso) veniva a
costituire una vera e propria causa di giustificazione che, rendendo lecito il fatto
dell’inferiore, sanciva la prevalenza del dovere di obbedienza gerarchica sul
contrapposto obbligo di astenersi dal compiere azioni che ledano interessi
penalmente rilevanti.
Nonostante la disciplina contenuta nell’art. 40 c.p.m.p. fosse prevista per i
reati militari, dal tenore testuale dell’ultimo comma di questo articolo (che faceva
riferimento al “reato” e non al “reato militare”) dottrina e giurisprudenza ritennero
di poter ricavare un principio generale, riguardante anche i reati comuni: il limite
della manifesta criminosità operava, dunque, anche quando in esecuzione
dell’ordine venivano commessi reati comuni, e integrava con ciò l’art. 51 ult. co.
c.p.226.
– MAZZI, Diritto penale militare, cit., 97 ss.
224 Si riteneva, peraltro, che fosse sempre imposto all’inferiore il sindacato sulla legittimità formale dell’ordine, nonché quello relativo all’attinenza dell’ordine al servizio e alla disciplina , ex art. 173 c.p.m.p. (che punisce il militare che disobbedisce all’ordine attinente al servizio o alla disciplina). Sul punto v. VENDITTI R., Il diritto penale militare nel sistema penale italiano, Milano, 1959, 126 ss.; SANTORO, L’ordine, cit., 228 ss. Per l’opinione secondo cui anche sotto la vigenza dell’art. 40 c.p.m.p. al militare era consentito il pieno sindacato sulla legittimità, anche sostanziale, dell’ordine v. MAGGIORE, Brevi considerazioni, cit., 178 e 185.
225 V., per tutti, SANTORO, L’ordine del superiore, cit., 247. 226 Cfr. SANTORO, L’ordine, cit., 232, secondo cui, stante la disposizione di
carattere generale inclusa nell’art. 40 c.p.m.p., l’eventuale aggiunta dell’inciso “a meno che l’esecuzione dell’ordine costituisca manifestamente reato” all’ult. co. dell’art. 51 sarebbe stato niente altro che un chiarimento, peraltro non necessario. Sul punto v. anche PELLEGRINO, Nuovi profili, cit., 162. Rileva SGUBBI, Rilevanza, cit., 484, che “il considerare applicabile l’art. 40 u.c. c.p.m.p. anche quando in esecuzione dell’ordine sono commessi reati comuni e il limitare per questa via la portata della scriminante ex art. 51 u.c. c.p., non è che un chiaro esempio di interpretazione analogica in malam partem, la cui inammissibilità è sempre e
SINDACATO SULLA LEGITTIMITA’ DELL’ORDINE CRIMINOSO
93
L’abrogazione dell’art. 40 c.p.m.p. ha reso di nuovo applicabile, anche ai
reati militari, l’art. 51 c.p., per il principio di complementarietà227.
Attualmente la manifesta criminosità trova, come si è detto, in ambito
militare, un preciso appiglio testuale nell’art. 4 ult. co. della l. 382/78, ai sensi del
quale “il militare al quale viene impartito un ordine manifestamente rivolto
contro le istituzioni dello Stato o la cui esecuzione costituisce comunque
manifestamente reato, ha il dovere di non eseguire l’ordine e di informare al più
presto i superiori”228.
Come già precisato, la maggior parte della dottrina continua
equivocamente a ritenere che la manifesta criminosità sia il limite alla sostanziale
insindacabilità dell’ordine.
Qualche autore229 pone in evidenza che il limite della manifesta
criminosità, previsto esplicitamente dall’art. 4 della legge sui principi, viene
analogicamente esteso al diritto penale comune.
Non si comprende, tuttavia, il senso di questa pretesa estensione analogica.
Se, infatti, il senso di questa affermazione risiede nell’idea che l’art. 4 si applichi
ai soli reati militari, deve essere precisato che, in realtà, tale articolo, a differenza
dell’abrogato art. 40 c.p.m.p., non opera alcuna distinzione tra reato militare e
reato comune, per cui non c’è alcuna estensione analogica. Se, invece,
l’estensione del limite della manifesta criminosità in via analogica è intesa nel
senso della possibilità che esso operi anche per i dipendenti pubblici non militari o
assimilati militari230, il ragionamento risulta contraddittorio: non si può, infatti,
sostenere che l’inferiore civile ha sempre il dovere di sindacare la legittimità,
comunque stata fuori discussione”.
227 Sul principio di complementarietà v. ampiamente RIONDATO, Diritto penale militare, cit., 69 ss.
228 V. supra sez. III, par. 3.2. Norme analoghe vigono per la Polizia di Stato (art. 66 l. n. 121 del 1981) e per il Corpo di polizia penitenziaria (art. 10 l. n. 335 del 1990).
229 FIANDACA – MUSCO, op. cit., 255 ss. 230 Così sembrerebbe ritenere anche PADOVANI, Ordine criminoso, cit., 486.
SINDACATO SULLA LEGITTIMITA’ DELL’ORDINE CRIMINOSO
94
anche sostanziale, dell’ordine ricevuto e poi affermare che anche per lui opera il
limite all’insindacabilità dato dalla manifesta criminosità. Altro sarebbe sostenere,
invece, che, in sede di accertamento della responsabilità dell’inferiore, il fatto che
costui non abbia rilevato una criminosità per chiunque evidente (e abbia con ciò
obbedito ad un ordine manifestamente criminoso) non abbia per lui rilevanza
scusante.
In realtà, l’estensione analogica del limite della manifesta criminosità
poteva forse avere un ruolo sotto la vigenza dell’art. 40 c.p.m.p., al fine di evitare
che, per i reati comuni, fosse negato al militare quel sindacato che gli era invece
riconosciuto per i reati militari (con l’aberrante conseguenza che il subordinato
avrebbe dovuto obbedire all’ordine anche quando la sua esecuzione costituiva
manifestamente reato comune)231. Tale ruolo non ha più ragion d’essere, invece,
dopo l’abrogazione dell’articolo 40 c.p.m.p., e sotto la vigenza dell’art. 4 della l.
382/78, il quale non opera distinzioni tra reati comuni e reati militari.
Ma, più in generale, come meglio emergerà nel prosieguo della trattazione,
non può essere accettata in sé l’idea della manifesta criminosità come limite
all’insindacabilità sostanziale dell’ordine da parte del militare. Invero, con le
fondamentali “norme di principio” del 1978, che hanno dato attuazione ai principi
costituzionali, è mutato l’assetto normativo relativo al sindacato sulla legittimità
dell’ordine e al dovere di obbedienza da parte del militare. Anche la manifesta
criminosità deve assumere, dunque, un significato affatto diverso.
E’ condivisibile, pertanto, l’opinione di quella parte della dottrina che
configura la manifesta criminosità come limite della scusabilità dell’ignoranza o
dell’errore di diritto penale in cui sia incorso il militare che abbia eseguito
l’ordine penalmente illecito senza che la criminosità gli fosse nota232.
231 Sul punto v. VEUTRO V., Diritto penale militare, in LANDI G. – VEUTRO V. –
STELLACCI P. – VERRI P., Manuale di diritto e procedura penale militare, Milano, 1976, 185, nota 4.
232 RIONDATO, Diritto penale militare, cit., 208; ROSIN, Il militare, cit., 234.
SINDACATO SULLA LEGITTIMITA’ DELL’ORDINE CRIMINOSO
95
Prima dell’intervento della Corte Costituzionale sull’art. 5 c.p., il
riconoscimento della rilevanza dell’errore di diritto sulla legittimità dell’ordine
(con il limite della manifesta criminosità), solo per i militari, si poneva come
deroga al principio generale di inescusabilità dell’ignoranza della legge penale.
Tale deroga si giustificava in base alla considerazione delle caratteristiche
dell’obbedienza militare, la quale deve essere “pronta” (anche il mero ritardo
nell’esecuzione dell’ordine è punibile come reato di disobbedienza ex art. 173
c.p.m.p.) e spesso comporta, per l’inferiore, l’impossibilità di svolgere un
meditato sindacato sulla legittimità dell’ordine e il rischio di porre in essere con
l’attività esecutiva un illecito penale233.
Oggi, dopo l’intervento della Corte Costituzionale (che con la sentenza n.
364 del 1988 ha dichiarato costituzionalmente illegittimo l’art. 5 c.p. “nella parte
in cui non esclude dall’inescusabiità della ignoranza della legge penale
l’ignoranza inevitabile”)234, la manifesta criminosità deve essere ricondotta
nell’alveo della tematica concernente l’inevitabilità dell’errore di diritto in cui sia
incorso il militare esecutore, come si avrà modo di dimostrare a conclusione di
questo capitolo.
233 V. ROSIN, Il militare, cit., 234 ss., secondo il quale il combinato disposto degli
artt. 51 ult. co. e 4, 5° co., l. 382/78 (che prevede il dovere di disobbedienza all’ordine manifestamente criminoso) si riferisce alla causa di giustificazione prevista nel 1° co. dell’art. 51 e “conferisce, pertanto, rilevo all’errore che, non potendo essere quello di fatto già contemplato nel 3° comma, è proprio l’errore di diritto sulla scriminante dell’adempimento di un dovere derivante da un ordine legittimo dell’autorità”.
234 Corte Cost., 24 marzo 1988, n. 364, in Riv. it. dir. e proc. pen., 1988, 686 (con nota di PULITANO’ D., Una sentenza storica che restaura il principio di colpevolezza).
SINDACATO SULLA LEGITTIMITA’ DELL’ORDINE CRIMINOSO
96
1.2.2. Ruolo della coscienza della criminosità dell’ordine da parte
del subordinato.
Non si dubita, in dottrina235, che l’esecutore dell’ordine criminoso debba
rispondere del reato commesso, qualora abbia agito con la piena consapevolezza
della illiceità penale della condotta posta in essere. Quando, dunque, il
subordinato ha coscienza del carattere criminoso dell’ordine, anche se tale
criminosità non è manifesta, si ritiene che sorga per lui il dovere di disobbedire, e
se esegue l’ordine risponderà del reato in concorso con il superiore.
A tal proposito, si è affermato che se la responsabilità dell’inferiore non
viene esclusa quando egli non abbia percepito una criminosità per chiunque
manifesta, a maggior ragione tale responsabilità dovrà essere affermata se la
criminosità è stata colta e rilevata: viene meno la ratio posta a fondamento della
non punibilità dell’inferiore, ossia l’impossibilità di rendersi conto della
criminosità della condotta impostagli236. La criminosità “nota” finirebbe, dunque,
per essere “manifesta” agli occhi del subordinato237. La manifesta criminosità e la
criminosità comunque nota riattiverebbero, per così dire, il dovere di
disobbedienza all’ordine criminoso, di regola insindacabile.
235 Questa tesi è pacificamente riconosciuta in dottrina: v., tra gli altri, PADOVANI,
Ordine criminoso, cit., 487; SANTORO, Esercizio, cit., 829; VENDITTI, Il diritto penale militare, cit., 193.
236 Così PADOVANI, Ordine criminoso, cit., 487: secondo l’A., “il riferimento alla «manifesta» criminosità dell’ordine costituisce criterio presuntivo di prova circa l’effettiva consapevolezza da parte del subordinato… ma ove la prova della consapevolezza sia comunque certa, sarebbe assurdo che il criterio presuntivo stabilito per accertarla finisse col negare il proprio stesso fondamento logico, giocando a favore dell’agente contro la realtà della sua rappresentazione soggettiva”. V. anche VENDITTI, Il diritto penale militare, cit., 189, il quale ritiene che il requisito della manifesta criminosità abbia una funzione sintomatica della consapevolezza della criminosità dell’ordine da parte dell’inferiore: quando tale consapevolezza risulta aliunde la funzione sintomatica del “manifesta” viene ad essere vanificata.
237 Secondo SANTORO, L’ordine, cit., 236, le cognizioni particolari del destinatario dell’ordine, che rendano per lui certo il carattere d’illiceità penale dell’ordine, vanno ad integrare la manifesta criminosità.
SINDACATO SULLA LEGITTIMITA’ DELL’ORDINE CRIMINOSO
97
Con ciò, tuttavia, anche la criminosità nota finisce per essere intesa come
limite all’insindacabilità dell’ordine da parte del subordinato. La prevalente
dottrina, insomma, non tiene adeguatamente distinto il piano oggettivo su cui
opera il dovere di disobbedienza, da quello soggettivo della conoscenza o
ignoranza della criminosità.
Invero, l’ordine criminoso deve sempre essere disobbedito dall’inferiore,
mentre la manifesta o nota criminosità opera sul piano soggettivo, a fondamento
del giudizio di colpevolezza, come si dirà in seguito.
1.3. Il dibattito dottrinale sul fondamento della non punibilità
dell’esecutore dell’ordine criminoso insindacabile. Cenni sulla
distinzione tra cause di giustificazione e cause di esclusione della
colpevolezza.
Fermo restando il presupposto comune, ossia la configurabilità nel nostro
ordinamento della categoria degli ordini illegittimi insindacabili238, è discusso, in
dottrina, se la non punibilità dell’esecutore dell’ordine criminoso insindacabile ex
238 Da un punto di vista comparatistico può essere interessante rilevare che la
categoria dell’ordine illegittimo vincolante (recthswidriger verbindlicher Befehl) prevista dal diritto penale militare germanico è concettualmente diversa da quella dell’ordine criminoso insindacabile e/o vincolante che si ritiene sia configurabile nel nostro ordinamento. Infatti, nel sistema penale militare tedesco, è espressamente previsto che gli ordini criminosi non siano vincolanti (v. § 11 co. 2 SoldG e § 5 WStG), per cui l’ipotesi più rilevante di ordine illegittimo vincolante è quella dell’ordine di commettere un illecito amministrativo (Ordnungswidrigkeit) e l’esclusione della responsabilità penale – amministrativa per l’inferiore che esegue un simile ordine è da alcuni autori concepita come causa di giustificazione secondo il principio del conflitto di doveri, e da altri come causa di esclusione della colpevolezza. In argomento v. LEHLEITER G., Der rechtswidrige verbindliche Befehl, Frankfurt a. M., 1995 e bibliografia ivi citata. Peraltro, l’ammissibilità della categoria degli ordini illegittimi vincolanti ha fatto sorgere il problema, molto dibattuto dalla dottrina tedesca, della vincolatività o meno del c.d. “ordine pericoloso” (gefährlicher Befehl), relativo ai casi in cui dall’esecuzione dell’ordine (vincolante per l’inferiore) di commettere un illecito amministrativo può derivare il pericolo della commissione di un reato colposo. Sul punto v. infra cap. II, sez. I, par. 1.5.
SINDACATO SULLA LEGITTIMITA’ DELL’ORDINE CRIMINOSO
98
art. 51 ult. co. debba essere inquadrata tra le cause di giustificazione oppure tra le
cause di esclusione della colpevolezza (o scusanti).
Prima di esaminare partitamente le due opinioni è necessario dar conto,
seppur in estrema sintesi, delle elaborazioni dottrinali relative alla distinzione tra
cause di giustificazione e cause di esclusione della colpevolezza, anche allo scopo
di determinare la rilevanza pratica dell’inquadramento della non punibilità
dell’esecutore nell’una o nell’altra categoria.
Si tratta peraltro di una distinzione di cui si deve tener conto anche in
considerazione del fatto che la stessa trova accoglimento in alcuni dei recenti
progetti di riforma del codice penale239.
Le espressioni “cause di giustificazione” e “cause di esclusione della
colpevolezza” sono estranee al linguaggio del codice penale vigente, che non
opera alcuna distinzione tra le cause esimenti.
Negli artt. 59 e 119 è utilizzata la terminologia di “circostanze di
esclusione della pena”240, intendendo con tale espressione le cause di non
punibilità241. E’ prevista, nelle singole disposizioni, la “non punibilità” del
soggetto agente in ipotesi tra loro molto diverse: ciò avviene, per esempio, nel
caso in cui il fatto sia stato commesso nell’adempimento di un dovere (art. 51) o
per legittima difesa (art. 52), oppure da persona incapace di intendere e di volere
(art. 85), o per errore sul fatto (art. 47), oppure ancora nel caso del furto compiuto
dal figlio in danno del genitore (art. 649).
Si tratta di ipotesi tra loro eterogenee, non riconducibili ad un principio
ispiratore unitario242. E’ lasciato, dunque, all’interprete il compito di procedere ad
239 V. infra cap. IV sez. I. 240 Le circostanze di esclusione della pena vengono distinte, nel codice, dalle cause di
estinzione del reato e della pena (artt. 182 – 184, 198, 210), le quali intervengono in un momento successivo alla commissione del reato.
241 VASSALLI G., Cause di non punibilità, in Enc. dir., VI, 1960, 610 ss. 242 FIANDACA – MUSCO, Diritto penale, cit., 220.
SINDACATO SULLA LEGITTIMITA’ DELL’ORDINE CRIMINOSO
99
una qualificazione dogmatica di tali situazioni all’interno di una teoria generale
del reato.
Parte della dottrina243 ha conseguentemente elaborato una distinzione tra
cause di giustificazione (o scriminanti), cause di esclusione della colpevolezza (o
scusanti) e cause di non punibilità in senso stretto244. La trattazione dell’ultima di
queste categorie esula dall’ambito del presente lavoro245, per cui preme ora porre
l’attenzione sulla distinzione elaborata in dottrina tra cause di giustificazione e
cause scusanti.
Con il termine “cause di giustificazione” si indicano quelle particolari
situazioni in presenza delle quali un fatto, che altrimenti sarebbe reato, tale non è
perché una norma lo consente o lo impone246.
243 V. FIANDACA – MUSCO, Diritto penale, cit., 220, MANTOVANI, Diritto
penale, cit., 251; PADOVANI, Diritto penale, cit., 224; ROMANO M., Cause di giustificazione, cause scusanti, cause di non punibilità, in Studi in onore di G. Vassalli. Evoluzione e riforma del diritto e della procedura penale, 1945 – 1990, Vol I, Milano, 1991, 211.
244 Va peraltro precisato che esiste, in dottrina, una certa confusione terminologica, per cui non tutti gli autori adottano gli stessi termini da noi utilizzati; vocaboli quali “scriminanti” oppure “esimenti” non hanno, infatti, significato univoco. A titolo esemplificativo, il termine “esimenti” è utilizzato da alcuni autori (FIANDACA – MUSCO, op. cit., 220) per indicare le sole cause di giustificazione, da altri (MANTOVANI, op. cit., 374) per indicare le cause di esclusione della sola punibilità e da altri ancora (VIGANO’, Stato di necessità e conflitti di doveri. Contributo alla teoria delle cause di giustificazione e delle scusanti, cit., 149) con riferimento a tutte le circostanze che escludono la pena (cause di giustificazione, scusanti e mere cause di non punibilità). In merito ai plurimi significati attribuiti al termine “scriminanti”, si veda CONCAS L., Scriminanti, in Noviss. dig. it, XVI, 1969, 794. Per quanto riguarda la coincidenza tra la categoria delle “scusanti” e quella delle “cause di esclusione della colpevolezza” non vi è uniformità di vedute, v. infra nota 255.
245 Con l’espressione “cause di non punibilità in senso stretto” (denominate anche cause di esclusione della pena, o della sola punibilità) si intendono quelle circostanze che, lasciando sussistere sia l’antigiuridicità che la colpevolezza, influiscono soltanto sull’opportunità di applicare la pena nel caso concreto (così FIANDACA – MUSCO, op. cit., 220; GROSSO C. F., L’errore sulle scriminanti, Milano 1961, 64 e 93; ROMANO, Cause, cit., 220); un’ipotesi è quella di chi abbia commesso reati contro il patrimonio a danno di congiunti prevista dall’art. 649 c.p. Per una approfondita analisi della categoria si rinvia a VASSALLI, Cause di non punibilità, cit., 609 ss.
246 Così MANTOVANI, Diritto penale, cit., 249. Sulle cause di giustificazione in generale v., oltre alla manualistica citata supra, nota 45, CONCAS, Scriminanti, cit.; DOLCE R., Lineamenti di una teoria generale delle scusanti nel diritto penale, Milano, 1957;
SINDACATO SULLA LEGITTIMITA’ DELL’ORDINE CRIMINOSO
100
Problematica è la collocazione delle cause di giustificazione nella struttura
del reato, la quale dipende dall’adesione alla concezione tripartita o bipartita.
Non è possibile, in questa sede, soffermarsi diffusamente sulle ripartizioni
tradizionali elaborate in sede di teoria generale del reato247, e, del resto, è
innegabile che l’individuazione degli elementi del reato presenta una sua
ineliminabile componente di convenzionalità e che sono conseguentemente
astrattamente legittime diverse sistematiche248. Per quanto qui interessa, si può
affermare, in estrema sintesi, che, secondo i sostenitori della tripartizione249, le
cause di giustificazione escludono l’antigiuridicità del fatto, intesa come
autonomo elemento del reato (l’assenza di cause di giustificazione permette,
dunque, di qualificare il fatto tipico come antigiuridico), mentre per i fautori della
GROSSO, Cause di giustificazione, cit.; ID., L’errore sulle scriminanti, cit.; MARINUCCI G., Antigiuridicità, in Dig. disc. pen., I, 1987, 172; ID., Cause di giustificazione, in Dig. disc. pen., II, 1988, 130; ID. Fatto e scriminanti, in Riv. it. dir. e proc. pen., 1983, II, 1190; ROMANO, Cause, cit.; SANTAMARIA D., Lineamenti di una dottrina delle esimenti, Napoli, 1961.
247 In tema di teoria generale del reato, v. DONINI M., Teoria del reato, in Dig. disc. pen., 1999, 221; FIORELLA A., Reato in generale, in Enc. dir., XXXVII, 1987, 771 e riferimenti bibliografici ivi indicati.
248 In questo senso MANTOVANI, Diritto penale, cit., 103; conf. FIANDACA- MUSCO, Diritto penale, parte generale, cit., 176. Come peraltro rileva ROMANO M., Teoria del reato, punibilità, soglie espresse di offensività (e cause di esclusione del tipo), in Studi in onore di Giorgio Marinucci (a c. di DOLCINI E. e PALIERO C.E.), II, Teoria della pena. Teoria del reato, Milano, 2006, 1720, bipartizione e tripartizione “hanno in comune valutatività, base logica e gradualismo, distinguendosi ormai l’una dall’altra per la posizione assegnata alle cause di giustificazione”.
249 L’origine della teoria tripartita viene fatta risalire, per quanto riguarda la dottrina tedesca, all’opera di BELING E., Die Lehre vom Verbrechen, Tübingen, 1906, e, per quella italiana, all’opera di DELITALA G., Il “fatto” nella teoria generale del reato, Padova, 1930. L’impostazione di fondo della concezione tripartita, pur nelle diverse formulazioni elaborate in dottrina, è quella di individuare nel reato i tre elementi del fatto tipico, dell’antigiuridicità e della colpevolezza, e di collocare le cause di giustificazione nell’ambito dell’antigiuridicità. Tra gli autori che seguono il modello tripartito v. BETTIOL – PETTOELLO MANTOVANI, Diritto penale, cit., 248 ss.; FIANDACA –MUSCO, op. cit., 149 ss.; ROMANO, Commentario, cit., 267 ss.; PADOVANI, Diritto penale, cit., 133; Per un’approfondita indagine sull’argomento v. RIZ R., La teoria generale del reato nella dottrina italiana: considerazioni sulla tripartizione, in Ind. pen., 1981, 607 ss.
SINDACATO SULLA LEGITTIMITA’ DELL’ORDINE CRIMINOSO
101
concezione bipartita250 le cause di giustificazione costituiscono elementi negativi
del fatto (che devono cioè mancare affinché sussista il fatto tipico)251.
Non meno complesso è l’inquadramento dogmatico delle cause di
esclusione della colpevolezza, le quali, peraltro, non sono state oggetto di molte
approfondite analisi da parte della dottrina italiana252, come è avvenuto invece per
le cause di giustificazione253.
Si ritiene254 che le cause di esclusione della colpevolezza o scusanti255
lascino integra l’antigiuridicità o illiceità oggettiva del fatto, escludendo soltanto
250 La teoria della bipartizione trova la sua matrice nella scomposizione carrariana del
reato nella “forza fisica” e nella “forza morale” (CARRARA, Programma del corso di diritto criminale. Parte generale, II, Firenze, 1902). I sostenitori della bipartizione contestano la configurazione dell’antigiuridicità come elemento a sé stante del reato, ritenendo che essa sia, invece, una qualificazione che investe l’intero fatto in tutti i suoi elementi oggettivi e soggettivi; essa sarebbe, dunque, l’in sé, l’essenza stessa del reato. Secondo questa impostazione, il reato si compone dell’elemento oggettivo (ossia il fatto materiale in tutti i suoi elementi costitutivi) e dell’elemento soggettivo (consistente nel diverso atteggiarsi della volontà riprovevole). Tra gli autori che accolgono la teoria bipartita v. ANTOLISEI, Manuale, cit., 192; GROSSO, Cause di giustificazione, cit.; MANTOVANI, Diritto penale, cit., 110; MARINI, Lineamenti, cit., 272.
251 Così, tra gli altri, MANTOVANI, op. cit., 250; MARINI, op. cit., 359 ss. Secondo altri autori le cause di giustificazione costituirebbero cause oggettive di esclusione del reato (ANTOLISEI, Manuale, cit., 245) oppure limiti scriminanti del fatto (NUVOLONE P., I limiti taciti della norma penale, Palermo, 1947).
252 Gli unici lavori monografici in argomento risultano essere quello di DOLCE, Lineamenti di una teoria generale delle scusanti nel diritto penale, cit. e, più di recente, quello di VENAFRO E., Scusanti, Torino, 2002. La problematica delle scusanti è stata analizzata con maggiore attenzione dalla dottrina tedesca. In argomento v. infra cap. II, sez. I, par. 1.
253 Sull’utilizzabilità della distinzione tra giustificanti e scusanti in ragione della loro struttura oggettiva o soggettiva indipendentemente dall’adesione alla teoria tripartita o bipartita del reato v. MOLARI A., Profili dello stato di necessità, Padova, 1964, 11 ss., il quale pone l’accento sulla correlazione tra individuazione della ratio e sistemazione dogmatica dell’esimente.
254 V. FIANDACA – MUSCO, op. cit., 220; MANTOVANI, Diritto penale, cit., 374; ROMANO, Commentario, cit., 489 ss.; PADOVANI, Diritto penale, 225 ss.
255 Parte della dottrina tedesca opera una distinzione tra cause di esclusione della colpevolezza (non imputabilità e errore inevitabile sul divieto) e scusanti (ad es. stato di necessità ed eccesso di legittima difesa): mentre nelle prime la colpevolezza manca completamente, nelle seconde una certa colpevolezza è comunque presente ma il grado di rimproverabilità è così ridotto che l’autore viene “perdonato”. In tal senso v., per tutti, LENCKNER T., Vor § 32 , in SCHÖNKE A. - SCHRÖDER H., StGB Kommentar, München,
SINDACATO SULLA LEGITTIMITA’ DELL’ORDINE CRIMINOSO
102
la possibilità di muovere un rimprovero al suo autore256. Parte della dottrina
contesta la possibilità di configurare una autonoma categoria di cause di
esclusione della colpevolezza257 e, anche tra chi le ammette, non c’è piena
uniformità di vedute in merito all’individuazione delle singole cause scusanti258.
Presupposto per il riconoscimento della categoria delle scusanti è
l’adozione di concetto “normativo” di colpevolezza, comprensivo non solo del
dolo e della colpa ma altresì di ogni altro elemento in grado di condizionare il
giudizio di rimproverabilità personale del fatto259: invero, qualora si accogliesse la
nozione “psicologica” di colpevolezza, le cause scusanti si ridurrebbero ai
“rovesci negativi” del dolo e della colpa (quali l’errore sul fatto e il caso fortuito),
con conseguente superfluità di una loro autonoma sistematizzazione260.
La dottrina prevalente ritiene che a fondamento delle scusanti vi sia il
principio di inesigibilità261, per cui, data la particolare situazione in cui si trova il
2001, n. marg. 108/109; contra ROXIN C., Rechtfertigungs- und Entschuldigungsgründe in Abgrenzung von sonstigen Strafausschließungsgründen, in AA.VV., Rechtfertigung und Entschuldigung, I, Freiburg i. Br., 1987, 237; v. anche infra cap. II, sez. I, par. 1. In seno alla dottrina italiana esprime opinione favorevole a tale distinzione, pur precisando che essa non ha oggettive conseguenze sul piano del trattamento giuridico, FORNASARI G., Le cause soggettive di esclusione della responsabilità nello schema di delega per un nuovo codice penale, in Ind. pen., 1994, 365; contra ROMANO, Cause, cit., 224. La distinzione in esame è stata accolta nello “Schema di delega legislativa per l’emanazione di un nuovo codice penale” del 1992 (c.d. Progetto Pagliaro): v. infra cap. IV, sez. I, par. 1.1.
256 Per un’indagine, anche in chiave comparatistica, sulle problematiche concernenti la distinzione tra cause di giustificazione e cause scusanti in relazione alle nozioni di illiceità e colpevolezza, v. VIGANO’, op.ult. cit., 147 ss.
257 V., ad es., MARINI, Lineamenti, cit., 364 e 437; GALLO M., Il concetto unitario di colpevolezza, Milano, 1951, 144 ss.
258 A titolo esemplificativo c’è chi riconduce alla categoria l’errore inevitabile sul divieto, l’ordine criminoso insindacabile, lo stato di necessità determinato da altrui minaccia (FIANDACA – MUSCO, op. cit., 366), chi a queste ipotesi aggiunge il costringimento fisico (PADOVANI, Diritto penale, cit., 231); chi vi include altresì l’errore in tutte le sue forme (MANTOVANI, op. cit., 374 ss.); chi, ancora, indica tra le scusanti anche alcune ipotesi di parte speciale come quella dell’art. 384, co. 1° c.p. (ROMANO, Cause, cit., 223).
259 Cfr., per tutti, PADOVANI T., Appunti sull’evoluzione del concetto di colpevolezza, in Riv. it.dir. proc. pen., 1973, 566.
260 VIGANO’, op. ult. cit., 152. 261 Cfr. MANTOVANI, Diritto penale, cit., 374; FIANDACA – MUSCO, op. cit.,
366; PADOVANI, Diritto penale, cit., 225; ROMANO, Cause, cit., 23: secondo questi autori
SINDACATO SULLA LEGITTIMITA’ DELL’ORDINE CRIMINOSO
103
soggetto, non si potrebbe pretendere da lui un comportamento conforme alla legge
penale. L’ordinamento, dunque, tiene in considerazione i riflessi psicologici della
particolare situazione esistenziale che il soggetto si trova a vivere262.
Prescindendo dalla soluzione delle complesse problematiche, brevemente
esposte, concernenti le cause di giustificazione e le cause scusanti – soluzione che
richiederebbe un’indagine ulteriore rispetto alle “forze” e all’intendimento del
presente lavoro – ci si limiterà a porre l’accento sui profili di rilevanza pratica che
la distinzione tra cause di giustificazione e cause di esclusione della colpevolezza
presenta, soprattutto al fine di capire a quali conseguenze possa portare
l’inquadramento dell’ordine criminoso insindacabile nell’una o nell’altra
categoria.
Tali conseguenze possono essere così schematizzate263:
a) contro un fatto “giustificato”, si ritiene in dottrina, che non sia mai
ammissibile la legittima difesa; al contrario, un fatto “scusato” può essere
lecitamente impedito264;
b) le cause di giustificazione operano oggettivamente e quindi anche se
sconosciute o per errore ritenute inesistenti, mentre le scusanti operano soltanto se
conosciute dall’agente265;
l’inesigibilità, per assurgere a scusante,deve comunque essere espressamente prevista e circoscritta da specifiche norme. Per una critica all’inesigibilità come causa generale preterlegale di esclusione della colpevolezza v., per tutti, MANTOVANI, op. cit., 375 s. In particolare, sul tema dell’inesigibilità, v. FORNASARI G., Il principio di inesigibilità nel diritto penale, Padova, 1990.
262 Così ROMANO; Cause, cit., 222. L’A. precisa che “l’idea di fondo delle cause scusanti è infatti sì l’inesigibilità: ma un’inesigibilità che, per essere ben doverosamente prevista e circoscritta da specifiche norme, ben può attribuire rilievo a distorsioni del processo di motivazione indotte da tensioni psicologiche o conflitti di coscienza individuati secondo una “standardizzazione” di tipi, di ruoli, di rapporti” (p. 231).
263 VIGANO’, op. ult. cit., 310 ss. 264 Affinché sia possibile la legittima difesa, l’offesa minacciata deve essere ingiusta
e tale non è quella arrecata in base ad una norma che la imponga o la autorizzi: contro chi agisce, ad es., in adempimento del dovere, non è data legittima difesa. Viceversa, il fatto compiuto in presenza di una scusante, quindi realizzato incolpevolmente, ma non “giustificato” è sempre impedibile (purché, naturalmente, sussistano tutti gli elementi previsti
SINDACATO SULLA LEGITTIMITA’ DELL’ORDINE CRIMINOSO
104
c) le cause di giustificazione si estendono di regola a tutti i coloro che
prendono parte alla commissione del fatto266, mentre le scusanti operano soltanto
a vantaggio del soggetto a cui si riferiscono e non sono, dunque, estensibili agli
altri concorrenti267;
d) le cause di giustificazione rendono il fatto conforme all’intero
ordinamento giuridico, precludendo l’applicazione di qualsiasi sanzione, penale o
extrapenale268; le scusanti, invece, impediscono l’applicazione della sanzione
penale ma non escludono che il fatto possa costituire illecito civile o
amministrativo269.
dall’art. 52 c.p.). V., per tutti, MANTOVANI, op. cit., 269, PADOVANI, op. cit., 138 s.
265 V. ROMANO, Cause, cit., 231, secondo il quale l’agente deve essere a conoscenza della concreta sussistenza dei presupposti della scusante, poiché senza tale conoscenza non potrebbe esservi quella distorsione del processo motivazionale indotta da tensioni psicologiche o conflitti di coscienza che sono a fondamento delle norme che prevedono le scusanti. In senso conforme FIANDACA – MUSCO, Diritto penale, cit., 220.
266 V., per tutti, MANTOVANI, Diritto penale, cit., 571. Contra MARINUCCI, Cause di giustificazione, cit., 137 ss., secondo il quale sarebbero invece configurabili cause di giustificazione “personali” e, quindi, non estensibili agli altri concorrenti (tra di esse rientrerebbe anche l’ordine criminoso insindacabile: v. infra, par. 1.3.1.)
267 FIANDACA – MUSCO, Diritto penale, cit., 220; ROMANO, Cause, cit., 231, PADOVANI, op. cit., 226. La dottrina ritiene (v., per tutti, MANTOVANI, op.cit., 571) che la non comunicabilità ai concorrenti delle scusanti trovi fondamento nell’art. 119, 1° co. c.p. (sulle problematiche concernenti l’interpretazione dell’art. 119 v. infra par. 1.3.1.).
268 PADOVANI, Diritto penale, cit., 139; ROMANO, Commentario, cit., 488; MARINUCCI, Cause di giustificazione, cit., 132. Cfr. altresì MARINUCCI, Cause di giustificazione, cit., 132, il quale afferma che la nozione di causa di giustificazione si fonda sul postulato dell’unità dell’ordinamento giuridico “ed è un’unità che si esprime nella coerenza: la postulano ...i contrassegni dello Stato di diritto, che come minimo è caratterizzato, a garanzia dei cittadini, da inequivoci confini tra lecito e illecito, e nel cui seno è quindi inammissibile la qualificazione antinomica di uno stesso fatto, da parti diverse dell’ordinamento, come lecito e illecito”. Contra ANTOLISEI, Manuale, cit., 247, il quale ritiene che non possa essere negata a priori l’esistenza di ipotesi in cui, pur essendo esclusa l’antigiuridicità penale, permanga un illecito civile o amministrativo.
269 Così PADOVANI, op. cit., 226.
SINDACATO SULLA LEGITTIMITA’ DELL’ORDINE CRIMINOSO
105
1.3.1. Ordine criminoso insindacabile vincolante quale ordine che
opera come causa di giustificazione.
Parte della dottrina270 ritiene che l’art. 51 ult. co. c.p. preveda una causa di
giustificazione per l’esecutore dell’ordine criminoso insindacabile.
La tesi muove dalla considerazione che nel nostro ordinamento
(quantomeno nell’ambito dell’ordinamento militare o in ordinamenti ad esso
equiparati) siano ravvisabili ordini criminosi vincolanti, ordini, cioè, che,
nonostante la loro illiceità penale, fanno sorgere un vero e proprio dovere di
obbedienza, disciplinarmente e penalmente sanzionabile.
Secondo questa impostazione, dunque, esiste piena corrispondenza tra
insindacabilità e vincolatività dell’ordine: l’ordine, in quanto insindacabile, è
anche vincolante, anche se illegittimo o addirittura criminoso, e l’inferiore non
potrà rifiutarne l’esecuzione, salvo che l’ordine sia manifestamente criminoso271.
Si ritiene, a tal proposito, che il fondamento logico del limite della manifesta
criminosità risieda nel fatto che l’evidente illiceità penale fa venir meno la
generale presunzione di legittimità degli ordini emanati dai superori gerarchici,
presunzione in base alla quale l’ordinamento talora impone all’inferiore di
eseguire l’ordine senza sindacarlo272. Del reato risponderà il solo superiore,
mentre l’inferiore andrà esente da pena per aver adempiuto un dovere del proprio
ufficio273. La condotta posta in essere dall’inferiore non è dunque antigiuridica e
la causa di giustificazione si fonda sulla prevalenza dell’interesse ad un pronto
270Per questa impostazione v. ANTOLISEI, Manuale, cit., 282; BETTIOL, L’ordine
dell’autorità, cit., 154; DELITALA, Adempimento, cit., 571; MARINUCCI, Cause di giustificazione, cit., 137; SANTORO, L’ordine del superiore, cit., 247; VIGANO’, sub art. 51, 454.
271 Secondo SANTORO, L’ordine, cit., 247, “se l’ordine è illegittimo, esso non deve essere eseguito dal destinatario, in quanto possa avvertirne e ne avverta la criminosità. Ma se il destinatario è sfornito del potere di sindacato, ciò significa ch’egli deve ugualmente eseguirlo, come se fosse legittimo”.
272 VIGANO’, sub art. 51, 456. 273 ANTOLISEI, op. cit., 254; BETTIOL – PETTOELLO MANTOVANI, Diritto
penale, cit., 374.
SINDACATO SULLA LEGITTIMITA’ DELL’ORDINE CRIMINOSO
106
adempimento degli ordini del superiore, onde evitare la paralisi dell’attività
amministrativa, rispetto agli interessi di volta in volta tutelati dalle norme
incriminatrici274.
L’esistenza nel nostro ordinamento di ordini criminosi vincolanti non può
essere negata, secondo i fautori della teoria in esame275, alla luce delle norme (art.
25, 2° co., d.P.R. 545/1986; art. 66 l. 121/1981) che impongono ai militari e ai
membri della Polizia di Stato di obbedire all’ordine illegittimo confermato. In
base a queste disposizioni, il militare o l’agente di polizia al quale venga impartito
un ordine che egli non ritiene conforme alle norme in vigore, deve farlo presente a
chi lo ha impartito, dichiarandone le ragioni, e se l’ordine viene confermato è
tenuto a darvi esecuzione. Per l’inferiore, dunque, vi sarebbe un vero e proprio
dovere di obbedire all’ordine confermato, anche se illegittimo o criminoso (salvo
sempre il limite della manifesta criminosità), e l’inosservanza dell’ordine, sebbene
criminoso, condurrebbe alla responsabilità disciplinare o eventualmente penale (v.
art. 173 c.p.m.p.) per la disobbedienza. Pertanto, con riferimento almeno a queste
ipotesi, l’esecuzione dell’ordine da parte dell’inferiore, in quanto doverosa, non
potrà essere ritenuta antigiuridica.
Questa impostazione presta il fianco a numerose critiche, giacché il fatto di
considerare lecita la condotta del subordinato esecutore dell’ordine criminoso
pone una serie di problemi difficilmente risolvibili.
274 Osserva BETTIOL, L’ordine dell’Autorità, cit., 155 che “il subordinato invece
agisce lecitamente perché … tra la norma che impone al subordinato l’obbligo di astenersi dal compiere azioni che ledono interessi penalmente protetti, e quella che gli impone di obbedire ai comandi del superiore, la prevalenza – posto che il comando sia veramente obbligatorio – spetta a quest’ultima”. Secondo PALAZZO, Corso di diritto penale, p. gen., cit., 357, la commissione del reato (giustificato) da parte dell’inferiore è la concretizzazione di un rischio, accettato dall’ordinamento, non per realizzare direttamente l’interesse per il quale è emanato l’ordine, ma solo per assicurare quella prontezza e sicurezza di esecuzione che sono condizione indiretta di realizzazione degli interessi prevalenti.
275 V. VIGANO’, sub art. 51, cit., 454 e ID., Stato di necessità, cit., 307.
SINDACATO SULLA LEGITTIMITA’ DELL’ORDINE CRIMINOSO
107
Il primo riguarda il contrasto tra tale ricostruzione e il principio della
responsabilità penale del superiore che ha impartito l’ordine, affermato nel 2°
comma dell’art. 51 c.p.
Le cause di giustificazione, infatti, si considerano di regola estensibili ai
concorrenti: se il fatto commesso da un soggetto è oggettivamente lecito, allora
devono necessariamente considerarsi lecite anche le attività dei compartecipi276.
Tale comunicabilità si ricava dall’art. 119, 2° co. c.p., il quale, con il prevedere
che le “circostanze oggettive che escludono la pena hanno effetto per tutti coloro
che sono concorsi nel reato” fa riferimento proprio alle cause di giustificazione277.
Ora, ritenere che il subordinato sia non punibile in base ad una circostanza
“oggettiva” di esclusione della pena potrebbe far sorgere il pericolo
dell’estensione, ex art. 119, 2° co., c.p., dell’efficacia scriminante dell’ordine
criminoso al pubblico ufficiale che ha emanato l’ordine278.
Chi configura l’ordine criminoso insindacabile come causa di
giustificazione esclude tale possibilità, affermando che esistono cause di
276 V., per tutti, RIZ, Lineamenti, cit., 361. 277 L’art. 119 c.p. (Valutazione delle circostanze di esclusione della pena) così recita:
“1. Le circostanze soggettive le quali escludono la pena per taluno di coloro che sono concorsi nel reato hanno effetto soltanto riguardo alla persona a cui si riferiscono. 2. Le circostanze oggettive che escludono la pena hanno effetto per tutti coloro che sono concorsi nel reato”. L’interpretazione di questa disposizione non è univoca. Parte della dottrina (LATAGLIATA A. R., Concorso di persone nel reato (dir. pen.), in Enc dir., VIII, 1961, 598) ritiene, infatti, che il criterio di distinzione tra circostanze di esclusione della pena di natura soggettiva e circostanze di natura oggettiva sia quello fissato, per le circostanze in genere, dall’art. 70 c.p.; per altri autori (v., tra gli altri, FIANDACA – MUSCO, op. cit., 486; GRASSO G., sub art. 119, in ROMANO M. – GRASSO G., Commentario sistematico del codice penale, Artt. 85 – 149, 1996, Milano, 236 ss. MANTOVANI, Diritto penale, cit., 571) le circostanze “soggettive” sarebbero le cause di esclusione della colpevolezza (nonché le scusanti, per chi le distingue dalle cause di esclusione della colpevolezza) e le cause di non punibilità in senso stretto, mentre quelle “oggettive” sarebbero le cause di giustificazione; qualche autore (PAGLIARO, Principi, cit., 584), infine, afferma che le circostanze di esclusione della pena sono oggettive quando, in concreto, la loro struttura è tale da investire la condotta di tutti i compartecipi, mentre sono soggettive quando, in concreto, riguardano la condotta di alcuni soltanto dei compartecipi.
278 Proprio la necessità di evitare il pericolo della comunicabilità della scriminante al superiore pare essere stata la ratio dell’espressa previsione della punibilità di quest’ultimo ex
SINDACATO SULLA LEGITTIMITA’ DELL’ORDINE CRIMINOSO
108
giustificazione che non si applicano a tutti i concorrenti. Si tratta delle c.d. cause
di giustificazione “personali”, le quali si riferiscono solo a fatti commessi da
persone appartenenti a determinate categorie o che operino entro certi rapporti, e
alle quali si applica l’art. 119 1° co., relativo alle circostanze soggettive di
esclusione della pena279.
Secondo altri autori280 non è illogico che chi esegue un ordine criminoso
agisca lecitamente, pur restando punibile il superiore che ha impartito l’ordine,
giacché è solo il subordinato a versare in una situazione di conflitto tra il divieto
di commettere una condotta costituente reato e l’obbligo (prevalente) di eseguire
l’ordine.
Le tesi esposte tuttavia non convincono perché non si vede come
l’efficacia di una causa di giustificazione possa essere limitata ad uno solo dei
soggetti che concorrono nel reato. Invero, il fatto commesso dal superiore e
dall’inferiore in concorso tra loro è unitario, per cui se il fatto è oggettivamente
reato per il primo non può non esserlo anche per il secondo281.
Un altro problema che emerge dalla configurazione dell’ordine criminoso
insindacabile come causa di giustificazione riguarda la possibilità del terzo di
agire in legittima difesa contro il fatto dell’esecutore dell’ordine: contro un fatto
“giustificato” non si ritiene, infatti, mai ammissibile la legittima difesa282.
In dottrina si è sostenuto, tuttavia, che il terzo potrebbe legittimamente
opporsi al subordinato che esegue l’ordine criminoso vincolante, perché la liceità
dell’azione dell’inferiore ha una ristretta sfera d’influenza: la liceità dell’azione
art. 51, 2° co., c.p. Cfr. supra sez. II, par. 1.
279 MARINUCCI, Cause di giustificazione, cit., 137. In senso conforme SANTORO, L’ordine del superiore, cit., 251. Critico sulla possibilità di configurare l’ordine illegittimo insindacabile come causa di giustificazione personale è ROMANO, Cause di giustificazione, cause scusanti, cause di non punibilità, cit., 229 s.
280 VIGANO’, Stato di necessità, cit., 320. 281 ROMANO, Commentario, cit., 552. 282 V. supra par. 1.3.
SINDACATO SULLA LEGITTIMITA’ DELL’ORDINE CRIMINOSO
109
non comporta l’illiceità dell’evento, per cui non si potrebbero obbligare i terzi a
subire passivamente i torti loro cagionati dalla pubblica amministrazione283.
E’ difficile, tuttavia, ammettere che da un’azione lecita possa scaturire un
evento illecito: l’illiceità riguarda, invero, l’intero fatto e non il solo evento284.
Qualche autore, più coerentemente, ritiene che la vittima dell’esecuzione
di ordini illegittimi (non manifestamente criminosi) abbia l’obbligo di tollerare la
loro esecuzione, giacché l’ordinamento, prevedendo gli ordini vincolanti, ha fatto
prevalere, nel bilanciamento tra i contrapposti interessi, l’interesse alla pronta
esecuzione degli ordini sia sull’interesse generico alla legalità degli atti
amministrativi, sia sugli interessi particolari di volta in volta lesi dagli atti
amministrativi illegittimi285.
In realtà, l’evidente inaccettabilità di tale conseguenza mostra anche
l’inadeguatezza della premessa da cui essa pur coerentemente muove, ossia
l’ordine criminoso vincolante come causa di giustificazione. L’interesse alla
pronta esecuzione degli ordini, invero, non riceve tutela in sé e per sé, bensì
soltanto in quanto funzionale al perseguimento dell’interesse pubblico, che
l’amministrazione è chiamata istituzionalmente a realizzare, nel rispetto delle
norme di legge: in un moderno Stato di diritto l’interesse all’obbedienza
gerarchica non può prevalere sul superiore interesse all’osservanza della legge.
283 BETTIOL, L’ordine dell’autorità, cit., 195, il quale definisce l’ordine illegittimo
vincolante come “un’apparizione molto strana nel campo del diritto, la quale trae naturalmente seco dei fenomeni giuridici strani: come da un lato esso porta ad ammettere la possibilità che da un’azione lecita scaturisca un evento illecito, dall’altro è resa ammissibile la legittima difesa nei confronti di un’azione lecita giuridicamente”. Ammette la possibilità della legittima difesa del terzo anche SANTORO, L’ordine, cit., 250, sul presupposto che l’azione dell’esecutore è lecita solo nei suoi confronti, mentre rispetto ad ogni altro soggetto deve ritenersi illecita.
284 DOLCE, Lineamenti di una teoria generale delle scusanti, cit., 42. 285 VIGANO’, Stato di necessità, cit., 316.
SINDACATO SULLA LEGITTIMITA’ DELL’ORDINE CRIMINOSO
110
1.3.2. Ordine criminoso insindacabile come causa di esclusione della
colpevolezza.
Altra parte della dottrina286 configura l’ordine criminoso insindacabile
come causa di esclusione della colpevolezza (o causa scusante).
Questa teoria muove dalla condivisibile idea che si debba operare una
distinzione tra vincolatività e insindacabilità dell’ordine, trattandosi di due
concetti tra loro eterogenei.
Si osserva287, in proposito, che, mentre un ordine, per essere vincolante,
deve essere anche insindacabile, dato che l’eventuale attribuzione di un potere di
sindacato comporta necessariamente, per il principio di non contraddizione,
l’esclusione di un dovere incondizionato d’obbedienza (perché non si può, da un
lato, concedere all’inferiore il pieno sindacato sulla legittimità dell’ordine e,
dall’altro, imporgli di eseguirlo comunque anche se criminoso), non è altrettanto
certo che valga l’affermazione reciproca, e cioè che un ordine insindacabile debba
per ciò stesso essere vincolante.
La validità dell’equazione secondo cui ogni ordine insindacabile è anche
vincolante dipende da una scelta concreta, storicamente determinata, di un certo
ordinamento giuridico, il quale potrebbe negare al subordinato i poteri di
sindacato sulla legittimità dell’ordine senza tuttavia prevedere una sanzione per
l’ipotesi in cui l’inferiore rifiuti obbedienza ad un ordine criminoso288.
Posta questa fondamentale distinzione, i fautori della teoria in esame
rilevano come non siano ravvisabili nel nostro ordinamento ordini criminosi
286 DOLCE, Lineamenti, cit., 40 ss.; FIANDACA – MUSCO, Diritto penale, cit.,
251; MANTOVANI, Diritto penale, cit., 254; PADOVANI, Diritto penale, cit., 229 ss.; ROMANO, Commentario, cit., 552.
287 PADOVANI, Le ipotesi speciali, cit., 171 ss. 288 In sostanza, l’insindacabilità determina la non punibilità di chi abbia eseguito un
ordine criminoso; la mancanza di una sanzione per l’inadempimento dell’ordine criminoso, indica l’assenza di un dovere di esecuzione.
SINDACATO SULLA LEGITTIMITA’ DELL’ORDINE CRIMINOSO
111
giuridicamente vincolanti289. La vincolatività dell’ordine presuppone, infatti,
l’applicabilità di una sanzione, nel caso in cui l’ordine, seppur criminoso, non
venga adempiuto, ma di tale sanzione non v’è traccia nel nostro ordinamento.
Anzi, sul piano dello stesso diritto positivo, esistono alcune norme da cui si
desume l’opposto dovere di disobbedire all’ordine criminoso, come ad esempio,
l’art. 17 del d.P.R. n. 3/1957 (Statuto degli impiegati civili dello Stato) e gli artt. 4
della l. 382/1978 (Norme di principio sulla disciplina militare) e 66 l. 121/1981
(Nuovo ordinamento dell’amministrazione della pubblica sicurezza), questi due
ultimi limitatamente all’ordine manifestamente criminoso.
L’esecuzione di un ordine illegittimo insindacabile deve, dunque, sempre
ritenersi antigiuridica, giacché non viene in considerazione alcun interesse
meritevole di tutela che possa, nel bilanciamento degli interessi, prevalere
sull’interesse sotteso alla fattispecie penale incriminatrice. Contro la condotta
antigiuridica dell’inferiore è sempre possibile legittimamente difendersi o
resistere.
L’esenzione dalla punibilità per il subordinato esecutore dell’ordine
criminoso insindacabile si fonda, invece, secondo questa impostazione, su ragioni
che attengono al piano della colpevolezza. Si ritiene290, infatti, che l’esecutore
benefici di una causa scusante, che trova fondamento nell’inesigibilità: data
l’impossibilità per l’inferiore di sindacare la legittimità dell’ordine, non si può
esigere da lui che tenga un comportamento conforme alla legge penale;
l’ordinamento, pertanto, rinuncia a muovergli un rimprovero di colpevolezza291.
289 V., per tutti, FIANDACA –MUSCO, op. cit., 250. 290 Per tutti, PADOVANI, Diritto penale, cit., 230. 291 In critica a questa impostazione v. MEZZETTI, «Necessitas non habet legem»?,
cit., 102 ss., il quale inquadra la causa di non punibilità prevista dall’ultimo co. dell’art. 51 nell’ambito dello schema del conflitto di doveri e nella “logica della necessità”. Più precisamente, l’A. critica la teoria che configura l’ordine criminoso insindacabile come causa scusante perché “i motivi della «non meritevolezza di pena» dell’esecutore risultano indissolubilmente legati anche all’‘affievolimento’ del disvalore oggettivo d’evento che consegue alla realizzazione dell’interesse dello Stato all’esecutorietà pronta della sua
SINDACATO SULLA LEGITTIMITA’ DELL’ORDINE CRIMINOSO
112
L’inesigibilità poggia, dunque, sull’impossibilità di percepire la criminosità, di
conoscere il divieto292.
La manifesta criminosità, in questa impostazione, finisce per operare come
limite di esigibilità del dovere di disattendere l’esecuzione dell’ordine: se
l’illiceità penale della condotta imposta dal superiore è manifesta, il dovere di
disobbedienza si attiva comunque e, se il subordinato non adempie tale dovere ed
esegue l’ordine, risponde del reato293.
L’art. 51 ult. co. c.p. è stato sottoposto al vaglio della Corte costituzionale,
la quale l’ha ritenuto costituzionalmente legittimo in relazione all’art. 28 Cost.,
affermando altresì che «l’esenzione da pena accordata dall’art. 51 agli esecutori
di ordini illegittimi… non discrimina il fatto in sé»294. Tale affermazione lascia
intendere che, nell’opinione della Consulta, l’esimente prevista dall’art. 51 ult. co.
c.p. debba operare su un piano diverso da quello dell’antigiuridicità, ossia sul
piano soggettivo.
volontà. Tale valore d’evento, collegato all’esiguo livello di ‘riprovevolezza’ manifestato da un soggetto ‘costretto’ ad agire in conflitto tra il dovere di obbedienza ed il divieto di ledere gli altrui interessi” dimostrerebbe “la natura “mista” (‘oggettivo’ – ‘soggettiva’) di questa esimente” che andrebbe annoverata tra le “scriminanti” (p. 105). In realtà, tale impostazione del problema, oltre ad apparire poco chiara (non è infatti palesato cosa si debba intendere per “affievolimento” del disvalore oggettivo d’evento e in che termini lo stesso si rapporti con l’ “esiguo” livello di riprovevolezza manifestato dall’esecutore dell’ordine), è criticabile giacché non si vede in che modo “l’interesse dello Stato all’esecutorietà pronta della sua volontà”, se non è in grado di “giustificare” sul piano oggettivo l’esecuzione di un ordine antigiuridico insindacabile – come, del resto, sostenuto dallo stesso autore (p. 104) - , possa produrre un non ben determinato “affievolimento” del disvalore oggettivo d’evento. Come meglio si dirà oltre, invero, un moderno Stato di diritto non ha e non può avere alcun interesse all’esecutorietà di ordini criminosi.
292 MANTOVANI, Diritto penale, cit., 374. Secondo FIANDACA – MUSCO, op. cit., 375, l’esenzione di responsabilità per l’esecutore si fonda sulla situazione di forte pressione psicologica in cui costui si trova ad agire e che annulla i presupposti di un processo di normale motivazione.
293 Così PADOVANI, Diritto penale, cit., 230. 294 C. Cost., 22 giugno 1972, n. 123, in Giur. cost., 1972, 1311 (con nota di
PATALANO). L’ordinanza di rimessione del pretore di Castelnuovo Garfagnana è pubblicata in Riv. it. dir. proc. pen., 1971, 469 (con nota di SGUBBI). Su questa sentenza v. infra par. 3.1.
SINDACATO SULLA LEGITTIMITA’ DELL’ORDINE CRIMINOSO
113
Le controversie dottrinali sul fondamento della non punibilità prevista
dall’ultimo comma dell’art. 51 hanno indotto i redattori di alcuni dei recenti
progetti di riforma del codice penale a configurare l’ordine illegittimo
insindacabile come autonoma causa soggettiva di esclusione di responsabilità o
come scusante295.
2. Rilievi critici sulla configurabilità di ordini criminosi vincolanti e/o
insindacabili.
Le teorie sopra esposte, che configurano l’ordine illegittimo insindacabile
come causa di giustificazione o come causa di esclusione della colpevolezza, non
possono essere accolte, giacché non è condivisibile il presupposto sul quale
entrambe si fondano, ossia la configurabilità nel nostro ordinamento di ordini
criminosi insindacabili e/o vincolanti.
Invero, dalle risultanze dell’indagine condotta sulle norme di diritto
amministrativo che regolano il dovere di obbedienza nei diversi settori della
pubblica amministrazione296, è emerso che nel nostro ordinamento non esistono
categorie di pubblici dipendenti, civili o militari, ai quali non sia consentito “alcun
sindacato” sulla legittimità dell’ordine, che siano, cioè vincolati all’obbedienza
cieca.
Questa affermazione necessita di dimostrazione soprattutto per quanto
riguarda i subordinati militari e assimilati, giacché per i dipendenti pubblici non
295 Ci si riferisce al Progetto Pagliaro del 1992 (lo “Schema di delega legislativa per
l’emanazione di un nuovo codice penale” è pubblicato in Ind. pen., 1992, 579), e al recente progetto della Commissione Nordio (in Cass. pen., 2005, 244 ss.). Il disegno di legge di iniziativa parlamentare presentato al Senato nel 1995 dal Senatore Riz e altri (in Riv. it. dir. proc. pen., 1995, 927) continua invece ad inquadrare l’ordine tra le cause di giustificazione, mentre per quanto riguarda il progetto elaborato dalla Commissione Grosso (in Riv. it. dir. proc. pen., 2001, 574), nella relativa relazione si specifica che si è preferito individuare una rubrica unitaria di “cause di giustificazione”, lasciando poi a dottrina e giurisprudenza il compito di stabilire se sia possibile distinguere ipotesi che operano oggettivamente sul fatto (o sulla antigiuridicità) o soggettivamente sulla colpevolezza. Sul punto v. infra cap. IV, sez. I.
SINDACATO SULLA LEGITTIMITA’ DELL’ORDINE CRIMINOSO
114
militari, la dottrina, richiamando l’art. 17 del Testo unico degli impiegati civili
dello Stato del 1957, unanimemente esclude la configurabilità di ordini criminosi
vincolanti e/o insindacabili.
Invero, il citato art. 17, nell’accogliere la teoria della rimostranza,
espressamente prevede, per il subordinato, il dovere di disobbedire all’ordine
criminoso. Con la progressiva attenuazione dell’intensità del rapporto gerarchico
e, da ultimo, con la c.d. privatizzazione del rapporto di pubblico impiego, il
principio della diretta responsabilità del pubblico dipendente (art. 28 Cost.) e il
dovere di esercitare le proprie mansioni nel rispetto della legge (v. art. 54 Cost.),
divengono ancor più stringenti. Infatti, le norme relative ai doveri del dipendente
contenute nei contratti di comparto, pur ricalcando, in sostanza, la disciplina già
prevista dal citato art. 17, aggiungono al dovere di disobbedire all’ordine
criminoso anche il dovere di disobbedienza nei confronti dell’ordine di
commettere un illecito amministrativo297.
Per quanto concerne i militari e assimilati, la configurabilità di ordini
criminosi insindacabili e/o vincolanti si giustificherebbe, secondo certa dottrina,
in considerazione dell’esigenza di garantire la disciplina e, con essa, la speditezza
e l’efficienza delle operazioni militari.
Tuttavia, dall’interpretazione sistematica delle disposizioni in tema di
obbedienza contenute nella legge n. 382/78 (Norme di principio sulla disciplina
militare) e nel relativo regolamento di disciplina (D.P.R. 545/86), alla luce del
ruolo e dell’assetto conferiti alle forze armate nel regime postcostituzionale (art.
52 Cost.), emerge che neppure in ambito militare sono configurabili ipotesi in cui
non sia concesso al subordinato alcun sindacato sulla legittimità sostanziale
dell’ordine ricevuto, con relativo vincolo, per il militare, all’obbedienza perinde
ac cadaver.
296 V. supra sez. III. 297 V. supra sez. III, par. 3.1.2.
SINDACATO SULLA LEGITTIMITA’ DELL’ORDINE CRIMINOSO
115
Per quanto concerne la possibile sussistenza di ordini criminosi vincolanti,
va infatti innanzitutto precisato che, anche se al subordinato fosse, in ipotesi,
precluso di sindacare ordini criminosi, ciò ancora non significherebbe l'esistenza
di vincolatività dell'ordine criminoso ricevuto. La vincolatività presuppone,
invero, l’applicabilità di una sanzione a carico di chi ne rifiuti l’adempimento: non
pare, tuttavia, che nel nostro ordinamento siano concepibili ordini criminosi
vincolanti, cioè ordini la cui mancata esecuzione possa comportare una
responsabilità disciplinare o penale a carico del subordinato.
Non v’è dubbio che l’ordine manifestamente criminoso o manifestamente
eversivo non possa essere vincolante: in tali casi la legge impone, al contrario, il
dovere di disobbedire (art. 4, ult. co. l. 382/78) 298. Ma non si può neppure
sostenere che un ordine criminoso, anche se in modo non manifesto, possa far
sorgere il dovere di obbedienza penalmente sanzionato299.
Più di recente, parte della dottrina ha anzi affermato che, nonostante
l’utilizzo, nel citato art. 4 co. 5 della l. 382/78, dell’avverbio “manifestamente”, la
posizione del subordinato nei confronti dell’ordine criminoso, manifestamente
tale o no, consiste comunque nel dovere di disobbedire, giacché egli è tenuto,
come qualunque altro soggetto, al rispetto della legge penale300.
Nè sarebbe possibile ritenere – così come invece vorrebbe certa dottrina –
che la configurabilità di ordini illegittimi vincolanti sia ricavabile dal citato art. 25
298 Del resto si è sempre concordemente ritenuto, in dottrina, che la manifesta
criminosità dell’ordine stesso faccia sorgere in capo all’inferiore un vero e proprio dovere di disobbedire: v., per tutti, MAGGIORE, Brevi considerazioni, cit., 184; PELLEGRINO, Nuovi profili, cit., 163 ss.
299 E’ questa l’opinione della dottrina maggioritaria: v., tra gli altri, PELLEGRINO, Nuovi profili in tema di obbedienza gerarchica, cit., 156; PADOVANI, Ordine criminoso, cit., 483; ROSIN, op. cit., 219 ss.
300 Cfr. ROSIN, Il militare, cit., 227, il quale precisa che non emerge alcuna ragione per ritenere che il militare, nel contrasto tra la legge penale e la manifestazione di volontà del superiore gerarchico, possa privilegiare quest’ultima e realizzare così un reato. Per la tesi secondo cui il subordinato avrebbe la facoltà di scegliere tra l’obbedienza e la disobbedienza nei casi in cui l’ordine non sia manifestamente criminoso cfr. BACHELET, Disciplina militare e ordinamento giuridico statale, cit., 190; PELLEGRINO, Nuovi profili, cit., 158.
SINDACATO SULLA LEGITTIMITA’ DELL’ORDINE CRIMINOSO
116
n. 2 reg. disc., ai sensi del quale “il militare al quale venga impartito un ordine
che non ritenga conforme alle norme in vigore… deve farlo presente a chi lo ha
impartito, dichiarandone le ragioni, ed è tenuto ad eseguirlo se l’ordine è
confermato”. Tale norma non può essere interpretata nel senso di rendere
vincolanti gli ordini criminosi per i quali, si ribadisce, sussiste il dovere di
disobbedire. Essa opera, come si è detto301, sul piano soggettivo, a tutela del
subordinato che versi in situazione di dubbio circa la legittimità dell’ordine
ricevuto. In deroga ai principi generali in tema di colpevolezza, che di regola
escludono la rilevanza scusante del dubbio302, l’art. 25, 2° co., stabilisce una
disciplina più favorevole per il militare, rispetto ad altri soggetti privi di tale
status: il dubbio esternato scusa, sempre che l’ordine sia confermato303. In altri
termini, fuori dei casi di manifesta criminosità o eversività, la mancata
valutazione sulla legittimità dell’ordine e il dubbio sulla legittimità medesima
(sempre che venga richiesta conferma dell’ordine e conferma sia data) non sono
sufficienti a fondare un giudizio di colpevolezza304.
Non è, dunque, accettabile l’idea che sia configurabile, in diritto, una
categoria di ordini criminosi insindacabili e vincolanti che costituiscano, per il
subordinato esecutore, causa di giustificazione. L’esecuzione di un ordine
illegittimo deve, invero, sempre ritenersi antigiuridica, poiché non viene in
considerazione alcun interesse meritevole di tutela che possa, in sede di
301 V. supra sez. III, par. 3.2.3. 302 Cfr. per tutti, MANTOVANI, Diritto penale, cit., 312 e 376 ss. 303 Viene così fatta salva l’operatività della norma regolamentare dell’art. 25, 2° co.,
la quale, se intesa come fondamento per la configurabilità di ordini criminosi vincolanti, rischierebbe di rimanere inoperante per contrasto con la legge sui principi.
304 RIONDATO, Diritto penale militare, cit., 217. Cfr. altresì la diversa opinione di BRUNELLI - MAZZI, Diritto penale militare, cit., 103, i quali, sul presupposto della configurabilità della categoria degli ordini illegittimi insindacabili, ritengono che l’art. 51 ult. co. c.p. si riferisca proprio all’ipotesi in cui l’obbligo di eseguire l’ordine sia stato confermato all’inferiore che abbia fatto presenti le proprie perplessità circa la legittimità dell’ordine ricevuto: pertanto, in caso di esecuzione dell’ordine confermato, resterebbe esclusa in via generale anche l’eventuale responsabilità colposa (v. art. 59 ult. co. c.p.), posto che il militare si è «cautelato» attenendosi alle regole di diligenza stabilite dall’art. 25, 2°co., reg. disc.
SINDACATO SULLA LEGITTIMITA’ DELL’ORDINE CRIMINOSO
117
bilanciamento degli interessi contrapposti, prevalere sull’interesse protetto dalla
norma incriminatrice305.
Nè si può neppure ritenere che per i subordinati militari il sindacato sulla
legittimità dell’ordine sia limitato solo ad alcuni aspetti della legittimità stessa
(legittimità formale; manifesta criminosità).
Invero, ai sensi dell’art. 4 co. 4 della legge sui principi gli “ordini devono,
conformemente alle norme in vigore, attenere alla disciplina, riguardare il
servizio e non eccedere i compiti d’istituto”. Il richiamo alla conformità alla legge
dell’ordine implica che esso, per poter fondare il dovere di obbedienza, deve avere
i caratteri della legittimità formale e sostanziale306. Riguardo allo stesso dovere di
obbedienza, il reg. disc. prevede che l’obbedienza consista nell’esecuzione degli
ordini attinenti al servizio e alla disciplina, in conformità al giuramento prestato
(art. 5), nella cui formula viene dato rilievo all’osservanza della Costituzione e
delle leggi della Repubblica (art. 2 l. 382/78). L’art. 25 co. 1 reg. disc. richiede al
militare l’esecuzione degli ordini ricevuti “nei limiti delle relative norme di legge
e di regolamento”.
La l. 382/78, enuncia inoltre i principi secondo cui “le Forze armate sono
al servizio della Repubblica; il loro ordinamento e la loro attività si conformano
ai principi costituzionali” (art. 1, 1° co., ora abrogato: v. l’art. 1, co.1 e 2 dell’art.
1 l. 331/2000, che sancisce il medesimo principio) e che “l’assoluta fedeltà alle
istituzioni repubblicane è il fondamento dei doveri del militare” (art. 4, 1° co.): al
305 In questo senso v. FIANDACA – MUSCO, op. cit., 251; MANTOVANI, Diritto
penale, cit., 255, ROMANO, Cause, cit., 230. 306 Anche il regolamento di disciplina militare opera, come si è visto (supra sez. III,
par. 3.2.), una serie di univoci e precisi richiami alla necessaria legittimità dell’ordine gerarchico vincolante stabilendo che “il superiore deve tenere per norma del proprio operato che il grado e l’autorità gli sono conferiti perché siano esercitati e impiegati unicamente al servizio e a vantaggio delle F.A. e per far osservare dai dipendenti le leggi, i regolamenti, gli ordini militari e le disposizioni di servizio” (art. 21 co. 1); l’art. 23 co. 1 dispone, inoltre, che gli ordini devono essere emanati in conformità e nei casi previsti dalla legge; l’emanazione di ordini non attinenti alla disciplina o al servizio può essere punibile con la consegna di rigore (n. 15 all. C reg. disc.).
SINDACATO SULLA LEGITTIMITA’ DELL’ORDINE CRIMINOSO
118
militare si richiedono, dunque, positivi comportamenti orientati alla tutela
dell’effettività e della continuità dell’ordinamento repubblicano e dei valori che
esso esprime e garantisce. La legge sui principi prende in considerazione una
figura “ideale” di militare, al quale si richiede “senso di responsabilità e
consapevole partecipazione” (art. 4, 1° co.) nel perseguimento delle finalità
istituzionali e nell’assolvimento dei propri compiti, nel rispetto della Costituzione
e delle leggi.
L’insieme delle citate disposizioni conduce a ritenere: che il subordinato
sia vincolato all’obbedienza solo nel caso in cui l’ordine sia integralmente
legittimo e che, dunque, vi sia esatta corrispondenza tra legittimità e vincolatività
dell’ordine; che gli sia attribuito il pieno sindacato sulla legittimità formale e
sostanziale dell’ordine ricevuto307 (restando precluso il solo sindacato sul merito);
che sussista per il militare un dovere di disobbedienza all’ordine comunque
illegittimo, nella forma o nella sostanza308.
Insomma, l'obbedienza cieca non esiste in diritto, anzi è imposta
l'obbedienza vigile.
In base alle considerazioni effettuate, si può allora concludere che norme
che presuppongano l'esistenza in diritto di ordini illegittimi insindacabili e/o
vincolanti, come l’attuale art. 51 ult. co. c.p., non trovano mai applicazione.
Con tutto ciò non si deve però ritenere che sia compromesso il principio
d’autorità e, con esso, la speditezza delle attività militari (art. 23 reg. disc.). E ciò
non solo per la considerazione che meglio si adempie ciò di cui si conosce la
ragione. Invero, il subordinato deve obbedienza al superiore come autorità, ma
l’autorità, nello Stato democratico e di diritto, è la legge. In tal modo concepita,
l’obbedienza dell’inferiore consente una migliore attuazione, in quanto conforme
307 Per tutti, RIONDATO, Diritto penale militare, cit., 207; GARINO, Esercizio di un
diritto e adempimento di un dovere nel diritto penale militare, cit., 334. 308 MAGGIORE, Brevi considerazioni, cit., 180; RIONDATO, Diritto penale
militare, cit., 213 ss.; ROSIN, Il militare, cit., 227 ss.
SINDACATO SULLA LEGITTIMITA’ DELL’ORDINE CRIMINOSO
119
alla legge, delle esigenze del servizio e delle finalità istituzionali delle Forze
armate309.
3. L’obbedienza all’ordine criminoso al vaglio dei principi costituzionali.
La previsione dell’art. 51 ult. co. c.p., che contempla la categoria degli
ordini criminosi insindacabili e/o vincolanti sembra, peraltro, difficilmente
compatibile con i principi che informano l’attuale Stato democratico e di diritto.
Se, invero, la sussistenza di questa categoria di ordini era considerata
ammissibile, se non necessaria, nello Stato totalitario del 1930 (epoca di
emanazione del codice penale vigente), dove nel rapporto autorità – legalità era la
prima a prevalere - in quanto la legge, anche penale, non era riconosciuta come
limite all’intervento statale, rappresentando un mero strumento che il potere
autoritario dello Stato poteva piegare ai suoi fini310 -, altrettanto non sembra si
possa affermare oggi, alla luce del principio di osservanza della legge, espressione
della sovranità popolare, che costituisce la pietra angolare della Costituzione
repubblicana (art. 1 Cost.).
309 Per queste considerazioni v., MAGGIORE, op. cit., 182. 310 E’ stato osservato (CALVI A. A., Tipo criminologico e tipo normativo d’autore,
Padova, 1967, 500 ss.), nell’ambito di una più ampia critica di ogni concezione autoritaria del diritto penale, che “quando un giurista ammetta e teorizzi l’integrale appartenenza dell’individuo allo Stato…non è tanto la caratterizzazione d’un singolo comportamento umano, né la rispondenza dell’autore ad un rigoroso schema scientifico, ciò che conta, sibbene il significato globale del soggetto nella dinamica della vita sociale. Assurdo, quindi, che uno Stato autoritario punisca chi ne abbia realizzata, pur attraverso un reato, una qualche positiva finalità”. La prevalenza che il legislatore del 1930 accordava all’autorità rispetto alla legalità emerge chiaramente dalla Relazione ministeriale del codice penale, cit., I, 43:, laddove si legge che “taluno avrebbe desiderato che si subordinasse esplicitamente la non punibilità dell’agente alla condizione che l’ordine provenga dall’autorità competente, anche quando la legge on consente alcun sindacato sulla legittimità dell’ordine. Tale proposta contiene una contraddizione manifesta perché la esclusione di ogni sindacato non può consentire evasioni di qualsiasi genere per colui che deve obbedire…Occorreva dare atto di quelle particolari situazioni giuridiche che fanno del dipendente un «semplice strumento» della volontà del superiore”.
SINDACATO SULLA LEGITTIMITA’ DELL’ORDINE CRIMINOSO
120
Per quanto riguarda gli impiegati pubblici civili, il dovere di osservanza
delle leggi, anche e soprattutto dopo la privatizzazione311, non solo non può essere
messo in discussione in quanto “tutti i cittadini hanno il dovere di essere fedeli
alla Repubblica e di osservarne la Costituzione e le leggi” (art. 54, 1° co. Cost.),
ma ancora oggi mantiene un valore preminente nell’informare l’attività del
dipendente nel perseguimento degli interessi pubblici, che mai possono porsi in
contrasto con l’ordinamento giuridico generale312. Esiste, infatti, per il dipendente
pubblico, un dovere di legalità, ossia l’obbligo di osservare nell’esercizio delle
proprie mansioni la Costituzione, le leggi e ogni altra norma giuridica313. A tal
riguardo si può ricordare che, per quanto concerne i doveri gravanti sul pubblico
dipendente, in quanto inserito nell’apparato organizzativo della p.a., l’istituto del
giuramento (previsto per talune categorie di pubblici dipendenti, secondo quanto
disposto dall’art. 54, 2° co. Cost.) non viene meno con la privatizzazione del
pubblico impiego. Il mantenimento di questo istituto, invero, trova la sua ragione
non solo, e non tanto, nella natura pubblica del rapporto (che si è giocoforza
affievolita con la privatizzazione), quanto piuttosto nell’esigenza di richiamare il
dipendente delle amministrazioni pubbliche al dovere di assolvere le sue funzioni
in vista sì dell’utilità pubblica, ma sempre nel pieno rispetto delle norme di
legge314. Inoltre, non è privo di significato che Codice di comportamento dei
dipendenti delle pubbliche amministrazioni (D.P.C.M. 28 novembre 2000) -
recepito in allegato ai contratti collettivi nazionali di ciascun comparto per
311 V. supra sez. III, par. 3.1. 312 Parla di “fedeltà qualificata”, LOMBARDI G., Fedeltà (dir. cost.), in Enc. dir.,
XVII, 1968, 165 ss. Per la distinzione tra fedeltà e obbedienza v. ZUCCALA’, L’infedeltà, cit., 120 ss.
313 Sul punto v. SANDULLI, Manuale, cit., 308. 314 MELE, La responsabilità dei dipendenti e degli amministratori pubblici, cit., 112.
Sul punto v. anche ZUCCALA’, L’infedeltà nel diritto penale, cit., 132, il quale pone in rilievo che “con la formula di giuramento si vuole ricordare all’impiegato…che esso, pur avendo delle particolari attribuzioni resta sempre cittadino e che quindi ha sempre al di sopra di sé la Costituzione e le leggi”. V. supra sez. III, par. 3.1.2.
SINDACATO SULLA LEGITTIMITA’ DELL’ORDINE CRIMINOSO
121
espresso disposto dell’art. 54, co. 2 del D. Lgs. N. 165/2001315 – ponga «il rispetto
della legge» tra i principi a cui il dipendente deve conformare il suo
comportamento (“nell’espletamento dei propri compiti il dipendente assicura il
rispetto della legge”, art. 2, co. 1).
Considerazioni analoghe possono essere svolte per i militari e assimilati, in
quanto l’ordinamento militare non può certo essere considerato un ordinamento
autonomo rispetto all’ordinamento generale dello Stato, non potendosi derivare
dal sacro dovere di difesa della Patria (art. 52 ,1° co. Cost.), una capacità
derogatoria rispetto al generale dovere di osservanza della legge316.
“L’ordinamento delle Forze armate si informa allo spirito democratico della
Repubblica” (art. 52, co. 3° Cost.), e “spirito democratico” significa rispetto della
sovranità popolare, che trova espressione appunto nella legge. Il militare non solo
è stretto al dovere di assoluta fedeltà alle istituzioni repubblicane (art. 54 Cost.;
art. 4, co. 1° l. 382/1978) ma ha altresì specifici compiti di “salvaguardia delle
libere istituzioni” (art. 1 co. 5° l. 331/2000) che gli conferiscono un ruolo di
garanzia dell’osservanza delle leggi317.
3.1. Ruolo della previsione di responsabilità diretta dei funzionari e
dei dipendenti pubblici (art. 28 Cost.). Profili di illegittimità
costituzionale dell’art. 51 ult. co. c.p.
L’art. 28 Cost., il quale stabilisce che “i funzionari e i dipendenti dello
Stato e degli enti pubblici sono direttamente responsabili, secondo le leggi penali,
civili e amministrative, degli atti compiuti in violazione dei diritti”, ha sancito
espressamente la responsabilità diretta del pubblico dipendente, accanto a quella
315 Dal recepimento del Codice di comportamento nei contratti collettivi deriva la sua
obbligatorietà “giuridica”: con ciò risulta, pertanto, superata la questione circa la natura “etica” o “giuridica” del Codice stesso ( cfr. VIRGA, op. ult. cit., 87).
316 VENDITTI, Il diritto penale militare, cit., 10. 317 V. RIONDATO, Diritto penale militare, cit., 214.
SINDACATO SULLA LEGITTIMITA’ DELL’ORDINE CRIMINOSO
122
della pubblica amministrazione, nei confronti dei terzi, affermando così un
principio che mette in dubbio la compatibilità dell’art. 51 ult. co. anche con questa
disposizione.
Essendo già stabilito dall’art. 27 della Costituzione che la responsabilità
penale è personale, si è sostenuto, in dottrina318, che la disposizione in esame, per
non risultare superflua, non può significare che i funzionari e i dipendenti pubblici
rispondono personalmente del reato commesso. Tale disposizione, invece,
bandendo dal nostro ordinamento l’idea del subordinato come mero strumento
della pubblica amministrazione a cui appartiene, escluderebbe che tale vincolo di
appartenenza possa costituire fondamento di ipotesi di irresponsabilità del
dipendente per gli atti compiuti in violazione di diritti. Conseguentemente si è
ritenuto che “l’ordine dell’autorità superiore (quale che sia la estensione e la
intensità del vincolo di dipendenza) non potrà mai escludere la responsabilità
dell’inferiore che abbia cooperato alla violazione del diritto, con coscienza e
volontà di violare il diritto”319. Su questa base, si è affermata la non conformità al
dettato costituzionale dell’art. 51 ult. co. c.p. L’art. 28 Cost., invero, nello stabilire
la diretta responsabilità degli impiegati pubblici “secondo le leggi civili, penali ed
amministrative”, non intende rinviare genericamente al legislatore affinché
disciplini liberamente la materia della responsabilità, ampliandone o
restringendone l’ambito di operatività a seconda delle diverse situazioni. Si deve
ritenere, invece, che la norma costituzionale fissi un principio che non può essere
derogato dalle leggi ordinarie, alle quali spetta solamente di fissarne le modalità di
attuazione320.
318 ESPOSITO C., La responsabilità dei funzionari e dipendenti pubblici secondo la
Costituzione, in La Costituzione italiana. Saggi, Padova, 1954, 111. in senso conforme v. MARTORELLI F., L’esecuzione dell’ordine illegittimo (art. 51 u. p. c.p.). Profili costituzionali, Cosenza, 1968, 27 ss.
319 ESPOSITO, op. cit., 111. 320 ESPOSITO, La responsabilità, cit., 105 ss. In questo senso v. la sentenza della
Corte Cost. n. 94 del 1963, in Giur. cost., 1963, 783, la quale, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 16 c.p.p. (autorizzazione a procedere per reati commessi in servizio di
SINDACATO SULLA LEGITTIMITA’ DELL’ORDINE CRIMINOSO
123
Sulla base di queste considerazioni, il pretore di Castelnuovo
Garfagnana321 ha sollevato la questione di legittimità costituzionale dell’ultimo
comma dell’art. 51 c.p. in relazione all’art. 28 Cost. La Corte costituzionale, con
la sentenza n. 123 del 1972322, ha dichiarato non fondata la questione di legittimità
costituzionale, affermando che “l’art. 28 non generalizza ma espressamente
riconduce il concetto di responsabilità a quanto dispongono le leggi penali, civili
e amministrative”, rinviando così “alla disciplina positiva cui è assoggettata,
nelle leggi stesse, la responsabilità soggettiva dei funzionari e dei dipendenti,
anche in considerazione di regole particolari che, in deroga alle regole comuni,
determinino il contenuto e i limiti di detta responsabilità”.
Se, per quanto concerne queste motivazioni, tale sentenza non va esente da
critiche, deve essere comunque considerata positivamente l’affermazione della
Corte secondo cui “l’esenzione da pena accordata dall’art. 51 agli esecutori di
ordini illegittimi…non discrimina il fatto in sé”, la quale lascia intendere che,
nell’opinione della Consulta, l’esimente prevista dall’art. 51 ult. co. c.p. debba
operare su un piano diverso da quello dell’antigiuridicità, cioè, come di seguito si
dirà, sul piano soggettivo323.
polizia), in quanto “il principio della eguale e diretta responsabilità dei funzionari subisce una effettiva violazione”. V. anche la sentenza della Corte Cost., n. 4 del 1965, in Giur. cost., 1965, 18, la quale esplicitamente afferma che “è in contrasto con il precetto fondamentale dell’art. 28 Cost. la legge che , della responsabilità quivi regolata, adottasse una disciplina tale da comportare una esclusione più o meno manifesta”.
321 L’ordinanza di rimessione è pubblicata in Riv. it. dir. e proc. pen., 1971, 469, con nota di SGUBBI F.
322 Corte Cost., 22 giugno 1972, n. 123, in Giur. cost., 1972, 1311, con nota di PATALANO V., e in Riv. it. dir. e proc. pen., 1972, 779, con nota di PIZZETTI F.
323 ROMANO, Commentario, cit., 552.
SINDACATO SULLA LEGITTIMITA’ DELL’ORDINE CRIMINOSO
124
4. La manifesta criminosità costituisce limite alla scusabilità dell’errore di
diritto penale.
La configurabilità di ordini criminosi insindacabili è, dunque, inaccettabile
alla luce dei principi costituzionali e della normativa di settore in tema di dovere
di obbedienza.
Le posizioni dottrinali che si sono criticate muovono anche dalla
considerazione della peculiare condizione del subordinato militare e delle difficili
situazioni in cui spesso costui si trova ad operare.
E’ comprensibile, invero, che si voglia tutelare la difficile posizione
dell’inferiore gerarchico, il quale è tenuto ad una pronta obbedienza – dato che
l’art. 173 c.p.m.p. punisce anche il semplice ritardo nell’eseguire l’ordine – e
spesso non ha la materiale possibilità, per mancanza di tempo o di adeguate
cognizioni, di svolgere un ponderato esame di tutti i profili concernenti la
legittimità dell’ordine. Imporre all’inferiore di sindacare sempre la legittimità
anche sostanziale dell’ordine, anche al di fuori dei casi di manifesta criminosità,
può significare, allora, pretendere da lui rapidità e capacità decisionali non
comuni324.
Tuttavia, una cosa è tener conto di tali istanze nel valutare la responsabilità
dell’inferiore che abbia eseguito un ordine illegittimo essendo materialmente
impossibilitato a sindacarne la sostanza, altro è affermare il principio di
insindacabilità o vincolatività degli ordini militari, il quale attualmente non trova
cittadinanza nel nostro ordinamento.
L’eventuale esenzione dalla responsabilità penale per il subordinato
esecutore deve essere allora valutata alla stregua dei principi generali in tema di
colpevolezza, tenendo conto, tuttavia, delle peculiari caratteristiche dell’attività
che i militari sono istituzionalmente chiamati a svolgere. Invero, l’attività “tipica”
del militare, caratterizzata dall’impiego della forza, tende a coincidere con fatti
SINDACATO SULLA LEGITTIMITA’ DELL’ORDINE CRIMINOSO
125
tipizzati in sede penale. L’azione del militare, pertanto, pur diretta alla difesa
dell’ordinamento giuridico, è costantemente soggetta, da un lato, al rischio di
degenerare in illegittime aggressioni a beni giuridici penalmente tutelati, e
dall’altro, al rischio di incorrere nella violazione penalmente sanzionata del
dovere di pronta obbedienza all’ordine legittimo. Da questa particolare situazione
deriva la difficoltà materiale per il subordinato di riconoscere la liceità o l’illiceità
penale delle condotte impostegli.
Si impone, pertanto, una particolare attenzione, sul piano della
colpevolezza, ai parametri di valutazione dell’evitabilità dell’errore o ignoranza
della legge penale325.
La colpevolezza dell’inferiore deve essere esclusa se costui non ha
riconosciuto o ha erroneamente valutato l’illiceità penale dell’ordine, purché
questa non fosse manifesta; la manifesta criminosità funge, dunque, da limite alla
scusabilità dell’errore di diritto penale in cui sia incorso il militare che abbia
eseguito l’ordine penalmente illecito senza che la criminosità gli fosse nota326.
Pertanto, attualmente, a seguito del già citato intervento della Corte
324 GARINO, Esercizio, cit., 335. 325 Sulla nozione di “ignoranza” (definibile come assenza di rappresentazione circa
una data realtà) in rapporto a quella di “errore” (concetto che esprime la divergenza tra la rappresentazione soggettiva e la realtà oggettiva) e sulla possibilità di ritenere i due concetti equivalenti sul piano della rilevanza giuridica v. PULITANO’ D., L’errore di diritto nella teoria del reato, Milano, 1976, 10 ss.; FROSALI, L’errore nella teoria del diritto penale, cit.; 27 ss.; GROSSO C.F., Errore (dir. pen.), in Enc. giur. Treccani, XIII, Roma, 1989, 1; ID., L’errore sulle scriminanti, cit., 82 ss. Per quanto concerne in particolare l’art. 5 c.p. si può ritenere che il termine “ignoranza” comprenda “tanto la situazione di totale assenza di rappresentazioni psichiche nel soggetto agente in ordine alla legge esistente, quanto tutte le situazioni di errore, sfociate nell’ignoranza della vera realtà normativa, che non siano espressamente escluse da altre disposizioni di legge”: così RONCO M., Ignoranza della legge (dir. pen.), in Enc. giur. Treccani, XV, Roma, 1989, 1.
326 RIONDATO, Diritto penale militare, cit., 208; ROSIN, Il militare, cit., 234 ss. La palese criminosità potrebbe peraltro avere un ruolo anche nel caso dell’errore di fatto sulla legittimità dell’ordine (cfr. supra sez. II, par. 2.1.), nel senso che in caso di criminosità manifesta l’errore sul fatto escluderà il dolo ma non la colpa. Sulla delicata tematica dell’erronea supposizione del dovere scriminante cfr. PULITANÒ, op. cit., 329 s.
SINDACATO SULLA LEGITTIMITA’ DELL’ORDINE CRIMINOSO
126
Costituzionale327 che ha dato rilevanza all’ignoranza inevitabile della legge
penale, la manifesta criminosità può essere considerata come un parametro,
riconducibile seppur non assimilabile (in quanto opposto ma omologo) a quelli
individuati dalla Corte Costituzionale e in seguito sviluppati dalla dottrina e dalla
giurisprudenza, per determinare l’inevitabilità dell’errore di diritto in cui sia
incorso il militare esecutore.
La sentenza n. 364 del 1988 della Corte Costituzionale328 ha invero
segnato il superamento del principio dell’inescusabilità assoluta dell’ignorantia
legis, recepito nell’originaria formulazione dell’art. 5 c.p.329, adottando una
327 V. supra par. 1.2.1.1. 328 Come è stato rilevato in dottrina (v. PATRONO P., Problematiche attuali
dell’errore nel diritto penale dell’economia, in Riv. trim. dir. pen. ec., 1988, 93, nota 29), la Corte è intervenuta sull’art. 5 c.p. con una sentenza c.d. additiva, la quale, pur riducendo “il contenuto della proposizione normativa con l’eliminazione di quella parte di essa in contrasto con i principi costituzionali”, ha senza dubbio introdotto una disciplina in tema di errore che può dirsi sicuramente nuova, in quanto ha costruito un’inedita causa di esclusione del reato, seppur di portata limitata (l’errore scusa solo in quanto inevitabile): si può affermare pertanto che così facendo la Corte ha operato scelte politiche riservate al legislatore.
La sentenza costituzionale 364/88 è stata oggetto di numerosi commenti. Senza pretesa di completezza, sulla sentenza e, più in generale, sul tema dell’ignoranza della legge penale v., oltre alla manualistica citata supra nota 45, BELFIORE E.R., Contributo alla teoria dell’errore in diritto penale, Torino, 1997, ; FIANDACA G., Principio di colpevolezza ed ignoranza scusabile della legge penale: «prima lettura» della sentenza n. 364/88, in Foro it., I, 1988, 1385; GROSSO, Errore (dir. pen.), cit.; MANTOVANI F., Ignorantia legis scusabile e inescusabile, in Riv. it. dir. e proc. pen., I, 1990, 379; MUCCIARELLI F., Errore e dubbio dopo la sentenza della Corte Costituzionale 364/1988, in Riv. it. dir. proc. pen., 1996, 223; PALAZZO F., Ignorantia legis: vecchi limiti e orizzonti nuovi della colpevolezza, in Riv. it. dir. e proc. pen., 1988, 920; ID., Ignoranza della legge penale, in Dig. disc. pen., 1992, 122; ID., Colpevolezza ed ignorantia legis nel sistema italiano: un binomio in evoluzione, in AA.VV., Scritti in memoria di Renato Dell’Andro, vol. II, Bari, 1994, 679; PATRONO, Problematiche attuali dell’errore nel diritto penale dell’economia, cit., 87; PULITANO’ D., Ignoranza della legge (dir. pen.), in Enc. dir., App., I, Milano, 1997, 615; RONCO, Ignoranza della legge (dir. pen.), cit.; STORTONI L., L’introduzione nel sistema penale dell’errore scusabile di diritto: significati e prospettive, in Riv. it. dir. proc. pen., 1988, 1313; VASSALLI G., L’inevitabilità dell’ignoranza della legge penale come causa generale di esclusione della colpevolezza, in Giur. cost., 1988, II, 3.
329 L’art. 5 c.p. riprendeva il principio di inescusabilità dell’ignorantia legis già accolto nell’art. 44 del Codice Zanardelli del 1889, come corollario del principio di obbligatorietà della legge penale: nella Relazione ministeriale al progetto definitivo del codice
SINDACATO SULLA LEGITTIMITA’ DELL’ORDINE CRIMINOSO
127
disciplina corrispondente a quella già accolta, seppur con diverse sfumature, in
molti altri Paesi330. Con tale pronunzia la Corte ha altresì tenuto conto delle
istanze della dottrina penalistica che denunciava il contrasto del dogma
dell’assoluta inescusabilità con i valori enunciati nella Costituzione331 e della
penale in Lavori preparatori, V, I, 1929, 30) si legge invero che “dal principio che la legge penale obbliga tutti coloro che, cittadini o stranieri, si trovano sul territorio dello Stato … discende l’altro principio di portata non meno generale, che l’ignoranza della legge penale non scusa”. Il fondamento dogmatico del principio dell’inescusabilità assoluta dell’ignoranza era controverso: per una disamina delle diverse teorie accolte in dottrina (obbligatorietà della legge penale, presunzione assoluta di conoscenza della legge, dovere di conoscenza della legge penale, e così via) si rinvia a PULITANO’ D., Ignoranza (dir. pen.), in Enc. dir., Milano, XX, 1970, 25 ss. Sulle ragioni schiettamente ideologiche poste alla base dell’irrilevanza dell’ignoranza della legge penale cfr., tra gli altri, ROMANO, Commentario, cit., 101 s., secondo il quale l’istanza pratica di semplificazione probatoria dell’accertamento della responsabilità penale si radicava sull’autoritaria e (pretesa) assoluta intollerabilità, da parte dello Stato, dell’ignoranza o delle erronee interpretazioni delle sue leggi penali; GROSSO, Errore, cit., 8, il quale ravvisa la giustificazione del principio sul piano, politico, della volontà di assicurare alla legge penale una efficacia il più possibile incondizionata. Cfr. altresì RONCO, Ignoranza, cit., 3, il quale rileva come l’opportunità politica di attribuire alla legge la maggior efficacia possibile non esaurisca la sostanza ideologica del principio di inescusabilità, il quale “costituisce il corollario del primato assoluto, di origine illuministica della legge generale e astratta che, in virtù della sua razionalità, certezza e neutralità, non può sopportare deroghe alla sua applicabilità”, ed esprime appieno, ed in qualche modo riassume “le caratteristiche più salienti di ogni sistema imperniato sul criterio della sovranità della legge”.
330 Per una breve indagine di tipo comparatistico v. PALAZZO, Ignoranza della legge penale, cit., 124 s. Si veda in particolare la disciplina del Verbotsirrtum contenuta nel § 17 dello StGB tedesco, ai sensi del quale, se manca all’autore la consapevolezza di comportarsi illecitamente, egli agisce senza colpevolezza se l’errore non poteva essere evitato; in caso di errore evitabile, è prevista la diminuzione facoltativa della pena. Per un primo approccio alla disciplina dell’errore sul divieto in Germania cfr. BAUMANN J. - WEBER U. - MITSCH W., Strafrecht. Allgemeiner Teil, 10. Auf., Bielefeld, 1995, § 21, n. marg. 37 ss.; BELFIORE, Contributo, cit., 117 ss.; FORNASARI, Principi, cit., 343 ss.; JESCHECK H.H., L’errore di diritto nel diritto penale tedesco e italiano, in Ind. pen., 1998, 185 ss.; JESCHECK H.H. - WEIGEND T., Lehrbuch des Strafrechts. Allgemeiner Teil, 5. Auf., Berlin, 1996, 509 ss.; ROXIN C., Strafrecht. Allgemeiner Teil, 3. Auf., München, 1997, 793 ss. In argomento v. anche infra, cap. II, sez. I, par. 2.4. e bibliografia ivi citata.
331 Per una efficace sintesi delle diverse argomentazioni prospettate dalla dottrina circa l’incompatibilità dell’art. 5 con i principi costituzionali - in particolare con il principio della personalità della responsabilità penale (art. 27, 1° co. Cost.) e con la funzione rieducativa della pena (art. 27, 3° co. Cost.) – v. RONCO, Ignoranza della legge, cit., 6 ss. Non sono neppure mancati, in dottrina, ancor prima dell’entrata in vigore della Costituzione repubblicana tentativi di mitigare il rigore della disposizione in parola. Sul punto v. CARUSO
SINDACATO SULLA LEGITTIMITA’ DELL’ORDINE CRIMINOSO
128
tendenza della giurisprudenza che attribuiva rilievo scusante alla c.d. buona fede
qualificata nelle contravvenzioni332. Non è in questa sede possibile soffermarsi sui
profili critici dell’iter argomentativo seguito dalla Consulta nella sentenza333. Ciò
che preme porre in evidenza è come dalla pronunzia il principio di colpevolezza
emerga “come principio essenziale di un sistema penale che intenda essere
espressione e garanzia di un equilibrato rapporto fra Stato e cittadini, autorità e
G., Ignoranza ed errore sulla legge penale, in RONCO M. (opera diretta da), Commentario sistematico al codice penale. Il Reato, vol. II, tomo I, Bologna, 2007, 693 s.
332V., per tutte, Cass. pen., Sez. un., 7.12.1963, in Cass pen. Mass., 1964, 497. Tale indirizzo giurisprudenziale - volto a riconoscere, limitatamente alle sole contravvenzioni, la scusabilità della c.d. buona fede, derivante non dal fatto meramente negativo dell’ignoranza della legge penale, bensì da un fattore positivo determinante la convinzione di agire lecitamente (ad es., provvedimento autorizzativo dell’autorità amministrativa, orientamento giurisprudenziale univoco, ecc.) – introduceva, seppur per ragioni nettamente equitative e limitatamente all’ambito contrvvenzionale, una vistosa deroga al disposto dell'art. 5, in assenza di qualsivoglia aggancio codici stico. In argomento v., tra gli altri, FORNASARI G., Buona fede e delitti: limiti normativi dell’art. 5 c.p. e criteri di concretizzazione, in Riv. it. dir. proc. pen., 1987, 449 ss.; GROSSO, Errore, cit., 9; MANTOVANI, Ignorantia legis, cit., 382 s.; MORMANDO V., Riflessioni in tema di buona fede nelle contravvenzioni, in Riv. pen., 1988, 97 s.; MUCCIARELLI, Errore e dubbio, cit., 278 s.; ROMANO, Commentario, cit., 115. A parte l’eccezione della buona fede scusante, la tendenza della giurisprudenza, prima della sentenza costituzionale 364/1988, era comunque quella di una sostanziale e generalizzata chiusura rispetto ad interpretazioni che valorizzassero quantomeno l’astratta conoscibilità del precetto penale: in questi termini CARUSO, Ignoranza ed errore sulla legge penale, cit., 699.
333 V., sul punto, gli autori già citati supra nota n. 328. In estrema sintesi, le argomentazioni della Corte si incentrano sull’interpretazione del principio della responsabilità penale personale come responsabilità per fatto proprio colpevole, mediante la ricostruzione del “quadro garantistico” delinineato da una pluralità di principi costituzionali alla luce dei quali l’art. 27, 1° co. Cost. deve essere interpretato, e valorizzando in particolare il collegamento sistematico dell’art. 27, 1° co., con la funzione rieducativa della pena (art. 27, 3° co. Cost.). Nella motivazione la Corte si preoccupa altresì di individuare i reciproci doveri incombenti sullo Stato (doveri di rendere riconoscibile l’effettivo contenuto delle norme penali) e sui cittadini (doveri di conoscenza e di informazione strumentali all’osservanza dei precetti penali, che sono “diretta esplicazione dei doveri di solidarietà sociale, di cui all’art. 2 Cost.”). Per alcune considerazioni critiche sulla lettura, nella sentenza, dell’art. 27, 1° e 3° co. Cost. v. PATRONO, op. cit., 98 ss., secondo il quale è invece apprezzabile il tentativo della Corte di dare rilievo costituzionale al principio di civiltà “nulla poena sine culpa” mediante il riferimento al modello liberale dei rapporti Stato-cittadino cui si ispira la Costituzione.
SINDACATO SULLA LEGITTIMITA’ DELL’ORDINE CRIMINOSO
129
libertà: fra la tutela dei beni giuridici mediante la coercizione penale e la tutela
dell’individuo di fronte alla coercizione”334.
La disciplina attualmente vigente in tema di ignoranza della legge penale
si ispira alla c.d. Schuldtheorie (teoria della colpevolezza), secondo la quale solo
l’ignoranza inevitabile esclude la colpevolezza e, quindi, la responsabilità
dell’agente, mentre l’ignoranza evitabile, non escludendo la colpevolezza, è
compatibile anche con il dolo335. In altri termini, la mancata coscienza
dell’illiceità non interferisce sulla valutazione del dolo, bensì soltanto sul
rimprovero di colpevolezza. L’accoglimento della soluzione ispirata alla
Schuldtheorie implica che sia sufficiente, quale base del rimprovero, la possibilità
di conoscenza dell’illiceità del fatto336: la “possibilità di conoscenza” o
“conoscibilità” costituisce requisito ulteriore e autonomo di colpevolezza337.
334 PULITANO’, Ignoranza della legge, cit., 617. 335 Così PALAZZO, Ignoranza della legge penale, cit., 124. La Schuldtheorie si
contrappone alla c.d. Vorsatztheorie (teoria del dolo), secondo la quale il dolo ricomprende la coscienza attuale dell’illiceità penale del fatto. Sulle due teorie, elaborate in seno alla dottrina tedesca, cfr., per un primo approccio, BAUMANN - WEBER - MITSCH, Strafrecht. Allgemeiner Teil, cit., § 21, n. marg. 37 ss.; MAURACH R. - ZIPF H., Strafrecht. Allgemeiner Teil, Teilbd I, 8. Auf., Heidelberg, 1992, 515 ss.; ROXIN, Strafrecht. Allgemeiner Teil, cit., 793 ss. A differenza della disciplina vigente nel nostro ordinamento, il già citato § 17 dello StGB prevede per il caso di ignoranza o errore evitabile sul precetto una diminuzione facoltativa di pena.
336 V., per tutti, PATRONO, op. cit., 97; FIANDACA, Principio di colpevolezza, cit., 1388.
337 Rileva FIANDACA, Principio di colpevolezza, cit., 1390, che “nonostante la Corte manifesti la comprensibile preoccupazione di evitare di impegnarsi nella scelta di una delle molteplici concezioni della colpevolezza elaborate dalla dottrina, è indubbio che l’impostazione accolta in sentenza riflette molto da vicino la concezione c.d. normativa della colpevolezza… è nell’ambito di tale concezione, infatti, che alla «possibilità» di conoscenza del precetto penale è stato assegnato il ruolo di requisito autonomo della colpevolezza medesima.” Ed invero, un’eventuale ancorché limitata rilevanza dell’ignorantia legis non è concepibile senza la nozione di una colpevolezza normativa, implicante cioè l’idea di una rimproverabilità soggettiva che giunga sino ad una valutazione di riprovevolezza dei processi motivazionali del reo in rapporto alle pretese di osservanza da parte dell’ordinamento (così PALAZZO, Colpevolezza ed ignorantia legis nel sistema italiano, cit., 687). Sulla concezione normativa della colpevolezza v., per un primo approccio, FIANDACA-MUSCO, Diritto penale, cit., 274 ss.; MANTOVANI, Diritto penale, cit., 296 ss.; MARINI G., Colpevolezza, in Dig. disc. pen., Torino, II, 1988, 318 ss.; PADOVANI T., Appunti sull’evoluzione del
SINDACATO SULLA LEGITTIMITA’ DELL’ORDINE CRIMINOSO
130
La valutazione dell’ignoranza o dell’errore in termini di evitabilità –
inescusabilità comporta la necessità di instaurare un giudizio c.d. ipotetico, avente
carattere necessariamente normativo: il soggetto che avesse potuto conoscere
l’antigiuridicità, avrebbe anche potuto motivarsi conseguentemente per
l’osservanza del precetto338. E’ chiaro peraltro che non si può prescindere dalla
concretizzazione del giudizio ipotetico, la quale implica che si tenga conto tanto
delle circostanze oggettive, quanto di quelle soggettive, inerenti cioè alle
condizioni personali o professionali del soggetto: in sostanza si devono
considerare congiuntamente “tutte le circostanze di fatto, capaci di condizionare
l’individuazione dei comportamenti impeditivi dell’errore”339.
Si confermano dunque “vistose analogie tra i rispettivi criteri di
accertamento dell’ignoranza (o errore) scusabile e del fatto colposo: in entrambi
i casi si tratta di porre in rapporto le circostanze oggettive del caso concreto con
le condizioni e le attitudini soggettive dell’agente, onde accertare se e fino a che
punto la prestazione richiesta dall’ordinamento sia esigibile dal soggetto in
questione”340. Peraltro, in considerazione della molteplicità e varietà delle
condizioni oggettive e soggettive in concreto verificabili si pone un’esigenza
normativa di standardizzazione, che comporta il necessario riferimento a modelli
concetto di colpevolezza, in Riv. it. dir. proc. pen., 1973, 566 ss.; VASSALLI G., Colpevolezza, in Enc. giur. Treccani, VI, Roma, 1988, 14 ss.
338 In questi termini PALAZZO, Ignoranza, cit., 141. V. anche MUCCIARELLI, op. cit., 277; PULITANO’, Una sentenza storica, cit., 713, il quale rileva che “l’evitabilità dell’errore sul precetto non è uno stato psicologico, ma la deviazione da un modello normativo”.
339 Così PALAZZO, Ignoranza, cit., 142 s. 340 FIANDACA, Principio di colpevolezza, cit., 1392. Si tratta in sostanza di valutare
la colpa dell’agente con riferimento ad un suo particolare oggetto, ossia la conoscenza delle norme giuridiche. Sul punto v. PATRONO, op. cit., 106, il quale esprime dei dubbi circa la configurazione di una responsabilità dolosa che si fondi su una precedente negligenza relativa all’informazione giuridica. Cfr. altresì FIANDACA-MUSCO, Diritto penale, cit., 359, i quali rilevano che nei casi di ignoranza evitabile-inescusabile, il giudizio di colpevolezza finisce col presentare un carattere ibrido, nella sostanza un misto tra dolo e colpa.
SINDACATO SULLA LEGITTIMITA’ DELL’ORDINE CRIMINOSO
131
astratti di agente341, cui l’agente concreto è di volta in volta riconducibile: la
dottrina spesso richiama in proposito la figura dell’homo eiusdem condicionis et
professionis, elaborata nell’ambito dell’accertamento della colpa342. Il rischio di
una eccessiva oggettivazione del giudizio basata sul parametro dell’agente
modello impone, tuttavia, di personalizzare ulteriormente il giudizio, dando
rilevanza a carattestiche personali (capacità, conoscenza, esperienza, ecc.) del
soggetto agente343.
Si deve dunque andare oltre le indicazioni di massima (peraltro non
sempre del tutto chiare ed univoche) fornite dala Corte costituzionale, nella
sentenza n. 364/1988, in merito ai criteri in base ai quali stabilire l’inevitabilità o
meno dell’ignoranza344. Come è stato esattamente notato, se “il concetto di
inevitabilità si ricollega in qualche misura ad un criterio realmente
personalistico…si realizza concretamente quel rapporto (almeno potenziale) tra
341 PALAZZO, Corso di diritto penale, cit., 435. 342 Per tutti, FIANDACA, op. ult. cit., 1392 s. 343 Si tratta in sostanza di valutare, per quanto possibile, la c.d. misura soggettiva
della colpa: v. PATRONO, Problematiche attuali dell’errore, cit., 115. Contra MANTOVANI, Ignorantia legis, cit., 396. Sulla doppia misura (oggettiva e soggettiva) della colpa v. DE FRANCESCO V., Sulla misura soggettiva della colpa, in Studi Urbinati, 1977-78, 273 ss; nonché RONCO M., La colpa in particolare, in ID. (opera diretta da), Commentario sistematico al codice penale. Il reato, vol. II, tomo I, Bologna, 2007, 581 ss. E’ chiaro peraltro che anche il giudizio più personalizzato non può rinunciare ad un certo grado di oggettivizzazione o generalizzazione; il problema risiede dunque nella scelta delle qualità personali che devono rientrare nella base del giudizio: sul punto v. FIANDACA-MUSCO, op. cit., 510 ss.
344 La Corte esclude la possibilità di applicare criteri c.d. soggettivi puri (ossia che tengano esclusivamente conto delle specifiche caratteristiche personali dell’agente), mentre ritiene che l’inevitabilità vada misurata alla stregua di criteri oggettivi puri (mancanza di riconoscibilità della disposizione normativa; gravemente caotico atteggiamento interpretativo degli organi giudiziari, ecc.) e misti (che tengano conto, fra l’altro, di particolari, positive, circostanze di fatto in cui si è formata la deliberazione criminosa). Secondo la Corte, peraltro, la spersonalizzazione del giudizio va compensata dall’indagine attinente alla particolare posizione del singolo agente che possegga specifiche cognizioni o abilità. Per una disamina dei diversi criteri di valutazione dell’inevitabilità v. dottrina citata supra nota 328.
SINDACATO SULLA LEGITTIMITA’ DELL’ORDINE CRIMINOSO
132
cittadino e norma penale che il riconosciuto principio costituzionale di
colpevolezza non può non imporre”345.
Alla luce delle osservazioni sin qui svolte, anche e soprattutto in
considerazione della cennata esigenza di personalizzazione del giudizio di
inevitabilità - scusabilità, pare allora corretto ritenere che il criterio di valutazione
dell’evitabilità dell’errore o ignoranza della legge penale debba essere adeguato
alla peculiare situazione in cui i militari si trovano di regola ad operare e agli
eventuali fattori contingenti che possono influire sul processo motivazionale.
L’esenzione dalla responsabilità per il subordinato che si trovi nella materiale
impossibilità di avvedersi della criminosità dell’ordine deve derivare, pertanto, da
un’attenuata pretesa relativamente all’evitabilità dell’errore di diritto,
rappresentata secondo il criterio della manifesta criminosità. In questa prospettiva,
il ruolo del parametro della manifesta criminosità va dunque inquadrato
nell’ambito dell’apprezzamento della colpa: se il militare non riconosce una
criminosità manifesta incorre in un errore colposo non scusabile.
Dalla soluzione qui accolta (configurazione di una regola particolare
dell’errore/ignoranza di diritto) non sono molto distanti, a ben guardare, coloro346
che ravvisano nell’ultimo comma dell’art. 51 c.p. una causa di esclusione della
colpevolezza fondata sull’inesigibilità di un comportamento conforme alla legge
penale da parte dell’inferiore, il quale si trova pressato dall’esigenza di eseguire
con immediatezza l’ordine. L’inesigibilità, e la conseguente non punibilità, infatti,
non derivano dall’ordine in sé o da una preclusione di diritto ad effettuare il
sindacato, bensì dalla mancata percezione della criminosità da parte del
subordinato esecutore, dall’impossibilità per costui di conoscere il divieto. Si
tratta, dunque, essenzialmente, di un’ipotesi di errore o ignoranza sul divieto. Ma,
allora, non si vede la necessità del mantenimento di una categoria autonoma di
345 Così PATRONO, Problematiche, cit., 113. 346 V. supra par. 1.3.2.
SINDACATO SULLA LEGITTIMITA’ DELL’ORDINE CRIMINOSO
133
ordini criminosi insindacabili, peraltro non rinvenibile nel nostro ordinamento.
Tale impostazione dogmatica, anziché necessaria, si presenta inopportuna in
quanto foriera di equivoci e dubbi interpretativi, come anche emergerà dall’esame
dei progetti di riforma del codice penale, di cui si dirà più oltre.
Una volta spostato il problema dell’esecuzione dell’ordine criminoso in
sede di apprezzamento di fatto e ricostruita l’esimente sul piano della
colpevolezza, rimane da affrontare la delicata questione del contenuto assegnabile
al requisito della “manifesta criminosità”. E’ indubbio, infatti, che il profilo più
problematico della disciplina dell’ignoranza della legge penale è quello dell’esatta
individuazione dei criteri utilizzabili nel giudizio di inevitabilità. Come è stato
esattamente osservato, infatti, “proprio sui criteri di evitabilità-inevitabilità si
misura il grado di reale penetrazione del principio di colpevolezza nella
disciplina dell’ignorantia iuris”347.
4.1. Il problema del criterio di determinazione della manifesta
criminosità.
Un’ultima considerazione si impone dunque in ordine al problema
dell’individuazione del criterio di determinazione della manifesta criminosità
della condotta richiesta dal superiore.
Secondo alcuni autori348 la manifesta criminosità andrebbe determinata
secondo un criterio oggettivo, e quindi, prendendo come punto di riferimento
l’uomo medio: l’ordine è manifestamente criminoso se, a prima vista,
immediatamente, tale appare all’uomo medio.
347 Così PALAZZO, Ignoranza della legge penale, cit., 126. 348 NUVOLONE P., Valori costituzionali della disciplina militare e sua tutela nel
codice penale militare di pace e nelle nuove norme di principio, in Rass. giust. mil., 1979, 27. PADOVANI, Ordine criminoso, cit., 468. Così anche SANTORO, L’ordine, cit., secondo cui la manifesta criminosità deve essere considerata come un attributo o qualifica generale dell’ordine ed è dunque un concetto obiettivo: manifestamente criminoso è l’ordine che di per se stesso, cioè per sua intrinseca qualificazione, si presenti criminoso.
SINDACATO SULLA LEGITTIMITA’ DELL’ORDINE CRIMINOSO
134
Secondo altra parte della dottrina349 sarebbe necessario, invece, basarsi su
un criterio soggettivo, ossia sul grado di percezione del subordinato che ha
eseguito l’ordine350.
Pare preferibile, tuttavia, la tesi di coloro che propendono per l’utilizzo di
un criterio c.d. misto351.
Invero, non pare opportuno l’accoglimento di un criterio esclusivamente
oggettivo, che può portare ad una eccessiva spersonalizzazione del giudizio di
inevitabilità che non tenga conto della difficile posizione del subordinato, così
come non può essere utilizzato un criterio esclusivamente soggettivo, che
rischierebbe di portare ad eccessiva indulgenza, in ossequio a vaghe ed arbitrarie
esigenze di giustizia sostanziale. Si impone, allora, un contemperamento tra i due
criteri. Pertanto, la manifesta criminosità deve essere valutata anzitutto secondo
un parametro oggettivo, facendo riferimento alle capacità di valutazione del
militare medio (agente modello). In secondo luogo, è opportuno temperare questo
criterio oggettivo con componenti di tipo soggettivo, rappresentate dalla
conoscenza, da parte dell’inferiore, di circostanze significative per la valutazione
della situazione di fatto (conoscenza di eventi precedenti, di ordini, di istruzioni,
349 ROSIN, Il militare, cit., 235: secondo questo A., che configura la manifesta
criminosità come limite alla rilevanza dell’errore di diritto, il criterio soggettivo appare più adeguato nel contesto di una tematica che riguarda la colpevolezza. Tra la dottrina meno recente v., per l’accoglimento del criterio soggettivo, MESSINA S., L’ordine insindacabile dell’autorità come causa di esclusione del reato, Roma, 1942, 59.
350 A questa tesi si è obiettato che, accogliendo il criterio subiettivo, la manifesta criminosità perderebbe la “necessaria funzione di richiamo dell’inferiore alla responsabilità e al dovere di attenzione e di vigilanza” (VENDITTI, Diritto penale militare, cit., 189).
351 PELLEGRINO, Nuovi profili, cit., 169; VENDITTI, Il diritto penale militare, cit., 189; VEUTRO, Diritto penale militare, cit., 185. In giurisprudenza è stato accolto sia il criterio del «comune apprezzamento» (si possono in proposito segnalare alcune sentenze, tutte emanate in riferimento all’ormai abrogato art. 40 c.p.m.p.: cfr. Cass. Pen., 22 giugno 1967, in Cass. Pen. Mass. ann., 1969, 63; Cass. Pen., 27 novembre 1967, in Cass. Pen. Mass. ann., 1968, 1056), che quello c.d. misto (Cfr. Trib. Mil. Roma, 1 agosto 1996, in Cass. pen., 1997, 177, che, sempre in riferimento all’art. 40 c.p.m.p., ha accolto il criterio oggettivo dell’uomo medio, combinato con componenti di natura soggettiva relative alla conoscenza degli elementi di fatto)
SINDACATO SULLA LEGITTIMITA’ DELL’ORDINE CRIMINOSO
135
ecc.), dato che tale conoscenza muta in relazione al punto di osservazione dei vari
militari.
SEZIONE I – L’ESECUZIONE DELL’ORDINE NEI SISTEMI DI CIVIL
LAW
SOMMARIO: 1. Il modello tedesco. La disciplina dell’esecuzione dell’ordine (Handeln auf
Befehl). La distinzione tra Rechtsfertigungsgründe e Entschuldigungsgründe. – 1.1.
L’esecuzione dell’ordine legittimo come causa di giustificazione non codificata. – 1.2. La
nozione formale e materiale di ordine nel diritto penale militare. – 1.3. Il dovere di obbedienza e
le cause di non vincolatività dell’ordine. – 1.4. La responsabilità dell’inferiore per l’esecuzione
dell’ordine criminoso. Il criterio della manifesta criminosità – 1.4.1. Raffronto con la disciplina
relativa agli impiegati civili dello Stato. – 1.5. L’ordine illegittimo vincolante. Il c.d. “ordine
pericoloso”. – 1.6. Rilievi conclusivi sulla disciplina dell’esecuzione dell’ordine in Germania. –
1.7. I “Mauerschützenurteile”. – 1.8. L’adeguamento al diritto internazionale penale: il
Völkerstrafgesetzbuch. – 2. La disciplina dell’esecuzione dell’ordine in Francia: la distinzione
tra cuse oggettive e soggettive di esclusione della responsabilità penale. – 2.1. L’ “ordre de la
loi” come fatto giustificativo. – 2.2. L’ordine dell’autorità legittima. – 2.2.1. Il commandement
illégal. La responsabilità per l’esecuzione dell’ordine manifestamente criminoso. - 3. La
disciplina dell’adempimento del dovere nell’ordinamento penale spagnolo. Cenni sulla
distinzione tra “causas de justificación” e “causas de exculpaciòn”. – 3.1. Il “cumplimento de
un deber” come causa di giustificazione. - 3.2. La problematica concernente la c.d. “obediencia
debida”. L’ordine manifestamente antigiuridico.
1. Il modello tedesco. La disciplina dell’esecuzione dell’ordine (Handeln auf
Befehl). La distinzione tra Rechtfertigungsgründe e
Entschuldigungsgründe.
In Germania manca nel codice penale una generale previsione in tema di
adempimento del dovere. La disciplina dell’esecuzione dell’ordine va pertanto
ricavata dalla normativa prevista nei diversi settori della pubblica
amministrazione. In particolare, per quanto riguarda i militari, il WStG (ossia il
codice penale militare) prevede la disciplina a fini penalistici dell’ordine
gerarchico militare.
ADEMPIMENTO DEL DOVERE E ORDINE CRIMINOSO IN ALTRI ORDINAMENTI
140
Prima di esaminare nel dettaglio la normativa tedesca è opportuno chiarire
la distinzione tra cause di giustificazione e scusanti, soprattutto in considerazione
del fatto che, come si dirà oltre, nell’ordinamento tedesco sono configurabili
ordini illegittimi vincolanti, in riferimento ai quali è dubbia la collocazione
nell’una o nell’altra categoria.
La distinzione tra cause di giustificazione e scusanti è uno dei nodi
dogmatici più rilevanti nell’ambito della teoria generale del reato ed è stata
oggetto di particolare approfondimento da parte della dottrina tedesca352.
In generale, con la denominazione “Rechtfertigung” vengono indicate tutte
quelle cause che escludono l’illiceità (o antigiuridicità), mentre con il termine
“Entschuldigung” si intendono le cause che precludono la configurazione di una
colpevolezza giuridicamente rilevante353.
Si tratta di una differenziazione dogmatica che può essere ritenuta
incontroversa nella scienza penalistica tedesca, quantomeno per quanto concerne
l’esistenza delle categorie in quanto tali ed il loro criterio, superiore ed
estremamente astratto, di classificazione354. Più dibattuta è la collocazione di
352 La letteratura in argomento è piuttosto vasta. Per un primo approccio cfr.
HASSEMER W., Rechtfertigung und Entschuldigung im Strafrecht. Thesen und Kommentare, in AA.VV., Rechtfertigung und Entschuldigung, I, Freiburg i. Br., 1987, 206; HIRSCH H. J., La posizione di giustificazione e scusa nel sistema del reato, in Riv. it. dir. proc. pen., 1991, 758; KÜPER, Differenzierung zwischen Rechtfertigungs- und Entschuldigungsgründen: Sachgerecht und notwendig? Überlegungen am Beispiel von “Notstand”, Pflichtenkollision” und “Handeln auf dienstliche Weisung, cit., 315; ROXIN C., Rechtfertigungs- und Entschuldigungsgründe in Abgrenzung von sonstigen Strafausschließungsgründen, cit., 229; ROXIN C., Cause di giustificazione e scusanti, distinte da altre cause di esclusione della pena, in ID., Antigiuridicità e cause di giustificazione. Problemi di teoria dell’illecito penale, ( ac. Moccia S.), Napoli, 1996, 87 ss.
353 Così HIRSCH, La posizione di giustificazione e scusa nel sistema del reato,cit., 758, il quale precisa peraltro che l’utilizzo delle due denominazioni non è del tutto univoco, giacché talora si parla di Entschuldigung al fine di individuare, nell’ambito della problematica della colpevolezza, i c.d. casi di inesigibiltà (v. oltre nel testo).
354 ROXIN, Cause di giustificazione e scusanti, cit., 88 s., al quale si rinvia anche per una panoramica delle concezioni che contestano, seppur non in generale ma limitatamente a determinati settori, la distinzione tra cause di giustificazione e cause scusanti o che propongono distinzioni alternative (p. 100 ss.).
ADEMPIMENTO DEL DOVERE E ORDINE CRIMINOSO IN ALTRI ORDINAMENTI
141
alcuni casi di esenzione da pena nell’una o nell’altra categoria, così come il
problema relativo all’esistenza o meno di altri casi di esclusione della
responsabilità che non possono essere ricondotti a quelle categorie.
La distinzione tra cause di esclusione dell’antigiuridicità e scusanti trova
accoglimento anche a livello codicistico, laddove è impiegata l’espressione “non
agire antiguridicamente” (“nicht rechtswidrig handeln”) rispetto alla legittima
difesa (§ 32) e allo stato di necessità giustificante (§ 34), mentre si utilizza la
locuzione “agire senza colpevolezza” (“ohne Schuld handeln”) con riferimento
allo stato di necessità scusante (§ 35), all’errore inevitabile sul divieto (§ 17 ) e
all’inimputabilità (§ 20).
Per quanto riguarda la collocazione sistematica delle cause di
giustificazione nel sistema del reato, si può osservare che la concezione tripartita,
dominante in Germania, le riconduce nell’ambito dell’elemento
dell’antigiuridicità (Rechtswidrigkeit), mentre la teoria bipartita le configura come
elementi negativi del fatto355. Si è peraltro rilevato, in proposito, che una
configurazione essenzialmente autonoma delle cause di giustificazione è comune
ad entrambe le concezioni della costruzione del reato356.
Le scusanti lasciano invece impregiudicata l’antigiuridicità del fatto ed
escludono soltanto la colpevolezza357.
355 In estrema sintesi - e tenuto conto che vi sono comunque, nell’ambito delle due
concezioni, alcune varianti -, si può dire che secondo la teoria tripartita il reato è costituito da tre elementi: condotta tipica (Tatbestandmäßigkeit), antigiuridicità (Rechtswidrigkeit) e colpevolezza (Schuld); per la teoria bipartita, invece, l’antigiuridicità non è uno degli elementi del reato. Per i necessari approfondimenti circa la struttura del reato nel diritto tedesco, nonché su alcune questioni problematiche relative alle cause di giustificazione (quali, ad es., le concezioni monistiche o pluralistiche sul loro fondamento, o la tematica degli elementi soggettivi delle cause di giustificazione), cfr. FORNASARI G., I principi del diritto penale tedesco, Padova, 1993; VOLK K., Introduzione al diritto penale tedesco, Padova, 1993, e bibliografia ivi citata. Sulla questione della collocazione dogmatica delle cause di giustificazione nella teoria del reato in Italia v. supra, cap. I, sez. IV.
356 HIRSCH, La posizione di giustificazione e scusa, cit., 762. 357 TRÖNDLE H. – FISCHER T., Vor § 32, Strafgesetzbuch und Nebengesetze,
München, 2003, n.marg. 14. Secondo ROXIN, Cause di giustificazione, cit., 90 s., le scusanti
ADEMPIMENTO DEL DOVERE E ORDINE CRIMINOSO IN ALTRI ORDINAMENTI
142
E’ peraltro diffusa, in seno alla dottrina tedesca, una ulteriore distinzione
tra cause di esclusione della colpevolezza in senso proprio
(Schuldausschließungsgründe) e scusanti (Entschuldigungsgründe)358.
Alla base di tale di distinzione si pone l’idea che, mentre nelle prime (si
pensi, ad es. alla infermità di mente o all’errore inevitabile di diritto) la
colpevolezza manca del tutto, nelle scusanti (quali, ad. es., lo stato di necessità
scusante o l’eccesso di legittima difesa) la colpevolezza non è del tutto esclusa ma
è solo fortemente diminuita359. In sostanza, la caratteristica delle mere scusanti
sarebbe quella di non escludere completamente il rimprovero, ma di ridurlo a tal
punto da poterne eliminare la rilevanza ai fini dell’imputazione soggettiva del
fatto360. Si tratta di casi in cui si rinuncia a muovere un rimprovero di
colpevolezza all’agente in considerazione della particolare situazione
motivazionale in cui costui versava al momento del fatto: a fondamento delle
scusanti si pone, secondo l’opinione prevalente, il principio dell’inesigibilità di un
comportamento conforme a quello imposto da una norma giuridica
(Unzumutbarkeit normgemäßen Verhaltens)361. La distinzione tra
Schuldausschließungsgründe e Entschuldigungsgründe è tuttavia priva di
conseguenze sul piano pratico, giacché dal punto di vista del trattamento giuridico
non vi è alcuna differenza tra le due categorie362.
Il fatto di considerare una condotta giustificata oppure scusata ha rilevanti
conseguenze pratiche, relative, ad. es., all’estensibilità ai concorrenti (il concorso
hanno che fare con la questione se una condotta socialmente non corretta può o deve essere punita in relazione alle circostanze del caso: esse presuppongono che l’autore abbia agito in modo antigiuridico e hanno il compito di indicare i criteri in presenza dei quali il diritto nega la possibilità o la necessità politico-criminale di una punizione.
358 V., tra i molti, LENCKNER, Vor § 32, in SCHÖNKE A. - SCHRÖDER H., StGB Kommentar, cit., n. marg. 88; JESCHECK H.H. - WEIGEND T., Lehrbuch des Strafrechts. Allgemeiner Teil, Berlin, 1996, 476 ss. Contra ROXIN, Cause di giustificazione, cit., 93.
359 V. HIRSCH, La posizione, cit., 768. 360 In questi termini, FORNASARI, op. cit., 317. 361 Sul punto v. LENCKNER, Vor § 32, n.marg. 110. 362 FORNASARI, I principi del diritto penale tedesco, cit., 317.
ADEMPIMENTO DEL DOVERE E ORDINE CRIMINOSO IN ALTRI ORDINAMENTI
143
ad una condotta giustificata va sempre esente da pena, mentre ciò non vale per la
partecipazione ad un’azione incolpevole), o all’ammissibilità per il terzo del
diritto di legittima difesa (diritto esercitabile contro azioni scusate, ma non contro
azioni giustificate)363.
1.1. L'esecuzione dell'ordine legittimo come causa di giustificazione
non codificata
Nel codice penale tedesco manca una norma paragonabile all’art. 51 del
codice penale italiano, relativa all’adempimento del dovere.
Ciò nonostante è generalmente riconosciuto, dalla dottrina e dalla
giurisprudenza tedesca, che l’esecuzione dell’ordine legittimo dell’autorità abbia
efficacia giustificante364. Pertanto, chi esegue un ordine legittimo impartito da un
superiore agisce in modo legittimo; l’ordine legittimo è, per l’inferiore che lo
adempie, causa di giustificazione. L’ordine integralmente legittimo è sempre
vincolante e fa di conseguenza sorgere il dovere di obbedienza in capo
all’inferiore.
In generale, i presupposti per la legittimità dell’ordine vengono così
individuati: a) l'ordine deve essere impartito dal superiore formalmente
competente, con l'osservanza delle forme prescritte e nei confronti dell'inferiore
cui competa di eseguirlo; b) in capo al superiore che emana l'ordine deve
sussistere il sostanziale potere, conforme all'ordinamento giuridico, di ordinare
una condotta che realizzi una fattispecie penale. Per quanto riguarda
specificamente l’ordine gerarchico militare, l’ordine non è legittimo se è in
363 In argomento v. ROXIN, Cause di giustificazione, cit, 95 ss. 364 Cfr. in particolare BAUMANN J. - WEBER U. - MITSCH W., Strafrecht.
Allgemeiner Teil, Bielefeld, 1995, § 23 n. marg. 50; HIRSCH H.J., StGB. Leipziger Kommentar, 1994, Vor § 32, n. marg. 173 e ss.; JESCHECK - WEIGEND, Lehrbuch des Strafrechts, cit., 395; LENCKNER, Vor § 32, cit., n. marg. 88; MAURACH R. - ZIPF H., Strafrecht. Allgemeiner Teil, Heidelberg, 1992, § 29 n. marg. 7 ss.
ADEMPIMENTO DEL DOVERE E ORDINE CRIMINOSO IN ALTRI ORDINAMENTI
144
contrasto con il §10 co. 4 SoldG, che, come meglio si dirà oltre365, indica una
serie di requisiti di legittimità nel rispetto dei quali il sostanziale potere del
superiore di impartire ordini deve, appunto, essere esercitato; c) l'emanazione
dell'ordine deve essere richiesta dalle circostanze: nell'esercizio della propria
discrezionalità il superiore deve operare in modo conforme ai propri doveri.
Il superiore impartisce un ordine legittimo anche se, nonostante il
doveroso esame della situazione di fatto, ritenga erroneamente che sussistano le
condizioni di fatto necessarie per l’emanazione mentre in realtà queste
oggettivamente mancano366.
1.2. La nozione formale e materiale di ordine nel diritto penale
militare.
Nell’affrontare le problematiche relative all’ordine gerarchico militare, è
necessario, innanzitutto, enuclearne la nozione sia formale che sostanziale.
Diversamente che nel diritto italiano, nell’ordinamento penale militare germanico
è fornita una apposita definizione di “ordine gerarchico” (Befehl), valevole ai fini
penalistici in ambito esclusivamente militare. Il § 2 Nr. 2 del WStG367 così
365 V. infra par. 1.3. 366V. in particolare SCHÖLZ - LINGENS, Wehrstrafgesetz, München, 1988, § 2 n.
marg. 25 e 29. 367 Tra le fonti del diritto militare tedesco che riguardano l’ordine e l’obbedienza,
viene innanzitutto in considerazione la legge penale militare (Wehrstrafgesetz, WStG), che, nella parte generale, fornisce la definizione di “ordine gerarchico” (§ 2 Nr. 2) e stabilisce la responsabilità dell’inferiore nell’esecuzione dell’ordine criminoso (§ 5) e, nella parte speciale, prevede i reati di disobbedienza e le cause di non vincolatività dell’ordine. Fondamentale importanza riveste anche il Gesetz über die Rechtsstellung der Soldaten (Soldatengesetz, SoldG), che disciplina lo status di militare e i diritti e doveri ad esso inerenti. Altre fonti di diritto militare che hanno rilevanza nella materia in esame sono il Wehrdisziplinarordnung (WDO), che prevede la tipologia delle sanzioni disciplinari ammesse e definisce il procedimento per la loro applicazione, e il Wehrbeschwerdeordnung (WBO), relativo al diritto di ricorso del militare. Infine, il Regolamento sui rapporti gerarchici militari (Vorgesetztenverordnung, VorgV) disciplina dettagliatamente la competenza ad impartire ordini. Sulle fonti del diritto militare tedesco v. WIPFELDER H.J. - SCHWENCK H.G., Wehrrecht in der Bundesrepublik Deutschland, Regensburg, 1991, 4. Una raccolta delle
ADEMPIMENTO DEL DOVERE E ORDINE CRIMINOSO IN ALTRI ORDINAMENTI
145
recita:“Ai sensi di questa legge è:
Un ordine la disposizione [di tenere] una determinata condotta, che un
superiore militare (§ 1 co. 5 SoldG) impartisce ad un inferiore, per iscritto,
verbalmente o in altro modo, in generale o per un caso particolare e con pretesa
di obbedienza.”
Si tratta di una definizione formale di ordine gerarchico indipendente dal
contenuto dell’ordine medesimo. Ai fini del § 2 è irrilevante che l’ordine sia o no
legittimo oppure vincolante. Dall’esame delle norme contenute nei §§ 10 co. 4 e
11 SoldG e nei §§ 5 e 19 - 21 WStG, emerge, come si dirà, la possibilità che
esistano ordini illegittimi, non vincolanti o vincolanti, la cui emanazione ha
rilevanza giuridica anche dal punto di vista penalistico: legittimità e vincolatività
non sono, quindi, elementi costitutivi dell’ordine stesso.
Nel caso in cui difetti uno dei requisiti formali368 previsti dal § 2 Nr. 2 WStG,
e, quindi, manchi una manifestazione di volontà qualificata da parte di un
superiore volta ad ottenere obbedienza da un inferiore, non possono dirsi
disposizioni rilevanti in ambito militare è contenuta in SCHNELL K.H. - EBERT H.P., Disziplinarrecht, Strafrecht, Beschwerderecht der Bundeswehr, Regensburg - Bonn, 1997.
368 Per l’analisi dei singoli requisiti formali v. BÖTTCHER H. W. - DAU K., Wehrbeschwerdeordnung, München, 1997, § 1 con ampi rif. giur.; FÜRST W. - ARNDT H., Soldatenrecht. Kommentar des Soldatengesetzes, Berlin, 1992, § 10 n. marg. 12 ss.; SCHÖLZ J. - LINGENS E., op. cit., § 2; SCHWENCK H.G., Wehrstrafrecht im System des Wehrrechts und in der gerichtlichen Praxis, Frankfurt a.M., 1973, 72 ss.; STAUF W., Soldatengesetz, Baden Baden, 1987, § 11 n. marg. 2 ss.; WILK M. - STAUF W., Wehrrecht von A - Z, München, 1991; WIPFELDER H.J. - SCHWENCK H.G., Wehrrecht in der Bundesrepublik Deutschland, Regensburg, 1991, 86 ss.. Per quanto concerne in particolare il requisito della sussistenza del rapporto gerarchico tra chi emana l’ordine e chi lo riceve, è necessario fare riferimento al § 1 co. 5 SoldG, che fornisce la definizione legale di “superiore” e rinvia, per una più dettagliata disciplina della competenza ad impartire ordini, al Regolamento sui rapporti gerarchici militari (VorgV). Il VorgV ha ancorato la qualifica di superiore a criteri funzionali, sottoponendo la suddetta competenza a rilevanti limitazioni di tipo personale, spaziale, temporale e oggettivo. Cfr. in particolare, BURMESTER W., Das militärische Vorgesetzten - Untergebenen - Verhältnis, cit., 92 ss.; FÜRST - ARNDT, Soldatenrecht, cit., § 1 n. marg. 15 - 22. Riguardo alla possibilità di qualificare come "ordine gerarchico" la disposizione del superiore avente ad oggetto un comportamento già imposto da una legge v. ARNDT H., Grundriß des Wehrstrafrechts, München und Berlin, 1966, 186; LINGENS E., Militärischer Befehl und Gesetzesbefehl, in NZWehrr 1992, 58.
ADEMPIMENTO DEL DOVERE E ORDINE CRIMINOSO IN ALTRI ORDINAMENTI
146
realizzate le condizioni formali necessarie per la giuridica esistenza dell'ordine. Si
è in presenza di quello che la dottrina tedesca definisce "Nichtbefehl"369, cioè di
una dichiarazione non in grado di produrre alcuna conseguenza giuridica, e,
perciò, neppure quella di far sorgere il dovere di obbedienza in capo a chi la
riceve370.
E’ peraltro possibile ricavare anche una nozione materiale di ordine. Invero,
il § 10 Abs. 4 SoldG vincola il superiore nell’emanzione di ordini, stabilendo che
egli possa imparitre “soltanto ordini rivolti a scopi di servizio e nell’osservanza
delle norme di diritto pubblico internazionale, delle leggi e delle disposizioni di
servizio”. Si tratta di limitazioni di tipo sostanziale, contenutistico, la cui
violazione lascia impregiudicata l’esistenza dell’ordine, ma lo rende
materialmente antigiuridico.
Il fondamento costituzionale di questa norma del SoldG è rinvenibile nell’Art.
20 Abs. 3 GG: l’incardinamento delle Forze Armate tedesche nell’ambito del
potere esecutivo comporta che il potere di emanare ordini debba essere
concretamente esercitato nel rispetto della legge e del diritto. E’ opportuno
esaminare partitamente i singoli requisiti di legititmità sostanziale dell’ordine.
a) Il vincolo agli scopi di servizio.
369 Cfr. STAUF, Soldatengesetz, cit., § 11 n. marg. 3 - 5; LINGENS E., Die
Überschreitung der Befehlsbefugnis und ihre Auswirkung auf die Vorgesetzteneigenschaft, NZWehrr 1978, 55. SCHWENCK (Wehrstrafrecht, cit., 73) utilizza, invece, il termine “Nullum”.
370 Riguardo al requisito relativo alla qualifica di superiore sono sorte, in dottrina, divergenze di opinione in merito alla possibilità di distinguere tra l'astratta competenza ad impartire ordini e i limiti di tipo personale, spaziale, temporale ed oggettivo che il VorgV prevede per l'ambito di estensione della competenza medesima. In base a tale distinzione, quando il potere di impartire ordini viene esercitato nell'ambito delle ipotesi espressamente previste ma è riscontrabile una palese violazione dei limiti cui lo stesso VorgV lo subordina, l'ordine medesimo è giuridicamente esistente ma non è vincolante. V., in questo senso, BURMESTER, op. cit., 99 ss., SCHÖLZ - LINGENS, Wehrstrafgesetz, cit., § 2 n. marg. 14 - 15, SCHWENCK, Wehrstrafrecht, cit., 74; WIPFELDER - SCHWENCK, Wehrrecht, cit., 88. Di contrario avviso, ARNDT, Grundriß, cit., 194; STAUF, Soldatengesetz, § 11 n. marg. 5, LINGENS, Die Überschreitung, cit., 55 ss.
ADEMPIMENTO DEL DOVERE E ORDINE CRIMINOSO IN ALTRI ORDINAMENTI
147
A parere della dottrina tedesca371, la nozione di “servizio” dev’essere
interpretata in senso ampio. Di conseguenza, si ritengono conformi al requisito
legislativo tutti gli ordini che risultano essere strumentali alla “Bundeswehr” per
l’assolvimento dei compiti di difesa che sono ad essa attribuiti dalla carta
costituzionale (Art. 87a GG) nonché quelli necessari allo svolgimento di incarichi
che siano, direttamente o indirettamente, funzionali all’adempimento dei compiti
di difesa propriamente detti372.
b) Il vincolo alle regole di diritto pubblico internazionale.
Ulteriore requisito di legittimità dell’ordine è la sua conformità al diritto
pubblico internazionale, il quale ha rilevanza per le Forze Armate non soltanto
durante un eventuale stato di guerra, ma altresì in tempo di pace. Sono comprese,
innanzitutto, le norme di diritto pubblico internazionale generalmente riconosciute
ai sensi dell’Art. 25 GG, il quale stabilisce, appunto, che tali disposizioni siano
parte integrante del diritto tedesco, che esse abbiano prevalenza sulle leggi dello
stato e che, infine, possano far sorgere direttamente diritti e doveri per i cittadini
tedeschi. Si ritiene373, inoltre, che nella stessa nozione vadano incluse tutte le
speciali disposizioni derivanti dai trattati internazionali: dato che, infatti, il dovere
di osservanza delle regole generalmente riconosciute dal diritto internazionale
371 FÜRST - ARNDT, Soldatenrecht, cit., § 10 n. marg. 18; SCHÖLZ - LINGENS,
Wehrstrafgesetz, cit., § 2 n. marg. 23; STAUF, Soldatengesetz, cit., § 10 n. marg. 9. 372 Cfr. BÖTTCHER - DAU, WBO, cit., n. marg. 128 - 130 per i riferimenti alla
casistica giurisprudenziale. E' discusso se il cd “ordine preventivo” (Präventivbefehl), diretto ad evitare il compimento di infrazioni disciplinari da parte del militare in ambito estraneo al servizio, possa essere considerato legittimo. Secondo la maggioranza della dottrina l'emanazione di ordini preventivi può essere giustificata soltanto dal concreto pericolo della commissione dell'illecito disciplinare e deve essere circoscritta alla misura necessaria a tutelare il servizio, con stretta osservanza del criterio della proporzionalità; comunque, deve fondarsi su doveri il cui adempimento obblighi l'inferiore anche al di fuori del servizio stesso. V., in merito, BUSCH E., Zur Frage der Befehle im außerdienstlichen Bereich, NZWehrr 1969, 56; LAMMICH C., Der Präventivbefehl, NZWehrr 1970, 98; SCHERER W., Zur Frage der Befehle für den dienstfreien Bereich, NZWehrr 1961, 97; SCHÜTZ E.E., Befehle im außerdienstlichen Bereich, NZWehrr 1961, 100, HUTH R., Möglichkeiten eines militärischen Vorgesetzten, die außerdienstliche Freizeitgestaltung seines Untergebenen durch einen Befehl einzuschränken, NZWehrr 1990, 107.
ADEMPIMENTO DEL DOVERE E ORDINE CRIMINOSO IN ALTRI ORDINAMENTI
148
pubblico già risulta espressamente dall’Art. 25 GG, non sarebbe stata necessaria
l’espressa menzione del Völkerrecht nel § 10 Abs. 4 SoldG374.
c) Il vincolo alle leggi.
L’espressa affermazione, da parte del § 10 Abs. 4 SoldG, del necessario
rispetto dell’ordinamento giuridico interno nell’emanazione di ordini pare
superflua375, in quanto risulta già di per sé ovvio che una disposizione impartita in
dispregio delle leggi statali non possa in alcun modo essere considerata legittima.
L’osservanza della legge come condizione al potere del superiore emerge già, del
resto, dall’Art. 20 Abs. 3 GG, che stabilisce che il potere esecutivo debba essere
vincolato alle leggi e al diritto. Nella sua dizione (“unter Beachtung der Gesetze”)
il SoldG comprende l’intero gruppo di norme che costituiscono l’ordinamento
giuridico statale vigente e, quindi, la Costituzione, le leggi ordinarie, i decreti e il
diritto consuetudinario; si ritiene376, inoltre, che rientrino nella definizione
suddetta anche i principi generali ricavabili dall’Art. 20 Abs. 3 della legge
fondamentale.
d) Il vincolo alle disposizioni di servizio.
L’ultimo requisito di legittimità che il SoldG richiede è quello relativo
all’osservanza delle disposizioni di servizio. Viene così limitata la discrezionalità
del superiore gerarchico in relazione al contenuto dell’ordine. Nella categoria
delle “Dienstvorschriften” vanno annoverati tutti gli ordini, i regolamenti e le
direttive che promanano dal Ministro per la Difesa e sono rivolti a disciplinare lo
svolgimento e l’esecuzione di un determinato servizio377.
L’ordine che sia stato impartito dal superiore nel pieno rispetto dei requisiti
373 V. WIPFELDER - SCHWENCK, Wehrrrecht, cit., 89. 374 Contra STAUF, Soldatengesetz, cit., § 10 n. marg. 16 , secondo il quale le
convenzioni di diritto internazionale possono essere ricomprese nella dizione utilizzata dal SoldG solo eccezionalmente e cioè quando recepiscono testualmente norme consuetudinarie.
375 V. WIPFELDER - SCHWENCK, Wehrrrecht, cit., 89. 376 WIPFELDER - SCHWENCK, Wehrrrecht, cit., 90. 377 Cfr. FÜRST - ARNDT, Soldatenrecht, cit., § 10 n. marg. 19; STAUF,
Soldatengesetz, cit., § 10 n. marg. 15.
ADEMPIMENTO DEL DOVERE E ORDINE CRIMINOSO IN ALTRI ORDINAMENTI
149
previsti dal § 10 Abs. 4 SoldG è legittimo (rechtmäßig) ed è anche, come si dirà
appresso, sempre vincolante (verbindlich), quindi fa sorgere in capo a chi lo
riceve il dovere di obbedienza penalmente tutelato.
1.3. Il dovere di obbedienza e le cause di non vincolatività
dell'ordine
Il dovere di obbedienza (Gehorsamspflicht) è sancito dal § 11 SoldG, il quale,
al co. 1, recita: “ Il soldato deve obbedire ai propri superiori. Deve fare tutto il
possibile per eseguire i loro ordini in modo completo, scrupoloso ed immediato.” 378.
La violazione del dovere di obbedienza può dare luogo alla responsabilità
disciplinare o penale dell'inferiore. Il WStG contempla le ipotesi di disobbedienza
(Ungehorsam) sia individuale che collettiva379. Anche nella sua forma più
semplice (§ 19), la disobbedienza dell’inferiore non è mai punita di per sé - a
questo provvedono le norme disciplinari - ma solo in quanto, con la dolosa
378 V., per il commento, FÜRST - ARNDT, Soldatenrecht, cit., § 11 n. marg. 2;
WILK - STAUF, Wehrrecht von A - Z, cit., alla voce “Gehorsam”. In dottrina è tradizionalmente riconosciuto all'inferiore il diritto di sollevare rimostranza (Gegenvorstellung) ogni qual volta ciò sia necessario ai fini dell’esecuzione dell’ordine, ma nei limiti in cui la situazione in concreto lo permetta e purché l’adempimento dell’ordine non venga ritardato. Cfr. HUBER E., Die Auswirkungen der Konzeption vom “Staatsbürger in Uniform” auf das Problem von Prüfungspflicht und Gegenvorstellung, NZWehrr 1974, 201; SCHWENCK H.G., Die Gegenvorstellung im System von Befehl und Gehorsam - Ein Beitrag zur strafrechtlichen Verantwortlichkeit des militärischen Untergebenen , in Festschrift für Eduard Dreher, Berlin, 1977, 495; FÜRST - ARNDT, Soldatenrecht, cit., § 11 n. marg. 3 - 4. Più controversa è, invece, la questione relativa alla configurabilità di un vero e proprio dovere di rimostranza in capo all’inferiore. V., per la soluzione affermativa, HUBER, Die Auswirkungen, cit.; secondo altri autori (per tutti, STAUF, Soldatengesetz, cit., § 11 n. marg. 19) a seconda delle circostanze del caso concreto l’omissione della rimostranza può violare il § 7 SoldG (dovere di fedeltà alla BRD) e fondare così la responsabilità disciplinare del subordinato. Sulla possibilità di configurare un dovere di rimostranza con rilevanza penalistica v. BGH del 31. 01. 1964, in NZWehrr 1964, 125; contra SCHWENCK, Die Gegenvorstellung, cit.
379 Per una dettagliata trattazione dei singoli reati di disobbedienza v. ARNDT, Grundriß, cit., 185-199 e 209-213; SCHÖLZ - LINGENS, Wehrstrafgesetz, cit., §§ 19 -21 e
ADEMPIMENTO DEL DOVERE E ORDINE CRIMINOSO IN ALTRI ORDINAMENTI
150
disobbedienza, sia stata cagionata, almeno colposamente, una conseguenza
dannosa (§ 2 Nr. 2 WStG)380. Diversamente dunque da quanto accade nel nostro
ordinamento, dove il reato di disobbedienza tende ad essere reato di mera
disobbedienza, nel Wehrstrafgesetz (WStG) solo la mancata esecuzione di ordini
particolarmente qualificata, per le conseguenze lesive che comporta o per le
modalità in cui avviene, fa sorgere la responsabilità penale per la disobbedienza in
capo all’inferiore.
Per la realizzazione del reato di disobbedienza, è essenziale che l’ordine sia
vincolante, mentre non ha alcuna rilevanza che esso sia o no legittimo; la nozione
formale di ordine valevole ai fini penalistici, fornita dallo stesso WStG prescinde,
infatti, dal requisito della legittimità. Solo se l’ordine non è vincolante (§§ 11
SoldG, 22 WStG) l’inferiore che non obbedisce non agisce in modo antigiuridico.
Nel sistema penale militare tedesco, infatti, il dovere di obbedienza non viene
fatto dipendere dalla legittimità dell’ordine che deve essere eseguito. Il legislatore
ha consapevolmente rinunciato ad una piena congruenza tra legittimità e
vincolatività dell'ordine. La dottrina381 spiega questa scelta legislativa partendo
dal presupposto per cui l’inferiore, dato il dovere di obbedire, può trovarsi,
eseguendo l’ordine, nella possibilità materiale e giuridica di porsi in contrasto con
altri postulati dell’ordinamento giuridico. Al fine di risolvere in modo generale
questo conflitto di doveri, il legislatore tedesco ha stabilito, proprio nel § 11
SoldG, i limiti al dovere di obbedienza mediante l’individuazione delle cd cause
di non vincolatività dell’ordine (Unverbindlichkeitsgründe). Il principio è,
27 - 28.
380 Il rifiuto di obbedienza (§ 20) è, invece, punito solo se accompagnato da atti di aperta ribellione, oppure se il rifiuto di obbedire persiste nonostante la reiterazione dell’ordine. La legge penale militare prevede altresì un’ipotesi colposa di reato, denominata “Inosservanza di un ordine per negligenza” (§ 21), punita anch’essa solo in quanto ne sia derivato un danno. Il WStG prevede, infine, due casi di disobbedienza collettiva: l’ammutinamento (§ 27) e l’accordo al fine di commettere un’insubordinazione (§ 28) Sui reati di disobbedienza cfr. SCHÖLZ - LINGENS, Wehrstrafgesetz, cit., § 2 n. marg. 48 ss.; ARNDT, op. cit., 188 ss.
ADEMPIMENTO DEL DOVERE E ORDINE CRIMINOSO IN ALTRI ORDINAMENTI
151
dunque, che ogni ordine - purché giuridicamente esistente ed emanato dal
competente superiore gerarchico - è, indipendentemente dalla sua legittimità,
vincolante. Ma la legge stessa stabilisce le eccezioni, qualificando l’ordine come
“non vincolante” nei casi in cui l’intensità dell’antigiuridicità che lo colpisce è
particolarmente elevata382.
A questa soluzione il legislatore è pervenuto mediante una ponderazione tra i
due valori in gioco, il principio di obbedienza e la tutela dell'ordinamento
giuridico. Le soluzioni estreme erano quella della cd "obbedienza cieca" con
l'esclusiva rilevanza del principio di obbedienza nei confronti di qualsiasi ordine,
anche illegittimo, e quella opposta consistente nell'affermazione della piena
responsabilità dell'inferiore per l'esecuzione dell'ordine illegittimo. Il legislatore
tedesco ha optato, nel §11 SoldG, per una soluzione intermedia, che gli è parsa
come l'unica in armonia con il principio dello stato di diritto e con la politica
militare.
Al dovere di obbedienza viene, quindi, attribuita una posizione di relativa
prevalenza a tutela di chi è chiamato ad eseguire l’ordine; la scelta legislativa
comporta che possa essere accettato il fatto che, a seguito dell’adempimento di
ordini illegittimi ma vincolanti, ci siano violazioni dell’ordinamento giuridico
delle quali l’inferiore non è chiamato a rispondere.
Il § 11 SoldG prevede, dunque, tre ipotesi di ordini non vincolanti alle quali è
comune il fatto che l'attuazione del principio di obbedienza risulterebbe in tali casi
insostenibile per l'inferiore oppure per l'ordinamento giuridico. Di fronte ad un
ordine qualificabile come non vincolante, il dovere di immediata ed
incondizionata esecuzione, sancito dallo stesso § 11 SoldG, deve necessariamente
recedere.
L'individuazione della suddetta caratteristica comune a queste cause di non
381Vedi per tutti WIPFELDER - SCHWENCK, Wehrrecht, cit., 92. 382 V. ARNDT, Grundriß, cit., 115; SCHÖLZ - LINGENS, op. cit., § 2 n. marg. 34.
ADEMPIMENTO DEL DOVERE E ORDINE CRIMINOSO IN ALTRI ORDINAMENTI
152
vincolatività è importante perché permette di qualificarle come meramente
esplicative (e non come tassative): il loro ampliamento mediante interpretazione
appare, quindi, giustificato383.
Il § 11 co. 1 SoldG stabilisce che non si realizzi il reato di disobbedienza se
l'ordine rimasto inadempiuto è lesivo della dignità umana oppure se non è rivolto
a scopi di servizio; l'Abs. 2 della medesima disposizione sancisce, invece, un vero
e proprio dovere di disobbedienza nel caso in cui l'ordine sia in contrasto con le
norme di diritto penale384.
Per quanto concerne la prima ipotesi, l’ordine lesivo della dignità umana
dell'inferiore o del terzo (der die Menschenwürde verletzende Befehl) è non
vincolante in quanto, in base all'Art. 1 co. 1 GG, la dignità umana è intangibile ed
è obbligo di tutti i poteri dello stato garantirne il rispetto e la tutela. Gli ordini di
questo tipo sono illegittimi perché comportano una profonda aggressione alla
fondamentale essenza dell'uomo; non fa alcuna differenza che l'ordine comporti
una lesione della dignità dell'inferiore o di quella di un terzo, sia esso un militare
oppure un civile. Generalmente, quando la lesione è a danno di un terzo, si è
anche in presenza di un reato. Il concetto di “dignità umana” è, comunque,
indefinito e non può essere determinato in assoluto ma soltanto in relazione al
383 Tale ampliamento è ritenuto possibile nonostante il § 11 SoldG, a differenza del §
22 WStG - che disciplina anch'esso la non vincolatività -, non contenga l'espressione "in particolare" (insbesondere) prima dell'elencazione delle cause stesse, v. SCHÖLZ/LINGENS, Wehrstrafgesetz, cit., § 2 n. marg. 34; STAUF, Soldatengesetz, cit., § 11 n. marg. 12 ss., WIPFELDER/ SCHWENCK, Wehrrecht, cit., 93. Contra FÜRST/ARNDT, Soldatenrecht, cit., § 11 n. marg. 6, per i quali le varie tipologie di ordini impossibili, inesigibili, non proporzionati allo scopo ecc. non costituiscono autonome ipotesi di non vincolatività ma rientrano senza difficoltà nel concetto di "ordine non rivolto a scopi di servizio" previsto dal § 11 Abs. 1 SoldG.
384 Per il commento alle singole cause di non vincolatività dell’ordine v. in particolare: BÖTTCHER – DAU, WBO, cit., § 1 n. marg. 134 ss.; FÜRST – ARNDT, Soldatenrecht, cit., § 11 n. marg. 6 ss., LAMMICH C., Befehl ohne Gehorsam, NZWehrr 1970, 47; SCHREIBER J., Unverbindliche Befehle – Versuch einer Systematik, NZWehrr 1965, 1; SCHÖLZ – LINGENS, Wehrstrafgesetz, cit., § 1 n. marg. 34 ss.; STAUF, Soldatengesetz, cit., § 11 n. marg. 9 ss.; WIPFELDER – SCHWENCK, Wehrrecht, cit., 94 ss.
ADEMPIMENTO DEL DOVERE E ORDINE CRIMINOSO IN ALTRI ORDINAMENTI
153
caso concreto385.
Il secondo caso di ordine non vincolante previsto dal § 11 SoldG è quello
dell'ordine non rivolto a scopi di servizio. Per individuare questa categoria di
ordini vanno richiamate le considerazioni già svolte386 in merito ai requisiti di
legittimità dell'ordine (§ 10 co. 4 SoldG), tra i quali va appunto annoverata anche
l'attinenza al servizio. Infatti, quando dell'ordine, inteso come atto del potere
statale, si abusa per realizzare fini estranei al servizio, vi è un vizio nell'esercizio,
da parte del superiore, del sostanziale potere di impartire ordini387. Per la
vincolatività è sufficiente che l'ordine possa essere ritenuto, sulla base di sensate
considerazioni, in qualche modo utile ad uno scopo militare.
Ai sensi del § 11 co. 2 SoldG sono inoltre non vincolanti gli ordini criminosi,
ossia in contrasto con il diritto penale (strafrechtswidriger Befehl); ciò significa
che l'esecuzione dell'ordine deve comportare la commissione di uno Straftat
(reato). Si fa riferimento alle nozioni di "Verbrechen" e di "Vergehen" contenute
nel § 12 StGB388, mentre sono esclusi gli illeciti amministrativi389.
Sul presupposto del carattere non tassativo delle cause di non vincolatività
espressamente indicate dalla legge, la dottrina tedesca ha individuato, nella prassi
militare, una serie di casi di ordini non vincolanti dei quali si discute se
costituiscano o meno ipotesi autonome di non vincolatività390.
385 Cfr. in particolare STAUF, Soldatengesetz, cit., § 11, n. marg. 10 - 11. 386 V. supra par. 1.2. 387 Sono, quindi, contrari al servizio gli ordini emanati per fini privati, quelli privi di
giustificazione, quelli per i quali l'impossibilità del raggiungimento dello scopo era palese al momento dell'emanazione e gli ordini non funzionali alla realizzazione dei compiti istituzionali affidati alla Bundeswehr. Secondo alcuni autori questa causa di non vincolatività non è, a differenza delle altre due previste dal § 11 SoldG, di tipo materiale ma è più propriamente una causa di nullità formale dell'atto, in ragione dell'abuso, da parte del superiore, della propria competenza ad impartire ordini. V. SCHÖLZ – LINGENS, WStG, § 2 n. marg. 44; WIPFELDER/SCHWENCK, Wehrrecht, cit., 96 ss.
388 V. in merito ESER A., in SCHÖNKE A. – SCHRÖDER H., StGB Kommentar, 1985, §§ 11 e 12.
389 Cfr. FÜRST - ARNDT, Soldatenrecht, cit., § 11 n. marg. 10. 390 Per le problematiche inerenti alla non vincolatività degli ordini tra loro in
ADEMPIMENTO DEL DOVERE E ORDINE CRIMINOSO IN ALTRI ORDINAMENTI
154
Un primo caso è dato dall'ordine cd "impossibile" (objektiv unmöglicher
Befehl), che viene ravvisato quando l'esecuzione è per l'inferiore oggettivamente
impossibile. Si è in presenza di un tale ordine quando la situazione che si vuole
ottenere mediante l'esecuzione si è già realizzata: è evidente, quindi, che l'ordine
non sia vincolante391.
Viene definito “inesigibile” (unzumutbarer Befehl) l’ordine che comporta una
profonda aggressione nella sfera giuridica dell’inferiore, in modo tale che non vi
sia alcuna connessione tra l’importanza dello scopo di servizio che con esso si
intende perseguire e la forma e la gravità della suddetta aggressione; anche in
questo caso il militare non è tenuto ad obbedire392. L'inesigibilità sussiste, in
particolare, quando l'esecuzione provoca un così notevole pericolo per la vita o
per l'integrità fisica di chi riceve l'ordine da non essere in alcun modo rapportabile
allo scopo di servizio cui l'ordine è rivolto393.
Si ritiene in dottrina394 che sia l'ordine impossibile che quello inesigibile non
costituiscano cause di non vincolatività a sé stanti ma che, in considerazione
dell'Art 1 co.1 della Legge Fondamentale, possano rientrare in quella fondata sulla
contrasto per contenuto, e degli ordini insensati v. WIPFELDER – SCHWENCK, Wehrrecht, cit., 98 ss.; SCHÖLZ – LINGENS, WStG, cit., § 2 n. marg. 42 - 43. In merito agli ordini cd inopportuni v. WIPFELDER – SCHWENCK, Wehrrecht, cit., 99; BÖTTCHER – DAU, WBO, cit., § 1 n. marg. 149 ss.: questo tipo di ordine non è, secondo l'opinione della dottrina, di per sé non vincolante. Esso è, infatti, espressione di un difettoso utilizzo della propria discrezionalità da parte del superiore e può costituire oggetto di ricorso da parte dell'inferiore che ha dovuto eseguirlo, ai sensi del Wehrbeschwerdeordnung
391 In giurisprudenza v. BVerwG in NZWehrr 1969, 65. Si ritiene, in dottrina, che gli ordini che invece rimangono ineseguiti a causa della soggettiva incapacità dell’inferiore ad adempierli mantengano la loro vincolatività: essi obbligano l’inferiore a tentarne comunque l’adempimento, purché la pretesa non sia così palesemente eccessiva da rendere il tentativo insensato, v. SCHÖLZ/LINGENS, WStG, cit., § 2 n. marg. 41.
392 Questa soluzione è da sempre riconosciuta in giurisprudenza: v. per es. BDH in NZWehrr 1963, 160 e OLG Hamm in NZWehrr 1966, 90.
393 V. BDH in NZWehrr 1959, 98. 394 Cfr. WIPFELDER – SCHWENCK, Wehrrecht, cit., 94. Secondo FÜRST –
ARNDT, Soldatenrecht, cit., § 11 n. marg. 7 – 8, l’ordine inesigibile rientrerebbe nell’ordine lesivo della dignità umana, mentre quello impossibile apparterrebbe alla categoria degli ordini non rivolti a scopi di servizio.
ADEMPIMENTO DEL DOVERE E ORDINE CRIMINOSO IN ALTRI ORDINAMENTI
155
lesione della dignità umana, espressamente prevista dal § 11 co. 1 SoldG, in base
al principio della sproporzionata aggressione nei diritti del militare.
In ogni caso, anche gli ordini impossibili o inesigibili che non ledono la
dignità umana sono di regola non vincolanti in quanto illegittimi: la loro
illegittimità deriva dalla contrarietà al servizio o, almeno, dalla violazione del
dovere di esercizio del potere esecutivo in conformità alla legge, se vi è lesione
del principio di proporzionalità tra mezzo e scopo395.
Un ulteriore caso di ordine non vincolante è quello che si pone in contrasto
con le regole generali del diritto internazionale pubblico ai sensi dell'Art. 25 GG
(völkerrechtswidriger Befehl); l'illegittimità di questo tipo di ordine risulta già dal
§ 10 co. 4 SoldG. Vengono in proposito in considerazione le norme di diritto
internazionale pubblico che non hanno contenuto negoziale e che sono
generalmente riconosciute dalla comunità internazionale396.
Il militare cui venga impartito un völkerrechtswidriger Befehl dovrà
rifiutarne l'adempimento: ai sensi del § 25 GG queste regole generali prevalgono
infatti sul § 11 SoldG (che è legge statale ordinaria) e vincolano direttamente
l'inferiore.
Si ritiene che esista, a carico dell'inferiore, un vero e proprio dovere di
disobbedienza nei confronti di un tale ordine e che perciò questa causa di non
vincolatività vada ricompresa nel § 11 co. 2 SoldG, relativo all’ordine
395 V. STAUF, Soldatengesetz, cit., § 11 n. marg. 15. Secondo questo autore la
disputa per decidere se il criterio per definire certi ordini come non vincolanti sia quello della gravità della violazione nel singolo caso, oppure quello del manifesto abuso di potere nella ponderazione tra esigenze di servizio e aggressione ai diritti del militare, oppure ancora quello dell’inesigibilità, è più che altro una disputa accademica. Infatti, a rendere inesigibile l’esecuzione di un ordine può essere soltanto una grave aggressione ai diritti dell’inferiore, oggettivamente non proporzionata alle esigenze di servizio.
396 Infatti si ritiene che queste "regole generali" di diritto internazionale altro non siano se non diritto consuetudinario internazionale raccolto in principi giuridici generalmente riconosciuti. Rimangono quindi esclusi i trattati di diritto internazionale, a meno che non consistano in una trasposizione scritta di norme consuetudinarie. In argomento v. SCHÖLZ – LINGENS, Wehrstrafgesetz, cit., § 2 n. marg. 40.
ADEMPIMENTO DEL DOVERE E ORDINE CRIMINOSO IN ALTRI ORDINAMENTI
156
criminoso397. Di regola, infatti, gli ordini in contrasto con il diritto pubblico
internazionale sono già non vincolanti in quanto criminosi, perché concretizzano
una fattispecie già disciplinata dal diritto penale tedesco 398. Nel caso in cui le
violazioni del diritto internazionale pubblico non siano già sottoposte a pena in
base al diritto penale tedesco, gli ordini rivolti a commetterle vengono considerati
non vincolanti se la gravità della violazione è paragonabile all'illecito criminale in
base all’opinione giuridica generale nazionale e internazionale399. Tuttavia
qualche autore400 ritiene che non sia sufficiente il riferimento all’intensità della
violazione e che debba essere invece operata una concreta comparazione tra il
contenuto dell’ordine e le fattispecie penali di diritto interno.
Non va peraltro dimenticato, in proposito, che, di recente, è stato approvato in
Germania il Völkerstrafgesetzbuch (VStGB), entrato in vigore nel giugno del
2002, avente lo scopo di codificare i principi del diritto internazionale penale,
nell’ottica di un’armonizzazione con lo Statuto della Corte penale internazionale
permanente. Il VStGB contiene anche una specifica disposizione in tema di
obbedienza gerarchica, la quale prevede l’esenzione da responsabilità per
l’esecutore dell’ordine di commettere uno dei crimini internazionali previsti dal
codice stesso, qualora l’agente non abbia riconosciuto l’illiceità penale dell’ordine
e sempre che la criminosità non fosse manifesta401.
In conclusione, come si evince chiaramente dal tenore del § 11 co. 1 SoldG
("Non si ha disobbedienza…"), nei casi in cui l'ordine sia illegittimo perché non
rivolto a scopi di servizio o perché lesivo della dignità umana - oltre che negli altri
397 Contra STAUF, Soldatengesetz, cit., § 11 n. marg. 21, secondo il quale non è
ammissibile la sussunzione della categoria di ordini in esame nel § 11 Abs. 2 S. 1 SoldG, in quanto ciò non è in armonia con la lettera della legge che fa riferimento al solo ordine criminoso. Secondo l'A., in una così delicata materia sarebbe auspicabile una espressa regolamentazione legislativa.
398 V. per es. il § 220a StGB (Völkermord, genocidio). 399 Cfr. SCHÖLZ – LINGENS, Wehrstrafgesetz, cit., § 1 n. marg. 40; WIPFELDER –
SCHWENCK, Wehrrecht, cit., 94 ss. 400 FÜRST – ARNDT, Soldatenrecht, cit., § 11 n. marg. 11.
ADEMPIMENTO DEL DOVERE E ORDINE CRIMINOSO IN ALTRI ORDINAMENTI
157
casi già esaminati purché diversi dall'ordine criminoso - l'inferiore è svincolato dal
dovere di obbedienza. Il mancato adempimento dell’ordine illegittimo e non
vincolante non comporta per l’inferiore la commissione del reato di disobbedienza
previsto dai §§ 19 - 21 WStG e neppure è possibile che egli incorra, a causa della
disobbedienza, in sanzioni disciplinari402.
1.4. La responsabilità dell'inferiore per l’esecuzione dell’ordine
criminoso. Il criterio della manifesta criminosità.
L’illegittimità e la non vincolatività sono caratteri oggettivi dell'ordine e di
conseguenza, non possono essere modificati dalle convinzioni soggettive in
merito da parte del superiore e dell'inferiore, in particolare dalla sussistenza di un
eventuale errore sui presupposti di fatto e di diritto. Illegittimità e non
vincolatività possono, quindi, in concreto, non essere riconosciute dal superiore o
dall'inferiore nel momento in cui l'ordine è impartito o eseguito ma ciò non
modifica la qualificazione dell'ordine come illegittimo o come non vincolante,
anche se può avere rilevanza in merito al giudizio di riprovevolezza per
l'emanazione o per l'esecuzione dell'ordine403.
Se l'ordine è vincolante, a risponderne sarà il solo superiore gerarchico404; se,
viceversa, l'ordine non è vincolante non sussiste più alcuna pretesa di obbedienza
401 Del VStGB si dirà meglio infra par. 1.8. 402 Il § 11 Abs. 1 prende in considerazione anche l'ipotesi in cui l'inferiore non abbia
eseguito l'ordine nell'erronea supposizione che esso non fosse vincolante: in questo caso, l’esclusione della responsabilità per il reato di disobbedienza è ammessa solo se l’errore in cui è incorso l’inferiore era inevitabile e se non ci si poteva aspettare da lui che, in base alle circostanze a lui note, si opponesse con mezzi giuridici all’ordine ritenuto non vincolante. Ciò è ribadito nel § 22 WStG. V., in merito, FÜRST – ARNDT, Soldatenrecht, cit., § 11 n. marg. 9; SCHÖLZ - LINGENS,WStG, cit., § 22.
403 WIPFELDER - SCHWENCK, Wehrrecht, cit., 100. 404 Il § 10 SoldG co. 5 sancisce la responsabilità del superiore per gli ordini
impartiti404. L'assunzione della responsabilità riguarda non solo la legittimità della disposizione emanata ma anche la sua conformità allo scopo (Zweckmäßigkeit), la quale tuttavia non pregiudica né la legittimità né la vincolatività dell'ordine.
ADEMPIMENTO DEL DOVERE E ORDINE CRIMINOSO IN ALTRI ORDINAMENTI
158
e l'inferiore dovrà assumersi la responsabilità per l'eventuale esecuzione405. Nelle
ipotesi di non vincolatività previste dal co. 1 del § 11, l’inferiore può disobbedire
ma non è obbligato a farlo. Se pertanto egli esegue l’ordine nonostante la non
vincolatività, questa obbedienza non richiesta non lo danneggia se, con essa, egli
rinuncia alla tutela prevista per i beni giuridici facenti capo alla sua persona
(ordine lesivo della dignità umana) oppure agisce in dispregio della funzione
dell’ordine (ordine non rivolto a scopi di servizio), così come ha fatto il
superiore406.
Il superamento dei limiti legislativi relativi alla vincolatività ha notevole
importanza per il caso in cui l'ordine eseguito fosse rivolto alla commissione di un
illecito penale. Il § 11 co. 2 SoldG impone all’inferiore di rifiutare l’obbedienza407
nel caso in cui l’ordine sia illegittimo in quanto criminoso, ossia in contrasto con
il diritto penale.
Nel caso in cui il militare esegua un simile ordine si pone il problema di
valutare se e in quale misura sia configurabile la sua responsabilità penale.
Va innanzitutto precisato che l’inferiore (sia militare che pubblico
impiegato) che compie per ordine un reato che riconosce come tale non può
appellarsi al Befehlsrecht e al rapporto gerarchico come autonoma ragione di
esclusione della responsabilità, dato che non è riconosciuto un dovere di
obbedienza cieca408.
405 In dottrina si ritiene che l’inferiore possa confidare nel fatto che il superiore
eserciti il proprio potere in conformità dell’ordinamento giuridico e quindi presumere che gli ordini da lui emanati siano legittimi e vincolanti; in merito cfr. WIPFELDER – SCHWENCK, Wehrrecht, cit., 100 ss.; BÖTTCHER - DAU, WBO, cit., § 1 n. marg. 138.
406 Cfr. WIPFELDER – SCHWENCK, Wehrrecht, cit., 100 ss. E’ tuttavia possibile che l’esecuzione dell’ordine possa comportare la responsabilità disciplinare dell’inferiore ai sensi del § 23 SoldG.
407 Il § 22 della legge penale militare stabilisce, all’Abs. 2, che l’inferiore che non obbedisce ad un ordine ritenendo erroneamente che la sua esecuzione costituisca reato non è punibile ai sensi dei §§ 19-21 (reati di disobbedienza) se non poteva evitare l’errore. Si tratta, a parere della dottrina, di una regola particolare del Verbotsirrtum. Per il commento a questa disposizione v. SCHÖLZ - LINGENS,Wehrstrafgesetz, cit., § 22.
408 MAURACH - ZIPF,op. cit., § 34 n. marg. 23 ss.
ADEMPIMENTO DEL DOVERE E ORDINE CRIMINOSO IN ALTRI ORDINAMENTI
159
La responsabilità penale del militare che adempie un ordine criminoso
deve essere valutata in base al § 5 WStG, rubricato appunto “Azione su ordine”
(Handeln auf Befehl) 409 che recita: “(1) Un inferiore che, per ordine, commette un
fatto antigiuridico che realizzi la fattispecie di una norma penale è responsabile
solo se sa che si tratta di un fatto antigiuridico oppure se ciò è manifesto per
circostanze a lui note. (2) Se la responsabilità dell’inferiore, in considerazione
della particolare situazione in cui egli si trovava al momento dell’esecuzione
dell’ordine, è ridotta, il giudice può diminuire la pena secondo il § 49 co. 1 StGB,
e, nel caso si tratti di un Vergehen, prescindere dall’applicazione della pena.”
Il § 5 WStG disciplina una particolare causa di esclusione della
colpevolezza (Schuldausschließerungsgrund)410. Il presupposto è che l’inferiore
commetta un fatto antigiuridico che realizzi una fattispecie penale, cioè un reato, e
che agisca dietro ordine, ossia obbedendo alla disposizione impartitagli dal
superiore; è ovviamente necessario che si sia in presenza di un ordine
giuridicamente esistente ai sensi del § 2 Nr. 2 WStG.
E’ essenziale che l’inferiore commetta un Verbrechen o un Vergehen (§ 12
StGB): non si è in presenza di un reato e, quindi, il § 5 WStG non può trovare
applicazione, se il militare ha agito per legittima difesa o in stato di necessità
giustificante (§§ 32, 34 StGB). La disposizione in esame non si applica neppure se
l’inferiore ha commesso un fatto antigiuridico ma ha agito in presenza di un’altra
causa di esclusione della colpevolezza, per es. nel caso in cui sia ravvisabile lo
stato di necessità scusante411.
409 Per il commento al § 5 WStG v. SCHÖLZ – LINGENS, Wehrstrafgesetz, cit., § 5. 410 Cfr. JESCHECK, Lehrbuch, cit., 495: il fatto che, in considerazione del rapporto
gerarchico, i diritti e i doveri dei militari siano costruiti in modo particolare comporta che anche la scusante dell’azione per ordine debba essere disciplinata in modo autonomo in ambito militare. V. anche SCHÖLZ - LINGENS, WStG, cit., § 5 n. marg. 1.
411 Per esempio nel caso in cui l’inferiore sia stato costretto ad eseguire l’ordine con la minaccia di immediata fucilazione da parte del superiore. V. JESCHECK, Lehrbuch, cit., 498; LENCKNER in SCHÖNKE - SCHRÖDER, StGB, Vor § 32 n. marg. 121; MAURACH - ZIPF, Strafrecht, cit., § 34 II n. marg. 25; SCHÖLZ - LINGENS, WStG, cit., § 5 n. marg. 8.
ADEMPIMENTO DEL DOVERE E ORDINE CRIMINOSO IN ALTRI ORDINAMENTI
160
Il fatto che il § 5 WStG presupponga che l’inferiore commetta il reato per
ordine non comporta necessariamente che anche il superiore compia, con
l’emanazione dell’ordine, tale reato. Per l’applicazione della disposizione in
esame non è necessario neppure che il superiore sappia che l’inferiore
commetterà un reato eseguendo l’ordine o che, addirittura, il superiore abbia come
scopo la commissione dell’illecito penale da parte dell’inferiore (come invece
richiedeva espressamente il § 47 co. 1 Nr. 2 del precedente MStGB)412.
Commettendo un reato il militare agisce in modo antigiuridico ma per
valutare la possibile responsabilità penale si deve guardare anche alla
colpevolezza. La norma in esame stabilisce che egli sia colpevole e quindi
risponda solo se:
a) riconosce (erkennt) di commettere un reato; deve cioè sapere o
prevedere con certezza che l’esecuzione dell’ordine comporta la commissione del
reato; non basta che lo ritenga soltanto possibile o probabile o che abbia dei dubbi
in proposito413. Si ritiene414 che egli non sia obbligato a chiarire eventuali dubbi e
che comunque abbia diritto di sollevare rimostranza; in ogni caso non è scusato se
esegue l’ordine in seguito ad infruttuosa rimostranza avendo piena conoscenza
dell’antigiuridicità penale dell’ordine stesso. E’ necessario che l’inferiore sappia
che il fatto è penalmente antigiuridico anche se non si richiede che egli conosca in
dettaglio le definizioni legislative di Vergehen e Verbrechen e che sappia
esattamente classificare la condotta criminosa415;
412 V. SCHÖLZ - LINGENS, WStG, cit., § 5 n. marg. 4. 413 Cfr. ARNDT, Grundriß, cit., 118; JESCHECK, Lehrbuch, cit., 496; SCHÖLZ -
LINGENS, WStG, cit., § 5 n. marg. 9. 414 V. FÜRST - ARNDT, Soldatenrecht, cit., § 11 n. marg. 12; STAUF,
Soldatengesetz, cit., § 11 n. marg. 22, sulla base della considerazione che l’inferiore, a differenza del superiore, non ha alcun dovere di esame della situazione di fatto e, di regola, si trova nell’impossibilità materiale di esercitare un simile esame, dato il suo dovere di obbedienza immediata. In questo senso v. anche JESCHECK, Lehrbuch, cit., 495.
415 FÜRST - ARNDT, Soldatenrecht, cit., § 11 n. marg. 12; SCHÖLZ - LINGENS, WStG, cit., § 5 n. marg. 11: si ritiene sufficiente che l’inferiore si renda conto - a prescindere dalla conoscenza del principio giuridico violato - del contenuto di disvalore giuridico della
ADEMPIMENTO DEL DOVERE E ORDINE CRIMINOSO IN ALTRI ORDINAMENTI
161
oppure,
b) la commissione del reato è manifesta per circostanze note all’inferiore.
La dottrina416 è concorde nel ritenere che il concetto di “manifesto”
(offensichtlich) vada inteso in senso oggettivo: con esso si intende ciò che
chiunque può riconoscere senza necessità di ulteriore riflessione. Dato l’espresso
riferimento alle circostanze note all’inferiore, contenuto nel § 5, si ritiene in
dottrina417 che il parametro oggettivo della manifesta criminosità sia temperato da
componenti di tipo soggettivo, rappresentate dalla conoscenza, da parte del
subordinato esecutore, di circostanze che sono significative per la valutazione
della situazione di fatto (conoscenza di eventi precedenti, di ordini, di istruzioni,
ecc.), fermo restando, comunque, che la capacità di giudizio individuale del
subordinato non viene presa in considerazione.
Secondo la dottrina418, il § 5 rappresenta una regola particolare del
Verbotsirrtum (§ 17 StGB)419: la colpevolezza dell’inferiore è esclusa se costui
non ha riconosciuto o ha erroneamente valutato l’illegittimità dell’oggetto
dell’ordine, purché questa non fosse manifesta (per circostanze a lui note). In
propria condotta, intendendo, con la cd Parallelwertung in der Laiensphäre, che essa è giuridicamente vietata. In argomento v. KAUFMANN A., Die Parallelwertung in der Laiensphäre. Ein sprachphilosophischer Beitrag zur allgemeinem Verbrechenslehre, München, 1982.
416 Cfr. JESCHECK, Lehrbuch, cit. , 497; STAUF, Soldatengesetz, § 11 n. marg. 22; WIPFELDER - SCHWENCK, Wehrrecht, cit. , 104. Secondo alcuni autori (ARNDT, Grundriß, cit., 118; SCHÖLZ - LINGENS, WStG, cit., § 5 n. marg. 13), la norma fa riferimento alla capacità di valutazione del cd militare medio: se è evidente per costui che si è in presenza di un reato, allore la commissione del reato è manifesta.
417 Cfr. SCHÖLZ - LINGENS, WStG, cit., § 5 n. marg. 12; SCHWENCK, Wehrrecht, cit., 147; FÜRST - ARNDT, Soldatenrecht, cit., § 11 n. marg. 13.
418 BAUMANN - WEBER - MITSCH, Strafrecht AT, cit.,§ 23 n. marg. 52; JAKOBS, Strafrecht AT, cit., 19. Abschn. n. marg. 53 ss; JESCHECK, Lehrbuch, cit., 495; ROXIN C., Strafrecht Allgemeiner Teil, München, 1997, § 21 n. marg. 73; SCHROEDER F. C., StGB, Leipziger Kommentar, 1985, § 17 n. marg. 52 ss. V. anche SCHÖLZ - LINGENS, WStG, cit., § 5 n. marg. 10.
419 Ai sensi del § 17 StGB, se manca all’autore la consapevolezza di comportarsi illecitamente, egli agisce senza colpevolezza se l’errore non poteva essere evitato; in caso di errore evitabile, è prevista la diminuzione facoltativa della pena in base al § 49 Abs. 1 StGB.
ADEMPIMENTO DEL DOVERE E ORDINE CRIMINOSO IN ALTRI ORDINAMENTI
162
dottrina420 si ritiene che la particolare disciplina del § 5 sia giustificata dalla
considerazione che, se i militari fossero gravati dal rischio dell'errore secondo le
regole generali, le chiarificazioni sulla situazione giuridica di volta in volta
richieste dall'inferiore pregiudicherebbero la prontezza e l'efficienza delle azioni
militari. L’errore dell’inferiore che ritenga che l’ordine giustifichi ogni azione e,
quindi, anche la commissione di un reato, è, a parere della prevalente dottrina421,
un errore sul divieto da valutare secondo le regole generali contenute nel § 17
StGB.
L’Abs. 2 del § 5 WStG prevede la possibilità di una diminuzione della
pena se la responsabilità del militare risulta ridotta in considerazione della
particolare situazione in cui egli si trovava al momento dell’esecuzione422.
La condizione di applicabilità di questa norma è data appunto dalla
sussistenza di una particolare situazione: una malattia, un improvviso attacco del
nemico, la minaccia all’inferiore di gravi conseguenze per l’inadempimento e così
via. L’incidenza della particolare situazione dev’essere tale da diminuire la
capacità dell’inferiore di riconoscere pienamente l’illiceità del fatto o di resistere
all’ordine criminoso.
Se il reato commesso è un Vergehen, il giudice che ravvisi una tale
particolare situazione può anche prescindere dall’applicazione della pena. Se la
responsabilità è minima, qualsiasi pena sarebbe troppo severa.
420 V. JAKOBS, Strafrecht At, cit.,19. Abschn. n. marg. 53; JESCHECK, Lehrbuch,
cit., 498. Secondo MAURACH - ZIPF, Strafrecht AT, cit., § 38 II n. marg. 29, in questa disposizione si riconoscerebbe la cd eingeschränkte Vorsatztheorie: nel caso della manifesta criminosità vi sarebbe una finzione di dolo (l'inferiore è punito "come se" avesse agito con dolo). Secondo altri autori (SCHROEDER, StGB LK, cit., § 17 n. marg. 54; ROXIN, Strafrecht AT, cit., § 21 n. marg. 73), invece, la norma in esame è espressione della cd Schuldtheorie con pretese attenuate relativamente all'evitabilità dell'errore.
421 Cfr. JESCHECK, Lehrbuch, cit.,496 nota 6, secondo il quale questo tipo di errore non può mai essere considerato come inevitabile; v. anche JAKOBS, Strafrecht AT, cit., § 19 n. marg. 52; LENCKNER in SCHÖNKE - SCHRÖDER, StGB, Vor § 32 n. marg. 121a; SCHWENCK, Wehrstrafrecht, cit., 96; contra SCHÖLZ - LINGENS, WStG, cit., § 5 n. marg. 10, secondo il quale anche in questo caso troverebbe applicazione il § 5 WStG.
422 SCHÖLZ - LINGENS, WStG, cit., § 5 n. marg. 15 ss.
ADEMPIMENTO DEL DOVERE E ORDINE CRIMINOSO IN ALTRI ORDINAMENTI
163
1.4.1. Raffronto con la disciplina realtiva agli impiegati civili dello
Stato.
Le leggi sul pubblico impiego stabiliscono che il pubblico funzionario
debba eseguire un ordine di servizio solo se la condotta a lui imposta non è
punibile (strafbar), non costituisce illecito amministrativo e non lede la dignità
umana (cfr. §§ 56 Abs. 2 BBG, 38 Abs. 2 BRRG). Tuttavia, nel caso in cui, a
seguito della rimostranza da parte dell’inferiore, l’immediato superiore confermi
l’ordine, l’impiegato che l’ha ricevuto deve eseguirlo purché l’antigiuridicità
penale non sia per lui riconoscibile (erkennbar) 423.
L’impiegato che abbia dei dubbi circa la legittimità della disposizione
impartita deve perciò sollevare rimostranza, a differenza dell’inferiore militare.
Questa disciplina in ambito civile è giustificata dal fatto che gli impiegati pubblici
hanno di regola il tempo e la possibilità materiale di esaminare gli ordini che
vengono loro impartiti e dato che l’apparato statale civile non viene paralizzato
dalla rimostranza.
Si è peraltro precisato, in dottrina424, che per gli impiegati civili dello Stato
il dovere di obbedienza verrebbe meno non già con la Strafbarkeit del
comportamento ordinato, come accade per i militari, bensì soltanto all’ulteriore
condizione che tale punibilità sia per il soggetto personalmente riconoscibile -
cioè che sia riconoscibile per quell’impiegato in concreto e non per un “impegato
medio” che si trovi nella medesima posizione: un ordine di servizio rimarrebbe,
cioè, vincolante nonostante il contenuto criminoso se chi l’ha ricevuto non ha
riconosciuto tale antigiuridicità penale.
423 V. in merito JESCHECK, Lehrbuch des Strafrechts, cit., 494 ss. 424 LENCKNER T., Der “rechtswidrige verbindliche Befehl” im Strafrecht - nur
noch ein Relikt?, in Festschrift für W. Stree und J. Wessels, Heidelberg 1993, 226 ss.; ROXIN, Strafrecht AT, cit., § 17 B n. marg. 16.
ADEMPIMENTO DEL DOVERE E ORDINE CRIMINOSO IN ALTRI ORDINAMENTI
164
1.5. L’ordine illegittimo vincolante. Il c.d. “ordine pericoloso”.
Il problema, in passato molto discusso, relativo alla configurabilità del cd
“ordine illegittimo vincolante” (rechtswidriger verbindlicher Befehl)425 ha perso
solo in parte importanza in seguito all’eliminazione di quella categoria di condotte
penalmente punibili nella forma delle Übertretungen che, in passato, potevano
costituire per i militari oggetto di ordini vincolanti426. Attualmente l’ipotesi più
rilevante di ordine illegittimo vincolante è data dall’ordine di commettere un
illecito amministrativo (Ordnungswidrigkeit) 427.
Del resto, la legislazione in materia di obbedienza esclude chiaramente la
vincolatività dell’ordine criminoso: dai §§ 11 co. 2 SoldG e 5 WStG emerge
inequivocabilmente che non possono e non devono essere eseguiti quegli ordini la
cui esecuzione comporti la commissione di un reato428.
425 AMELUNG K., Die Rechtfertigung und Entschuldigung von Polizeibeamten im
deutschen Recht, in AA. VV., Rechtfertigung und Entschuldigung, Freiburg i. Br. 1988, 1327; ARNDT H., Die strafrechtliche Bedeutung des militärischen Befehls, in NZWehrr 1960, 145; BRINGEWAT P., Der rechtswidrige Befehl, in NZWehrr 1971, 126; KÜPER, Differenzierung zwischen Rechtfertigungs- und Entschuldigungsgründen: Sachgerecht und notwendig?, cit., 315; LENCKNER, Der “rechtswidrige verbindliche Befehl”, cit., 1993, 223; SCHREIBER J., Der teilweise unverbindliche Befehl, in NZWehrr 1971, 134.
426 V. HIRSCH, StGB LK, cit., Vor § 32, n. marg. 177. 427 Per una dettagliata trattazione della normativa tedesca relativa alle
Ordnungswidrigkeiten v. DOLCINI E. - PALIERO C., L’illecito amministrativo nella Repubblica Federale di Germania: disciplina, sfere di applicazione, linee di politica legislativa, in Riv. it. dir. e proc. pen., 1980, 1134; MOCCIA S., Politica criminale e riforma del sistema penale, Napoli 1984, 281 ss.
428 Nella pratica, può tuttavia verificarsi l’ipotesi di divergenze di opinione tra il superiore e l’inferiore circa l’illiceità penale della condotta oggetto dell’ordine: si ritiene in tali casi che l’ordine sia di regola vincolante anche quando, successivamente, risulti che l’inferiore, diversamente dal superiore, aveva correttamente valutato l’ordine come criminoso. E’, infatti, intrinseco al concetto di gerarchia che in caso di dubbio sia il superiore, cui va riconosciuta una maggiore competenza sulla questione, a prendere la decisione finale circa la legittimità dell’ordine stesso, purché, naturalmente, la criminosità del comportamento imposto non sia manifesta. Vedi ampiamente: LENCKNER T, Der “rechtswidrige verbindliche Befehl”im Strafrecht – nur noch ein Relikt?, cit., 230 ss.
ADEMPIMENTO DEL DOVERE E ORDINE CRIMINOSO IN ALTRI ORDINAMENTI
165
Si è talora negata, in dottrina429, la vincolatività di questa categoria di
ordini illegittimi. Si sostiene, infatti, che il fatto che il militare che esegue un
ordine costituente illecito amministrativo non debba risponderne
(Sanktionslosigkeit), non significa anche che egli debba essere ritenuto
responsabile nel caso, opposto, di mancata obbedienza.
Questa soluzione, rifiutata dalla maggior parte della dottrina430, non è, invero,
compatibile con la lettera delle disposizioni relative all’ordine e all’obbedienza:
dal raffronto tra il § 10 co. 4 SoldG, che stabilisce i requisiti di legittimità
dell’ordine, e il § 11 SoldG, che ne individua le cause di non vincolatività risulta
evidente la configurabilità di una tipologia di ordini vincolanti nonostante la loro
antigiuridicità431. Ciò rappresenta, del resto, la necessaria conseguenza della
soluzione legislativa che, sulla base del conflitto di doveri, favorisce il principio di
obbedienza e quindi non attua una perfetta corrispondenza tra vincolatività e
legittimità dell’ordine. Si può perciò ritenere,che gli ordini rivolti a commettere
un illecito amministrativo o quelli emanati in contrasto con disposizioni di
servizio siano illegittimi ai sensi del § 10 co. 4 SoldG ma anche vincolanti, non
rientrando nella previsione del § 11 SoldG. Un tale ordine fa sorgere in capo a chi
lo riceve il dovere di obbedienza piena, immediata e scrupolosa (§ 11 co. 1
SoldG); la piena responsabilità è quindi a carico del solo superiore che l’ha
impartito, il quale ha il dovere di emanare ordini legittimi432.
Mancando una precisa statuizione legislativa in materia, l'esclusione della
429 SPENDEL, StGB LK, cit., § 32 n. marg. 100 ss. 430 Vedi BAUMANN - WEBER - MITSCH, Strafrecht AT, cit., n. marg. 53. 431 Cfr. in particolare WIPFELDER/SCHWENCK, Wehrrecht, cit., 92 ss.; STAUF,
Soldatengesetz, cit., § 11 n. marg. 8; ARNDT, Grundriß, cit., 114 ss.; ROXIN, Strafrecht AT, cit., § 17 B n. marg. 17.
432 Secondo alcuni autori le norme in materia non lascerebbero capire chiaramente su quale principio si fondi l’esenzione di responsabilità per chi esegue per ordine un illecito amministrativo: v. JAKOBS, Strafrecht, cit., 16. Abschn. n. marg. 12; KÜPER, Differenzierung, cit., 357. Per altri autori (BAUMANN - WEBER - MITSCH, Strafrecht AT, cit., § 23 n. marg. 53), la configurabilità, in ambito militare, di un ordine illegittimo vincolante è tanto inspiegabile quanto ineliminabile, de iure condito.
ADEMPIMENTO DEL DOVERE E ORDINE CRIMINOSO IN ALTRI ORDINAMENTI
166
responsabilità penale - amministrativa per l'inferiore che esegue un ordine
illegittimo vincolante viene, in dottrina, da alcuni autori433 concepita come causa
di esclusione della colpevolezza per il fatto antigiuridico, e da altri434 come causa
di giustificazione secondo il principio del conflitto dei doveri.
La teoria che ipotizza l'esistenza di una causa di esclusione della colpevolezza
in capo a chi esegue un ordine illegittimo vincolante è tradizionalmente sostenuta
dalla maggioranza della dottrina tedesca e si fonda sulla riflessione che un ordine
illegittimo non possa mai giustificare la condotta dell'inferiore. Un ordine
illegittimo non può, infatti, trasformare ciò che è illecito in lecito, altrimenti
significherebbe ammettere che il superiore realizzi qualcosa che gli è precluso, in
quanto illecito, semplicemente ordinandolo all’inferiore.
Viene affermato435, a sostegno di questa tesi, che l'illegittimità dell'ordine
abbraccia necessariamente anche la sua esecuzione, perché l'inferiore non ha un
proprio originario potere di agire, bensì soltanto un potere di agire che gli deriva
dal superiore. Secondo questo impostazione, l'ordine legittimo giustifica in quanto
realizza la volontà dell'ordinamento giuridico; l'ordine perciò non è nient'altro che
la comunicazione della volontà dell'ordinamento giuridico rivolta all'organo
chiamato a darne immediata esecuzione. Se l'ordine è in contrasto con il diritto, la
sua esecuzione non può essere giustificata per il fatto che chi ordina l'illecito si
serva di uno strumento (l'inferiore) per realizzarlo436.
Se si ritenesse la condotta dell'inferiore come giustificata, il terzo che vedesse
lesi i propri diritti a seguito dell'esecuzione dell'ordine potrebbe esercitare la
433 Vedi per es. ARNDT, Grundriß, cit., 114; BAUMANN - WEBER - MITSCH,
Strafrecht AT , § 23 n. marg. 53 ss.; KÜPER, Differenzierung, cit., 362; MAURACH/ZIPF, Strafrecht AT, cit., § 29 n. marg. 7 ss.
434 Cfr. HIRSCH, StGB LK, cit., Vor § 32 n. marg. 177; JAKOBS, Strafrecht, cit. 16. Abschn. n. marg. 14; JESCHECK, Strafrecht AT, cit., 394; LENCKNER, StGB, cit. Vor § 32 n. marg. 88a; SCHWENCK, Wehrstrafrecht, cit., 92.
435 SCHÖLZ/LINGENS, Wehrstrafgesetz, cit., § 2 n. marg. 32; KÜPER, Differenzierung, cit., 359.
436 MAURACH/ZIPF, Strafrecht AT, cit., § 29 n. marg. 8. Nello stesso senso anche
ADEMPIMENTO DEL DOVERE E ORDINE CRIMINOSO IN ALTRI ORDINAMENTI
167
legittima difesa solo nei confronti del superiore che avesse agito direttamente,
mentre rimarrebbe privo di tutela nei confronti dell'inferiore.
I fautori della cd "Rechtfertigungslösung" ritengono che l'ordine vincolante
sia causa di giustificazione, anche quando esso sia eccezionalmente illegittimo437.
L’inferiore si troverebbe nella situazione di un conflitto di doveri con relativa
impossibilità di adempierli entrambi (obbedienza all’ordine e rispetto
dell’ordinamento giuridico) e quindi non agirebbe in modo antigiuridico; non
sarebbe infatti pensabile obbligare l’inferiore all’esecuzione di un ordine
minacciandolo di pena in caso di disobbedienza e, al contempo, giudicare come
antigiuridica una condotta conforme ai suoi doveri.
Il superiore rimane sempre vincolato al principio per cui il potere esecutivo
deve essere esercitato nel rispetto delle leggi (Art. 20 co. 3 GG), ma se egli, per
scopi di servizio, accetta una minima violazione dell'ordinamento giuridico
oppure non ne riconosce l'antigiuridicità, non deve venir meno, in ambito militare,
l'immediata esecuzione dell'ordine.
Come ulteriore motivazione a sostegno di questa seconda teoria viene addotta
l'esigenza di sgravare l'inferiore dal rischio dell'illegittimità, necessità che emerge
tipicamente dal suo ruolo di subalterno e dalla sua limitata libertà decisionale.
L'esecutore non può, infatti, di regola, valutare quando l'esecuzione di un
illecito amministrativo sia giustificata o meno; solo se egli è liberato dal rischio di
questa eventuale antigiuridicità, se, cioè, egli può confidare nella vincolatività
dell'ordine e nella prevalente importanza del dovere di obbedienza (purché,
ovviamente, non si tratti di una delle ipotesi di non vincolatività espressamente
prevista dalla legge) può essere tollerabile il suo inserimento nel sistema
gerarchico. Il "costo" dell'organizzazione militare deve, infatti, essere sopportato
da chi la utilizza (il superiore che impartisce l'ordine) e non da chi ne è soltanto
SPENDEL, StGB LK, cit., § 32 n. marg. 79.
437 JESCHECK, Strafrecht AT, cit., 395 ; ROXIN, Strafrecht AT, cit., § 17 B n. marg.
ADEMPIMENTO DEL DOVERE E ORDINE CRIMINOSO IN ALTRI ORDINAMENTI
168
uno strumento (l'inferiore che adempie l'ordine).438
Riconoscere all'inferiore la causa di giustificazione comporta per il cittadino
la perdita del diritto di esercitare la legittima difesa nei confronti di esegue
l'ordine, diritto che, invece egli avrebbe avuto se ad agire fosse stato direttamente
il superiore439.
Un problema di notevole importanza, connesso all’esistenza,
nell’ordinamento tedesco, di ordini illegittimi vincolanti, è dato dalla questione
relativa alla vincolatività o meno dell’ordine cd “pericoloso” (gefährlicher
Befehl)440. Più precisamente, si tratta dei casi in cui dall’esecuzione dell’ordine di
commettere un illecito amministrativo (ordine che per l’inferiore è vincolante,
nonostante la sua illegittimità) possa derivare il pericolo della commissione di un
reato colposo.
Un tipico esempio è il pericolo di incidenti derivante dalla circolazione di
autoveicoli in violazione del Codice della Strada (Ordnungswidrigkeit), come
quando, ad es., all’inferiore viene ordinato di guidare a fari spenti o di superare i
limiti di velocità. Il problema invece non si pone se l’ordine non è vincolante in
base al § 11 SoldG, per esempio perché criminoso: in questo caso è la legge stessa
ad autorizzare o, nel caso di reato, ad imporre la disobbedienza441.
19.
438 JAKOBS, Strafrecht AT, cit., 16. Abschn., n. marg. 11. 439 ROXIN, Strafrecht AT, cit., §17 B n. marg. 20; HIRSCH, StGB LK, cit., Vor § 32,
n. marg. 177. Secondo altri autori (JESCHECK, Lehrbuch, cit., 395; ROXIN, Strafrecht, cit., § 17 B n. marg. 20, LENCKNER, StGB LK, Vor § 32, n. marg. 88a) può comunque essere riconosciuto al cittadino lo stato di necessità (Notstandrecht) nei confronti dell'inferiore.
440 HUTH H., Der sogenannte gefährliche Befehl im geltenden Wehrrecht, in NZWehrr 1988, 252; PETERSON D.P., Der sogenannte gefährliche Befehl im geltenden Wehrrecht - eine Erwiderung auf den Beitrag von R. Huth, in NZWehrr 1989, 239; VITT E., Rechtsprobleme des sogenannten gefährlichen Befehls, in NZWehrr 1994, 45. Non tutti gli autori concordano sull’utilizzo della terminologia “ordine pericoloso”: in BÖTTCHER/DAU, Wehrbeschwerdeordnung, cit., § 1 n. marg. 137 questa definizione è soltanto menzionata; in STAUF, Soldatengesetz, cit., la questione non è neppure trattata nel commento al § 11 SoldG; secondo DAU K., Unfälle duch Übermüdung, NZWehrr 1986, 198, la terminologia sarebbe ingannatoria.
441La giurisprudenza ha lasciato irrisolta la questione relativa alla vincolatività o
ADEMPIMENTO DEL DOVERE E ORDINE CRIMINOSO IN ALTRI ORDINAMENTI
169
La questione assume particolare rilevanza nel caso in cui venga rifiutata
l’obbedienza da parte dell’inferiore che ritenga che l’esecuzione dell’ordine possa
portare alla commissione di un reato: se il superiore che ha impartito l’ordine è di
contrario avviso e ritiene che l’adempimento di esso possa avere come
conseguenza soltanto la commissione di un illecito amministrativo, deve essere
valutata la possibilità che l’inferiore debba rispondere del reato di disobbedienza.
In dottrina sono state elaborate due diverse teorie per stabilire quando un
ordine possa essere qualificato come “pericoloso” e, quindi, non vincolante.
La cd teoria della previsione442 fa riferimento al momento in cui l’ordine è
stato emanato e si fonda sulla prevedibilità dell’evento: se ci si può aspettare il
verificarsi del reato, l’ordine non è vincolante e quindi non va eseguito. In questo
caso si pone poi il problema di valutare secondo quali criteri va definita la
probabilità di realizzazione dell’evento. Alcuni autori443 richiedono per la non
vincolatività dell’ordine la sussistenza di una elevata o comunque seria probabilità
del verificarsi dell’evento. Secondo altri autori444, invece, si deve fare riferimento
al reale pericolo di danno: un ordine è non vincolante se appare oggettivamente
possibile il verificarsi di un danno ad un bene giuridico penalmente tutelato contro
condotte colpose; se, viceversa, manca, secondo la generale esperienza, il
concreto pericolo che si verifichi l’evento antigiuridico, l’ordine non può essere
criminoso (per esempio, l’ordine di attraversare un incrocio stradale senza
rispettare il semaforo rosso è vincolante se l’incrocio è completamente libero e
meno dell’ordine pericoloso: v. BGH del 31/01/1964, in NZWehrr 1964, 125; SchlHOLG del 11/11/1965, in Kohlhaas/Schwenck, RWStR § 5 WStG Nr. 2. In queste sentenze è stato posto in rilievo che possono sorgere dubbi circa la vincolatività o meno dell’ordine, quando sussista la probabilità che l’inferiore, con l’esecuzione di esso, commetta un reato colposo. Tuttavia, la questione non è stata risolta, in quanto non ritenuta rilevante ai fini della decisione del caso concreto. Infatti, poiché l’evento criminoso si era verificato, il giudice ha esaminato la questione della colpevolezza dell’inferiore, escludendola per difetto dei presupposti previsti dal § 5 WStG.
442 Cfr. in particolare HUTH, op. cit., 252; VITT, op. cit., 50. 443 LENCKNER, StGB, cit., § 32 n. marg. 90; HUTH, op. cit., 255 ss. 444 VITT, op. cit., 50 ss.; ROXIN, Strafrecht AT, cit., § 17 B n. marg. 21.
ADEMPIMENTO DEL DOVERE E ORDINE CRIMINOSO IN ALTRI ORDINAMENTI
170
sussiste piena visibilità). Se l’evento antigiuridico si verifica comunque,
l’esecuzione dell’ordine rimane, in relazione al reato colposo, non criminosa, dato
che tale evento non era oggettivamente prevedibile.
Nell’ambito della teoria della previsione è altresì controverso da quale
prospettiva vada operata la valutazione della pericolosità dell’esecuzione
dell’ordine: ci si chiede infatti se si debba fare riferimento al punto di vista
meramente soggettivo dell’inferiore interessato, basandosi ex ante sulle sue
individuali conoscenze e sulle sue personali capacità, oppure al punto di vista
oggettivo del cd “militare medio” considerando tuttavia la situazione concreta e le
conoscenze di fatto possibili e disponibili ex ante da parte del soldato interessato,
oppure ancora se il pericolo vada valutato dal giudice secondo una previsione
oggettiva ex post445.
In base alla cd “teoria dell’accertamento”446 la non vincolatività dell’ordine
pericoloso può essere affermata solo nel caso in cui il reato colposo si sia di fatto
realizzato in seguito all’esecuzione: in tale ipotesi l’ordine va ritenuto sin
dall’inizio criminoso e non vincolante. Per l’ipotesi in cui l’evento antigiuridico
non abbia potuto verificarsi perché l’inferiore si è rifiutato di obbedire ritenendo
sussistesse il pericolo di un reato, va stabilito con una oggettiva e successiva
previsione se il verificarsi dell’evento era più o meno probabile. Se da tale analisi,
condotta dal giudice, risulta che la realizzazione dell’evento penalmente rilevante
era improbabile, l’inferiore può essere punito per il reato di disobbedienza, purché
ne sussistano gli altri presupposti.
La teoria dell’accertamento appare sicuramente più semplice e di più facile
applicazione rispetto all’altra. Tuttavia le viene mossa la critica447 di non fornire
all’inferiore alcun valido criterio per la determinazione della vincolatività o meno
445 Per una dettagliata trattazione della questione vedi PETERSON, op. cit., 243 ss. 446 Vedi per tutti SCHWENCK, Wehrstrafrecht, cit., 89 ss. 447 Cfr. in particolare VITT, Rechtsprobleme des sogennanten "gefährlichen Befehls",
cit., 48 ss.
ADEMPIMENTO DEL DOVERE E ORDINE CRIMINOSO IN ALTRI ORDINAMENTI
171
dell’ordine al momento in cui costui è chiamato ad eseguirlo: la qualificazione
giuridica dell’ordine viene, invece, ad essere determinata dalla reazione e dalla
condotta di chi, di volta in volta, la riceve. Inoltre, nell’ipotesi del rifiuto di
obbedienza, si è comunque costretti a ricorrere ai principi propri della
Prognoselösung.
1.6. Rilievi conclusivi sulla disciplina dell’esecuzione dell’ordine in
Germania.
Dall’esame delle disposizioni che operano in materia di ordine e
obbedienza emerge che, a fondamento dell’intera disciplina dell’ordine
gerarchico, si pone la consapevole scelta del legislatore tedesco di rinunciare ad
una piena corrispondenza tra legittimità e vincolatività dell’ordine. Questa precisa
scelta legislativa trova espressione nell’affermazione del generale principio
secondo cui ogni ordine giuridicamente esistente, emanato con “pretesa di
obbedienza” dal competente superiore gerarchico, è vincolante anche se
illegittimo, a meno che non sia ravvisabile una delle cause di non
vincolativitàpreviste dalla legge stessa. Di conseguenza, si individuano tre
categorie di ordini militari aventi diversa rilevanza sul piano penalistico: l’ordine
legittimo vincolante, l’ordine illegittimo non vincolante e l’ordine illegittimo
vincolante. Non diversamente da quanto accade nel nostro ordinamento,
l’ordine legittimo fa sempre sorgere a carico dell’inferiore il dovere di obbedienza
penalmente e disciplinarmente sanzionabile ed è causa di giustificazione per chi lo
esegue. Se, invece, l’ordine è illegittimo e non vincolante (come nel caso
dell’ordine non rivolto a scopi di servizio e dell’ordine lesivo della dignità umana
dell’inferiore o di un terzo) il suo mancato adempimento non comporta per il
subordinato la commissione del reato di disobbedienza e neppure la responsabilità
disciplinare: la legge consente al militare di disobbedire, ma anche di obbedire.
ADEMPIMENTO DEL DOVERE E ORDINE CRIMINOSO IN ALTRI ORDINAMENTI
172
Nell’ipotesi in cui l’ordine sia penalmente illecito, sorge in capo al subordinato un
vero e proprio dovere di disobbedienza. L’inferiore risponde del reato commesso
per ordine soltanto se riconosce la criminosità o se questa è oggettivamente
manifesta sulla base di circostanze a lui note. In essenza, questa disciplina non
diverge da quella prevista nel sistema italiano: si tratta di escludere la
responsabilità in quanto vi è difetto di colpevolezza.
A destare le maggiori perplessità è la possibilità, nel diritto tedesco, di
configurare ordini illegittimi vincolanti, la cui mancata esecuzione è punita come
reato di disobbedienza. Tuttavia, l’affermazione del principio di generale
vincolatività dell’ordine gerarchico militare non comporta, nell’ordinamento
germanico, il trionfo della c.d. “obbedienza cieca”. Al subordinato non è precluso,
infatti, il sindacato sulla legittimità sostanziale dell’ordine: invero, l’inferiore ha il
diritto di disobbedire ad ordini che ledano la dignità umana o che non siano
rispondenti agli scopi propri delle F.A., mentre l’ordine criminoso fa sempre
sorgere un vero e proprio dovere di disobbedienza. Qualora l’intensità
dell’antigiuridicità che colpisce l’ordine sia tale da rendere l’obbedienza
insostenibile per il subordinato o per lo stesso ordinamento giuridico, la legge
prevede una causa di non vincolatività. Il fatto che si ritenga possibile configurare,
sulla base della eadem ratio, altre ragioni di non vincolatività oltre a quelle
espressamente previste dalla legge, costituisce un’ulteriore valvola di sicurezza
per la tutela dell’ordinamento giuridico. In definitiva, solo gli ordini illegittimi
che comportano violazioni meno gravi dell’ordinamento giuridico, come le
Ordnungswidrigkeiten, sono vincolanti. Del resto, diversamente da quanto accade
nel nostro ordinamento, dove il reato di disobbedienza tende ad essere reato di
mera disobbedienza, nel Wehrstrafgesetz (WStG) solo la mancata esecuzione di
ordini particolarmente qualificata, per le conseguenze lesive che comporta o per le
modalità in cui avviene, fa sorgere la responsabilità penale per la disobbedienza in
capo all’inferiore, mentre nella maggior parte dei casi chi disobbedisce ad un
ADEMPIMENTO DEL DOVERE E ORDINE CRIMINOSO IN ALTRI ORDINAMENTI
173
ordine vincolante illegittimo commette soltanto un illecito disciplinare.
In Germania, infine, come in Italia, viene sempre affermata la responsabilità,
disciplinare e penale, del militare che ha impartito l’ordine illegittimo,
indipendentemente dalla vincolatività o meno dell’ordine stesso.
Dal punto di vista comparatistico è apprezzabile in particolare la tecnica
legislativa tedesca, la quale potrebbe essere punto di riferimento per un’eventuale
riforma da parte del legislatore italiano: invero, il WStG delinea in modo
tecnicamente apprezzabile la disciplina a fini penalistici dell’ordine gerarchico,
enucleando un’apposita nozione di ordine, indicandone le cause di non
vincolatività, definendo con precisione le tre tipologie di reato di disobbedienza e,
infine, disciplinando la responsabilità dell’inferiore per l’esecuzione dell’ordine
criminoso.
Quanto al resto, sul piano della civiltà giuridica, sono preferibili gli esiti
normativi italiani, improntati sull’osservanza della legalità sostanziale anche
costituzionale come principio cardine della disciplina militare, senza rischiose
deviazioni che comportino affermazioni di prevalenza del nudo principio di
obbedienza.
1.7. I “Mauerschützenurteile”
Il problema dell’esecuzione dell’ordine criminoso, ed in particolare del
“völkerrechtswidriger Befehl”448, si è di recente posto all’attenzione delle Corti
tedesche in relazione alla vicenda delle uccisioni commesse dalle guardie di
frontiera al Muro di Berlino.
448 V. supra par. 1.3.
ADEMPIMENTO DEL DOVERE E ORDINE CRIMINOSO IN ALTRI ORDINAMENTI
174
A quasi quarant’anni dalla caduta della dittatura nazista, la Germania si è
ritrovata di nuovo, dopo la riunificazione avvenuta nel 1990, a giudicare,
politicamente, moralmente e giuridicamente, gli effetti di un regime autoritario449.
Il crollo del governo comunista, insediatosi nella Germania Est (Deutsche
demokratische Republik, DDR), e la conseguente riunificazione dei due Stati, non
ha comportato invero solo un essenziale cambiamento dell’assetto geopolitico
europeo, ma anche una “elaborazione interiore” della dittatura comunista
dell’ormai estinta DDR450. La Repubblica federale tedesca (BRD) ha infatti svolto
le funzioni di “organo giudicante”, nei processi instaurati a carico dei vertici di
governo della ex Germania orientale, nonché nei confronti degli autori materiali di
crimini perpetrati in nome dell’ideologia dominante nell’estinta DDR.
Le sentenze sul Muro di Berlino hanno riproposto il tema del
“superamento del passato per mezzo del diritto” (“Vergangenheitsbewältigung
durch Recht”)451, connesso ai processi per azioni che, per anni, erano state ritenute
del tutto conformi alla legislazione vigente, rievocando così argomenti che, a suo
tempo, erano stati discussi nell’ambito dei processi per i crimini nazisti, primo fra
tutti quello di Norimberga. Infatti, i delitti compiuti durante il regime della DDR,
se considerati da un punto di vista prettamente giuspositivistico, erano, nella
maggior parte dei casi, “perfettamente legali”, dato che i legislatori del tempo
avevano emanato atti aventi il valore di legge, che giustificavano le condotte poste
in essere delle guardie di frontiera della DDR.
I tribunali della Germania riunificata si trovarono, perciò, a giudicare
alcuni fatti relativamente ai quali una naturale esigenza di giustizia confliggeva
449 MUHM R., Il “Muro di Berlino”, i processi paralleli e il diritto naturale in
Germania, in Ind. pen, 1994, 627 ss. 450 MUHM, op. cit., 627 ss. 451 V. AMBROSETTI E.M., In margine alle cd. “sentenze del Muro di Berlino: note
sul problema del “diritto ingiusto”, in Riv. it. dir. proc. pen., 1994, 596: l’A. precisa che l’espressione è stata utilizzata dalla dottrina tedesca per indicare le problematiche giuridiche scaturenti dalla riunificazione delle due Germanie e, in particolare, dalla punizione dei reati commessi durante il regime comunista.
ADEMPIMENTO DEL DOVERE E ORDINE CRIMINOSO IN ALTRI ORDINAMENTI
175
con il valore della certezza del diritto: non è un caso, invero, che la c.d. “formula
di Radbruch” e la disapplicazione del “diritto intollerabilmente ingiusto”452,
abbiano avuto un ruolo determinante nella decisione di alcuni dei casi sottoposti ai
tribunali.
Non è in questa sede possibile soffermarsi né sulla delicata tematica
giuridico-filosofica del “diritto ingiusto”453, né sui numerosi problemi che le
sentenze del Muro di Berlino - e, più in generale, le controversie giuridiche sorte a
causa della riunificazione454 - hanno sollevato (ad es., in tema di prescrizione dei
452 RADBRUCH G., Gesetzliches Unrecht und übergesetzliches Recht, in
Süddeutsche Juristen-Zeitung, 1946, 105 ss. In sintesi, Radbruch parte dalla premessa che la certezza del diritto (Rechtssicherheit) è solo uno dei valori tutelato dall’ordinamento giuridico, dovendo venire in considerazione anche la giustizia (Gerechtigkeit) e l’utilità del diritto per il bene comune (Zweckmäßigkeit des Rechts für das Gemeinwohl): “il conflitto tra la giustizia e la certezza del diritto dovrebbe essere risolto nel senso che il diritto positivo, il quale è assicurato dalla legge statuita e dal potere, ha priorità anche se è nel suo contenuto ingiusto ed inopportuno, a meno che la contraddizione con la giustizia non abbia raggiunto un limite talmente insostenibile che la legge, in quanto diritto ingiusto, debba cedere il posto a favore della giustizia” (trad. di MUHM, op. cit., 639). Sull’interpretazione della formula di Radbruch e sul suo impiego nella giurisprudenza e nella dottrina tedesche e, più in generale, sul complesso tema del diritto ingiusto e del “superamento del passato attraverso il diritto penale” si rinvia a VASSALLI G., Formula di Radbruch e diritto penale. Note sulla punizione dei «delitti di Stato» nella Germania postnazista e nella Germania postcomunista, Milano, 2001.
453 Sul punto v. AMBROSETTI, In margine alle cd. “sentenze del Muro di Berlino, cit.; GROPP W., Naturrecht oder Rückwirkungsverbot? Zur Strafbarkeit der Berliner “Mauerschützen”, in Festschrift für Otto Triffterer zun 65. Geburtstag, hrsg. von SCHMOLLER K., Wien- New York, 1996, 103 ss.; KAUFMANN A., Die Radbruchsche Formel vom gestzlichen Unrecht und vom übergestzlichen Recht in der Diskussion um das im Namen der DDR begangene Unrecht, in NJW, 1995, 81 ss.; MUHM, Il “Muro di Berlino”, cit.; VASSALLI, Formula di Radbruch, cit.; WILMS H. – ZIEMSKE B., Gesetzliches Unrecht und übergestzliches Recht?, in ZRP, 1994, 170 ss.
454Come rileva MUHM, op, cit., 626 s., i temi più dibattuti, oltre a quello degli omicidi commessi dalle guardie di frontiera, riguardano, ad es., la punibilità dei giudici e procuratori dello Stato dell’estinta DDR per il delitto di Rechtsbeugung (sul punto v., in particolare, VASSALLI, op. cit., 69 ss.; ROGGEMAN H., Die Srafrechtliche Aufarbeitung der Vergangenheit der DDR am Beispiel der“Mauerschützen” und der Rechtsbeugung. Eine Zwischenbilanz, in Strafrechtsjustiz der DDR im Systemwechsel, hrsg. von DROBNIG U., Berlin, 1998) la punibilità dei membri del Servizio di Sicurezza Nazionale (MFS) e dei membri dei servizi segreti (STASI), a causa delle attività di spionaggio svolte nel territorio dell’estinta DDR, ai danni della BRD, prima della riunificazione; la punibilità del presidente Erich Honecker, dei membri del Direttivo Politico del Politbüro per le cd. Zwangadoptionen
ADEMPIMENTO DEL DOVERE E ORDINE CRIMINOSO IN ALTRI ORDINAMENTI
176
reati commessi nei quarant’anni di regime comunista; di immunità degli organi di
vertice; di retroattività della legge penale e di successione fra le normative penali
secondo quanto previsto dal Trattato dell’Unione) 455.
Preme qui concentrare l’attezione sullo specifico tema dell’Handeln auf
Befehl quale possibile causa di esclusione della responsabilità penale dei
Mauerschützen (guardie di frontiera) per gli omicidi commessi nei confronti dei
cittadini della DDR che tentavano di attraversare “illegalmente” il confine
intertedesco allo scopo di recarsi nella BRD456.
L’uso delle armi da fuoco per impedire l’attraversamento del confine tra le
due Germanie era disciplinato dal § 27 del Gesetz über die Staatsgrenze der
Deutschen Democratischen Republik del 25 marzo 1982. In particolare, tale
disposizione, al co. 2, prevedeva come causa di giustificazione (“die Anwendung
der Schußwaffe ist gerechtfertigt...”) l’impiego delle armi da fuoco per impedire la
imminente commissione di un illecito penale o la sua continuazione, illecito che
avesse in base alle circostanze le caratteristiche di un delitto457. I commi
(adozioni coercitive).
455 Su tali problematiche v. autori citati supra nota 453. Per quanto concerne il diritto penale vigente dopo la riunificazione tedesca, occorre precisare che, in forza dell’articolo 8 dell’Einigungsvertrag (Trattato sull’unificazione) del 31 agosto 1990, entrato in vigore il 29 settembre, il diritto vigente nella Repubblica Federale di Germania è entrato automaticamente in vigore anche nell’ex DDR. In materia di diritto penale, sono previste tuttavia due eccezioni: la prima riguardava la permanenza in vigore di alcune norme del codice penale della DDR per un certo periodo di transizione, in quello che era stato il territorio dell’ex DDR, mentre la seconda consiste nell’applicabilità del diritto della DDR, qualora più favorevole (das mildeste Gesetz), ai fatti penalmente rilevanti compiuti nel territorio della DDR antecedentemente alla riunificazione (v. MUHM, op. cit., 627 s.)
456 Va peraltro segnalato che, in relazione agli omicidi del Muro di Berlino, è venuta in considerazione anche la punibilità del presidente Erich Honecker e dei membri del Direttivo Politico del Politbüro: v. MUHM, Il “Muro di Berlino”, i processi paralleli e il diritto naturale in Germania, cit., 633 ss.
457 § 27 “(Anwendung von Schußwaffen): (...) 2. Die Anwendung der Schußwaffe ist gerechtfertigt, um die unmittelbar bevorstehende Ausführung oder die Fortsetzung einer Straftat zu verhindern, die sich den Umständen nach als ein Verbrechen darstellt. Sie ist auch gerechtfertigt zur Ergreifung von Personen, die eines Verbrechens dringend verdächtig sind. (.....) 5. Bei der Anwendung der Schußwaffe ist das Leben von Personen nach Möglichkeit zu schonen. Verletzten ist unter Beachtung der notwendigen Sicherheitsmaßnahmen Erste Hilfe
ADEMPIMENTO DEL DOVERE E ORDINE CRIMINOSO IN ALTRI ORDINAMENTI
177
successivi disciplinavano casi in cui non era consentito l’uso delle armi da fuoco
e, nell’ultimo co., si prevedeva che, in caso di uso delle armi da fuoco, la vita
delle persone andasse se possibile risparmiata. Inoltre, il § 213 dello StGB della
DDR qualificava l’illegale attraversamento dei confini come delitto soltanto nelle
ipotesi più gravi: solo in tali casi si poteva dunque ritenere che fosse legittimo
l’ìimpiego delle armi da fuoco.
Nel complesso, le disposizioni citate erano, almeno in apparenza, in sintonia
con i principi di uno Stato di diritto: lo Schießbefehl non conferiva infatti alle
guardie di frontiera un potere arbitrario ed indiscriminato nell’uso delle armi da
fuoco, anzi, ne stabiliva dei limiti458.
Va tuttavia precisato che alle guardie di frontiera veniva impartito l’ordine di
evitare “a tutti i costi” che un cittadino della DDR fuggisse459: pertanto, la prassi
instauratasi presso le guardie di frontiera e i loro superiori, che legittimava non
solo lo sparare a vista, ma anche l’impiego di mine o altri ordigni esplosivi, fece
in modo che le uccisioni di fuggitivi (c.d. Republikflüchtlinge), compiute al
confine intertedesco (nella maggior parte dei casi, risoltesi nell’omicidio di
persone inermi), restassero impunite460.
Sin dalla riunificazione l’opinione pubblica tedesca, sia ad est che ad ovest
del Muro di Berlino, ha avvertito la necessità che i politici, i funzionari e gli
agenti di Stato dell’ex DDR, venissero ritenuti penalmente responsabili per gli
innumerevoli atti criminosi commessi, in quanto considerati “altamente
riprovevoli”461.
Nei procedimenti giudiziali, instaurati a carico delle guardie di frontiera e
dei loro superiori presso i tribunali tedeschi, i giudici si trovarono ad affrontare
zu erweisen.“
458 V. AMBROSETTI, op. cit., 599. 459 MUHM, op. cit., 634. 460 Sul punto v. VASSALLI, op. cit., 87 s.; TRÖNDLE – FISCHER, Vor § 3,
Strafgesetzbuch und Nebengesetze, cit., n.marg. 55. 461 MUHM, op. cit., 626.
ADEMPIMENTO DEL DOVERE E ORDINE CRIMINOSO IN ALTRI ORDINAMENTI
178
casi in cui erano stati irrimediabilmente compromessi alcuni beni giuridici
internazionalmente tutelati, quali il diritto alla vita e la libertà di espatrio462. Le
Corti tedesche463 hanno tuttavia applicato il diritto nazionale, pur facendo
riferimento anche a criteri mutuati dal diritto internazionale, ovvero direttamente
dal “diritto di natura” 464 (con il relativo problema di compatibilità con il principio
nullum crimen sine lege, tutelato nell’art. 103 secondo comma del
Grundgesetz)465. Invero, oltre al richiamo al diritto «sovrapositivo» e alla già
citata formula di Radbruch (in base alla quale l’insanabile contrasto con la
giustizia della normativa in materia di espatrio illegale era talmente intollerabile,
da far sì che tale legge, in quanto ingiusta, si dovesse piegare al valore “giustizia”,
a discapito del valore “certezza del diritto”), in alcune sentenze è riscontrabile
anche l’affermazione che il diritto della DDR in tema di Schießbefehl e la stessa
462 Data la natura “internazionalistica” dei beni giuridici lesi, è stata prospettata, in
dottrina, la possibilità che i giudici tedeschi optassero per una soluzione giuridica basata sul diritto internazionale penale: sul punto v. MUHM, op. cit., 628 ss.
463 Cfr. Landgericht Berlin, 20 gennaio 1992, in Juristen Zeitung, 1992, 691 ss.; Landgericht Berlin, 5 febbraio 1992, in Neue Justiz, 1992, 418 ss.; Bundesgerichtshof, 3 novembre 1992, in Neue Juristische Wochenschrift, 1993, 141 ss.; Bundesgerichtshof, 25 marzo 1993, in Neue Juristische Wochenschrift, 1993, 1932 ss.; Bundesgerichtshof, 26 luglio 1994, in Juristenzeitung, 1995, 45 ss.; Bundesverfassungsgericht, 24 ottobre 1996, in Neue Juristische Wochenschrift, 1997, 929 ss. e 21 luglio 1997, in EuGRZ, 1997, 413 ss. Per una chiara sintesi delle questioni affrontate e dei principi affermati nelle citate sentenze si veda VASSALLI, Formula di Radbruch, cit., 85 ss.
464 Osserva VASSALLI, Formula di Radbruch, cit., 89, che “in alcune sentenze, quando si arriva agli snodi fondamentali delle motivazioni di condanna, si affaccia prepotentemente il diritto naturale: quasi mai con questo nome... ma sicuramente nella sua sostanza, ora con il nome di «giustizia sostanziale», ora con quello di «principi fondamentali del diritto e dell’umanità», o di “principi fondamentali di diritto e di giustizia» (con i quali secondo la maggior parte delle decisioni le disposizioni della DDR si sarebbero poste in «in eclatante contrasto» o in «crasso contrasto»), o con quelle delle «norme dell’etica e dell’umana convivenza», ora attraverso il richiamo alle dichiarazioni universali o alle convenzioni internazionali sui diritti dell’uomo e sui diritti civili e politici, che mai avrebbero potuto consentire disposizioni come quelle adottate e fatte praticare dai dirigenti della DDR e che pertanto non possono approdare... nè ad una giustificazione nè ad un disconoscimento di colpevolezza per coloro che hanno creduto di poter delittuosamente agire ignorando o violando quei principì supremi”.
465 In critica alle sentenze v., oltre a VASSALLI, Formula di Radbruch, cit., passim, anche MEZZETTI, «Necessitas non habet legem»?, cit., 116 s.
ADEMPIMENTO DEL DOVERE E ORDINE CRIMINOSO IN ALTRI ORDINAMENTI
179
“prassi di Stato” non si informava ai principi del diritto internazionale, i quali
avrebbero imposto una interpretazione “amica dei diritti dell’uomo”
(menschenrechtsfreundlich) delle disposizioni relative all’attraversamento del
confine466.
Si è dunque esclusa la possibilità che la condotta delle guardie di frontiera
potesse ritenersi giustificata in base al citato § 27 del GrenzG-DDR467.
Per quanto riguarda nello specifico la possibilità che l’esecuzione
dell’ordine potesse costituire una Entschuldigung per l’agente, la questione si
incentra, ancora una volta, sulla manifesta criminosità.
In proposito va precisato che la causa di non punibilità dell’Handeln auf
Befehl era espressamente prevista anche dal § 258 dello StGB della DDR, il quale
escludeva la responsabilità penale del militare che avesse eseguito un ordine
criminoso salvo il caso in cui l’esecuzione dell’ordine fosse manifestamente in
contrasto con le norme di diritto internazionale penale generalmente riconosciuto
o con la legge penale468. Col prevedere il limite della manifesta criminosità, il §
258 non si discostava dal § 5 del WStG di cui si è detto sopra469.
Le Corti tedesche hanno escluso l’applicabilità della scusante prevista dal
§ 258, in considerazione del fatto che l’ordine ricevuto era manifestamente in
contrasto con le norme di diritto internazionale e con le leggi penali470. Il
contrasto con l’elementare divieto di uccidere era infatti evidente, e ciò anche
466 V. BGH, 25 marzo 1993, cit., nonché BGH, 3 novembre 1992, cit. 467 Cfr. le sentenze del LG Berlin sopra citate. 468 § 258: “1. Ein Militärperson ist für eine Handlung, die sie in Ausführung des
Befehls eines Vorgestzten begeht, strafrechtlich nicht verantwortlich, es sei denn, die Ausführung des Befehls verstößt offensichtlicht gegen die anerkannten Normen des Völkerrechts oder gegen Strafgesetze”
469 Cfr. supra par. 1.4. 470 Sul punto v. ESER A., Schuld und Entschuldbarkeit von Mauerschützen und ihren
Befehlsgebern, in Festschrift für Walter Odersky zum 65. Geburtstag, herg. von BÖTTCHER R. –HUECK G. – JÄHNKE B., Berlin- New York, 1996, 337 ss.; NILL – THEOBALD C., “Defences” bei Kriegsverbrechen am Beispiel Deutschlands und der USA, Freiburg i.Br., 1998, 128 ss.; ROGGEMANN H, Zur Strafbarkeit der Mauerschützen, in Deutsch-Deutsche Rechtszeitschrift, 1993, 10 ss.
ADEMPIMENTO DEL DOVERE E ORDINE CRIMINOSO IN ALTRI ORDINAMENTI
180
ammettendo che i Grenzsoldaten fossero indottrinati dal regime politico, che li
induceva a ritenere che tutte le persone che lasciavano senza autorizzazione la
DDR, erano traditori e criminali e che pertanto il loro attraversamento del confine
doveva essere impedito471.
Infine, è stata altresì esclusa la possibilità di riconoscere la causa di
esclusione della colpevolezza fondata su un Verbotsirrtum, giacché, data
l’Offensichtlichkeit del contrasto con la legge penale, l’errore non poteva essere
considerato inevitabile472.
1.8. L’adeguamento al diritto internazionale penale: il
Völkerstrafgesetzbuch.
Degna di nota, nell’ambito dell’ordinamento tedesco, è la recente
approvazione del Völkerstrafgesetzbuch (VStGB), entrato in vigore nel giugno del
2002.
A seguito dell’entrata in vigore dello Statuto Corte penale internazionale
permanente, i singoli Stati sono chiamati ad assicurare l’esecuzione, nel diritto
interno, delle obbligazioni da esso derivanti. Invero, il principio di
complementarietà enunciato dall’art. 1 dello Statuto impone ai singoli stati di
procedere ad un adattamento “di fondo” del proprio diritto penale alle norme dello
Statuto stesso, sia per quanto concerne i crimini che per quanto riguarda i principi
generali473. La scelta delle modalità con cui adeguare il diritto penale nazionale
471 Cfr. BGH, 26 luglio 1994, cit. V. anche LG Berlin, 5 febbraio 1992, cit. Sul tema
della manifesta criminosità in rapporto all’indottrinamento del regime v. le considerazioni critiche di ESER, op. ult. cit., 340 ss.
472 V., ad es., BGH 25 marzo 1993, cit., e BGH, 26 luglio 1994, cit. 473 Così MANACORDA S. – WERLE G., L’adaptation des systèmes pénaux
nationaux au Statut de Rome. Le paradigme du “Völkerstrafgesetzbuch” allemand, in Rev. de sc. crim. et dr. pén. comparé, n. 3, 2003, 501. Cfr. anche ZIMMERMAN A., Bestrafung völkerrechtlicher Verbrechen durch deutsche Gerichte nach In-Kraft-Treten des Völkerstrafgesetzbuchs, in NJW, 2002, 3068, il quale rileva che, benché lo Statuto di Roma non contenga alcun obbligo di penalizzazione per gli Stati relativamente ai crimini
ADEMPIMENTO DEL DOVERE E ORDINE CRIMINOSO IN ALTRI ORDINAMENTI
181
allo Statuto dipende dalla situazione interna di ciascuno Stato membro.
Il VStG ha dunque il precipuo scopo di codificare i principi del diritto
internazionale penale, nell’ottica di armonizzare il diritto penale sostanziale
tedesco con lo Statuto di Roma, anche al fine di eliminare eventuali lacune
presenti nell’ordinamento penale tedesco (ad es. nello StGB non era prevista la
punibiltà dei crimini contro l’umanità in quanto tali)474.
Ciò premesso, si può affermare che il VStGB tedesco può senz’altro
rappresentare un modello di riferimento per procedere all’adattamento del diritto
penale interno alle obbligazioni derivanti dalla ratifica dello Statuto della Corte
penale internazionale permanente.
Per quanto riguarda nello specifico l’obbedienza all’ordine, il § 3 del
VStGB475 prevede l’esenzione da responsabilità per l’esecutore dell’ordine di
commettere uno dei crimini internazionali previsti nei §§ 8 -14 dal codice stesso,
qualora l’agente non abbia riconosciuto l’illiceità penale dell’ordine e sempre che
la criminosità non fosse manifesta476. Il contenuto della disposizione non si
discosta dunque da quanto previsto per i reati in generale nel §5 WStG (salvo il
riferimento alle “circostanze a lui note” che manca nel § 3 VStGB)477 ed è altresì
conforme, nella sostanza, all’art. 33 dello Statuto di Roma, come meglio si vedrà
internazionali in esso previsti, tuttavia esso prevede che la Corte abbia competenza nel caso in cui lo Stato non voglia o non sia in grado di esercitare la propria giurisdizione: il VStGB ha allora lo scopo di assicurare che la Germania sia in grado di garantire la Strafverfolgung del presunto responsabile. In generale sul VStGB v. WERLE G. –JEßBERGER F., Das Völkerstrafgesetzbuch, in Juristen Zeitung, 2002, 725 ss.
474 Sul rapporto tra StGB e VStGB v. ZIMMERMAN, Bestrafung völkerrechtlicher Verbrechen, cit., 3069. Per alcune considerazioni critiche sul VStGB v. SATZGER H, Das neue Völkerstrafgesetzbuch. Eine kritische Würdigung, in NStZ, 2002, 125 ss.
475 § 3 (Handeln auf Befehl oder Anordnung): “Ohne Schuld handelt, wer eine Tat nach den §§ 8 bis 14 in Ausführung eines militärischen Befehls oder einer Anordnung von vergleichbarer tatsächlicher Bindungswirkung begeht, sofern der Täter nicht erkennt, daß der Befehl oder die Anordnung rechtswidrig ist und deren Rechtswidrigkeit aunc nicht offensichtlich ist”.
476 In commento al § 3 v. WERLE G., Völkerstrafrecht, Tübingen, 2003, 137 ss.; WIRTH S., Germany’s new international crimes code: bringing a case to court, in Journal of International Criminal Justice, n. 1, 2003, 153.
ADEMPIMENTO DEL DOVERE E ORDINE CRIMINOSO IN ALTRI ORDINAMENTI
182
nel prossimo capitolo.
La disposizione in parola prevede dunque una causa di esclusione della
colpevolezza (“ohne Schuld handelt....”) che opera solo in relazione ad alcuni dei
crimini previsti dallo stesso VStGB: si tratta dei crimini di guerra e di altri due
reati particolari (violazione dei doveri di controllo da parte del superiore e omessa
denuncia di reato). La norma non trova dunque applicazione in riferimento ai
crimini contro l’umanità e al genocidio: ciò la pone perfettamente in linea con
l’art. 33 dello Statuto, che considera l’ordine di commettere tali crimini sempre
manifestamente criminoso, con ciò impedendo l’applicabilità della scusante
dell’obbedienza all’ordine.
Ai fini dell’esenzione di responsabilità vengono in considerazione non solo
gli ordini militari ma anche quelli impartiti da superiori civili, sempre che
possiedano di fatto il medesimo carattere vincolante dell’ordine militare.
In conclusione si può affermare che, analogamente a quanto detto per il § 5
WStG, anche il § 3 VStGB rappresenta una regola particolare del Verbotsirrtum
(§17 StGB)478.
2. La disciplina dell’esecuzione dell’ordine in Francia. La distinzione tra
cause oggettive e soggettive di esclusione della responsabilità penale.
A differenza di quanto è accaduto in taluni sistemi europei di diritto
continentale, quali ad esempio l’Italia, la Germania e la Spagna, nell’ordinamento
francese, anch’esso di matrice romano – germanica, la teoria generale del reato è
stata oggetto di minore approfondimento. In Francia, infatti, antiche e consolidate
tradizioni giuridiche hanno condotto ad un approccio al diritto penale
477 V. supra par. 1.4. 478 Sul punto v. WERLE G., Völkerstrafrecht,cit., 372.
ADEMPIMENTO DEL DOVERE E ORDINE CRIMINOSO IN ALTRI ORDINAMENTI
183
caratterizzato da un più marcato pragmatismo479. In tal senso la Francia pare
avvicinarsi maggiormente ai sistemi di common law.
Il pragmatismo del legislatore francese è peraltro evidente nella disciplina
delle cause di esenzione dalla responsabilità penale. Invero, il code pénal del
1994480 contiene, nel primo libro, un intero capitolo dedicato alle “Causes
d’irresponsabilité ou d’attenuation de la responsabilité”, all’interno del quale
sono accomunate, senza ulteriori distinzioni, sia le vere e proprie cause di
giustificazione che le cause soggettive di esclusione della responsabilità: il
legislatore francese ha infatti adottato per entrambe le categorie l’identico incipit
“n’est pas pénalement responsable…”481.
La dottrina francese non ha tuttavia mancato di approfondire la distinzione
tra faits justificatifs (o cause oggettive di esclusione della responsabilità) e causes
subjectives d’irresponsabilité (talora dette causes de non-imputabilité)482: mentre i
primi hanno carattere oggettivo e operano in rem, rendendo il fatto lecito per tutti
coloro che concorrono nel reato, le seconde hanno carattere strettamente personale
e fanno venir meno la responsabilità penale soltanto di colui al quale si
riferiscono483.
479 MANACORDA S., Reato nel diritto penale francese, in Digesto disc. pen., XI,
1996, 305, al quale si rinvia per ulteriori approfondimenti sulla struttura del reato nell’ordinamento francese.
480 Per alcune considerazioni di sintesi sulle fondamentali caratteristiche del codice penale francese del 1994, cfr. PALAZZO– PAPA., Lezioni di diritto penale comparato, cit., 98 ss.
481 Non diversamente, peraltro, da quanto ha fatto il legislatore italiano col prevedere la generica “non punibilità” del soggetto agente in ipotesi tra loro eterogenee. Sul punto v. supra cap. I, sez. IV, par. 1.3.
482 Cfr., tra gli altri, BERNARDINI R., Droit pénal général, Paris, 2003, 515; MERLE R. – VITU A., Traité de droit criminel, Tome I, Paris, 1997, 562 s.; PRADEL J., Manuel de droit pénal général, Paris, 2002, 286 ss.; STEFANI G. – LEVASSEUR G. – BOULOC B., Droit pénal général, Paris, 2000, 319 ss.
483 V., per tutti, PRADEL, Manuel de droit pénal général, cit., 286 s.
ADEMPIMENTO DEL DOVERE E ORDINE CRIMINOSO IN ALTRI ORDINAMENTI
184
Le cause oggettive di esclusione della responsabilità sono prive di
un’autonoma collocazione all’interno del reato484, giacché manca nel sistema
francese una teoria generale dei faits justificatifs485. Parte della dottrina li
considera come fattori che fanno venir meno l’élement légal dell’illecito
penale486, mentre taluno ritiene che i faits justificatifs abbiano un fondamento
soggettivo, costituito dal movente legittimo che ha ispirato l’agente487.
L’opinione dominante esclude comunque che i fatti giustificativi vadano
inquadrati nell’ambito di un autonomo elemento del reato, il c.d. élément
injuste488. Rientrano nella categoria dei fatti giustificativi l’adempimento
dell’ordine di legge e dell’ordine di un’autorità legittima, la legittima difesa e lo
stato di necessità.
Le cause soggettive di esclusione della responsabilità - quali l’errore di
diritto, il costringimento, il difetto mentale, la minore età - operano, invece, sul
piano colpevolezza489.
Infine, la dottrina francese distingue tra cause di esclusione della
responsabilità penale e circostanze di esenzione dalla pena, le quali lasciano
484 Così MANACORDA, Reato nel diritto penale francese, cit., 317. 485 CONTE P. – MAISTRE DU CHAMBON P., Droit pénal général, Paris, 2002, n°.
246. 486 In questo senso v. MERLE – VITU, op. cit., 562. V. anche PRADEL, Manuel,
cit., 285 s., il quale considera i faits justificatifs come “obstacles à la qualification”, cioè come circostanze espressamente previste dalla legge che, a determinate condizioni, elidono il carattere illecito dell’atto. Per quanto concerne la nozione di élément legal, che racchiude in sé problematiche attinenti sia alla legalità penale e che alla tipicità, v. MANACORDA, op. cit., 311.
487 Così GAGNIEUR J.-P., Du motif légitime comme fait justificatif, Paris, 1941. Per una critica a questa impostazione v. MERLE – VITU, op. cit., 561.
488 V., tra gli altri, CONTE – MAISTRE DU CHAMBON, Droit pénal général, cit., n°. 241. Sul punto cfr. MANACORDA, op. cit., 310.
489 V. STEFANI – LEVASSEUR – BOULOC, Droit pénal général, cit., 319; MANACORDA, op. ult. cit., 314, anche per approfondimenti in tema di élément moral del reato.
ADEMPIMENTO DEL DOVERE E ORDINE CRIMINOSO IN ALTRI ORDINAMENTI
185
intatta la responsabilità impedendo la sola applicazione della pena per ragioni
attinenti alla politica criminale o all’utilità sociale490.
2.1. L’«ordre de la loi» come fatto giustificativo.
Ai sensi dell’art. 122-4, 1° co., del codice penale francese, non è
penalmente responsabile il soggetto che esegue un atto prescritto da disposizioni
legislative o regolamentari491. L’agente è giustificato poiché compie un atto che la
legge gli ordina, e l’esenzione da responsabilità si fonda su esigenze di coerenza
del sistema repressivo: sarebbe invero assurdo che la legge disapprovasse ciò che
essa stessa ordina e che punisse chi ad essa si conforma492.
La norma in esame, con l’espressione “dispositions législatives”, fa
riferimento alla legge in senso formale e ad altri atti aventi valore di legge493. Si è
peraltro precisato, in proposito, che, nel caso vi sia un contrasto tra due leggi
penali (di cui una imponga di tenere una data condotta e l’altra qualifichi la
medesima condotta come reato), la soluzione del conflitto deve essere ricercata
mediante l’applicazione del principio secondo cui la legge speciale deroga a
490 STEFANI – LEVASSEUR – BOULOC, op. cit., 317. 491 L’art. 327 del previgente codice penale del 1810 prevedeva che “il n’y a ni crime
ni délit lorsque l’homicide, les blessures et les coups étaient ordonnés par la loi et commandés par l’autorité légitime”. La disposizione era criticata in dottrina, giacché ometteva di far cenno alle contravvenzioni, non alludeva in alcun modo alle disposizioni regolamentari e pareva subordinare l’efficacia giustificante alla cumulativa presenza dell’ordine di legge e del comandamento dell’autorità. Pertanto la maggiore chiarezza espositiva della norma del nuovo codice penale è stata salutata con favore. Sul punto cfr. DESPORTES F.- LE GUNEHEC F., Droit pénal général, Paris, 2001, 618 ; MERLE – VITU, op. cit., 565 (i quali rilevano peraltro come, sotto la vigenza del vecchio codice, vi fosse la tendenza da parte della giurisprudenza ad interpretare l’art. 327 in modo estensivo); PRADEL, op. cit., 288.
492 Per tutti, CONTE – MAISTRE DU CHAMBON, Droit pénal général, cit., n°. 247 e 248.
493 PRADEL, Manuel, cit., 288. Sull’impossibilità di invocare come fatto giustificativo per delitti commessi nel territorio francese l’ordre derivante da una legge straniera v., in giurisprudenza, Crim., 27.6.1973, in Bull. Crim., n. 305.
ADEMPIMENTO DEL DOVERE E ORDINE CRIMINOSO IN ALTRI ORDINAMENTI
186
quella generale494. Nel caso in cui il contrasto sussista tra una legge penale e una
loi civile (intesa in senso lato: legge non penale), si esclude invece generalmente
che quest’ultima possa giustificare la commissione di un illecito penale495.
Più problematica è l’ipotesi in cui l’ordine derivi da un “règlement”. In
generale si ritiene che, stante il principio di gerarchia delle fonti, non si possa
ammettere a priori che un semplice regolamento possa giustificare la violazione
della legge penale496. E’ pacificamente ammesso che l’ordre du règlement possa
giustificare la commissione di una contravvenzione497, posto che questa categoria
di illecito penale può essere prevista anche da un regolamento498. Al di fuori di
tale caso, si ritiene che la prescrizione derivante da un regolamento possa
giustificare la commissione di un crimine o di un delitto, solo qualora il
regolamento sia adottato in applicazione della legge su delega della stessa499.
L’ordre de la loi che si rivolga direttamente a chi deve eseguirlo non
necessita, per avere efficacia giustificante, che vi sia altresì un ordine
dell’autorità500, come invece pareva dovesse essere sotto la vigenza del precedente
codice penale501.
494 MERLE – VITU, op. cit., 566 s. 495 Sul punto v. MERLE – VITU, op. ult. cit., 567 s.; DESPORTES - LE GUNEHEC,
Droit pénal général, cit., 623 ss. (anche per i riferimenti giurisprudenziali). 496 Così MERLE – VITU, op. cit., 567. 497 Nel diritto penale francese gli illeciti penali sono classificati, a seconda della loro
gravità, in crimini, delitti e contravvenzioni (v. art. 111-1 del code pénal). In argomento v. PALAZZO – PAPA, Lezioni, cit., 100 s.
498 V., per tutti, DESPORTES - LE GUNEHEC, op. cit., 625. 499 In questo senso cfr. MERLE – VITU, Traité, cit., 567 (i quali ritengono che il
regolamento possa avere efficacia derogatoria della legge penale anche nel caso, eccezionale, in cui sia stato adottato per realizzare un evidente interesse superiore); DESPORTES - LE GUNEHEC, op. loc. cit.; PRADEL, Manuel, cit., 288 s.
500 Per tutti, CONTE – MAISTRE DU CHAMBON, Droit pénal général, cit., n°. 250.
501 V. supra nota 491.
ADEMPIMENTO DEL DOVERE E ORDINE CRIMINOSO IN ALTRI ORDINAMENTI
187
Infine, è opinione condivisa in dottrina che l’esecuzione di un ordine della
legge non abbia valenza giustificativa qualora l’agente superi i limiti del dovere
imposto502.
2.2. L’ordine dell’autorità legittima.
Il secondo comma dell’art. 122-4 del codice penale francese così recita:
“N’est pas pénalement responsable la personne qui accomplit un acte commandé
par l’autorité légitime, sauf si cet acte est manifestement illégal”.
L’autorità cui fa riferimento la norma in esame è esclusivamente l’autorità
pubblica, sia civile che militare; si esclude pertanto che un ordine promanante da
un’autorità privata (ad es. il padre nei confronti dei figli, l’imprenditore nei
confronti dell’impiegato, ecc.) possa costituire causa di irresponsabilità penale per
chi lo riceve503. L’autorità deve essere legittima: ciò significa che il
commandement deve essere stato impartito da un’autorità competente,
regolarmente investita del potere di emanare ordini504.
Se non v’è dubbio che l’ordine legittimo sia fatto giustificativo per chi lo
esegue, ben più complessa è la questione concernente il commandement illégal.
502 Cfr., tra gli altri, MERLE – VITU, Traité, cit., 569; PRADEL, Manuel, cit., 289.
In giurisprudenza v. Alger, 9.11.1953, in Recueil Dalloz, 1954, 369, con nota di Pageaud. 503 La dottrina è unanime sul punto: v., tra gli altri, CONTE – MAISTRE DU
CHAMBON, Droit pénal général, cit., n°. 252; DESPORTES - LE GUNEHEC, op. cit., 640 s.; PRADEL, Manuel, cit., 290. Del medesimo avviso è altresì la giurisprudenza della Corte di Cassazione francese (anche formatasi sotto la vigenza del codice del 1810): cfr., ad es., Crim., 28.04.1866, in Recueil Dalloz périodique, 1866, 1, 356; Crim., 4.10.1989, in Bulletin des arrêts de la Cour de cassation, n°. 338; Crim., 3.3.1997, in Bulletin des arrêts de la Cour de cassation, n°. 207.
504 V., tra gli altri, BERNARDINI, Droit pénal général, cit., 524; STEFANI – LEVASSEUR – BOULOC, Droit pénal général, cit., 325, anche relativamente alla delicata questione dell’autorità che al momento dell’emanazione dell’ordine era o comunque appariva legittima ma che a seguito di un mutamento di regime politico è divenuta illegittima, con particolare riferimento agli atti commessi durante l’occupazione per ordine del Governo di Vichy.
ADEMPIMENTO DEL DOVERE E ORDINE CRIMINOSO IN ALTRI ORDINAMENTI
188
2.2.1. Il commandement illégal. La responsabilità per l’esecuzione
dell’ordine manifestamente criminoso.
Come emerge dall’incipit stesso dellart. 122-4 (N’est pas pénalement
responsable…), il tipo di illegalità cui si fa riferimento è la criminosità.
Prima di esaminare più nel dettaglio la vigente disciplina, è opportuno
premettere che, in generale, la dottrina francese ha elaborato tre diverse teorie in
merito alla responsabilità per l’esecuzione dell’ordine criminoso505, le quali, come
si avrà modo di constatare nel prosieguo della trattazione, hanno trovato
accoglimento anche in seno alla dottrina internazionalistica506.
La prima teoria, c.d. dell’obéissance passive, postula che il subordinato
debba sempre obbedire agli ordini dei superiori, senza porsi il problema della loro
eventuale illegittimità; di conseguenza, l’aver eseguito un ordine, anche
illegittimo, è sempre fatto giustificativo per l’inferiore.
In realtà, come è stato correttamente osservato507, l’ordine illegittimo
dell’autorità non può, di per se stesso, giustificare l’illecito penale commesso dal
subordinato, giacché non rientra tra i poteri di nessuna autorità pubblica, per
quanto elevata nella gerarchia, quello di rendere conforme al diritto ciò che è ad
esso contrario; altrimenti si dovrebbe giungere all’inaccettabile conseguenza di
dover ritenere che il legislatore non abbia imposto alcun limite al dovere di
obbedienza, che egli abbia sottoposto i funzionari e i militari alla regola gesuitica
dell’obbedienza perinde ac cadaver e che abbia sacrificato deliberatamente la
legalità alla disciplina. Pertanto l’ordine illegittimo dell’autorità non può di per sé
costituire fait justificatif508.
505 Per una sintesi delle tre teorie v. DESPORTES - LE GUNEHEC, op. cit., 641 s.;
STEFANI – LEVASSEUR – BOULOC, Droit pénal général, cit., 326; PRADEL, op. cit., 291. In argomento cfr. altresì MAES J., Propos sur la nécessité militaire et l’obéissance aux ordres invoqués comme cause de justification ou d’excuse, in Rev. droit pén. milit., 1983, 249.
506 V. infra cap. III, par. 3. 507 MERLE – VITU, op. cit., 571 s. 508 V. CONTE – MAISTRE DU CHAMBON, Droit pénal général, cit., n°. 255.
ADEMPIMENTO DEL DOVERE E ORDINE CRIMINOSO IN ALTRI ORDINAMENTI
189
In base alla opposta teoria delle “baïonettes intelligentes” il subordinato,
anche militare, ha sempre il dovere di assicurarsi che l’ordine sia legittimo prima
di eseguirlo e, nel caso in cui egli esegua un ordine illegittimo, non potrà mai
andare esente da responsabilità penale. In dottrina si è rilevato che l’accoglimento
di questa teoria comporta il rischio di compromettere l’autorità e la disciplina,
soprattutto nelle forze armate509.
Infine, un terzo orientamento distingue a seconda del carattere
manifestamente criminoso o meno dell’atto commesso in esecuzione dell’ordine:
solo nel secondo caso il commandement sarà causa di irresponsabilità per il
subordinato esecutore.
Il codice penale del 1994 ha accolto il principio dell’illegittimità
manifesta, innovando rispetto al codice precedente che nulla prevedeva in
proposito. Tuttavia anche sotto la vigenza del codice del 1810, la giurisprudenza
della Corte di Cassazione aveva talora affermato che l’esecuzione di un ordine
manifestement illégal era, in linea di principio, punibile510.
Nell’attuale codice penale francese la regola è dunque quella della normale
irresponsabilità dell’esecutore dell’ordine criminoso, salvo il caso di manifesta
criminosità: solo in quest’ultima ipotesi, infatti, l’aver eseguito l’ordine criminoso
comporta la responsabilità penale dell’esecutore511. Il sindacato sulla legittimità
imposto all’inferiore è pertanto limitato alla verifica che l’ordine non sia
manifestamente illegittimo. E’ evidente la differenza con l’ordinamento italiano,
Nello stesso senso si è espressa anche la giurisprudenza: v. Crim., 22.5.1959, in Jurisclasseur périodique, 1959, 11162.
509 Così STEFANI – LEVASSEUR – BOULOC, Droit pénal général, cit., 326. 510Si tratta di casi concernenti quasi esclusivamente funzionari civili: Crim.,
29.3.1845, in Recueil Sirey, 1845.I.546; Crim., 17.2.1855, in Recueil Sirey, 1855.I.236. Tra le sentenze più recenti, rese sotto la vigenza del nuovo codice penale, cfr. Crim., 25.2.1998, in Dr. Pénal, 1998, n. 94.
511 Sul punto v. ROBERT J.-H., Droit pénal général, Paris, 1999, 251, il quale rileva che « le principe est donc que, légal ou non, ce commandement est justificatif pour le subordonné; l’exception, c’est-à-dire la culpabilité du subordonné, ne se rencontre que si le commandement qu’il a reçu est "manifestement illégal"».
ADEMPIMENTO DEL DOVERE E ORDINE CRIMINOSO IN ALTRI ORDINAMENTI
190
posto che l’art. 51 c.p., come si è detto512, prevede la normale corresponsabilità
dell’inferiore per il reato commesso in esecuzione dell’ordine del superiore.
In dottrina si è peraltro affermato che, sebbene l’ordine di commettere un
atto palesemente illegittimo non può mai costituire fatto giustificativo per chi lo
esegue, nondimeno non è escluso che l’inferiore possa andare esente da
responsabilità penale se dimostra di aver agito per costringimento psichico
(contrainte: v. art. 122-2 del codice penale)513. Si esclude, invece, che possa
essere invocato l’erreur sur le droit (art. 122-3), giacché, dato il carattere
manifestamente criminoso dell’ordine, pare difficile che il subordinato sia incorso
in un errore invincibile di diritto514.
Si è peraltro osservato, da parte di qualche autore, che l’inferiore non può
invocare la justification dell’ordine dell’autorità, qualora sia dimostrato che costui
era a conoscenza del carattere criminoso dell’ordine, anche se l’illiceità penale
non era manifesta515.
Non è stata oggetto di particolare approfondimento, da parte della dottrina
francese, la questione relativa al fondamento della non punibilità dell’esecutore
dell’ordine nel caso di criminosità non manifesta. In proposito, taluno afferma che
l’illegalità non manifesta è causa di giustificazione per il subordinato esecutore516.
Secondo una più attenta dottrina, maggiormente condivisibile, non è invece
possibile ritenere la sussistenza di un fait justificatif, data l’impossibilità logica
che l’ordine dell’autorità legittima possa neutralizzare una norma
512 V. supra cap. I, sez. II, par. 2. 513 DESPORTES - LE GUNEHEC, op. cit., 644; MERLE – VITU, Traité, cit., 573;
BERNARDINI, op. cit., 525 ; PRADEL, Manuel, cit., 293. 514 DESPORTES - LE GUNEHEC, op.loc. cit. Per l’opinione secondo cui sarebbe
invece invocabile l’erreur de droit invincible anche in caso di manifesta illegittimità, v. BERNARDINI, op. cit., 525.
515 Così DESPORTES - LE GUNEHEC, op. cit., 642. 516 ROBERT J.-H., Droit pénal général, cit., 251; STEFANI – LEVASSEUR –
BOULOC, Droit pénal général, cit., 326.
ADEMPIMENTO DEL DOVERE E ORDINE CRIMINOSO IN ALTRI ORDINAMENTI
191
incriminatrice517: la causa di irresponsabilità si fonda piuttosto su un errore di
diritto (si è perciò in presenza di una cause de non-culpabilité), inteso in senso
ampio (incluso dunque anche il dubbio) e con la particolarità che, in questo caso,
l’errore dell’agente è presunto518. Nella medesima prospettiva, si è da altri
sostenuto che l’esenzione da responsabilità penale, nel caso di illiceità non
evidente, potrebbe eventualmente fondarsi sulla bonne foi dell’inferiore che non
ha compreso l’illegittimità dell’ordine519.
Rimane infine la difficoltà pratica di determinare il criterio in base al quale
valutare l’illegalité manifeste, non diversamente da quanto accade, peraltro, anche
nel nostro Paese520. Secondo qualche autore la criminosità va determinata secondo
un doppio criterio, oggettivo e soggettivo521. Più precisamente, in base al criterio
oggettivo si tiene conto della natura stessa dell’atto commesso per ordine:
l’illegalità sarà pertanto particolarmente evidente qualora vengano impartiti ordini
che abbiano come contenuto la lesione della vita o dell’integrità fisica della
persona522, mentre la valutazione sarà più difficile nel caso di offese al diritto di
proprietà o ai diritti della personalità. Il criterio soggettivo prende invece in
considerazione le qualità personali dell’esecutore (ad es. il fatto che si tratti di un
funzionario o di un militare, il grado gerarchico, le conoscenze giuridiche,
ecc.)523. Altra parte della dottrina ritiene che “manifesta” sia l’illegittimità
517 CONTE – MAISTRE DU CHAMBON, Droit pénal général, cit., n°. 256; nello
stesso senso v. MERLE-VITU, Traité, cit., 572. 518 CONTE – MAISTRE DU CHAMBON, Droit pénal général, cit., n°. 256. 519 MERLE-VITU, Traité, cit., 572. 520 V. supra cap. I, sez. IV, par. 4.1. 521 Così DESPORTES - LE GUNEHEC, op. cit., 642 s. 522 In questo senso v. anche STEFANI – LEVASSEUR – BOULOC, Droit pénal
général, cit., 327. 523 DESPORTES - LE GUNEHEC, op. cit., 642 s. Sul punto v. anche PRADEL.,
Manuel, cit., 291, secondo il quale devono essere presi in considerazione la personalità del soggetto, il suo carattere, la sua posizione sociale, la sua cultura giuridica, ecc. l’A. ritiene inoltre che sia rilevante il fatto che si tratti di un militare o di un funzionario civile, giacché quest’ultimo ha, di regola, una maggiore indipendenza per resistere all’ordine illegittimo e spesso è anche più esperto di diritto. Propende il criterio soggettivo basato sulle conoscenze e
ADEMPIMENTO DEL DOVERE E ORDINE CRIMINOSO IN ALTRI ORDINAMENTI
192
evidente, da valutarsi in astratto, con riferimento al parametro del cittadino
medio524.
Degno di nota è il fatto che il legislatore francese abbia previsto una regola
particolare in tema di rilevanza dell’ordine del superiore per quanto riguarda
specificamente i crimini contro l’umanità, in deroga alla generale previsione
dell’art. 122-4. Invero, il codice penale francese, all’art. 213-4, esclude
espressamente che possa essere esonerato dalla responsabilità penale chi abbia
agito per ordine dell’autorità legittima, stabilendo altresì che di tale circostanza si
possa tener conto soltanto ai fini della determinazione della pena. Ne consegue,
come la stessa Corte di cassazione francese ha affermato525, che l’ordine di
commettere un crimine contro l’umanità è da ritenersi sempre manifestamente
criminoso526. Sotto questo aspetto il codice penale francese è, come meglio si dirà
oltre, in piena armonia con il diritto internazionale penale527.
Infine, è interessante notare che il dovere di disobbedienza nei confronti
dell’ordine manifestamente illegittimo è principio accolto nella normativa di
settore che discplina il rapporto gerarchico nei differenti settori pubblici.
Per quanto riguarda i militari, il regolamento di disciplina generale militare
(Décret n° 2005-796 del 15.7.2005), all’art. 7 co. 3°, prevede che il subordinato
abbia il dovere di obbedire agli ricevuti conformemente alla legge e che debba
disobbedire all’ordine di commettere un atto manifestamente illegale o contrario
alle regole del diritto internazionale applicabile nei conflitti armati e alle
sulla posizione gerarchica del subordinato altresì LEROY J., Droit pénal général, Paris, 2003, 184.
524 CONTE – MAISTRE DU CHAMBON, Droit pénal général, cit., n°. 256. 525 Crim., 23.1.1997, in Recueil Dalloz, 1997, 147, con nota di Pradel. 526 In dottrina v. BERNARDINI, op. cit., 525. Secondo STEFANI – LEVASSEUR –
BOULOC, Droit pénal général, cit., 327, il subordinato potrebbe eventualmente invocare la contrainte (art. 122-2 del cod. pén.), qualora dimostrasse che la propria volontà è stata sopraffatta da quella del proprio superiore.
527 V. infra, cap. III.
ADEMPIMENTO DEL DOVERE E ORDINE CRIMINOSO IN ALTRI ORDINAMENTI
193
convenzioni internazionali528. Inoltre l’art. 8 dello Statuto generale dei militari
(Loi n° 2005-270 del 24.3.2005) dispone che i militari hanno il dovere di obbedire
agli ordini ma che “toutefois il ne peut leur être ordonné et ils ne peuvent
accomplir des actes qui sont contraires aux lois, aux coutumes de la guerre et aux
conventions internationales”.
L’art. 17 del “Code de déontologie de la police nationale” del 1986529
stabilisce che il subordinato sia tenuto a conformarsi agli ordini dei superiori,
salvo il caso in cui l’ordine sia manifestamente illegittimo e di natura tale da
compromettere gravemente un interesse pubblico: in ogni caso la non punibilità
per il rifiuto di eseguire l’ordine illegittimo è subordinata al previo esercizio del
dovere di rimostranza. Una disciplina sostanzialmente analoga è prevista per gli
agenti della police municipale530, anche se, con maggiore chiarezza, è
528 L’art. 7 del regolamento di disciplina del 2005 sostituisce l’art. 8 del previgente
“Règlement de discipline générale dans les armées” del 1975 (abrogato dal Décret n° 2005-794 ralativo alle sanzioni disciplinari applicabili ai militari), il quale prevedeva una disciplina sostanzialmente identica, precisando altresì che “lorsque le motif d'illégalité a été invoqué à tort pour ne pas exécuter un ordre, le subordonné est passible de sanctions pénales et disciplinaires pour refus d'obéissance”.
529 Si tratta del Décret n° 86-592 del 18.3.1986. L’article 17 così recita: “1. Le subordonné est tenu de se conformer aux instructions de l'autorité, sauf dans le cas où l'ordre donné est manifestement illégal et de nature à compromettre gravement un intérêt public. Si le subordonné croit se trouver en présence d'un tel ordre, il a le devoir de faire part de ses objections à l'autorité qui l'a donné, en indiquant expressément la signification illégale qu'il attache à l'ordre litigieux. 2. Si l'ordre est maintenu et si, malgré les explications ou l'interprétation qui lui en ont été données, le subordonné persiste dans sa contestation, il en réfère à la première autorité supérieure qu'il a la possibilité de joindre. Il doit être pris acte de son opposition. 3. Tout refus d'exécuter un ordre qui ne répondrait pas aux conditions ci-dessus engage la responsabilité de l'intéressé”.
530 Cfr. art. 19 del Décret n° 2003-735 del 1.8.2003 (Codice deontologico degli agenti di polizia municipale): “1. L'agent de police municipale est tenu de se conformer aux instructions du maire et, le cas échéant, des agents de police municipale chargés de son encadrement, sauf dans le cas où l'ordre donné est manifestement illégal et de nature à compromettre gravement un intérêt public. 2. Tout refus d'exécuter un ordre qui ne correspondrait pas aux conditions fixées à l'alinéa précédent engage la responsabilité de l'agent de police municipale. 3. Si un agent de police municipale croit se trouver en présence d'un ordre manifestement illégal et de nature à compromettre gravement un intérêt public, il a le devoir de faire part de ses objections au maire, et, le cas échéant, à l'agent de police municipale qui l'encadre, en indiquant expressément la signification illégale qu'il attache à
ADEMPIMENTO DEL DOVERE E ORDINE CRIMINOSO IN ALTRI ORDINAMENTI
194
espressamente prevista l’impossibilità di sottrarsi alla propria personale
responsabilità nel caso in cui si esegua comunque un ordine manifestamente
illegittimo (il che significa che vi è un vero e proprio dovere di disobbedienza nei
confronti dell’ordine palesemente illegittimo).
Infine, per i funzionari dello Stato il dovere di obbedienza viene meno
qualora l’ordine impartito dal superiore sia “manifestement illégal et de nature à
compromettre gravement un intérêt public” (v. art. 28 della Loi n° 83-634 del
13.07.1983 – Loi portant droits et obligations des fonctionnaires).
Tutte le citate normative di settore prevedono in ogni caso la responsabilità
del superiore per gli ordini impartiti, per la loro esecuzione e le relative
conseguenze.
3. La disciplina dell’adempimento del dovere nell’ordinamento penale
spagnolo. Cenni sulla distinzione tra “causas de justificación” e “causas
de exculpaciòn”.
Qualche breve cenno merita anche la disciplina dell’esecuzione dell’ordine
nel diritto penale spagnolo.
Nel codice penale spagnolo del 1996, così come del resto in quello
previgente, le “cause che esimono dalla responsabilità criminale” sono previste,
all’art. 20, senza ulteriori specificazioni in ordine al loro inquadramento
dogmatico; è pertanto una questione interpretativa quella della loro assegnazione
alla sfera della tipicità, dell’antigiuridicità, della colpevolezza o della mera
punibilità531.
l'ordre litigieux. Il doit être pris acte de son opposition. Si l'ordre est maintenu, il doit être écrit. 4. Le fait d'exécuter un ordre manifestement illégal du maire et, le cas échéant, d'un agent de police municipale chargé de son encadrement, ne peut soustraire l'agent de police municipale à sa responsabilité personnelle”.
531 Così FORNASARI G., Osservazioni critiche in chiave comparata sulla disciplina delle scusanti nel nuovo codice penale spagnolo, in Ind. pen., 1998, 1120 s.
ADEMPIMENTO DEL DOVERE E ORDINE CRIMINOSO IN ALTRI ORDINAMENTI
195
In estrema sintesi, si può affermare che - analogamente a quanto è
accaduto negli altri ordinamenti giuridici dell’Europa continentale che si è avuto
modo di esaminare - anche la dottrina spagnola ha provveduto ad operare una
distinzione tra “causas de justificación” e “causas de exculpaciòn” (o “de
disculpa”)532: mentre le prime escludono l’antigiuridicità del fatto533, le seconde
fanno venir meno la colpevolezza, escludendo la possibilità di muovere un
rimprovero al soggetto534.
La distinzione è rilevante, ai nostri fini, in quanto, come meglio si dirà
oltre535, è dubbio l’inquadramento dogmatico nell’una o nell’altra categoria
dell’esecuzione dell’ordine penalmente illecito.
3.1. Il “cumplimento de un deber” come causa di giustificazione.
L’art. 20, n. 7, del codice penale spagnolo espressamente prevede che vada
esente da responsabilità criminale chi agisce nell’adempimento di un dovere.
532 Sul punto v. PRADEL J., Droit pénal comparé, Paris, 2002, 325 ss. Per un primo
approccio alla tematica delle cause di esclusione della responsabilità penale in Spagna v. AA.VV., Justificación y exculpación en Derecho Penal (Coloquio Hispano-Alemán de Derecho Penal), ed. da ESER A. -GIMBERNAT E. – PERRON W., Madrid, 1995.
533 Cfr. MIR PUIG S., Derecho penal. Parte general, Barcelona, 2004, 415 ss., il quale peraltro precisa come anche in seno alla dottrina spagnola – così come accade in Italia (v. supra cap. I, sez. IV, par. 1.3.) vi sia chi ritiene che le cause di giustificazione siano “elementos negativo del tipo”, la cui presenza esclude la tipicità; RODRIGUEZ DEVESA J.M. – SERRANO GOMEZ A., Derecho penal español. Parte general, Madrid, 1991, 502 ss.
534Non c’è peraltro piena concordanza in dottrina circa l’individuazione delle singole cause di discolpa. V. MIR PUIG, Derecho penal. Parte general, cit., 593 ss., il quale assimila le causas de exculpaciòn alla categoria tedesca delle Entschuldigungsgründe: esse, in sostanza, si fondano sull’inesigibilità di una condotta conforme al diritto, dovuta ad una situazione motivazionale anormale; non vi rientra dunque l’errore invincibile sul precetto. Sul punto v. anche RODRIGUEZ DEVESA – SERRANO GOMEZ, Derecho penal español. Parte general, cit., 622 ss., secondo i quali tuttavia tra le causas de exculpaciòn rientrerebbe altresì l’errore essenziale e invincibile. In ogni caso le causas de exculpaciòn vanno tenute distinte dalle cause di non imputabilità (v. MIR PUIG, op. cit., 555 ss.). Per ulteriori approfondimenti si rinvia a AA.VV., Justificación y exculpación en Derecho Penal, cit., passim.
535 V. infra par. 3.2.
ADEMPIMENTO DEL DOVERE E ORDINE CRIMINOSO IN ALTRI ORDINAMENTI
196
La dottrina è concorde nel ritenere che si sia in presenza di una causa di
giustificazione536: quando il diritto impone a taluno di tenere una determinata
condotta che corrisponde ad un fatto tipico, è evidente che la realizzazione di quel
fatto non può essere antigiuridica537. Si è in proposito affermato che a fondamento
della scriminante si pone il principio di unità e coerenza dell’intero ordinamento
giuridico, posto che la fonte del dovere può provenire da qualsiasi ramo dello
stesso538. Qualche autore ritiene tuttavia che il principio dell’unità
dell’ordinamento giuridico non sia sufficiente, di per sé solo, ad imporre che ciò
che è lecito in un settore del diritto lo sia anche in tutto il resto dell’ordinamento:
secondo questa impostazione, la ragione per cui ciò che è lecito in un settore non
penale del diritto non può essere, al medesimo tempo, punito dal diritto penale
risiede nella funzione di ultima ratio del diritto penale nell’ambito del complesso
unitario dell’ordinamento giuridico539.
Si è inoltre precisato540 che quando un fatto è previsto sia da una norma
penale che da un’altra norma giuridica non penale che ne impone la realizzazione,
si verifica una situazione di conflitto tra norme: il ruolo della previsione espressa
dell’art. 20, n. 7, è allora, in linea di principio (e salvo ipotesi particolari), quello
di dare preferenza alla norma non penale, in ragione della prevalenza accordata
agli interessi da quest’ultima tutelati, rispetto agli interessi protetti dalla norma
penale. Secondo questa impostazione, l’art. 20, n. 7, non è allora superfluo
giacché risolve il conflitto di norme nei casi in cui il dovere è previsto in una
disposizione anteriore o di grado inferiore a quella penale541.
536 V., per tutti, QUINTERO OLIVARES G., Manual de derecho penal. Parte
general, Barcelona, 2002, 486. 537 Così MIR PUIG, op. cit., 475. 538 QUINTERO OLIVARES, op. cit., 487. 539 MIR PUIG, op. cit., 475 s. 540 MIR PUIG, op. cit., 476. 541 Sulla questione della natura superflua o meno della scriminante v. anche
QUINTERO OLIVARES, Manual, cit., 486 s.
ADEMPIMENTO DEL DOVERE E ORDINE CRIMINOSO IN ALTRI ORDINAMENTI
197
Per quanto riguarda la struttura della scriminante, va innanzitutto precisato
che solo l’esecuzione di un dovere giuridico può costituire causa di
giustificazione, mentre non basta la sussistenza di un semplice dovere sociale,
morale o di cortesia542.
L’adempimento del dovere non richiede la sussistenza di un rapporto
gerarchico tra inferiore e superiore543, con ciò differenziandosi dall’esimente
dell’obbedienza dovuta (all’ordine del superiore)544. Inoltre, si ritiene che la
scriminante del cumplimiento de un deber non sia invocabile soltanto dai
funzionari pubblici, bensì anche da privati, i quali siano soggetti a doveri legali o
contrattuali che impongano loro di agire ledendo beni giuridici altrui545. Si è da
altri affermato, peraltro, che, in linea di principio, la legge prevede doveri
specifici di lesionare beni giuridici penalmente tutelati solo per coloro che
esercitano determinati incarichi pubblici546.
3.2. La problematica concernente la c.d. “obediencia debida”.
L’ordine manifestamente antigiuridico
Il previgente codice penale spagnolo prevedeva espressamente al n. 12
dell’art. 8, l’esenzione da responsabilità penale per il soggetto che avesse agito
“en virtud de obediencia debida”, cioè in adempimento di un dovere,
giuridicamente fondato, di obbedienza ad un altro soggetto547.
542 RODRIGUEZ DEVESA – SERRANO GOMEZ, Derecho penal español, cit.,
510. 543 QUINTERO OLIVARES, Manual, cit., 490. 544 V. infra par. 3.2. 545 QUINTERO OLIVARES, op. cit., 490, che cita, a titolo di esempio, l’art. 450 CP,
relativo al dovere del privato di agire per impedire determinati delitti. 546 MIR PUIG, Derecho penal, cit., 479. 547 V. RODRIGUEZ DEVESA – SERRANO GOMEZ, Derecho penal español, cit.,
521.
ADEMPIMENTO DEL DOVERE E ORDINE CRIMINOSO IN ALTRI ORDINAMENTI
198
Come è stato rilevato da parte della dottrina spagnola548, non era agevole
distinguere tale ipotesi da quella del “cumplimiento de un deber”, prevista dal n.
11 del medesimo articolo: in proposito si osservava che, se l’obbedienza è
“dovuta”, significa che chi la presta adempie ad un dovere derivante dal suo
ufficio e quindi beneficia dell’esimente del cumplimiento de un deber. Si
affermava, in sostanza, che l’«obbedienza dovuta» non costituiva che una variante
dell’esimente dell’adempimento di un dovere549. La previsione dell’obediencia
debida tra le cause di esclusione della responsabilità penale era, dunque, ritenuta
superflua550. Non mancava peraltro chi riteneva che si trattasse di due esimenti tra
loro distinte, poiché nell’adempimento del dovere la relazione tra la legge e il
soggetto si stabilisce direttamente, mentre nell’obbedienza dovuta, tra la legge e il
soggetto si interpone la volontà del superiore; inoltre, mentre nell’adempimento
del dovere la condotta del soggetto deve essere necessariamente del tutto
conforme al diritto, l’ordine del superiore può avere anche un contenuto
antigiuridico551.
Forse proprio in accoglimento della posizione dottrinale che propendeva
per la non necessarietà della disposizione sull’obediencia debida, il legislatore del
1995 ha deciso di non prevederla espressamente nel nuovo codice penale. Si può
pertanto ritenere che l’esimente rientri ora in quella dell’adempimento del
dovere552, anche se, come meglio si dirà oltre, non vi è unanimità di vedute, in
seno alla dottrina spagnola, circa l’efficacia scusante o giustificante
dell’obbedienza ad un ordine illegittimo (criminoso).
Se infatti non v’è dubbio che gli ordini legittimi facciano sorgere un
dovere di obbedienza e siano causa di giustificazione per chi li esegue, più
548 MIR PUIG, Derecho penal, cit., 491. 549 QUERALT, La obediencia debida en el Código penal, Barcelona, 1986, 448. 550 MIR PUIG, Derecho penal, cit., 491. 551 RODRIGUEZ DEVESA – SERRANO GOMEZ, Derecho penal español, cit.,
527. 552 Sul punto v. FORNASARI, Osservazioni, cit., 1141.
ADEMPIMENTO DEL DOVERE E ORDINE CRIMINOSO IN ALTRI ORDINAMENTI
199
problematica è la questione concernente la sussistenza dell’obbedienza dovuta
anche nel caso di órdenes antijuridícas.
Secondo la dottrina prevalente esiste il dovere di obbedire a certi ordini
illegittimi553: ciò si ricaverebbe in primis dal tenore dell’art. 410 C.P., il quale nel
sanzionare penalmente la condotta delle autorità o dei pubblici funzionari che
rifiutano di eseguire un ordine impartito dal competente superiore e rivestito delle
forme legali, esclude la responsabilità penale soltanto nel caso di mancata
esecuzione di un comando che costituisce un’infrazione manifesta, chiara e
categorica di un precetto della legge o di qualunque altra disposizione generale554.
Affinché un ordine antigiuridico sia vincolante è dunque necessario che
sussitano determinati requisiti di forma e di sostanza.
Prima di esaminare tali requisiti, occorre innanzitutto premettere che la
dottrina prevalente limita l’efficacia esimente dell’obbedienza dovuta all’ambito
degli ordini impartiti in seno all’amministrazione pubblica (c.d. “obediencia
jerárquica”) e non anche a quelli emanati nell’ambito di rapporti di lavoro privati
o di rapporti familiari555. In proposito si è precisato che l’art. 410 CP
553In questo senso v., tra gli altri, DÍAZ PALOS, En torno a la naturaleza juridica de
la obediencia debida, in AA.VV., Estudios jurídicos en honor al prof. Pérez-Vitoria, I, 1983, 197 ss.; MIR PUIG, Derecho penal, cit., 592; RODRIGUEZ DEVESA – SERRANO GOMEZ, Derecho penal español, cit., 535 ss. Per la contraria opinione secondo cui solo gli ordini conformi al diritto devono essere obbediti v., per tutti, VIVES ANTÓN, Consideraciones político-criminales en torno a la obediencia debida, in AA.VV., Estudios penales y criminológicos, (Fernández Albor ed.), V, 1981, 145.
554Art. 410 C.P.:“1. Las autoridades o funcionarios públicos que se negaren abiertamente a dar el debido cumplimiento a resoluciones judiciales, decisiones u órdenes de la autoridad superior, dictadas dentro del ámbito de su respectiva competencia y revestidas de las formalidades legales, incurrirán en la pena de multa de tres a doce meses e inhabilitación especial para empleo o cargo público por tiempo de seis meses a dos años. 2. No obstante lo dispuesto en el apartado anterior, no incurrirán en responsabilidad criminal las autoridades o funcionarios por no dar cumplimiento a un mandato que constituya una infracción manifiesta, clara y terminante de un precepto de Ley o de cualquier otra disposición general”. Per un commento a questo articolo si rinvia a POLAINO NAVARRETE M., in AA.VV., Curso de derecho penal español. Parte especial, II, (dir. da COBO DE ROSAL M.), Madrid, 1997, 319 ss.; SERRANO GÓMEZ A., Derecho penal. Parte especial, Madrid, 2004, 788 ss.
555 V., per tutti, MIR PUIG, Derecho penal, cit., 499 s.; QUERALT, La obediencia
ADEMPIMENTO DEL DOVERE E ORDINE CRIMINOSO IN ALTRI ORDINAMENTI
200
eccezionalmente impone il dovere di obbedire anche ad ordini antigiuridici, non
manifestamente tali, emanati da un organo amministrativo, e ciò per ragioni di
necessità di funzionamento della pubblica amministrazione, mentre non esistono
disposizioni che obblighino il lavoratore dipendente o il figlio ad obbedire ad
ordini illegittimi del datore di lavoro o del padre556.
Per quanto concerne i requisiti formali, si richiede che l’ordine sia stato
emanato da un organo che abbia la relativa competenza e nel rispetto delle forme
legali557: ciò si ricava dal tenore del citato art. 410 C.P., il quale punisce la
disobbedienza agli ordini dell’autorità superiore “dictadas dentro del ámbito de su
respectiva competencia y revestidas de las formalidades legales”.
Al fine di determinare quale contenuto debba avere un ordine antigiuridico
per far sorgere il dovere di obbedienza, qualche autore558 si richiama alla c.d.
“teoria de la nulidad”. Secondo questa impostazione - che fonda il dovere di
obbedienza sulle norme di diritto amministrativo che disciplinano, in generale, la
validità dell’atto amministrativo - per la vincolatività dell’ordine è sufficiente e
necessario che lo stesso non sia nullo di pieno diritto. Poiché l’ordine costituente
illecito penale è nullo559, ne consegue che mai potrà essere vincolante un ordine
debida, cit., 53 ss.
556 In questi termini MIR PUIG, Derecho penal, cit., 500, secondo il quale, trattandosi di ordini antigiuridici, la obediencia domestica o laboral non può esimere da responsabilità penale in base all’art. 20, n. 7 del codice penale, bensì, se ne ricorrano i presupposti, per altre cause esimenti, quali l’errore invincibile, lo stato di necessità o il timore insuperabile.
557 V., per tutti, MIR PUIG, op. cit., 492 s., il quale precisa, a proposito del requisito della competenza, che parte della dottrina spagnola distingue tra competenza in concreto e competenza in astratto: mentre il diritto non concede a nessuno la competenza concreta ad impartire ordini antigiuridici che costituiscano delitto, perché vi sia astratta competenza è sufficiente che l’atto appartenga alla categoria di quelli che normalmente l’organo può ordinare. Secondo questa impostazione la competenza astratta è l’unica necessaria affinché un ordine faccia sorgere il dovere di obbedienza.
558In questo senso cfr. CEREZO MIR J., Los delitos de atentado, resistencia y desobediencia, in Revista de estudios penitenciarios, 1966, 341 ss.; CORDOBA RODA J.– RODRIGUEZ MOURULLO G., Comentarios al Código penal,I, Barcelona, 1972, 392 ss.
559 Cfr. art. 62 de la Ley 30/1992 (Régimen Jurídico de las Administraciones Públicas y del Procedimiento Administrativo Cómun).
ADEMPIMENTO DEL DOVERE E ORDINE CRIMINOSO IN ALTRI ORDINAMENTI
201
costituente reato, manifestamente tale o no; nella categoria degli ordini non
manifestamente antigiuridici che, ai sensi dell’art. 410 C.P., fanno sorgere il
dovere di obbedienza penalmente tutelato, rientrerebbero pertanto soltanto quelli
annullabili e quelli viziati da mere irregolarità formali560.
Una cospicua parte della dottrina spagnola561, preferisce invece fare
riferimento alla c.d. “teoria de la aparencia”, secondo la quale, perché
l’obbedienza sia dovuta, è necessario e sufficiente che l’ordine non sia
manifestamente antigiuridico. Ciò si ricava dal già citato art. 410 C.P., che, come
detto, esclude la responsabilità per il reato di disobbedienza solo nel caso in cui
l’ordine costituisca “una infracción manifiesta, clara y terminante de un precepto
de Ley o de cualquier otra disposición general”. Il carattere vincolante
dell’ordine dipende dunque, secondo questo orientamento, dal carattere manifesto
o meno dell’antigiuridicità, cioè dalla sua apparenza di legalità562.
Ne consegue che esistono “mandatos antijuridícos obligatorios” il cui
adempimento da parte dell’inferiore comporta la realizzazione di una condotta
penalmente illecita: la mancata esecuzione di tali ordini, salvo il caso della
manifesta criminosità, è punibile come reato di disobbedienza563. Si precisa
peraltro che l’obbedienza dovuta dal subordinato non è cieca: invero, l’inferiore
560 Per una critica a questa impostazione v. MIR PUIG, op. cit., 495 ss., il quale pone
in rilievo, tra l’altro, che sia gli atti nulli che quelli annullabili sono comunque efficaci (e dunque vincolanti) finché non intervenga la dichiarazione di nullità o l’annullamento, e ciò in base al principio di esecutorietà, il quale si fonda sulla presunzione di legittimità dell’atto amministrativo.
561 V., tra gli altri, DÍAZ PALOS, En torno a la naturaleza juridica de la obediencia debida, cit., 197 ss.; MIR PUIG, op. cit., 493 s.; RODRIGUEZ DEVESA – SERRANO GOMEZ, Derecho penal español, cit., 536 ss.
562 Secondo MIR PUIG, op. cit., 496, anche se la legge non condizionasse l’esclusione del dovere di obbedienza al carattere manifesto dell’antigiuridicità, la medesima conclusione potrebbe essere raggiunta mediante una costruzione dell’errore che tenesse conto delle particolari circostanze della relazione gerarchica: dovrebbe essere allora ritenuto evitabile (e pertanto punibile), l’errore del funzionario che esegue un ordine manifestamente antigiuridico.
563 RODRIGUEZ DEVESA – SERRANO GOMEZ, Derecho penal español, cit., 535 ss.
ADEMPIMENTO DEL DOVERE E ORDINE CRIMINOSO IN ALTRI ORDINAMENTI
202
ha il dovere di sindacare l’ordine ricevuto, verificando la sussistenza dei requisiti
formali (competenza e forma legale), e, quanto al contenuto, controllando che non
si tratti di ordine manifestamente criminoso564.
Anche nell’ordinamento spagnolo manca una definizione del criterio in
base al quale determinare la manifesta criminosità. Secondo qualche autore565, il
criterio, chiaramente ispirato al diritto tedesco566, è quello del punto di vista
dell’uomo medio che tenga tuttavia conto anche delle circostanze note
all’inferiore in quella situazione. Altri autori propendono invece per un criterio
soggettivo, nel senso che la criminosità deve essere evidente per colui che, in
concreto, riceve l’ordine567.
Si è da taluno peraltro precisato che se l’inferiore è a conoscenza della
criminosità dell’ordine, anche se questa non è manifesta, l’obbedienza non è
dovuta568.
Il fondamento della non punibilità dell’esecutore dell’ordine non
manifestamente antigiuridico è dibattuto in dottrina. Secondo qualche autore569,
l’obbedienza dovuta all’ordine non manifestamente antigiuridico è causa de
exculpación per il subordinato, fondata sul principio di inesigibilità.
L’opinione prevalente ritiene invece che l’obbedienza dovuta sia sempre
causa di giustificazione570: in presenza di un ordine illegittimo non
manifestamente, si verifica un conflitto tra il bene giuridico leso dall’esecuzione
564 RODRIGUEZ DEVESA – SERRANO GOMEZ, op. cit., 546. 565 MIR PUIG, op. cit., 494. 566 V. supra par. 1.4. 567 RODRIGUEZ DEVESA – SERRANO GOMEZ, op. cit., 543. 568 RODRIGUEZ DEVESA – SERRANO GOMEZ, op. loc. cit., in cui si precisa
peraltro che, in caso di dubbio sulla legittimità dell’ordine ricevuto, l’inferiore deve comunque obbedire. V. anche SERRANO GÓMEZ A., Derecho penal. Parte especial, cit., 790, il quale afferma che se l’inferiore, conoscendo l’illegittimità dell’ordine, lo esegue comunque, risponderà del reato insieme al superiore che lo ha impartito.
569 V., tra gli altri, VIVES ANTÓN, Consideraciones, cit., 139 ss.; MORILLAS CUEVA, La obediencia debida, Madrid, 1984, 147 ss.
570 MIR PUIG, op. cit., 498; QUERALT, La obediencia debida, cit., 413 ss.; RODRIGUEZ DEVESA – SERRANO GOMEZ, op. cit., 550.
ADEMPIMENTO DEL DOVERE E ORDINE CRIMINOSO IN ALTRI ORDINAMENTI
203
dell’ordine e le necessità di funzionamento dell’amministrazione pubblica,
conflitto che la legge risolve a favore delle seconde571. Se l’obbedienza è
“dovuta”, non può essere proibita, antigiuridica, tanto più che la disobbedienza è
punibile572. Secondo questa impostazione, dato che, nel codice penale attuale, non
è più prevista una specifica disciplina dell’obediencia debida, sarebbe corretto
includere l’obbedienza dovuta agli ordini non manifestamente criminosi
nell’adempimento del dovere previsto dal vigente art. 20, n. 7 del codice penale,
giacché si tratta comunque di una causa di giustificazione573.
In ogni caso, sia che si consideri l’obediencia debida all’ordine non
manifestamente criminoso come causa di giustificazione o come causa di
discolpa, non può non destare perplessità la sussistenza nel diritto penale spagnolo
di ordini criminosi vincolanti, la cui mancata esecuzione comporta la
responsabilità penale per il reato di disobbedienza. In effetti, la prevalenza
attribuita alle necessità di funzionamento dell’amministrazione pubblica rispetto
all’interesse all’osservanza della legge, pare, almeno ad un primo approccio,
armonizzarsi ben poco con lo spirito democratico e di adeguamento ai principi
costituzionali che ha animato la redazione del nuovo codice penale spagnolo del
1996574.
571 Così MIR PUIG, op. cit., 498. 572 Sul punto v. RODRIGUEZ DEVESA – SERRANO GOMEZ, op. cit., 550. 573 MIR PUIG, op.loc. cit. Rileva FORNASARI, Osservazioni, cit., 1141, che il
rientro dell’obbedienza dovuta nell’ambito dell’adempimento del dovere non costituisce un argomento decivo contro la tesi della natura scusante dell’esimente in questione, la quale è sostenibile pur in presenza di un accorpamento normativo in un’unica esimente. Secondo MORALES PRATS, in AA.VV., Comentarios al nuevo Codigo penal, dir. da QUINTERO OLIVARES G., Pamplona, 1996, 128 s., la conservazione di un’apposita disposizione in materia di obediencia debida appariva insensata quale che fosse l’opinione in ordine al tipo di effetti da essa prodotti, giacché se la si considera come causa di giustificazione non pare motivatata una sua separazione dall’adempimento di un dovere, mentre se la si vede come scusante, essa può essere oggi agevolmente ricompresa nell’ambito del miedo insuperabile (paura insuperabile) previsto dall’art. 20, n. 6 C.P. (su tale ultima esimente v., per un primo approccio, MIR PUIG, Derecho penal, cit., 597 ss.).
574 Il codice penale spagnolo entrato in vigore nel 1996 è frutto della necessità di adattare la legislazione penale al regime democratico e alla Costituzione del 1978. Per alcune
ADEMPIMENTO DEL DOVERE E ORDINE CRIMINOSO IN ALTRI ORDINAMENTI
204
Queste considerazioni sembrerebbero valere, prima facie, anche in
riferimento all’ambito strettamente militare, dove è del pari accolto il principio
della manifesta criminosità e dove tuttavia vi sono richiami costanti e frequenti
alla Costituzione. Invero, il Código penal militar del 1985, all’art. 21, esclude
qualsiasi rilevanza esimente o attenuante all’aver agito in obbedienza ad ordini
che comportano l’esecuzione di atti che manifestamente siano contrari alle leggi o
agli usi della guerra o costituiscano delitto, in particolare contro la
Costituzione575. Fuori da questi casi, secondo la dottrina576, si deve ritenere vi sia
il dovere di obbedienza anche nei confronti di ordini criminosi (non
manifestamente tali)577.
Tuttavia, questa affermazione potrebbe essere contraddetta dal fatto che
l’art. 102 CPM, che prevede il reato di disobbedienza, punisce la condotta del
militare che non adempie o rifiuta di adempiere gli “órdenes legítimas de sus
superiores relativas al servicio que le corresponde”. La vincolatività dell’ordine
dipende dunque dalla sua legittimità.
considerazioni di sintesi sulle trasformazioni sociali e politiche che hanno caratterizzato la recente storia spagnola e sui caratteri fondamentali di quello che è stato definito il “Codice penale della democrazia”, cfr. MUŇOZ CONDE F., Luci ed ombre del modello spagnolo, in AA.VV., Modelli ed esperienze di riforma del diritto penale complementare, a c. di DONINI M., Milano, 2003, 101; ID., Il “moderno” diritto penale nel nuovo codice penale spagnolo: principii e tendenze, in Ind. pen., 1996, 651 ss.; PALAZZO – PAPA, Lezioni, cit., 135 ss.; QUINTERO OLIVARES G., Il codice penale spagnolo del 24 novembre 1995, introdzione a Il codice penale spagnolo, Padova, 1997, 1 ss.
575 Art. 21 CPM: «Serán de aplicación las causas eximentes de la responsabilidad criminal previstas en el Código Penal. No se estimará como eximente ni atenuante el obrar en virtud de obediencia a aquella orden que entrañe la ejecución de actos que manifiestamente sean contrarios a las leyes o usos de la guerra o constituyan delito, en particular contra la Constitución.».
576 RODRIGUEZ DEVESA – SERRANO GOMEZ, op. cit., 551, secondo i quali il diritto militare, col prevedere la possibile sussistenza di mandatos antijuridícos (no manifestamente) obligatorios si avvicina al diritto penale comune.
577 V., in proposito, per quanto riguarda la polizia e la Guardia civile nazionale, l’art. 5 lett. d) della Ley organicá 2/1986 (De Fuerzas y Cuerpos de Seguridad): “…en ningún caso, la obediencia debida podrá amparar órdenes que entrañen la ejecución de actos que manifiestamiente constitujan delito o sean contrarios a la Constitución o a las Leyes.”
ADEMPIMENTO DEL DOVERE E ORDINE CRIMINOSO IN ALTRI ORDINAMENTI
205
Questa interpretazione trova conferma, del resto, anche in alcune sentenze
del Tribunal Supremo, riferite all’art. 102 e all’art. 19 del CPM, disposizione,
quest’ultima, che definisce la nozione di ordine ai fini penali militari578. Secondo
il Tribunal Supremo non devono essere obbediti gli ordini penalmente illeciti579.
Non solo: il tribunale ha altresì affermato che il concetto di “ordine legittimo”
suppone qualcosa di più che la mancanza di contrasto con la legge penale o con le
leggi o gli usi della guerra, giacché è necessario che l’ordine sia conforme
all’ordinamento giuridico nel suo complesso580. E’ degno di nota, a questo
proposito, che anche le disposizioni relative alla disciplina facciano spesso
riferimento alla necessità che le Forze armate operino nel rispetto e nei limiti della
legge e della Costituzione581.
Dal sistema di norme sopra delineato si evince, quantomeno, che l’ordine
criminoso (non manifestamente tale) non fa sorgere il dovere di obbedienza,
penalmente sanzionato, in capo al militare (anche se non sussite un vero e proprio
dovere di disobbedienza nei confronti dell’ordine penalmente illecito). E ciò a
differenza di quanto previsto dall’art. 410 del codice penale comune in riferimento
alle autorità e ai funzionari pubblici, laddove la mancanza di un esplicito
578 Art. 19: “A los efectos de este Código orden es todo mandato relativo al servicio
que un superior militar da, en forma adecuada y dentro de las atribuciones que legalmente le corresponden, a un inferior o subordinado para que lleve a cabo u omita una actuación concreta”.
579 V. STS, 5a, 6.7.1992, reperibile in Código Penal Militar y Legislación disciplinaria militar, ed. da DÍAZ-MAROTO Y VILLAREJO J. – GARBERÍ LLOBREGAT J., Madrid, 1997, sub art. 102.)
580 V. STS, 5a, 11.6.1992, in Código Penal Militar y Legislación disciplinaria militar, cit., sub art. 102; STS, 5a, 6.7.1992, cit.
581Cfr., ad es., l’art. 11 della Ley 85/1978 (de Reales Ordenanzas de las Fuerzas Armadas): “La disciplina, factor de cohesión que obliga a todos por igual, será practicada y exigida como norma de actuación. Tiene su expresión colectiva en el acatamiento a la Constitución, al que la Institución Militar está subordinada”; art. 1 della Ley Orgánica n. 8/1998 (de Régimen Disciplinario de las Fuerzas Armadas): “El régimen disciplinario de las Fuerzas Armadas tiene por objeto garantizar la observancia de la Constitución, de las Reales Ordenanzas y demás normas que rigen la Institución Militar, el cumplimiento de las órdenes del mando y el respeto al orden jerárquico, con independencia de la protección penal que a todo ello corresponda y del ejercicio de las potestades disciplinarias judiciales”.
ADEMPIMENTO DEL DOVERE E ORDINE CRIMINOSO IN ALTRI ORDINAMENTI
206
riferimento alla legittimità (sostanziale) dell’ordine lascia aperta la possibilità
all’interprete di configurare ordini criminosi vincolanti (con la sola limitazione
della manifesta criminosità). Paradossalmente, dunque, questa differenza tra le
norme considerate sembrerebbe comportare un dovere di obbedienza più
stringente nelle amministrazioni pubbliche rispetto alle Forze armate, nelle quali
storicamente la protezione e il mantenimento della disciplina hanno costituito un
“objetivo consustancial a la Institución misma”582. In realtà, questa conclusione
non solo è paradossale, ma sembrerebbe anche contraddire lo spirito della già
citata Ley organica 30/1992 che regola il regime giuridico delle amministrazioni
pubbliche, la quale enuncia tra i suoi principi generali (art. 3, n. 1), ai quali deve
conformarsi l’azione amministrativa, la piena sottomissione “a la Constitución, a
la Ley y al Derecho”. Pare allora preferibile ritenere che l’art. 410 CP vada
interpretato alla stregua della sopra citata “teoria de la nulidad”, secondo la quale
l’ordine costituente illecito penale è nullo di pieno diritto e pertanto non potrà mai
essere vincolante, sia esso manifestamente crimonoso o no.
Infine, va comunque precisato che non è invece diversa la disciplina per
quanto concerne la responsabilità per l’esecuzione dell’ordine criminoso: sia il
funzionario pubblico che il militare risponderà del reato commesso per ordine nel
solo caso in cui l’ordine sia manifestamente antigiuridico.
582 V. l’esposizione dei motivi alla Ley Orgánica n. 8/1998.
SEZIONE II – LA DEFENCE OF SUPERIOR ORDER NEI SISTEMI DI
COMMON LAW
SOMMARIO: 1. La categoria delle “defences”. – 2. L’esecuzione dell’ordine nel diritto inglese,
scozzese e irlandese. – 3. L’adempimento del dovere nel diritto penale americano. – 3.1. Le fonti
in tema di obbedienza all’ordine gerarchico militare. – 3.2. I requisiti di legittimità dei military
orders e il dovere di obbedienza. – 3.3. L’ordine illegittimo. La responsabilità penale
dell’inferiore per l’esecuzione dell’ordine criminoso: a) nella statute law. – 3.3.1. b) nella case
law. In particolare, il caso Calley. – 3.4. L’ordine “obviously” illegal. Rilievi conclusivi.
1. La categoria delle “defences”
Come è stato autorevolmente rilevato583, una delle maggiori fratture tra i
sistemi di civil law e quelli di common law è rappresentata dalla questione se vi
sia, o se comunque vi debba essere, una distinzione tra “justifications” e
“excuses”, ossia tra cause di esclusione dell’antigiuridicità (o illiceità) e
scusanti584: agli studiosi di common law, invero, una simile distinzione può
apparire un “passatempo ingegnoso”, privo di pratica rilevanza585.
583 ESER A., Justification and Excuse: a key issue in the concept of crime, in
AA.VV., Rechtfertigung und Entschuldigung, I, hrsg. v. A. Eser u. G. Fletcher, Freiburg i. Br., 1987, 19.
584 Rileva ESER A., “Defences” in war crimes trials, in Israel Yearbook on Human Rights, 1994, 203, che una “structural comparison between different penal system may perhaps become possible only by differentiating between defences with regard to their justificatoy, excusatory or otherwise exonerating nature”.
585 V. ROXIN, Cause di giustificazione e scusanti, distinte da altre cause di esclusione della pena, cit., 87 ss., che riporta le obiezioni mosse da uno studente inglese alla teoria delle cause di esclusione della responsabilità elaborata dalla dottrina tedesca: “Riconosco che la distinzione tra cause di giustificazione, scusanti e cause di esclusione della pena è molto sottile, anzi, è addirittura un’opera d’arte concettuale. Ma non si tratta, forse, soltanto di un passatempo ingegnoso? In definitiva, ciò che importa è unicamente la punibilità, che, in presenza di ognuna di queste figure, viene ugualmente negata. Non è che, magari, le differenti conseguenze che vengono ricollegate a queste categorie sono più dedotte da distinzioni concettuali che fondate da obiettive necessità?”.
ADEMPIMENTO DEL DOVERE E ORDINE CRIMINOSO IN ALTRI ORDINAMENTI
208
Invero, i giuristi anglo-americani hanno tradizionalmente rivelato scarso
interesse in merito all’elaborazione della distinzione tra le due categorie e alle
relative implicazioni, a differenza di quanto accaduto in molti sistemi europeo –
continentali, in particolare la Germania586. In sede di comparazione si deve infatti
tener conto come la mancanza di una compiuta elaborazione di una teoria generale
del reato comporti anche non trascurabili problemi di traduzione, tali da rendere a
volte equivoco il confronto tra istituti di common law e di civil law587. In
particolare, per quanto riguarda il tema che ci occupa, è interessante notare che il
termine tedesco Rechtswidrigkeit (antiguridicità) viene generalmente tradotto con
la parola “unlawful” che, per la maggior parte dei common lawyers, connota il
semplice fatto di essere “against the law”: si tralascia così la fondamentale
distinzione, accolta in molti Paesi di civil law, tra antigiuridicità e colpevolezza,
cioè tra Rechtswidrigkeit (“wrongfulness of the act”) e Schuld (“culpability of the
actor”)588. Parimenti, il binomio mens rea589 (elemento psichico del reato o
colpevolezza, concetto assai rilevante, come si vedrà, anche per la tematica del
superior order) e actus reus (elemento materiale del reato) “coincide solo in
586 FLETCHER G.P., Introduction from a common law scholar’s point of view, in
AA.VV., Rechtfertigung und Entschuldigung, II, hrsg. v. A. Eser u. G. Fletcher, Freiburg i. Br., 1988, 795 s.
587 Per uno schema di sintesi della struttura dell’ “offense” v. ESER, Justification and Excuse, cit., 61 ss., il quale osserva altresì (p. 21 ss.) che la comparazione relativa alla struttura del reato è resa difficile dal fatto che, mentre nei sistemi penali influenzati dalla dogmatica tedesca si ha una nozione di reato in cui i vari elementi sono strutturati su diversi livelli valutativi, ciò non varrebbe per la common law, dove actus reus, mens rea e defences sono sullo stesso piano. In argomento v. anche HASSEMER, Rechtfertigung und Entschuldigung im Strafrecht, cit., 179, il quale rileva che la ragione per cui nell’ambito di un sistema di diritto penale è o meno necessaria una distinzione tra antigiuridicità e colpevolezza dipende dalla nozione di reato in esso accolta: “Ich unterscheide eine “analytische” und eine “ganzheitliche” Struktur des Verbrechensbegriff. Eine Differenzierung von Rechtswidrigkeit und Schuld wird sich nur dann anbieten, wenn der Verbrechensbegriff analytisch strukturiert ist”.
588 V. FLETCHER, op. cit., 796 s. 589 Cfr. CADOPPI A., voce «Mens rea», in Digesto disc. pen., vol. VIII, Torino
(UTET), 1992, 618.
ADEMPIMENTO DEL DOVERE E ORDINE CRIMINOSO IN ALTRI ORDINAMENTI
209
apparenza con la dicotomia italiana che distingue gli elementi del reato in
oggettivi e soggettivi” 590.
Ciò premesso, in termini generali (e tenuto conto delle differenze tra i
diversi Paesi) si può comunque dire che nei sistemi di common law – e, come
meglio si dirà nel prossimo capitolo, anche nel diritto internazionale penale - si
utilizza la nozione di “defences” (o “defenses” nella terminologia statunitense) per
indicare genericamente i fattori che escludono la responsabilità penale. Si tratta di
un concetto ampio ed indifferenziato che raggruppa, al suo interno, esimenti tra
loro eterogenee, senza alcuna distinzione tra cause di esclusione
dell’antigiuridicità e cause di esclusione della colpevolezza.
Il termine “defence” ha innazitutto un significato di natura prettamente
processuale, in quanto indica “la difesa in genere”. Si parla invero di “claims and
defences” per indicare le azioni e le eccezioni o difese591: in senso ampio sono
dunque defences tutti gli argomenti che l’imputato può addurre a propria difesa
per confutare l’accusa mossa a suo carico592. Si tratta pertanto di una terminologia
che denota un’elaborazione dei concetti giuridici strettamente funzionale alla
pratica processuale nell’ambito della dialettica accusa-difesa593. La mancata
differenziazione da parte dei giuristi di common law tra le diverse defences è
soprattutto legata al fatto che, qualora la defence sia invocata con successo, il
590 Così VINCIGUERRA, Diritto penale inglese comparato I principi, Padova, 2002,
201 ss., al quale si rinvia per un approfondiemento delle nozioni di actus reus e mens rea nel diritto inglese. Per il diritto statunitense v. BASSIOUNI M. CHERIF, Diritto penale degli Stati Uniti d’America, Milano, 1985, 197 ss.
591 DE FRANCHIS F., Dizionario giuridico, inglese-italiano, Milano, 1984, 627. 592 V. GRANDE E., Justification and excuse (la cause di non punibilità nel diritto
anglo-americano), in Digesto disc. pen., vol. VII, 1993, 310 ss. Secondo ESER, “Defences”, cit., 201, l’ampiezza della nozione di “defence” comporta una certa “conceptual emptiness and lack of structure”: il termine defence non rivela infatti nulla della intrinseca ratio o degli elementi strutturali della causa di esclusione della punibilità.
593 VINCIGUERRA, Diritto penale inglese comparato. I principi, cit., 202.
ADEMPIMENTO DEL DOVERE E ORDINE CRIMINOSO IN ALTRI ORDINAMENTI
210
risultato (sia che si tratti di justification che di excuse) è comunque un verdetto di
“not guilty”594.
Con precipuo riferimento al diritto inglese, si è posto in evidenza come la
trattatistica più risalente raggruppi nella categoria “magazzino” delle “defences”
diverse situazioni “alcune delle quali corrispondono alle nostre scriminanti, altre
all’errore sul fatto e sui mezzi di esecuzione del reato, altre ancora alle nostre
cause di esclusione dell’imputabilità.”595. Nel diritto statunitense il termine
“defense” è comunemente impiegato per indicare “any set of identifiable
conditions and circumstances that may prevent convitiction for an offense”596.
Si parla inoltre di “general defences” riferibili a tutti i reati (o,
quantomeno, ai più importanti), in contrapposizione alle “special defences”
applicabili soltanto ad alcuni reati597.
594 SMITH J.C., Justification and excuse in the criminal law, London, 1989, 7, il
quale rileva che la distinzione tra le due categorie era peraltro anticamente riconosciuta nella common law: infatti, solo nel caso in cui l’omicidio fosse excusable (e non anche nel caso in cui l’omicidio fosse justifiable) i beni dell’omicida venivano confiscati. Con l’abolizione della confisca nel 1828, la distinzione tra justification e excuse è stata abbandonata.
595 VINCIGUERRA S., Diritto penale inglese comparato, cit., 202 ss., il quale rileva che nella categoria si fanno rientrare anche quelle situazioni, che non sono fattori di esclusione del reato e che hanno il più limitato effetto di determinare la sua derubricazione (si tratta della diminished responsibility e della provocation le quali, nel diritto inglese, hanno l’effetto di degradare il murder in manslaughter). In Irlanda è discusso il metodo di classificazione delle diverse cause di esclusione della punibilità nell’ambito della categoria generale delle defences: v. BALESTRIERI D. – GIRALDI C., Introduzione allo studio del diritto penale irlandese. I principi, Padova, 2000, 83 ss. Anche nel diritto scozzese è possibile parlare di defences, riferendosi a quel complesso di ipotesi nelle quali viene meno la punibilità del fatto: v. CADOPPI A. – McCALL SMITH A., Introduzione allo studio del diritto penale scozzese, Padova, 1995, 253 ss.
596 ROBINSON P., Criminal law defenses, vol. I, St. Paul (Minnesota), 1984, 70. V. anche BASSIOUNI, Diritto penale degli Stati Uniti d’America, cit., 251 s., il quale fa riferimento alla generale categoria delle “legal defenses”, all’interno della quale individua quattro gruppi, privi di fondamento logico comune: 1. condizioni che escludono l’esistenza di uno o più elementi del reato; 2. condizioni che esonerano l’imputato dalla responsabilità penale anche se sussistono tutti gli elementi costitutivi del reato; 3. condizioni che giustificano l’esecuzione di un atto altrimenti criminoso; 4. concessioni legali per le quali, anche se è stato commesso un reato, la giustizia non deve far ricorso all’imposizione di una sanzione penale.
597 V. CLARKSON C.M.V. – KEATING H.M., Criminal law: text and materials,
ADEMPIMENTO DEL DOVERE E ORDINE CRIMINOSO IN ALTRI ORDINAMENTI
211
Di recente, sotto l’influenza della dottrina continentale, vi sono stati alcuni
raffinamenti nella sistematica della parte del reato concernente le defences598 e si è
registrata la tendenza dei common lawyers ad una maggiore riflessione circa la
natura delle justifications e delle excuses599. In ogni caso, il panorama dottrinale
resta piuttosto variegato600: non è pertanto agevole inquadrare ogni singola
defence nell’una o nell’altra categoria601.
In estrema sintesi, si può dire che per “justifications” si intendono quei
fattori che escludono la wrongfulness (antigiuridicità, ingiustizia) della
condotta602: la condotta giustificata è legittima, o almeno permessa, in quelle
circostanze603. Con il termine “excuses” si indicano invece quei fattori che, pur
lasciando wrongful la condotta del soggetto la «scusano» per la presenza di
elementi del fatto relativi alla sua persona o circostanze inerenti alla sua persona,
London, 1998, 277, in cui si precisa peraltro che non tutte le general defences sono invocabili in relazione a tutte le offences (ad es. la duress non lo è per il murder); SMITH J.C. – HOGAN B., Criminal law, London, 2002, 229; VINCIGUERRA, op. ult. cit., 202.
598 Così VINCIGUERRA, op. ult. cit., 203. 599 FLETCHER, op. cit., 797. 600 V. sul punto SMITH -HOGAN, Criminal law, cit., 229, i quali, in riferimento al
diritto inglese, precisano inoltre che “any attempt to categorize defences as justifications or excuses would, in the present state of the law, be premature”.
601 Per una panoramica delle diverse teorie accolte nel diritto anglo-americano si rinvia CLARKSON – KEATING, Criminal law, cit., 278 ss. Non manca perlatro chi, pur riconoscendo l’utilità concettuale della distinzione, afferma che non sarebbe corretto classificare ciascuna defence come una justification o come una excuse, e ciò perchè le definizioni legali delle defences non sono state costruite avendo a mente la classificazione justification-excuse: così HERRING J. – CREMONA M., Criminal law, Houndmills, 1998, 269.
602 VINCIGUERRA, Diritto penale inglese comparato, cit., 203 s.; 2 WILLIAMS G., The theory of excuses, in Criminal law Review, 1982, 732 s.: “a defence is justificatory (for the purpose of the criminal law) whenever it denies the objective wrongness of the act...Normally a justification is any defence affirming that the act, state of affair or consequences are, on balance, to be socially approved, or are matters about which society is neutral”. Secondo FLETCHER G., The right and the reasonable, in in AA.VV., Rechtfertigung und Entschuldigung, I, hrsg. v. A. Eser u. G. Fletcher, Freiburg i. Br., 1987, 76 s. , “claims of justification concern the rightness, or at least the legal permissibility, of an act that nominally violates the law”: l’A. include nella categoria cause quali la legittima difesa e il consenso.
603 ASHWORTH A., Principles of criminal law, Oxford, 2003, 97 s.
ADEMPIMENTO DEL DOVERE E ORDINE CRIMINOSO IN ALTRI ORDINAMENTI
212
come, ad es., l’infermità mentale”604: le excuses riguardano dunque la “personal
culpability” dell’agente605. In proposito si è precisato che “in determining whether
a conduct is justified, the focus in on the act, not the actor...The focus in excuses
is on the actor. Acts are justified; actors are excused”606.
La distinzione è rilevante anche sul piano delle conseguenze giuridiche:
mentre infatti le justifications si comunicano agli altri concorrenti nel reato, le
excuses operano solo a favore del soggetto al quale si riferiscono607. Inoltre,
generalmente si ritiene che sia legittimo resistere ad un aggressore nell’ipotesi in
cui l’aggressione sia scusata ma non anche nel caso in cui l’aggressione sia
giustificata608.
Si tratta ora di porre al vaglio le considerazioni generali svolte sulle
defences e sulla distinzione tra justifications e excuses alla luce di un più puntuale
604 VINCIGUERRA, Diritto penale inglese comparato, cit., 203 ss., il quale pone in
evidenza che, se si vuole oprerare un confronto con le categorie elaborate in seno alla dommatica tedesca, si può affermare che le excuses corrispondono più alla categoria delle Schuldausschliessungsgründe (cause di esclusione della colpevolezza) che a quella Entschuldigungsgründe (scusanti in senso stretto) o, forse più esattamente, corrispondono alla somma delle due categorie. In sostanza, secondo l’A., nel diritto inglese, nella categoria delle justifications rientrano soltanto situazioni coincidenti con quelle che, nel nostro ordinamento, vengono definite scriminanti, mentre la categoria delle excuses presenta un contenuto più ampio e composito, giacché vi rientrano, oltre a qualche scriminante come la duress, anche l’errore sul fatto ed i fattori che escludono la capacità di formare la mens rea.
605 Così FLETCHER , The right and the reasonable, 77 ( il quale annovera tra le excuses l’infermità mentale, l’intossicazione involontaria, la duress, l’errore di diritto). Secondo ASHWORTH, Principles of criminal law, cit., 97, “the act is wrongful, but the defendant is excused on account of his lack of culpability at the time”. V. anche CLARKSON – KEATING, Criminal law, cit., 280 , secondo i quali “a defence is excusatory when a wrongful, unjustified act has been committed, but, because of the excusing circumstances, the wrongdoer is not morally to blame for committing that act”.
606 ROBINSON P., Criminal law defenses: a systematic analysis, in Columbia Law Review, 1982, 229. La distinzione tra justifications e excuses è di recente penetrata anche nell’ambiente dottrinale scozzese (v. CADOPPI - McCALL SMITH, op. cit., 254 s.) e irlandese (BALESTRIERI – GIRALDI, Introduzione allo studio del diritto penale irlandese, cit., 84 s.). In Canada, la distinzione è accolta sia dalla dottrina che nella giurisprudenza della Corte Suprema (v. PRADEL, Droit pénal comparé, cit., 325).
607 V. ALLEN M.J., Textbook on criminal law, London, 1997, 151. 608 Sul punto v. SMITH - HOGAN, Criminal law, cit., 228. ROBINSON, Criminal
law defenses, cit., 274.
ADEMPIMENTO DEL DOVERE E ORDINE CRIMINOSO IN ALTRI ORDINAMENTI
213
esame della defence of superior order in alcuni ordinamenti di common law, che,
come si vedrà, presentano non irrelevanti differenze. In particolare, non è fuori
luogo inziare l’indagine dal diritto inglese che rappresenta “il diritto di common
law per antonomasia, la «culla» della common law, che poi si è diffusa in molti
altri paesi”609; tra questi ultimi vengono innanzitutto in considerazione il diritto
scozzese e il diritto irlandese, come primo banco di prova per sperimentare
differenze ed analogie tra sistemi simili ma non identici.
Una trattazione a parte merita invece l’ordinamento statunitense, il quale,
in ragione di una maggior distanza (non solo geografica ma anche culturale e di
assetto costituzionale), offre una più articolata e diversa soluzione, sul piano
teorico e pratico, al problema della rilevanza dell’obbedienza all’ordine
criminoso.
2. L’esecuzione dell’ordine nel diritto inglese, scozzese e irlandese.
La mancanza di un’opera di sistematizzazione della materia delle
scriminanti, da parte della dottrina inglese610, comporta l’inesistenza in Inghilterra
di categorie generali quali l’adempimento del dovere611.
Peraltro molte delle ipotesi che corrispondono all’adempimento del
dovere, così come inteso nel nostro ordinamento, rientrano nella nozione di public
authority: è il caso, ad es., dell’esecuzione di un arresto legale612.
609 CADOPPI A., Rapporti tra i vari sistemi penali coesistenti nel Regno Unito, in
Diritto penale XXI secolo, 2002, n. 1, 44. 610 Si parla di diritto penale inglese, distinto da quello scozzese (oltre che da quello
nordirlandese) e non, più in generale, di un diritto penale britannico, giacché il Regno Unito ingloba diversi ordinamenti. Invero, se il sistema giuridico dell’Inghilterra coincide con quello del Galles, il diritto della Scozia e quello dell’Irlanda del Nord differiscono da quello dell’Inghilterra. Per gli opportuni approfondimenti circa le diversità tra gli ordinamenti presenti nel Regno Unito si rinvia a CADOPPI, Rapporti tra i vari sistemi penali coesistenti nel Regno Unito, cit.; VINCIGUERRA, Diritto penale inglese, cit., 57 ss.
611 GRANDE, op. cit., 322. 612 V. sul punto GRANDE, op. loc. cit., la quale in proposito precisa che è
considerato legale qualunque arresto su warrant (mandato del giudice) anche sostanzialmente illegittimo: pertanto solo la mancanza di un requisito formale del mandato, tale non poterlo qualificare come warrant (ad. es. mancanza della firma) renderà l’arresto illegittimo.
ADEMPIMENTO DEL DOVERE E ORDINE CRIMINOSO IN ALTRI ORDINAMENTI
214
Per quanto concerne più specificamente l’ordine gerarchico (superior
order), esso non è disciplinato dalla legge scritta e si esclude che possa rientrare
tra le defences ammesse nella common law613. In linea di principio, dunque, il
subordinato non può invocare l’obbedienza all’ordine del superiore, qualora tale
ordine sia criminoso614.
Non sono numerose le sentenze su questo argomento, ma la House of
Lords nel 1995, nel caso Clegg, ha espressamente affermato che, nel diritto
inglese, agire in obbedienza all’ordine del superiore non costituisce una general
defence per il subordinato615. Negli stessi termini si è espresso altresì il Privy
Council nel 1994616.
613 VINCIGUERRA, Diritto penale inglese, cit., 386. 614 CLARKSON – KEATING, Criminal law, cit., 359; SMITH, Justification and
excuse, cit., 70. 615 R. v. Clegg [1995] CLR 418. V. anche il caso Howe and Bannister [1987] A.C.
417 (in cui l’ordine del superiore viene in considerazione unitamente alla duress), in cui Lord Hailsham affermò che il principio sancito nell’art. 8 dello Statuto di Norimberga, secondo cui l’aver agito per ordine del superiore non esclude la responsabilità penale dell’inferiore, ma tale circostanza può essere, per ragioni di giustizia, discrezionalmente considerata ai fini della riduzione della pena (v. infra cap. III), era “universally accepted, save for its reference to mitigation, as an accurate statement of the common law”. Tra i casi meno recenti cfr. R. v. Thomas [1866] 4 M. & S. 441, in cui un militare fu condannato per murder, commesso in esecuzione di un ordine formalmente legittimo del superiore. Per una efficace sintesi dei casi giurisprudenziali più risalenti in cui si è esclusa l’efficacia esimente dell’obbedienza all’ordine illegittimo del superiore nel diritto inglese v. GREEN L.C., Superior Orders in National and International Criminal Law, Leyden, 1976, 17 ss.
616 Si tratta del caso Yip Chiu-Chang [1994] 3 W.L.R. 514, in cui si affermò la responsabilità penale di un agente sotto copertura per “conspiracy” nel traffico di droga: il Privy Council ritenne l’insussistenza di una general defence of superior order, anche in considerazione del fatto che né la polizia, né la dogana, né altri membri dell’esecutivo hanno il potere di alterare i termini della Hong Kong Ordinance che considera illegittima l’esportazione di eroina.
ADEMPIMENTO DEL DOVERE E ORDINE CRIMINOSO IN ALTRI ORDINAMENTI
215
Si ritiene inoltre che ciò valga sia in ambito civile617 che in ambito
militare618. Per quanto riguarda specificamente i militari, nel Manual of Military
Law619 si precisa che un ordine illegittimo, anche se impartito da un competente
superiore al quale il subordinato è tenuto ad obbedire, e indipendentemente dal
fatto che l’ordine sia o meno manifestamente illegittimo, non può di per se stesso
scusare l’inferiore che lo esegue620. Inoltre, per i militari, il reato di disobbedienza
si realizza soltanto nel caso di mancata esecuzione di un ordine legittimo621.
Il fatto di aver agito per ordine del superiore potrà eventualmente venire in
considerazione sul piano del difetto di mens rea, perché il subordinato è incorso in
un errore di fatto o perché aveva il diritto di agire come ha agito (nei casi in cui
ciò può costituire una defence); quando l’accusa sia di negligence, l’obbedienza
all’ordine può dimostrare che l’inferiore ha agito ragionevolmente622. Non si
617 V. SMITH, Justification and excuse, cit., 70 ss., il quale, in relazione all’ordine
privato, afferma che “it is no answer for an employee who has done a criminal act to say that he was only obeying the instructions of his employer” e cita criticamente un caso civile (ma interessante anche dal punto di vista della criminal liability) del 1987 (R. v. Salford Health Authority ex p. Janaway), deciso dalla Civil Division della Court of Appeal, in cui si riteneva la segretaria alla quale fosse stato ordinato di scrivere una lettera per predisporre un aborto illegittimo “not guilty of aiding and abetting an abortion”. V. anche il caso Lewis v. Dickinson [1976] RTR 431, DC, relativo ad un ordine privato, in cui fu rigettata la defence di aver obbedito alle istruzioni del proprio datore di lavoro, sollevata da un ufficiale della sicurezza accusato di aver ostruito la strada per controllare tutti i veicoli che entravano nello stabile del suo principale.
618 SMITH – HOGAN, Criminal law, cit., 287. La House of Lords, nel citato caso Clegg, ha affermato che, in tema di defence of superior order, non vigono regole speciali per gli appartenenti alle Forze armate.
619 1972, Part. I, 156. 620 Va peraltro precisato che, nell’ordinamento inglese, il Manual of Military Law
non è fonte diretta di produzione del diritto, bensì viene utilizzato nell’ambito delle istituzioni militari come fonte per l’interpretazione del diritto vigente. Sul punto v. WATZEK J., Rechtfertigung und Entschuldigung im englischen Strafrecht, Freiburg i. Br., 1997, 283.
621 V., ad es., la Sec. 34 dell’ Army Act del 1955 il quale così recita: “Any person subject to military law who, whether wilfully or through neglect, disobeys any lawful command (by whatever means communicated to him) shall, on conviction by court-martial, be liable to imprisonment or any less punishment provided by this Act”. Nello stesso senso dispongono la Sec. 34 dell’Air Force Act del 1955 e la Sec. 12 del Naval Discipline Act del 1957.
622 Così SMITH – HOGAN, Criminal law, cit., 287; cfr. anche REED A. – SEAGO
ADEMPIMENTO DEL DOVERE E ORDINE CRIMINOSO IN ALTRI ORDINAMENTI
216
ritiene, invece, possibile che il subordinato possa andare esente da responsabilità
penale per aver ritenuto di obbedire ad un ordine legittimo a causa di un errore di
diritto, e ciò perché, nel diritto inglese, il mistake of criminal law anche se
inevitabile non scusa623.
Questo rigore nell’inammissibilità della defence in parola è criticato da
alcuni autori, soprattutto con riferimento ai militari. Si è in proposito sostenuto
che sarebbe auspicabile che le Corti applicassero il principio secondo cui gli
ordini militari non manifestamente criminosi possono dare luogo ad un errore di
diritto che dovrebbe essere rilevante624. Questa impostazione - che tiene conto
della difficile situazione in cui il militare opera e dello stringente dovere di
obbedienza che caratterizza la gerarchia militare - pare assolutamente
condivisibile, giacché non configura una justification per il militare esecutore
bensì costituisce una excuse fondata su un “reasonable mistake of law”. Non
sembrano pertanto accoglibili le critiche di qualche autore, il quale, un po’
semplicisticamente, ritiene che, riconoscendo il principio della manifest illegality
P., Criminal law, London, 2002, 287 s. e VINCIGUERRA, Diritto penale inglese comparato, cit., 386, il quale precisa inoltre che la discrezionalità dell’azione penale tempera le conseguenze a cui condurrebbe la mancanza della previsione di questa scriminante in regime di obbligatorietà dell’azione penale.
623 SMITH – HOGAN, Criminal law, cit., 262, secondo i quali “if mistake of law does not afford a defence where it is reasonable on other grounds, it should not, in principle, afford a defence because it is reasonable as arising from the orders of a superior”. V. anche WATZEK, Rechtfertigung und Entschuldigung im englischen Strafrecht, cit., 283 ss., il quale pone in evidenza che, nel diritto inglese, l’esecuzione dell’ordine illegittimo non ha alcuna efficacia scusante giacché rappresenta un’ipotesi particolare di errore di diritto che non rileva neppure se fondato su “reasonable grounds”. Nella case law v. il citato caso Thomas del 1816 in cui si affermò che non costituiva una defence per il reato di omicidio l’aver sparato nell’erronea convinzione di avere il dovere di eseguire l’ordine. In generale sul mistake of law nell’ordinamento inglese v. VINCIGUERRA, Diritto penale inglese comparato, cit., 355 ss. Sulla possibile rilevanza, sul piano applicativo, dell’errore di diritto scusabile v. anche GRANDE, op. cit., 314.
624 BROWNLEE I.D., Superior orders – Time for a new realism?, in Criminal Law Review, 1989, 411., il quale rileva che “it is in this way that the interests of justice, both for the individual soldier and for the wider civil society in which increasingly the soldier is becoming involved, will best be served”.
ADEMPIMENTO DEL DOVERE E ORDINE CRIMINOSO IN ALTRI ORDINAMENTI
217
si giunga a scusare – se non addirittura a giustificare – qualsiasi azione commessa
per ordine, quale ad es. la deliberata uccisione di persone innocenti625.
Secondo un’altra opinione sarebbe invece forse opportuno un trattamento
diverso per i soldati rispetto ai civili unicamente nei casi in cui i primi siano
impiegati in missioni militari o paramilitari, riconoscendo la defence nel caso in
cui il subordinato non fosse a conoscenza dell’illegittimità dell’ordine e sempre
che l’ordine non fosse manifestamente criminoso626.
A questo proposito è infine interessante notare che sussiste un precedente
sud-africano, in cui è stato riconosciuto il principio della manifesta criminosità. Si
tratta del caso Smith627 del 1900, relativo ad un omicidio commesso per ordine del
superiore in tempo di guerra, in cui si afferma che il soldato risponde per aver
eseguito l’ordine solo se l’ordine è così manifestamente illegale che egli avrebbe
dovuto rendersi conto della sua criminosità628.
Qualche breve cenno merita, in conclusione, la disciplina dell’esecuzione
dell’ordine dell’autorità nel diritto scozzese e irlandese.
Per quanto concerne il diritto scozzese, si è osservato, in dottrina, che la
tematica relativa al superior order risulta essere più approfondita rispetto ad altri
Paesi di common law, anche se i confini della defence non sono del tutto chiari629.
La dottrina più risalente riteneva fosse scusato l’inferiore che avesse eseguito un
ordine criminoso, in base al presupposto che egli aveva il diritto di confidare
nell’abilità e nell’attenzione del proprio superiore, ed anche perché l’inferiore
625 CLARKSON – KEATING, Criminal law, cit., 361, i quali precisano che sarebbe
comunque maggiormente “politically acceptable” configurare la defence of obedience to superior order come excuse.
626 SMITH – HOGAN, Criminal law, cit., 288. 627 Smith [1900] 17 SCR 561. 628 Nel caso Smith, il giudice Solomon J. affermò che “...it is a safe rule to lay down
that if a soldier honestly believes that he is doing his duty in obeying the commands of his superior, and if the orders are not so manifestly illegal that he must or ought to have known that they were unlawful, the private soldier would be protected by the orders of his superior officer”.
629 CADOPPI – McCALL SMITH, Introduzione allo studio del diritto penale
ADEMPIMENTO DEL DOVERE E ORDINE CRIMINOSO IN ALTRI ORDINAMENTI
218
sarebbe comunque incorso in un errore di fatto630. Altri autori, più di recente,
ravvisano invece in questo caso un’ipotesi di error of law631, il quale, in linea di
principio, non ha rilevanza scusante nel diritto scozzese632.
Si è peraltro posto in evidenza che la prassi scozzese – perlomeno in
riferimento a fatti commessi in guerra – pare accordare la defence a chi abbia
eseguito un ordine illegittimo salvo che quest’ultimo fosse manifestamente
criminoso633.
Si nega, infine, qualsiasi efficacia scriminante al private order, cioè
all’ordine impartito nell’ambito di un rapporto di subordinazione di tipo
privatistico634.
La questione relativa alla responsabilità del subordinato per l’esecuzione
di un ordine criminoso non è invece stata oggetto di particolare studio da parte dei
giuristi della Repubblica d’Irlanda635, non diversamente da quanto è accaduto nel
diritto inglese636. Anche nel diritto irlandese si nega che il superior order
costituisca una general defence nella common law637. Un’espressa affermazione
del principio della manifesta illegittimità è peraltro riscontrabile nel caso Keighley
v. Bell del 1866 (relativo ad un arresto illegittimo), laddove il giudice Willes
affermò che un ufficiale o un soldato “acting under the orders of his superior –
scozzese, cit., 296.
630 HUME D., Commentaries on the Law of Scotland Respecting Crimes, vol. I, 1844 (rist. 1986), 53 ss.
631 GORDON G.H., The criminal law of Scotland, Edinburgh, 1978, 442. 632 Sul punto v. CADOPPI – McCALL SMITH, op. cit., 272 ss. 633 CADOPPI – McCALL SMITH, op. cit., 296. 634 GORDON, op. cit., 445. 635 BALESTRIERI – GIRALDI, Introduzione allo studio del diritto penale irlandese,
cit., 113. In Europa, i sistemi penali che trovano la loro fonte culturale nel pensiero giuridico-penale sviluppatosi in seno alla common law sono quattro: inglese, scozzese, nord-irlandese e irlandese (v. VINCIGUERRA, Diritto penale inglese comparato, cit., 45).
636 Va peraltro precisato che, in generale, l’ordinamento irlandese presenta notevoli affinità con quello inglese, soprattutto per quanto attiene alla common law (intesa come legge non scritta), e ciò in considerazione del fatto che solo in tempi relativamente recenti l’Irlanda ha ottenuto l’indipendenza politica dalla Gran Bretagna: v. BALESTRIERI – GIRALDI, op. cit., 1 ss.
ADEMPIMENTO DEL DOVERE E ORDINE CRIMINOSO IN ALTRI ORDINAMENTI
219
not being necessarily or manifestly unlawful – would be justificated by his
orders”638.
3. L’adempimento del dovere nel diritto penale americano.
L’esimente dell’adempimento del dovere imposto ad un pubblico ufficiale
da una norma giuridica o da un ordine legittimo del magistrato viene, negli Stati
Uniti d’America, generalmente definita con il termine “public duty”639 o “general
public authority”640. Atti che altrimenti cadrebbero sotto la sanzione penale, sono
giustificati se commessi nell’adempimento di un dovere e compiuti secondo le
modalità prescritte dalla legge: è il caso, ad esempio, dell’arresto effettuato da un
pubblico ufficiale641. Il compimento di un dovere giuridicamente imposto esonera
dalla responsabilità penale perché queste funzioni comportano un’immunità legale
necessaria per la loro esecuzione: di conseguenza la defense si estende soltanto
all’esercizio ragionevole e corretto dei doveri imposti e non copre gli eccessi , gli
abusi e le violazioni connesse con le pubbliche funzioni642.
Affinché possa costituire una justification per l’agente, l’ordine deve
essere legittimo (lawful). Per quanto riguarda gli ordini illegittimi, il problema
dell’errore di diritto sulla legittimità dell’ordine (non militare) in cui sia incorso
l’esecutore è risolto in modo diverso nei differenti Stati643: in alcuni, infatti, la
637 ARCHBOLD, Criminal pleading, evidence and practice, 1997, 1556. 638 (1866) 4 F. & F. (Foster and Finlason’s Nisi Prins Reports) 763. Il caso è
riportato da BALESTRIERI – GIRALDI, op. cit.,114, i quali precisano che i precedenti citati dalla dottrina irlandese, relativi soprattutto ad ordini militari, risalgono ad epoca precedente all’indipendenza e sono dunque casi inglesi.
639 Così GRANDE, Justification and excuse, cit., 332. 640 V. ROBINSON, Criminal law defenses, cit., vol. II, 215, che inquadra la public
authority nella categoria delle justifications. 641 BASSIOUNI, Diritto penale degli Stati Uniti d’America, cit., 257. 642 V. BASSIOUNI, op. ult. cit., 258. Nella case law si è in proposito precisato che la
condotta deve rientrare tra le funzioni dell’agente e deve essere necessaria e proporzionata alla protezione degli interessi in gioco: v. State v. Stoher, 134 Wis2d 66, 396 N.W.2d 177 (1986).
643 Non va infatti dimenticato che negli Stati Uniti d’America esistono due fasce di
ADEMPIMENTO DEL DOVERE E ORDINE CRIMINOSO IN ALTRI ORDINAMENTI
220
supposizione erronea, anche se colpevole, giustifica l’agente; in altri acquista
rilevanza soltanto una supposizione erronea incolpevole; in altri ancora il
momento soggettivo è comunque irrilevante o perché l’ordine illegittimo non
scusa mai o, al contrario, nel senso che scusa sempre quantunque l’agente si fosse
rappresentato la sua illegittimità644.
La disciplina dell’ordine gerarchico militare, e in particolare dell’ordine
militare illegittimo (criminoso), merita qualche considerazione a parte. Invero,
anche se il rapporto gerarchico può sussistere sia per il personale militare che per i
civili, il dilemma relativo all’ampiezza del dovere di obbedienza, soprattutto per
quanto riguarda l’ordine unlawful, è molto più presente nel contesto militare645.
Non va comunque dimenticato che molte jurisdictions americane646
giustificano la condotta dei militari in base alla defense della general public
authority, con ciò accomunandoli ai pubblici dipendenti (non-military public
employee): questo approccio è stato peraltro criticato in base alla considerazione
che non tiene conto del fatto che i public servants hanno una maggiore
discrezionalità nell’agire e su di loro non incombe la minaccia di una severa
punizione per la disobbedienza647.
sistemi penali: quello federale e quelli statali. Il sistema penale federale si occupa di alcune materie specifiche e degli illeciti “interstatali”; quelli statali di ogni materia connessa col diritto penale. Ogni singolo Stato ha dunque piena competenza penale e un diverso diritto penale, anche se le differenze sono talora limitate e anche se molti codici penali si sono adeguati in gran parte al Model Penal Code del 1962 (v. CADOPPI, Rapporti tra i vari sistemi penali, cit., 55; ROBINSON P. – DUBBER M.D., Introduzione al Model Penal Code, in Diritto penale XXI secolo, 2003, 1). In estrema sintesi, si può affermare che le fonti del diritto penale statunitense sono: la Costituzione degli Stati Uniti; il diritto consuetudinario penale, così come è stato tramandato dalla common law inglese all’epoca del colonialismo e poi sviluppato, per via giurisprudenziale e statutaria, nei vari Stati; le leggi penali federali; le leggi penali dei singoli Stati. Per approfondimenti sul sistema delle fonti del diritto penale americano si rinvia a BASSIOUNI, Diritto penale degli Stati Uniti d’America, cit., 1 ss.
644 Per questa sintesi v. GRANDE, op. cit., 332. 645 BAKKER J.L., The defense of obedience to superior orders: the mens rea
requirement, in American Journal of Criminal Law, 1989-90, vol. 17, 55 s. 646 V. ad es. lo Stato del Colorado (Colo.Rev.Stat., § 18 -1-701 del 1978).
ADEMPIMENTO DEL DOVERE E ORDINE CRIMINOSO IN ALTRI ORDINAMENTI
221
3.1. Le fonti in tema di obbedienza all’ordine gerarchico militare.
Prima di esaminare la disciplina dell’ordine gerarchico, è necessario
premettere qualche breve cenno sulle fonti del diritto penale militare americano.
Così come il diritto penale comune648, anche il sistema delle fonti del
diritto penale militare si articola in fonti-atto, quali la Costituzione, gli Acts o
Statutes del Congresso e gli State Statutes promananti dall’organo legislativo di
ciascuno Stato, e in fonti tipiche dei Paesi di common law (case law). A queste
fonti se ne aggiunge un’altra del tutto peculiare dell’ordinamento militare: si tratta
dei military orders del Presidente, i quali sono, in sostanza, ordini esecutivi
(executive orders) impartiti dal Presidente in qualità di organo di vertice
dell’ordinamento militare.
Nel 1950 il Congresso ha approvato l’Uniform Code of Military Justice
(UCMJ), che ha raccolto ordinatamente le norme di origine congressuale in
materia di giustizia militare già vigenti al momento della sua approvazione: si
tratta in sostanza di una fonte di cognizione non innovativa649. Gli executive
orders del Presidente sono invece raccolti nel Manuale per le corti marziali
(Manual for Courts Martial, MCM), il quale costituisce un vero e proprio
prontuario, di uso comune per i pratici statunitensi, che raccoglie il diritto penale
militare, sia sostanziale che processuale, che trova fonte negli ordini esecutivi
presidenziali. L’MCM è dunque una importante fonte di cognizione del diritto
penale militare promanante dall’autorità presidenziale, così come l’Uniform Code
647 ROBINSON, Criminal law defenses, cit., vol. II, 210. 648 V. supra par. prec. 649 Attualmente l’UCMJ occupa le sezioni 801-946 del titolo 10 di una ben più vasta
compilazione, anch’essa predisposta con finalità sistematoria, che prende il nome di U.S. Code. Il Code Committee deve sottoporre almeno annualmente una relazione alle Commissioni sulle forze armate del Senato e della Camera, formulando tutte le osservazioni ritenute appropriate, comprese eventuali proposte di modifica dell’UCMJ.
ADEMPIMENTO DEL DOVERE E ORDINE CRIMINOSO IN ALTRI ORDINAMENTI
222
of Military Justice lo è del diritto penale militare derivante dall’esercizio del
potere legislativo congressuale650.
3.2. I requisiti di legittimità dei military orders e il dovere di
obbedienza.
Per quanto riguarda nello specifico il “superior order”, la dottrina
americana ha affermato la configurabilità di una justification defense fondata sulla
military authority: la giustificazione può derivare da un ordine legittimo del
superiore (lawful military order), oppure direttamente dalla legge che disciplina le
Forze armate o la condotta da tenere in tempo di guerra651. In questo secondo
caso la military authority non differisce dalla general public authority di cui si è
detto nel paragrafo precedente652. Più complessa è invece la questione
concernente l’esecuzione di uno specifico superior order.
Il principio generale affermato è quello secondo l’esecuzione dell’ordine
legittimo è una justification per il subordinato militare653.
L’ordine militare consiste in un comando, impartito oralmente, per iscritto
o con altro mezzo, che impone al militare di tenere un determinato
comportamento654. Per essere legittimo l’ordine deve innanzitutto essere emanato
da un superiore competente, che abbia cioè l’authority per impartirlo655. Inoltre,
l’ordine deve attenere al dovere militare o al servizio (military duty o service).
Come è stato affermato nella case law, il military duty include tutte quelle attività
ragionevolmente necessarie per compiere una missione militare, o per
650 Sulle fonti del diritto penale militare statunitense v. anche NILL – THEOBALD,
“Defences” bei Kriegsverbrechen am Beispiel Deutschlands und der USA, cit., 136 ss. 651 V. ROBINSON, Criminal law defenses, cit., vol. II, 207. 652 V. sul punto ROBINSON, op. ult. cit., 208. 653 Per tutti, ROBINSON, op. ult. cit., 209. 654 DAVIDSON M.J., A guide to military criminal law, Annapolis (Maryland), 1999,
68. 655 Sul punto v. SCHLUETER D.A., Military criminal justice. Practice and
ADEMPIMENTO DEL DOVERE E ORDINE CRIMINOSO IN ALTRI ORDINAMENTI
223
salvaguardare o promuovere il morale e la disciplina dei membri del consorzio
militare, e che sono direttamente connesse al mantenimento del buon ordine nel
servizio656. L’ordine non deve, infine, essere in conflitto con i diritti costituzionali
del soldato, quale il diritto di manifestazione del pensiero657 o il diritto di
difesa658. In taluni casi si è espressamente affermato che l’ordine non deve essere
in contrasto con la Costituzione o con gli Statutes 659.
L’ordine formalmente e sostanzialmente legittimo è vincolante e fa sorgere
il dovere di obbedienza penalmente sanzionato: i reati di disobbedienza previsti
nello UCMJ si realizzano infatti soltanto qualora vi sia la mancata esecuzione di
un lawful order660. Del resto, che i militari abbiano il dovere di obbedire soltanto
ad ordini legittimi emerge anche dal Field Manual del Department of the Army
procedure, Charlottesville (Virginia), 1999, 71.
656 Cfr., ad es., US v. Chadwell, 36 C.M.R. 741 (1963): “A general order is in fact lawful if it is reasonably necessary to safeguard the morale, discipline and usefulness of the members of the command which are directly connected with maintenance of good order or discipline in the service, and do not conflict with the Constitution, a Statute or the lawful order of a superior”. Nello stesso senso US v. Martin, 5 C.MR. 102 (1952); US v. Smith, 25 M.J. 545 (1987). Le corti militari hanno ritenuto la sussistenza del reato di disobbedienza per non avere eseguito un ordine attinente al military duty in una grande varietà di casi: ad es., per aver disobbedito all’ordine di portare le mostrine militari (in Washington Post, 25 January 1996, 21), di non consumare alcool (US v. Blye, 37 M.J.92 , C.M.A. 1993), di presentare la carta di indentificazione militare (US v. McLaughlin, 14 M.J. 980, N.M.C.M.R. 1982), di non indossare abiti civili (US v. Yunque-Burgos, 3 C.M.A. 498, 1953), di fare la doccia (US v. Horner, 32 M.J. 576, C.G.C.M.R., 1991), di non indossare orecchini (ordine rivolto a militari di sesso maschile: US v. Lugo, 54 M.J. 558, N.M. Ct.Crim.App. 2000).
657 V., ad es., US v. Priest, 21 C.M.A. 564 (1972), in cui è venuto in considerazione il diritto dei militari di protestare contro la guerra in Vietnam.
658 US v. Nieves 44 M.J. 96 (1996), relativo all’ordine rivolto all’accusato di non conferire con i testimoni.
659 V. US v. Chadwell, cit. 660 Cfr. Art. 90 UCMJ: “Any person subject to this chapter who... (2) willfully
disobeys a lawful command of his superiror commissioned officer shall be punished, if the offense is committed in time of war, by death or such other punishment as a court-martial may direct, and if the offense is committed at any time, by such punishment, other than death, as a court-martial may direct.”; Art. 92 UCMJ: “Any person subject to this chapter who (1) violates or fails to obey any lawful general order or regulation; (2) having knowledge of any other lawful order issued by a member of the armed forces, which it is his duty to obey, fails to obey the order; or (3) is derelict in the performance of his duties, shall be punished as a court-martial may direct”. Per un commento agli articoli dello UCMJ concernenti la
ADEMPIMENTO DEL DOVERE E ORDINE CRIMINOSO IN ALTRI ORDINAMENTI
224
del 1956 (Law of Land Warfare)661, relativo ai crimini di guerra, laddove, al par.
509 b, si afferma che i “members of the armed forces are bound to obey only
lawful orders”.
3.3. L’ordine illegittimo. La responsabilità penale dell’inferiore per
l’esecuzione dell’ordine criminoso: a) nella statute law.
Sul piano oggettivo l’ordine illegittimo, nel diritto americano, non è
vincolante662. D’altra parte, l’esecuzione dell’ordine criminoso non sempre dà
luogo a responsabilità penale per il subordinato.
In generale si può dire che opera la presunzione di legittimità dell’ordine
ricevuto663. Tale presunzione viene meno unicamente nel caso in cui l’ordine è
“palpably” o “obviously” illegal664, nel qual caso l’ordine deve essere
disobbedito665. Non è chiaro peraltro se nel caso in cui l’ordine sia criminoso ma
non manifestamente sussista o meno un vero e proprio dovere di disobbedienza in
capo all’inferiore666.
disobbedienza si rinvia a SCHLUETER, Military criminal justice, cit., 70 ss.
661 Department of the army field manual (FM 27-10), The law of land warfare, 1956: si tratta di un manuale che non ha forza di legge ma che è ricognitivo dei principi di diritto vigenti in tema di crimini di guerra.
662 V. KEJZER N., Military Obedience, Alphen aan den Rijn, 1978, 222; NILL-THEOBALD, “Defences”, cit., 139.
663 V. US v. Austin, 27 M.J. 227, 231-32 (C.M.A. 1988); US v. Stewart, 33 M.J. 519, 519 (A.F.C.M.R. 1991).
664 DAVIDSON, A guide, cit., 68. 665 DAVIDSON, A guide, cit., 68; DOMMER P., The problem of obedience to the
unlawful order under the aspect of national penal and international law of war, in Rev. dr. pén. mil. et dr. de la guerre, 1971, 308, il quale afferma che “...where, however, the subordinate could reasonably conclude that the superior’s order is one of such palpably criminal ciminal content, he is under a duty to disobey...”
666 Sul punto v. NILL-THEOBALD, “Defences”, cit., 140. DOMMER, op. cit., 308, non dà una risposta chiara sulla sussistenza di un dovere o piuttosto di una facoltà di non eseguire l’ordine criminoso non manifestamente tale, laddove afferma “Where the order, if obeyed would be a crime repugnant to the U.S. Constitution, Statute, or a violation of a general regulation, or other lawful order of which the subordinate had knowledge or where the order involves the performances of some act which on its face is illegal, as to admit of no
ADEMPIMENTO DEL DOVERE E ORDINE CRIMINOSO IN ALTRI ORDINAMENTI
225
Per quanto concerne la responsabilità per l’esecuzione dell’ordine
criminoso, nel caso in cui l’ordine sia manifestamente criminoso l’inferiore non
potrà beneficiare di alcuna defense.
Nella Statute law ciò emerge con chiarezza dalla regola 916d del già citato
Manual for Court Martial del 1994, mentre lo UCMJ non contiene alcuna
disposizione in proposito. La Rule 916 d del MCM così recita: “It is a defense to
any offense that the accused was acting pursuant to orders unless the accused
knew the orders to be unlawful or a person of ordinary sense and understanding
would have known the orders to be unlawful”. In sostanza, l’aver eseguito l’ordine
criminoso del superiore costituisce valida defense per il subordinato esecutore
tranne che in due ipotesi: se l’inferiore era a conoscenza dell’illegittimità
dell’ordine o se la criminosità dell’ordine era evidente. Il parametro per valutare
la manifesta criminosità è dato dall’uomo “of ordinary sense and understanding”,
in sostanza dall’uomo medio667.
Il citato Field Manual del Department of the Army del 1956668, al par. 509,
precisa innanzitutto che il fatto di aver commesso la violazione della legge di
doubt of its unlawfulness, or the act commanded violated customary law of war or Conventions, the subordinate is under no duty to carry out the order”.
667 Rileva NILL-THEOBALD, “Defences”, cit., 142, che la regola in questione coincide con la norma contenuta nel § 5 WStG tedesco (v. supra par. 1.4.). Pare peraltro che diverso sia il criterio per la valutazione della manifesta criminosità, giacché il § 5 prevede un parametro oggettivo temperato da componenti di tipo soggettivo.
668 V. par. 509: “Defense of superior orders. (a) The fact that the law of war has been violated pursuand to an order of a superior authority, whether military or civil, does not deprive the act in question of its character of a war crime, nor does it constitute a defense in the trial of an accused individual, unless he did not know and could not reasonably have been expected to know that the act ordered was unlawful. In all cases where the order is held not to constitute a defense to an allegation of war crime, the fact that the individual was acting pursuant to orders may be considered in mitigation of punishment. (b) In considering the question whether a superior order constitutes a valid defense, the court shall take into consideration the fact that obedience to lawful military orders is the duty of every member of the armed forces; that the latter cannot be expected, in condition of war discipline, to weigh scrupulously the legal merits of the orders received; that certain rules of warfare may be controversial; or that an act otherwise amounting to a war crime may be done in obedience to orders conceived as measure of reprisal. At the same time it must be borne in mind that members of the armed forces are bound to obey only lawful orders (e.g., UCMJ, art. 92)”.
ADEMPIMENTO DEL DOVERE E ORDINE CRIMINOSO IN ALTRI ORDINAMENTI
226
guerra in esecuzione di un ordine del superiore non priva l’atto del suo carattere di
crimine di guerra: da ciò pare di poter arguire che l’esecuzione dell’ordine non
può essere una justification per l’inferiore. Il par. 509 stabilisce inoltre che
l’obbedienza all’ordine non costituisce una defense per l’inferiore a meno che
costui non sapesse che l’ordine era criminoso e non ci si potesse ragionevolmente
aspettare da lui che conoscesse l’illegittimità dell’ordine. In ogni caso
l’esecuzione dell’ordine può essere presa in considerazione al fine di mitigare la
pena.
3.3.1. b) nella case law. In particolare, il caso Calley.
Per quanto concerne la case law, numerosi sono i casi relativi alla defense
of superior order.
Nel caso Kinder669, relativo ad un militare che aveva ucciso un prigioniero
per ordine del superiore durante la guerra di Corea, la Court of Military Review
affermò che il soldato “is not an automaton, but a reasoning agent” che ha il
dovere di controllare la legittimità degli ordini che riceve: se gli ordini sono così
“palpably illegal on their face” tali da non ammettere alcun ragionevole dubbio da
parte di un uomo di discernimento e intelligenza ordinari sulla loro illegittimità, la
defense of superior order non potrà essere invocata670.
Nel caso United States v. Griffen671, relativo alla guerra in Vietnam, il
sergente Walter Griffen aveva ucciso, su ordine del capo del plotone cui
apparteneva, un Vietcong prigioniero. Al processo, Griffen si difese sostenendo
che aveva soltanto eseguito un ordine, che egli riteneva fosse legittimo, spiegando
669 US v. Kinder 14 C.M.R. 742, 776 (AFBR 1954). 670 Tra i casi più risalenti cfr. Riggs v. State (43 Tenn. 85, 87-88, 1886) in cui si
stabilì che quando l’ordine è “clearly illegal” non costituisce una defense per il subordinato, ma si precisò altresì che l’ordine non manifestamente criminoso deve essere obbedito ed è una “protection” per l’esecutore; US v. Clark, 31 Fed. Rep. 710 (1887).
671 US v. Griffen 39 C.M.R. 596 (1968).
ADEMPIMENTO DEL DOVERE E ORDINE CRIMINOSO IN ALTRI ORDINAMENTI
227
altresì che la sicurezza dell’unità militare sarebbe stata messa in pericolo dal
mantenimento in vita del prigioniero, giacché il plotone si trovava in area ostile e
sotto il controllo dei Vietcong. La Corte militare d’appello confermò la sentenza
di condanna in primo grado della Court-martial, affermando che l’ordine emanato
dal leader del plotone era “obviously illegal on its face”.
Il leading case è sicuramente United States v. Calley672, concernente il
“massacro di My Lai”, durante la guerra del Vietnam. Il 16 marzo del 1968 un
gruppo di soldati americani fece irruzione nel villaggio vietnamita di My Lay
uccidendo centinaia di civili inermi, tra cui donne e bambini. Sia la Court of
Military Review che la Court of Military Appeals rigettarono la defense of
superior order invocata dal Lgt. Calley in considerazione del fatto che egli sapeva
o comunque avrebbe dovuto sapere che l’ordine era criminoso. Si affermò, infatti,
che gli atti compiuti da un subordinato in esecuzione dell’ordine del superiore
sono scusati e non danno luogo a responsabilità penale a meno che non ci sia la
positiva conoscenza della criminosità o comunque si tratti di un ordine che un
uomo di “ordinary sense and understanding”, nelle circostanze, avrebbe
riconosciuto come criminoso673. Il criterio per determinare la criminosità evidente
è dunque di tipo oggettivo674.
672 US v. Calley 46 C.M.R. 1131 (1972-73), 48 C.M.R. (1973-74) 19-33. Sul caso
Calley v. in particolare AMBOS K., Der allgemeine Teil des Völkerrechts. Ansätze einer Dogmatisierung, Berlin, 2002, 229 ss.; PAUST J.J., My Lai and Vietnam: norms, myths and leader responsibility, in Military Law Review, 58, 1972, 99 ss. Il caso Calley è pubblicato anche in Revue int. de droit pén. mil. et droit de la guerre, 1974, 93
67348 C.M.R. 19-27 (1973-74): “The acts of a subordinate done in compliance with an unlawful order given him by his superior are excused and impose no criminal liability upon him unless the superior's order is one which a man of ordinary sense and understanding would, under the circumstances, know to be unlawful, or if the order in question is actually known to the accused to be unlawful”.
674 Sul punto v. AMBOS, Der allgemeine Teil, cit., 232. Secondo OSIEL M.J., Obeying Orders. Atrocity, Military Discipline and the Law of War, New Brunswick, New Jersey, 1999, 76, la rilevanza dell’inciso “under the circumstances” introdurrebbe una regola diversa rispetto alla “manifest illegality rule”, in quanto non sarebbe necessario che l’illegittimità dell’ordine sia riconoscibile on its face. In realtà, il richiamo alle circostanze
ADEMPIMENTO DEL DOVERE E ORDINE CRIMINOSO IN ALTRI ORDINAMENTI
228
Riguardo alla possibilità che Calley fosse a conoscenza dell’illegittimità
dell’ordine (knowledge of unlawfulness) vennero presi in considerazione una serie
di parametri soggettivi (grado militare, età, educational background, esperienza,
ecc.) relativi all’accusato in particolare. La manifesta criminosità venne intesa
come criterio oggettivo sussidiario, nel caso in cui non fosse possibile ritenere,
oltre ogni ragionevole dubbio, che la criminosità era nota al Lgt. Calley675. La
Corte militare d’appello si soffermò altresì sul nesso tra l’obiezione della mancata
conoscenza della criminosità e l’errore di diritto. La Corte rigettò l’obiezione
affermando che se anche il Lgt. Calley fosse stato la persona più ignorante o,
all’opposto, la più intelligente della US Army, si doveva comunque presumere
che sapesse (“he must be presumed to know”) che non poteva uccidere dei civili
inermi: al tal proposito la Corte richiama altresì la giurisprudenza della Corte
Suprema, la quale afferma che la regola secondo cui “ignorance of the law will
not excuse ... is deep in our law”676. In sostanza, pare di poter ritenere che il fatto
che l’ordine fosse “palpably illegal” costituisca, nell’opinione della Corte, criterio
presuntivo di prova della conoscenza della illiceità penale da parte dell’accusato.
3.4. L’ordine “obviously” illegal. Rilievi conclusivi
In conclusione, è agevole notare che in tutti i casi sopra esaminati viene in
considerazione il general standard del “knew or should have known” (“sapeva o
avrebbe dovuto sapere”) e che il parametro impiegato per determinare la
manifesta criminosità è quello della persona di normale discernimento e
potrebbe essere inteso come un’integrazione del criterio oggettivo mediante una componente soggettiva.
675 Cfr. 48 C.M.R. 27 (1973): “Unless you find beyond reasonable doubt that the accused acted with actual knowledge that the order was unlawful, you must proceed to determine whether, under the circumstances, a man of ordinary sense and understanding would have known the order was unlawful...”
676 48 C.M.R. 27 (1973).
ADEMPIMENTO DEL DOVERE E ORDINE CRIMINOSO IN ALTRI ORDINAMENTI
229
intelligenza che, nelle medesime circostanze, avrebbe riconosciuto l’illegittimità
dell’ordine.
In sostanza, dal complesso delle fonti prese in esame emerge che
nell’ordinamento militare americano vige il principio della c.d. ammissibilità
condizionata della defense dell’ordine superiore e che, non diversamente da
quanto accade nel nostro ordinamento o in quello tedesco, l’inferiore risponde del
reato se è conoscenza della criminosità o se comunque l’illiceità penale è
manifesta677.
Se invece l’inferiore ritiene che un ordine, in realtà illegittimo, sia
legittimo non risponderà del reato commesso (salvo il limite della manifesta
criminosità)678.
L’obbedienza ad un ordine apparentemente legittimo è dunque una
defense per l’inferiore679. Il problema è ora quello di determinare se costui
benefici di una excuse o di una justification.
Si è in proposito osservato che l’obbedienza ad un “facially valid order”,
indipendentemente da quale sia il convincimento del militare in relazione alla
legittimità, potrebbe costituire una justification per l’inferiore, e ciò in
considerazione della necessità, particolarmente avvertita in seno al consorzio
militare, di mantenere la disciplina al fine di garantire l’efficacia e la prontezza
delle Forze Armate nell’assolvimento dei loro compiti: se i soldati fossero tenuti a
valutare la legittimità dell’ordine ricevuto ne conseguirebbe la paralisi dell’attività
delle Forze Armate680.
Pare peraltro più corretto ritenere che si sia in presenza di una excuse
fondata sulla “mistaken obedience of an unlawful order”681. Si tratta di una
677 In questo senso v. anche CLAKSON –KEATING, Criminal law, cit., 284. 678 LaFAVE W.R., Substantive criminal law, vol. II, Illinois, 2003, 86 s. 679 V. SHANOR C.A. – HOGUE L.L., Military law in a nutshell, St. Paul
(Minnesota), 1996, 208. 680 Per queste osservazioni v. ROBINSON, Criminal law defenses, cit., 211 ss. 681 L’espressione è di ROBINSON, op. ult. cit., 421.
ADEMPIMENTO DEL DOVERE E ORDINE CRIMINOSO IN ALTRI ORDINAMENTI
230
defense riconosciuta anche dalla maggior parte delle singole jurisdictions
americane, anche se in modo diverso682: in sostanza, per l’applicabilità della
scusante si richiede che l’inferiore non abbia riconosciuto la criminosità
dell’ordine ricevuto. Il problema è determinare se abbia efficacia scusante soltanto
l’errore reasonable (non–culpable) e se lo standard da applicare per valutare la
ragionevolezza o meno dell’errore debba essere più indulgente rispetto a quanto
valga in generale.
In proposito, da quanto è emerso dall’indagine condotta sulla case law e
sui principali manuali di diritto militare, il criterio per determinare la scusabilità
dell’errore è, seppur con diverse formulazioni, quello della criminosità evidente.
682 Molti Stati richiedono che l’erronea supposizione circa la legittimità dell’ordine
sia incolpevole e adottano il criterio della ragionevolezza dell’errore (v., ad es., la Pennsylvania , 18 PaCons.Stat.Ann. § 310: “does not know and cannot reasonably be expected to know”). Per una panoramica sulla disciplina nei vari stati degli U.S.A. si rinvia a ROBINSON, op. ult. cit., 421 ss.; GRANDE, Justification and excuse, cit. 332. Va peraltro segnalato che qualche Statuto dei singoli Stati segue l’indicazione del Model Penal Code e riconosce la sempre la defense tranne che nel caso in cui l’illegalità dell’ordine fosse nota al militare: ciò significa che l’obbedienza all’ordine scusa anche quando l’errore sia determinato da neglicence o recklessness dell’agente.
SOMMARIO: 1. Luoghi dell’obedience to superior order nelle fonti. - 2. Definizione
della categoria delle “defences” ai fini dell’inquadramento dell’obedience to superior order. 3. Il
dibattito dottrinale sull’ammissibilità (e in che limiti) della defence dell’ordine superiore nel diritto
internazionale penale. - 3.1. La teoria del respondeat superior. - 3.2. La teoria della absolute
liability. - 3.3. Il difetto di mens rea come causa di esclusione della responsabilità per il
subordinato esecutore: errore di diritto e compulsion. – 4. L’eccezione di ordini superiori nei
trattati e nella prassi dei Tribunali incaricati di giudicare le violazioni del diritto internazionale
penale. - 4.1. La defence of superior order nelle convezioni internazionali. – 4.2.. La disciplina
dell’obbedienza all’ordine superiore negli Statuti e nella prassi dei Tribunali internazionali. Il
rigetto del principio del respondeat superior. – 4.2.1. La repressione dei crimini di guerra alla fine
del primo conflitto mondiale. – 4.2.1.1. Il ruolo della manifesta criminosità nei processi c.d. di
Lipsia (1921). Il caso Llandovery Castle. – 4.2.2. L’obbedienza all’ordine come mera circostanza
attenuante negli Statuti dei Tribunali internazionali di Norimberga e Tokyo (1945). - 4.2.2.1. La
libertà di scelta (moral choice) come criterio per determinare la responsabilità dell’esecutore
dell’ordine. – 4.2.3. La prassi dei Tribunali militari alleati dopo il 1945. La rilevanza dell’ordine
superiore sul piano della compulsion o dell’errore di diritto. – 4.2.4. La considerazione
dell’obbedienza all’ordine ai fini della mitigazione della pena negli Statuti dei Tribunali
internazionali per i crimini commessi nella ex Jugoslavia (1993) e in Ruanda 1994). Il caso
Erdemovic- 4.2.5. La defence of superior order nello Statuto della Corte penale internazionale. Il
principio dell’irrilevanza dell’ordine come defence per se. – 4.2.5.1. La nozione di “superior
order”. – 4.2.5.2. La sussistenza della “legal obligation to obey”: il rinvio al diritto nazionale. –
4.2.5.3. La rilevanza dell’errore di diritto nei limiti della manifesta criminosità. La presunzione
assoluta di manifesta criminosità degli ordini di commettere genocidio o crimini contro l’umanità.
Critica. - 5. Il problema della configurabilità di una norma di diritto internazionale consuetudinario
sulla responsabilità dell’esecutore dell’ordine criminoso. - 5.1. La prassi delle Corti nazionali in
sede di repressione di gravi violazioni dei diritti dell’uomo. L’affermazione della responsabilità
del subordinato per l’esecuzione dell’ordine manifestamente criminoso.
L’ECCEZIONE DI ORDINI SUPERIORI NEL DIRITTO INTERNAZIONALE PENALE
234
1. Luoghi dell’obedience to superior order nelle fonti
La c.d. eccezione di ordini superiori è stata una delle defences683
maggiormente sostenute di fronte ai tribunali internazionali e nazionali trovatisi a
giudicare crimini di guerra o contro l’umanità, commessi da inferiori gerarchici in
ottemperanza ad ordini impartiti dai loro superiori684.
Il tema dell’obbedienza, nonostante sia strettamente collegato ad interessi
fortemente statalistici, relativi alla necessità di garantire l’efficienza e la prontezza
delle Forze armate, è altresì il luogo ideale in cui vengono ad interferire le diverse
valutazioni dell’ordinamento interno e dell’ordinamento internazionale: invero,
l’esperienza storica dimostra che spesso un ordine formalmente legittimo alla
stregua dell’ordinamento statuale risulta invece criminoso alla luce del diritto
penale sovranazionale685. E’ di immediata evidenza il potenziale conflitto tra
diritto internazionale e nazionale, qualora il primo stabilisca un divieto e il
683 Nel diritto internazionale penale, il termine “defences”, di matrice anglosassone e
di origine processuale, è utilizzato per indicare le esimenti. 684 Un’ampia trattazione in materia, con riferimenti anche alla prassi
giurisprudenziale, è contenuta in DINSTEIN, The defence of “obedience to superior orders” in international law, Leyden, 1965; FUHRMANN P., Das höhere Befehl als Rechtfertigung im Völkerrecht, München u. Berlin, 1963; MÜLLER-RAPPARD E., L’ordre supérieur militare et la responsabilité pénale du subordonné, Paris 1965; GREEN L.C., Superior Orders in National and International Criminal Law, cit.; KEJZER, Military Obedience, cit.; inoltre, più di recente, v. AMATI E., L’ordine del superiore, in AMATI E. – CACCAMO V.- COSTI M. – FRONZA E. – VALLINI A., Introduzione al diritto penale internazionale, Milano, 2006, 213 ss.; OSIEL, Obeying Orders. Atrocity, Military Discipline and the Law of War, cit.; DAVID E., Principes de droit des conflits armés, Bruxelles 1994, 658; GAETA P., The defence of superior orders: The Statute of the International Criminal Court versus customary international law, in European Journal of International Law, 1999, 172; GREEN L.C., Superior orders and command responsibility, in Canadian Yearbook of Int. Law, 1989, 167; LEVIE H., in Agora: Superior orders and command responsibility, in American Journal of Int. Law, 1986, 608; McCOUBREY H., From Nuremberg to Rome: restoring the defence of superior orders, in International and Comparative Law Quarterly, vol. 50, 2001, 386; PAUST J.J., Superior orders and command responsibility, in AA.VV., International Criminal Law, vol. I, ed. by BASSIOUNI M. Ch., Ardsley, New york, 1999, 223.
685 Cfr. PALAZZO, Corso, p. gen., cit., 359 s. Sulla delicata problematica relativa al crollo di un regime totalitario a cui segua un regime ispirato a principi opposti e all’ammissibilità della qualificazione a posteriori in termini di «diritto ingiusto» di ordini e
L’ECCEZIONE DI ORDINI SUPERIORI NEL DIRITTO INTERNAZIONALE PENALE
235
secondo imponga o consenta proprio quella condotta. Proprio in risposta a tale
potenziale conflitto il diritto internazionale penale686 ha sviluppato norme
specifiche sulla defence di obbedienza ad ordini superiori e responsabilità da
comando.
Invero, il diritto internazionale, sorto per regolare rapporti intercorrenti tra
Stati (e organizzazioni internazionali), ha incontrato non poche resistenze, da
parte delle sovranità nazionali, nel processo di formazione di un ordinamento
giuridico penale applicabile anche agli individui ed in grado di imporre
direttamente, senza passare attraverso il potere normativo statuale, regole alla
condotta degli individui. Le ragioni, storiche e politiche, di tale resistenza
emergono con particolare chiarezza, se si pone mente al ruolo fondamentale che
svolge la regolamentazione dell’adempimento dell’ordine criminoso, sia rispetto
all’organizzazione statale (in particolare militare) sia rispetto all’affermazione del
diritto internazionale penale.
In effetti, il superamento della teoria del respondeat superior nel diritto
internazionale penale - in base alla quale l’inferiore gerarchico va esente da
responsabilità per il reato commesso, per il solo fatto di aver obbedito ad un
ordine del superiore -, se da un lato non è altro che il corollario del principio della
comportamenti prima ritenuti doverosi, cfr. VASSALLI, Formula di Radbruch e diritto penale, cit. V. anche supra, cap. II, par. 1.7.
686 La letteratura in tema di diritto internazionale penale è ormai amplissima. V., per un primo approccio, MEZZETTI E., L’internazionalizzazione della legge penale, in RONCO M. (opera diretta da), Commentario sistematico al codice penal. La legge penale. Fonti, tempo, spazio, persone, vol. I, Bologna, 2006, 101 ss.; BORSARI R.., Diritto punitivo sovranazionale come sistema, Padova, 2007; AA.VV., International Criminal Law, vol. I, ed. by BASSIOUNI M. Ch., Ardsley, New york, 1999; AA.VV., Substantive and procedural Aspects of International Criminal Law. The experience of International and National Courts, Vol. I (Commentary), ed. by KIRK MCDONALD G., SWAAK-GOLDMAN O., The Hague, 2000; AMBOS, Der allgemeine Teil des Völkerrechts. Ansätze einer Dogmatisierung, cit.; BASSIOUNI M. Ch., Le fonti e il contenuto del diritto penale internazionale. Un quadro teorico, Milano, 1999; CARACCIOLO I., Dal diritto penale internazionale al diritto internazionale penale. Il rafforzamento delle garanzie giurisdizionali, Napoli, 2000; CASSESE A., International criminal law, Oxford, 2003; MANTOVANI, Diritto penale, cit., 983 ss.; VASSALLI G., La giustizia internazionale penale. Studi, Milano, 1995.
L’ECCEZIONE DI ORDINI SUPERIORI NEL DIRITTO INTERNAZIONALE PENALE
236
responsabilità individuale sul quale si fonda l’idea stessa di diritto internazionale
penale, dall’altro si è posto in contrasto con la pretesa degli Stati nazionali di
garantire la prontezza e l’efficienza delle Forze armate, storicamente anche
attraverso l’istituzione di rapporti gerarchici informati al principio
dell’obbedienza cieca, e la pretesa di mantenere il monopolio sulla potestà
punitiva per i crimini commessi dai propri soldati, come tratto caratteristico della
sovranità nazionale. In pari tempo, le istanze del diritto internazionale penale, che
ha come destinatari essenzialmente gli individui e la cui esecuzione si basa sulla
prassi dei sistemi di giustizia penale, mal si conciliano con i tradizionali processi
di formazione del diritto internazionale generale, i quali riflettono il delicato
equilibrio tra il principio di sovranità nazionale e la necessità di sottoporre a
regola i molteplici interessi reciproci degli Stati e della comunità
internazionale687.
La tendenza di alcuni Stati nazionali ad ampliare la sfera di operatività
della defence di ordini superiori, oltre ad essere dettata da ragioni di politica
militare ed internazionale, è supportata altresì da ragioni di “giustizia”, attinente
alla forma di Stato democratico e di diritto che caratterizza i principali paesi
occidentali .
In effetti, il frammentario ed eterogeneo sistema delle fonti del diritto
internazionale non condivide, come si vedrà meglio in seguito, le caratteristiche
dei sistemi di diritto penale positivo in vigore nelle principali famiglie di giustizia
penale, creando così delle difficoltà in ordine al rispetto dei principì di legalità
riconosciuti dalle democrazie occidentali. Invero, anche se lo Statuto di Roma
annovera tra i “principi generali di diritto penale” i principi di legalità (articoli da
22 a 24), le incertezze riguardo all’esecutorietà e giuridicità di certi obblighi
internazionali e soprattutto riguardo al loro effettivo contenuto non vengono
687 Così, BASSIOUNI, Le fonti e il contenuto del diritto penale internazionale, cit.,
15.
L’ECCEZIONE DI ORDINI SUPERIORI NEL DIRITTO INTERNAZIONALE PENALE
237
meno, e non possono essere superate semplicemente facendo ricorso ad una
pretesa autoevidenza dei crimini cosiddetti “atroci”. Invero, anche lo ius cogens –
con il quale il diritto internazionale penale vanta la pretesa di essere
gerarchicamente sovraordinato al diritto interno ed ai quali gli Stati non possono
derogare - “risente delle differenze di valori, filosofie, obbiettivi e strategie di
coloro che affermano l’esistenza della norma in una data situazione e la sua
applicabilità ad un determinato problema giuridico”688.
Questo deficit di legalità (in particolare di tassatività e di determinatezza)
si riverbera sulla concreta possibilità di conoscere le norme incriminatrici da parte
di militari appartenenti a culture giuridiche affatto differenti ed impegnati in
azioni militari in ogni parte del mondo. Questo vale in particolar modo per i
subordinati di grado inferiore, che non sempre sono a conoscenza dei presupposti
giuridici e delle motivazioni reali degli ordini che sono chiamati ad eseguire.
In ogni caso, almeno dall’istituzione del Tribunale militare internazionale
di Norimberga, a seguito della Carta di Londra del 1945, il diritto internazionale
penale (che è la fonte dei crimini internazionali) è stato applicato senza troppe
riserve agli individui. Il problema se, ed in che misura, il diritto internazionale
penale possa configurare una responsabilità penale diretta degli individui senza
passare attraverso la mediazione degli Stati (mediante l’adeguamento con legge
interna), rimanda al problema della natura delle fonti del d.i.p. e sulla loro reale
capacità di “penetrare lo scudo della sovranità nazionale”689, la quale dipende
dalla specifica fonte normativa da cui i precetti derivano.
Per determinare, dunque, se esiste una norma di diritto internazionale
penale relativa alla responsabilità penale dell’esecutore dell’ordine criminoso, è
necessario prendere in considerazione le fonti del diritto internazionale penale,
con particolare riguardo alle convenzioni, alle consuetudini e ai principi generali
688 BASSIOUNI, Le fonti, cit. 73. 689 BASSIOUNI, Le fonti, cit. 32.
L’ECCEZIONE DI ORDINI SUPERIORI NEL DIRITTO INTERNAZIONALE PENALE
238
di diritto riconosciuti dalle nazioni civili690. Ai fini della presente indagine, di
particolare rilievo si presenta l’eventuale riconoscimento di una norma di diritto
consuetudinario, la quale, in forza dell’adattamento automatico espressamente
sancito dall’art. 10 co. 1° della Costituzione italiana, potrebbe rendere
prospettabile un’eccezione di illegittimità costituzionale delle norme interne con
essa in contrasto691.
Gli altri strumenti internazionali, peraltro, dovranno essere presi in
considerazione per valutare la sussistenza di l’opinio juris ac necessitatis in
ordine alla norma che si presume, intanto dubitativamente, consuetudinaria.
L’attenzione sarà rivolta innanzitutto alla prassi convenzionale e
giurisprudenziale. Invero, i trattati, oltre a far sorgere vincoli tra gli Stati
contraenti, costituiscono uno dei principali punti di riferimento nella ricostruzione
690 Sono queste, infatti, le fonti “canonizzate” dall’art. 38 dello Statuto della Corte
internazionale di giustizia delle Nazioni Unite (art. 38: “1. La Corte, la cui funzione è di decidere in base al diritto internazionale le controversie che le sono sottoposte, applicherà: a) le convenzioni internazionali, sia generali che particolari, che stabiliscono norme espressamente riconosciute dagli Stati in lite; b) la consuetudine internazionale, come prova di una pratica generale accettata come diritto; c) i principi generali di diritto riconosciuti dalle nazioni civili; d) subordinamente a quanto previsto dall’articolo 59, le decisioni giudiziarie e la dottrina degli autori più altamente qualificati delle varie nazioni come strumenti sussidiari per la determinazione di norme di diritto”) e richiamate dall’art. 21 dello Statuto della Corte penale internazionale permanente (il quale così recita: “1. La Corte applica a) in primo luogo, il presente Statuto ed il Regolamento di procedura e di prova; b) in secondo luogo, ove occorra, i trattati applicabili ed i principi e le regole di diritto internazionale, ivi compresi i principi consolidati del diritto internazionale dei conflitti armati; c) in mancanza, i principi generali di diritto ricavati dalla Corte in base alla normativa interna dei sistemi giuridici del mondo, compresa, ove occorra la normativa interna degli Stati che avrebbero avuto giurisidzione suil crimine, purché tali principi non siano in contrasti con il presente Statuto, con il diritto internazionale e con le norme ed i criteri internazionalmente riconosciuti. 2. la Corte può applicare i principi di diritto e le norme giuridiche quali risultano dall’interpretazione fornitane nelle proprie precedenti decisioni”.
691 D’altra parte si deve ritenere che non possa trovare applicazione nel nostro ordinamento una norma consuetudinaria che si ponga in contrasto con i valori fondamentali che ispirano la nostra Costituzione, quale sarebbe, ad esempio, una norma che stabilisse l’assoluta irresponsabilità dell’esecutore dell’ordine criminoso. Sul rango del diritto internazionale consuetudinario nel nostro ordinamento v. CONFORTI B., Diritto internazionale, Napoli, 1997, 305 ss.; ARANGIO RUIZ G., Consuetudine. III Consuetudine internazionale, in Enc. Giur., Roma, 1988, vol. VIII, 1.
L’ECCEZIONE DI ORDINI SUPERIORI NEL DIRITTO INTERNAZIONALE PENALE
239
di una norma consuetudinaria internazionale (lo Statuto della Corte internazionale
penale ne costituisce un magistrale esempio). Tuttavia, anche una prassi
convenzionale costante e ripetuta nel tempo non è sufficiente a far ritenere
esistente un principio consuetudinario, rimanendo da accertare, in sede
interpretativa, la sussistenza dell’opinio juris ac necessitatis. In questo senso,
decisiva deve essere ritenuta la prassi dei Tribunali nazionali ed internazionali: se
le decisioni dei tribunali internazionali risultano essere particolarmente incisive ai
fini della rilevazione del diritto internazionale vigente, la giurisprudenza dei
tribunali nazionali influisce direttamente sulla formazione della consuetudine,
costituendo una delle categorie più importanti dei comportamenti statali dai quali
la consuetudine stessa deve essere dedotta692.
La controversa categoria dei principi generali del diritto riconosciuti dalle
nazioni civili693 merita invece un discorso a parte.
Secondo certa dottrina, i principi generali, in quanto uniformemente
osservati dalla maggior parte degli Stati e sentiti come obbligatori e necessari
anche dal punto di vista del diritto internazionale, costituirebbero, di per se stessi,
norme consuetudinarie694.
In realtà, come è stato autorevolmente osservato, i principi generali del
diritto sono la fonte meno indicata a soddisfare i principi di legalità che proprio la
maggioranza dei sistemi di giustizia penale del mondo pongono come
imprescindibili695. Nell’area del diritto penale internazionale, i principi generali
svolgono invece assai più efficacemente la funzione di interpretare e precisare gli
692 Per queste considerazioni sul procedimento di formazione della norma
consuetudinaria v. più ampiamente CONFORTI, op. cit., 33 ss.; per i rapporti tra Corti internazionali e nazionali nell’esercizio della funzione repressiva dei crimini internazionali v. PARISI, op. cit., 198 ss. e 215 ss.
693 GAJA G., Principi del diritto (dir. internaz.), in Enc. dir., XXXV, Milano, 1986, 533.
694 CONFORTI, Diritto internazionale, cit., 44 ss. 695 BASSIOUNI, Le fonti, cit. 63.
L’ECCEZIONE DI ORDINI SUPERIORI NEL DIRITTO INTERNAZIONALE PENALE
240
obblighi giuridici internazionali e il diritto internazionale consuetudinario, che
quella di porsi come fonte normativa di prescrizioni giuridiche.
In particolare, ai fini della presente ricerca, il principio di colpevolezza
(che, anche alla stregua dell’indagine comparatistica condotta nel precedente
capitolo, si va imponendo come uno dei fondamentali principi dei più evoluti
sistemi di giustizia penale696) si presenta come quello più conforme alle esigenze
della «giustizia» (anche) internazionale, alla stregua del quale affrontare la
controversa questione dell’eccezione di ordini superiori.
2. Definizione della categoria delle “defences” ai fini di inquadramento
dell’obedience to superior order.
A partire dal primo dopoguerra si è assistito al progressivo consolidamento
del concetto di crimine internazionale dell’individuo, ossia di un comportamento
individuale che lede direttamente beni giuridici della comunità internazionale (id
est la pace e la sicurezza internazionale) o valori umanitari697. In particolare con
gli statuti dei Tribunali di Norimberga e Tokyo si è affermata, nel diritto
internazionale generale, la categoria dei crimina juris gentium (crimini contro la
pace, crimini di guerra e crimini contro l’umanità)698 e, corrispondentemente, è
696 In questo senso, v. JESCHECK, I principi del diritto penale internazionale, cit.,
10. 697 MANTOVANI, Diritto penale, cit., 983; PARISI N., Problemi attuali del diritto
internazionale penale, in Diritto e Forze Armate. Nuovi impegni (a c. di RIONDATO S.), Padova, 2001, 194. Sui crimini internazionali v. BASSIOUNI M. Ch., Crimes against humanity in international criminal law, Boston, 1999; FRANCIONI F., Crimini internazionali, in Dig. disc. pubbl., IV, 1989, 230 ss.; RONZITTI N., Crimini internazionali, in Enc. giur., X, 1988.
698 Sulla distinzione tra crimini contro l’umanità, crimini contro la pace e crimini di guerra v. DINSTEIN Y., The Distinction between War Crimes and Crimes Against Peace, in DINSTEIN Y. – TABORY M., War Crimes in International Law, The Hague – Boston – London, 1996, 1 ss.; GREPPI E., Crimini di guerra e contro l’umanità nel diritto internazionale, Torino, 2001.
L’ECCEZIONE DI ORDINI SUPERIORI NEL DIRITTO INTERNAZIONALE PENALE
241
stato riconosciuto il principio di responsabilità penale individuale699. Sin
dall’istituzione del Tribunale militare internazionale di Norimberga, dunque, il
diritto internazionale penale è stato chiaramente applicato agli individui, a
prescindere dai comandi di diritto interno, e perciò essi costituiscono i “destinatari
per eccellenza del diritto internazionale penale”700.
Il fatto che chiunque commetta un crimine internazionale possa esserne
ritenuto individualmente responsabile, comporta la necessità di indagare se e in
che misura possano avere rilevanza, sul piano del diritto internazionale penale,
eventuali “defences”, ossia eventuali cause di esclusione della responsabilità
penale. In particolare, interessa determinare quale ruolo rivesta l’obbedienza
all’ordine del superiore ai fini dell’esenzione dalla responsabilità penale per il
subordinato esecutore, anche allo scopo di valutare se la disciplina prevista nel
nostro ordinamento è compatibile con il diritto internazionale penale.
E’, dunque, opportuno premettere qualche breve considerazione sulla
categoria delle “defences”, termine di matrice anglosassone e di origine
processuale701, utilizzato, nel diritto internazionale penale, per indicare
genericamente le esimenti. Si tratta di un concetto ampio ed indifferenziato che
raggruppa, al suo interno, esimenti tra loro eterogenee, di carattere sia sostanziale
699 Già affermato negli Statuti dei Tribunali di Norimberga (art. 6: «i crimini contro il
diritto internazionale sono commessi da uomini, non da entità astratte, e, solo punendo gli individui che commettono quei crimini, le prescrizioni di diritto internazionale possono essere fatte rispettare») e Tokyo (art. 5), il principio della responsabilità penale individuale è stato riconosciuto dalle quattro Convenzioni di Ginevra del 1949 (artt. 50, 51, 130 e 147), dal Protocollo addizionale del 1977 (art. 11), dallo Statuto del Tribunale per i crimini commessi nella ex Jugoslavia (art. 7 ) e in Ruanda (art. 6) e, da ultimo, dallo Statuto della Corte penale internazionale (art. 25).
700 Così BASSIOUNI, Le fonti, cit., 16, il quale rileva, in proposito, che il diritto internazionale, che è la fonte dei crimini internazionali, ha storicamente regolato la condotta degli Stati e delle organizzazioni internazionali, ed ha avuto qualche difficoltà ad adattarsi all’idea che anche gli individui siano suoi soggetti e che possa imporre direttamente, invece che attraverso gli Stati, regole alla condotta degli individui. Tuttavia, da Norimberga in poi, il diritto internazionale penale è stato in costante espansione, riaffermando il principio della responsabilità personale individuale per comportamenti vietati dal diritto internazionale.
701 V., per quanto concerne la nozione di “defences” nel diritto inglese e nel diritto
L’ECCEZIONE DI ORDINI SUPERIORI NEL DIRITTO INTERNAZIONALE PENALE
242
(quali, a titolo di esempio, la legittima difesa, lo stato di necessità, l’ordine del
superiore), che processuale (quale ad es. il ne bis in idem), senza alcuna
distinzione tra cause di esclusione dell’antigiuridicità e cause di esclusione della
colpevolezza702.
Non si tratta peraltro di un problema di carattere soltanto terminologico703.
Invero, l’esatta individuazione e la possibilità di applicazione delle defences è resa
problematica dall’assenza di una vera e propria “parte generale” del diritto
internazionale penale704 e dalla non piena uniformità degli strumenti
internazionalistici (Convenzioni e Statuti dei Tribunali internazionali) nel
disciplinare l’ammissibilità (e in che misura) delle singole defences.
Soltanto con l’elaborazione dello Statuto della Corte penale internazionale
permanente del 1998705 si è giunti ad una prima codificazione della “parte
americano supra, cap. II, sez. II.
702 In sostanza, nel diritto internazionale penale, con il termine “defences” si intendono “tutti i motivi che, per una ragione o per un’altra allontanano il sanzionamento di un’offesa”: così ESER A., Defences in war crime trials, in DINSTEIN - – TABORY, War Crimes in International Law, cit., 274.
703 Difficoltà di ordine terminologico si riscontrano peraltro anche all’interno delle singole defences, come meglio si dirà oltre a proposito della compulsion.
704L’idea di una parte generale di diritto internazionale penale comincia ad affermarsi quando si passa da un sistema di esecuzione c.d. indiretta ad uno di esecuzione c.d. diretta, ossia da un sistema in cui sono i tribunali nazionali a perseguire i crimini con le proprie regole di diritto sostanziale ad un sistema in cui viene istituito un organo giudicante internazionale capace di dare esecuzione ai propri provvedimenti, senza, ricorrere, a tale scopo, alla mediazione dell’autorità degli Stati. In ragione dell’episodicità che ha contraddistinto l’istituzione dei tribunali internazionali, la parte generale, la parte processuale e le pene non sono state sviluppate: sul punto v. BASSIOUNI, Le fonti, cit., 5 s. Secondo l’A. (p. 12), la parte generale di diritto penale internazionale è stabilita dal diritto internazionale soltanto quando a decidere sulla responsabilità penale sia chiamato un tribunale internazionale: anche in questo caso, però, “l’affidamento sui principi generali richiede un esame dei principali sistemi di giustizia del mondo, al fine di verificare l’esistenza e il riconoscimento di un particolare aspetto di responsabilità penale.” Quando, invece, i crimini internazionali sono sanzionati dai sistemi penali interni, sono i principì di responsabilità di quel sistema giuridico interno che trovano applicazione; tuttavia, “certi requisiti di responsabilità penale sono diventati parte del diritto internazionale consuetudinario e, di conseguenza, si applicano ai procedimenti penali interni relativi ai crimini internazionali”.
705Allo Statuto dei Tribunali di Norimberga e Tokyo si fa risalire una prima embrionale formulazione di una parte generale di diritto dinternazionale penale, limitata
L’ECCEZIONE DI ORDINI SUPERIORI NEL DIRITTO INTERNAZIONALE PENALE
243
generale”, risultato di un processo di astrazione delle caratteristiche comuni ai
diversi crimini internazionali, ma anche del recepimento di principi politico-
ideologici e teorico-giuridici consolidatesi negli ordinamenti interni, lungo una
direttrice di sviluppo già indicata dalla giurisprudenza internazionale, a partire da
Norimberga706.
Il processo di emersione della categoria delle cause di esclusione della
responsabilità penale - sviluppatosi in modo confuso, sulla spinta più di
contingenti istanze applicative piuttosto che di precise opzioni teoriche generali707
- trova allora un punto d’approdo nello Statuto che, sotto la denominazione di
“Grounds for excluding criminal responsibility”708, raggruppa le defences che, in
base ad un esame di tipo comparatistico, risultano più diffuse709: costringimento
psichico e stato di necessità, errore di fatto e di diritto, obbedienza all’ordine del
tuttavia poche disposizioni. Anche gli Statuti dei Tribunali ad hoc per la ex Jugoslavia e per il Ruanda contengono solo pochi principi contenuti sotto la formula “responsabilità penale personale”. La sucessiva giurisprudenza dei Tribunali internazionali ha svolto una funzione supplettiva, contribuendo allo sviluppo della parte generale. E’ comunque solo con lo Statuto della Corte penale internazionale permanente che si giunge alla codificazione di una “parte generale”, anche se la versione elaborata nello Statuto di Roma non risulta idonea a soddisfare le fondamentali esigenze di garanzia del penalista di diritto interno, soprattutto sotto i profili dei principi di determinatezza e di precisione (v. VIRGILIO M., Verso i principi generali del diritto criminale internazionale, in AA.VV., Crimini internazionali tra diritto e giustizia, a c. di ILLUMINATI G. – STORTONI L. – VIRGILIO M., Torino, 2000, 43). Rileva BASSIOUNI, Le fonti, cit., 7, che lo Statuto della Corte penale internazionale, trattandosi di un’istituzione permanente, ha previsto ampie norme di parte generale (tra cui anche le defences) “derivata dai principì generali di diritto penale come sono formulati nei principali sistemi di giustizia del mondo”.
706 In questi termini BORSARI, Diritto punitivo, cit., 360. 707 BORSARI, op.cit., 366. Cfr. SCALIOTTI M., Defences before the International
Criminal Court: substantive grounds for excluding criminal responsibility – Part II, in International Law Review, 2002, 45; ESER, Defences in war crime trials, in DINSTEIN - – TABORY, War Crimes in International Law, cit., 273.
708 Secondo AMATI, L’efficacia esimente, cit., 947 s., la parte generale dello Statuto, e soprattutto la disciplina delle cause di esclusione della punibilità, è quella che presenta le maggiori incongruenze, dovute alla necessità di riconciliare differenti tradizioni dogmatiche: infatti, tale parte rappresenta una sorta di “integrazione” fra le differenti tradizioni e dogmatiche giuridiche di derivazione romanistica e di common law.
709 MANTOVANI F., The general principles of international criminal law: the viewpoint of a national criminal lawyer, in Journal of International Criminal Justice, n. 1,
L’ECCEZIONE DI ORDINI SUPERIORI NEL DIRITTO INTERNAZIONALE PENALE
244
superiore, incapacità, intossicazione, legittima difesa. Prima dello Statuto di
Roma, la disciplina delle defences poggiava su poche disposizioni contenute nelle
Convenzioni internazionali e alle numerose lacune ha cercato di supplire una
vasta opera creativa della giurisprudenza, la quale ha sovente attinto dal diritto
penale comparato e dalle elaborazioni dottrinali710.
Va peraltro precisato, in proposito, che l’obedience to superior order
rientra tra quelle poche defences che trovavano una disciplina ancor prima della
redazione dello Statuto di Roma711.
Secondo qualche autore sarebbe necessario distinguere, anche nel diritto
internazionale penale, nell’ambito della categoria delle defences, tra justifications
e excuses712, mutuando con ciò una partizione accolta dagli studiosi di teoria
generale del reato della maggior parte dei Paesi di civil law e, di recente,
affacciatasi anche in quelli di common law713.
In base a questa impostazione, in presenza di una justification, un’azione
che di per sé sarebbe in contrasto con il diritto, viene invece considerata legittima
(lawful) e non costituisce reato, ad esempio perché l’atto, benché criminoso, è il
minore tra due mali oppure è imposto dalla legge. Per contro, nell’ipotesi in cui si
riconosca la presenza di una excuse, la condotta contraria ad una norma giuridica
rimane illegittima (unlawful), ma chi l’ha realizzata non è punibile o per difetto di
mens rea, o perché l’ordinamento giuridico, pur considerando riprovevole il
comportamento, tiene conto di particolari circostanze714.
2003, 35 ss.
710 MANTOVANI, The general principles, cit., 27; VIRGILIO, op. cit., 46 s. 711 V. SCHABAS W.A., An introduction to the International Criminal Court,
Cambridge, 2001, 88; VIRGILIO, op. cit., 58. 712 CASSESE A., Justifications and Excuses in International Criminal Law, in
AA.VV., The Rome Statute of the ICC: a Commentary, Vol. I, ed. by Cassese A., Gaeta P., Jones J.R.W.D., Oxford, 2002, 951 ss. Nello stesso senso ESER A., “Defences” in war crimes trials, in Israel Yearbook on Human Rights, 1994, 203.
713 V. supra cap. II. 714 V. ampiamente CASSESE, op. ult. cit., 951 s.
L’ECCEZIONE DI ORDINI SUPERIORI NEL DIRITTO INTERNAZIONALE PENALE
245
L’accoglimento di tale distinzione, e, quindi l’inquadramento dogmatico di
una defence nell’una o nell’altra categoria, comporterebbe varie conseguenze
pratiche, non diversamente da quanto si è visto accadere nel diritto penale interno
e comparato trattando della distinzione tra cause di giustificazione e cause di
esclusione della colpevolezza715.
Più precisamente, nel caso delle scusanti, i concorrenti nel reato sono
comunque punibili, mentre nel caso in cui sussista una justification, la non
punibilità si comunica ai concorrenti, in considerazione del fatto che la condotta
non è unlawful. Inoltre, la legittima difesa è consentita solo nei confronti di una
condotta scusata, mentre non lo è mai rispetto ad una condotta giustificata,
giacché, in questo secondo caso, manca l’illiceità del fatto. Infine, solo in caso di
excuse, la persona che ha commesso il crimine potrà essere obbligata ad una pay
compensation per i danni causati dalla propria condotta716.
Nello Statuto della Corte penale internazionale permanente si è preferito
adottare il termine “Cause di esclusione della responsabilità penale”(Grounds for
excluding criminal responsibility), senza ulteriori specificazioni, con ciò lasciando
aperta la questione di stabilire se la singola esimente abbia efficacia giustificante
oppure solo scusante o, ancora, se si tratti di una causa di non punibilità.
3. Il dibattito dottrinale sull’ammissibilità (e in che limiti) della defence
dell’ordine superiore nel diritto internazionale penale.
Prima di esaminare la disciplina contenuta nei diversi atti internazionali e
le decisioni delle Corti interne che abbiano giudicato di crimini internazionali
commessi in esecuzione di ordini, è opportuno soffermarsi brevemente sulle teorie
che sono state elaborate sul piano del diritto internazionale in tema di obbedienza
all’ordine superiore.
715 V. supra, cap.I, sez. IV, par.1.3. e cap. III.
L’ECCEZIONE DI ORDINI SUPERIORI NEL DIRITTO INTERNAZIONALE PENALE
246
3.1. La teoria del respondeat superior.
In base alla teoria del respondeat superior (o della obeissance aveugle),
l’inferiore gerarchico va esente da responsabilità per il reato commesso, per il solo
fatto di aver obbedito ad un ordine del superiore. L’obbedienza all’ordine
costituisce di per sé, automaticamente e a priori, una defence assoluta per il
subordinato: del reato risponderà esclusivamente il superiore che ha emanato
l’ordine criminoso (respondeat superior, appunto)717. A fondamento della teoria
in esame si pone la considerazione che l’obbedienza all’ordine è il primo dei
doveri del militare ed è assolutamente necessaria al mantenimento della
disciplina, per cui non è ammissibile che l’inferiore discuta gli ordini che gli
vengono impartiti; di conseguenza, egli dovrà andare esente da pena per aver
eseguito un ordine al quale doveva obbedire senza possibilità di sindacarlo718.
La teoria dell’obeissance aveugle è stata criticata dalla dottrina
dominante719, giacché è inaccettabile che l’inferiore possa perpetrare crimini
716 CASSESE, op. ult. cit., 952 s. 717 V., in merito, OPPENHEIM L., International Law, Londra, 1906, 264 ss.: “In case
members of forces commit violations ordered by their commaders, the members may not be punished for the commanders are alone responsible”. Il principio del respondeat superior era accolto nell’art. 443 del British Manual of Military Law del 1917 e nell’art. 336 delle American Rules of Land Warfare del 1914.
718 RENAULT L., De l’application du droit pénal aux faits de guerre, in Revue générale de Droit International Public, 1918, 5 ss.: “ …la discipline militaire est une chose absolument indispensable, que l’on ne peut pas admettre que des soldats, des sous – officiers, même des officiers, discutent les ordres que leur sont donnés, parce qu’ils ne peuvent pas toujours se rendre compte de l’illégalité de ces ordres…par conséquent, il peut se faire dans beaucoup des cas, que, de trés bonne foi, les subalternes aient cru qui’ils n’avaient qu’à obéir et qu’ils agissaient correctement en le faisant…Il faut tenir compte de ce que le subalterne n’a pas la faculté d’obéir ou de ne pas obéir, il agit sous une contrainte immédiate”. Secondo l’A. la dottrina del respondeat superior si fonda, dunque, non solo sulla necessità del mantenimento della disciplina militare ma anche sull’errore di diritto sulla legittimità dell’ordine commesso in buona fede dall’inferiore e sulla compulsion. L’impostazione dell’A. si rivela tuttavia erronea, perché non sempre vi è piena corrispondenza tra obbedienza all’ordine, errore di diritto e compulsion: chi obbedisce all’ordine criminoso non sempre incorre in errore di diritto e non sempre lo fa perché costretto dalla minaccia di un male serio ed inevitabile. Per queste considerazioni v. ampiamente DINSTEIN, op. cit., 49 ss.
719 V. APPLEMAN J. A., Military tribunals and internationals crimes, Indianapolis, 1954, 56; FINCH G. A., Superior orders and war crimes, in American Journal of Int. Law,
L’ECCEZIONE DI ORDINI SUPERIORI NEL DIRITTO INTERNAZIONALE PENALE
247
atroci e ciò nonostante andare esente da pena per aver eseguito degli ordini
illegittimi dei propri superiori. Qualche autore ha inoltre posto in evidenza che,
accogliendo questa teoria e risalendo “a catena” alla ricerca del responsabile che
ha impartito l’ordine, si giungerebbe all’assurda conclusione di ritenere tutti
irresponsabili ad eccezione dello Stato e del capo di Stato720.
E’ necessario, peraltro, distinguere la dottrina del respondeat superior da
quella dell’act of State, relativa all’immunità degli organi statali per atti compiuti
nell’esercizio di funzioni o poteri del loro ufficio: l’attività posta in essere
dall’individuo – organo costituirebbe, in linea di principio, attività dello Stato e il
soggetto individuale andrebbe esente da qualsiasi responsabilità personale721. Ai
fini della presente trattazione, non interessa approfondire le problematiche
concernenti la dottrina degli atti di Stato; ciò che preme è rilevare che essa va
distinta dalla teoria del respondeat superior. La dottrina dell’act of State, infatti, si
fonda sulla piena riconducibilità del crimine internazionale posto in essere
dall’individuo – organo (ad es. il Capo di Stato) alla complessiva organizzazione
dello Stato o all’azione del Governo dello Stato stesso. La teoria del respondeat
superior, poiché si fonda, invece, sul dovere di obbedienza cieca correlato alla
necessità del mantenimento della disciplina militare, fa gravare la responsabilità
per il reato commesso per ordine sul solo superiore che tale ordine abbia
impartito722.
vol. 15, 1921, 440; MÉRIGNHAC A. – LÉMONON E., Le droit de gens et de la guerre de 1914 – 1918, Parigi, 1921, 568; WRIGHT Q., War criminals, in American Journal of Int. Law, 1945, 278.
720 FINCH G. A., The Nuremberg trial and international law, in American Journal of Int. Law, vol. 41, 1947, 21, il quale parla di una “reductio ad absurdum for the purpose of frustrating the law”; MÉRIGNHAC – LÉMONON, op. cit., 568, i quali pongono in evidenza che “en poussant jusqu’au bout le systéme de l’excuse, il n’y aurait eu plus personne de responsable car le Kaiser et le grand Etat – major eux - mêmes auraient affirmé …que les ordres par eux donnés, procédaient de la volonté unanime de la nation dont ils subissaient la poussée irrésistible”.
721 Per una dettagliata trattazione dell’argomento v. DE SENA P., Diritto internazionale e immunità funzionale degli organi statali, Milano 1996, 152 ss.
722 Sulla distinzione tra la dottrina dell’atto di Stato e quella del respondeat superior
L’ECCEZIONE DI ORDINI SUPERIORI NEL DIRITTO INTERNAZIONALE PENALE
248
3.2. La teoria della absolute liability.
La teoria della absolute liability (o delle baïonettes intelligentes) si pone in
posizione antitetica a quella del respondeat superior, giacché esclude sia che
l’obbedienza all’ordine possa costituire una defence per se, sia che essa possa
contribuire, congiuntamente ad altre defences, a scusare il subordinato
esecutore723. Essa si fonda sul principio per cui il dovere di obbedienza sorge solo
nei confronti dell’ordine legittimo; l’inferiore ha, dunque, il dovere di sindacare la
legittimità dell’ordine ricevuto e, nel caso in cui commetta un crimine
internazionale in esecuzione dell’ordine, ne risponderà in concorso con il
superiore.
3.3. Il difetto di mensa rea come causa di esclusione della responsabilità
per il subordinato esecutore: errore di diritto e compulsion.
Secondo alcuni autori724, l’idea che l’ordine del superiore possa costituire,
di per se stesso, una causa di giustificazione per il subordinato esecutore sarebbe
v. ampiamente DINSTEIN, op. cit., 57 ss. La questione dell’immunità dell’organo statale in relazione ad acts of State venne in rilievo nell’ambito dei processi intentati dal Tribunale di Norimberga nei confronti dei c.d. major war criminals. Sul punto v. DE SENA, op. cit., 139 ss., il quale pone in evidenza che, al contrario, nella prassi dei Tribunali interni relativa alla repressione di crimini internazionali commessi da individui - organi agenti nell’esercizio di funzioni o poteri propri del loro ufficio, “la questione dell’act of State non compare come questione giuridicamente rilevante” e che “le stesse responsabilità imputate ad organi militari gerarchicamente sovraordinati, tendono ad essere inserite nel quadro della c.d. «command responsibility» e cioè nel quadro di uno specifico regime di responsabilità …in relazione alle attività svolte dai subordinati posti sotto il loro controllo” (v., ad es., il caso Yamashita, in American Journal of Int. Law, 1946, 432 ss.). Sull’istituto della command responsibility v. GREEN, Superior orders and command responsibility, cit., 193 ss.; LEVIE, Agora: Superior orders and command responsibility, cit., 608 ss.
723 V., tra gli altri, GLASER S., L’ordre hiérarchique en droit pénal international, in Revue de Droit pénal et de la Criminologie, 1952 - 1953, 313; MÉRIGNHAC – LÉMONON, op. cit., 568; WRIGHT, op. cit., 282.
724 DINSTEIN, op. cit., 87 ss.; GLASER, L’ordre, cit., 329.
L’ECCEZIONE DI ORDINI SUPERIORI NEL DIRITTO INTERNAZIONALE PENALE
249
incompatibile con i moderni principi della responsabilità penale. La responsabilità
dell’esecutore di un ordine criminoso dovrebbe, invece, essere valutata nel caso
concreto, in base alle regole generali concernenti la responsabilità penale:
l’inferiore potrebbe aver agito, infatti, in difetto di colpevolezza per errore sulla
criminosità dell’ordine oppure in stato di necessità725.
Il fatto che l’obbedienza all’ordine non possa costituire una defence per se,
non esclude, dunque, che essa possa venire in considerazione come elemento di
fatto che, unitamente ad altre circostanze, può condurre all’esonero da
responsabilità per il subordinato esecutore. Più precisamente, l’esclusione della
responsabilità per l’inferiore che abbia obbedito ad un ordine criminoso si avrà
quando costui abbia agito in difetto di mens rea dovuto ad errore di diritto o a
compulsion726. L’obbedienza all’ordine, dunque, non può rilevare come autonoma
defence, bensì soltanto come elemento che, di fatto, può aver contribuito al
verificarsi del costringimento psichico oppure dell’errore sulla legittimità
dell’ordine.
La componente essenziale del costringimento psichico (compulsion) è
individuata nell’assenza di scelta morale: il soggetto, sotto la minaccia di un
pericolo serio ed imminente di un danno alla vita o all’integrità fisica, non ha altra
scelta se non quella di obbedire all’ordine criminoso727.
Nel diritto internazionale è discussa l’applicabilità del principio secondo
cui ignorantia juris non excusat728. La gravità dei crimini internazionali, infatti,
725 Cfr. GLASER, op. cit., 329, il quale pone in evidenza che “il peut, en effet, se
produire que l’auteur d’un crime de guerre agisse sans culpabilité, étant dans l’ignorance de l’illégalité de son acte, ou bien qu’il agisse dans une situation qu’on désigne comme l’état de nécéssité”.
726 V. ampiamente DINSTEIN, op. cit., 87 ss. In senso conforme MÜLLER-RAPPARD, L’ordre supérieur militare, cit., 217; PAPHITI A. S., Duress as a defence to war crimes charges, in Revue de droit militaire et droit de la guerre, 1999, 247 ss.
727 Sulla compulsion v. CAVICCHIOLI L.,, Il costringimento psichico come causa di esclusione della colpevolezza nei crimini contro l’umanità: il caso Erdemovic, in Riv. dir. internazionale, 373; PAPHITI, Duress, cit.
728 In argomento v. DINSTEIN, op. cit., 26 ss.
L’ECCEZIONE DI ORDINI SUPERIORI NEL DIRITTO INTERNAZIONALE PENALE
250
potrebbe indurre ad escludere la possibilità di prevedere eccezioni alla regola
secondo cui l’errore di diritto non scusa. D’altra parte, però, un’eccezionale
rilevanza dell’error juris potrebbe essere giustificata in ragione della particolare
lacunosità ed oscurità delle norme di diritto internazionale penale, soprattutto
quelle di diritto bellico729. Per quanto concerne il rapporto tra errore di diritto e
obbedienza all’ordine, la prevalente dottrina730 ritiene comunque che la manifesta
criminosità dell’ordine (c.d. manifest illegality) sia limite alla scusabilità
dell’errore di diritto in cui sia incorso il subordinato esecutore. Per quanto
riguarda il criterio di determinazione della manifesta criminosità, prevale
l’opinione che essa debba essere valutata secondo un parametro oggettivo731.
729 Sul punto v. CAVICCHIOLI L., Sull’elemento soggettivo nei crimini contro la
pace e la sicurezza dell’umanità, in Riv. dir. internazionale, 1993, 1083 ss. 730 V., tra gli altri, GREEN, Superior orders, cit., 202; WRIGHT, op. cit., 270. 731 V., per tutti, DINSTEIN, op. cit, 27: “Clearly the manifest illegality test is
objective in character, and based on the intelligence of the reasonable man”.
L’ECCEZIONE DI ORDINI SUPERIORI NEL DIRITTO INTERNAZIONALE PENALE
251
4. L’eccezione di ordini superiori nei trattati e nella prassi dei Tribunali
incaricati di giudicare le violazioni del diritto internazionale penale.
Poste queste generali considerazioni circa le teorie elaborate in tema di
obbedienza all’ordine criminoso, è ora necessario verificare quali di esse siano
state accolte nei trattati internazionali e nella prassi dei Tribunali incaricati di
giudicare le violazioni del diritto internazionale penale.
In estrema sintesi, si può affermare che la teoria della absolute liability ha
influenzato il diritto internazionale, prevalendo su quella del respondeat superior:
ciò emerge dal fatto che non esistono, in epoca moderna, convenzioni
internazionali o Statuti di Tribunali internazionali che prevedano l’obbedienza
all’ordine superiore come defence per se. La prassi dei Tribunali incaricati di
giudicare le violazioni del diritto internazionale penale commesse in esecuzione di
ordini e, almeno in parte, anche lo Statuto della Corte penale internazionale
permanente, sembrano accogliere l’idea di una c.d. ammissibilità condizionata
della defence (conditional liability)732, secondo cui l’esecuzione dell’ordine
criminoso non è di per sé causa di esclusione della responsabilità ma può esserlo a
certe condizioni, da valutarsi sul piano della colpevolezza.
La considerazione della difficile situazione in cui versa l’inferiore
gerarchico a cui sia ordinato di commettere un crimine internazionale - il quale si
trova davanti al grave dilemma di decidere se obbedire o meno all’ordine,
rischiando di essere punito nell’un caso per aver violato il diritto internazionale
penale, nell’altro per aver commesso il reato di disobbedienza733 - si riflette,
infatti, sul piano internazionale penale, nella tendenza, soprattutto in sede di
applicazione pratica della defence, ad attribuire particolare rilevanza
732 In argomento cfr. GAETA, The defence, cit., 173 ss. 733 Sul punto cfr. DINSTEIN, The defence, cit., 22 ss.
L’ECCEZIONE DI ORDINI SUPERIORI NEL DIRITTO INTERNAZIONALE PENALE
252
all’atteggiamento psicologico del subordinato esecutore e a ricondurre l’esimente
dell’esecuzione dell’ordine criminoso nell’ambito della colpevolezza.
4.1. La defence of superior order nelle convenzioni internazionali.
Nel diritto internazionale convenzionale, prima della seconda guerra
mondiale non vigeva alcuna regola generale in tema di obbedienza all’ordine del
superiore734. Un’espressa disposizione che negava qualsiasi rilevanza all’aver
agito per ordine del superiore gerarchico era peraltro contenuta nel Trattato di
Washington del 1922, relativo all’impiego dei sottomarini e dei gas asfissianti in
tempo di guerra. Questo trattato, tuttavia, non è mai entrato in vigore.
La questione concernente la rilevanza dell’obbedienza all’ordine superiore,
pur essendo stata oggetto di ampi dibattiti tra i delegati delle diverse nazioni, non
è stata presa in considerazione né dalla Convenzione sul genocidio del 1948 né
dalle Convenzioni di Ginevra sul diritto umanitario di guerra del 1949 né, infine,
dai Protocolli aggiuntivi del 1977. Non mancarono, infatti, al momento
dell’elaborazione delle citate Convenzioni, proposte di inserire una disposizione
relativa alla responsabilità dell’esecutore dell’ordine criminoso. Tuttavia esse
furono rigettate perché non si riuscì a trovare un accordo in merito735. La ragione
734 Per un’analisi dell’evoluzione storica delle norme in tema di obbedienza
gerarchica contenute nelle Convenzioni internazionali v. MÜLLER-RAPPARD, L’ordre supérieur militare, cit., 189 ss.
735 Cfr. DAVID E., L’excuse de l’ordre superieur et l’état de nécessité, in Revue belge de droit international, 1978 – 1979, 68, il quale pone in evidenza che, all’atto dell’elaborazione dei Protocolli addizionali del 1977, sul tema dell’obbedienza all’ordine del superiore, gli Stati si divisero in tre gruppi. Un primo gruppo di Stati riteneva che la responsabilità penale dell’inferiore per la commissione di una violazione grave del diritto della guerra per ordine del superiore dovesse essere assoluta; un altro gruppo, invece, era dell’idea che si dovesse tener conto della pressione esercitata dal superiore sul subordinato e dell’eventuale ignoranza della criminosità dell’ordine da parte dell’inferiore; un terzo gruppo, infine, si opponeva all’inserimento di una disposizione sull’obbedienza all’ordine, nel timore che ciò compromettesse il principio di obbedienza assoluta vigente nei diversi ordinamenti. Sulle ragioni che indussero la Commissione incaricata di predisporre la Convenzione sul genocidio ad escludere dal testo definitivo l’art. 5 del progetto del 1946 (“Command of the
L’ECCEZIONE DI ORDINI SUPERIORI NEL DIRITTO INTERNAZIONALE PENALE
253
principale di tale mancata previsione si può forse ravvisare nel fatto che, al
momento dell’elaborazione di tali trattati, molti Stati consideravano la soluzione
del problema sull’efficacia esimente dell’ordine gerarchico di competenza del
diritto interno dei singoli ordinamenti nazionali736.
L’efficacia esimente dell’ordine superiore è negata, invece, dall’art. 2 co.
3° della Convenzione delle Nazioni Unite contro la tortura del 1984737.
L’obbedienza all’ordine non può neppure venire in considerazione ai fini
dell’attenuazione della pena per l’inferiore che abbia commesso atti di tortura: la
Convenzione accoglie, dunque, in toto, la teoria dell’absolute liability.
Il Progetto di codificazione dei crimini contro la pace e la sicurezza
dell’umanità elaborato nel 1996 dalla International Law Commission prevede,
infine, all’art. 5, che l’obbedienza all’ordine possa essere presa in considerazione
solo ai fini dell’attenuazione della pena738.
law or of a superior shall not justify genocide”) v. ROBINSON N., The Genocide Convention. A Commentary, New York, 1970, 72, ove si spiega che “some delegations felt that this rule would conflict with the provisions of some domestic criminal legislations”.
736 In questo senso v. DAVID, Principes, cit., 664; LEVIE, Superior orders, cit., 610. 737 Art. 2 n. 3: “An order from a superior officer or a public authority may not be
invoked as a justification of torture”. 738 Art. 5: “The fact that the an individual charged with a crime against the peace and
security of mankind acted pursuant to an order of his Government or a superior does not relieve him of criminal responsibility, but may be considered in mitigation of punishment if justice so requires”. L’art. 11 del progetto elaborato dalla medesima Commissione nel 1991 prevedeva, invece, che la responsabilità dell’inferiore per il crimine commesso per ordine potesse essere affermata se “in the circumstances at the time, it was possibile for him not to comply with that order”: l’obbedienza all’ordine veniva, dunque, messa in relazione con la compulsion e con l’errore di diritto, giacché in queste due ipotesi viene a mancare, per l’inferiore, la possibilità di non eseguire l’ordine. In commento all’art. 11, v. CAVICCHIOLI, Sull’elemento soggettivo, cit., 1083 ss. I progetti elaborati dalla ILC sono contenuti nella raccolta di fonti di diritto internazionale penale International Criminal Law. A collection of International and Eurpean Instruments, edita da C. Van Den Wyngaert, The Hague, 1996.
L’ECCEZIONE DI ORDINI SUPERIORI NEL DIRITTO INTERNAZIONALE PENALE
254
4.2. La disciplina dell’obbedienza all’ordine superiore negli Statuti e
nella prassi dei Tribunali internazionali. Il rigetto del principio del
respondeat superior.
Negli Statuti dei Tribunali internazionali istituiti in epoca moderna, al fine
di giudicare crimini internazionali, non sono rinvenibili disposizioni che
prevedano l’obbedienza all’ordine superiore come defence per se: comune a tutti
gli Statuti è il rigetto della dottrina del respondeat superior.
4.2.1. La repressione dei crimini di guerra alla fine del primo conflitto
mondiale.
Uno dei primi documenti che indica l’intenzione di affermare la
responsabilità del subordinato per l’esecuzione dell’ordine criminoso è il rapporto
redatto dalla Commissione sulle responsabilità degli autori della guerra,
presentato alle Potenze alleate nel 1919. Il compito della Commissione, istituita
dalla Conferenza preliminare di pace, era quello di risolvere una serie di quesiti in
tema di responsabilità penale per i crimini di guerra e di elaborare alcuni principi
che avrebbero dovuto informare l’attività di un tribunale internazionale incaricato
di giudicare i criminali di guerra del primo conflitto mondiale739. La Commissione
affermò che “civil and military authorities cannot be relieved from responsibility
by the mere fact that a higher authority might have been convicted of the same
offence. It will be for the court to decide whether a plea of superior orders is
sufficient to acquit the person charged from responsibility”: venne, dunque,
stabilita la possibile corresponsabilità dell’inferiore e del superiore per il crimine
commesso, anche se si riconosceva che la Corte potesse prevedere eccezioni a
questo principio740. Il Tribunale internazionale non venne, tuttavia, mai istituito e
739 Il rapporto della commissione è pubblicato in American Journal of Int. Law, 1920,
85 ss. 740 DINSTEIN, op. cit., 94.
L’ECCEZIONE DI ORDINI SUPERIORI NEL DIRITTO INTERNAZIONALE PENALE
255
nel Trattato di Versailles del 1919, che riconosceva alle Potenze alleate il diritto di
processare i criminali di guerra tedeschi, non fu inserita alcuna norma in tema di
obbedienza all’ordine del superiore.
4.2.1.1. Il ruolo della manifesta criminosità nei processi c.d. di Lipsia (1921).
Il caso Llandovery Castle.
Le Potenze alleate acconsentirono a che i criminali di guerra del primo
conflitto mondiale fossero processati innanzi al Reichsgericht tedesco. I processi
si tennero a Lipsia nel 1921 e alla Corte fu concesso di applicare, nei giudizi, il
proprio diritto nazionale.
In base a quanto stabilito dal secondo comma del § 47 del WStG del 1872,
si ritenne, pertanto, che la generale regola dell’esenzione dalla responsabilità
penale per l’esecutore di un ordine criminoso non potesse trovare applicazione
nell’ipotesi in cui l’inferiore fosse stato a conoscenza di tale criminosità741.
Nel caso dell’affondamento della nave-ospedale britannica “Llandovery
Castle”742, il Reichsgericht applicò il principio della manifesta illegittimità come
criterio ausiliario ai fini dell’accertamento della conoscenza dell’illiceità penale
dell’ordine da parte del subordinato, stabilendo che l’ordine superiore non valeva
ad escludere la responsabilità penale di chi l’avesse eseguito se esso era
“universalmente noto a tutti, incluso anche l’accusato, per essere senza dubbio in
contrasto con la legge”. La manifesta illegittimità funzionava, dunque, come
criterio presuntivo di prova della conoscenza da parte del subordinato dell’illiceità
penale dell’ordine eseguito.
741 La responsabilità dei subordinati fu esclusa, ad es., nel caso Robert Neumann e nel
caso Dover Castle (entrambi in American Journal of Int. Law, vol. 16, 1922, 696 e 699), perché si ritenne che l’inferiore avesse agito ignorando la criminosità dell’ordine.
742 La traduzione in inglese della sentenza è pubblicata in American Journal of Int. Law, vol. 16, 1922, 708 ss.
L’ECCEZIONE DI ORDINI SUPERIORI NEL DIRITTO INTERNAZIONALE PENALE
256
4.2.2. L’obbedienza all’ordine come mera circostanza attenuante negli
Statuti dei Tribunali internazionali di Norimberga e Tokyo
(1945).
Negli Statuti dei Tribunali internazionali di Norimberga (art. 8) e Tokyo
(art. 6) venne espressamente stabilito che l’aver agito per ordine del superiore non
escludeva la responsabilità penale dell’inferiore, ma che tale circostanza poteva
essere, per ragioni di giustizia, discrezionalmente considerata ai fini della
riduzione della pena743; l’ordine superiore poteva, dunque, avere rilevanza come
mera circostanza attenuante744. La disciplina dell’ordine gerarchico contenuta nei
citati articoli costituiva un esplicito rigetto della dottrina del respondeat
superior745.
La formulazione dell’art. 8, peraltro, precludeva ogni possibilità di
assegnare alla circostanza dell’obbedienza all’ordine una qualsiasi rilevanza ai
fini dell’esenzione dalla responsabilità penale, anche in relazione ad altre defences
(e quindi anche in relazione alla defence fondata sul difetto di mensa rea): i
redattori dello statuto accolsero, dunque, la teoria della absolute liability.
743 L’art. 8 del Nuremberg Charter (1945) stabilisce che “the fact that the Defendant
acted pursuant to orders of his Government or of a superior shall not free him from responsibility, but may be considered in mitigation of punishment, if the Tribunal determines that Justice so requires”.
744 In merito ai contrasti sorti, in sede di elaborazione dell’art. 8, tra i rappresentanti russi che propendevano per la teoria dell’absolute liability e gli americani, che sostenevano l’opportunità di considerare l’obbedienza all’ordine non solo come circostanza attenuante ma anche come esimente (anche se non come defence per se), v. DINSTEIN, The defence, cit., 109 ss.
745 Cfr. DINSTEIN, op. cit., 38 ss. e 119. Nel corso del giudizio di Norimberga venne rigettato sia l’argomento della difesa incentrato sul principio del respondeat superior sia quello relativo al c.d. Führerprinzip (tale principio, che aveva permeato l’organizzazione del Terzo Reich, venne richiamato dalla difesa per sostenere che l’art. 8 della Carta non poteva riferirsi agli ordini provenienti direttamente dal Führer e dotati per questo di assoluta obbligatorietà).
L’ECCEZIONE DI ORDINI SUPERIORI NEL DIRITTO INTERNAZIONALE PENALE
257
4.2.2.1. La libertà di scelta (moral choice) come criterio per determinare la
responsabilità dell’esecutore dell’ordine.
Durante lo svolgimento del giudizio innanzi al Tribunale di Norimberga
(che, tra il 1945 e il 1946, giudicò i grandi criminali di guerra) si cercò di
temperare l’eccessivo rigore della disposizione contenuta nell’art. 8 dello statuto,
riconoscendo la rilevanza dell’obbedienza all’ordine nel caso in cui fosse esclusa
nel subordinato ogni libertà di apprezzamento e di azione. Secondo i giudici di
Norimberga, infatti, la libertà di scelta costituiva il vero criterio per determinare la
responsabilità del subordinato esecutore746.
Nel Principle IV, elaborato dalla International Law Commission sulla base
dell’interpretazione dell’art. 8 operata dai giudici del Tribunale di Norimberga,
venne precisato che la responsabilità penale individuale di chi aveva agito in
conformità all’ordine di un superiore poteva essere affermata nei limiti in cui “a
moral choice was in fact possibile to him” e, quindi, solo nel caso in cui
l’inferiore disponesse della libertà morale di scegliere se obbedire o meno
all’ordine criminoso747.
746 International Military Tribunal (Nuremberg), Judgment and Sentences, October 1,
1946, in American Journal of Int. Law, vol. 41, 1947, 216, in relazione all’art. 8: “The provisions of this article are in conformity with the law of all nations. That a soldier was ordered to kill or torture in violation of the international law of war has never been recognized as a defence to such acts of brutality, though, as the charter here provides, the order may be urged in mitigation of the punishment. The true test which is found in varying degrees in the criminal law of most nations, is not the existence of the order but whether moral choice was in fact possibile.”
747 Sui contrasti interpretativi insorti in merito al significato da attribuire al c.d. “moral choice test”, v. DINSTEIN, The defence, cit., 147 ss. e 228 ss.
L’ECCEZIONE DI ORDINI SUPERIORI NEL DIRITTO INTERNAZIONALE PENALE
258
4.2.3. La prassi dei Tribunali militari alleati dopo il 1945 (Subsequent
Proceedings). La rilevanza dell’ordine superiore sul piano della
compulsion o dell’errore di diritto.
I Tribunali militari alleati che, ai sensi della Legge n. 10 del Consiglio di
Controllo Alleato748, furono incaricati, dopo il 1945, di perseguire i criminali di
guerra minori, negarono nel corso dei relativi giudizi, ed in conformità con lo
Statuto del Tribunale di Norimberga, che l’aver agito per ordine del superiore
potesse di per sé esimere dalla responsabilità penale il subordinato esecutore749.
Tuttavia, l’ordine superiore poteva assumere rilevanza sul piano del
costringimento psichico o dell’errore di diritto. Se una scelta morale non era,
infatti, possibile per l’inferiore, in quanto il rifiuto di obbedire avrebbe
comportato gravi conseguenze per la sua incolumità750, e se, quindi, sussisteva la
costrizione morale (compulsion o contrainte751), ne conseguiva l’esclusione della
colpevolezza (del subordinato). Del pari, i Tribunali militari alleati considerarono
748 La Legge n. 10 del Consiglio di Controllo delle Potenze vincitrici occupanti la
Germania fu promulgata il 20 dicembre1945. Con essa si conferiva giurisdizione ai tribunali nazionali delle Potenze vincitrici nelle rispettive zone di occupazione, per la repressione dei crimini previsti dall’accordo di Londra dell’8 agosto 1945 (con cui era stato istituito il Tribunale internazionale di Norimberga); nella legge si stabiliva altresì che i tribunali tedeschi potessero essere autorizzati dalla Potenza occupante ad esercitare la giurisdizione nel caso in cui tali crimini fossero stati commessi da cittadini tedeschi nei confronti di altri tedeschi.
749 L’art. II, par. 4, lett. b), della Legge n. 10 riproduce quasi testualmente l’art. 8 dello Statuto del Tribunale di Norimberga.
750 Si veda, ad esempio, il caso Ohlendorf (Einsatzgruppen Trial), in cui il Tribunale americano a Norimberga affermò che “if one claims duress in the execution of an illegal order, it must be shown that the harm caused by obeying the illegal order is not disproportionally greater than the harm which would result from not obeying the illegal order.”. Nel caso Von Leeb (German High Command Trial ) il medesimo Tribunale stabilì che una “…servile compliance with orders clearly criminal for fear of some disadvantage or punishment not immediately threatened cannot be recognized as a defence. To establish the defence of coercion or necessity in the face of danger there must be a showing of circumstances such that a reasonable man would apprehend that he was in such imminent physical peril as to deprive him of freedom to choose the right and refrain from the wrong”. Entrambi i citati casi sono pubblicati in Annual Digest and Rep. of Public Int. Law Cases, 1948, 376 ss. e 656 ss.
751 Nei giudizi resi da questi tribunali si utilizzano, per indicare la costrizione morale, anche i termini “duress”, “necessity”, “coercion” e “Nötigungsstand”.
L’ECCEZIONE DI ORDINI SUPERIORI NEL DIRITTO INTERNAZIONALE PENALE
259
l’errore sull’illiceità dell’ordine ricevuto come causa di esclusione della
colpevolezza, purché il carattere illecito (secondo il diritto internazionale)
dell’ordine non fosse stato evidente, o almeno potesse e dovesse esserlo per una
persona di normale ragionevolezza752.
E’ agevole notare che, nelle ipotesi citate, ad assumere rilevanza ai fini
dell’esenzione dalla responsabilità non è tanto l’aver agito in ottemperanza ad un
ordine criminoso, quanto la sussistenza della compulsion o di un errore invincibile
di diritto. In altri termini, l’ordine superiore viene in considerazione non in quanto
autonoma defence, bensì come elemento che, di fatto, può aver contribuito,
unitamente ad altre circostanze, al verificarsi del costringimento o dell’errore di
diritto. Il principio accolto è, dunque, quello della non punibilità dell’esecutore
dell’ordine criminoso per difetto di mens rea753.
752 Nel c.d. Hostage Case, in Annual Digest and Rep. of Public Int. Law Cases, 1948,
633, si affermò che, come regola generale, i membri delle forze armate avevano il dovere di obbedire solo ad ordini legittimi (con conseguente affermazione della loro responsabilità penale per l’esecuzione di un ordine in contrasto con il diritto internazionale) ma si ammise che “if the illegality of the order was not known to the inferior and he could not reasonably have been expected to know of its illegality, no wrongful intent necessary to the commission of a crime exists and the inferior will be protected”.
753 Cfr. DINSTEIN, The defence, cit., 87 ss.; MÜLLER-RAPPARD, L’ordre supérieur militare, cit., 217, secondo il quale “la mens rea est bien composée de deux éléments, de la volonté (de l’acte) et de la conscience de l’illicéité. En un mot, un choix moral n’est pas possibile lorsqu’on est obligé de faire ce qu’on ne veut pas faire; il n’est également pas possible lorsqu’on ne sait pas ce qu’on doit faire”.
L’ECCEZIONE DI ORDINI SUPERIORI NEL DIRITTO INTERNAZIONALE PENALE
260
4.2.4. La considerazione dell’obbedienza all’ordine ai fini della
mitigazione della pena negli Statuti dei Tribunali internazionali
per i crimini commessi nella ex Jugoslavia (1993) e in Ruanda
(1994). Il caso Erdemovic.
Negli Statuti dei Tribunali internazionali penali per i crimini internazionali
commessi nei territori della ex Jugoslavia754 e in Ruanda755 sono contenute
disposizioni analoghe a quella prevista nel citato art. 8 dello Statuto del Tribunale
di Norimberga e, quindi, l’ordine del superiore non esime l’inferiore dalla
responsabilità penale, ma può venire in considerazione ai soli fini della
mitigazione della pena.
Nel caso Erdemovic756, il Tribunale penale internazionale per la ex
Jugoslavia ha preso in considerazione l’ordine gerarchico militare in connessione
alla costrizione morale. L’imputato è stato dichiarato colpevole di crimini contro
l’umanità in quanto responsabile dell’uccisione di un notevole numero di persone
nel corso di una esecuzione di massa di circa 1200 civili. Erdemovic, pur
754 Il Tribunale internazionale per la ex Jugoslavia è stato istituito con la risoluzione
del Consiglio di Sicurezza dell’ONU n. 827 del 25 maggio 1993. Il Tribunale è competente a giudicare delle violazioni del diritto internazionale umanitario commessi nel territorio della ex Jugoslavia a partire dal 1 gennaio 1991. Sul problema del fondamento giuridico del Tribunale ad hoc v. PICONE P., Sul fondamento giuridico del Tribunale penale per la ex Jugoslavia, in La Comunità internazionale, 1996, 3 ss.; VASSALLI G., Il tribunale internazionale per i crimini commessi nei territori dell’ex Jugoslavia, in La giustizia internazionale penale. Studi, Milano 1995, 149. Più in generale v., tra i molti scritti in argomento, BASSIOUNI M. Ch., Indagini sui crimini di guerra nell’ex Jugoslavia, Milano 1997; DAVID E., Le Tribunal International Penal pour l’ex Jugoslavie, in Revue Belge de Droit International, 1992, 565; LATTANZI F., La competenza delle giurisdizioni di Stati “terzi” a riconoscere e processare i responsabili di crimini nell’ex Jugoslavia e nel Ruanda, in Riv. dir. internazionale, 1995, 707; LESCURE K. – TRINTIGNAC F., Une justice inernationale pour l’ex Yugoslavie, Montchrestien, 1994; JONES J.R.W.D., The practice of the International Criminal Tribunals for Former Yugoslavia and for Rwanda, Ardsley (NY), 1999 e bibliografia ivi citata.
755 Il Tribunale internazionale per i crimini commessi nel territorio del Ruanda è stato istituito con risoluzione del Consiglio di Sicurezza dell’ONU n. 955 dell’8 novembre 1994. Il Tribunale ha competenza per le violazioni del diritto umanitario e per fatti di genocidio commessi in Ruanda nel periodo tra il 1 gennaio e il 31 dicembre 1994.
756 In Riv. dir. internazionale, 1997, 447 ss.
L’ECCEZIONE DI ORDINI SUPERIORI NEL DIRITTO INTERNAZIONALE PENALE
261
essendosi dichiarato colpevole dei crimini ascrittigli, aveva eccepito di aver
eseguito l’ordine del superiore unicamente al fine di salvare la propria vita e
quella dei suoi familiari e, quindi, di aver agito in stato di necessità determinato
dalle altrui minacce. La Corte ha affermato il principio secondo cui la circostanza
di aver obbedito ad un ordine non è di per sé sufficiente a fondare l’invocabilità
dell’eccezione del costringimento psichico, dovendo l’interprete prendere in
considerazione, sul piano concreto, tutti gli elementi oggettivi e soggettivi
caratterizzanti la fattispecie, al fine di stabilire se sussistesse o meno per l’agente
un dovere di resistere al pericolo757.
4.2.5. La defence of superior order nello Statuto della Corte penale
internazionale permanente. Il principio dell’irrilevanza
dell’ordine come defence per se .
L’elaborazione della defence of superior order è stata molto dibattuta al
momento della redazione dello Statuto del Tribunale penale internazionale
permanente758. Si tratta di un dibattito che, come è stato correttamente
757 V., in commento, CAVICCHIOLI, Il costringimento psichico, cit., 373;
SELVAGGI N., Il Caso Erdemovic tra ordine del superiore e stato di necessità, in MEZZETTI E. (a cura di), Diritto penale internazionale. I. Casi e materiali, Torino, 2006, 52 ss. V. anche il caso Tadic, reperibile sul sito internet www.un.org e in parte pubblicato in Riv. dir. internazionale, 1995, 101 ss.
758 La letteratura in argomento è ormai vastissima. Tra i molti contributi, cfr., in particolare, AA.VV., Substantive and procedural Aspects of International Criminal Law. The experience of International and National Courts, Vol. I (Commentary), cit., 2000; AA.VV., The International Criminal Court. The making of the Rome Statute, ed. by LEE R.S., The Hague (Kluwer Law International), 1999; AA.VV., The Rome statute of the International criminal court: a commentary, (ed. by CASSESE A., GAETA P., JONES J.R.W.D), Oxford, 2002; AMATI E., Quale repressione per i crimini di guerra?, in Ind. pen., 2000, 237; CASSESE A., The Statute of the International Criminal Court: some preliminary reflections, in Eur. Journ. Int. Law, 1999, 144 ss.; JESCHECK H.H., La Corte penale internazionale, in Ind. pen., 2000, 297; ID., I principi del diritto penale internazionale, cit.; MEZZETTI E., Le cause di esclusione della responsabilità penale nello statuto della Corte internazionale penale, in Riv. it. dir. e proc. pen., 2000, 245; SCHABAS W., General principles of criminal law in the International Criminal Court Statute, in European Journal of Crime, Criminal Law
L’ECCEZIONE DI ORDINI SUPERIORI NEL DIRITTO INTERNAZIONALE PENALE
262
osservato759, dimostra ancora una volta l’innata tensione tra la dottrina militare e il
diritto umanitario. Durante la Conferenza di Roma, alcuni Stati, in particolare la
Germania, fondandosi sui precedenti dello Statuto di Norimberga e degli statuti
dei Tribunali ad hoc, erano dell’opinione che in nessun caso si poteva ammettere
che l’esecuzione dell’ordine del superiore potesse mandare esente da pena il
subordinato che avesse realizzato uno dei crimini di competenza della Corte. Altri
Stati, tra cui, in particolare, gli Stati Uniti d’America, propendevano, invece, per
una norma che riconoscesse la defence of superior order in generale, con l’unica
eccezione del caso in cui l’inferiore fosse stato a conoscenza della criminosità
dell’ordine e dell’ipotesi in cui l’ordine fosse manifestamente criminoso. La
difficile negoziazione approdò infine alla formula di compromesso contenuta
nell’art. 33760.
In tale disposizione è stato innanzitutto recepito il principio secondo cui
l’ordine del superiore non è causa di esclusione della responsabilità per il
subordinato esecutore. Anche in questo caso, dunque, è esclusa la rilevanza
dell’ordine superiore come defence per se, con conseguente esplicito rigetto del
principio del respondeat superior761.
and Criminal Justice, Vol. 6, Issue 4, 1998, 426; TRIFFTERER O., Commentary on the Rome Statute of the International Criminal Court, Baden Baden, 1999, 1295.
759 SCALIOTTI M., Defences before the International Criminal Court: substantive grounds for excluding criminal responsibility – Part I, in International Law Review, vol. 1, 2001, 138.
760 Per la ricostruzione del dibattito concernente la formulazione dell’art. 33 v. SALAND P., International criminal law principles, in AA.VV., The International Criminal Court. The making of the Rome Statute, cit., 210 ss.; SCALIOTTI M., Defences before the International Criminal Court, cit. 137 ss.; ZIMMERMAN, Superior orders, in AA.VV., The Rome statute of the International criminal court: a commentary, cit., 966 s.
761 Rileva TRIFFTERER, Art. 33, in ID., Commentary on the Rome Statute, cit., 581, che il metodo di stabilire in principio e con chiarezza la punibilità dell’esecutore dell’ordine e solo dopo prevedere un’eccezione limitata al principio generale, a scapito di quello di riconoscere in via di principio l’obbedienza all’ordine come defence e poi indicare le eccezioni secondo le quali essa non sarebbe stata applicabile, fu scelto a Roma per ragioni psicologiche e questioni di prova.
L’ECCEZIONE DI ORDINI SUPERIORI NEL DIRITTO INTERNAZIONALE PENALE
263
Tuttavia, tale Statuto prevede, diversamente da quanto stabilito dai
precedenti statuti istitutivi di tribunali internazionali, che l’adempimento
dell’ordine possa comportare l’esonero dell’inferiore dalla responsabilità penale
nel caso in cui sussistano cumulativamente762 tre condizioni: a)l’obbligo legale di
obbedire all’ordine; b)la mancata conoscenza dell’illegittimità dell’ordine; c) la
non manifesta illegittimità (criminosità) dell’ordine medesimo763. Si può
affermare che l’art. 33 rovescia, per così dire, la presunzione operata in quei
sistemi nazionali che si fondano sulla conditional liability, intesa nel senso che
l’obbedienza all’ordine è in generale una defence per l’esecutore, salvo poi
indivcare le ipotesi in cui essa non è ammessa (il caso della manifesta criminosità
o criminosità nota). Al contrario l’art. 33 introduce la presunzione secondo cui il
superior order non è una valida defence, esplicitando poi i casi in cui essa potrà
avere rilevanza764
Se è vero peraltro che l’art. 33 si è discostato da quanto precedentemente
previsto dagli Statuti di Norimberga e Tokyo e dei Tribunali ad hoc (nei quali
come si è detto, l’obbedienza all’ordine poteva venire in considerazione solo
come circostanza attenuante)765 è anche vero che la prassi giurisprudenziale
internazionale, inclusa quella seguente a Norimberga, ha mostrato di attribuire alla
defence una sia pur limitata rilevanza quantomeno sul piano dell’errore di diritto e
o della compulsion766.
762 Cfr. DINSTEIN, Defences, in AA.VV., Substantive and procedural Aspects of
International Criminal Law, cit., 381; ZIMMERMAN, Superior orders, cit., 967. 763 Art. 33 (Ordine del superiore gerarchico e ordine di legge): “1. Il fatto che un
reato passibile di giurisdizione della Corte sia stato commesso da una persona in esecuzione di un ordine di un governo o di un superiore militare o civile non esonera tale persona dalla sua responsabilità penale salvo che : a) la persona aveva l’obbligo legale di obbedire agli ordini del governo o del superiore in questione; b) la persona non sapeva che l’ordine era illegale; c) l’ordine non era manifestamente illegale. 2. Ai fini del presente articolo, gli ordini di commettere un genocidio o crimini contro l’umanità sono manifestamente illegali.”
764 Sul punto v. GAETA, The defence, cit., 190. 765 Cfr. CASSESE A., The Statute of the International Criminal Court: some
preliminary reflections, in Eur. Journ. Int. Law, 1999, 156. 766 Secondo SCALIOTTI, op. cit., 141, non deve dimenticarsi che la regola secondo
L’ECCEZIONE DI ORDINI SUPERIORI NEL DIRITTO INTERNAZIONALE PENALE
264
La formulazione “shall not relieve…of criminal responsibility” impiegata
nell’art. 33 è neutrale e non fornisce indicazioni in merito alla questione se si tratti
di una causa di giustificazione o di una scusante: in realtà si deve ritenere che
l’esecuzione di un ordine criminoso non possa mai ritenersi giustificata767. D’altra
parte, che si sia in presenza di una excuse emerge anche dalle sopra citate
condizioni sub a) e c) che attengono al piano della colpevolezza, e anche dal fatto
che l’art. 32, disciplinante l’errore di diritto, espressamente prevede che un simile
errore possa essere motivo di esclusione dalla responsabilità penale sulla base di
quanto previsto dall’articolo 33. Del resto non va dimenticato che dallo studio
della giurisprudenza è emerso che gli ordini di commettere un crimine
internazionale sono sempre unlawful e che, pertanto, non possono giustificare la
condotta dell’agente: essi possono invece costituire una excuse se è possibile
ravvisare un costringimento psichico in considerazione del fattoche “a moral
choice was not possible” o perché l’inferiore ha errato sulla legittimità dell’ordine
ricevuto768. Ad ulteriore conferma si può ricordare che la citata Convenzione
contro la tortura del 1984 espressamente stabilisce che gli ordini superiori non
possono essere invocati come justification per fatti di tortura.
L’art. 33 non menziona la possibilità che l’ordine superiore possa
eventualmente venire in considerazione ai fini dell’attenuazione della pena.
Tuttavia, si deve ritenere che tale possibilità non sia esclusa, giacché l’art. 78, co.
1, dello Statuto prevede che la Corte, nel determinare la pena, debba in ogni caso,
in conformità alle Rules of Procedure and Evidence, tener conto di elementi quali
cui gli ordini superiori non possono mai costituire una defence ha la sua genesi nella Carta di Londra, che probabilmente non era conforme al preesistente diritto internazionale in materia, giacché il diritto consuetudinario accettava il manifest illegality test, e che fu redatta avendo a mente circostanze eccezionali. V. anche McCOUBREY H., From Nuremberg to Rome: restoring the defence of superior orders, cit., 393 s., il quale osserva che lo Statuto di Roma ha restaurato e attentamente riformulato l’interpretazione di quella dottrina che esisteva prima del 1945 e che, se solo compresa correttamente, era anche alla base delle previsioni di Norimberga e Tokyo, nonostante l’applicazione in circostanze inusuali ed estreme.
767 TRIFFTERER, Art. 33, in ID., Commentary on the Rome Statute, cit., 579.
L’ECCEZIONE DI ORDINI SUPERIORI NEL DIRITTO INTERNAZIONALE PENALE
265
“the gravity of the crime and the individual circumstances of the convicted
person”769.
4.2.5.1. La nozione di “superior order”
La rubrica dell’art. 33 fa riferimento al “superior order” e alla
“prescription of law”. Secondo qualche autore l’espresso riferimento alla
“prescrizione di legge” sarebbe espressione dell’idea che gli ordini devono essere
legittimi, posto che in generale gli ordini unlawful, come ad es. l’ordine di
commettere un crimine, non sono, in base alla legge, vincolanti770.
L’ordine, ai sensi dell’art. 33, può essere definito come l’insieme di tutte le
richieste, orali, scritte o altrimenti espresse, rivolte a determinate persone o a
gruppi di persone, di tenere un dato comportamento, attivo o omissivo, che
realizza uno dei crimini di competenza della Corte771.
L’ordine deve provenire da un superiore o da un Governo. Nel primo caso
è necessario che tra la persona che riceve l’ordine e chi lo impartisce sussista un
rapporto gerarchico772. Per quanto concerne, invece, l’ordine di un Governo, si
ritiene che possa trattarsi sia di una prescrizione di legge che di un regolamento773.
E’ peraltro dubbio se possa avere rilevanza l’ordine emanato da un privato
o da un organizzazione privata o se, invece, debba comunque trattarsi di un ordine
impartito nell’esercizio di una autorità ufficiale774.
768 V. supra par. 4.2.3. 769 Così TRIFFTERER, Art. 33, in ID., Commentary on the Rome Statute, cit., 580. 770 Così TRIFFTERER, Art. 33, in ID., Commentary on the Rome Statute, cit., 580. 771 Per questa definizione v. TRIFFTERER, Art. 33, cit. 582. Precisa
ZIMMERMANN, Superior orders, cit., 969, che il concetto stesso di ordine implica che debba trattarsi di una richiesta di tenere un determinato comportamento, con l’esclusione dunque dei meri atti di incitamento.
772 ZIMMERMANN, Superior orders, cit., 968. 773 Sul punto v. ampiamente TRIFFTERER, Art. 33, cit. 582 s.; ZIMMERMANN,
Superior orders, cit., 968 s. 774 Propende per l’applicazione dell’art. 33 nel solo caso in cui l’autorità da cui
proviene l’ordine sia pubblica ZIMMERMANN, Superior orders, cit., 968 s. Contra TRIFFTERER, Art. 33, cit. 584.
L’ECCEZIONE DI ORDINI SUPERIORI NEL DIRITTO INTERNAZIONALE PENALE
266
In ogni caso, l’ordine può essere impartito sia da un superiore militare che
civile, purché, in quest’ultimo caso, sia dimostrato che il superiore civile esercita
un grado di controllo simile a quello del superiore militare, giacché altrimenti si
amplierebbe di troppo la portata della norma in questione775.
4.2.5.2. La sussistenza della “legal obligation to obey”: il rinvio al diritto
nazionale
La prima condizione lascia aperta la questione relativa alla configurabilità
di ordini illegittimi vincolanti, che deve, quindi, essere risolta nell’ambito dei
singoli ordinamenti nazionali. La Corte dovrà pertanto valutare l’effetto
vincolante dell’ordine secondo il domestic legal order. Questa previsione
sembrerebbe, peraltro, indicare la volontà di preservare, almeno in parte, la
sovranità degli Stati nel disciplinare la delicata questione dell’ordine gerarchico.
Si ritiene necessario che la “legal obligation to obey” debba essere stata
sussistente al momento della commissione del crimine776.
775 ZIMMERMANN, Superior orders, cit., 969. V. anche TRIFFTERER, Art. 33, cit.
583 s. In questo senso si è espressa anche la giurisprudenza dello Tribunale ad hoc per la ex Jugoslavia nel caso Delalic (Case n. IT-96-21-T, para. 378). Secondo RIVELLO R., I principi generali di diritto e le cause di giustificazione nel diritto internazionale penale: influssi e reflussi fra ordinamento internazionale e ordinamenti interni, in AA.VV., Diritto e Forze armate. Nuovi impegni, a c. di RIONDATO S., Padova, 2001, 256, è rilevante che la norma contempli una disciplina non ristretta alle gerarchie militari, bensì prevista in termini generali, comprensiva degli ordini impartitti da un superiore civile.
776 TRIFFTERER, Art. 33, cit. 585.
L’ECCEZIONE DI ORDINI SUPERIORI NEL DIRITTO INTERNAZIONALE PENALE
267
4.2.5.3. La rilevanza dell’errore di diritto nei limiti della manifesta
criminosità. La presunzione assoluta di manifesta criminosità degli
ordini di commettere genocidio o crimini contro l’umanità. Rilievi
critici.
L'illegittimità a cui fanno riferimento le altre due condizioni previste
dall’art. 33 (ignoranza della criminosità; criminosità non manifesta) deriva in
primis dal diritto internazionale penale.
L’ignoranza dell’illegittimità dell’ordine è espressamente configurata
dall’art. 32, co.2 (che rinvia all’art. 33)777 come ipotesi in cui, eccezionalmente, si
dà rilievo all’errore di diritto come causa di esclusione della responsabilità
penale778.
La manifesta illegittimità dell’ordine segna il limite alla scusabilità di tale
errore di diritto779.
777 Art. 32 n. 2: “Un errore di diritto concernente la questione di sapere se un
determinato tipo di comportamento costituisce un reato passibile della giurisdizione della Corte non è motivo di esclusione della responsabilità penale. Tuttavia, un errore di diritto può essere motivo di esclusione dalla responsabilità penale quando annulla l’elemento psicologico del reato o sulla base di quanto previsto dall’articolo 33.”
778 Sulle incertezze interpretative che può destare tale disposizione, anche per l’ambiguità dell’espressione utilizzata (“the person did not know”) v. MEZZETTI, Le cause di esclusione, cit., 250 ss. Non possono, tuttavia, condividersi le perplessità manifestate dall’A. in merito alla rilevanza data all’errore di diritto sulla legittimità dell’ordine. La previsione della scusabilità di tale errore pare, invece, conforme alla difficile posizione del subordinato esecutore e trova comunque il limite della manifesta illegittimità. Sul punto cfr. anche le considerazioni critiche di PALAZZO, Corso, p. gen., cit., 361, secondo il quale l’art. 33 non realizza pienamente i corollari del principio di colpevolezza cui si ispira, giacché da un lato non contempla una residuale responsabilità a titolo di colpa in ipotesi di errore colpevole dell’inferiore, dall’altro non prende in considerazione la possibile efficacia scusante delle concrete condizioni di umana inesigibilità in cui l’inferiore si sia psichicamente determinato all’esecuzione dell’ordine della cui illegittimità fosse tuttavia consapevole
779La manifesta criminosità dell’ordine va valutata secondo un parametro oggettivo: in questo senso cfr. TRIFFTERER, Art. 33, in ID.,Commentary, cit., n. marg. 28; ZIMMERMANN, op. cit., 970. Secondo PALAZZO, Corso, p. gen., cit., 361 s., nella prospettiva soggettivistica della colpevolezza dell’art. 33, il limite oggettivo della manifesta criminosità introduce una componente obiettivamente presuntiva e non pienamente coerente con la necessità di una valutazione del processo psichico di motivazione dell’agente.
L’ECCEZIONE DI ORDINI SUPERIORI NEL DIRITTO INTERNAZIONALE PENALE
268
A tale riguardo, si noti che lo Statuto stesso stabilisce espressamente che
gli ordini di commettere genocidio e crimini contro l’umanità sono “manifestly
unlawful”.
L’introduzione di una tale presunzione, di fatto impedisce che
l’adempimento dell’ordine possa costituire causa di esclusione della responsabilità
per i crimini attualmente di competenza della Corte, dato che quest’ultima ha
giurisdizione immediata solo per i casi di genocidio e di crimini contro l’umanità,
in attesa della ratifica per i crimini di guerra780 e di una risoluzione che definisca i
crimini di aggressione.
Lo Statuto risolve, dunque, nelle ipotesi nominate, il problema del criterio
da impiegare per definire quando la criminosità sia manifesta; ma desta dubbi in
ordine all'opportunità di introdurre presunzioni rigide sul versante della
colpevolezza (semmai, a tutto concedere, si potrebbe ammettere una presunzione
relativa) 781, specialmente con riguardo ad individui appartenenti a culture affatto
diverse da quelle di ispirazione europeo-occidentale782. Inoltre, resta aperto il
780 L’art. 124 dello Statuto riconosce ai singoli Stati la facoltà di non accettare, nei
sette anni successivi all’entrata in vigore dello Statuto, la giurisdizione della Corte sui crimini di guerra compiuti dai propri cittadini o sul proprio territorio.
781 Secondo DINSTEIN, Defences, in AA.VV., Substantive and procedural Aspects, cit., 381 s., è inoltre inopportuno statuire categoricamente che tutti i crimini contro l’umanità sono sempre manifestamente illegittimi, data la complessa struttura di alcuni tali crimini così come descritti nell’art. 7 dello Statuto di Roma. Contra ZIMMERMANN, op. cit., 971 s., secondo cui, data la natura dei crimini contro l’umanità, è quasi impossibile che l’inferiore non si renda conto della illegittimità dell’ordine.
782 Sull’incidenza del “fattore culturale” in ambito penalistico v. RIONDATO S., Diritto penale e reato culturale, tra globalizzazione e multiculturalismo. Recenti novità legislative in tema di opinione, religione, discriminazione razziale, mutilazione genitale femminile, personalità dello Stato, in Atti del Seminario di studio "Discriminazione razziale, xenofobia, odio religioso. Diritti fondamentali e tutela penale" (Università degli Studi di Padova, 24 marzo 2006), a c. di RIONDATO S., Padova, 2006, 81 ss.: con specifico riferimento alla necessità di tener conto, nell’ambito della scusa penalistica, dell’idea che ciò che è naturalmente reato per una certa cultura non lo è per un’altra, l’A. rileva (p. 89 s.) che, nei riguardi di soggetti che non sanno e non possono sapere che il loro comportamento è illecito ed anzi lo ritengono doveroso, “l’unico rimedio pratico è attualmente quello di impiegare la scusante
L’ECCEZIONE DI ORDINI SUPERIORI NEL DIRITTO INTERNAZIONALE PENALE
269
problema di individuazione del contenuto del criterio “manifestly unlawful” con
riguardo ad ogni altra ipotesi, cioè i crimini di guerra e i crimini di aggressione,
tenuto conto che si tratta di crimini che non sempre rispecchiano immediatamente
mala in se, né tanto meno qualificabili necessariamente come “atroci” (e che non
sono, dunque, immediatamente percepibili come criminosi), in quanto connotati
da elementi normativi che introducono una sia pur relativa “artificialità”. Anche
se, in realtà, pare verosimile che la mancata previsione della presunzione di
manifesta illegittimità per i crimini di guerra non sia stata motivata da
considerazioni sulla natura più o meno evidente della criminosità, bensì, ancora
una volta, dall’intento degli Stati di salvaguardare i propri militari, posto che tali
crimini sono tipicamente commessi da militari nell’ambito della loro attività783.
Infine, pare condivisibile l’opinione di chi ritiene criticabile il fatto che lo
Statuto non prenda in considerazione la possibile interazione dell’obbedienza
all’ordine con l’errore di fatto o con la duress - interazione peraltro spesso
verificatasi nella prassi -, le quali sono comunque defences che si fondano sul
difetto di mens rea784.
dell’inevitabilità dell’errore sulla legge penale, sempre che si estenda per più versi la relativa disciplina, e in particolare tra l’altro la si estenda ai reati che per noi sono «naturali», cioè sono crimini già in forza di una considerazione culturale e di una conoscenza comune che preesistono e prescindono dalla legge, crimini per i quali dunque non sarebbe ammessa la scusa dell’ignoranza inevitabile”.
783 In argomento cfr. PALAZZO, op. ult. cit., 362; ZIMMERMANN, op. cit., 971. Cfr. altresì GAETA, The defence, cit., 190 s., la quale auspica che si affermi, in seno alla Corte, la tendenza a ritenere sempre manifestamente criminosi anche i crimini di guerra.
784 DINSTEIN, Defences, in AA.VV., Substantive and procedural Aspects, cit., 382.
L’ECCEZIONE DI ORDINI SUPERIORI NEL DIRITTO INTERNAZIONALE PENALE
270
5. Il problema della configurabilità di una norma di diritto internazionale
consuetudinario sulla responsabilità dell’esecutore dell’ordine criminoso.
Le fonti pattizie esaminate, pur non contenendo una disciplina uniforme in
tema di responsabilità per l’esecuzione dell’ordine di commettere un crimine juris
gentium, sono accomunate dal rigetto del principio del respondeat superior.
D’altra parte, dal fatto che in alcuni importanti accordi internazionali
(come la Convenzione sul genocidio del 1948, le Convenzioni di Ginevra del
1949 sul diritto umanitario di guerra e i Protocolli aggiuntivi del 1977) manca una
disposizione in merito agli ordini dei superiori, qualche autore ha dedotto785 che si
debba dubitare dell’esistenza di un positivo principio di diritto internazionale
generalmente riconosciuto, volto a negare, anche a prescindere da quanto disposto
dal diritto interno, efficacia esimente all’eccezione di ordini superiori786.
Elementi decisivi in ordine a tale questione possono essere tratti
dall’esame delle decisioni rese dai Tribunali interni.
5.1. La prassi delle Corti nazionali in sede di repressione di gravi
violazioni dei diritti dell’uomo. L’affermazione della responsabilità
del subordinato per l’esecuzione dell’ordine manifestamente
criminoso.
Chi nega787 l’esistenza di un principio di diritto internazionale
consuetudinario in tema di obbedienza all’ordine criminoso, sostiene anche che
tale assunto troverebbe conferma proprio nella prassi delle Corti nazionali in sede
785 V. DE SENA P., Ordini superiori, immunità funzionale e gravi violazioni dei
diritti dell’uomo dinanzi ai giudici interni, in Riv. dir. internazionale, 1994, 947. 786 Tra coloro che affermano, invece, l’esistenza di un simile principio di diritto
consuetudinario, vigente in tema di repressione dei crimina juris gentium, v. M. CHERIF BASSIOUNI, Crimes against Humanity in International Criminal Law, Dordrecht- Boston- London, 1992, 437; DAVID, Principes, cit., 659; GREEN, op.cit., 202. v. anche GAETA, The defence, cit., 188, secondo cui la mancanza di accordo in merito ad una regola pattizia lascia inalterati l’esistenza e il contenuto di una regola di diritto internazionale consuetudinario.
787 DE SENA, op. ult. cit., 947 ss.
L’ECCEZIONE DI ORDINI SUPERIORI NEL DIRITTO INTERNAZIONALE PENALE
271
di repressione di gravi violazioni dei diritti dell’uomo. Se è vero, infatti, che tali
Corti hanno generalmente rigettato la defence of obedience to superior orders,
non sembrerebbe, tuttavia, che tale orientamento sia conseguenza
dell’applicazione di una norma di diritto internazionale consuetudinario,
riconducibile, in ultima analisi, ai c.d. Nuremberg Principles. Dall’esame delle
sentenze emanate dai tribunali interni, emergerebbe che i giudici raramente hanno
mostrato di richiamarsi a principi di diritto internazionale al fine di affermare la
responsabilità penale del subordinato788, ed hanno applicato esclusivamente le
norme di diritto interno che affermavano il medesimo principio. Inoltre, anche in
presenza di una legislazione interna fondata sul principio respondeat superior non
sarebbe stato effettuato alcun richiamo a norme internazionali di segno opposto, la
cui applicazione sarebbe stata rilevante ai fini della concreta punibilità
dell’inferiore 789.
In realtà, proprio in considerazione anche della prassi delle Corti nazionali,
non può essere negata l’esistenza di una norma di diritto internazionale
consuetudinario volta ad affermare che l’obbedienza all’ordine criminoso del
superiore non è causa di esclusione della responsabilità per l’esecutore,
quantomeno nelle ipotesi di criminosità manifesta790. In effetti, in tali casi, nella
prassi pressoché costante delle Corti nazionali è stata affermata la responsabilità
del subordinato791. Un’eventuale mancata affermazione di una simile norma in
788 Si veda, per es., il caso Zuhlke (in Annual Digest of public Int. Law Cases, 1948,
494), in cui a Corte olandese diede risposta negativa al quesito se l’art. 8 dello Statuto del tribunale di Norimberga fosse o meno espressione “of a principle of international law of a wider scope applicable to all war criminals without exception”.
789 V. DE SENA, Ordini superiori, cit., 961, in merito alla recente vicenda della mancata punizione degli ufficiali argentini di rango inferiore per i crimini commessi durante il regime dei generali.
790 In tal senso v. GREEN, Superior Orders and command responsibility, cit., 202; ZIMMERMANN, op. cit., 966. Contra DE SENA, Ordini superiori, cit., 973 ss.
791 Cfr., tra gli altri (molti casi sono citati in DAVID, Principes, cit., e in GAETA, The defence, cit.), il caso Calley, relativo al massacro di civili vietnamiti nel villaggio di My Lai ad opera di militari americani, in cui la Court of Military Appeals affermò che “the acts of a subordinate done in compliance with an unlawful order given him by his superior are
L’ECCEZIONE DI ORDINI SUPERIORI NEL DIRITTO INTERNAZIONALE PENALE
272
ipotesi in cui in diritto interno viga il principio del respondeat superior anche nel
caso in cui l’ordine sia manifestamente criminoso, significa semplicemente la
violazione di tale norma internazionale da parte dello Stato in questione.
Non è d’altra parte neppure accoglibile l’opinione di chi ritiene che
l’attuale posizione del diritto consuetudinario sia quella secondo cui gli ordini del
superiore non costituiscono mai una defence per le gravi violazioni del diritto
umanitario, siano essi crimini di genocidio, crimini contro l’umanità o crimini di
excused and impose no criminal liability upon him, unless the superior’s order is one which a man of ordinary sense and understanding would, under the circumstances, know to be unlawful…” (v. amplius supra, cap. II, sez. II par., 3.3.1.); v. anche i casi Peleus, in Annual Digest of Public Int. Law Cases, 1946, 249; Eichmann, in Int. Law Reports, vol. 36, 1968, 313 (relativo al genocidio degli ebrei, in cui sia la Corte distrettuale di Gerusalemme, sia la Corte Suprema israeliana adottarono il parametro della manifesta criminosità, il quale venne definito “legacy of civilized countries”; la Corte distrettuale definì il concetto di “manifestly unlawful” in questi termini: “The distinguishing mark of a manifestly unlawful order should fly like a black flag above the order given, as a warning saying: «Prohibited!»”), Finta, in Int. Law Reports, vol 104, 1994 (“a manifestly illegal order is one that offends the conscience of every reasonable, right-thinking person and must be obviously and flagrantly wrong”). Recentemente, la questione dell’esecuzione dell’ordine e della manifesta criminosità è stata presa in considerazione da una serie di sentenze emanate dai tribunali tedeschi (i c.d. Mauerschützerurteile)in relazione alla responsabilità penale delle guardie di frontiera per le uccisioni di cittadini della DDR che, in fuga verso Berlino Ovest, avevano tentato di superare il “muro di Berlino”: v. amplius supra, cap. II, sez. I, par. 1.7. Sulle problematiche relative alla manifesta criminosità dell’ordine e alla coscienza della criminosità da parte del subordinato v., per quanto riguarda i tribunali italiani, i casi Kappler e Priebke, relativi all’eccidio delle Fosse Ardeatine. L’intera vicenda giudiziaria Kappler è pubblicata in Rass. giust. mil., anno XXII, n. 3-4-5-6, 1996 e anno XXIII, n. 1-2, 1997; per un commento v. PIERDONATI M., Il dubbio sul fatto processuale e sulla norma penale nel caso Kappler, in MEZZETTI E. (a cura di), Diritto penale internazionale. I. Casi e materiali, Torino (Giappichelli), 2006, 19. Il caso Priebke, deciso in primo grado dal Trib. mil. di Roma con sentenza 1 agosto 1996 (in Cass. pen. 1997, I, 177), annullata dalla Cassazione (sentenza 15 ottobre 1996, in Cass. pen., 1997, II, 665) che ha accolto un’istanza di ricusazione proposta dalle parti civili, è stato deciso nuovamente nel merito (unitamente al caso Hass) dal Trib. mil. di Roma (cui la causa è stata assegnata dalla Corte di Cassazione che ha risolto il conflitto negativo di giurisdizione: v. sentenza 12 febbraio 1997, in Dir. pen. e proc., 1997, II, 467, con nota di RIONDATO S.) in data 22 luglio 1997 (in Cass. pen., 1998, I, 406; v. il commento di RIONDATO S., in Dir. pen. e proc., 1997, 1515). Tale sentenza è stata poi riformata dalla Corte mil. app. di Roma (in Ind. pen., 1999, 959; v. il commento di RIONDATO S., in Dir. pen. e proc., 1998, II, 1123). La Corte di Cassazione ha, infine, rigettato i ricorsi proposti dai due imputati con sentenza 16 novembre 1998, in Ind. pen., 1999, 1001. Nella giurisprudenza italiana di merito cfr., di recente, Ass. Roma, 6 dicembre 2000, in Foro it., 2002, II, 564 (con nota di AMATO), in riferimento alle torture, detenzioni e
L’ECCEZIONE DI ORDINI SUPERIORI NEL DIRITTO INTERNAZIONALE PENALE
273
guerra, ma possono soltanto essere invocati ai fini della mitigazione della pena.
Tale tesi si fonda sull’idea che, proprio per la loro gravità, tali crimini siano
sempre manifestamente criminosi e pertanto conducano all’inoperatività assoluta
dell’ordine del superiore come esimente per chi li abbia commessi792.
Non si può condividere l’idea secondo cui l’ordine di commettere un
crimine internazionale è sempre manifestamente criminoso. Se ciò, infatti, può
tendenzialmente valere, e comunque solo sul piano di fatto, per taluni crimini
contro l’umanità - che sono, per così dire, mala in se e, quindi, di solito
immediatamente percepibili come criminosi -, non è altrettanto vero per i crimini
di guerra o i crimini contro la pace, che non sempre in fatto sono caratterizzati
dalla manifesta criminosità793, e oltretutto in diritto risultano spesso connotati da
elementi normativi che introducono una sia pur relativa “artificialità”.
Nel caso in cui l’ordine sia criminoso non manifestamente, è, allora,
ipotizzabile, anche nell’ambito del diritto internazionale penale, la possibilità che
l’inferiore, a determinate condizioni, vada esente da responsabilità penale per
averlo eseguito.
In questo senso va interpretato anche lo Statuto del Tribunale
internazionale penale permanente, che, come si è detto, disciplina l’errore di
diritto (sulla legittimità dell’ordine) come causa di esclusione della responsabilità
per il subordinato esecutore, fatto comunque salvo il limite della manifesta
criminosità794.
uccisioni commesse in Argentina durante il regime dei generali.
792 GAETA, The defence, cit., 183 ss.; ID., La rilevanza dell’ordine superiore nel diritto internazionale penale, in Riv. dir. internazionale, 1998, 78 ss. l’A. ricava questa interpretazione da un lato dal tenore degli Statuti di Norimberga e Tokyo e dei Tribunali ad hoc, e, dall’altro, dal fatto che i tribunali nazionali, nei procedimenti penali concernenti crimini internazionali, hanno sempre respinto l’argomentazione difensiva fondata sull’ordine del superiore in considerazione della manifesta illegittimità di tali crimini.
793 Contra GAETA, op.ult. cit., 80, secondo la quale sarebbero crimini di guerra soltanto le violazioni gravi del diritto internazionale dei conflitti armati: proprio la gravità del comportamento antigiuridico lo renderebbe manifestamente illegittimo.
794 V. SCHABAS, An Introduction, cit., 91, il quale afferma, in riferimento all’art. 33
L’ECCEZIONE DI ORDINI SUPERIORI NEL DIRITTO INTERNAZIONALE PENALE
274
dello Statuto, che “the text corresponds to international case law on the subject”; ZIMMERMANN, op. cit., 966, secondo il quale, nel diritto consuetudinario esistente, all’agente non può essere preclusa la possibilità di invocare la defence a meno che non fosse a conoscenza della criminosità dell’ordine o l’ordine fosse manifestamente criminoso.
SEZIONE I - L’ADEMPIMENTO DEL DOVERE NEI PROGETTI DI
RIFORMA DEL CODICE PENALE ITALIANO
SOMMARIO: 1. Le innovazioni apportate alla disciplina dell’adempimento del dovere nei progetti
di riforma del codice penale italiano. - 1.1. Distinzione tra cause di giustificazione e scusanti.
L’introduzione della categoria delle cause soggettive di esclusione della responsabilità o
scusanti esclusivamente nel Progetto Pagliaro, nel Progetto Nordio e nel Progetto Pisapia. - 2.
La questione concernente il c.d. ordine privato. - 2.1. La previsione dell’ordine privato tra le
cause soggettive di esclusione della responsabilità nel Progetto Pagliaro. - 2.2. L’efficacia
scriminante dell’adempimento del dovere derivante un ordine privato nel Progetto Grosso. – 2.3.
La rilevanza scusante dell’ordine privato nel Progetto Nordio. - 2.4. L’ordine del privato come
causa soggettiva di esclusione della responsabilità nel Progetto Pisapia. - 3. La disciplina
dell’errore sulla legittimità dell’ordine. - 4. L’ordine criminoso insindacabile. - 4.1. Il
recepimento nei progetti di riforma dei principi elaborati in dottrina e in giurisprudenza in sede
di interpretazione dell’art. 51 ult. co. c.p. L’irrisolto problema del criterio di determinazione
della manifesta criminosità . - 4.1.1. La collocazione dell’ordine illegittimo insindacabile tra le
cause soggettive di esclusione della responsabilità nel Progetto Pagliaro. – 4.1.2. La scusante
dell’ignoranza dell’illegittimità dell’ordine non sindacabile della Pubblica Autorità nel Progetto
Nordio. – 4.1.3. L’esecuzione dell’ordine illegittimo “vincolante” nel Progetto Pisapia. - 4.2.
Considerazioni critiche circa l’opportunità del mantenimento della categoria dell’ordine
illegittimo insindacabile. - 4.3. Conclusioni de jure condendo: la previsione di una particolare
disciplina dell’errore di diritto. Il criterio di determinazione della manifesta criminosità.
1. Le innovazioni apportate alla disciplina dell’adempimento del dovere nei
progetti di riforma del codice penale.
La questione relativa alla responsabilità del subordinato che commette
reato nell’esecuzione di un ordine del superiore è stata oggetto di parziale
risistemazione nei recenti progetti di riforma del codice penale795. Si tratta del c.d.
795 Per alcune considerazioni di sintesi sui singoli progetti di riforma si rinvia a
PALAZZO F. – PAPA M., Lezioni di diritto penale comparato, Torino, 2005, 209 ss.
CONSIDERAZIONI CRITICHE E DE JURE CONDENDO
278
Progetto Pagliaro del 1992796, del disegno di legge di iniziativa parlamentare
presentato al Senato nel 1995 (Senatore Riz e altri)797; dei progetti presentati nel
settembre 2000 e nel maggio 2001 dalla Commissione ministeriale Grosso798, del
796 Lo “Schema di delega legislativa per l’emanazione di un nuovo codice penale” è
pubblicato in Ind. pen., 1992, 579. Nell’art. 16 del Progetto si prevede tra le cause di giustificazione “l’adempimento di un obbligo giuridico”, mentre tra le cause soggettive di esclusione della responsabilità (art. 17 n. 1) rientra “l’ordine illegittimo e non sindacabile della Pubblica Autorità, sempre che la criminosità non sia manifesta o comunque nota all’esecutore”. Sui principi ispiratori del Progetto v. PAGLIARO A., Lo schema di legge delega per la riforma: metodo di lavoro e principi ispiratori, in Ind. pen., 1994, 243; ID. Valori e principi nella bozza italiana di legge delega per un nuovo codice penale, in Riv. it. dir. e proc. pen., 1994, 374. In commento al Progetto cfr. AA.VV., Verso un nuovo codice penale. Itinerari. Problemi. Prospettive, Milano, 1993; DOLCINI E. – MARINUCCI G., Note sul metodo della codificazione penale, in Riv. it. dir. e proc. pen., 1992, 385; Riguardo all’art. 17, v. CAVALIERE A., Riflessioni dommatiche e politico-criminali sulle cause soggettive di esclusione della responsabilità nello schema di delega legislativa per la riforma del codice penale, in Riv. it. dir. e proc. pen., 1994, II, 1478; FORNASARI G., Le cause soggettive di esclusione della responsabilità nello schema di delega per un nuovo codice penale, in Ind. pen., 1994, 365; GROSSO C. F., La riforma delle cause di giustificazione generali, in AA. VV., Scritti in memoria di Renato Dell’Andro, Vol. I, Bari, 1994, 475.
797 Disegno di legge n. 2038, in Riv. it. dir. e proc. pen., 1995, 927. L’art. 49 (Esercizio di un diritto e adempimento di un dovere) è così formulato: “1. L’esercizio di un diritto o l’adempimento di un dovere imposto da una norma giuridica o da un ordine legittimo della pubblica autorità, esclude la punibilità. 2. Se un fatto costituente reato è commesso per ordine dell’autorità, del reato risponde sempre il pubblico ufficiale che ha dato l’ordine. 3. Risponde del reato altresì chi ha eseguito l’ordine, salvo che, per un errore scusabile abbia ritenuto di obbedire ad un ordine legittimo. 4. Non è punibile chi esegue l’ordine illegittimo, quando la legge non gli consente alcun sindacato sulla legittimità dell’ordine, e sempreché l’esecuzione dell’ordine non costituisca manifestamente reato”. Sul metodo di lavoro e sui principi ispiratori del Progetto, v. RIZ R., Per un nuovo codice penale: problemi e itinerari, in Ind. pen., 1995, 5 ss.
798 Il primo progetto, unitamente alla relazione che lo accompagna, è pubblicato in Documenti Giustizia, 2000, n. 3, 452. L’art. 36 (Esercizio di un diritto e adempimento di un dovere) elaborato dalla Commissione recita: “1. L’esercizio di un diritto o l’adempimento di un dovere imposto da una norma giuridica o da un ordine legittimo esclude la punibilità. 2. Se un fatto costituente reato è commesso per ordine di un superiore, del reato rispondono sia chi ha dato l’ordine sia chi lo ha eseguito. 3. Non è punibile chi esegue l’ordine illegittimo, quando la legge non gli consente di sindacare la illegittimità dell’ordine. Sono sempre sindacabili la competenza ad emanare l’ordine, la competenza ad eseguirlo, la forma in cui l’ordine deve essere impartito se richiesta dalla legge. 4. Chi esegue l’ordine illegittimo non sindacabile è punibile quando la criminosità dell’ordine è manifesta o è comunque nota all’esecutore.” Il secondo progetto, datato 26 maggio 2001, predisposto dalla Commissione Grosso, è reperibile in Riv. it. dir. proc. pen., 2001, 574; il nuovo articolato non contiene variazioni relativamente alla disciplina dell’adempimento del dovere (contemplata ora dall’art. 34). In commento alla relazione formulata dalla medesima Commissione nel 1999, v.
CONSIDERAZIONI CRITICHE E DE JURE CONDENDO
279
progetto di codice penale della Commissione Nordio istituita nel 2001799 e, da
ultimo, del progetto elaborato dalla Commissione ministeriale Pisapia800.
Tutti i citati progetti prevedono l’adempimento del dovere in esecuzione di
un ordine legittimo dell’autorità come causa di esclusione della punibilità
(antigiuridicità), conformemente a quanto già disposto dal vigente art. 51 c.p.
FORNASARI G., La categoria delle scusanti nella prospettiva di riforma del codice penale, in Ind. pen., 2000, 111; PAGLIARO A., Il documento della Commissione Grosso sulla riforma del diritto penale: metodo di lavoro e impostazione generale, in Riv. it. dir. e proc. pen., 1999, 1184.
799 Il Progetto Nordio è pubblicato in Cass. pen. , 2005, 244 ss. L’art. 29 del Progetto così recita: “E’ scriminato il fatto commesso nell’esercizio di una facoltà legittima o nell’adempimento di un dovere imposto da una norma giuridica o da un ordine legittimo della pubblica autorità. 2. Se un fatto costituente reato è commesso per ordine dell’autorità, del reato risponde sempre il pubblico ufficiale che ha dato l’ordine. 3. Risponde altresì chi ha eseguito l’ordine, salvo che, per errore di fatto abbia ritenuto di obbedire ad un ordine legittimo”. L’art. 37 del Progetto, rubricato “Ignoranza dell’illegittimità dell’ordine della pubblica autorità”, è così formulato: “E’ scusato chi ottempera ad un ordine sostanzialmente illegittimo e non sindacabile della pubblica autorità, sempre che la criminosità dell’ordine non sia manifesta o comunque nota all’esecutore”. Per un commento al progetto v. PAGLIARO A., Il reato nel progetto della commissione Nordio, in Cass. pen., 2005, 4 ss.
800 Lo “Schema di disegno di legge recante delega legislativa al Governo della Repubblica per l’emanazione della parte generale di un nuovo codice penale” predisposto dalla Commissione Pisapia, istituita 30 luglio 2006, è consultabile, unitamente alla Relazione che lo accompagna, sul sito www.giustizia.it. L'adempimento di un dovere imposto da una norma giuridica o da un ordine legittimo della pubblica autorità è previsto tra le cause oggettive di giustificazione (art. 15), mentre l’art. 16 annovera tra le cause soggettive di esclusione della responsabilità “l'esecuzione di un ordine illegittimo vincolante, nel caso di esecuzione di un ordine non sindacabile della pubblica autorità, sempre che non si tratti di ordine manifestamente criminoso o la cui criminosità sia comunque nota all'esecutore”. Sul metodo di lavoro e sulle scelte operate dalla Commisione, v. PISAPIA G., La riforma del codice penale muove i primi passi: le scelte della Commissione ministeriale per una nuova Parte generale, in Dir. pen. proc., 2007, 5; ID., Prospettive di riforma del codice penale, in Cass. pen., 2007, 407. In commento al progetto Pisapia v. GROSSO C.F., Brevi considerazioni di insieme e di dettaglio sul lavoro della Commissione Pisapia, in Dir. pen. proc., 2007, 1389; MEZZETTI E., Giustificanti e scusanti nello schema di disegno di legge delega per un nuovo codice penale della commissione « Pisapia », in Cass. pen., 2008, 418; PULITANO’ D., Suggestioni ideologiche e difficoltà tecniche nella riforma penale, in Dir. pen. proc., 2007, 1395; ROMANO B., La riforma del codice penale nel progetto della Commissione Pisapia, in Ind. pen., 2008, 473. Si vedano inoltre le relazioni tenute al Seminario dei Professori di Diritto Penale “Esame e valutazione dello schema di disegno di legge delega della Commissione Pisapia”, presso l’ISISC di Siracusa, 21-23 giugno 2007, pubblicate sul sito www.isisc.org.
CONSIDERAZIONI CRITICHE E DE JURE CONDENDO
280
L’ordine integralmente legittimo continua, quindi, ad operare come causa di
giustificazione per il subordinato esecutore.
Rispetto alla formulazione vigente, va posto in evidenza che l’art. 49, 1°
co., del Progetto Riz, l’art. 29, co. 1, del Progetto Nordio, nonché l’art. 15 del
Progetto Pisapia riproducono esattamente il contenuto dell’art. 51, 1° co. c.p. In
entrambi gli ultimi due progetti menzionati si precisa peraltro espressamente che
si è in presenza di una scriminante (Progetto Nordio) 801 o causa di giustificazione
(Progetto Pisapia)802.
Nel Progetto Pagliaro si utilizza la generica locuzione “adempimento di un
obbligo giuridico” e nel documento predisposto dalla Commissione Grosso si fa
riferimento all’ordine legittimo, eliminando l’inciso “dell’autorità”, in modo da
potervi includere anche l’ordine privato803.
801 Ciò corrisponde peraltro al dichiarato intento dei compilatori del progetto di
operare una “ridefinizione delle cause di non punibilità, che nel codice del ’30 costituiscono almeno letteralmente, per la formula usata dal legislatore, una categoria indistinta, da precisare nei suoi contenuti e per gli effetti che ne derivano. La rigorosa adozione di un criterio nominalistico consente di distinguere in modo inequivoco la tipologia delle cause che escludono l’applicazione della pena, lasciando alla formula «cause di non punibilità» un campo senz’altro residuale” (v. Introduzione della Relazione al Progetto, in Cass. pen., 2005, 249).
802 Nel Progetto Pisapia viene inoltre qualificata come ipotesi speciale di adempimento del dovere la fattispecie dell'uso legittimo delle armi, configurata come autonoma causa di giustificazione nel vigente codice penale. La scelta – che rispecchia l’orientamento di parte minoritaria della dottrina - di inquadrare l’uso delle armi nell’ambito della scriminante dell’adempimento del dovere è chiarita nella Relazione al Progetto laddove si precisa che “si è ritenuta ingiustificata la configurazione di una autonoma scriminante dell'uso legittimo delle armi (che, peraltro, non è riscontrabile in altre legislazioni europee) e si è inserita la relativa regolamentazione nel contesto di quella, più generale, riguardante l'adempimento del dovere, enucleando – in conformità del resto con l'interpretazione giurisprudenziale maggioritaria - due requisiti che condizionano la legittimità dell'impiego dei mezzi di coazione: la necessità del ricorso ai mezzi coercitivi e il rispetto della proporzione tra beni in conflitto nella situazione concreta (art. 15, lettera b)”. Per alcune considerazioni critiche sul punto si rinvia a MEZZETTI, Giustificanti e scusanti nello schema di disegno di legge delega per un nuovo codice penale della commissione « Pisapia », cit., 426. Sulla attuale disciplina dell’uso legittimo delle armi ci si permette di rinviare a PROVOLO D., L’uso legittimo delle armi, in Commentario sistematico al codice penale. Il Reato, vol. II, tomo II, dir. da M. Ronco, Bologna, Zanichelli, 2007, 721 ss.
803 Sull’ordine privato v. infra par. 2 e ss.
CONSIDERAZIONI CRITICHE E DE JURE CONDENDO
281
Non pare che l’art. 16 del Progetto Pagliaro, con l’utilizzo della locuzione
“obbligo giuridico”, abbia inteso discostarsi dalla previsione contenuta nell’art.
51, 1° co. c.p.: l’obbligo giuridico deriva da una norma giuridica o da un ordine
legittimo della pubblica autorità. E’ esclusa, dunque, la rilevanza scriminante del
dovere morale; l’ordine, per essere causa di giustificazione, deve essere legittimo
e promanare dalla pubblica autorità. Ciò si ricava, a contrario, anche dalle altre
disposizioni che disciplinano l’ordine, giacché sia l’ordine illegittimo (criminoso)
che l’ordine privato sono inseriti tra la le cause soggettive di esclusione della
responsabilità804.
Per quanto riguarda l’ordine criminoso, nel Progetto Riz, nel Progetto
Grosso e nel Progetto Nordio viene affermata la normale corresponsabilità
dell’inferiore (insieme al superiore) nell’illecito penale commesso per ordine del
superiore, come già previsto dalla vigente disciplina dell’adempimento del
dovere. Anche nel progetto redatto dalla Commissione Pisapia si è scelto di
disciplinare espressamente la specifica modalità di compartecipazione criminosa
rappresentata dalla emanazione dell'ordine, esplicitando che la insindacabilità
dello stesso può valere ad escludere la responsabilità di chi lo esegue, ma non
quella del soggetto che lo impartisce.
Una espressa disposizione in tal senso manca per contro nel Progetto
Pagliaro; tuttavia, sia la responsabilità del superiore che quella dell’inferiore sono
comunque ricavabili dalle norme che disciplinano in generale il concorso di
persone nel reato (v. art. 26 e ss. del Progetto805). Può darsi, peraltro, che la
804 Nella Relazione che precede la bozza di articolato (Schema, cit., 585), si precisa
che la disciplina dell’ordine dell’autorità come causa di giustificazione rimane circoscritta ad ordini legittimi promananti dai pubblici poteri, giacché solo in questo caso vi è la realizzazione di finalità pubbliche dell’ordinamento in grado di giustificare la materiale lesione di un bene giuridico tutelato.
805 Art. 26 (Concorso di persone: “1. Prevedere che concorra nel reato chi, nella fase ideativa, preparatoria o esecutiva, dà un contributo necessario, o quanto meno agevolatore, alla realizzazione dell’evento offensivo. Si concorre per agevolazione solo nei casi in cui la condotta ha reso più probabile, più pronta o più grave la realizzazione dell’evento offensivo.
CONSIDERAZIONI CRITICHE E DE JURE CONDENDO
282
mancata previsione della responsabilità del superiore che ha impartito l’ordine
dipenda dall’accoglimento delle - del tutto condivisibili - istanze di coloro che
ritengono inutile l’espressa previsione di tale responsabilità nel vigente art. 51
c.p.806. La normale responsabilità dell’inferiore per l’esecuzione dell’ordine
criminoso risulta confermata anche dalla norma (art. 17) che prevede che l’ordine
criminoso insindacabile possa, a certe condizioni, essere causa soggettiva di
esclusione della responsabilità: al di fuori di detta ipotesi (e sempre che non
ricorrano altre cause di esclusione della punibilità, quale ad esempio un errore
sulla legittimità dell’ordine), la responsabilità dell’esecutore non potrà essere
negata.
Le innovazioni di maggior rilievo contenute nei cinque progetti riguardano
la possibile rilevanza dell’ordine privato, la disciplina dell’errore di fatto sulla
legittimità dell’ordine e, infine, l’ordine criminoso insindacabile.
Prima di esaminarle criticamente, sembra opportuno esaminare se i
progetti distinguano tra cause di giustificazione e cause di esclusione della
colpevolezza, distinzione che è risultata rilevante anche ai fini
dell’inquadramento, da parte della prevalente dottrina, della non punibilità
dell’esecutore dell’ordine criminoso insindacabile807.
1.1. Distinzione tra cause di giustificazione e scusanti. L’introduzione
della categoria delle cause soggettive di esclusione della
responsabilità o scusanti nel Progetto Pagliaro, nel Progetto
Nordio e nel Progetto Pisapia.
2. Le disposizioni sul concorso di persone si applicano anche se taluno dei concorrenti non è imputabile o non è punibile per cause personali”.
806 V. supra cap. I, sez. II, par. 1. 807 V. supra cap. I, sez. IV.
CONSIDERAZIONI CRITICHE E DE JURE CONDENDO
283
Il Progetto Pagliaro opera una distinzione tra cause di giustificazione(art.
16) e cause soggettive di esclusione della responsabilità (art. 17), distinzione, che,
come precisato nella Relazione, consente al legislatore delegato una più rigorosa
sistemazione dei confini delle cause di giustificazione, con conseguente soluzione
di alcuni problemi sorti in sede di interpretazione delle disposizioni del codice
penale vigente. L’art. 17 prevede, quindi, un’autonoma categoria denominata
“cause soggettive di esclusione della responsabilità”808, che si caratterizzano per
la presenza di un elemento soggettivo incompatibile con una consapevolezza o
rimproverabilità del soggetto agente; in tali ipotesi non viene in rilievo il
bilanciamento dei beni tipico delle cause di giustificazione, bensì soltanto la
considerazione della situazione soggettiva dell’agente809. Si può ritenere, pertanto,
che i redattori del Progetto abbiano accolto la categoria delle scusanti810,
prevedendone, all’art. 17, una tassativa elencazione; tra di esse rientrano, come
meglio si vedrà, sia l’ordine privato che l’ordine criminoso insindacabile.
L’autonoma previsione delle cause soggettive di esclusione della responsabilità
conduce a ritenere, inoltre, che i redattori del progetto abbiano accolto altresì la
distinzione tra cause scusanti (art. 17) e generiche cause di esclusione della
808 Alla base della previsione di un’autonoma categoria di cause soggettive di
esclusione della responsabilità, c’è la volontà dei redattori del progetto di pervenire alla piena realizzazione del principio di colpevolezza (art. 27 Cost.), dato che si tratta di un riconoscimento esplicito dell’importanza dei momenti di riprovevolezza ai fini della configurazione dell’elemento soggettivo del reato; sul punto v. PAGLIARO, Valori e principi, cit., 390.
809 Così si esprimono i redattori del Progetto nella Relazione che accompagna l’articolato (Schema, cit., 585).
810 Di questo avviso sono, ad es., FIORELLA A., Giustificanti e scusanti nello Schema di delega legislativa per l’emanazione di un nuovo codice penale, Seminario ISISC “Prospettive di un nuovo codice penale” (Siracusa, 15-18 ottobre 1992); FORNASARI, Le cause soggettive, cit., 365 ss., il quale afferma che non vi è una diversità di contenuto concettuale tra la categoria delle scusanti e quella delle cause soggettive di esclusione della responsabilità.
CONSIDERAZIONI CRITICHE E DE JURE CONDENDO
284
colpevolezza (come ad esempio l’errore inevitabile sul precetto), anche se questa
terminologia è estranea al Progetto811.
La categoria delle cause soggettive di esclusione della responsabilità è
stata presa in considerazione anche dal Progetto Riz: l’art. 45, infatti, pur se
soltanto nella rubrica e non anche espressamente nel testo, ne fa menzione per
dettare la disciplina della loro erronea supposizione812. Sembrerebbe, dunque, che
i redattori del progetto abbiano inteso riconoscere l’esistenza della categoria delle
scusanti813. Tuttavia, poiché nella parte generale manca un’elencazione delle
scusanti ammesse, si è da taluno affermato che la disposizione in esame farebbe
riferimento ad eventuali scusanti da reperirsi nella parte speciale del futuro codice,
in rapporto a singoli reati o a gruppi di reati814. In realtà, dalla lettura della
relazione che accompagna il progetto, emerge che i redattori si erano posti il
dubbio se distinguere tra “cause di giustificazione di natura prevalentemente
oggettiva” e “cause di giustificazione di natura prevalentemente soggettiva”,
queste ultime da inserire tra le cause soggettive di esclusione della
responsabilità815. Permangono, pertanto, incertezze su quale sia l’esatto contenuto
811 Sul punto v. FORNASARI, op. ult. cit., 366: l’A. precisa che la distinzione tra
scusanti e cause di esclusione della colpevolezza è opportuna sul piano concettuale, anche se essa non ha oggettive conseguenze sul piano del trattamento (dato che in entrambi i casi la condotta resta antigiuridica, ma non viene punita perché non si eleva il rimprovero di colpevolezza), giacché diversi sono i criteri di individuazione: mentre le cause di esclusione della colpevolezza si richiamano prevalentemente a parametri giuridici, le scusanti fanno riferimento prevalentemente a parametri sociali scusanti, con la necessità in questo secondo caso, della creazione di più stringenti criteri di concretizzazione.
812 Art. 45 (Errore sulle cause di giustificazione o di esclusione della pena e sulle cause soggettive di esclusione della responsabilità): “1. Se l’agente ritiene per un errore scusabile che esistano cause di giustificazione, o di esclusione della pena, queste sono sempre valutate a favore di lui. 2. Se l’errore è determinato da colpa, la punibilità non è esclusa, quando il fatto è previsto dalla legge come delitto colposo”.
813 In questo senso si esprime CAVALIERE A., L’errore sulle scriminanti nella teoria dell’illecito penale. Contributo ad una sistematica teleologica, Napoli, 2000, 573.
814 FORNASARI, La categoria delle scusanti, cit., 114. 815 Nella relazione (allegata al disegno di legge, cit, 949) si legge: “Ad un esame
approfondito è stato sottoposto il progetto di tenere separate de jure condendo le “cause di giustificazione di natura prevalentemente oggettiva” dalle “cause di giustificazione di natura prevalentemente soggettiva”, da inquadrare, queste ultime, fra le cause soggettive di
CONSIDERAZIONI CRITICHE E DE JURE CONDENDO
285
della categoria delle cause soggettive di esclusione della responsabilità
nell’intendimento dei redattori del Progetto Riz: non è chiaro, infatti, se in essa
rientrino soltanto le cause di giustificazione di natura prevalentemente soggettiva,
o se, invece, essa faccia riferimento a scusanti di parte speciale ancora da
prevedere, oppure ancora se in essa possano essere ricomprese anche scusanti,
seppur non espressamente definite tali, reperibili nella parte generale del progetto,
non diversamente da quanto accade, a parere di parte della dottrina816, per la parte
generale del vigente codice penale (ad es. l’ordine criminoso insindacabile).
Il Progetto Grosso non distingue tra cause di giustificazione e cause
scusanti. Nella relazione presentata dalla Commissione nel settembre 2000817, si
dichiara espressamente di aver preferito non distinguere la categoria delle
esimenti in cause oggettive di giustificazione e cause soggettive di esclusione
della colpevolezza: secondo i redattori del progetto, infatti, tale suddivisione,
forse corretta sul piano teorico, non esige comunque una rilevazione a livello di
regolamentazione codicistica, “che deve preoccuparsi della disciplina degli istituti
più che del loro inquadramento dogmatico”. Di conseguenza, la Commissione si è
esclusione della responsabilità. Non vi è chi non veda che questa soluzione risente della discussione tuttora viva in dottrina fra i fautori della teoria dell’antigiuridicità soggettiva e quelli dell’antigiuridicità oggettiva. In realtà, però, l’antigiuridicità può assumere sia aspetti soggettivi, sia aspetti oggettivi. Quale sia l’aspetto determinante, dipende di volta in volta dagli elementi che caratterizzano la singola causa di giustificazione, ovvero l’azione della persona che la pone in essere”. Sulla concezione dualistica (oggettiva e soggettiva) dell’antigiuridicità, v. ampiamente RIZ, Lineamenti, cit., 188 ss.; ID., Il consenso dell’avente diritto, Padova, 1979, 31 ss.
816 V. supra cap. I, sez. IV, par. 1.3. 817 La Commissione ha con ciò confermato la posizione già assunta nella prima
relazione, presentata nel 1999 (pubblicata in Riv. it. dir. e proc. pen., 1999, 600 ss.) in cui si era ritenuto preferibile mantenere l’impianto unitario del codice in vigore. Peraltro, la sottocommissione Grosso–Siciliano-Silvestri, nella propria relazione, si era dichiarata favorevole ad una distinzione tra cause di giustificazione e cause soggettive di esclusione della responsabilità, ritenendo che l’inserimento dell’ordine illegittimo vincolante tra queste ultime corrispondesse ad una più razionale sistemazione della materia, in base alla considerazione che, in questo caso, non era in gioco un bilanciamento fra interessi contrapposti, ma solo la condizione soggettiva nella quale si trova il subordinato gerarchico obbligato all’esecuzione del comando.
CONSIDERAZIONI CRITICHE E DE JURE CONDENDO
286
preoccupata di individuare una rubrica unitaria di “cause di giustificazione”,
lasciando poi a dottrina e giurisprudenza il compito di eventualmente distinguere
tra ipotesi che operano oggettivamente sul fatto (o sulla antigiuridicità) o
soggettivamente sulla colpevolezza. A conferma di tale impostazione, nella
versione del maggio 2001 dell’articolato, si è provveduto a sostituire
nell’intitolazione del relativo capo, l’espressione “cause di giustificazione” con
quella di “esimenti”, a detta della Commissione stessa “meno impegnativa sul
terreno della qualificazione giuridica degli istituti previsti”. Dati, tuttavia, i
contrasti dottrinali sorti in merito all’inquadramento di certe ipotesi nell’una o
nell’altra categoria, sarebbe stata preferibile una presa di posizione da parte della
Commissione.
Nel Progetto Nordio è effettuata una chiara distinzione tra scriminanti e
scusanti, nell’ottica di adottare un criterio nominalistico che consenta di
distinguere in modo inequivoco la tipologia delle cause che escludono
l’applicazione della pena, lasciando alla formula «cause di non punibilità» un
campo residuale818. L’art. 33 dell’elaborato detta la disciplina delle scusanti,
precisando che devono essere previste come tali da una disposizione di legge819,
che operano soggettivamente e che il fatto scusato non costituisce reato.
Quanto infine al più recente Progetto Pisapia, la Commissione ha optato
per un sistema differenziato delle ipotesi di non punibilità, distinguendo le cause
di giustificazione (scriminanti) dalle cause soggettive di esclusione della
responsabilità (scusanti), e ciò “tenendo conto anche della più recente
818 V. supra. Secondo PAGLIARO, Il reato nel Progetto della Commissione Nordio,
cit., da un punto di vista tecnico, le disposizioni concernenti le scusanti (artt. 34-37 e art. 40) sono troppo analitiche, giacché in tutte si fa valere il medesimo concetto, ossia che una ragionevole convinzione nella liceità del fatto può valere come scusante.
819 Sul punto si è espresso criticamente PAGLIARO, Il reato nel Progetto della Commissione Nordio, cit., 6, secondo il quale se l’intento dei compilatori era quello di evitare il procedimento analogico rispetto alle disposizioni di legge che prevedono le scusanti, l’utilizzo dell’aggettivo “specifica” è totalmente inadatto, giacché esso vieterebbe l’analogia juris, ma non certo l’analogia legis, che appunto ha per presupposto l’esistenza di una
CONSIDERAZIONI CRITICHE E DE JURE CONDENDO
287
elaborazione dottrinale e dell'opportunità di ancorare la normativa interna alle
prospettive tratte dalle fonti internazionali, alle più significative esperienze di altri
ordinamenti e alla giurisprudenza della Corte Europea dei Diritti dell'Uomo”820. I
redattori del Progetto in esame hanno dunque accolto la distinzione già operata nel
Progetto Pagliaro, del quale è impiegata anche la medesima terminologia821.
Analogamente a quanto si è detto con riferimento al Progetto Pagliaro, anche
dall’articolato predisposto dalla Commissione Pisapia è possibile ricavare per
implicito dalle disposizioni in materia di elemento soggettivo del reato (e di sue
ipotesi di esclusione) l’ulteriore categoria delle cause di esclusione della
colpevolezza822.
2. La questione concernente il c.d. ordine privato.
Data la formulazione dell’art. 51 c.p., che fa riferimento all’ordine
emanato dalla pubblica autorità, l’ordine privato non ha attualmente alcuna
rilevanza come causa di giustificazione. Non rientra nel potere dei privati, infatti,
imporre comportamenti lesivi di interessi dei terzi: un ordine privato che abbia
come contenuto la commissione di fatti penalmente tipici è illegittimo823. Si
ammette, tuttavia, in dottrina, che l’ordine privato possa rilevare sul piano della
colpevolezza, se l’esecutore non aveva né la consapevolezza né la concreta
possibilità di rendersi conto dell’illiceità del fatto824.
specifica disposizione di legge che contempli il caso simile.
820 Così si esprime la Commissione nella Relazione che accompagna l’articolato. 821 La previsione di una categoria autonoma di scusanti è motivata, nella Relazione al
progetto, dalla considerazione che essa offre, tra l’altro, un coerente inquadramento dogmatico per talune ipotesi legislativamente previste (quali lo stato di necessità cogente e la esecuzione dell'ordine illegittimo insindacabile) che trovano il loro fondamento nel principio di inesigibilità, piuttosto che nei modelli esplicativi (riconducibili ai princìpi dell'interesse prevalente e dell'interesse mancante) posti alla base delle vere e proprie scriminanti.
822 V. MEZZETTI, Giustificanti e scusanti, cit., 420 ss. 823 Sul punto v. PULITANO’, Esercizio, cit., 327. 824 V. supra cap. I, sez. I, par. 2.2.2.1.
CONSIDERAZIONI CRITICHE E DE JURE CONDENDO
288
Come di seguito si dirà, nel Progetto Pagliaro e nel Progetto Pisapia
l’ordine privato viene inserito tra le cause soggettive di esclusione della
responsabilità, mentre nel Progetto Grosso gli si attribuisce efficacia scriminante.
Infine, nel Progetto Nordio esso rientra tra le scusanti ammesse. Nulla dice in
proposito il Progetto Riz.
2.1. La previsione dell’ordine privato tra le cause soggettive di
esclusione della responsabilità nel Progetto Pagliaro.
Il Progetto Pagliaro prevede tra le cause soggettive di esclusione della
responsabilità, anche “l’ordine di un privato rivestito di un’autorità specificamente
riconosciuta dalla legge, quando l’ordine si riferisca ad attività inerenti al rapporto
di dipendenza e l’agente confidi ragionevolmente nella sua liceità” (art. 17 n. 2).
La disciplina dell’ordine dell’autorità come causa di giustificazione
rimane, dunque, circoscritta agli ordini che promanano dai pubblici poteri,
giacché solo il perseguimento di un pubblico interesse può giustificare la lesione
di un bene giuridico penalmente tutelato. Tuttavia, l’ordine emanato da un privato
può, operando sul piano della colpevolezza, escludere la responsabilità
dell’agente, purché sussistano le condizioni espressamente previste dall’art. 17 n.
2.
La previsione dell’ordine privato come scusante muove dalla necessità di
dare rilievo alla situazione di soggezione in cui può trovarsi l’impiegato che,
nell’ambito di un rapporto di subordinazione di tipo privatistico, riceve un ordine
dal proprio datore di lavoro825. L’esecuzione dell’ordine privato che abbia portato
alla commissione di un reato comporta responsabilità penale sia per chi ha
impartito l’ordine sia per chi lo ha eseguito; l’esecutore, tuttavia, potrà andare
825 In tal senso CAVALIERE, Riflessioni, cit., 1512; GROSSO, La riforma, cit., 480.
V. anche PADOVANI, Osservazioni sulla rilevanza penale dell’ordine privato, cit., 464 ss.
CONSIDERAZIONI CRITICHE E DE JURE CONDENDO
289
esente da pena qualora abbia ragionevolmente confidato nella liceità dell’ordine
stesso, e purché tale ordine riguardasse attività inerenti al rapporto di dipendenza.
L’efficacia scusante deriva, allora, a ben guardare, non tanto dall’esistenza
dell’ordine o dalla posizione di subordinazione gerarchica dell’agente, bensì dalla
ragionevole fiducia di costui nella liceità dell’ordine, ossia dall’erronea opinione
di liceità di un ordine in realtà illegittimo826. La disposizione di cui all’art. 17 n. 2,
si riferisce, dunque, alla problematica dell’errore, già disciplinata dall’art. 15 del
progetto; essa, di conseguenza, oltre ad essere superflua, genera problemi di
coordinamento con la disciplina generale in tema di errore827.
2.2. L’efficacia scriminante dell’adempimento del dovere derivante
da un ordine privato nel Progetto Grosso.
Secondo quanto disposto dall’art. 34 del Progetto Grosso “l’adempimento
di un dovere imposto da una norma giuridica o da un ordine legittimo esclude la
punibilità”. Rispetto alla formulazione del vigente art. 51, 1° co. c.p., nell’articolo
predisposto dalla Commissione Grosso è stato eliminato l’inciso “della pubblica
autorità”, al fine di coinvolgere nella disciplina codicistica anche l’ordine
impartito al di fuori di organizzazioni pubbliche: anche l’ordine privato, dunque,
può costituire causa di giustificazione. Secondo la Commissione, infatti, “o il
contenuto dell’ordine privato è conforme alle leggi, ed allora deve (o può) essere
826 GROSSO, La riforma, cit., 481. Contra FORNASARI, La categoria delle
scusanti, cit., 123, secondo il quale “l’eventuale errore postulerebbe la liceità di un ordine che però, stando alle norme vigenti, non può avere efficacia giustificante, provenendo da un privato…dunque si tratterebbe di un errore privo di qualsiasi rilievo, perché fondante la convinzione di tenere una condotta…illecita!” In realtà, l’errore che rileva qui non è tanto quello concernente la convinzione che anche l’ordine del privato possa giustificare, bensì quello sulla legittimità di un ordine ricevuto dal superiore.
827 V. CAVALIERE, op. ult. cit., 1512, il quale pone in evidenza che l’art. 17 n. 2 sembra voler escludere la rilevanza dell’errore “irragionevole” sulla liceità dell’ordine: trattandosi di errore sul divieto, ciò comporterebbe la non applicabilità della diminuzione di pena prevista per il caso di errore evitabile sul precetto dall’art. 22 n. 1, con conseguente disparità di trattamento rispetto ad altre ipotesi di errore sul divieto.
CONSIDERAZIONI CRITICHE E DE JURE CONDENDO
290
eseguito, o non è conforme alle leggi, ed allora in caso di esecuzione comporta
responsabilità, a seconda dei casi civile o penale, sia a carico di chi lo ha impartito
sia a carico di chi lo ha eseguito”828.
In realtà vi è un equivoco. Un conto è dire che l’ordine, anche privato, se è
legittimo (e quindi conforme a tutte le leggi, anche penali) deve essere eseguito –
ma allora, in questo caso, l’esecuzione non avrà rilevanza sul piano della
responsabilità penale. Altro è dire che l’ordine privato può giustificare la lesione
di un bene giuridico penalmente tutelato. In questo secondo caso, infatti, si
ammetterebbe che anche un interesse privato possa prevalere sull’interesse
pubblico tutelato dalla norma penale. In altri termini, l’ordine del privato che
comporti la lesione di un bene giuridico penalmente tutelato, sarà illegittimo
(criminoso) perché non esiste un interesse pubblico che, nel bilanciamento degli
interessi contrapposti, possa prevalere sull’interesse, ugualmente pubblico,
tutelato dalla norma penale.
D’altra parte, l’ordine del privato, se illegittimo, potrà avere rilevanza solo
sul piano della colpevolezza, in base ai principi generali, qualora l’inferiore non
avesse la consapevolezza né la concreta possibilità di rendersi conto della illiceità
del fatto.
Peraltro, l’applicazione della disciplina generale ad ogni tipo di ordine e
l’eliminazione di qualsiasi riferimento alla pubblica autorità nel citato art. 34,
potrebbero far sorgere il dubbio che anche l’ordine illegittimo del privato, se
insindacabile, possa condurre alla non punibilità dell’esecutore dell’ordine (art. 34
co. 3° e 4°); ma ciò contraddirebbe l’intendimento della Commissione, la quale,
nella relazione, limita la rilevanza dell’ordine criminoso insindacabile a specifici
settori di attività pubblica.
828 Così risulta testualmente dalla relazione del settembre 2000.
CONSIDERAZIONI CRITICHE E DE JURE CONDENDO
291
2.3. La rilevanza scusante dell’ordine privato nel progetto Nordio.
Nel Progetto elaborato dalla Commissione Nordio, l’art. 38 prevede che
“E’ scusato chi ottempera ad un ordine impartito nell’ambito di un rapporto di
lavoro di diritto privato, quando il soggetto abbia confidato ragionevolmente nella
sua liceità”.
L’inferiore andrà esente da pena qualora abbia ragionevolmente confidato
nella liceità dell’ordine: l’esclusione della responsabilità penale, allora, più che
dall’esistenza dell’ordine parrebbe determinata dall’errore in cui incorre il
subordinato.
Per la disposizione in esame valgono pertanto le medesime considerazioni
svolte relativamente al Progetto Pagliaro829.
2.4. L’ordine del privato come causa soggettiva di esclusione della
responsabilità nel Progetto Pisapia.
Nel Progetto Pisapia l'ordine del privato è causa soggettiva di esclusione
della responsabilità “nell'ipotesi in cui il soggetto esegua un ordine impartito
nell'ambito di un rapporto di lavoro di diritto privato, in caso di tenuità del fatto e
delle sue conseguenze”. L'efficacia scusante dell’ordine privato è dunque
subordinata al presupposto della tenuità del fatto e delle sue conseguenze (art. 16,
lettera e). Nella Relazione al Progetto si legge che l’introduzione di parametri
correlati alla tenuità del fatto è motivata dall’esigenza “di contemperare la
considerazione della condizione psicologica dell'agente con l'esigenza di non
sottrarre in via generale i poteri privati al controllo giurisdizionale”.
Il Progetto Pisapia, dunque, si discosta dai precedenti progetti di riforma,
perché anziché fondare l’esimente sul ragionevole affidamento dell’escutore nella
829 V. supra par. 2.1.
CONSIDERAZIONI CRITICHE E DE JURE CONDENDO
292
liceità dell’ordine ricevuto, fissa il fulcro della scusabilità nel dato oggettivo
espresso in termini di concreta offensività della “tenuità del fatto”830.
La formulazione adottata dalla Commissione Pisapia se per un verso desta
qualche perplessità in quanto richiama un parametro (la tenuità del fatto)
connotato da una certa indeterminatezza831, per altro verso rende quantomento
dubbia la corretta collocazione dell’esimente nell’ambito delle scusanti, stante
l’assenza di un qualsiasi riferimento all’atteggiamento psicologico
dell’esecutore832.
3. La disciplina dell’errore sulla legittimità dell’ordine.
L’errore di fatto sulla legittimità dell’ordine, attualmente previsto dal 3°
co. dell’art. 51 c.p., trova diversa sistemazione nei progetti in esame. Nell’art. 49
del Progetto Riz si sostituisce l’espressione “errore di fatto” con quella di “errore
scusabile”, avente amplissima portata, mentre i progetti Pagliaro, Grosso e Pisapia
vedono soppresso, nella norma sull’adempimento del dovere, il riferimento
all’errore di fatto sulla legittimità dell’ordine, ponendo fine ai dubbi interpretativi
attualmente concernenti il novero degli errori contemplati dall’art. 51 co. 3 c.p. e
la possibile rilevanza dell’errore colposo sulla legittimità dell’ordine833. Il
Progetto Nordio riprende, invece, l’attuale formulazione dell’art. 51, 3° co. c.p.
Più specificamente, per quanto riguarda il Progetto Pagliaro, l’errore sulla
legittimità dell’ordine, non trovando autonoma previsione, rientra nella generale
830 In questi termini MEZZETTI, Giustificanti e scusanti, cit., 430. 831 Contra MEZZETTI, op. loc. cit., secondo il quale non si pone un problema di
congruità con il principio di determinatezza, trattandosi di formula già ampiamente introdotta nel sistema e di agevole interpretazione per parametri oggettivi medi.
832 V. sul punto MEZZETTI, op. loc. cit., secondo cui, se così formulata, l’esimente andrebbe più opportunamente collocata nell’ambito delle cause di giustificazione.
833 Secondo la maggior parte della dottrina (v., per tutti, PULITANÒ, Esercizio, cit., 330; ROMANO, Commentario, cit., 517), la locuzione “errore di fatto” comprende anche l’errore su legge extrapenale; per altri (PADOVANI, Ordine criminoso, cit., 478) si riferisce esclusivamente all’errore su circostanze materiali. Sul punto v. ampiamente supra cap. I, sez.
CONSIDERAZIONI CRITICHE E DE JURE CONDENDO
293
disciplina dell’errore sulle cause di giustificazione, contenuta nell’art. 15 n. 3. In
base a questa norma, all’errore sulle cause di giustificazione si applicano gli stessi
criteri, previsti dal 1° co. del medesimo articolo, relativi alla rilevanza dell’errore
sul precetto e dell’errore sul fatto834: l’erronea supposizione di obbedire ad un
ordine legittimo potrà escludere la punibilità per l’esecutore nel caso in cui si tratti
di errore invincibile sul precetto835 oppure di errore sul fatto (sia esso dovuto ad
errore di fatto o ad errore su norme extrapenali); in quest’ultimo caso potrà
residuare la responsabilità colposa, se l’errore è determinato da colpa e il fatto è
previsto dalla legge come reato colposo.
La mancanza di una specifica disposizione in tema di errore sulla
legittimità dell’ordine, comporta, anche nel Progetto Grosso, l’applicazione della
disciplina generale relativa all’errore sulle cause di giustificazione (art. 29)836:
II, par. 2.1.
834 Art. 15 (Errore sul precetto ed errore sul fatto): “1. Prevedere la non punibilità in caso di errore invincibile sul precetto. Prevedere la non punibilità in caso di errore sul fatto che costituisca un determinato reato, sia esso dovuto ad errore di fatto o ad errore su legge diversa dalla legge penale. In caso di errore determinato da colpa prevedere la punibilità se il fatto è previsto dalla legge come reato colposo. 2. In caso di errore sugli elementi differenziali tra più reati, prevedere la punibilità per il reato meno grave. 3. Applicare gli stessi criteri nella disciplina dell’errore sulle cause di giustificazione e sulle cause soggettive di esclusione della responsabilità”. V., in critica alla disciplina dell’errore sulle cause soggettive di esclusione della responsabilità, CAVALIERE, L’errore sulle scriminanti nella teoria dell’illecito penale, cit., 569. Secondo l’A. è da escludere che l’agente erri sul precetto quando è consapevole di commettere un fatto incriminato e non giustificato ma suppone erroneamente che l’ordinamento escluda la sua responsabilità: tale errore, infatti, “lascia intatta la consapevolezza del contrasto della propria condotta con i precetti penali e riguarda soltanto la valutazione normativa della necessità politico – criminale di una punizione della propria condotta”. L’A. critica anche la possibilità di applicare all’errore sulle scusanti la medesima disciplina prevista per l’errore sul fatto (esclusione del dolo ed eventuale responsabilità a titolo di colpa): le scusanti previste non paiono concepite come ipotesi di esclusione del dolo, bensì incidono solo sulla riprovevolezza; di conseguenza, se le scusanti non escludono il dolo, la loro erronea supposizione non può, a maggior ragione, escluderlo.
835 Nel caso in cui l’errore sul precetto sia evitabile potrà essere applicata la diminuzione di pena prevista dall’art. 22 n. 1.
836 Art. 29 (Errore sul fatto e sulle cause di giustificazione): “1. Esclude il dolo e, se scusabile, anche la colpa, l’ignoranza o l’errore sulla sussistenza di elementi del fatto costitutivo del reato, nonché la supposizione erronea della presenza di cause di giustificazione. 2. Costituisce errore rilevante ai sensi del comma precedente anche
CONSIDERAZIONI CRITICHE E DE JURE CONDENDO
294
l’erronea supposizione della legittimità dell’ordine, se determinata da errore sul
fatto (anche derivante da errore su legge diversa dalla legge penale violata)
escluderà il dolo e, se scusabile, anche la colpa. L’erronea supposizione della
legittimità dell’ordine che si traduca in un errore sul divieto potrà escludere la
colpevolezza solo se scusabile, secondo quanto disposto dall’art. 26 del
progetto837.
Nel Progetto Riz, l’errore sulla legittimità dell’ordine continua ad essere
previsto nella disposizione concernente la causa di giustificazione
dell’adempimento di un dovere: l’art. 49, 3° co., prevede, infatti, che “risponde
del reato altresì chi ha eseguito l’ordine, salvo che per un errore scusabile abbia
ritenuto di obbedire ad un ordine legittimo”. Si pone quindi il problema di
stabilire cosa si intenda per “errore scusabile”. L’aggettivo “scusabile” fa
riferimento alla natura non colposa dell’errore. Tale locuzione è utilizzata anche
nell’art. 45 del progetto, in riferimento all’errore sulle cause di giustificazione in
generale: in questa norma però, diversamente da quanto accade per l’errore sulla
legittimità dell’ordine, si prevede la punibilità dell’agente nel caso di errore
determinato da colpa (sempre che il fatto sia previsto dalla legge come delitto
colposo). Non è dunque chiaro se sia punibile o meno chi, per errore inescusabile
(ossia determinato da colpa), abbia ritenuto di obbedire ad un ordine legittimo838.
l’ignoranza o l’errore su qualificazioni giuridiche di elementi del fatto costitutivo di reato, derivante da errore su leggi diverse dalla legge penale violata. 3. L’erronea rappresentazione di un elemento differenziale fra più reati comporta la responsabilità per il reato che l’agente si è rappresentato, se meno grave”.
837 Come emerge dalla relazione del settembre 2000, la Commissione ha preferito utilizzare il termine “scusabile”, al posto del termine “inevitabile”, giacché esso “sottende che l’errore sul precetto penale deve essere valutato secondo lo stesso metro che, in materia di errore sul fatto, corrisponde ai principi sulla colpa, e non secondo un metro più severo”.
838 A favore dell’interpretazione secondo cui sarebbe punibile l’esecutore che abbia ritenuto, per errore determinato da colpa, di obbedire ad un ordine legittimo, si possono forse citare le parole dello stesso RIZ, Lineamenti, cit., 231, in tema di errore sulle cause di giustificazione ex art. 59 ult. co. del codice vigente: “Naturalmente, affinché il soggetto vada esente da ogni responsabilità, l’errore deve essere scusabile, poiché è un principio dell’ordinamento che solo l’errore scusabile può essere invocato dall’agente per escludere la
CONSIDERAZIONI CRITICHE E DE JURE CONDENDO
295
Data l’ampiezza della formula impiegata dai redattori del progetto, sembra che si
possano far rientrare nell’“errore scusabile” sia l’errore di fatto che l’errore su
norma extrapenale che abbia causato un errore sul fatto. Per quanto riguarda la
possibile rilevanza dell’errore sul precetto, è necessario fare riferimento a quanto
disposto dall’art. 42 del Disegno di legge, che prevede la non punibilità
dell’agente che abbia commesso il fatto, senza la coscienza di tenere una condotta
illecita per errore inevitabile sul precetto839.
Nel Progetto Nordio, è riproposta la medesima formulazione dell’art. 51,
3° co.: “Risponde altresì chi ha eseguito l’ordine, salvo che, per errore di fatto,
abbia ritenuto di obbedire ad un ordine legittimo”. Analogamente a quanto emerso
in sede di commento dell’art. 51, 3° co.840, l’impiego della locuzione “errore di
fatto” comporta il duplice problema di determinare, da un lato, se essa riguardi
anche l’errore su legge extrapenale e, dall’altro, quale sia la rilevanza di un errore
colposo sulla legittimità dell’ordine.
Infine, nel più recente progetto redatto dalla Commissione Pisapia,
l’assenza di una specifica previsione in tema di errore sulla legittimità dell’ordine
propria responsabilità penale. Se l’errore fosse, invece, frutto di colpa, cioè inescusabile, residuerà una responsabilità colposa”. D’altro canto, accogliendo questa interpretazione, l’art. 49 3° co. si risolverebbe in una mera ripetizione di quanto già disposto in generale per l’errore sulle cause di giustificazione dall’art. 45.
839 Art. 42 (Errore sul divieto): “1. L’agente che ha commesso il fatto, senza la coscienza di tenere una condotta illecita per errore sul precetto, non è punibile quando l’errore non poteva essere evitato. 2. La punibilità non è esclusa nel caso di errore evitabile con l’uso di una normale diligenza, ma la pena è diminuita da un terzo alla metà”. Questa disposizione deve, peraltro, essere coordinata con l’art. 4 del medesimo progetto, secondo cui “nessuno può invocare a propria scusa l’ignoranza della legge penale, salvo il caso di ignoranza inevitabile”. Sembra, infatti, che i redattori del progetto abbiano inteso differenziare la disciplina dell’ignoranza rispetto a quella dell’errore sulla legge penale: solo l’errore sul divieto, e non anche l’ignoranza, può portare ad una diminuzione di pena nel caso in cui fosse evitabile. Questa impostazione trova conferma nelle parole dello stesso RIZ, Lineamenti, cit., 300, secondo cui “la nozione di ignoranza non è solo psicologicamente distinguibile dall’errore, ma si differenzia da esso anche sul piano della rilevanza giuridica. E’ vero che nelle ipotesi in cui la legge parla semplicemente di ignoranza, deve ritenersi implicitamente compreso anche l’errore, ma non è altrettanto vero il caso contrario, ricorrendo molti casi di errore rilevante, in cui la semplice ignoranza non giova”.
840 V. supra, cap. I, sez. II, par. 2.1.
CONSIDERAZIONI CRITICHE E DE JURE CONDENDO
296
induce a ritenere l’applicabilità della disciplina generale dell’errore sulle cause di
giustificazione (art. 14)841 : esclude il dolo l'erronea supposizione di una causa di
giustificazione, anche quando essa derivi da errore su legge diversa da quella
penale, ancorché avente ad oggetto qualifiche giuridiche o elementi normativi,
salva comunque la punibilità a titolo di colpa se l'errore sia determinato da colpa e
il fatto sia preveduto dalla legge come reato colposo.
4. L’ordine criminoso insindacabile.
In tutti e cinque i progetti di riforma del codice penale è stata mantenuta la
categoria dell’ordine criminoso insindacabile. L’inferiore che abbia commesso un
reato nell’esecuzione di un ordine insindacabile beneficia, dunque, di una causa di
esclusione della punibilità. Tuttavia, mentre nel Progetto Riz e nel Progetto
Grosso l’ordine criminoso insindacabile è previsto nella disposizione concernente
l’adempimento di un dovere, esso è inserito tra le cause soggettive di esclusione
della responsabilità nel Progetto Pagliaro e nel Progetto Pisapia, e tra le scusanti
nel Progetto Nordio.
841 Art. 14 (Ignoranza ed errore): “1. Prevedere che escluda la responsabilità a titolo
di dolo: a) l'errore sul fatto che costituisce il reato, anche quando derivi da errore su legge diversa da quella penale, avente ad oggetto qualifiche giuridiche o elementi normativi; b) l'erronea supposizione di una causa di giustificazione, anche quando essa derivi da errore su legge diversa da quella penale, ancorché avente ad oggetto qualifiche giuridiche o elementi normativi; c) l'eccesso nelle cause di giustificazione quando per errore ne siano superati i limiti. 2. Prevedere che: a) nei casi che precedono, sia fatta salva la punibilità a titolo di colpa se l'errore sia determinato da colpa e il fatto sia preveduto dalla legge come reato colposo; b) l'agente sia punito per il reato meno grave in caso di errore su un elemento differenziale tra più reati. 3. Prevedere che escludano la responsabilità l'ignoranza e l'errore sulla legge penale incriminatrice nonché l'erronea supposizione di una causa soggettiva di esclusione della responsabilità, purché siano scusabili in rapporto alle circostanze oggettive del fatto ed alle caratteristiche personali dell'autore. 4. Prevedere che in caso di ignoranza o errore non scusabile la pena possa essere attenuata fino a un terzo se si tratti di reato doloso. 5. Prevedere, salve le diverse disposizioni di legge, l'irrilevanza dell'errore sull'identità della persona offesa”.
CONSIDERAZIONI CRITICHE E DE JURE CONDENDO
297
4.1. Il recepimento nei progetti di riforma dei principi elaborati in
dottrina e in giurisprudenza in sede di interpretazione dell’art.
51 ult. co. c.p. L’irrisolto problema del criterio di
determinazione della manifesta criminosità.
In merito al sindacato sulla legittimità dell’ordine, i redattori dei progetti
hanno recepito, in maniera più o meno compiuta, taluni principi elaborati dalla
dottrina e dalla giurisprudenza in sede di interpretazione dell’art. 51 c.p., ultimo
comma, norma che prevede la non punibilità di chi esegue l’ordine illegittimo
(criminoso), quando la legge non gli consente alcun sindacato sulla legittimità
dell’ordine stesso.
Come si è avuto modo di osservare842, la dottrina ritiene che la
configurabilità della categoria degli ordini criminosi insindacabili e/o vincolanti
riguardi soltanto i rapporti di subordinazione di natura militare o assimilati,
caratterizzati dall’obbligo di obbedienza pronta e rigorosa. L’insindacabilità
dell’ordine da parte dell’inferiore (con conseguente esenzione dalla responsabilità
per il reato commesso in esecuzione dell’ordine) sarebbe, inoltre, soltanto relativa,
potendo riguardare unicamente la legittimità sostanziale dell’ordine medesimo
(ossia la sussistenza dei presupposti stabiliti dalla legge per la sua emanazione); si
ritiene, infatti, che l’ordine sia sempre sindacabile relativamente alla legittimità
formale (competenza del superiore ad impartire l’ordine, competenza
dell’inferiore ad eseguirlo, emanazione nella forma prescritta dalla legge). Si è
concordi nell’ammettere, tuttavia, che neppure il sindacato sulla legittimità
sostanziale dell’ordine sia totalmente precluso al subordinato esecutore: egli
risponde del reato commesso se la criminosità era manifesta o se ha agito con la
piena consapevolezza dell’illiceità penale della condotta impostagli dal superiore.
842 V. supra cap. I, sez. IV, par. 1.1.
CONSIDERAZIONI CRITICHE E DE JURE CONDENDO
298
Tutti questi principi sono stati dunque formalizzati nei progetti di riforma
in esame: negli articolati predisposti viene, infatti, affermata la non punibilità
dell’esecutore dell’ordine illegittimo insindacabile, salvo che la criminosità fosse
manifesta o a costui comunque nota. In particolare, l’art. 34 elaborato dalla
Commissione Grosso e l’art. 37 della Commissione Nordio sono senza dubbio
quelli che più compiutamente accolgono le elaborazioni dottrinali in merito alla
sindacabilità della legittimità formale dell’ordine e alla punibilità dell’esecutore
dell’ordine non sindacabile la cui criminosità sia manifesta o a costui comunque
nota843.
Nessuno dei Progetti in esame contiene, peraltro, indicazioni circa il
criterio di determinazione della manifesta criminosità. Con ciò permangono i
dubbi se, nel valutare la manifesta criminosità dell’ordine, il parametro da
adottare sia oggettivo, soggettivo oppure “misto”844.
4.1.1. La collocazione dell’ordine illegittimo insindacabile tra le
cause soggettive di esclusione della responsabilità nel Progetto
Pagliaro.
Nel Progetto Pagliaro l’ordine illegittimo e non sindacabile della pubblica
autorità, sempre che la criminosità dell’ordine non sia manifesta o comunque nota
all’esecutore, costituisce, ai sensi dell’art. 17 n. 1, causa soggettiva di esclusione
della responsabilità per il subordinato esecutore.
843 In riferimento al Progetto Grosso, come chiaramente emerge dalla relazione del
1999, la Commissione ritiene sia necessario che vincoli di sindacato continuino ad essere previsti nel tradizionale settore della gerarchia militare, dei corpi civili organizzati militarmente nonché in quello degli ausiliari di giustizia, “nei confronti della cui attività si esige spesso una prontezza di esecuzione incompatibile con eventuali eccezioni di merito da parte del destinatario dell’ordine”; a parere della Commissione, sarebbe necessaria, inoltre, un’esplicita e tassativa elencazione legislativa delle attività sottoposte al principio di insindacabilità degli ordini. Di tale elencazione, peraltro, non v’è traccia nel Progetto. In argomento v. GROSSO, La riforma, cit., 476 ss.
844 V. supra cap.I, sez. IV par. 4.1.
CONSIDERAZIONI CRITICHE E DE JURE CONDENDO
299
Sebbene non sia condivisibile il presupposto dell’esistenza della categoria
degli ordini criminosi insindacabili845, è apprezzabile, tuttavia, la collocazione tra
le scusanti di tale tipo di ordine. L’esecuzione di un ordine illegittimo deve,
infatti, sempre ritenersi antigiuridica, giacché non viene in considerazione alcun
interesse meritevole di tutela che possa, nel bilanciamento degli interessi,
prevalere sull’interesse sotteso alla fattispecie penale incriminatrice: l’eventuale
rilevanza dell’ordine illegittimo ai fini dell’esenzione da pena per l’esecutore si
avrà, dunque, solo sul piano della colpevolezza. Gli altri due progetti, invece,
collocando la norma concernente l’ordine criminoso insindacabile all’interno della
scriminante dell’adempimento del dovere, lasciano persistere i dubbi interpretativi
circa l’inquadramento dogmatico della non punibilità dell’esecutore dell’ordine.
L’art. 17 contempla, come si è detto, una serie di ipotesi caratterizzate
dalla presenza di un elemento soggettivo incompatibile con una consapevolezza o
rimproverabilità del soggetto agente.
Come è stato correttamente osservato846, a fondamento delle prime due
scusanti previste dall’articolo in esame (ordine criminoso insindacabile e ordine
privato847), sembra esservi la tematica dell’errore, piuttosto che la considerazione
di situazioni oggettive che determinino, per la pressione motivazionale cui danno
luogo, un’inesigibilità tale da condurre all’esclusione della riprovevolezza. Il
ruolo centrale nell’art. 17 n. 1 è assunto, infatti, dall’ignoranza o errore sulla
criminosità dell’ordine: se, invero, la criminosità dell’ordine è “comunque nota”
all’agente egli non andrà esente da responsabilità, neppure nel caso in cui la
criminosità non sia manifesta; la manifesta criminosità, quindi, funziona soltanto
nei casi di ignoranza o errore sulla criminosità stessa, come limite
dell’inevitabilità dell’errore sul divieto. Non è, dunque, l’ordine in se stesso a
845 V. supra cap. I, sez. IV, par. 2. 846 CAVALIERE, L’errore sulle scriminanti, cit., 580. 847 Sulla rilevanza dell’ordine privato v. ampiamente supra par. 2.
CONSIDERAZIONI CRITICHE E DE JURE CONDENDO
300
scusare, bensì la circostanza che la sua criminosità non sia conosciuta dall’agente
o sia da lui ritenuta inesistente848.
Peraltro, se le disposizioni di cui all’art. 17 n. 1 e 2 prevedono fattispecie
scusanti incentrate sull’errore, risulta dubbia la possibilità di applicare l’art. 15 n.
3 a tali ipotesi. Tale norma dispone, come si è detto849, che gli stessi criteri
previsti, in generale, in tema di errore sul precetto e di errore sul fatto si
applichino anche qualora l’errore verta sulle cause soggettive di esclusione della
responsabilità: tuttavia, se le due scusanti previste dall’art. 17 n. 1 e 2, si
riferiscono a ipotesi di errore o ignoranza sulla legittimità dell’ordine, sembra
difficilmente prospettabile un errore che cada su tali elementi soggettivi850.
4.1.2. La scusante dell’ignoranza dell’illegittimità dell’ordine non
sindacabile della pubblica autorità nel Progetto Nordio.
Nel Progetto Nordio l’ordine criminoso insindacabile rientra tra le cause
scusanti. L’art. 37 del Progetto, infatti, così recita: “E’ scusato chi ottempera ad
un ordine sostanzialmente illegittimo e non sindacabile della Pubblica Autorità,
sempre che la criminosità non sia manifesta o comunque nota all’esecutore”.
Analogamente a quanto osservato per il Progetto Pagliaro, l’articolo
redatto dalla Commissione Nordio è apprezzabile in quanto provvede a collocare
l’eventuale rilevanza dell’ordine illegittimo ai fini dell’esenzione da pena per
l’esecutore sul piano della colpevolezza, anche se non è condivisibile il
presupposto su cui si fonda, ossia l’esistenza in diritto di ordini illegittimi
insindacabili.
848 Sul punto v. CAVALIERE, Riflessioni, cit., 1489 ss. 849 Cfr. supra par. 3. 850 CAVALIERE, L’errore sulle scriminanti, cit., 581. V. anche ROMANO, Cause,
cit., 235, che ai fini dell’applicabilità della disciplina dell’errore alle cause di esclusione della colpevolezza considera le sole situazioni esterne al soggetto, escludendo con ciò la non imputabilità e l’errore incolpevole sul divieto.
CONSIDERAZIONI CRITICHE E DE JURE CONDENDO
301
Dal tenore dell’articolo in esame si ricava che l’ordine è sempre
sindacabile quanto alla legittimità formale e che l’insindacabilità sostanziale trova
comunque il limite della criminosità manifesta o comunque nota all’inferiore.
L’art. 37 prevede un’ipotesi di ignoranza o errore sulla criminosità
dell’ordine, come del resto emerge con chiarezza anche dalla rubrica (“Ignoranza
dell’illegittimità dell’ordine della Pubblica Autorità”): se, invero, la criminosità
dell’ordine è “comunque nota” all’agente egli risponderà del reato commesso per
ordine, anche nel caso in cui la criminosità non sia manifesta; la manifesta
criminosità, pertanto, funziona soltanto nei casi di ignoranza o errore sulla
criminosità stessa, come limite dell’inevitabilità dell’errore sul divieto.
4.1.3. L’esecuzione dell’ordine illegittimo “vincolante” nel Progetto
Pisapia.
Nel Progetto Pisapia l’esecuzione dell’ordine illegittimo viene
espressamente ricondotta nell'ambito delle cause soggettive di esclusione della
responsabilità (art. 16, comma 1, lettera a); valgono pertanto le considerazioni già
svolte con riferimento al Progetto Pagliaro e al Progetto Nordio relativamente
all’opportunità di collocare tale causa di non punibilità nell’ambito delle scusanti.
Anche nella previsione elaborata dalla Commissione Pisapia si è esplicitato che la
punibilità dell'esecutore non può mai venire meno in presenza di un ordine
manifestamente criminoso. A tale ipotesi, che, secondo la Commissione, andrebbe
rapportata ad un parametro valutativo medio851, è stata assimilata quella
dell'ordine la cui criminosità sia comunque nota all'esecutore.
A destare perplessità è il mantenimento, nel Progetto in esame, del testuale
riferimento agli ordini illegittimi vincolanti852, ad ordini, cioè, che, nonostante la
loro illiceità penale, fanno sorgere un vero e proprio dovere di obbedienza,
851 Così si legge nella Relazione che accompagna l’articolato. 852 Cfr. anche la prima relazione della Commissione Grosso, presentata nel 1999 in
cui ancora ci si riferisce agli ordini illegittimi vincolanti.
CONSIDERAZIONI CRITICHE E DE JURE CONDENDO
302
disciplinarmente e penalmente sanzionabile. La previsione di tale categoria di
ordini mal si concilia, tra l’altro, con l’idea, accolta dalla stessa Commissione, che
in tali casi non venga esclusa l'illiceità del fatto, bensì vengano meno i presupposti
di un normale processo motivazionale e la libertà di autodeterminazione
dell'agente, posto che l’esecuzione dell’ordine illegittimo vincolante da parte
dell’inferiore, in quanto doverosa, non potrà essere ritenuta antigiuridica.
SEZIONE II – CONSIDERAZIONI CONCLUSIVE
SOMMARIO: 1. Rilievi critici sul mantenimento de lege ferenda della categoria dell’ordine
illegittimo insindacabile e/o vincolante. L’esigenza di ricondurre la disciplina dell’esecuzione
dell’ordine criminoso nell’alveo del principio di colpevolezza.- 2. Gli esiti dell’indagine
comparatistica. Qualche riflessione in prospettiva di riforma. – 3. Principio di responsabilità
penale individuale e limiti di ammissibilità della defence of superior order nel diritto
internazionale penale. Considerazioni di sintesi. – 4. L’esigenza di personalizzazione del
giudizio di evitabilità dell’errore di diritto con riferimento ai militari. Conclusioni de jure
condendo.
1. Rilievi critici sul mantenimento de lege ferenda della categoria
dell’ordine illegittimo insindacabile e/o vincolante. L’esigenza di
ricondurre la disciplina dell’esecuzione dell’ordine criminoso nell’alveo
del principio di colpevolezza.
Alla luce di una ricostruzione organica del diritto vigente in tema di
esecuzione dell’ordine criminoso853 non è condivisibile l’opinione della dottrina
tradizionale che, in varia guisa, propende per la configurazione di una causa di
non punibilità legata all’esistenza di limiti al sindacato sulla criminosità
dell’ordine. Detti limiti, in diritto, sono non solo inesistenti ma anche
inammissibili, alla stregua sia dei principi costituzionali che informano l’attuale
Stato democratico e di diritto (in particolare il principio di osservanza della legge
che deve informare l’attività di ogni pubblico dipendente nel perseguimento
dell’interesse pubblico, nonché il principio della responsabilità diretta del
pubblico dipendente, accanto a quella della pubblica amministrazione, nei
confronti dei terzi, di cui all’art. 28 Cost.), sia del mutato assetto della normativa
di settore concernente il rapporto gerarchico e il potere/dovere di sindacato sulla
legittimità dell’ordine.
853 V. supra cap. I, sez. IV.
CONSIDERAZIONI CRITICHE E DE JURE CONDENDO
304
Dall’esame delle norme che disciplinano il dovere di obbedienza dei
pubblici dipendenti sia civili che militari, è emerso infatti che all’inferiore è
sempre attribuito il pieno sindacato sulla legittimità formale e sostanziale
dell’ordine ricevuto (restando precluso il solo sindacato sul merito). Il dovere di
obbedienza sorge, dunque, solo in relazione all’ordine integralmente legittimo,
mentre l’ordine criminoso (o comunque illegittimo, nella forma o nella sostanza)
deve essere disobbedito.
In definitiva, la concezione della dottrina tradizionale non è condivisibile
non solo perché confonde il piano oggettivo, su cui opera il dovere di
disobbedienza, con quello soggettivo della conoscenza o ignoranza della
criminosità (l’ordine criminoso deve sempre essere disobbedito dall’inferiore,
mentre la manifesta o nota criminosità opera sul piano soggettivo, a fondamento
del giudizio di colpevolezza), ma anche e soprattutto perché non è possibile, su un
piano più generale, nell’attuale assetto dell’ordinamento giuridico italiano, la
configurazione stessa di una categoria di ordini criminosi insindacabili e/o
vincolanti. Si può allora concludere che norme che presuppongano l'esistenza in
diritto di ordini illegittimi insindacabili e/o vincolanti, come l’attuale art. 51 ult.
co. c.p., non trovano mai applicazione.
Le critiche mosse alla teoria tradizionale possono ritenersi valide anche in
riferimento alla nuova (anche se non sempre innovativa) disciplina
dell’esecuzione dell’ordine criminoso prevista nei recenti progetti di riforma del
codice penale che si sono più sopra esaminati.
Si deve registrare favorevolmente il fatto che nei progetti - ad esclusione,
come si è visto, del Progetto Pisapia - si evita di fare riferimento testuale a ordini
illegittimi vincolanti, forse perché sono state recepite quelle istanze volte al
superamento della diffusa opinione secondo cui il fondamento della non punibilità
dell’esecutore di un ordine criminoso insindacabile sarebbe da ricondurre alla
CONSIDERAZIONI CRITICHE E DE JURE CONDENDO
305
natura vincolante dell’ordine medesimo. Infatti, come si è detto854, anche se al
subordinato fosse, in ipotesi, precluso di sindacare ordini criminosi, ciò ancora
non significherebbe l'esistenza di vincolatività dell'ordine criminoso ricevuto: la
vincolatività di un ordine presuppone, invero, l’applicabilità di una sanzione a
carico di chi ne rifiuti l’adempimento, della quale tuttavia non v’è traccia nel
nostro ordinamento.
Ad ogni modo, anche se i redattori dei progetti hanno opportunamente
operato una distinzione tra insindacabilità e vincolatività, nondimeno risulta
inaccettabile la previsione di una disposizione che si fondi sul presupposto
dell’esistenza di categorie di ordini criminosi insindacabili. Ciò vale, lo si
ribadisce, anche per i subordinati militari e assimilati, categorie alle quali fanno
riferimento i redattori dei progetti col prevedere la non punibilità dell’esecutore
dell’ordine criminoso insindacabile855.
Dalle considerazioni sinora svolte emerge allora evidente come il
problema dell’esecuzione dell’ordine criminoso vada spostato in sede di
apprezzamento di fatto, ricostruendo l’esimente sul piano della colpevolezza. E’
in questa sede che si può (e si deve) tener conto della peculiare condizione del
subordinato militare e delle difficili situazioni in cui spesso costui si trova ad
operare: l’inferiore gerarchico è infatti tenuto ad una pronta obbedienza (l’art. 173
c.p.m.p. punisce anche il semplice ritardo nell’eseguire l’ordine) e spesso non ha
la materiale possibilità, per mancanza di tempo o di adeguate cognizioni, di
svolgere un ponderato esame di tutti i profili concernenti la legittimità dell’ordine.
854 V. supra cap. I, sez. IV, par. 2. 855 Cfr. in particolare la relazione della Commissione Grosso del 1999, cit., 600. E,
d’altra parte, il mantenimento della categoria degli ordini criminosi insindacabili si pone in contrasto anche con l’esigenza, peraltro fortemente sentita dagli stessi redattori dei progetti, di una piena realizzazione del principio di colpevolezza (art. 27 Cost.) in “un’affermata e moderna democrazia partecipativa, dove la persona assume il ruolo di responsabile protagonista e di artefice della vita associata” (così PAGLIARO, Lo schema di legge, cit., 274).
CONSIDERAZIONI CRITICHE E DE JURE CONDENDO
306
Tuttavia, una cosa è tener conto di tali istanze nel valutare la responsabilità
dell’inferiore che abbia eseguito un ordine illegittimo essendo materialmente
impossibilitato a sindacarne la sostanza, altra è affermare il principio di
insindacabilità o vincolatività degli ordini militari, il quale attualmente non trova
cittadinanza nel nostro ordinamento.
Ciò premesso, con la collocazione dell’esimente sotto il profilo della
colpevolezza il problema dell’esecuzione dell’ordine criminoso è soltanto posto
ma non ancora risolto.
Invero, anche la dottrina maggioritaria856 si è preoccupata di precisare che
un’eventuale esclusione della punibilità per l’esecutore dell’ordine illegittimo
insindacabile può venire in considerazione sotto il profilo soggettivo della
mancanza di colpevolezza, e ha configurato l’esimente come causa scusante che
trova il proprio fondamento nell’inesigibilità.
Ora, una delle chiavi di lettura che ha guidato questa ricerca è stato proprio
l’inquadramento della problematica dell’esecuzione dell’ordine criminoso sul
piano della distinzione tra cause di giustificazione e scusanti (o cause soggettive
di esclusione della responsabilità). Trattasi di distinzione che, benché presenti
profili problematici non del tutto risolti, è applicata dalla dottrina italiana857 - ed
espressamente recepita, come si è visto, in quasi tutti i progetti di riforma del
codice penale che si è avuto modo di esaminare - e che, seppur con diverse
sfumature, è altresì presente anche negli altri ordinamenti giuridico - penali
considerati.
La materia della “giustificazione” e della “scusa”, per vero, ben si presta
ad “aprire” la normativa penale non solo ad altri settori dell’ordinamento, ma
altresì alle prospettive ricavabili dall’esperienza di altri ordinamenti e dal diritto
internazionale penale. Peraltro, proprio l’apprezzamento critico della disciplina
856 V. supra cap. I, sez. IV, par. 1.3.2. 857 V. supra cap. I, sez. IV, par.1.3.
CONSIDERAZIONI CRITICHE E DE JURE CONDENDO
307
aliena (in particolare tedesca e statunitense), conduce ad abbandonare la
summenzionata distinzione con riferimento all’esecuzione dell’ordine criminoso,
corroborando gli esiti dell’interpretazione offerta per il diritto interno (rilevanza
dell’ordine criminoso in sede di apprezzamento della colpevolezza sul piano
dell’errore di diritto; significato e ruolo della manifesta criminosità), e ponendo
importanti basi per la comprensione delle origini di scelte affermatesi nel diritto
penale internazionale (in particolare la disciplina prevista dallo Statuto di Roma).
2. Gli esiti dell’indagine comparatistica. Qualche riflessione in prospettiva
di riforma.
Quanto al contenuto e ai limiti del dovere di obbedienza, non può non destare
perplessità la rinuncia, sia in campo tedesco che spagnolo, ad una piena
corrispondenza tra legittimità e vincolatività dell’ordine, con conseguente
possibilità di configurare ordini illegittimi vincolanti la cui mancata esecuzione è
punita come reato di disobbedienza.
Se è vero, infatti, che nell’ordinamento germanico solo gli ordini illegittimi
che comportano violazioni meno gravi dell’ordinamento giuridico
(Ordnungswidrigkeiten) sono vincolanti (mentre l’ordine antigiuridico penalmente
rilevante fa sempre sorgere in capo al subordinato un vero e proprio dovere di
disobbedienza), è altrettanto vero che proprio all’esistenza di ordini illegittimi
vincolanti è connesso il delicato problema della vincolatività o meno del c.d.
gefährlicher Befehl, ossia dell’ordine vincolante di commettere un illecito
amministrativo dalla cui esecuzione deriva il pericolo della commissione di un
reato colposo. Sono d’altra parte evidenti gli esiti a cui la mancata corrispondenza
tra legittimità e vincolatività dell’ordine potrebbe portare, attraverso una eventuale
e non sufficientemente controllata politica di depenalizzazione che comporterebbe
una non auspicabile estensione del campo di azione degli ordini illegittimi
vincolanti, entro limiti preventivamente non prevedibili.
CONSIDERAZIONI CRITICHE E DE JURE CONDENDO
308
In Spagna, poi, la dottrina prevalente, in considerazione del tenore
dell’410 del Código penal (disciplinante il reato di disobbedienza commesso da
autorità e funzionari pubblici e mancante di un esplicito riferimento alla
legittimità sostanziale dell’ordine vincolante), ritiene che siano configurabili
mandatos antijuridícos obligatorios comportanti la realizzazione di una condotta
penalmente illecita la cui mancata esecuzione, salvo il caso della manifesta
criminosità, è punibile come reato di disobbedienza. La prevalenza attribuita alla
disciplina ed alle necessità di funzionamento dell’amministrazione pubblica
rispetto all’interesse all’osservanza della legge, si armonizza invero ben poco con
lo spirito democratico e di adeguamento ai principi costituzionali che ha animato
la redazione del nuovo codice penale spagnolo del 1996.
Peraltro, tale interpretazione dell’art. 410 del codice penale comune pare
poco sostenibile laddove la si confronti con la disciplina prevista per i militari.
Invero, dal sistema di norme in tema di obbedienza gerarchica in ambito militare
emerge che la vincolatività dell’ordine dipende dalla sua legittimità e che l’ordine
criminoso (non manifestamente tale) non fa sorgere il dovere di obbedienza,
penalmente sanzionato, in capo al militare (anche se non sussiste un vero e
proprio dovere di disobbedienza nei confronti dell’ordine penalmente illecito). La
configurazione di ordini criminosi vincolanti per i funzionari pubblici conduce
pertanto alla paradossale conclusione che sussisterebbe un dovere di obbedienza
più stringente nelle amministrazioni pubbliche rispetto alle Forze armate. In
realtà, questa conclusione non solo è paradossale, ma parrebbe anche contraddire
lo spirito della legge che regola il regime giuridico delle amministrazioni
pubbliche, la quale enuncia tra i suoi principi generali, ai quali deve conformarsi
l’azione amministrativa, la piena sottomissione “a la Constitución, a la Ley y al
Derecho”. Pare allora preferibile ritenere che l’art. 410 CP vada interpretato nel
senso che l’ordine costituente illecito penale è nullo di pieno diritto e pertanto non
potrà mai essere vincolante, sia esso manifestamente criminoso o no.
CONSIDERAZIONI CRITICHE E DE JURE CONDENDO
309
In ogni caso, sul piano della civiltà giuridica sono preferibili gli esiti cui si
è giunti mediante l’interpretazione sistematica della normativa italiana in tema di
obbedienza gerarchica, improntati sull’osservanza della legalità sostanziale anche
costituzionale come principio cardine cui l’attività della pubblica amministrazione
(inclusa quella militare) deve informarsi, senza rischiose deviazioni che
comportino affermazioni di prevalenza del nudo principio di obbedienza.
Per quanto concerne la questione relativa alla punibilità per l’esecuzione
dell’ordine criminoso, negli ordinamenti tedesco, francese e spagnolo,
diversamente da quello italiano, la regola è quella della normale irresponsabilità
dell’esecutore dell’ordine criminoso, salvo il caso di manifesta criminosità: in
quest’ultima ipotesi, infatti, - oltre che nel caso di conoscenza, da parte del
subordinato, del carattere penalmente illecito dell’ordine - l’aver eseguito l’ordine
criminoso comporta la responsabilità penale dell’esecutore.
In Germania la non punibilità dell’esecutore dell’ordine criminoso non
manifestamente tale si fonda sul riconoscimento della sussistenza di un errore sul
divieto. Invero, il § 5 WStG – ai sensi del quale la colpevolezza dell’inferiore è
esclusa se costui non ha riconosciuto o ha erroneamente valutato l’illegittimità
dell’oggetto dell’ordine, purché questa non fosse manifesta (per circostanze a lui
note) - rappresenta una regola particolare del Verbotsirrtum (§ 17 StGB).
In Francia – dove l’approccio al diritto penale è caratterizzato da un più
marcato pragmatismo - la questione relativa al fondamento della non punibilità
dell’esecutore dell’ordine nel caso di criminosità non manifesta non è stata
oggetto di particolare approfondimento, ma prevale comunque l’opinione secondo
cui la causa di irresponsabilità si fonda su un errore di diritto o eventualmente
sulla bonne foi dell’inferiore che non ha compreso l’illegittimità dell’ordine (si è
perciò in presenza di una cause de non-culpabilité).
Nelle sue linee essenziali questa disciplina non diverge da quella prevista nel
sistema italiano: si tratta di escludere la responsabilità in quanto vi è difetto di
CONSIDERAZIONI CRITICHE E DE JURE CONDENDO
310
colpevolezza.
Più complessa e dibattuta è la questione in seno all’ordinamento spagnolo,
soprattutto in ragione della possibilità, di cui si è detto, di configurare ordini
criminosi vincolanti. Secondo parte della dottrina, infatti, l’obbedienza dovuta
all’ordine non manifestamente antigiuridico è causa de exculpación per il
subordinato, fondata sul principio di inesigibilità, mentre l’opinione prevalente
ritiene invece che l’obbedienza dovuta sia sempre causa di giustificazione, e ciò in
base alla considerazione che se l’obbedienza è “debida”, non può essere proibita,
antigiuridica, tanto più che la disobbedienza è punibile.
Per quanto riguarda i Paesi di common law, criticabile è la posizione
particolarmente conservatrice del diritto inglese, dove l’ordine del superiore non è
riconosciuto tra le general defences ammesse. Ciò vale sia in ambito civile che in
ambito militare. La rilevanza scusante dell’ordine superiore potrà eventualmente
venire in considerazione sul piano del difetto di mens rea, perché, ad es., il
subordinato è incorso in un errore di fatto, ma mai a causa di un errore di diritto,
e ciò perché, nel diritto inglese, in linea di principio, il mistake of criminal law
anche se inevitabile non scusa. Questo rigore nell’inammissibilità della defence in
parola è peraltro criticato da parte della dottrina, soprattutto con riferimento ai
militari: si è in proposito sostenuto che sarebbe auspicabile che le Corti
applicassero il principio secondo cui gli ordini militari non manifestamente
criminosi possono dare luogo ad un errore di diritto che dovrebbe essere rilevante.
Questa impostazione - che tiene conto della difficile situazione in cui il militare
opera e dello stringente dovere di obbedienza che caratterizza la gerarchia militare
- è stata accolta in qualche isolata sentenza e pare assolutamente condivisibile,
giacché non configura una justification per il militare esecutore bensì costituisce
una excuse fondata su un “reasonable mistake of law”.
Un’espressa affermazione del principio della manifesta illegittimità è
rinvenibile nella prassi delle corti scozzesi e irlandesi.
CONSIDERAZIONI CRITICHE E DE JURE CONDENDO
311
Quanto infine al diritto americano, sul piano oggettivo, l’ordine illegittimo
non è vincolante. Sul piano della colpevolezza, dal complesso delle fonti prese in
esame (sia statute law che case law), emerge che nell’ordinamento militare
americano vige il principio della c.d. ammissibilità condizionata della defense
dell’ordine superiore e che, non diversamente da quanto accade nel nostro
ordinamento o negli altri sistemi di civil law esaminati, l’inferiore risponde del
reato se è a conoscenza della criminosità o se comunque l’illiceità penale è
manifesta (se l’ordine è palpably” o “obviously” illegal). Opera dunque il general
standard del “knew or should have known”.
In conclusione, al di là delle divergenze di disciplina che si sono
riscontrate, l’indagine comparatistica ha permesso di individuare ciò che è
comune ai sistemi giuridici esaminati, ossia il principio per cui il subordinato
militare che ha commesso un fatto costituente reato in esecuzione dell’ordine
impartitogli dal superiore risponde del crimine commesso se sapeva o avrebbe
dovuto sapere che si trattava di un ordine illegittimo. E’ dunque emersa, in
generale, la rilevanza dell’esecuzione dell’ordine criminoso sul piano della
colpevolezza.
Comune è altresì l’impiego del parametro della manifesta criminosità che,
laddove non è espressamente previsto, è comunque affermato in via
giurisprudenziale.
Un’ultima notazione si impone in prospettiva di un’eventuale riforma della
materia da parte del legislatore italiano. E’ invero particolarmente apprezzabile la
tecnica legislativa tedesca: il WStG delinea in modo tecnicamente pregevole (per
completezza e coerenza) la disciplina a fini penalistici dell’ordine gerarchico,
enucleando un’apposita nozione di ordine, indicandone le cause di non
vincolatività, definendo con precisione le tre tipologie di reato di disobbedienza e,
infine, disciplinando la responsabilità dell’inferiore per l’esecuzione dell’ordine
criminoso. Inoltre, la recente approvazione del Völkerstrafgesetzbuch (VStGB) del
CONSIDERAZIONI CRITICHE E DE JURE CONDENDO
312
2002, avente il precipuo scopo di codificare i principi del diritto internazionale
penale nell’ottica di armonizzare il diritto penale sostanziale tedesco con lo
Statuto della Corte penale internazionale permanente, e contenente una specifica
disposizione in tema di obbedienza gerarchica, può senz’altro rappresentare un
modello di riferimento per procedere all’adattamento del diritto penale interno alle
obbligazioni derivanti dalla ratifica dello Statuto della Corte penale internazionale
permanente.
3. Principio di responsabilità penale individuale e limiti di ammissibilità
della defence of superior order nel diritto internazionale penale.
Considerazioni di sintesi.
Il tema dell’obbedienza gerarchica rappresenta un punto di convergenza
(rectius di potenziale collisione) tra interessi marcatamente statalistici - connessi,
anzitutto, all’esigenza di garantire il mantenimento della disciplina militare (e, con
essa, l’efficienza e la prontezza delle Forze Armate nell’adempiere i loro compiti
istituzionali), nonché alla pretesa dei singoli Stati di riservarsi la piena potestà
punitiva per i crimini commessi dai propri soldati – e istanze del diritto punitivo
sovranazionale che, in ossequio all’affermato principio della responsabilità penale
individuale, impone di reprimere le gravi violazioni del diritto delle genti
commesse in esecuzione dell’ordine del superiore. Come si legge nel judgement
reso dal Tribunale di Norimberga nel 1946 “Crimes against International law are
committed by men, not by abstract entities, and only by punishing individuals who
commit such crimes can the provisions of International law be enforced”. Non si
tratta peraltro soltanto di soddisfare esigenze di effettiva prevenzione e deterrenza
(i crimini internazionali sono in effetti di regola perpetrati su larga scala e da una
moltitudine di subordinati inseriti in una complessa catena di comando e la non
punibilità dei subordinati si tradurrebbe in una inammissibile fuga di
CONSIDERAZIONI CRITICHE E DE JURE CONDENDO
313
responsabilità verso l’alto858), bensì dell’affermazione di un principio fondativo,
intorno al quale (non senza contraddizioni ma inesorabilmente) va edificandosi il
diritto internazionale penale.
Il principio di personalità della responsabilità penale, allora, nel diritto
penale sovranazionale - prima che nella sua dimensione garantista, ossia quale
presidio della libertà del singolo contro ogni eccesso punitivo (per cui la
responsabilità penale si connette alla sussistenza di un coefficiente soggettivo e la
punibilità è circoscritta ai fatti che rientrano nella sfera di dominio del soggetto, sì
che questi non corra il rischio di incorrere in condanne accidentali)859 - rileva
anzitutto ai fini di affermazione della penale responsabilità laddove
tradizionalmente essa veniva incondizionatamente esclusa, come nel caso
dell’ordine criminoso vincolante che, come è stato esattamente osservato860, si
fonda, in sostanza, su «un giudizio di discarico delle responsabilità con traslazione
dell’imputazione su un soggetto sovraordinato che risponde per il subordinato».
Peraltro, una volta riconosciuto, il principio de quo deve esplicare (e in effetti
tende lentamente ma progressivamente ad esplicare) anche in ambito
internazionale tutti i suoi effetti e la sua piena funzione garantista, in virtù della
quale la punibilità, anche dell’esecutore dell’ordine, deve sempre fondarsi sulla
sussistenza di una adesione soggettiva al fatto criminoso.
Il fatto che chiunque commetta un crimine internazionale possa esserne
ritenuto individualmente responsabile comporta dunque la necessità di indagare se
(ed in che misura) possa avere rilevanza, sul piano del diritto internazionale
858 V. AMATI, L’ordine del superiore, cit., 217. 859 Cfr. BORSARI, op. cit., 359 ss. In argomento v. ROXIN C., Sul problema del
diritto penale della colpevolezza, in Riv. it. dir. proc. pen., 1984, 16 ss.; PADOVANI T., Teoria della colpevolezza e scopi della pena. Osservazioni e rilievi sui rapporti fra colpevolezza e prevenzione con riferimento al pensiero di Claus Roxin, in Riv. it. dir. proc. pen., 1987, 798 ss.
860 Cfr. MEZZETTI, Le cause di esclusione, cit., 248.
CONSIDERAZIONI CRITICHE E DE JURE CONDENDO
314
penale, la defence dell’obbedienza all’ordine del superiore ai fini dell’esenzione
dalla responsabilità penale per il subordinato esecutore.
Come l’esperienza storica ha ampiamente dimostrato, spesso un ordine
formalmente legittimo alla stregua dell’ordinamento statuale è invece criminoso
alla luce del diritto penale sovranazionale. In risposta al potenziale conflitto tra
diritto internazionale e nazionale - qualora il primo stabilisca un divieto e il
secondo imponga o consenta proprio quella condotta - il diritto internazionale
penale ha sviluppato proprie regole specifiche sulla defence di obbedienza ad
ordini superiori e responsabilità da comando, con le quali la normativa nazionale
deve necessariamente confrontarsi e armonizzarsi.
Il dibattito sorto, anche sul piano del diritto internazionale penale, in
merito all’ammissibilità (e in che limiti) della defence of obedience to superior
order e la non piena uniformità degli strumenti internazionalistici nel disciplinarla
riflettono l’innata tensione tra le istanze della dottrina militare statuale da un lato,
e quelle del diritto umanitario dall’altro.
In estrema sintesi, si può affermare che la teoria della absolute liability
(che si fonda sul principio secondo cui l’inferiore risponde sempre dell’esecuzione
dell’ordine) ha influenzato il diritto internazionale, prevalendo su quella del
respondeat superior (secondo cui l’obbedienza all’ordine è di per sé,
automaticamente e a priori, una defence assoluta per il subordinato esecutore): ciò
emerge dal fatto che non esistono, in epoca contemporanea (da Norimberga in
poi), convenzioni internazionali o Statuti di Tribunali internazionali che
prevedano l’obbedienza all’ordine superiore come defence per se.
La prassi dei Tribunali (internazionali e nazionali) incaricati di giudicare le
violazioni del diritto internazionale penale commesse in esecuzione di ordini e,
almeno in parte, anche lo Statuto della Corte penale internazionale permanente,
sembrano invece accogliere l’idea di una ammissibilità condizionata della
defence, secondo cui l’esecuzione dell’ordine criminoso non è di per sé causa di
CONSIDERAZIONI CRITICHE E DE JURE CONDENDO
315
esclusione della responsabilità ma può esserlo a certe condizioni, da valutarsi sul
piano della colpevolezza. In particolare, già dall’esame delle sentenze rese dai
Tribunali militari alleati che, ai sensi della Legge n. 10 del Consiglio di Controllo
Alleato, furono incaricati, dopo il 1945, di perseguire i criminali di guerra minori,
è emerso che l’aver agito per ordine del superiore è stato preso in considerazione
non in quanto autonoma defence, bensì come elemento che, di fatto, può aver
contribuito, unitamente ad altre circostanze, al verificarsi del costringimento
psichico o dell’errore di diritto (con il limite della manifesta criminosità). Il
principio accolto, dunque, anche dalla giurisprudenza successiva sino a quella dei
Tribunali ad hoc, è quello della non punibilità dell’esecutore dell’ordine
criminoso per difetto di mens rea.
Per quanto riguarda nello specifico lo Statuto della Corte penale
internazionale permanente, si può affermare che in esso è stato recepito il
principio secondo cui l’ordine del superiore non è causa di esclusione della
responsabilità per il subordinato esecutore (art. 33), con conseguente esplicito
rigetto del principio del respondeat superior.
L’incipit della disposizione – che si apre appunto sancendo l’irrilevanza
della sussistenza di un ordine ai fini dell’esclusione della responsabilità - ha una
forte valenza anche simbolica che la qualifica anzitutto come norma di fondazione
della responsabilità penale, - prima che come norma di esclusione di tale
responsabilità - e ciò in conformità al principio di tendenziale irrilevanza delle
qualifiche soggettive ai fini dell’esclusione della responsabilità che percorre
trasversalmente l’intero Statuto861.
Enunciato il principio, lo Statuto tuttavia prevede, diversamente da quanto
stabilito dai precedenti statuti istitutivi di tribunali internazionali, che
861 MORGANTE, La responsabilità dei capi, cit., 150. Sulle ragioni di politica
criminale - connesse alla esigenza che negli ordinamenti democratici il valore dell’autorità debba essere subordinato alla legge - che hanno indotto l’Assemblea degli Stati parte a
CONSIDERAZIONI CRITICHE E DE JURE CONDENDO
316
l’adempimento dell’ordine possa comportare l’esonero dell’inferiore dalla
responsabilità penale nel caso in cui sussistano cumulativamente tre condizioni:
l’obbligo legale di obbedire all’ordine, la mancata conoscenza dell’illegittimità
dell’ordine, la non manifesta illegittimità (criminosità) dell’ordine medesimo (art.
33).
La prima condizione lascia aperta la questione relativa alla configurabilità
di ordini illegittimi vincolanti, che deve, quindi, essere risolta nell’ambito dei
singoli ordinamenti nazionali (nelle altre due l'illegittimità s'intende derivi in
primis dal diritto internazionale penale). Si tratta di una previsione che pare
confermare la volontà di preservare la sovranità degli Stati nel disciplinare la
delicata questione dell’ordine gerarchico.
Le altre due condizioni attengono al piano della colpevolezza e, più
precisamente, all’errore di diritto, come del resto emerge con estrema chiarezza
dal fatto che l’ignoranza dell’illegittimità dell’ordine è espressamente configurata
dall’art. 32, co.2 (che rinvia all’art. 33) come ipotesi in cui, eccezionalmente, si dà
rilievo all’errore di diritto come causa di esclusione della responsabilità penale. La
manifesta illegittimità dell’ordine segna il limite alla scusabilità di tale errore di
diritto. A tale riguardo, degno di nota è che lo Statuto stesso stabilisce
espressamente che gli ordini di commettere genocidio e crimini contro l’umanità
sono «manifestly unlawful», risolvendo, dunque, nelle ipotesi nominate, il
problema del criterio da impiegare per definire quando la criminosità sia
manifesta. Si può tuttavia dubitare dell'opportunità di introdurre presunzioni rigide
sul versante della colpevolezza (semmai si potrebbe ammettere una presunzione
relativa), specialmente con riguardo ad individui appartenenti a culture affatto
diverse da quelle di ispirazione europeo-occidentale. Se è vero, infatti, che i
menzionati crimini sono caratterizzati da un elevato disvalore sociale,
conferire all’art. 33 una funzione essenzialmente incriminatrice, cfr. BASSIOUNI, Crimes against humanity, cit., 423 ss.
CONSIDERAZIONI CRITICHE E DE JURE CONDENDO
317
apprezzabile al di là e prima della dimensione giuridica (mala in se)862, non
sembra potersi escludere in senso assoluto un’incertezza o difficoltà di
valutazione da parte del subordinato circa la criminosità dell’ordine, la cui
percezione può risultare nella situazione concreta non sempre scontata; e ciò
anche alla luce delle specifiche circostanze materiali nonché della stessa struttura
cognitiva del destinatario dell’ordine863. E’ chiaro infatti che le differenze
culturali, sociali, economiche che indubitabilmente sussistono tra le popolazioni
del mondo non possono che riflettersi sulla capacità degli individui di rapportarsi
alle norme penali e di comprendere l’esatto disvalore della propria condotta: sul
punto parrebbe allora necessaria una rimeditazione della disposizione in esame
che la rendesse maggiormente conforme ad una piena realizzazione del principio
nulla poena sine culpa.
Resta inoltre aperto il problema di individuazione del contenuto del
criterio «manifestly unlawful» con riguardo ad ogni altra ipotesi, cioè i crimini di
guerra e i crimini di aggressione, tenuto conto che si tratta di crimini che non
sempre rispecchiano immediatamente mala in se, né tanto meno sono qualificabili
necessariamente come “atroci” (e che non sono, dunque, immediatamente
percepibili come criminosi), in quanto risultano spesso connotati da elementi
862 Non va peraltro dimenticata l’inevitabile relatività e storicità anche della
distinzione tra mala in se e mala quia vetita, giacché non è esclusa la presenza di componenti di artificialità nei reati naturali e viceversa; invero, anche le fattispecie dei reati naturali sono pur sempre delle fattispecie legali i cui esatti confini di liceità sono in ogni caso stabiliti dal legislatore che, tra i fatti dotati di disvalore sociale “naturale” (pregiuridico), seleziona quelli a cui attribuire rilevanza giuridica, mentre, quanto ai reati artificiali, è necessario tener presente che i reati assiologicamente del tutto neutri sono piuttosto rari e più sovente si tratta di fatti comunque capaci di pregiudicare interessi socialmente apprezzabili (PALAZZO, Corso di diritto penale, cit., 433).
863 PIERDONATI, op.cit., 36. Sul possibile contrasto tra ordinamento internazionale e peculiare struttura cognitivo-valutativa del soggetto agente imperniata su valori del tutto eccentrici rispetto a quelli del mondo «civilizzato», v. PISANI N., L’elemento psicologico del crimine internazionale nella parte generale dello Statuto della Corte internazionale penale, in Riv. it. dir. proc. pen., 2001, 1392.
CONSIDERAZIONI CRITICHE E DE JURE CONDENDO
318
normativi che introducono una sia pur relativa “artificialità”864. Ad ogni modo,
pare verosimile che la mancata previsione della presunzione di manifesta
illegittimità per i crimini di guerra non sia stata motivata da considerazioni sulla
natura più o meno evidente della criminosità, bensì, ancora una volta, dall’intento
degli Stati di salvaguardare i propri militari, posto che tali crimini sono
tipicamente commessi da militari nell’ambito della loro attività.
Su un piano più generale, si può rilevare che la tendenza di alcuni Stati
nazionali, manifestata anche in sede di elaborazione dello Statuto, ad ampliare la
sfera di operatività della defence in parola, concedendo un (seppur limitato) spazio
di rilevanza al mistake of law, oltre ad essere dettata da ragioni di opportunità
politica, rimanda anche al problema della natura delle fonti del diritto
internazionale penale. La produzione e lo sviluppo dei crimini internazionali,
invero, in base al suo complesso ed eterogeneo sistema delle fonti, non condivide
le caratteristiche del diritto penale positivo in vigore nelle principali famiglie di
giustizia penale, creando così delle difficoltà in ordine al rispetto dei principii di
legalità riconosciuti dai maggiori sistemi di giustizia penale del mondo. I dubbi
riguardo all’esecutorietà e giuridicità di certi obblighi internazionali e, più
specificatamente, riguardo al loro effettivo contenuto, rivela l’ampiezza del
problema posto dal diritto internazionale penale rispetto ai principi di legalità
(tassatività, determinatezza) e alla concreta possibilità di conoscere il divieto:
un’eccezionale rilevanza dell’error juris si giustifica in ragione della particolare
lacunosità ed oscurità di talune norme di diritto internazionale penale, soprattutto
quelle di diritto bellico.
A conclusione dell’indagine svolta, si può riconoscere l’esistenza di una
norma di diritto internazionale consuetudinario – destinata dunque a trovare
864 Come rileva AMATI, L’ordine del superiore, cit., 225, i crimini di guerra
rappresentano una categoria fortemente eterogenea, ove alcune fattispecie presentano un disvalore analogo ai crimini contro l’umanità e al genocidio, mentre altre sono
CONSIDERAZIONI CRITICHE E DE JURE CONDENDO
319
diretta applicazione negli ordinamenti interni (art. 10, co. 1°, Cost.) - volta ad
affermare che l’obbedienza all’ordine criminoso del superiore non è, quantomeno
nelle ipotesi in cui la criminosità è manifesta, causa di esclusione della
responsabilità per l’esecutore. Ciò trova conferma anche nella prassi pressoché
costante delle Corti nazionali che hanno giudicato di crimini internazionali
commessi in esecuzione di ordini: nei casi in cui si è ritenuto di poter riconoscere
una illegittimità dell’ordine qualificabile come «manifesta», è stata invero sempre
affermata la responsabilità penale del subordinato.
Nell’ipotesi in cui l’ordine sia sì criminoso ma non manifestamente è,
allora, possibile - e in questo senso va interpretato altresì lo Statuto del Tribunale
internazionale penale permanente865 - anche nell’ambito del diritto internazionale
penale, che l’inferiore, a determinate condizioni, vada esente da responsabilità
penale per averlo eseguito.
In definitiva, la considerazione della difficile situazione in cui versa
l’inferiore gerarchico a cui sia ordinato di commettere un crimine internazionale -
il quale si trova davanti al grave dilemma di decidere se obbedire o meno
all’ordine, rischiando di essere punito nell’un caso per aver violato il diritto
internazionale penale, nell’altro per aver commesso il reato di disobbedienza - si
riflette, sul piano internazionale penale, nella tendenza, soprattutto in sede di
applicazione pratica della defence, ad attribuire particolare rilevanza
all’atteggiamento psicologico del subordinato esecutore e, non diversamente da
quanto accade negli ordinamenti nazionali più informati, a ricondurre l’esimente
dell’esecuzione dell’ordine criminoso nell’ambito della colpevolezza.
oggettivamente meno offensive e delineano condotte delle quali non è sempre agevole, per il subordinato, percepire la criminosità.
865 Rileva McCOUBREY, From Nuremberg to Rome, cit., 392, come la disposizione dell’art. 33 dello Statuto di Roma svolga il ruolo di “protezione per il personale che è stato portato, involontariamente, a una condotta illecita che non ha compreso o inteso”.
CONSIDERAZIONI CRITICHE E DE JURE CONDENDO
320
4. L’esigenza di personalizzazione del giudizio di evitabilità dell’errore di
diritto con riferimento ai militari. Conclusioni de jure condendo.
L’impossibilità di configurare ordini criminosi insindacabili, in quanto
incompatibili con i principi costituzionali e con la normativa di settore in tema di
dovere di obbedienza, porta con sé la necessità di valutare l’eventuale esenzione
dalla responsabilità penale per il subordinato esecutore alla stregua dei principi
generali in tema di colpevolezza, tenendo conto però delle peculiari caratteristiche
dell’attività che i militari sono istituzionalmente chiamati a svolgere. Invero, sul
militare incombe, da un lato, il rischio che le azioni comandate, spesso
corrispondenti a fatti tipizzati in sede penale, possano degenerare in illegittime
aggressioni a beni giuridici penalmente tutelati, e, dall’altro, il rischio di dover
rispondere per il reato di disobbedienza a causa della mancata pronta esecuzione
dell’ordine legittimo.
Conseguenza di questa particolare situazione è la materiale difficoltà per il
subordinato di riconoscere la liceità o l’illiceità penale delle condotte ordinate dal
superiore. Si impone, pertanto, una particolare attenzione, sul piano della
colpevolezza, ai parametri di valutazione dell’evitabilità dell’errore o ignoranza
della legge penale. La colpevolezza dell’inferiore deve essere esclusa se costui
non ha riconosciuto o ha erroneamente valutato l’illiceità penale dell’ordine,
purché questa non fosse manifesta. Invero, proprio in considerazione della più
volte menzionata esigenza di personalizzazione del giudizio di evitabilità -
inescusabilità, il criterio di valutazione dell’evitabilità dell’errore o ignoranza
della legge penale deve essere adeguato alla peculiare situazione in cui i militari si
trovano di regola ad operare e agli eventuali fattori contingenti che possono
influire sul processo motivazionale. L’esenzione dalla responsabilità per il
subordinato che si trovi nella materiale accertata impossibilità di avvedersi della
criminosità dell’ordine deve derivare, pertanto, da un’attenuata pretesa
CONSIDERAZIONI CRITICHE E DE JURE CONDENDO
321
relativamente all’evitabilità dell’errore di diritto, rappresentata secondo il criterio
della manifesta criminosità.
In questa prospettiva, il ruolo del parametro della manifesta criminosità va
inquadrato nell’ambito dell’apprezzamento della colpa: se il militare non
riconosce una criminosità manifesta incorre in un errore colposo non scusabile.
Non può dunque essere accolta l’opinione tradizionale che assegna alla manifesta
criminosità il ruolo di limite all’insindacabilità della legittimità sostanziale
dell’ordine da parte del militare. Invero, con le fondamentali “norme di principio”
del 1978, che hanno dato attuazione ai principi costituzionali, è mutato l’assetto
normativo relativo al sindacato sulla legittimità dell’ordine e al dovere di
obbedienza da parte del militare. Anche la manifesta criminosità deve assumere,
allora, un significato affatto diverso: essa opera come limite alla scusabilità
dell’ignoranza o dell’errore di diritto penale in cui sia incorso il militare che
abbia eseguito l’ordine penalmente illecito senza che la criminosità gli fosse nota.
Ciò premesso, in sede di riforma, più che configurare l’ordine illegittimo
insindacabile come causa di giustificazione (Progetto Riz; Progetto Grosso
dubitativamente) o disciplinarlo come autonoma causa soggettiva di esclusione di
responsabilità (Progetto Pagliaro, Progetto Pisapia) o scusante (Progetto Nordio),
sarebbe più conforme ai principi generali affermatisi nel nostro sistema
penalistico in ordine alla personalità della responsabilità penale, prevedere una
regola particolare dell’errore di diritto, dato che in definitiva su questo tipo di
errore, soprattutto, convergono le difficoltà interpretative. A ben guardare, non
sono molto distanti da questa soluzione coloro866 che ravvisano nell’ultimo
comma dell’art. 51 c.p. una causa di esclusione della colpevolezza o scusante
fondata sull’inesigibilità di un comportamento conforme alla legge penale da parte
dell’inferiore, il quale si trova pressato dall’esigenza di eseguire con
immediatezza l’ordine. L’inesigibilità, e la conseguente non punibilità, infatti, non
866 V. supra cap. I, sez. IV, par. 1.3.2.
CONSIDERAZIONI CRITICHE E DE JURE CONDENDO
322
derivano dall’ordine in sé o da una preclusione di diritto ad effettuare il sindacato,
bensì dalla mancata percezione della criminosità da parte del subordinato
esecutore, dall’impossibilità per costui di conoscere il divieto. Si tratta, dunque,
essenzialmente, di un’ipotesi di errore o ignoranza sul divieto. Ma, allora, non si
vede la necessità di configurare una apposita scusante fondata sul mantenimento
di una categoria autonoma di ordini criminosi insindacabili, non rinvenibile nel
nostro ordinamento.
Ferma restando, dunque, la normale corresponsabilità del subordinato
esecutore nel reato commesso per ordine, e posto che la piena consapevolezza
della criminosità comporta sempre la responsabilità penale dell’inferiore, si
potrebbe stabilire che l’errore sulla criminosità dell’ordine esclude la
colpevolezza del militare esecutore, salvo che la criminosità sia manifesta.
Una volta spostato il problema dell’esecuzione dell’ordine criminoso in
sede di apprezzamento di fatto e ricostruita l’esimente sul piano dell’errore di
diritto, resta ancora da precisare il criterio di determinazione della manifesta
criminosità, questione del tutto trascurata dai progetti di riforma esaminati. E’
indubbio, infatti, che il profilo più problematico della disciplina dell’ignoranza
della legge penale è quello dell’esatta individuazione dei criteri utilizzabili nel
giudizio di evitabilità, giacché “proprio sui criteri di evitabilità-inevitabilità si
misura il grado di reale penetrazione del principio di colpevolezza nella disciplina
dell’ignorantia iuris”867.
Ora, la manifesta criminosità può essere considerata come un parametro
riconducibile ma non assimilabile a quelli individuati dalla fondamentale sentenza
della Corte Costituzionale per determinare l’inevitabilità/scusabilità dell’errore di
diritto (sent. 364/1988). In effetti, se è evidente che la regola proposta (secondo
cui l’errore sulla criminosità dell’ordine esclude la colpevolezza del militare
esecutore, salvo che la criminosità sia manifesta) risolverebbe normativamente il
867 Così PALAZZO, Ignoranza della legge penale, cit., 126.
CONSIDERAZIONI CRITICHE E DE JURE CONDENDO
323
problema della determinazione della inevitabilità/scusabilità (perché al di sotto
della manifesta criminosità l’errore è sempre scusabile), è altrettanto chiaro che i
problemi e le soluzioni proposte dalla Corte costituzionale (e dalla conseguente
giurisprudenza e dottrina) relativamente alla individuazione dei criteri (oggettivi,
soggettivi e/o misti) in base ai quali affermare l’inevitabilità/scusabilità dell’errore
di diritto ridondano nell’opposto ma omologo parametro (quale è la manifesta
criminosità), in forza del quale deve essere negata l’inevitabilità/scusabilità anche
per il militare che non ha riconosciuto la criminosità dell’ordine.
A tal proposito, è stata da più parti richiamata la necessità di un
contemperamento tra il criterio oggettivo e quello soggettivo868. Invero, la
preferenza accordata ad un parametro, per così dire, “misto”, si giustifica con
l’esigenza, da un lato, di mitigare gli effetti di una eccessiva spersonalizzazione
del giudizio di evitabilità e, dall’altro, di scongiurare valutazioni arbitrarie del
tratto meramente personologico dell’agente869. Si può a questo punto concludere,
all’esito dell’indagine condotta sulla posizione dell’inferiore gerarchico
nell’ordinamento vigente, che una piena e coerente attuazione del principio di
colpevolezza suggerisce come ragionevole valutare, nella prospettiva di un
rimprovero compiutamente personale, la manifesta criminosità secondo un
parametro oggettivo, riferito alle capacità di valutazione del militare medio
868 V. supra cap. I, sez. IV, par. 4.1. 869 Cfr. CARUSO, Ignoranza ed errore, cit., 723. Sui criteri di personalizzazione del
giudizio di evitabilità e sul connesso rischio di pervenire ad arbitrarie presunzioni di possibilità di conoscenza sbilanciate verso l’alto o verso il basso, v. in particolare PATRONO, Problematiche attuali dell’errore, cit., 113 ss. Secondo l’A., “la valutazione delle cause che hanno portato alla violazione dei doveri strumentali di diligenza, prudenza riferiti all’informazione giuridica che ciascun cittadino, in relazione al proprio «modello» di appartenenza, dovrebbe rispettare, anzi deve portare, il più possibile, ad ulteriori personalizzazioni nel tentativo di recuperare, almeno in parte, quei coefficienti psichici reali capaci di fondare appieno l’eventuale giudizio di rimprovero per l’indifferenza mostrata dall’agente rispetto ai valori tutelati dall’ordinamento” senza però in realtà “comportare un’inammissibile indagine relativa alle possibilità che l’agente aveva di essere diverso da quello che è, né (altrettanto inammissibili) presunzioni legate a predeterminate« categorie» di autori”.
CONSIDERAZIONI CRITICHE E DE JURE CONDENDO
324
(agente modello), integrato con un criterio soggettivo, vale a dire alla stregua non
tanto delle qualità intrinseche della persona, quanto piuttosto della effettiva
conoscenza, da parte dell’inferiore, di circostanze significative per la valutazione
della situazione di fatto870.
Il criterio così individuato consente di concretizzare il giudizio ipotetico,
avente carattere normativo, che la valutazione dell’ignoranza o dell’errore in
termini di evitabilità – inescusabilità necessariamente implica. Invero, come è
stato esattamente osservato, la complessità del tema dell’errore sul precetto deriva
essenzialmente “dalla forte presenza di componenti normative, cioè di giudizi
valutativi anziché puramente fattuali, la cui indeterminatezza discende dal
costante sforzo dell’ordinamento di adeguare l’astratta pretesa normativa alla
concretezza dell’episodio fattuale, senza però perdere l’imprescindibile capacità
orientativa e preventiva del precetto” 871.
Residua ad ogni modo un margine di vaghezza ineliminabile, sul piano
normativo, anche del limite della manifesta criminosità, che può (e deve) essere
colmato in sede processuale, laddove il giudice, se non può prescindere da
un’opera di standardizzazione, ha il gravoso compito, nel valutare le peculiari
caratteristiche della situazione concreta in cui si è formata la decisione criminosa,
di trovare il delicato “punto di equilibrio tra il non soggettivizzare l’evitabilità al
870 Sotto questo profilo, è mutuabile la formula adottata dal legislatore tedesco nel § 5
WStG (criminosità manifesta per circostanze note all’inferiore). Sul punto v. supra, cap. II, sez. I, par. 1.4.
871Così PALAZZO, Corso, cit., 437; l’A. rileva “l’indeterminatezza inevitabile del giudizio di…inevitabilità” e osserva come, nella problematica in esame, confluiscano, da un lato l’istanza di personalizzazione del giudizio di colpevolezza che spinge verso una considerazione il più possibile ampia delle condizioni soggettive dell’autore reale e ad un accorciamento della distanza tra il modello astratto e l’autore concreto e, dall’altro lato, le istanze di politica criminale, che spingono invece nell’opposta direzione, “connesse alla necessità sia di non indebolire eccessivamente l’efficacia del richiamo all’osservanza del dovere di informazione giuridica, sia di non rendere sostanzialmente ingestibile il processo penale attraverso l’allargamento del suo oggetto a questioni di difficilissima trattazione come sono tutte quelle attinenti a fatti e fenomeni psichici”.
CONSIDERAZIONI CRITICHE E DE JURE CONDENDO
325
punto di renderla inattuabile e il non oggettivizzarla fino a svuotarla come criterio
di imputazione soggettiva”872.
872 L’espressione è di MANTOVANI, Ignorantia legis scusabile ed inescusabile, cit.,
395.
BIBLIOGRAFIA
AA.VV., Comentarios al nuevo Codigo penal, dir. da QUINTERO OLIVARES G., Pamplona, 1996.
AA.VV., Curso de derecho penal español. Parte especial, II, (dir. da COBO DE
ROSAL M.), Madrid (Marcial Pons), 1997. AA.VV., Diritto amministrativo (a c. di MAZZAROLLI L., PERICU G.,
ROMANO A., ROVERSI MONACO F. A., SCOCA F.G.), Bologna (Monduzzi), 1998.
AA.VV., Justificación y exculpación en Derecho Penal (Coloquio Hispano-
Alemán de Derecho Penal), a c. d ESER A. -GIMBERNAT E. – PERRON W., Madrid (Facultad de Derecho, Universidad Complutense Madrid), 1995.
AA.VV., Il lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche. I contratti
collettivi di comparto. Commentario, (diretto da CARINCI F.), Milano (Giuffré), 1997.
AA.VV., Il pubblico impiego. Principi generali ( a c. di VOLPE G.), Torino
(Giappichelli), 1991. AA.VV., Il nuovo ordinamento disciplinare delle Forze Armate (a c. di
RIONDATO S.), Padova (CEDAM), 1995. AA.VV., Le riforme della L. 7 agosto 1990, n. 241 tra garanzia di legalità ed
amministrazione di risultato, a cura di PERFETTI L. R., Padova (CEDAM), 2008.
AA.VV., Principio di legalità e amministrazione di risultati: atti del Convegno,
Palermo 27-28 febbraio 2003, a cura di IMMORDINO M. e POLICE A., Torino, 2004.
AA.VV., Substantive and procedural Aspects of International Criminal Law. The
experience of International and National Courts, Vol. I (Commentary), ed. by KIRK MCDONALD G., SWAAK-GOLDMAN O., The Hague (Kluwer Law International), 2000.
AA.VV., The International Criminal Court. The making of the Rome Statute, ed.
by LEE R.S., The Hague (Kluwer Law International), 1999.
BIBLIOGRAFIA
328
AA.VV., Verso un nuovo codice penale. Itinerari. Problemi. Prospettive, Milano
(Giuffré), 1993. ALBEGGIANI F., sub art. 51, in ARDIZZONE S. – RONCO M. (diretto da),
Codice penale ipertestuale, Torino (UTET), 2007, 306. ALLEN M.J., Textbook on criminal law, London (Blackstone), 1997. AMATI E., L’ordine del superiore, in AMATI E. – CACCAMO V.- COSTI M. –
FRONZA E. – VALLINI A., Introduzione al diritto penale internazionale, Milano (Giuffré), 2006, 213.
AMATI E., La responsabilità del superiore gerarchico (c.d. command
responsibility), in AMATI E. – CACCAMO V.- COSTI M. – FRONZA E. – VALLINI A., Introduzione al diritto penale internazionale, Milano (Giuffré), 2006, 213.
AMATI E., voce Concorso di persone nel diritto penale internazionale, in Dig.
disc. pen., Agg., Torino (UTET), 2004, 126. AMATI E., Il giudice e lo storico: la “command responsibility” tra diritto penale
interno e internazionale, Foro it., 2002, II, 564. AMATI E., L’efficacia esimente dell’ordine del superiore in relazione ai crimini
di guerra nel diritto interno e nel diritto internazionale, in Ind. pen., 2001, 943.
AMATI E., Quale repressione per i crimini di guerra?, in Ind. pen., 2000, 227. AMATI E. – CACCAMO V.- COSTI M. – FRONZA E. – VALLINI A.,
Introduzione al diritto penale internazionale, Milano (Giuffré), 2006. AMBOS K., Estudios de derecho penal internacional, Bogotà, 2005. AMBOS K., Der allgemeine Teil des Völkerrechts. Ansätze einer
Dogmatisierung, Berlin (Duncker & Humblot), 2002. AMBOS K., Other grounds for excluding criminal responsibility, in AA.VV., The
Rome Statute of the ICC: a Commentary, Vol. I, ed. by Cassese A., Gaeta P., Jones J.R.W.D., Oxford (University Press), 2002, 1003.
BIBLIOGRAFIA
329
AMBOS K., Individual criminal responsibility, in TRIFFTERER O., Commentary on the Rome Statute of the International Criminal Court, Baden Baden (Nomos Verlagsgesellschaft), 1999, 475.
AMBOS K., Zur strafbefreienden Wirkung des «Handelns auf Befehl» aus
deutscher und völkerstrafrechtlicher Sicht, in Juristische Rundschau, 1998, 221.
AMBROSETTI E.M., La legge penale nel tempo, in RONCO M. (opera diretta
da), Commentario sistematico al codice penale. La legge penale. Fonti, tempo, spazio, persone, vol. I, Bologna (Zanichelli), 2006, 221.
AMBROSETTI E. M., In margine alle c.d. sentenze del muro di Berlino: note sul
problema del “diritto ingiusto”, in Riv. it. dir. e proc. pen., 1994, 596. ANTOLISEI F., Manuale di diritto penale, Milano (Giuffré), 2003. APPLEMAN J.A., Military tribunals and international crimes, Indianapolis (The
Bobbs- Merril Co.), 1954. ARCHBOLD, Criminal pleading, evidence and practice, 1997. ARNDT H., Grundriß des Wehrstrafrechts, 2. Auf., München und Berlin
(Beck), 1966. ARNDT H., Die strafrechtliche Bedeutung des militärischen Befehls, in NZWehrr
1960, 145. ASHWORTH A., Principles of criminal law, Oxford (Oxford University Press),
2003. BACHELET V., Disciplina militare e ordinamento giuridico statale,
Milano (Giuffré), 1962.
BAJNO R., In tema di sindacato sull’ordine dell’autorità nell’“adempimento del dovere” ex art. 51 c.p., in Riv. it. dir. e proc. pen., 1981, 546.
BAKKER J.L., The defense of obedience to superior orders: the mens rea
requirement, in American Journal of Criminal Law, 1989-90, vol. 17, 55.
BIBLIOGRAFIA
330
BALESTRIERI D. – GIRALDI C., Introduzione allo studio del diritto penale irlandese. I principi, Padova (CEDAM), 2000.
BARATTA A., Antinomie giuridiche e conflitti di coscienza, Milano (Giuffré),
1963. BARTOLI R., Colpevolezza: tra personalismo e prevenzione, Torino
(Giappichelli), 2005. BASSI F., Ordine (diritto amministrativo), in Enc. dir., XXX, Milano (Giuffré),
1980, 995. BASSIOUNI M. Ch., Crimes against humanity in international criminal law, The
Hague (Kluwer), 1999. BASSIOUNI M. Ch., Le fonti e il contenuto del diritto penale internazionale. Un
quadro teorico, Milano (Giuffrè), 1999. BASSIOUNI M. Ch., Indagine sui crimini di guerra nella ex Jugoslavia, Milano
(Giuffré), 1997. BASSIOUNI M. Ch., Diritto penale degli Stati Uniti d’America, Milano
(Giuffrè), 1985. BATTINI S., Il rapporto di lavoro con le pubbliche amministrazioni, Padova
(CEDAM), 2000. BAUMANN J. - WEBER U. - MITSCH W., Strafrecht. Allgemeiner Teil, 10.
Auf., Bielefeld (Gieseking), 1995. BELFIORE E.R., Contributo alla teoria dell’errore in diritto penale, Torino
(Giappichelli), 1997. BELLAGAMBA F., Sui limiti della responsabilità penale dell’esecutore di un
ordine illegittimo insindacabile, in Dir. pen. proc., 2009, 193. BERNARDINI R., Droit pénal général, Paris (Gualino éditeur), 2003. BERNI P., Le sanzioni disciplinari negli Enti locali. Interpretazione delle norme
contrattuali: problemi e casi pratici, Milano (Giuffré), 1996.
BIBLIOGRAFIA
331
BETTIOL G., Sul diritto penale militare dell’atteggiamento interiore (1978), in Scritti giuridici 1966-1980, Padova (CEDAM), 1980, 254.
BETTIOL G., L’ordine dell’autorità nel diritto penale (1934), in ID., Scritti
giuridici, I, Padova (CEDAM), 1966, 109. BETTIOL G. - PETTOELLO MANTOVANI L., Diritto penale, Padova
(CEDAM), 1986. BORSARI R., Diritto punitivo sovranazionale come sistema, Padova (CEDAM),
2007. BÖTTCHER H.V. - DAU K., Wehrbeschwerdeordnung. Kommentar, 4. Auf.,
München (Vahlen), 1997. BRINGEWAT P., Der rechtswidrige Befehl in NZWehrr, 1971, 126. BROWNLEE I.D., Superior orders – Time for a new realism?, in Criminal Law
Review, 1989, 396. BRUNELLI D. - MAZZI G., Diritto penale militare, Milano (Giuffré), 2007. BURMESTER W., Das militärische Vorgesetzten - Untergebenen - Verhältnis, in
NZWehrr, 1993, 89. BUSCH E., Zur Frage der Befehle im außerdienstlichen Bereich, in NZWehrr,
1969, 56. CADOPPI A., Civil Law e Common Law: contrapposizione sistemica o
culturale?, in CANESTRARI S. – FOFFANI L. (a cura di), Il diritto penale nella prospettiva europea. Quali politiche criminali per quale Europa?, Milano (Giuffré), 2005, 99.
CADOPPI A., Introduzione allo studio del diritto penale comparato, Padova,
(CEDAM), 2004. CADOPPI A., Rapporti tra i vari sistemi penali coesistenti nel Regno Unito, in
Diritto penale XXI secolo, 2002, n. 1, 39. CADOPPI A., voce «Mens rea», in Digesto disc. pen., vol. VIII, Torino (UTET),
1992, 618.
BIBLIOGRAFIA
332
CADOPPI A., La rilevanza penale del rifiuto ed il reato di disobbedienza (art. 173 c.p.m.p.), in Riv. it. dir. e proc. pen., 1986, 613.
CADOPPI A. – McCALL SMITH A., Introduzione allo studio del diritto penale
scozzese, Padova (CEDAM), 1995. CALVI A. A., Tipo criminologico e tipo normativo d’autore, Padova (CEDAM),
1967. CANESTRARI S. – FOFFANI L. (a cura di), Il diritto penale nella prospettiva
europea. Quali politiche criminali per quale Europa?, Milano (Giuffré), 2005.
CAPOGRASSI G., Riflessioni sull’autorità e la sua crisi, in Opere, V, Milano,
1959, vol. I, 300. CARACCIOLI I., Manuale di diritto penale. Parte generale, Padova (CEDAM),
2005. CARACCIOLI I., L’esercizio del diritto, Milano (Giuffré), 1963. CARACCIOLO I., Dal diritto penale internazionale al diritto internazionale
penale: il rafforzamento delle garanzie giurisdizionali, Napoli (Editoriale Scientifica), 2000.
CARDONE A., La subordinazione gerarchica nel rapporto di pubblico impiego,
in Amm. it., 1956, 502. CARINGELLA F. – MARINO R. – SILVESTRO C., Il lavoro nelle pubbliche
amministrazioni dopo il D.Lgs. 165/2001 e la L. 145/2002: dottrina, giurisprudenza, appendice normativa, Napoli (Ed. Simone), 2002.
CARUSO G., Ignoranza ed errore sulla legge penale, in RONCO M. (opera
diretta da), Commentario sistematico al codice penale. Il reato, vol. II, tomo I, Bologna (Zanichelli), 2007, 687.
CASSESE A., Lineamenti di diritto internazionale penale, I, Diritto sostanziale,
Bologna (Il Mulino), 2005. CASSESE A., International criminal law, Oxford (Oxford University Press),
2003.
BIBLIOGRAFIA
333
CASSESE A., Justifications and Excuses in International Criminal Law, in AA.VV., The Rome Statute of the ICC: a Commentary, Vol. I, ed. by Cassese A., Gaeta P., Jones J.R.W.D., Oxford (University Press), 2002, 951.
CASSESE A., The Statute of the International Criminal Court: some preliminary
reflections, in Eur. Journ. Int. Law, 1999, 144. CASSESE A. - CHIAVARIO M. - DE FRANCESCO G. (a cura di), Problemi
attuali della giustizia penale internazionale, Torino (Giappichelli), 2004. CAVALIERE A., L’errore sulle scriminanti nella teoria dell’illecito penale.
Contributo ad una sistematica teleologica, Napoli (Novene), 2000. CAVALIERE A., Riflessioni dommatiche e politico-criminali sulle cause
soggettive di esclusione della responsabilità nello schema di delega legislativa per la riforma del codice penale, in Riv. it. dir. e proc. pen., 1994, II, 1478.
CAVICCHIOLI L., Sull’elemento soggettivo nei crimini contro la pace e la
sicurezza dell’umanità, in Riv. dir. internazionale, 1993, 1047. CAVICCHIOLI L., Il costringimento psichico come causa di esclusione della
colpevolezza nei crimini contro l’umanità: il caso Erdemovic, in Riv. dir. internazionale, 1997, 373.
CEREZO MIR J., Los delitos de atentado, resistencia y desobediencia, in Revista
de estudios penitenciarios, 1966, 319. CHIAVARIO M. (sous la direction de), La justice pénale entre passé et avenir,
Milano (Giuffré), 2003. CLARKSON C.M.V. – KEATING H.M., Criminal law: text and materials,
London (Sweet & Maxwell), 1998. COLOMBO C., La scriminante dell’adempimento di un dovere: l’ordine imposto
dall’autorità e il conflitto tra obbedienza e coscienza, in Riv. pen., 2008, 603.
CONCAS L., Scriminanti, in Noviss. dig. it., XVI, Torino, 1969, 793. CONFORTI B., Diritto internazionale, Napoli (Editoriale scientifica), 1997.
BIBLIOGRAFIA
334
CONTE P. – MAISTRE DU CHAMBON P., Droit pénal général, Paris (Armand Colin), 2002.
CONTI G., Organizzazione gerarchica e Stato democratico, Padova (CEDAM),
1989. COTTA S., voce Autorità, in Enc. filos., vol. I, Roma, 1979, 638. CORDOBA RODA J.– RODRIGUEZ MOURULLO G., Comentarios al Código
penal, I, Barcelona, 1972. DASSANO F., Il consenso informato al trattamento terapeutico tra valori
costituzionali, tipicità del fatto di reato e limiti scriminanti, in Studi in onore di Marcello Gallo, Torino (Giappichelli), 2004, 341.
DAVID E., Principes de droit de conflits armés, Bruxelles (Bruylant), 1994. DAVID E., Le Tribunal International Penal pour l’ex Jugoslavie, in Revue Belge
de Droit International, 1992, 565. DAVID E., L’excuse de l’ordre superieur et l’état de nécessité, in Revue Belge de
Droit International, 1978 – 1979, 65. DAVIDSON M.J., A guide to military criminal law, Annapolis - Maryland (Naval
Institute Press), 1999. DE FRANCESCO V., Sulla misura soggettiva della colpa, in Studi Urbinati,
1977-78, 273. DE FRANCHIS F., Dizionario giuridico, inglese-italiano, Milano (Giuffrè),
1984. DELITALA G., Adempimento di un dovere, in Enc. dir., I, Milano (Giuffré),
1958, 567. DE SENA P., Diritto internazionale e immunità funzionale degli organi statali,
Milano (Giuffré), 1996. DE SENA P., Ordini superiori, immunità funzionale e gravi violazioni dei diritti
dell’uomo dinanzi ai giudici interni, in Riv. dir. internazionale, 1994, 947.
BIBLIOGRAFIA
335
DESPORTES F.- LE GUNEHEC F., Droit pénal général, Paris (Economica), 2001.
DE VALLES A., La validità degli atti amministrativi, Padova (CEDAM), 1986. DÍAZ PALOS, En torno a la naturaleza juridica de la obediencia debida, in
AA.VV., Estudios jurídicos en honor al prof. Pérez-Vitoria, I, 1983, 191. DI GESÙ C. – MARICA F. – MONTANARI W., Il rapporto di pubblico
impiego, Padova (CEDAM), 2000. DINSTEIN Y., Defences, in AA.VV., Substantive and procedural Aspects of
International Criminal Law. The experience of International and National Courts, Vol. I (Commentary), ed. by Kirk McDonald G. and Swaak-Goldman O., The Hague (Kluwer Law International), 2000, 368.
DINSTEIN Y., The distinction between war crimes and crimes against peace, in
DINSTEIN Y. – TABORY M., War Crimes in international law, The Hague - Boston - London (M. Nijhoff), 1996, 1.
DINSTEIN Y., The defence of “obedience to superior orders” in international
law, Leyden (A. W. Sijthoff ed.), 1965. DOLCE R., Lineamenti di una teoria generale delle scusanti nel diritto penale,
Milano (Giuffré), 1957. DOLCINI E., sub art. 4, in DOLCINI E. – GIARDA A. – MUCCIARELLI F. –
PALIERO C.E. – RIVA CRUGNOLA E., Commentario delle “Modifiche al sistema penale”, Milano (IPSOA), 1982, 33.
DOMMER P., The problem of obedience to the unlawful order under the aspect
of national penal and international law of war, in Rev. dr. pén. mil. et dr. de la guerre, 1971, 297.
DONINI M., Teoria del reato, in Digesto disc. pen., XIV, Torino (UTET), 1999,
221. DONINI M., Teoria del reato. Una introduzione, Padova (CEDAM), 1996. ESER A., Funzioni, metodi e limiti della ricerca in diritto penale comparato, in
Diritto penale XXI secolo, 2002, n.1, 1.
BIBLIOGRAFIA
336
ESER A., Defences in war crime trials, in DINSTEIN Y. – TABORY M., War Crimes in international law, The Hague - Boston - London (M. Nijhoff), 1996, 251.
ESER A., “Defences” in Strafverfahren wegen Kriegsverbrechen, in AA.VV.,
Festschrift für O. Triffterer zum 65. Geburtstag, hrg. von K. Schmoller, Wien – New York (Springer), 1996, 755.
ESER A., Schuld und Entschuldbarkeit von Mauerschützen und ihren
Befehlsgebern, in Festschrift für Walter Odersky zum 65. Geburtstag, herg. von BÖTTCHER R. –HUECK G. – JÄHNKE B., Berlin - New York (W. de Gruyter), 1996, 337.
ESER A., “Defences“ in War Crime Trials, in Israel Yearbook on Human Rights,
1994, 201. ESER A., Justification and Excuse: a key issue in the concept of crime, in in
AA.VV., Rechtfertigung und Entschuldigung, I, hrsg. v. A. Eser u. G. Fletcher, Freiburg i. Br. (Max- Planck- Institut f. ausländisches u. internationales Strafrecht), 1987, 17.
ESPOSITO C., La responsabilità dei funzionari e dei dipendenti pubblici secondo
la Costituzione italiana, in La Costituzione italiana. Saggi, Padova (CEDAM), 1954, 103.
FIANDACA G. – MUSCO E., Diritto penale. Parte generale, Bologna
(Zanichelli), 2008. FIANDACA G., sub art. 51, in CRESPI A. – STELLA F. – ZUCCALÀ G.,
Commentario breve al codice penale, Padova (CEDAM), 2008, 192. FIANDACA G., Principio di colpevolezza ed ignoranza scusabile della legge
penale: «prima lettura» della sentenza n. 364/88, in Foro it., I, 1988, 1385. FINCH G. A., Superiors orders and war crimes, in The American Journal of
International Law, vol. 15, 1921, 440. FIORELLA A., Introduzione, in MEZZETTI E. (a cura di), Diritto penale
internazionale. I. Casi e materiali, Torino (Giappichelli), 2006, XI.
BIBLIOGRAFIA
337
FIORELLA A., Giustificanti e scusanti nello Schema di delega legislativa per l’emanazione di un nuovo codice penale, Seminario ISISC “Prospettive di un nuovo codice penale” (Siracusa 15 – 18 ottobre 1992).
FIORELLA A., Reato in generale, in Enc. dir., XXXVIII, Milano (Giuffré), 1987,
770. FIORELLA A., voce Responsabilità penale, in Enc. dir., XXXIX, Milano
(Giuffré), 1988, 1289. FLETCHER G., The right and the reasonable, in in AA.VV., Rechtfertigung und
Entschuldigung, I, hrsg. v. A. Eser u. G. Fletcher, Freiburg i. Br. (Max- Planck- Institut f. ausländisches u. internationales Strafrecht), 1987, 67.
FLETCHER G.P., Introduction from a common law scholar’s point of view, in
AA.VV., Rechtfertigung und Entschuldigung, II, hrsg. v. A. Eser u. G. Fletcher, Freiburg i. Br. (Max- Planck- Institut f. ausländisches u. internationales Strafrecht), 1988, 795.
FORNASARI G., La categoria delle scusanti nella prospettiva di riforma del
codice penale, in Ind. pen., 2000, 111. FORNASARI G., Osservazioni critiche in chiave comparata sulla disciplina delle
scusanti nel nuovo codice penale spagnolo, in Ind. pen., 1998, 1119. FORNASARI G., Le cause soggettive di esclusione della responsabilità nello
schema di delega per un nuovo codice penale, in Ind. pen., 1994, 365. FORNASARI G., I principi del diritto penale tedesco, Padova (CEDAM), 1993. FORNASARI G., Il principio di inesigibilità nel diritto penale, Padova
(CEDAM), 1990. FORNASARI G., Buona fede e delitti: limiti normativi dell’art. 5 c.p. e criteri di
concretizzazione, in Riv. it. dir. proc. pen., 1987, 449. FORNASARI G. – MENGHINI A., Percorsi europei di diritto penale, Padova
(CEDAM), 2005. FRANCIONI F., Crimini internazionali, in Digesto disc. pubbl., IV, Torino
(UTET), 1989, 230.
BIBLIOGRAFIA
338
FROSALI A., L’errore nella teoria del diritto penale, Roma (S.A.), 1933. FUHRMANN P., Der höhere Befehl als Rechtfertigung im Völkerrecht, München
u. Berlin, 1963. FÜRST W. - ARNDT H., Soldatenrecht. Kommentar des Soldatengesetzes,
Berlin (Schmidt), 1992. GAETA P., The defence of superior orders: The Statute of the International
Criminal Court versus customary international law, in European Journal of International Law, 1999, 172.
GAETA P., La rilevanza dell’ordine superiore nel diritto internazionale penale,
in Riv. dir. internazionale, 1998, 69. GAGNIEUR J.-P., Du motif légitime comme fait justificatif, th., Paris, 1941. GALATERIA L., Teoria giuridica degli ordini amministrativi, Milano (Giuffré),
1950. GALLAS W., Plichtenkollision als Schuldausschließungsgrund, in Festschrift für
Edmund Mezger, München-Berlin, 1954, 311. GAMBARO A. – SACCO R., Sistemi giuridici comparati, Torino (UTET), 2002. GARINO V., Manuale di diritto e procedura penale militare, Bresso (Cetim),
1985. GARINO V., Disobbedienza nel diritto penale militare, in Digesto disc. pen., IV,
Torino (UTET), 1990, 140. GARINO V., Esercizio di un diritto e adempimento di un dovere nel diritto
penale militare, in Digesto disc. pen., IV, Torino (UTET), 1990, 331. GARNER J., Punishment of offenders against the laws and customs of war, in The
American Journal of International Law, vol. 14, 1920, 70. GLASER S., L’ordre hiérarchique en droit pénal international, in Revue de Droit
Pénal et de la Criminologie, 1952 – 1953, 313. GORDON G.H., The criminal law of Scotland, Edinburgh (Green),1978.
BIBLIOGRAFIA
339
GORLA G., Prolegomeni ad una storia del diritto comparato europeo, in AA.VV., L’apporto della comparazione alla scienza giuridica (a c. di SACCO R.), Milano (Giuffré), 1980, 270.
GRANDE E., Justification and excuse (la cause di non punibilità nel diritto
anglo-americano), in Digesto disc. pen., vol. VII, Torino (UTET),1993, 309.
GREEN L.C., The contemporary law of armed conflicts, Manchester (Juris
Publishing), 2000. GREEN L.C., Superior orders and command responsibility, in The Canadian
Yearbook of International Law, 1989, 167. GREEN L.C., Superior Orders in National and International Criminal Law,
Leyden (A.W. Sijthoff), 1976. GREPPI E., Crimini di guerra e contro l’umanità nel diritto internazionale,
Torino (UTET), 2001. GROPP W., Naturrecht oder Rückwirkungsverbot? Zur Strafbarkeit der Berliner
“Mauerschützen”, in Festschrift für Otto Triffterer zun 65. Geburtstag, hrsg. von SCHMOLLER K., Wien- New York (Springer), 1996, 103.
GROSSO C.F., Brevi considerazioni di insieme e di dettaglio sul lavoro della
Commissione Pisapia, in Dir. pen. proc., 2007, 1389. GROSSO C. F., La riforma delle cause di giustificazione generali, in AA. VV.,
Scritti in memoria di Renato Dell’Andro,vol. I, Bari (Cacucci), 1994, 475. GROSSO C.F., Errore (dir. pen.), in Enc. giur. Treccani, XIII, Roma, 1989. GROSSO C. F., Cause di giustificazione, in Enc. giur. Treccani, Roma, 1988. GROSSO C. F., L’errore sulle scriminanti, Milano (Giuffré), 1961. HASSEMER W., Rechtfertigung und Entschuldigung im Strafrecht. Thesen und
Kommentare, in AA.VV., Rechtfertigung und Entschuldigung, hrsg. v. A. Eser u. G. Fletcher, Freiburg i. Br. (Max- Planck- Institut f. ausländisches u. internationales Strafrecht), 1987, 175.
HERRING J. – CREMONA M., Criminal law, Houndmills (Macmillan), 1998.
BIBLIOGRAFIA
340
HIRSCH H. J., Vor § 32, in JÄHNKE B. - LAUFHÜTTE H.W. - ODERSKY W.
(hrsg.v.), StGB. Leipziger Kommentar. Großkommentar, 11. Auf., 1994. HIRSCH H. J., La posizione di giustificazione e scusa nel sistema del reato, in
Riv. it. dir. e proc. pen., 1991, 758. HRUSCHKA J., Pflichtenkollisionen und Plichtenkonkurrenzen, in Festschrift für
Karl Larenz zum 80. Geburtstag, München, 1983, 257 ss. HUBER E., Die Auswirkungen der Konzeption vom "Staatsbürger in Uniform"
auf das Problem von Prüfungspflicht und Gegenvorstellung, in NZWehrr, 1974, 201.
HUME D., Commentaries on the Law of Scotland Respecting Crimes, vol. I, 1844
(rist. 1986). HUTH R., Möglichkeiten eines militärischen Vorgesetzten, die außerdienstliche
Freizeitgestaltung seines Untergebenen durch einen Befehl einzuschränken, in NZWehrr, 1990, 107.
HUTH R., Der sogenannte " gefährliche" Befehl im geltenden Wehrrecht, in
NZWehrr, 1988, 252. ILARI V., Impiego pubblico, Milano (Pirola), 1983. JAKOBS G., Strafrecht. Allgemeiner Teil , 2.Auf., Berlin (W. De Gruyter), 1993. JESCHECK H.H., I principi del diritto penale internazionale nello Statuto di
Norimberga e nella sentenza del Tribunale militare internazionale, in comparazione con i principi dello Statuto di Roma della Corte penale internazionale, in Diritto penale XXI secolo, 2004, 1.
JESCHECK H.H., The General Principles of International Criminal Law set out
in Nuremberg, as mirrored in the ICC Statute, in Journal of Int. Criminal Justice, 2004, 38.
JESCHECK H.H., La Corte penale internazionale, in Ind. pen., 2000, 297. JESCHECK H.H., L’errore di diritto nel diritto penale tedesco e italiano, in Ind.
pen., 1998, 185.
BIBLIOGRAFIA
341
JESCHECK H., Sviluppo, compiti e metodi della comparazione di diritto penale, in Riv. it. dir. proc. pen., 1965, 281.
JESCHECK H.H., Die Verantwortlichkeit der Staatsorgane nach
Völkersstrafrecht. Eine Studie zu den Nürnberger Prozessen, Bonn (Rohrscheid), 1952.
JESCHECK H.H. - WEIGEND T., Lehrbuch des Strafrechts. Allgemeiner Teil, 5.
Auf., Berlin (Duncker & Humblot), 1996. JONES J.R.W.D., The practice of the International Criminal Tribunals for
Former Yugoslavia and Rwanda, Ardsley, NY (Transnational Publisher, Inc.), 1999.
KAUFMANN A., Die Parallelwertung in der Laiensphäre. Ein
sprachphilosophischer Beitrag zur allgemeinem Verbrechenslehre, München (Verlag der Bayerischen Akademie der Wissenschaften), 1982.
KAUFMANN Arth., Die Radbruchsche Formel vom gestzlichen Unrecht und vom
übergestzlichen Recht in der Diskussion um das im Namen der DDR begangene Unrecht, in NJW, 1995, 81.
KEIJZER N., Military Obedience, Alphen aan den Rijn (Sijthoff and Noordhoff,
International Publishers), 1978. KRESS C., War Crimes Committed in Non-international Armed Conflict and the
Emerging System of International Criminal Justice, in Israel Yearbook on Human Rights, 2000, 103.
KÜPER W., Differenzierung zwischen Rechtfertigungs- und
Entschuldigungsgründen: Sachgerecht und notwendig? Überlegungen am Beispiel von "Notstand", "Pfilchtenkollision" und "Handeln auf dienstliche Weisung”, in AA.VV., Rechtfertigung und Entschuldigung, hrsg. v. A. Eser u. G. Fletcher, Freiburg i. Br. (Max- Planck- Institut f. ausländisches u. internationales Strafrecht), 1987, 315.
LaFAVE W.R., Substantive criminal law, vol. II, Illinois (Thomson West), 2003. LAMMICH C., Der Präventivbefehl, in NZWehrr, 1970, 98. LAMMICH C., Befehl ohne Gehorsam, in NZWehrr, 1970, 47.
BIBLIOGRAFIA
342
LANDI G.- VEUTRO V. - STELLACCI P. - VERRI P., Manuale di diritto e di procedura penale militare, Milano (Giuffré), 1976.
LATAGLIATA A. R., Concorso di persone nel reato (dir. pen.), in Enc. dir.,
VIII, Milano (Giuffré), 1961, 568. LATTANZI F., La competenza delle giurisdizioni di Stati “terzi” a riconoscere e
processare i responsabili di crimini nell’ex Jugoslavia e nel Ruanda, in Riv. dir. internazionale, 1995, 707.
LENCKNER T., Vor § 32, in SCHÖNKE A. - SCHRÖDER H., StGB
Kommentar, München (Beck), 2001. LENCKNER T., Der " rechtswidrige verbindliche Befehl " im Strafrecht- nur
noch ein Relikt?, in Festschrift für W. Stree und J. Wessels, Heidelberg (Müller Jur. Verl.), 1993, 223.
LEROY J., Droit pénal général, Paris (L.G.D.J.), 2003. LESCURE K. – TRINTIGNAC F., Une justice internationale pour l’ex
Yugoslavie, Paris (L’Harmattan), 1994. LEVIE H., The rise and fall of an internationally codified denial of the defence of
superior orders, in Revue de droit pénal militaire et de droit de la guerre, vol. 30, 1991, 185.
LEVIE H., Superior orders and command responsibility, in American Journal of
Int. Law, 1986, 608. LINGENS E., Die Überschreitung der Befehlsbefugnis und ihre Auswirkung auf
die Vorgesetzteneigenschaft, in NZWehrr, 1978, 55. LINGENS E., Militärischer Befehl und Gesetzesbefehl , in NZWehrr, 1992, 58. LINGENS E., Befehlsbefugnis und Vorgesetzteneigenschaft, in NZWehrr, 1993, 19. LOMBARDI G., Fedeltà (dir. cost.), in Enc. dir., XVII, 1968, 165. MAES J., Propos sur la nécessité militaire et l’obéissance aux ordres invoqués
comme cause de justification ou d’excuse, in Rev. droit pén. milit., 1983, 249.
BIBLIOGRAFIA
343
MAGGIORE R., Brevi considerazioni sull’esimente dell’obbedienza all’ordine
gerarchico militare, in Rass. Arma Carabinieri, 1979, 183. MAGGIORE R., De jure condendo: contenuto e limiti dell’ordine dell’inferiore
nelle Forze Armate, in Rass. giust. mil., 1976, 218. MANACORDA S., Reato nel diritto penale francese, in Digesto disc. pen., XI,
Torino (UTET), 1996, 305. MANACORDA S. – WERLE G., L’adaptation des systèmes pénaux nationaux au
Statut de Rome. Le paradigme du “Völkerstrafgesetzbuch” allemand, in Rev. de sc. crim. et dr. pén. comparé, n. 3, 2003, 501.
MANFREDI SELVAGGI C. A., Fedeltà ed obbedienza nel pubblico impiego,
Poggibonsi (Lalli), 1995. MANTOVANI F., Diritto penale, Padova (CEDAM), 2007. MANTOVANI F., The general principles of international criminal law: the
viewpoint of a national criminal lawyer, in Journal of International Criminal Justice, n. 1, 2003, 28 ss.
MANTOVANI F., Ignorantia legis scusabile ed inescusabile, in Riv. it. dir. e
proc. pen., 1990, I, 379. MANTOVANI F., Esercizio del diritto (dir. pen.), in Enc. dir., XV, Milano
(Giuffré), 1966, 627. MANZINI V., Trattato di diritto penale italiano,(a c. di PISAPIA G. D.) II,
Torino (UTET), 1981. MARINI G., Lineamenti del sistema penale, Torino (Giappichelli), 1993. MARINI G., Colpevolezza, in Dig. disc. pen., Torino (UTET), II, 1988, 314. MARINUCCI G. – DOLCINI E., Manuale di diritto penale, Milano (Giuffrè)
2006. MARINUCCI G., Cause di giustificazione, in Digesto disc. pen., II, Torino
(UTET), 1988, 130.
BIBLIOGRAFIA
344
MARINUCCI G., Antigiuridicità, in Digesto disc. pen., I, Torino (UTET), 1987, 172.
MARINUCCI G., Fatto e scriminanti. Note dommatiche e politico – criminali, in
Riv. it. dir. proc. pen., 1983, 1190. MARTORELLI F., L’esecuzione dell’ordine illegittimo (Art. 51 u. p. c.p.). Profili
costituzionali, Cosenza (Casa del Libro - Dott. Brenner), 1968. MATTHEI D., Befehlsverweigerung aus humanitären Gründen, in Rev. droit
pén., vol. 19, 1980, 257. MAUGERI A.M., La responsabilité des supérieurs hiérarchiques et l’effet
d’exonération de l’ordre du supérieur dans le Statut de la Cour Pénale Internationale, in CHIAVARIO M. (sous la direction de), La justice pénale entre passé et avenir, Milano (Giuffré), 2003, 295.
MAURACH R. - ZIPF H., Strafrecht. Allgemeiner Teil, Teilbd I, 8. Auf.,
Heidelberg (Müller, Jur. Verl.), 1992. MAZZEO A., Sull’obbedienza e il diritto di rimostranza, in Riv. giur. scuola,
1977, 1. McCOUBREY H., From Nuremberg to Rome: restoring the defence of superior
orders, in International and Comparative Law Quarterly, vol. 50, 2001, 386.
MELE E., La responsabilità dei dipendenti e degli amministratori pubblici,
Milano (Giuffré), 2000. MÉRIGNAC A. – LÉMONON E., Le droit de gens et de la guerre de 1914 –
1918, vol. II, Paris (Sirey), 1921. MERKEL R., Gründe für Ausschluss der Strafbarkeit in Völkerstrafrecht, in
ZStW, 114. Band, 2002, 437. MERLE R. – VITU A., Traité de droit criminel, Tome I, Paris (Cujas), 1997. MEZZETTI E., Giustificanti e scusanti nello schema di disegno di legge delega
per un nuovo codice penale della commissione «Pisapia», in Cass. pen., 2008, 418.
BIBLIOGRAFIA
345
MEZZETTI E., L’internazionalizzazione della legge penale, in RONCO M. (opera diretta da), Commentario sistematico al codice penale. La legge penale. Fonti, tempo, spazio, persone, vol. I, Bologna, 2006, 101.
MEZZETTI E. (a cura di), Diritto penale internazionale. I. Casi e materiali,
Torino (Giappichelli), 2006. MEZZETTI E., Le cause di esclusione della responsabilità penale nello Statuto
della Corte internazionale penale, in Riv. it. dir. e proc. pen., 2000, 237. MEZZETTI E., «Necessitas non habet legem»? Sui confini tra “impossibile” ed
“inesigibile” nella struttura dello stato di necessità, Torino (Giappichelli), 2000.
MILITELLO V., Entschuldigungsgründe in der Neukodifizierung des Strafrechts,
in ZStW, 107. Band, 1995, 969. MIR PUIG S., Derecho penal. Parte general, Barcelona (Reppertor), 2004. MOLARI A., Profili dello stato di necessità, Padova (CEDAM), 1964. MORGANTE G., La responsabilità dei capi e la rilevanza dell’ordine del
superiore, in CASSESE A. - CHIAVARIO M. - DE FRANCESCO G. (a cura di), Problemi attuali della giustizia penale internazionale, Torino (Giappichelli), 2004, 149.
MORILLAS CUEVA, La obediencia debida, Madrid, 1984. MORMANDO V., Riflessioni in tema di buona fede nelle contravvenzioni, in Riv.
pen., 1988, 97. MUCCIARELLI F., Errore e dubbio dopo la sentenza della Corte Costituzionale
364/1988, in Riv. it. dir. proc. pen., 1996, 223. MUHM R., Il “Muro di Berlino”, i processi paralleli e il diritto naturale in
Germania, in Ind. pen, 1994, 627. MÜLLER - RAPPARD E., L’ordre supérieur et la responsabilité pénale du
subordonné, Paris (Pédone), 1965.
BIBLIOGRAFIA
346
MUŇOZ CONDE F., Luci ed ombre del modello spagnolo, in AA.VV., Modelli ed esperienze di riforma del diritto penale complementare, a c. di DONINI M., Milano (Giuffré), 2003, 101.
MUŇOZ CONDE F., Il “moderno” diritto penale nel nuovo codice penale
spagnolo: principii e tendenze, in Ind. pen., 1996, 651. NILL – THEOBALD C., “Defences” bei Kriegsverbrechen am Beispiel
Deutschlands und der USA, Freiburg i.Br. (Max- Planck- Institut f. ausländisches u. internationales Strafrecht), 1998.
NUVOLONE P., Valori costituzionali della disciplina militare e sua tutela nel
c.p.m.p. e nelle nuove norme di principio, in Rass. Giust. Mil., 1979, 21. OPPENHEIM L., International law, London (Longmans), 1906. ORLANDO V. E., Principi di diritto amministrativo, Firenze (Barbera), 1892. OSIEL M.J., Obeying Orders. Atrocity, Military Discipline and the Law of War,
New Brunswick, New Jersey (Transaction Publisher), 1999. OTTO H., Pflichtenkollision und Rechtswidrigkeitsurteil, 3. Auf., Marburg, 1978. PADOVANI T., Diritto penale. Parte generale, Milano (Giuffré), 2008. PADOVANI T., Il crepuscolo della legalità nel processo penale. Riflessioni
antistoriche sulle dimensioni processuali della legalità penale, in Indice pen., 1999, 527
PADOVANI T., Ordine criminoso e obbedienza gerarchica nel diritto penale
italiano, in Dei delitti e delle pene, 1987, 477. PADOVANI T., Teoria della colpevolezza e scopi della pena. Osservazioni e
rilievi sui rapporti fra colpevolezza e prevenzione con riferimento al pensiero di Claus Roxin, in Riv. it. dir. proc. pen., 1987, 798.
PADOVANI T., Osservazioni sulla rilevanza penale dell’ordine, “privato”, in
Mass. giur. lav., 1977, 464. PADOVANI T., Le ipotesi speciali di concorso nel reato, Milano (Giuffré), 1973.
BIBLIOGRAFIA
347
PADOVANI T., Appunti sull’evoluzione del concetto di colpevolezza, in Riv. it. dir. proc. pen., 1973, 566.
PAGLIARO A., Il reato nel Progetto della Commissione Nordio, in Cass. pen.
2005, 4. PAGLIARO A., Principi di diritto penale, Milano (Giuffré), 2003. PAGLIARO A., Il documento della Commissione Grosso sulla riforma del diritto
penale: metodo di lavoro e impostazione generale, in Riv. it. dir. e proc. pen., 1999, 1184.
PAGLIARO A., Lo schema di legge delega per la riforma: metodo di lavoro e
principi ispiratori, in Ind. pen., 1994, 243. PAGLARO A., Valori e principi della bozza italiana di legge delega per un
nuovo codice penale, in Riv. it. dir. e proc. pen., 1994, 374. PALADIN L., Interdisciplinarità nelle prospettive dei giuristi, in AA. VV.,
Accademia e interdisciplinarità - I. Saggi, a cura di RIONDATO E., Padova (La Garangola), 1998, 230.
PALAZZO F., Corso di diritto penale. Parte generale, Torino (Giappichelli),
2006. PALAZZO F., Colpevolezza ed ignorantia legis nel sistema italiano: un binomio
in evoluzione, in AA.VV., Scritti in memoria di Renato Dell’Andro, vol. II, Bari (Cacucci), 1994, 679.
PALAZZO F., Ignoranza della legge penale, in Digesto delle discipline
penalistiche, VI, Torino (UTET), 1992, 122. PALAZZO F., Ignorantia legis: vecchi limiti ed orizzonti nuovi della
colpevolezza, in Riv. it. dir. e proc. pen., 1988, 920. PALAZZO F. – PAPA M., Lezioni di diritto penale comparato, 2a ed., Torino
(Giappichelli), 2005. PALERMO FABRIS E., Diritto alla salute e trattamenti sanitari nel sistema
penale, Padova (CEDAM), 2000.
BIBLIOGRAFIA
348
PAPHITI A. S., Duress as a defence to war crimes charges, in Revue de droit militaire et droit de la guerre, 1999, 247.
PARISI N., Problemi attuali del diritto internazionale penale, in Diritto e Forze
Armate. Nuovi impegni (a c. di RIONDATO S.), Padova (CEDAM), 2001. PATRONO P., L’errore nel diritto penale tributario, in Riv. trim. dir. pen. ec.,
2002, 555. PATRONO P., Problematiche attuali dell’errore nel diritto penale dell’economia,
in Riv. trim. dir. pen. ec., 1988, 87. PAUST J.J., My Lai and Vietnam: norms, myths and leader responsibility, in
Military Law Review, vol. 58, 1972, 99. PAUST J.J., Superior orders and command responsibility, in AA.VV.,
International Criminal Law, vol. I, ed. by BASSIOUNI M. Ch., Ardsley, New york (Transnational Publisher, Inc.), 1999, 223.
PELLEGRINO B., Norme di principio sulla disciplina militare e obbedienza
gerarchica, in Ind. pen., 1979, 163. PELLEGRINO B., Nuovi profili in tema di obbedienza gerarchica, in Riv. it. dir.
proc. pen., 1978, 150. PELLEGRINO B., Sindacato di legittimità sostanziale dell’ordine e
disobbedienza nel sistema penale militare, in Giust. pen., 1974, II, 193. PETERSON D.P., Der sogenannte "gefährliche" Befehl im geltenden Wehrrecht-
Eine Erwiderung auf den Beitrag von R. Huth, in NZWehrr, 1989, 239. PICONE P., Sul fondamento giuridico del Tribunale penale per la ex Jugoslavia,
in La Comunità internazionale, 1996, 3. PIERDONATI M., Il dubbio sul fatto processuale e sulla norma penale nel caso
Kappler, in MEZZETTI E. (a cura di), Diritto penale internazionale. I. Casi e materiali, Torino (Giappichelli), 2006, 19.
PISANI N., L’elemento psicologico del crimine internazionale nella parte
generale dello Statuto della Corte internazionale penale, in Riv. it. dir. proc. pen., 2001, 1374.
BIBLIOGRAFIA
349
PISAPIA G., La riforma del codice penale muove i primi passi: le scelte della Commissione ministeriale per una nuova Parte generale, in Dir. pen. proc., 2007, 5.
PISAPIA G., Prospettive di riforma del codice penale, in Cass. pen., 2007, 407. PULITANO’ D., Diritto penale, Torino (Giappichelli), 2007. PULITANO’ D., Suggestioni ideologiche e difficoltà tecniche nella riforma
penale, in Dir. pen. proc., 2007, 1395. PULITANO’ D., Consensi e fraintendimenti sui rapporti tra diritto penale
sostanziale e processo; in Dir. pen. proc, 2007, 517. PULITANO’ D., Sui rapporti tra diritto penale sostanziale e processo, in Riv. it.
dir. proc. pen., 2005, 951. PULITANO’ D., Ignoranza della legge (dir. pen.), in Enc. dir., App., I, Milano,
1997, 615. PULITANÒ D., Esercizio di un diritto e adempimento di un dovere, in Digesto
disc. pen., IV, Torino (UTET), 1990, 320. PULITANO’ D., Una sentenza storica che restaura il principio di colpevolezza,
in Riv. it. dir. proc. pen., 1988, 686. PULITANO’ D., L’errore di diritto nella teoria del reato, Milano, 1976. PULITANO’ D., Ignoranza (dir. pen.), in Enc. dir., Milano, XX, 1970, 23. PRADEL J., Manuel de droit pénal général, Paris (Cujas), 2002. PRADEL J., Droit pénal comparé, Paris (Dalloz), 2002. PROVOLO D., L’uso legittimo delle armi, in RONCO M. (opera diretta da),
Commentario sistematico al codice penale. Il Reato, vol. II, tomo II, Bologna (Zanichelli), 2007, 721.
QUERALT, La obediencia debida en el Código penal, Barcelona, 1986. QUINTERO OLIVARES G., Manual de derecho penal. Parte general, Barcelona
(Aranzadi), 2002.
BIBLIOGRAFIA
350
QUINTERO OLIVARES G., Il codice penale spagnolo del 24 novembre 1995,
introduzione a Il codice penale spagnolo, Padova (CEDAM), 1997, 1. RADBRUCH G., Gesetzliches Unrecht und übergesetzliches Recht, in
Süddeutsche Juristen-Zeitung, 1946, 105. REED A. – SEAGO P., Criminal law, London (Sweet & Maxwell), 2002. REGINA A., Esercizio di un diritto e adempimento di un dovere, in Enc. giur.
Treccani, XIII, Roma, 1989. RENAULT L., De l’application du droit pénal aux faits de guerre, in Revue
Générale de Droit International Public, 1918, 5. RIONDATO S., Il reato. Delitto, contravvenzione, illecito amministrativo, illecito
depenalizzato, illecito dell'ente giuridico, in RONCO M. (opera diretta da), Commentario sistematico al codice penale. Il reato, vol. II, Tomo I, Bologna (Zanichelli), 2007, 1 ss.;
RIONDATO S., Diritto penale e reato culturale, tra globalizzazione e
multiculturalismo. Recenti novità legislative in tema di opinione, religione, discriminazione razziale, mutilazione genitale femminile, personalità dello Stato, in Atti del Seminario di studio "Discriminazione razziale, xenofobia, odio religioso. Diritti fondamentali e tutela penale" (Università degli Studi di Padova, 24 marzo 2006), a c. di RIONDATO S., Padova (CEDAM), 2006, 81 ss.
RIONDATO S. (a cura di), Atti del Seminario di studio "Discriminazione
razziale, xenofobia, odio religioso. Diritti fondamentali e tutela penale" (Università degli Studi di Padova, 24 marzo 2006), Padova (CEDAM), 2006.
RIONDATO S., Un diritto penale detto « ragionevole ». Raccontando Giuseppe
Bettiol, Padova (CEDAM), 2005. RIONDATO S., Retroattività del mutamento penale giurisprudenziale
sfavorevole, tra legalità e ragionevolezza, in AA.VV., Diritto e clinica per l’analisi della decisione del caso, Padova (CEDAM), 2000, 239.
RIONDATO S., Diritto penale militare, Padova (CEDAM), 1998.
BIBLIOGRAFIA
351
RIONDATO S. (a cura di), Diritto e Forze armate. Nuovi impegni, Atti del Convegno di Padova 30 novembre 2000, Padova, (CEDAM), 2001.
RIONDATO S., Commento a Corte mil. appello Roma, 7 marzo 1998, Priebke, in
Dir. pen. proc., 1998, II, 1123. RIONDATO S., Commento a Trib. mil. Roma, 22 luglio 1997, Priebke, in Dir.
pen. proc., 1997, 1515. RIONDATO S., Commento a Cass. pen., 12 febbraio 1997, Priebke, in Dir. pen.
proc., 1997, II, 467. RIONDATO S., Profili di rapporti tra diritto comunitario e diritto penale
dell’economia (“influenza, poteri del giudice penale, questione pregiudiziale ex art. 177 T.CE, questioni di costituzionalità), in Riv. trim. dir. pen. ec., 1997, 1135.
RIONDATO S., Competenza penale della Comunità europea. Problemi di
attribuzione attraverso la giurisprudenza, Padova (CEDAM), 1996. RIONDATO S. – CUSUMANO M.T., sub art. 51, in MARINI G. - LA MONICA
M.-MAZZA L. (diretto da), Commentario al codice penale, Tomo I, Torino (UTET), 2002.
RIVELLO R., I principi generali di diritto e le cause di giustificazione nel diritto
internazionale penale: influssi e reflussi fra ordinamento internazionale e ordinamenti interni, in AA.VV., Diritto e Forze armate. Nuovi impegni, a c. di RIONDATO S., Padova (CEDAM), 2001, 247.
RIZ R., Lineamenti di diritto penale, parte generale, Bolzano (AER Edizioni),
2006. RIZ R., Per un nuovo codice penale: problemi e itinerari, in Ind. pen., 1995, 5. RIZ R., Diritto penale e diritto comunitario, Padova (CEDAM), 1984. RIZ R., La teoria generale del reato nella dottrina italiana. Considerazioni sulla
tripartizione, in Ind. pen., 1981, 607. RIZ R., Il consenso dell’avente diritto, Padova (CEDAM), 1979.
BIBLIOGRAFIA
352
ROBERT J.-H., Droit pénal général, Paris (Presses Universitaires de France), 1999.
ROBINSON N., The Genocide Convention. A commentary, New York (Rausen
Bros), 1960. ROBINSON P., Criminal law defenses, vol. I - II, St. Paul, Minnesota (West
Publishing Co.), 1984. ROBINSON P., Criminal law defenses: a systematic analysis, in Columbia Law
Review, 1982, 199. ROBINSON P. – DUBBER M.D., Introduzione al Model Penal Code, in Diritto
penale XXI secolo, 2003, 1. RODRIGUEZ DEVESA J.M. – SERRANO GOMEZ A., Derecho penal español.
Parte general, Madrid (Dykinson), 1991. ROGGEMAN H., Die Srafrechtliche Aufarbeitung der Vergangenheit der DDR
am Beispiel der“Mauerschützen” und der Rechtsbeugung. Eine Zwischenbilanz, in Strafrechtsjustiz der DDR im Systemwechsel, hrsg. von DROBNIG U., Berlin (Duncker & Humblot), 1998, 111.
ROGGEMANN H, Zur Strafbarkeit der Mauerschützen, in Deutsch-Deutsche
Rechtszeitschrift, 1993, 10. ROMANO B., La riforma del codice penale nel progetto della Commissione
Pisapia, in Ind. pen., 2008, 473. ROMANO M., Teoria del reato, punibilità, soglie espresse di offensività (e cause
di esclusione del tipo), in Studi in onore di Giorgio Marinucci (a c. di E. DOLCINI e C.E. PALIERO), II, Teoria della pena. Teoria del reato, Milano (Giuffré), 2006, 1721.
ROMANO M., Commentario sistematico del codice penale, Artt. 1-84, Milano
(Giuffré), 2004. ROMANO M., Cause di giustificazione, cause scusanti, cause di non punibilità,
in AA. VV., Studi in onore di G. Vassalli. Evoluzione e riforma del diritto e della procedura penale, 1945 – 1990, I, Milano (Giuffré), 1991, 211.
BIBLIOGRAFIA
353
ROMANO M. – GRASSO G., Commentario sistematico del codice penale, Artt. 85 – 149, Milano (Giuffré), 1996.
RONCO M. (opera diretta da), Commentario sistematico al codice penale. Il
reato, vol. II, tomo I e II, Bologna (Zanichelli), 2007. RONCO M., Il reato: modello teorico e struttura del fatto tipico, in ID. (opera
diretta da), Commentario sistematico al codice penale. Il reato, vol. II, tomo I, Bologna (Zanichelli), 2007, 59.
RONCO M., La colpa in particolare, in ID. (opera diretta da), Commentario
sistematico al codice penale. Il reato, vol. II, tomo I, Bologna (Zanichelli), 2007, 533.
RONCO M. (opera diretta da), Commentario sistematico al codice penale. La
legge penale. Fonti, tempo, spazio, persone, vol. I, Bologna (Zanichelli), 2006.
RONCO M. (opera diretta da), Commentario sistematico al codice penale.
Persone e sanzioni, vol. III, Bologna (Zanichelli), 2006. RONCO M., Il principio di legalità, in ID.(opera diretta da), Commentario
sistematico al codice penale. La legge penale. Fonti, tempo, spazio, persone, vol. 1, Bologna, 2006, 1.
RONCO M., Il problema della pena. Alcuni profili relativi allo sviluppo della
riflessione sulla pena, Torino (Giappichelli), 1996. RONCO M., Ignoranza della legge (dir. pen.), in Enc. giur. Treccani, XV, Roma,
1989. RONZITTI N., Crimini internazionali, in Enc. giur. Treccani, X, Roma, 1988. ROSIN G., Il militare tra dovere di obbedienza e dovere di disobbedienza.
L’esecuzione dell’ordine criminoso, in Rass. giust. mil., 1982, 203. ROSSI A., Illecito depenalizzato-amministrativo: ambito di applicazione, Milano
(Giuffrè), 1990. ROXIN C., Strafrecht. Allgemeiner Teil, 3. Auf., München (Beck), 1997.
BIBLIOGRAFIA
354
ROXIN C., Rechtfertigungs- und Entschuldigungsgründe in Abgrenzung von sonstigen Strafausschließerungsgründen, in AA.VV., Rechtfertigung und Entschuldigung, hrsg. v. A. Eser u. G. Fletcher, Freiburg i. Br. (Max- Planck- Institut f. ausländisches u. internationales Strafrecht), vol. I, 1987, 229.
ROXIN C., Antigiuridicità e cause di giustificazione. Problemi di teoria
dell’illecito penale, ( ac. Moccia S.), Napoli (Edizioni Scientifiche Italiane), 1996.
ROXIN C., Sul problema del diritto penale della colpevolezza, in Riv. it. dir.
proc. pen., 1984, 16. RUGGIERO G., Ideologia e dogmatica sui rapporti fra diritto penale e processo,
in Dir. pen. proc., 2007, 255. SALAND P., International Criminal Law Principles, in LEE R.S. (ed. by) The
International Criminal Court. The making of the Rome Statute, The Hague (Kluwer Law International), 1999, 200.
SANDULLI A. M., Manuale di diritto amministrativo, Napoli (Jovene), 1989. SANDULLI A. M., Disciplina militare e valori costituzionali, in Rass. giust. mil.,
1979, 1. SANTORO A., L’ordine del superiore nel diritto penale, Torino (UTET), 1957. SANTORO A., L’esecuzione di ordini privati come causa di giustificazione, in
Studi in memoria di Filippo Grispigni, Milano (Giuffré), 1956, 525. SANTORO A., Esercizio di un diritto, adempimento di un dovere (dir. pen.
comune), in Noviss. dig. it., VI, Torino, 1960, 825. SANTORO V., Difficile decifrare in modo oggettivo un ordine “palesemente
illegittimo”, in Guida dir., n. 7, 2008, 47. SATZGER H, Das neue Völkerstrafgesetzbuch. Eine kritische Würdigung, in
NStZ, 2002, 125. SCALIOTTI M., Defences before the International Criminal Court: substantive
grounds for excluding criminal responsibility – Part II, in International Law Review, 2002, 1.
BIBLIOGRAFIA
355
SCALIOTTI M., Defences before the International Criminal Court: substantive
grounds for excluding criminal responsibility – Part I, in International Law Review, vol. 1, 2001, 111.
SCHABAS W.A., An introduction to the International Criminal Court,
Cambridge (Cambridge University Press), 2001. SCHABAS W.A., General principles of criminal law in the International
Criminal Court Statute, in European Journal of Crime, Criminal Law and Criminal Justice, vol. 6, Issue 4, 1998, 416.
SCHWAIGER K., Der Anwendungsbereich des § 5 WStG, in NZWehrr, 1961, 64. SCHLUETER D.A., Military criminal justice. Practice and procedure,
Charlottesville – Virginia (Lexis Law Publishing), 1999. SCHÜTZ E. E., Befehle im außerdienstlichen Bereich, in NZWehrr, 1961, 100. SCHREIBER J., Unverbindliche Befehle- Vesuch einer Systematik, in NZWehrr,
1965, 1. SCHREIBER J., Der teilweise unverbindliche Befehl, in NZWehrr, 1971, 134. SCHÖLZ J., Wehrstrafrecht und Strafrechtsreform, in NZWehrr, 1975, 41. SCHÖLZ J.- LINGENS E., Wehrstrafgesetz, 3. neubearb. Auf., München (Beck),
1988. SCHNELL K.H.- EBERT H.P., Disziplinarrecht, Strafrecht, Beschwerderecht der
Bundeswehr, 14. Auf., Regensburg - Bonn ( Walhalla Fachverlag), 1997. SCHIRMER B., Befehl und Gehorsam, Köln (C. Heymanns V.), 1965. SCHERER W., Zur Frage der Befehle für den dienstfreien Bereich, in NZWehrr,
1961, 97. SCHWENCK H.G., Die Gegenvorstellung im System von Befehl und Gehorsam-
ein Beitrag zur strafrechtlichen Verantwortlichkeit des militärischen Untergebenen, in Festschrift für Eduard Dreher, Berlin (W. De Gruyter), 1977, 495.
BIBLIOGRAFIA
356
SCHWENCK H.G., Wehrstrafrecht im System des Wehrrechts und in der
gerichtlichen Praxis, Frankfurt a. M. (Bernard & Graefe V.), 1973. SHANOR C.A. – HOGUE L.L., Military law in a nutshell, St. Paul – Minnesota
(West Publishing Co.), 1996. SELVAGGI N., Il Caso Erdemovic tra ordine del superiore e stato di necessità,
in MEZZETTI E. (a cura di), Diritto penale internazionale. I. Casi e materiali, Torino (Giappichelli), 2006, 52.
SERRANO GÓMEZ A., Derecho penal. Parte especial, Madrid (Dykinson),
2004. SGUBBI F., Rilevanza, fondatezza ed implicazioni della questione di legittimità
costituzionale dell’art. 51 u. c. del c.p., in Riv. it. dir. e proc. pen., 1971, 486.
SMITH J.C. – HOGAN B., Criminal law, London (Butterworths), 2002. SMITH J.C., Justification and excuse in the criminal law, London (Stevens &
Sons), 1989. SPENDEL G., § 32, in JÄHNKE B. - LAUFHÜTTE H.W.- ODERSKY W. (
hrsg. v.), StGB. Leipziger Kommentar. Großkommentar, 11. Auf. (1992), n. marg. 74- 103.
STAUF W., Soldatengesetz, 1. Auf., Baden - Baden (Nomos V.), 1987. STEFANI G. – LEVASSEUR G. – BOULOC B., Droit pénal général, Paris
(Dalloz), 2000. STORTONI L., L’introduzione nel sistema penale dell’errore scusabile di diritto:
significati e prospettive, in Riv. it. dir. proc. pen., 1988, 1313. TARUFFO M., The Use of Comparive Law by Courts, in AA.VV., Rapport
nationaux italiens au XIVe Congrès Internazional de Droit Comparé, Athènes 1994, Associazione italiana di diritto comparato, Milano, Giuffré, 1994, 49.
TERRANOVA S., Il rapporto di pubblico impiego, Milano (Giuffré), 1995.
BIBLIOGRAFIA
357
TORRE G., Errore sul precetto e Verbotsirrtum: un’uguale disciplina? (Analisi dell’errore sul divieto nel codice penale tedesco), in Ind. pen., 1996, 186.
TRIFFTERER O., Commentary on the Rome Statute of the International Criminal
Court, Baden Baden (Nomos Verlagsgesellschaft), 1999. TRÖNDLE H. – FISCHER T., Vor § 32, Strafgesetzbuch und Nebengesetze,
München (Beck), 2003. VACCHELLI G., Il limite all’obbedienza gerarchica e l’art. 51 del nuovo codice
penale, in Riv. it. dir. e proc. pen., 1932, I, 153. VALLINI A., La mens rea, in AMATI E. – CACCAMO V.- COSTI M. –
FRONZA E. – VALLINI A., Introduzione al diritto penale internazionale, Milano (Giuffré), 2006, 139.
VASSALLI G., Formula di Radbruch e diritto penale. Note sulla punizione dei
«delitti di Stato» nella Germania postnazista e nella Germania postcomunista, Milano (Giuffrè), 2001.
VASSALLI G., Il Tribunale internazionale per i crimini commessi nei territori
dell’ex – Jugoslavia, in La giustizia internazionale penale. Studi, Milano (Giuffré), 1995, 149.
VASSALLI G., L’inevitabilità dell’ignoranza della legge penale come causa
generale di esclusione della colpevolezza, in Giur. cost., 1988, II, 3. VASSALLI G., Colpevolezza, in Enc. giur. Treccani, VI, Roma, 1988. VASSALLI G., Cause di non punibilità, in Enc. dir., VI, Milano (Giuffré), 1960,
609. VENAFRO E., Scusanti, Torino (Giappichelli), 2002. VENDITTI R., Il diritto penale militare nel sistema penale italiano, Milano
(Giuffré), 1997. VIGANÒ F., Stato di necessità e conflitti di doveri. Contributo alla teoria delle
cause di giustificazione e delle scusanti, Milano (Giuffré), 2000. VIGANÒ F., sub art. 51, in Codice penale commentato (a c. di DOLCINI E. –
MARINUCCI G.,), Vol. I, Milano (IPSOA), 2006.
BIBLIOGRAFIA
358
VINCIGUERRA S., Diritto penale inglese comparato. I principi, Padova
(CEDAM), 2002. VINCIGUERRA S., Profili sistematici dell’adempimento del dovere imposto da
una norma giuridica, Milano, 1971. VIRGA P., Il pubblico impiego dopo la privatizzazione, Milano (Giuffré), 2002. VIRGA P., Il pubblico impiego, Milano (Giuffré), 1991. VIRGILIO M., Verso i principi generali del diritto criminale internazionale, in
AA.VV., Crimini internazionali tra diritto e giustizia, a c. di ILLUMINATI G. – STORTONI L. – VIRGILIO M., Torino (Giappichelli), 2000, 43.
VITT E., Rechtsprobleme des sogenannten "gefährlichen Befehls", in NZWehrr,
1994, 45. VIVES ANTÓN, Consideraciones político-criminales en torno a la obediencia
debida, in AA.VV., Estudios penales y criminológicos, (Fernández Albor ed.), V, 1981, 133.
VOLK K., Introduzione al diritto penale tedesco, Padova (CEDAM), 1993. WALTER T., Das Handeln auf Befehl und § 3 VStGB, in Juristische Rundschau,
2005, 279. WATZEK J., Rechtfertigung und Entschuldigung im englischen Strafrecht,
Freiburg i. Br. (Max- Planck- Institut f. ausländisches u. internationales Strafrecht), 1997.
WERLE G., Völkerstrafrecht, Tübingen (Mohr Siebeck), 2003. WERLE G. –JEßBERGER F., Das Völkerstrafgesetzbuch, in Juristen Zeitung,
2002, 725. WESSELS J., Strafrecht. Allgemeiner Teil, 13. Auf., Heidelberg (Müller Jur.
Verl.), 1983. WILLIAMS G., The theory of excuses, in Criminal Law Review, 1982, 732.
BIBLIOGRAFIA
359
WILK M. - STAUF W., Wehrrecht von A- Z, 2. Auf., München (Beck), 1991. WILMS H. – ZIEMSKE B., Gesetzliches Unrecht und übergestzliches Recht?, in
ZRP, 1994, 170. WIPFELDER H.J. - SCHWENCK H.G., Wehrrecht in der Bundesrepublik
Deutschland, Regensburg (Wahlalla & Praetoria V.), 1991. WIRTH S., Germany’s new international crimes code: bringing a case to court,
in Journal of International Criminal Justice, n. 1, 2003, 151. WRIGHT Q., War criminals, in The American Journal of International Law,
1945, 257. ZACCARIA F., Obbedienza (dovere di), in Appendice Noviss. dig. it.,V, Torino,
1984, 306. ZACCARIA F., Obbedienza (dovere di), in Noviss. dig. it., XI, Torino, 1965, 534. ZACCARIA F., I limiti al dovere di obbedienza nel rapporto di pubblico impiego,
Roma (Santini), 1962. ZANOBINI L., Corso di diritto amministrativo, Milano (Giuffré), 1949. ZIMMERMAN A., Bestrafung völkerrechtlicher Verbrechen durch deutsche
Gerichte nach In-Kraft-Treten des Völkerstrafgesetzbuchs, in NJW, 2002, 3068.
ZIMMERMAN A., Superior orders, in AA.VV., The Rome statute of the
International criminal court: a commentary, (ed. by CASSESE A., GAETA P., JONES J.R.W.D), Oxford (Oxford University Press), 2002, 957.
ZUCCALA’ G., L’infedeltà nel diritto penale, Padova (CEDAM), 1961. ZWEIGERT K.-KÖTZ H., Introduzione al Diritto Comparato. I - Principi fondamentali, , Milano (Giuffré), 1998.