Elettrotecnica e Complementi · spostamento tra due punto a potenziale differente per un volt.Un...

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Università di Napoli Federico II – Facoltà di Ingegneria Corso di Laurea in Ingegneria Meccanica (II anno – I semestreMZ)9 CFUprof. G. Lupò Elettrotecnica e Complementi Appendice A1 LE UNITÀ DI MISURA DEL SISTEMA INTERNAZIONALE (2007) §A1.1 Le unità di misura fondamentali Quantità fisica Simbolo della quantità fisica Nome dellʹunità SI Simbolo dellʹunità SI lunghezza l metro m massa m chilogrammo kg tempo t secondo s corrente elettrica I, i ampere A temperatura termodinamica T kelvin K quantità di sostanza n mole mol intensità luminosa IV candela cd Il metro è definito 1 come la distanza percorsa dalla luce nel vuoto in un intervallo di tempo pari a 1/299 792 458 di secondo (1983). Il chilogrammo è la massa di un particolare cilindro di altezza e diametro pari a 0,039 m di una lega di platinoiridio depositato presso lʹUfficio internazionale dei pesi e delle misure a Sèvres, in Francia. (1875) Il secondo è definito come la durata di 9 192 631 770 periodi della radiazione corrispondente alla transizione tra due livelli iperfini, da (F=4, MF=0) a (F=3, MF=0), dello stato fondamentale dellʹatomo di cesio133 (1967). L’ ampere èlʹintensità di corrente elettrica che, se mantenuta in due conduttori lineari paralleli, di lunghezza infinita e sezione trasversale trascurabile, posti a un metro di distanza lʹuno dallʹaltro nel vuoto, produce tra questi una forza pari a 2 • 10 7 newton per metro di lunghezza. (1946) Il kelvin è definito come 1/273,16 della temperatura termodinamica del punto triplo dellʹacqua. (1862) La mole viene definita come la quantità di sostanza di un sistema che contiene un numero di entità elementari pari al numero di atomi presenti in 12 grammi di carbonio12 (numero di Avogadro: 6,022 • 10 23 ) . (1971) La candela è pari allʹintensità luminosa, in una data direzione, di una sorgente emettente una radiazione monocromatica di frequenza pari a 540 • 10 12 hertz e di intensità radiante in quella direzione di 1/683 di watt per steradiante (1982). 1 Si riportano le definizioni ufficiali. Ovviamente esistono campioni di riferimento “storici” (vedi museo di Sèvres) di interesse praticamente immutato dal punto di vista “ingegneristico”.

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Università di Napoli Federico II – Facoltà di Ingegneria Corso di Laurea in Ingegneria Meccanica (II anno – I semestre‐ M‐Z)‐ 9 CFU‐ prof. G. Lupò 

Elettrotecnica e Complementi 

Appendice  A1 ‐LE UNITÀ DI MISURA DEL SISTEMA INTERNAZIONALE (2007) 

§A1.1 Le unità di misura fondamentali 

Quantità fisica  Simbolo  della  quantità fisica 

Nome  dellʹunità SI 

Simbolo dellʹunità SI 

lunghezza  l  metro  m massa  m  chilogrammo  kg tempo  t  secondo  s corrente elettrica  I, i  ampere  A temperatura termodinamica 

T  kelvin  K 

quantità di sostanza  n  mole  mol intensità luminosa  IV  candela  cd  ‐  Il metro  è definito1  come  la distanza percorsa dalla  luce nel vuoto  in un  intervallo di tempo pari a 1/299 792 458 di secondo (1983). ‐ Il chilogrammo è la massa di un particolare cilindro di altezza e diametro pari a 0,039 m di  una  lega  di  platino‐iridio  depositato  presso  lʹUfficio  internazionale  dei  pesi  e  delle misure a Sèvres, in Francia. (1875) ‐  Il  secondo  è  definito  come  la  durata  di  9  192  631  770  periodi  della  radiazione corrispondente alla transizione tra due livelli iperfini, da (F=4, MF=0) a (F=3, MF=0), dello stato fondamentale dellʹatomo di cesio‐133 (1967). ‐ L’ ampere è  lʹintensità di corrente elettrica che, se mantenuta  in due conduttori  lineari paralleli,  di  lunghezza  infinita  e  sezione  trasversale  trascurabile,  posti  a  un metro  di distanza lʹuno dallʹaltro nel vuoto, produce tra questi una forza pari a 2 • 10‐7 newton per metro di lunghezza. (1946) ‐  Il  kelvin  è  definito  come  1/273,16  della  temperatura  termodinamica  del  punto  triplo dellʹacqua. (1862) ‐  La mole  viene  definita  come  la  quantità  di  sostanza  di  un  sistema  che  contiene  un numero di entità elementari pari al numero di atomi presenti in 12 grammi di carbonio‐12 (numero di Avogadro: 6,022 • 1023) . (1971) ‐ La candela è pari allʹintensità luminosa, in una data direzione, di una sorgente emettente una radiazione monocromatica di frequenza pari a 540 • 1012 hertz e di intensità radiante in quella direzione di 1/683 di watt per steradiante (1982). 

1 Si riportano le definizioni ufficiali. Ovviamente esistono campioni di riferimento “storici” (vedi museo di Sèvres) di interesse praticamente immutato dal punto di vista “ingegneristico”.

 §A1.2 Le unità di misura derivate (di interesse elettrotecnico) 

La maggior  parte  delle  grandezze  derivate  provengono  da  una moltiplicazione  o  una divisione di grandezze di base. Alcune di esse hanno nomi particolari.  In questo modo, non solo si vede  immediatamente  la relazione che  intercorre tra due grandezze, ma, con un controllo dimensionale,  lo studente ha una prima possibilità di verificare  la possibile correttezza del proprio lavoro. 

Quantità fisica  Simbolo 

Nome dellʹunità SI Simbolo dellʹunità SI 

frequenza  f, ν  hertz  Hz  s−1 

forza  F  newton  N  kg ∙ m ∙ s−2 

pressione, sollecitazione  p  pascal  Pa  N ∙ m−2 

energia, lavoro  E  joule  J  N ∙ m 

potenza, flusso radiante  P, W  watt  W  J ∙ s−1 

carica elettrica  q  coulomb  C  A ∙ s 

tensione elettrica, potenziale  v  Volt  V  J ∙ C−1 

resistenza elettrica  R  Ohm  Ω  V ∙ A−1 

conduttanza elettrica  G  Siemens  S  A ∙ V−1 

capacità elettrica  C  Farad  F  C ∙ V−1 

induzione magnetica  B  Tesla  T  V ∙ s ∙ m−2 

flusso magnetico  Φ(B)  weber  Wb  V ∙ s 

induttanza  L  henry  H  V ∙ s ∙ A−1 

temperatura  T  kelvin  °C  K 

angolo piano  φ, θ  radiante  rad  1 

angolo solido  Ω  steradiante  sr  1 

flusso luminoso    lumen  lm  cd ∙ sr 

illuminamento    lux  lx  cd ∙ sr ∙ m−2

rifrazione  D  diottria  D  m−1 

attività di un radionuclide    becquerel  Bq  s−1 

dose assorbita    gray  Gy  J ∙ kg−1 

dose equivalente    sievert  Sv  J ∙ kg−1 

 

A.1.3 Prefissi 

Le  unità  SI  possono  avere  prefissi  per  rendere  più  comodamente  utilizzabili  grandi  e piccole misurazioni. Si noti lʹimportanza di utilizzare correttamente i simboli maiuscoli e minuscoli per evitare ambiguità.. 

  Prefisso  Simbolo Nome  Equivalente decimale 1024  yotta  Y  Quadrilione  1 000 000 000 000 000 000 000 000

1021  zetta  Z  Triliardo  1 000 000 000 000 000 000 000 

1018  exa  E  Trilione  1 000 000 000 000 000 000 

1015  peta  P  Biliardo  1 000 000 000 000 000 

1012  tera  T  Bilione  1 000 000 000 000 

109  giga  G  Miliardo  1 000 000 000 

106  mega  M  Milione  1 000 000 

103  kilo o chilo  k  Mille  1 000 

102  etto  h  Cento  100 

10  deca  da  Dieci  10 

10−1  deci  d  Decimo  0,1 

10−2  centi  c  Centesimo  0,01 

10−3  milli  m  Millesimo  0,001 

10−6  micro  μ  Milionesimo  0,000 001 

10−9  nano  n  Miliardesimo  0,000 000 001 

10−12  pico  p  Bilionesimo  0,000 000 000 001 

10−15  femto  f  Biliardesimo  0,000 000 000 000 001 

10−18  atto  a  Trilionesimo  0,000 000 000 000 000 001 

10−21  zepto  z  Triliardesimo  0,000 000 000 000 000 000 001 

10−24  yocto  y  Quadrilionesimo 0,000 000 000 000 000 000 000 001

 

§A1.4 Unità di misura tollerate nel SI 

Le  seguenti unità di misura non  fanno parte del Sistema  Internazionale, ma  il  loro uso viene tollerato, anche in ambienti ufficiali. 

Nome  Simbolo  Equivalenza in termini di unità fondamentali SI

minuto  min  1 min = 60 s 

ora  h  1 h = 60 min = 3 600 s 

giorno  d  1 d = 24 h = 86 400 s 

grado  °  1° = (π/180) rad 

minuto primo  ′  1′ = (1/60)° = (π/10 800) rad 

secondo  ″  1″ = (1/60)′ = (π/648 000) rad 

litro  l, L  1 L = 1 dm3 = 10‐3 m3 

tonnellata  t  1 t = 103 kg 

neper  Np  1 Np = 1 

bel  B  1 B = (1/2) ln 10 (Np) 

Il neper  e  il  bel  esprimono  il  logaritmo  in base  e  o  in base  10 di una grandezza presa rispetto  ad un  riferimento.  Il  logaritmo  in base 10 dà  l’ordine di grandezza  in più o  in meno rispetto al riferimento ed è quindi usato in Ingegneria molto più spesso di quanto si pensi,  spesso  involontariamente:  se  ad  esempio pensiamo  ad un  oggetto un milione di volte più grande di un altro, diciamo che tra i due ci sono 6 ordini di grandezza, cioè 6 bel. La misura  logaritmica  serve  anche  a meglio  leggere  fenomeni  a  scala  fortemente  non lineare  ed  il  decibel  (dB)  serve  appunto  in molte  discipline  quali  acustica,  elettronica, chimica a valutare la crescita (guadagno) o l’attenuazione di una grandezza. 

 

§A1.5 Unità (non apparteneti al SI)  accettate perché più precise. 

Nome  Simbolo  Equivalenza in termini di unità fondamentali SI 

elettronvolt  eV  1 eV = 1,602 177 33(49) ∙ 10–19 J 

unità di massa atomica  u  1 u = 1,660 540 2(10) ∙ 10–27 kg 

unità astronomica  ua  1 ua = 1,495 978 70(30) ∙ 1011 m 

 

Un  elettronvolt  (simbolo  eV)  è  lʹenergia  acquistata  da  un  elettrone  libero  nel  suo spostamento  tra  due  punto  a  potenziale  differente  per  un  volt.Un  elettronvolt  è  un quantitativo molto piccolo di energia: 1 eV = 1,602 176 46 × 10‐19 J. 

L’Unità Astronomica  (U.A., o  semplicemente UA)  è unʹunità di misura  circa pari  alla distanza media tra il pianeta Terra e il Sole 

Lʹunità di massa  atomica unificata  (u) detta  anche dalton  (Da)  è una unità di misura utilizzata  solitamente  per  esprimere  la massa  di  atomi  (massa  atomica)  e molecole (massa molecolare). Essa è definita come la dodicesima parte della massa di un atomo di carbonio‐12 (12C). 

A.1.6 Altre unità non SI  accettate in ambiti commerciali, legali, e nella navigazione. 

Queste  unità  dovrebbero  essere  definite  in  relazione  al  SI  in  ogni  documento  in  cui vengono usate. Il loro uso è scoraggiato.  

Nome  Simbolo  Equivalenza in termini di unità fondamentali SI 

miglio nautico  nm  1 miglio nautico =1 852 m 

nodo  kn  1 nodo = 1 miglio nautico allʹora = (1 852/3 600) m/s 

ara  a  1 a = 1 dam2 = 102 m2 

ettaro  ha  1 ha = 1 hm2 = 104 m2 

bar  bar  1 bar = 0,1 MPa = 100 kPa = 1 000 hPa = 105 Pa 

angstrom  Å  1 Å = 0,1 nm = 10‐10 m 

barn  b  1 b = 100 fm2 = 10‐28 m2 

  

Appendice A2 

RICHIAMI SUGLI OPERATORI VETTORIALI  La divergenza di un campo vettoriale A in un punto P è una quantità scalare e può essere definita (cfr. il teorema della divergenza) con un processo al limite a partire dal flusso ΔΦ  del vettore attraverso una superficie chiusa  racchiudente P, rapportato al volume Δτ definito dalla  superficie  stessa  e  facendo  implodere  la    superficie  chiusa  intorno  al  punto  P. L’operatore di divergenza si  indica con  ( )⋅∇  o con div.   Un campo a divergenza nulla è indivergente  o solenoidale. Considerando il vettore r (raggio vettore in geometria sferica) si avrà 

3

344limlim

3

2

00==

ΔΔΦ

=⋅∇→Δ→Δ

r

rrrπ

πτ ττ

 

Il rotore di un campo vettoriale A in un punto P è un vettore che può essere definito (cfr. il teorema  di  Stokes)  considerando  una  superficie  elementare  orientata  ΔS  (es.  un  cerchio) contenente  il punto P  ;  il modulo del  rotore è pari al massimo valore – al variare della giacitura  della  superficie  –  della  circuitazione  ΔC  lungo  l’orlo  della  superficie  stessa, rapportata alla suddetta superficie;  la direzione ed  il verso del rotore sono definiti dalla normale alla  superficie nella posizione  in  cui  la  circuitazione è massima. L’operatore di rotore si indica con  ( )×∇  o con rot o curl. Un campo a rotore nullo è irrotazionale. Considerando il vettore r (raggio vettore in geometria sferica) si avrà 

0lim0

=ΔΔ

=∇→Δ S

CxrS

 

Un ulteriore operatore differenziale (spaziale) è il gradiente  ( )∇ . Esso opera su un campo scalare  f(P):  il suo modulo è  individuato dalla massima derivata direzionale condotta su ogni retta orientata passante per il punto P, la direzione ed il verso sono dettati dalla retta orientata per  cui  si ha  la massima derivata. Le  componenti  (ad  es.  cartesiane) possono generare una  forma differenziale  esatta  (la  circuitazione del gradiente  lungo una qualsiasi linea chiusa. Nel caso elettrostatico la funzione f(P) è il potenziale (elettrostatico)  ed il suo gradiente è (a parte il segno) pari al campo (elettrostatico). Considerando il vettore r (raggio vettore in geometria sferica) si avrà 

3

1rr

r

rrr

−=∇

=∇ 

Considerato due campi scalari f(P) e ψ(P) valgono le relazioni ( )

( )( ) ψψψ

ψψψψψψ

∇×−×∇=×∇∇⋅+⋅∇=⋅∇

∇+∇=∇

AAAAAAfff

 

Si  riconosce  che  la  divergenza  del  rotore  è  nulla  e  quindi  anche  il  flusso  del  rotore attraverso una superficie chiusa è nullo. Il gradiente della divergenza è detto laplaciano (scalare)  ( )2∇≡∇∇⋅ .  

Si definisce anche il laplaciano di un campo vettoriale come 

)(2 AAA ×∇×∇−⋅∇∇=∇  Un campo ovunque solenoidale è conservativo per il flusso e può essere descritto come il rotore di un altro campo vettoriale detto potenziale vettore (esempio il potenziale vettore magnetico) La  circuitazione  di  un  campo  ovunque  irrotazionale  è  sempre  nulla;  il  campo  si  dice conservativo  per  il  lavoro  (es  campo  elettrostatico).  Ne  consegue  che  il  rotore  di  un gradiente è sempre nullo. Tali proprietà possono essere opportunamente valutate anche in domini limitati. 

Appendice A3 

LE EQUAZIONI DI MAXWELL IN FORMA LOCALE  Laddove  le  grandezze  (scalari  e  vettoriali)  presenti  nelle  (0.1)‐(0.4)  siano  continue  e derivabili,  il  campo  elettromagnetico  può  essere  descritto  in  tutti  i  punti  dello  spazio attraverso gli operatori differenziali spaziali e temporali divergenza e rotore 

tBE

∂∂

−=×∇     (A3.1) 

0ερ

=⋅∇ E (A3.2) 

0=⋅∇ B  (A3.3) 

⎟⎟⎠

⎞⎜⎜⎝

⎛∂∂

+=×∇tEJB 00 εμ   (A3.4) 

Per integrare queste equazioni nello spazio occorre conoscere le “condizioni al contorno” (nello spazio, all’infinito o al finito) e le “condizioni iniziali” (nel tempo). 

Le  equazioni  di  Maxwell  in  forma  locale  ci  evidenziano  le  sorgenti  del  campo elettromagnetico,  in  termini  di  divergenza  (“fontane  o  pozzi”)  o  in  termine  di  rotore (“vortici”). Le  sorgenti  possono  dipendere  direttamente  dai  campi  (“sorgenti  interne”,  in  rosso)  o meno  (“sorgenti  esterne”,  in  blu;  in  realtà,  anche  le  sorgenti  “esterne”  possono  essere “prodotte” dai campi. 

t∂∂

−=×∇BE               (A3.1’) 

(2”)   0ε

ρ=⋅∇ E            (A3.2’) 

(3”)      0=⋅∇ B          (A3.3’) 

(4”)   ⎟⎠⎞

⎜⎝⎛

∂∂

+=×∇tEJB 00 εμ     (A3.4’) 

 Come si nota, le uniche sorgenti esterne previste nelle equazioni locali di Maxwell sono le densità  volumetriche  di  carica  e  le  densità  di  corrente.  Altri  tipi  di  sorgenti  (cariche puntiformi,  lineari  o  superficiali,  ovvero  correnti  laminari  ecc.) determinano  singolarità nelle  relazioni  differenziali;  se  ne  può  tener  conto  nelle  relazioni  integrali,  che  danno luogo  a  condizioni di  raccordo alla  frontiera dei  sottodomini all’interno dei quali  i  campi sono continui e derivabili (vedi oltre).   Nel  caso di moto  stazionario di  cariche  in migrazione  (  ad  es.  in un  conduttore filiforme), non vi è variazione media della carica in moto in ogni volume; in ogni punto è costante  la velocità v di migrazione  (non considerando  il moto di agitazione  termica e  il moto  vario  nell’intervallo  tra due  interazioni2.    Si può  quindi  ritenere  che  sia  nulla,  in media, la risultante delle forze che agiscono sulla carica q in movimento, nel nostro caso la  2 per il rame tale tempo è dell’ordine di 10‐14 s 

forza  qE  nel  senso  del moto  ed  una  “forza  d’attrito  equivalente”  –kv  diretta  in  senso opposto  alla prima.  In un  circuito  semplice  (ad  esempio una  regione di  spazio di  forma anulare),  il  campo velocità di migrazione delle  cariche ha  linee di  flusso anulari e  tutte orientate in senso orario o antiorario. Quindi la circuitazione del campo di velocità v e del campo di corrente J=ρv non può essere nulla, ossia  il campo di corrente stazionaria non può  essere  conservativo.  Poiché  il  moto  di  migrazione  è  non  è  vario  e  il  campo equivalente dʹattrito è sempre opposto al senso del moto, il campo di forze sulle cariche ed il relativo campo elettrico complessivo (che, si ricorda, è la forza applicata alla particella riferita alla carica della particella) non possono essere conservativi3. Il sistema di equazioni differenziali di Maxwell si presta a soluzioni analitiche dirette solo in alcuni casi (ad es. propagazione di onde piane). Dal  punto  di  vista  generale  occorrerà  considerare  che  le  equazioni  di Maxwell  sono differenziali  nello  spazio  e  nel  tempo  e  quindi  occorrerà  conoscere  (vedi    oltre)  le condizioni  al  contorno del dominio di  indagine  (o  le  condizioni  all’infinito, nel  caso di domini illimitati) e le condizioni iniziali.  

3 Poiché  il campo elettrico derivante da una distribuzione di cariche elettriche è conservativo, ne discende che un moto stazionario di cariche non può essere generato da una distribuzione (fissa) di cariche. Occorrerà quindi considerare una sorgente di campo elettrico non di tipo elettrostatico, chiamato campo elettromotore. Il campo elettromotore è quindi un campo di forza specifica, di natura meccanica, chimica, elettrica …. ma non elettrostatica  (trattandosi  di  campo  non  conservativo),  che  agisce  sulle  cariche  tenendole  separate  in  un mezzo  conduttore  e  consentendo  per  esse  un moto  stazionario  (o  anche  non  stazionario).  In  un  circuito semplice  interessato  da  corrente  stazionaria,  ci  deve  essere  almeno  una  parte  (tratto  generatore)  in  cui  il campo  elettromotore  è diverso da zero;  lʹeventuale parte  complementare,  in  cui  il  campo  elettromotore  è nullo,   prende  il nome di  tratto utilizzatore. Nel  tratto utilizzatore  la  forza specifica sulle cariche è quella derivante dalla distribuzione di cariche (causata a sua volta dal campo elettromotore) ed è quindi un campo a potenziale: nel tratto utilizzatore la tensione elettrica (integrale del campo elettrico) valutata tra due punti non  dipende  dalla  curva  di  integrazione    ma  solo  dagli  estremi  di  integrazione  (allʹinterno  del  tratto generatore, viceversa, la tensione dipende dalla curva scelta). Se quindi il campo elettromotore è diverso da zero solo in una parte del circuito semplice, di sezioni estreme A e B, la tensione VAB sarà indipendente dalla curva scelta solo a patto di non ʺentrareʺ nel tratto generatore. Le sezione A e B individuano quindi i confini tra  un  ʺbipolo  generatoreʺ  ‐  identificabile  attraverso  una  caratteristica  V‐I  valutata  allʹesterno  del  tratto generatore ‐ ed un ʺbipolo utilizzatoreʺ in cui non vi sono vincoli per la valutazione della tensione.  

 

Appendice A4 

CENNI SULL’APPROSSIMAZIONE QUASI STAZIONARIA  

In generale, la tensione fra due punti A e B è definita in funzione della linea prescelta per l’integrazione del campo. La differenza tra due tensioni valutate tra A e B lungo due linee diverse γ’ e γ” è pari alla circuitazione del campo elettrico  lungo  la  linea chiusa γ unione di γ’ e di    (‐γ”), quindi all’opposto della variazione del  flusso del  campo magnetico  concatenato  con  la  linea  γ, orientata congruentemente a γ’. 

(A4.1)                ∫∫∫ ⋅−=⋅=−γ

γγ

γγ

SABAB dSnB

dtddltEVV "'

 

Abbiamo definito il campo quasi‐stazionario nel caso che tale differenza sia trascurabile per le applicazioni che interessano , es. sia inferiore al 5% rispetto al valore della tensione4. Se ad esempio, spostando la linea di integrazione nello spazio di nostro interesse , si ha come casi estremi,  VVVV ABAB 96100 "' == γγ   possiamo dire che, per le tolleranze adottate, le due tensioni hanno differenza trascurabile e quindi si può considerare un solo valore della tensione (con l’approssimazione del 5%). Dalla (A1.1) ricaviamo anche le condizioni in cui la differenza tra le tensioni è trascurabile; facendo riferimento al regime sinusoidale; infatti,  posto e considerato che 

(A4.2)                            

( )

γγ

γγγ π

απ

SfBV

SfBtVtV

ftBtB

MAB

MABAB

BM

>>

≅−

+=

max

*

max

"' 2)()(

2sin)(

 

dove  γ*  è  una  qualsiasi  linea  tra A  e  B  “compresa”  tra  γ’  e  γ”  e  Sγ  è  una  superficie “ragionevole” definita da γ* e γ’ (o γ”),  la condizione di quasi stazionarietà si raggiunge sicuramente  se è verificata almeno una di queste condizioni: a)  la  variazione  del  campo magnetico  (la  frequenza,  ovvero  la massima  frequenza ipotizzabile in una scomposizione temporale) è sufficientemente bassa; b)  il campo magnetico  è sufficientemente modesto; c)  la regione di interesse è sufficientemente ristretta.  Analogamente  ,  se  consideriamo  le  sezioni  terminali  SA  ed  SB di un  tratto di materiale conduttore immerso in un isolante, in condizioni di corrente quasi‐stazionaria avremo per ogni intervallo temporale una variazione “trascurabile” di carica nel volume di conduttore considerato, ossia una  intensità di corrente di uguale valore  (assoluto) attraverso  le due sezioni  terminali. Facendo ancora riferimento ad un caso di regime sinusoidale, si potrà dire dalla (A1.4) 

4 Questa approssimazione viene denominata quasi‐stazionaria elettrica. 

(A4.3)

( )

( )

( )

Σ>>

Σ≅Σ⋅⎥⎦

⎤⎢⎣

⎡⎟⎠⎞

⎜⎝⎛ ++−×∇=

=Σ⋅=−

+=

∫∫

∫∫

Σ

Σ

M

MEM

BA

EM

fEI

fEdnftEfB

dnJtItI

ftEtE

max

00

max

00

maxmax

22

2sin2

)(

2sin)(

πεμπαππεμ

απ

 

La condizione di quasi stazionarietà si raggiunge sicuramente  se è verificata almeno una di queste condizioni5: d)  la  variazione  del  campo  elettrico  (la  frequenza  f,  ovvero  la massima  frequenza ipotizzabile in una scomposizione temporale) è sufficientemente bassa; e)  il campo elettrico  è sufficientemente modesto; f)  la regione di interesse, di superficie laterale Σ, è sufficientemente piccola, ovvero le due sezioni sono abbastanza ravvicinate. Le condizioni espresse dalle (A3.2) ed (A3.3) possono essere riscritte come: 

Σ>>≅⋅=

>>≅⋅=

Σ∫

Σ

M

M

B

AAB

fErBdltBI

SfBdEdltEVAB

*

0

*

0max

**

*

maxmax

*

2πμμγ

γ

γ

γ

 

da cui, introducendo la lunghezza d’onda associata al campo variabile6, la “dimensione” Δ della regione di interesse,  si ricava  

λπλ

πμ

ππμμ

λλλ

γ

γγ

"2

;2

'1,;

*2*

0

*

2*

0

*

0max

**

**

krrEcrB

rfErBdltBI

kE

cBcfdSE

SfBd

M

M

MMABAB

<<⇒>>⇒

⇒≅ΣΣ>>≅⋅=

<<Δ⇒Δ

>>⇒=Δ≅>>

ΣΣΣ

ΣΣ∫Σ

 

Si  nota una  condizione  comune  ai due  casi:  la  regione di  interesse deve  essere piccola rispetto alla minima lunghezza d’onda associabile con i campi variabili. Ad esempio, alla frequenza f=50 Hz, la lunghezza d’onda è di (3 108/50) metri, ossia 6000 km: è ragionevole pensare che  la condizione di quasi stazionarietà è rispettata se consideriamo  l’intera rete di distribuzione dell’energia elettrica in Italia. Tuttavia le quantità k’ e k” sembrano giocare ruoli contrapposti. 

5 In questo caso l’approssimazione viene denominata quasi‐stazionaria magnetica.  6 Si ricorda che il prodotto tra la frequenza e la lunghezza d’onda è pari alla velocità di propagazione (della luce corrispondente) nel mezzo. 

Per un  approccio più  ingegneristico,  inquadrabile nella Teoria Generale dei Modelli,  al modello  quasi‐stazionario  elettrico  (QSE),  quasi  stazionario  magnetico  (QSM),  quasi stazionario  di  corrente  (QSC)  –  laddove  le  due  relazioni  siano  contemporaneamente verificate in modo “abbastanza” soddisfacente, vedasi  

L. DE MENNA: Elettrotecnica ‐ ed. Pironti, Napoli 1998 dove si perviene in ultima analisi alla definizione “quasi‐stazionaria” del condensatore (QSE), dell’induttore (QSM), del resistore (QSC).

 

Appendice A5 MODELLI DI CONDUZIONE NEI SOLIDI E NEI LIQUIDI 

  La conduzione elettrica nella materia  (ossia  il moto medio di portatori di carica, rispetto ad un riferimento di laboratorio, esprimibile in termini di densità di corrente o di intensità di corrente) è descrivibile in termini di: a)  tipi di portatori di carica: b)  proprietà  chimico‐fisiche  del  “materiale”  (o  dei materiali)  sede  del  fenomeno  di conduzione; c)   caratteristiche  spazio‐temporali  della  sollecitazione  “macroscopica”  sui  portatori di carica (consideriamo in questa sede principalmente la sollecitazione di tipo “elettrica”7).  Per quanto  riguarda  i portatori, è  tradizionale  il  riferimento agli elettroni, agli  ioni, alle “lacune”.  Occorre tuttavia associare a tale riferimento qualche riflessione di base. Ad esempio, per l’elettrone potremmo assumere uno dei seguenti modelli:  1)  l’elettrone  è  considerabile  come  una  sfera  carica8  obbedente  alle  leggi  della meccanica classica (modello di Drude o modello a “palla di biliardo”); 2)  l’elettrone  è un  oggetto  quantico  libero,  senza  interazione  con  il mezzo  in  cui  si muove, salvo alla sua frontiera (modello di Sommerfeld o modello dell’elettrone libero in un pozzo di potenziale); 3)  l’elettrone è un oggetto quantico sottoposto all’azione del mezzo  in cui si muove, che però ha solo un ruolo passivo (modello energetico a bande); 4)  l’elettrone è un oggetto quantico  sottoposto all’azione del mezzo  in cui si muove con cui interagisce (modello di Bardeen, Cooper e Schrieffer).  E’ palese che non esiste una separazione netta tra i diversi modelli; di essi si dà un breve cenno nel seguito, rinviando per un’approfondita analisi dei suddetti modelli alla amplia bibliografia in merito.    Considerando per semplicità lo spazio (occupato da un mezzo qualsiasi omogeneo) tra due  elettrodi piani  e paralleli A  e B  a distanza L,  sottoposti  alla  tensione VAB. Tale spazio è interessato da un campo elettrico di intensità E= VAB /L. Un elettrone viene quindi sottoposto all’accelerazione nella direzione del campo 

)1(Emea ⋅=  

7 Non trascurabili, tra gli altri, i casi di moto medio di portatori soggetti principalmente a fenomeni di trasporto meccanico (le correnti di convezione, legate ad esempio alle cariche statiche accumulate in dispositivi rotanti oppure ai moti vorticosi di aggregati carichi durante i temporali ). 8 massa a riposo me=9,109 10-31 kg; carica e=-1,602 10-19C

L’interazione con il mezzo materiale viene schematizzata con il termine “urto” (elastico o anelastico).  Se  consideriamo  il  tempo medio  τ  tra  due  urti  successivi  (tempo  di  volo), potremo valutare la velocità media di migrazione (velocità di drift) degli elettroni con una espressione del tipo9 

 

)2(22

1 EEmeavD μττ =⋅==  

ove μ rappresenta la mobilità degli elettroni.   Per ottenere la velocità effettiva dell’elettrone occorrerebbe considerare la velocità u legata all’agitazione  termica, di valore estremamente più elevato rispetto alla velocità di drift10; il libero cammino medio λ tra due urti successivi dipenderà praticamente solo dalla velocità di agitazione termica 

ττλ ⋅≅⋅+≅ uD uv  (3)  Considerando un fascio collimato (equivalente) di elettroni di densità Ne caratterizzato da una  velocità  di  drift  vD,  potremo  considerare  il  rapporto  la  carica  elettrica  (riferita  al tempo  Δt  di  osservazione)  attraversante  una  sezione  elementare  ortogonale  al  fascio  e l’area  della    sezione  stessa;  otteniamo  in  tal modo  la  densità  di  corrente  elettrica  e  la cosiddetta “legge di Ohm alla grandezze specifiche”: 

)4(22

22

EEum

eNE

meN

veNJe

e

e

eDe σ

λτ=

⋅===  

 dove σ è la conducibilità del mezzo in esame: 

)5()( eNeeμσ =  La conducibilità risulta quindi legata al prodotto di due fattori (mobilità e densità). Nel caso dei conduttori metallici prevale la densità, nel caso dei semiconduttori prevale la mobilità.  Considerando la classica espressione dell’energia cinetica per l’elettrone 

TkumW Bee 23

21 2 ==  (6) 

(dove T è la temperatura assoluta e kB=1.28 10‐23 J/K la costante di Boltzmann), si ricava il valore della velocità u e della conducibilità 

e

B

mTk

u3

= (7) 

 

9 si considera la media tra la velocità finale (prima del nuovo “urto”) e la velocità iniziale subito dopo l’urto precedente (velocità che si suppone trascurabile rispetto a quella finale) 10in un conduttore di rame di un ordinario impianto elettrico industriale, la velocità di drift dell’elettrone è tipicamente di 5 10-3 m/s per un campo di 1 V/m, mentre la velocità di agitazione termina è dell’ordine dei chilometri al secondo.

mTkeN

B

e

32

2λσ =  (8)11 

In  generale  il  moto  degli  elettroni  in  un  mezzo  può  essere  valutato  considerando quest’ultimo come un fluido “viscoso” 

)9(Eevdtdvm =⎟

⎠⎞

⎜⎝⎛ +ζ  

Nel caso di “viscosità dominante” il termine dv/dt è trascurabile e ritroviamo la (2) con il parametro di viscosità ζ pari ad 1/τ.  §A5.1 Conduttori metallici  Il modello  a  palla  di  biliardo  fu  introdotto  per  i metalli  da Drude  (1902)12.  Esso  è  un modello rozzo ma efficace per ritrovare alcune leggi fondamentali quali la legge di Ohm e la legge di Joule. In esso, si considerano due tipi di interazione: a)  l’interazione  elettrone‐materia  descritta  da  una  “sezione  d’urto”  equivalente all’interazione di palle di biliardo di diversa dimensione; b)  l’interazione elettrone‐ campo elettrico13 che determina il libero cammino medio, il tempo di volo dell’elettrone e gli scambi energetici.  Nel modello dell’elettrone libero in una buca di potenziale, introdotto da Sommerfeld nel 1928, l’elettrone si muove in una regione a potenziale costante delimitata da frontiere che non  permettono  all’elettrone  di  allontanarsi  (barriere  di  potenziale,  dello  spessore  di qualche Å). Non è prevista l’interazione tra elettroni. Notevolmente complessa è d’altra parte  l’analisi su base quantistica delle  interazioni  tra elettroni liberi e nuclei di un reticolo cristallino (es nel rame e nell’alluminio). Constatata la  dipendenza  della  resistività  dalla  temperatura  (vedi  oltre)  e  considerata  la  scarsa incidenza sulla  temperatura dello stato energetico degli elettroni, si ritiene determinante lo  stato  energetico  (vibrazionale)  dei  nuclei  del  reticolo,  cioè  la  loro  “temperatura”;  la probabilità di interazione con gli elettroni (e quindi il “tempo di volo” di un elettrone tra due  successive  interazioni)  cresce  con  l’ampiezza  delle  vibrazioni  e  quindi  con  la temperatura  del  reticolo.  Tale  tesi  può  non  trovare  più  riscontre  a  temperature molto basse, laddove impurità e imperfezioni del reticolo potranno giocare un ruolo importante ai fini della conduzione elettronica.  In realtà la dislocazione dei nuclei del reticolo determina una distribuzione periodica del potenziale (che non potrà quindi avere un’unica “buca”); possono essere considerate, nel 

11 Se invece della velocità di migrazione media aritmetica avessimo considerato la velocità media statistica, il fattore ½ nella (8) sarebbe diventato 8/(3π). La (8) fornisce valori della resistività a temperatura ambiente ragionevolmente confrontabili con i dati sperimentali. 12 Si formulò l’ipotesi di un “gas perfetto” di elettroni (H.A. Lorentz,1909), con distribuzione di velocità di Maxwell-Boltzmann, che non trova che pochi riscontri nel modello classico: non si ritrova né nella ripartizione di energia né nella valutazione del tempo di volo. Occorre un approccio quantistico (Fermi,1926). 13 in realtà occorre considerare anche l’azione del campo magnetico B sulla “corrente” elettronica di densità J. Gli elettroni saranno deviati e si potrà rilevare un accumulo sulla frontiera; sui due lembi di una striscia interessata dal campo di corrente si viene a determinare un campo elettrico trasversale EH=RH(JxB) (effetto HALL, con RH costante di Hall, dipendente dal materiale)

rispetto del principio di esclusione di Pauli, “bande” di energia degli elettroni utili per la conduzione  (bande di conduzione),  in cui  la densità degli stati ammissibile è diversa da zero,    intervallate  da  bande  “proibite”  (bande  di  valenza),  in  cui  la  densità  degli  stati ammissibili  è  zero.  La  posizione  della  energia  di  Fermi  determina  la  proprietà  di conduzione.  A  temperatura  diversa  dallo  zero  assoluto,  l’ampiezza  4kT  determina  la probabilità di  avere  elettroni disponibili per  la  conduzione, anche  se  l’energia di Fermi ricade  in una banda proibita. Quando alcuni elettroni delle bande di valenze “migrano” nella  banda  di  conduzione,  possono  lasciare  l’atomo  creando  una  “lacuna”,  cioè l’equivalente  di  una  carica  positiva  pare  a  quella  dell’elettrone.  La  lacuna  può  essere colmata da un elettrone di un atomo vicino; si ha quindi uno spostamento di lacuna e cioè un’equivalente moto di carica positiva.  

  

APPENDICE A6‐  RESISTIVITÀ  Nel  caso  di  un  tratto  A‐B  di  conduttore  filiforme  omogeneo  a  sezione  costante  S  di lunghezza lAB e a temperatura costante ed uniforme, si valuta che la resistenza R del tratto, è  proporzionale  alla  lunghezza  lAB  ed  inversamente  proporzionale  alla  sezione  S.  Il coefficiente di proporzionalità costituisce  la resistività  (si  indica con    la  lettera greca   η‐eta‐ oppure   ρ‐rho‐  e  si misura  in ohm per metro  [Ωm]);  il  suo  inverso viene  chiamato conducibilità  (si  indica con    la  lettera greca    γ‐gamma‐ oppure   σ‐sigma‐ e si misura  in siemens/metro[S/m]) - La resistenza di un resistore può essere in generale vista come il prodotto di un termine “geometrico” e di un termine “fisico” ossia legato alle proprietà fisico‐chimiche del materiale ed alle sue condizioni di impiego -  -  - La resistività dei materiali può variare di numerosi ordini di grandezza, portando alla distinzione “convenzionale” (spesso impropria)  tra materiali conduttori, semiconduttori ed isolanti 

 Le  caratteristiche di  conduzione di un materiale  omogeneo  ed  isotropo  sono  in  genere sintetizzate nella relazione costitutiva tra campo elettrico E e densità di corrente J: 

E = η J Il coefficiente η prende  il nome di resistività elettrica,  il suo  inverso σ prende  il nome di conducibilità elettrica.14 Tali coefficienti possono essere costanti al variare delle grandezze di  campo:  in  tale  caso  si  parlerà  di materiali  conduttori  lineari.  Ovviamente  possono esserci,  oltre  al  caso  di  comportamento  non  lineare,  anche  il  caso  di  caratteristiche isteretiche in cui la conduzione dipende anche dalla storia subita dallo stesso materiale. Le dimensioni di tali coefficienti sono 

14 Spesso vengono usati i simboli ρ e σ rispettivamente per la resistività e la conducibilità. E’ opportuno ricordare (ed evitare confusioni) che tali simboli vengono anche utilizzati per una distribuzione volumetrica e superficiale di carica.

 

 η

γη

= = = ⋅ ⇒ ⋅

= = = ⇒−

EJ

V mA m

m ohm metro

m S m siemens metro

//

( )

/ / ( / )

2

11

Ω

Ω

 

Per  i  materiali  metallici,  la  resistività  è  valutata  in  base  a  parametri  congrui  con applicazioni  ordinarie,  come  le  linee  di  alimentazione.  Va  fissata  ad  esempio  una temperatura di riferimento θo  (in genere 293 K ossia 20°C),  in quanto  la resistività varia con  la  temperatura θ del conduttore,  il cui valore a regime è dipendente a sua volta sia dalla  temperatura  ambiente  che  dalla  intensità  di  corrente  che  interessa  il  conduttore (effetto  Joule).  Per  i  conduttori  metallici  la  resistività  aumenta  linearmente  con  la temperatura in un ampio intervallo di valori della stessa (fig.1) 

( ) ( ) ( )[ ]η θ η θ α θ θθ= + ⋅ −o oo1  

 η

θ

η(θ )ο

θ οθ 1  

fig.1 Il coefficiente di temperatura α rappresenta quindi la variazione relativa di resistività per salto unitario di temperatura. Anche α dipende da θo. In  tab.I vengono  riportati  i valori della  resistività  e del  coefficiente di  temperatura  alla temperatura di  293 K per  i materiali di più  comune  impiego.  I  valori  sono  riportati  in modo da  indicare anche  la resistenza per unità di  lunghezza di un conduttore rettilineo della sezione di 1 mm2: Il valore θ1 cui corrisponderebbe un valore nullo di resistività vale  

θ θαθ

1 01

= −o

 

  Per  il rame θ1 assume  il valore di circa 43K. A tale temperatura,  in realtà,  il rame presenta una resistività significativa: siamo oltre lʹintervallo di linearità.    A  temperature molto basse,  inferiori  in genere a 10 K,   possono manifestarsi, per alcuni metalli in particolari condizioni di funzionamento, fenomeni di superconduttività, in cui  la  resistività  scende al valore  ʺnulloʺ, al disotto dei valori  correntemente misurabili. Per alcuni materiali si manifesta anche un crollo dei valori resistività anche a temperature prossime  alla  liquefazione  dellʹazoto  (77K).  Tale  fenomeno  (superconduttività  ad  alta temperatura) è attualmente oggetto di intensi studi, in vista di interessanti applicazioni nel settore elettrotecnico. 

  MATERIALI  Resistività η‐θo=293 K 

[Ω mm2 /m ]≡[μΩ m] 

coefficiente temperatura 

α(θo)[ K‐1] 

Conducibilità  σ   ‐θo=293 K [MS/m] 

Conduttori metallici  

     

argento  0.016  3.8 10‐3  ≈ 62 rame puro  0.017241  3.9 10‐3  ≈ 58 rame industriale  0.0178  3.9 10‐3   oro  0.024  3.4 10‐3   piombo  0.022  3.9 10‐3   alluminio puro  0.028264  3.7 10‐3  ≈ 36 alluminio commerciale  0.03  3.7 10‐3   tungsteno  0.055  4.5 10‐3   Zinco  0.063  3.7 10‐3  ≈ 16 ferro  0.1  4.5 10‐3  ≈ 8        Leghe       Ottone  0.07  1.5 10‐3  ≈ 12 Manganina  0.45  1.5  10‐5   Costantana  0.5  2 10‐5   Nichel‐Cromo  1.1  1 10‐4  ≈ 0.9 Ferro‐silicio  per lamierini 

0.3  4 10‐3   

Conduttori non metallici       Elettrografite  10  ‐0.5  10‐3  ≈ 0.1 Carbone  (lampade  adarco) 

70  ‐0.5  10‐3  ≈ 0.02 

Elettroliti       Acqua di mare  3 105     Terreni       umidi  ≈106‐107   (≡1‐10Ωm)     sabbiosi  ≈108          (≡100Ωm)     rocciosi  >109         (≡1 kΩm)     Semiconduttori       germanio  ≈107               (≡10Ωm)     silicio  ≈108             (≡100Ωm)     Isolanti       Acqua distillata  ≈1010          (≡10 kΩm)     Porcellana  ≈1010        (≡10 kΩm)     Vetro  ≈1016        (≡10 GΩm)     

 § A6.2 Resistività superficiale 

 La resistività superficiale viene definita per elementi di copertura di piccolo spessore (es.  vernici)  considerando  il  rapporto  tra  la  resistività  (ordinaria, di  volume)    e  lo 

spessore  del  provino;  dalla  relazione bl

blR sρ

δρ =

⋅=   si  ricava  che  la  resistività 

superficiale  può essere letta come la resistenza di un resistore “a piastrella quadrata”  di  spessore  δ. La  resistività  superficiale  si misura quindi    in  [Ω] o meglio  in  [Ω]/� (ohm  su  quadratino).  La  misura  di  resistività  superficiale  può  dare  ad  esempio direttamente  la  misura  dello  spessore  del  rivestimento  (coating),  conoscendo  le caratteristiche di volume del rivestimento. Ad esempio un “velo” di alluminio di 0.1 mm  di  spessore  determina  una  resistività  superficiale  di  circa  2,5  μΩ,  un  velo  di grafite  dello  stesso  spessore  presenta  una  resistività  superficiale  di  1  mΩ.  La conducibilità superficiale è il suo inverso [S]. Per  componenti  in  materiale  omogeneo  di  notevole  spessore,  ma  con  “velo” superficiale  naturale  ovvero  formatosi  per  idrolisi  od  altro    processo  dovuto  al contatto  con  altro  materiale,  si  può  procedere  alla  misura  di  resistenza  tra  due elettrodi  a  coltello  di  larghezza  1  cm,  posti  sulla  superficie  alla  distanza  di  un centimetro.  Dal  confronto  tra  il  valore  di  resistenza  così  trovato  ed  il  valore calcolabile con la resistività di volume del materiale, si può avere una stima del crollo di resistività (media di volume) del “velo” superficiale. Si riporta il confronto, per materiali tipicamente considerati isolanti, tra la resistività di volume e la resistività superficiale (detta anche resistenza specifica di isolamento superficiale) Materiale  Resistività  di  volume 

[Ωm] Resistività  superficiale [Ω/�] 

Vetro  1011‐1014  106‐1012 Porcellana  1012‐1013  109‐1012 Ebanite  1013‐1016  109‐1015 Mica  1011‐1013  109‐1012 Quarzo  1017  108‐1012  

 §A6.3  Prove meccaniche e tecnologiche   Prova a trazione  In tali prove vengono determinati i limiti di elasticità, snervamento e rottura, in particolare il modulo di elasticità, l’allungamento a rottura e lo strozzamento.  Il provino ha la forma standard indicata in fig.1     

Si equiparano le prove a sezione diversa con quelle del provino di diametro  

00 13.1 Ad =  Il provino si classifica corto se  00 5dl =  oppure lungo se  00 10dl =  In  fig.2  si  riporta  il  risultato  di  una  tipica  prova  di  trazione.  Sull’ascissa  è  riportato 

l’allungamento  percentuale    1000

% llΔ

=ε ,  sulle  ordinate  la  tensione  media  di  trazione 

⎥⎦⎤

⎢⎣⎡= 2

0 mmkp

AFσ  

 

Ao

Ao

Ao

do

Lo

   Il  tratto A  costituisce  la zona di  elasticità,  il punto P  il  limite di proporzionalità;  in  tale regione la deformazione è proporzionale allo sforzo 

σσαεY1

==  

Y rappresenta il modulo di elasticità e corrisponderebbe alla tensione necessaria (in regime elastico) ad avere un raddoppio della lunghezza (ε=1).  Il  punto  S  rappresenta  il  limite  di  snervamento,oltre  il  quale  si  verifica  un  marcato allungamento del provino, anche con (piccola) riduzione della tensione.  La zona tra P ed S è ancora di elasticità, ma non di proporzionalità, per cui si definiscono anche  dei  punti  caratteristici;  ad  esempio  σ0.2  rappresenta  la  tensione  per  cui  si  ha  un allungamento “extra” del 2%, in assenza di snervamento  Il punto B definisce il limite di stabilità; non può essere applicata al provino una tensione maggiore  di      σB;  un  qualsiasi  allungamento  porta  inevitabilmente  al  collasso,  che  si verifica    ad un  allungamento  δ  (lunghezza  relativa di  rottura),  con una  corrispondente valore  residuo della  tensione; alla rottura si  indica  la sezione attraverso  il coefficiente di strozzamento.  I valori massimi della tensione in zona elastica vanno da 100 kp/mm2 per l’acciaio indurito in  olio,  a  20  kp/mm2  per  la  ghisa,  a  15  kp/mm2  per  il  rame  tenero,  a  12  kp/mm2  per 

A

δ

P

E

1000

% llΔ

S B

⎥⎦⎤

⎢⎣⎡= 2

0 mmkp

AFσ

l’alluminio laminato a caldo. Gli allungament a raootura vanno da circa il 10% per l’acciaio al 50% per il rame tenero. La validità dei valori  riportati dpendono dalla  ripetività delle prove, dal  controllo della temperatura  (all’aumentare  della  temperatura  mediamente  diminuisce  la  tensione  a rottura ed aumenta l’allungamento a rottura) e dal tempo di esecuzione della prova.  Le prove di durezza consistono nel valutare la deformazione ottenute premendo con una forza F  il provino con un altro corpo (sfera d’acciaio, metodo Brinnel; punta di diamante a cono, metodo Rockwell; punta di diamante sfacciata con angolo diedro, metodo Vickers).  La  prova  del  colpo  di  taglio  consiste  nell’applicare  una  forza  in  corrispondenza  della sezione ridotta opportunamente ricavata in un provino.  Le  prove  metallografiche  consistono  nell’esame  macroscopiche  e  microscopiche  di materiali soggetti ad attacchi corrosivi.  Alcune prove non distruttive consentono  l’esame di proprietà e difetti di materiali senza comprometterne l’integrità: ‐  esperienze ed osservazioni con raggi X ed raggi γ; ‐  prove con ultrasuoni; ‐  prove elettriche e magnetiche ( correnti parassite indotte e scariche parziali). 

  §A6.4 Classificazione dei materiali per siderurgia  Materiali ferrosi :   ‐ ferro 

‐  acciai  legati  (speciali  proprietà,  magneti  permanenti,  ferro dolce) ‐acciai non legati (per costruzioni, acciai compensati) 

      ‐ ghise  Materiali non ferrosi:   ‐ materiali d’uso:           ‐ materiali pesanti (rame, piombo, nichelio, zinco, stagno)           ‐ materiali leggeri (Alluminio, magnesio, titanio)           ‐ materiali nobili (mercurio, oro, argento, platino)  

‐  arricchitori  d’acciaio  (manganese,  wolframio,  molibdeno, cobalto, cromo, vanadio); 

        ‐materiali per leghe (cadmio, antimonio, arsenico, berillio)  Caratteristiche dei non metalli: buona conducibilità termica ed elettrica; buona resistenza alla corrosione, buona lavorabiltà; prezzo elevato (per estrazione e trasporto). 

 Scelta dei materiali per linee di alimentazione 

 Requisiti elettrici: bassa resistività η, basso coefficiente di temperatura α, possibilità di isolamento del conduttore.  Requisiti meccanici: elevata resistenza alla  trazione, comportamento  ʺelasticoʺ, resistenza alla torsione ed al piegamento, durezza (per i contatti), resilienza.  Requisiti  termici:  conducibilità  termica  elevata,  coefficiente  di  dilatazione  termica  bassa;  alta temperatura di fusione, saldabilità  Requisiti tecnologici: malleabilità, duttilità  Requisiti chimici: assenza di reazioni con altri metalli, non corrodibilità  I materiali più  comunemente  impiegati per  linee  aeree  sono  il  rame  e  lʹalluminio  (e  sue  leghe).  Il rapporto di  impiego  rame/alluminio  si va attualmente abbassando. La produzione dellʹalluminio  si aggira intorno a 3 106 t/anno.  LʹALLUMINIO  Grado di purezza  Alluminio   puro  99.99%     da fonderia  99.95 %     elettrolitico  99.5%   Resistività  η  ‐θo=293 K 

[Ω mm2 /m ]≡[μΩ m] 

Conducibilità  γ  ‐θo=293 K [MS/m] 

Alluminio ricotto  0.0278  36.0 Alluminio puro   0.028264  35.4  Le prestazioni meccaniche sono piuttosto modeste, inferiori anche a quelle del rame. Le caratteristiche chimiche sono abbastanza buone: si forma uno strato superficiale di ossido autoprotettivo isolante. In presenza di metalli nobili e di umidità si decompone.  Caratteristiche tecnologiche cristallo  cubico a facce centrate   densità  2700  kg/m3 punto di fusione  660  °C conducibilità termica  0.5  Cal/cm s K conducibilità elettrica  36  MS/m coeff di temperatura della resistività  0.0041 

K ‐1 

resistenza a trazione  2‐4  kg/mm2 max allungamento %  30‐35  % modulo di elasticità  7250  kg/mm2  L’alluminio ‐ non si presta ad essere formato per fusione a causa della facilità ad assorbire ossigeno; ‐ si presta ad essere lavorato in diversi modi sia a freddo che a caldo;  si può ridurre a fili sottili o a fogli fino a 0.004 mm di spessore (armature per condensatori) La temperatura di riformazione è circa 500°C, quella di ricristallizazione circa 300°C. 

‐  La  saldatura  è  notevolmente  difficile  a  causa  della  presenza  dell’ossido  superficiale  che  fonde  a temperature elevate.  LEGHE DI ALLUMINIO 

Lʹalluminio  viene  anche  formato  con  i  seguenti  elementi  (si  riduce  sempre  la  conducibilità  γ  ai  valori appresso indicati in percentuale rispetta alla conducibilità del rame campione) Aldrey  Al+(Si,Mg)  γ=87%;  σ=30‐35 kg/ mm2 Anticorodal (anticorrosiva) 

Al+Si(1%)+Mg(0.6%)+Mn(0.3%) 

   

 Svantaggi dellʹalluminio: 1) solidità meccanica più bassa 2) collegamenti più difficili 3) più alta propensione alla corrosione 4) a parità di  resistenza, diametro maggiore  In tab 2 è riportato il confronto tra le caratteristiche di conduttori di pari resistenza e diversa natura Tab.2    Rame  Alluminio  Aldrey  Zinco  Ferro Sezione  100  160  180  340  800 diametro  100  127  135  184  284 peso  100  50  55  265  700   IL RAME  Il reticolo del rame è cubico a facce centrate. Dimensione del nucleo 0,01 pm, distanza tra i nuclei 300 pm Le prestazioni meccaniche sono piuttosto modeste rispetto a quelle dell’acciaio;  il  limite di snervamento si 

attesta intorno ai valori di σ= 22÷24 kg/mm2; il carico di rottura non supera comunque i 38 kg/ mm2. Tali valori decrescono con la temperatura. Le caratteristiche chimiche sono abbastanza buone: si forma uno strato superficiale di ossido autoprotettivo o di carbonato Cu2(OH) 2C03 autoprotettivo.  Caratteristiche  tecnologiche  del  rame.  Le  caratteristiche  meccaniche  dipendono  dal  tipo  di  lavorazione subito dal materiale. cristallo  cubico a facce centrate   densità  8890  kg/m3 punto di fusione  1083  °C conducibilità termica  0.0934  Cal/cm s K conducibilità elettrica  58  MS/m coeff di temperatura della resistività  0.00428 

K ‐1 

resistenza a trazione  6  kg/mm2 max allungamento %  45  % modulo di elasticità  12750  kg/mm2  Il rame ‐ non si presta ad essere formato per fusione, in quanto ad alta viscosità; 

‐  è  altamente duttile  e  quindi  si  presta  ad  essere  lavorato  per  stampaggio  sia  a  freddo  che  a  caldo; per lavorazioni a freddo si possono avere variazioni della sezione del 90%. ‐ la saldatura con piombo e stagno è ottima; non è saldabile con l’alluminio.  Va  ricordato  l’impiego  del  rame,  oltre  che  nelle  condutture  elettriche  (in  ragione  dell’alto  valore  della conducibilità,  della  resistenza  alle  intemperie  ed  alla  corrosione),  nelle  apparecchiature  chimiche  (per  le caratteristiche di stabilità chimica e di  formabilità) e nella galvanotecnica  (in ragione della posizione nella scala di elettronegatività) .  Il rame ad alta purezza può essere ottenuto in presenza di ossigeno (rame elettrolitico 99.9% ‐ rame raffinato 99.5%) o in assenza di ossigeno (elettrolitico 99.92%, raffinato 99.75%). La presenza di ossigeno permette maggiore lavorabilità a caldo; dalle impurezze si formano ossidi insolubili e non viene pregiudicata la conducibilità e la plasticità. La presenza di ossigeno,  tuttavia, durante  la  lavorazione a caldo  in presenza di  idrogeno, può portare   a formazione di vapor d’acqua ad elevata pressione con conseguente infragilimento del metallo.  Le norme CEI riportano i valori della resistività del rame a seconda del grado di purezza  Grado di purezza  (grado% :IACS) (int.anneal. cupper sample) 

Resistività  η  ‐ θo=293 K 

[Ω mm2 /m ]≡[μΩ m] 

Conducibilità  γ  ‐ θo=293 K [MS/m] 

103.5 (valore limite teorico)  0.0166  60.0 100  (rame  tecnico,  ricotto,    campione internazionale) 

0.017241  58.0 

98  0.01759  56.8 97 (rame crudo)  0.01787  56.0 “tipo 50”  0.0195  51.3 “tipo 60”  0.0210  47.6   Per  le  condutture  ordinarie  si  adopera  il  rame  crudo;  il  rame  ricotto  si  impiega  solo  per  accessori  (es. giunzioni).   LEGHE DI RAME  

Il rame viene anche formato con i seguenti elementi (si riduce sempre la conducibilità γ ai valori appresso indicati in percentuale rispetto alla conducibilità del rame campione)    Zinco (Zn)  (ottoni)     Stagno (Sn)  (bronzo fosforoso)     Zn + Sn       Al/P/Mn/Be  (bronzi speciali)     Ni/Zn       Sn/Mg/Zn/Cd/Te/Zr      A seconda del contenuto dei suddetti elementi distinguiamo:  ‐ rame bassolegato (elementi presenti in misura inferiore all’1%):   a) rame all’argento: può lavorare a temperature elevate; impieghi: lamelle per collettori.   b) rame al cadmio‐stagno: elevata resistenza all’usura ad arco; impieghi: lamelle per collettori. 

 ‐ rame a titolo elevato (elementi presenti nella misura tra l’1% e il 5%):   a) Cu+Si(3%)+Mn(0.7‐1.5%) : elevata resistenza meccanica, elevata resistenza alla corrosione, elevata resistività. 

  b) Cu+Be(1.6‐2.1%) : elevato carico di rottura (140 kg/ mm2); γ=24%; 

  c) Cu+Ni(1‐4.5%)+Si : elevato carico di rottura (65 kg/ mm2)  ‐ leghe di rame (elementi presenti in misura superiore al 5%):  

  ‐ Ottone [Cu+Zn(10‐35%)]: σ= 37÷67 kg/mm2 ; γ=44‐27%; 

  ‐ Bronzi fosforosi [Cu+Sn(2‐10%)] σ= 39÷90 kg/mm2 ; γ=48‐11%; una certa quantità viene aggiunta per eliminare l’ossigeno presente.   ‐ Cupronichel (Cu+Ni+Zn)+Mn(10‐25%) 

- Cu+Mn(12%)+Ni(4%) per resistori di precisione.    IL PIOMBO  Grado di purezza  Piombo   puro  99.985%     da fonderia  99.9 %     da rifusione  99.85%  Caratteristiche tecnologiche  cristallo  cubico a facce centrate   densità  11330  kg/m3 punto di fusione  327  °C conducibilità termica  0.084  Cal/cm s K conducibilità elettrica  48  MS/m coeff di temperatura della resistività  0.0042 

K ‐1 

resistenza a trazione  1÷2  kg/mm2 max allungamento %  30  % modulo di elasticità  1750  kg/mm2       Impieghi:   placche accumulatori     mantello per cavi  (per le proprietà di resistenza alla corrosione)  IL MERCURIO  Grado di purezza  Mercurio   puro  (distillato sotto vuoto)     amalgama Metallo nobile (resistente alla corrosione) Elevata tensione superficiale Proprietà catalitiche   Caratteristiche tecnologiche  

densità  13550  kg/m3 punto di fusione  ‐38.9  °C punto di ebollizione  357  °C conducibilità termica  0.025  Cal/cm s K conducibilità elettrica  10  MS/m coeff di temperatura della resistività  0.009 

K ‐1 

 Impieghi:   contatti  MATERIALI PER RESISTORI  Per  ottenere  valori  di  resistività  relativamente  elevati  con  materiali  metallici  o  comunque  ad  elevate prestazioni, si devono considerare significative impurità e/o deformazioni del reticolo cristallino. Possiamo distinguere due casi:  a) mescola di più cristalli di atomi diversi; b) cristalli formati con atomi diversi (leghe).  

Nel caso a), detta η1 la resistività del metallo base e η2 la resistività del metallo “intruso” di concentrazione cz, la resistività “equivalente” può essere scritta come: 

( ) ( )η η η η η ηeq z z zc c c= − + = + −1 2 1 2 11   Come si nota, la resistività è proporzionale alla concentrazione di impurità.  Nel caso b), si hanno notevoli variazioni dei valori di resistività. Nel caso di leghe a due componenti, i più alti valori di resistività si hanno per proporzioni quasi uguali delle due componenti. Tuttavia occorre tener conto dei legami intermetallici che modificano la struttura del reticolo.  Per le leghe risulta verificata la seguente regola di MATTHIESEN: η α η αmetallo metallo lega lega=  ossia  risulta  costante,  al  variare  della  concentrazione,  il  prodotto  della  resistività  per  il  coefficiente  di temperatura, per cui le leghe presentano resistività assai meno sensibile alla temperatura rispetto al metallo puro.  

 A6.5 Conduttori non metallici: il carbonio  

Il  Carbonio  si  trova  in  due  forme.  La  forma  cristallina  include  il  diamante  e  la grafite, la forma amorfa include il carbon‐black e il coke. 

La maggior parte del carbonio per applicazioni elettriche è ottenuto da una miscela di carbone  in polvere o grafite e  leganti (pece o resine)   che vengono mescolati, estrusi e quindi cotti a 900°C rimuovendo l’aria e i residui volatili. Il prodotto può essere convertito in elettrografite in forni in assenza di ossigeno, a temperature superiori a 2200°C.  

La resistività del carbonio ha un coefficiente di temperatura negativo (la grafite ha un comportamento più complesso). 

Il Carbonio ha molte applicazioni nei contatti striscianti: 

a)  deve  consentire una  connessione  strisciante  valida  (dal punto di  vista  elettrico  e della durata); 

b)  deve consentire gli opportuni fenomeni di conduzione tra le superfici in contatto; c)  per  impedire  formazione di  scariche,  il  contatto deve presentare una  significativa 

resistenza.15  Il  carbonio  è  anche  usato  nelle  lampade  ad  arco. Gli  elettrodi  di  carbonio  contengono diversi  sali  metallici  (calcio,  cobalto,…)  per  variare  il  colore  della  luce  dell’arco (dall’ultravioletto all’infrarosso). 

15 Si ricorda che la resistenza di contatto varia notevolmente con la pressione fra le parti

§A6.6 SOLUZIONI ELETTROLITICHE  Mentre nei metalli  i  fenomeni di  conduzione non  comportano modificazioni dello  stato chimico, ciò avviene per le soluzioni elettrolitiche. Nel caso di presenza in un circuito di tratti costituiti soluzioni elettrolitiche siamo di fronte a meccanismi di conduzioni differenti: prevalentemente ionica nella soluzione, elettronica negli altri tratti. Le differenti mobilità delle specie influenzano il comportamento delle soluzioni in regime dinamico.  I  consistenti  fenomeni  di  polarizzazione  e  le  reazioni  chimiche  agli  elettrodi influenzano anche il comportamento in regime stazionario.  La  conducibilità di un  elettrolita  è  legata  alla  concentrazione  ed  alla mobilità degli  ioni positivi e negativi: 

−−++ += μμσ enen  La conducibilità di un elettrolita va misurata a frequenza abbastanza elevata (1000 Hz) per poter trascurare l’influenza delle reazioni chimiche agli elettrodi (un resistore elettrolitico è  generalmente  rappresentabile  con  una  resistenza  in  serie  a  due  capacità  di  valore elevato, ad es 100 μF.  All’interfaccia  elettrodo‐soluzione    si  ha  quindi  un  trasferimento  di  carica,  ossia  una trasformazione  chimico‐fisica  nel  corso  della  quale  le  specie  presenti  nell’elettrolita accettano  o  cedono  elettroni  scambiati  con  il metallo. Per  la  conservazione della  carica, sarà dunque da considerare il processo anodico ed il processo catodico. Ad esempio, in un processo di trasporto che veda impegnati ioni positivi sia di idrogeno che di rame, al catodo è più agevole la cattura degli ioni rame  rispetto agli ioni idrogeno Gli elettroliti si distinguono in: 

a)  elettroliti  forti  (acidi  forti e basi forti, sali  in generale) (conducibilità dell’ordine di 10 S/m,  sensibilmente proporzionale alla concentrazione di soluto). La deviazione dalla legge lineare è generalmente ascrivibile alle interazioni ioniche; 

b)  elettroliti deboli  (acidi deboli  e  basi deboli),  con  conducibilità dell’ordine di  0,01 S/m, poco variabile con  la concentrazione  in quanto  le molecole  in soluzione sono dissociato solo in una frazione α del numero totale. 

 Spesso  viene  introdotta  la  conducibilità  equivalente Λ,  riferendo  la  conducibilità  σ  alla concentrazione c. Negli elettroliti  forti, per concentrazioni non basse, Λ assume  il valore limite  Λo,  corrispondenti  alla  mobilità  limite  delle  specie  ioniche,  mentre  per concentrazioni basse, il valore della conducibilità equivalente diminuisce per l’interazione (di attrazione) tra le specie di segno opposto. Per elettroliti deboli, le mobilità delle specie ioniche  variano molto  poco  con  la  concentrazione,  per  il  basso  grado  di  dissociazione. Anzi  la misura  dell  conducibilità  permette  di  valutare  anche  il  grado  di  dissociazione α=Λ/Λo (essendo Λo la conducibilità equivalente a diluizione infinita)   

§A6.7 La conduzione elettrica nei semiconduttori  I  materiali  semiconduttori  (solfuro  di  piombo,  silicio,  selenio,  germanio,…)  hanno conducibilità  notevolmente  più  bassa  dei  metalli.  Trattasi  in  genere  di  materiali tetravalenti  con  legami  di  valenza  stabili  che  diventano  labili  all’aumentare  della temperatura, rendendo disponibili   elettroni alla alla migrazione  (conduzione  tipo n). La lacuna  lasciata  dall’elettrone  può  quindi  spostarsi  ed  è  equivalente  al moto  di  cariche positive (conduzione tipo p). La conducibilità  intrinseca vale 

nnpp enen μμσ +=   Aggiungendo  ad  un  semiconduttore  base  (es.  germanio)  un  elemento pentavalente  (es. arsenico,  fosforo, antimonio),  si ha un eccesso di elettroni disponibili per  la  conduzione (portatori maggioritari), con un aumento di diversi ordini di grandezza della conducibilità (drogaggio  e  conduzione  tipo n);  le  lacune  (portatori minoritari  ) hanno  concentrazione molto più bassa. L’opposto  accade  in  caso di drogaggio  con  atomi  trivalenti  (es. boro);  in questo  caso  la conduzione di tipo p è prevalente (le lacune sono i portatori maggioritari). Le giunzioni di materiali con drogaggio p ed n presentano caratteristiche di conduzione fortemente  asimmetriche  e  possono  essere  usate  per  la  realizzazione  di  componenti raddrizzatori  con eventuale possibilità di controllo. 

 §A6.8  Materiali per isolamenti  Nelle strutture di isolamento (isolamenti solidi) si riscontrano  i seguenti materiali:  - isolanti “reali”, con caratteristiche di conduzione non desiderata, legata in genere ad 

effetti termici, di campo o ad impurezze; - conduttori deboli o semiconduttori, volutamente adoperati per modificare o controllare 

la distribuzione della sollecitazione elettrica (esempio negli isolatori passanti o sulle terminazioni di cavo). 

 Gli  isolanti  presentano  bande  di  valenze  piene,  separate  marcatamente  (ΔW>>kT)  da bande di conduzione. 

 I legami fondamentali sono i seguenti: - legame  ionico, dovuto alla  forte attrazione di  ioni di segno opposto  (es Na+ Cl‐ nel 

cloruro di sodio; - legame covalente, quando gli atomi hanno gli orbitali interni completi e quattro o più 

elettroni sull’orbitale esterno e possono condividere questi elettroni  in coppia con altri atomi 

 La  conduzione  elettrica  nei  cristalli  ionici  può  derivare  dal movimento  degli  ioni  nel reticolo  (conduzione  intrinseca, che diviene  importante ad alta temperatura), o anche dalla presenza  di  impurità  (conduzione  estrinseca,  che  può  essere  significativa  anche  a  bassa temperatura).  In un  cristallo  ionico “perfetto” occorrerebbero  campi dell’ordine di 1‐100 MV/cm per  avere  spostamenti degli  ioni. Negli  isolanti  reali, movimenti  ionici possono avvenire  anche  con  campi  elettrici  di  intensità  notevolmente  inferiore:  la  presenza  di imperfezioni nel reticolo può agevolare il movimento degli ioni. 

 §A6.9 Conduzione intrinseca (negli isolanti cristallini e polimerici) 

 Si  interpreta  quindi  la  conduzione  ionica  intrinseca  come  dovuta  a  difetti  di reticolazione. I più noti difetti sono quelli di Frenkel (fig.7.1a) e di Schottky (fig.7.1b): nel primo caso si crea una occupazione  interstiziale ed una  lacuna, nel secondo caso‐ molto  più  frequente‐  si  ha  una migrazione  ionica  verso  la  superficie  (simmetrica). Anche  in  questi  casi  il  movimento  degli  ioni  è  interpretabile  come movimento  di lacune (di senso opposto alla migrazione degli ioni). Per  ricavare  un’espressione  per  la  conducibilità  intrinseca,  consideriamo  che  la probabilità che uno ione o una lacuna migri è legata ad una “energia di attivazione” Wa sia del tipo 

⎟⎠⎞

⎜⎝⎛−⋅=

kTW

Ap aexp*  

In  presenza  di  un  debole  campo  E  la  probabilità  di  uno  scorrimento  a  (passo  del reticolo) dello ione nella direzione del campo vale, in prima approssimazione  

)/(** kTEeappt =  la  densità  di  corrente,  la  conducibilità  e  la  mobilità  possono  essere  ricavate  di conseguenza 

⎟⎠⎞

⎜⎝⎛−⋅⎟⎟

⎞⎜⎜⎝

⎛⋅==

⎟⎠⎞

⎜⎝⎛−⋅⎟⎟

⎞⎜⎜⎝

⎛⋅==

⎟⎠⎞

⎜⎝⎛−⋅⎟⎟

⎞⎜⎜⎝

⎛⋅==

kTW

kTaeA

ne

kTW

kTaenA

EJ

kTW

kTaEenAeanpJ

a

a

at

exp

exp

exp

2

22

22*

σμ

σ  

  Se  la  migrazione  di  cariche  è  dovuta  differenti  meccanismi  (anche  diversi  da  quelli descritti), l’espressione della conducibilità tiene conto dei diversi contributi. 

∑ ⎟⎠⎞

⎜⎝⎛−=

kTW

C ii expσ  

La  conducibilità  può  avere  diversi  andamenti  in  funzione  della  temperatura.  Ad  esempio, all’aumentare della temperatura, gli ioni d’impurità possono migrare più facilmente negli interstizi e quindi aumenta  in misura più marcata  la conducibilita. Viceversa può accadere che  le  impurità vadano a bloccare ad alta temperatura le lacune e quindi la conducibità aumenta di meno al crescere della temperatura.. 

 §A6.10 Conduzione estrinseca (negli isolanti cristallini e polimerici)  Tale  tipo di conduzione può aver  luogo per  la presenza di  ioni di  impurità o di molecole facilmente  ionizzabili.  Si  può  valutare  che  il  contributo  di  conducibilità  “estrinseca” appare come  

⎟⎠⎞

⎜⎝⎛ Δ

−⋅⎟⎟⎠

⎞⎜⎜⎝

⎛≈

kTF

kTeandd exp

22

σ  

dove nd è il numero di vacanze indotte dalla presenza di impurità. Alcuni tipi di cristalli presentano conducibilità molto maggiore di quella prevista, a causa della loro struttura complessa (es. strutture planari a diversa densità). Ad esempio nella β‐allumina  322 11 OAlONa ⋅   v’è  un  eccesso  di NaO;  gli  ioni  sodio  occupano  i  piani meno densamente disposti, mentre gli ioni O in quelli più addensati. Questa disposizione porta ad una conducibilità molto maggiore della soluzione di NaCl. Altri cristalli che mostrano queste proprietà  sono  compositi  tipo RbAg4I5  e LixTiS2, utilizzati negli  accumulatori  (gli ioni  Litio  presentano  una  notevole  mobilità).  In  molti  di  questi  casi  si  manifestano evidentemente marcate anisotropie (la conducibilità non può essere rappresentata da uno scalare). Per esaltare la conduzione estrinseca sono da ricordare: a)  l’impiego di sistemi multifase (vengono inclusi polveri conduttivi, grani, fibre,..); b)  l’uso di droganti come per i semiconduttori (ad esempio il poliacetilene drogato con ioni clorato e iodo).  

 Appendice A7 

 CENNI SUI GENERATORI DI TENSIONE STAZIONARIA16  I generatori di forza elettromotrice stazionaria si possono suddividere in: 

a) generatori primari di f.e.m b) generatori secondari. c) sistemi con raddrizzatori (convertitori a.c./d.c. ) I generatori primari e secondari vengono detti rispettivamente pile ed accumulatori (o pile  reversibili).  Il principio di  funzionamento  si basa  sulla  creazione di un  campo impresso in catene di conduttori di prima classe (elettrodi di materiali solidi diversi) e conduttori di seconda classe  (elettroliti).  I simboli corrispondenti sono riportati  in fig.1 a), b).  I  sistemi  di  raddrizzamento  prevedono  lʹuso  di  elementi  non  lineari  (diodi,  diodi controllati o  tiristori), per ottenere una  tensione praticamente continua a partire da una  tensione  sinusoidale  (fig.1,c).  Essi  sono  largamente  impiegati  in  ambito industriale ( Elettronica di potenza ) e in buona parte delle utilizzazioni domestiche per cui sia prevista la regolazione delle prestazioni. Non saranno trattati in questa nota. 

+

E

a) b) c)

a.c. d.c.

 fig.1 

I generatori primari principali sono: ‐  la  pila  Leclanchè,  comunemente  impiegate  in  commercio,  f.e.m.  di  circa  1,5  V, elettrodi di zinco e grafite, impiegante una gelatina di cloruro dʹammonio (NH4CL) come elettrolita e il biossido di manganese (MnO2) come depolarizzante; ‐  la  pila Daniell  (1836),  elettrodi  in  rame  e  zinco,  soluzioni  di  solfato  di  rame  e solfatp di zinco separate da setto poroso, f.e.m. pari a circa 1,09 V ‐ la pila Weston (1893, pila campione 1.0186 V, elettrolita CdSO4).  I generatori secondari più diffusi in commercio sono: ‐ accumulatori al piombo‐acido 

16per maggiore approfondimento vedasi : [7] F. BAROZZI, F. GASPARINI, Fondamenti di Elettrotecnica - Elettromagneti-smo, ed. UTET, Torino, 1989, §III-4

‐ accumulatori al ferro‐nichel ‐ accumulatori al nichel‐cadmio Altri tipi di accumulatori a prestazioni molto più elevate sono stati sviluppati per usi spaziali, ma il loro costo resta proibitivo‐ In fig.1.2 è rappresentata la cella elementare con gli elettrodi, lʹelettrolita, i morsetti 

+ -

PbO2

Pb

soluz. acquosa di acido solforico  fig.1.2 

La f.e.m. E (uguale alla tensione a vuoto teorica ai morsetti) varia con la temperatura e  la densità dellʹelettrolita (per  le celle al piombo‐acido di circa 100###V/K   e di 100 mV per ogni 10% di variazione della densità relativa). Ai  morsetti  la  tensione  a  vuoto  sarà  in  genere  pari  a  E‐Ep,  dove  la  forza controelettromotrice Ep è originata in fase di scarica da rivestimenti isolanti (PbSO4) formati sugli elettrodi, dalla diminuzione di concentrazioni ioniche, dalla formazione di gas liberi (H2). La f.c.e.m. dipende anche dalla intensità di corrente erogata e può essere  limitata  (nei  generatori  primari)  con  particolari  pre‐trattamenti  superficiali degli elettrodi. Negli accumulatori  i  fenomeni di polarizzazione e depolarizzazione sono connessi in modo essenziale alle fasi di scarica e ricarica. Gli accumulatori sono oggetto di normativa del CEI 21‐3 fasc 1258 (1989)  

Accumulatori al piombo‐acido Gli elementi dellʹaccumulatore sono: a)  piastre,  di  spessore  variabile  da  1.25 mm  a  20 mm  circa,  di  piombo  spugnoso (elettrodo negativo) o di ossido di piombo (elettrodo positivo); esse sono del tipo: ‐  formate  (Plantè)  :  la piastra originaria  è di piombo puro,  che poi viene  attaccata chimicamente per formare uno strato superficiale sottile di biossido di piombo ‐  impastate  (Faure):  su  una  griglia  di  sostegno  (lega  di  piombo  con  il  4‐12%  di antimonio) viene assestata una pasta di polvere di piombo con acido solforico diluito (piastra positiva); un  altro  tipo di pasta  viene usata per  la piastra negativa; per  il funzionamento effettivo,  le due piastre vengono  immerse  in una soluzione di acido solforico e sottoposte a passaggio di corrente: in tal modo si avrà la piastra allʹossido di piombo (+) e piombo spugnoso(‐). Ogni elemento (coppia di piastre) genera una f.e.m. di circa 2 V. 

 b) sbarre  di connessione e morsetti (fig.3), realizzate in genere in lega di piombo ed antimonio 

+-

 fig.3 

c)  separatori,  inseriti  tra  le  piastre  positive  e  negative  adiacenti  per  evitare cortocircuiti d) elettrolita: soluzione acquosa di acido solforico, densità 1.2‐1.3 e) contenitori in vetro, in plastica, in ebanite  Il  modello  di  funzionamento  elettro‐chimico  di  accumulatori  al  piombo  non  è definitivamente assestato;  le diverse  interpretazioni risalgono al secolo scorso e non si sono avute negli ultimi decenni significativi progressi in materia. Si può tuttavia ritenere che agli elettrodi avvengano globalmente le seguenti reazioni: 

anodo

catodo

PbO H SO e PbSO H O

Pb SO PbSO e

scarica

caricascarica

carica

2 4 4 2

4 4

4 2 2

2

+ + +⎯ →⎯⎯← ⎯⎯⎯

+

+⎯ →⎯⎯← ⎯⎯⎯

+

+ −− −

−− −

  Caratterizzazione elettrica di un accumulatore  Fase di carica: 

+

r

accumulatorecaricabatteria

V

I

 fig.4 

La tensione ai morsetti vale V= E + r I e varia tra 2.1 V (accumulatore scarico) e 2.8 V (accumulatore carico), come si ricava dalla caratteristica di carica a corrente costante (fig.5) 

ore

0,000,501,001,502,002,503,00

1 2 3 4 5 6 7 8 9

  fig.5 Carica di un accumulatore 

Fase di scarica: 

+

r

accumulatore

V

I

ER

 fig.4 

La tensione ai morsetti vale V= E ‐ r I e varia tra 1.7 V (accumulatore scarico) e 2.0 V (accumulatore carico), come si ricava dalla caratteristica di scarica a corrente costante (fig.5) 

ore

1,501,601,701,801,902,00

1 2 3 4 5 6 7

  fig.6 Scarica di un accumulatore 

Occorre  precisare  che  lʹaccumulatore  può  danneggiarsi  irreparabilmente  se  la tensione scende al disotto di circa 1.7 V per elemento‐ Per correnti più elevate, la scarica avviene in tempi decisamente più brevi. Si definisce capacità di un accumulatore la quantità di carica elettrica (normalmente espressa in Ah) che un accumulatore è in grado di erogare prima di portarsi al livello minimo  di  tensione;  la  capacità  nominale  viene  riferita  ad  una  scarica  ad  un determinato valore di corrente di  scarica costante  (es. 1 A). La capacità diminuisce sensibilmente con il valore della corrente di scarica (fig.7) 

A

0,002,004,006,008,00

10,0012,0014,00

1 2 3 4 5 6 7 8

 fig.7 Capacità di un accumulatore in funzione della corrente di scarica 

La  tensione nominale di batteria dipende dal numero di elementi collegati  in serie. Così per 3,6,12,24 elementi avremo le comuni batterie da 6,12,24,48 V. Date le vicende singole subite dai diversi componenti, che determinano valori di f.e.m. leggermente diverse tra i vari elementi, non è opportuno collegare in parallelo gli accumulatori. La resistenza interna di un accumulatore va definita con una certa cautela. Per una prima  valutazione,  si  possono  indicare  valori  di  0,1 Ω  per  accumulatori  nuovi  di piccole dimensioni  e valori di 0,0001 Ω per accumulatori di grandi dimensioni. Il rendimento di un accumulatore viene definito: in quantità di elettricità: 

ηes

c

s

t

c

tqq

i dt

i dt

s

c= = = −

∫0

0

0 90 0 95, ,

  

in energia: 

ηws

c

s s

t

c c

t

ww

v i dt

v i dt

s

c= = = −

∫0

0

0 75 0 80, ,

 Classificazione degli accumulatori: a) Stazionari : 900‐9000 Ah b) Trazione pesante : 100 ‐ 500 Ah c) trazione leggera : 50‐800 Ah d) sommergibili: fino a 12000 Ah  Manutenzione degli accumulatori: a)  la  vita  dellʹaccumulatore  dipende  dalla  purezza  dellʹelettrolita;  occorre  quindi evitare che venga a contatto con impurità: b) la densità dellʹelettrolita deve essere mantenuta tra 1.2 e 1.3 c)  occorre  evitare  temperature  troppo  elevate  (>45°C)  o  troppo  basse  (anche  se possono essere adoperati additivi per abbassare la temperatura di solidificazione) 

d)  evitare,  durante  la  carica,  che  lʹaccumulatore  ʺbollaʺ  a  lungo  (ossia  liberi idrogeno, tra lʹaltro pericoloso) 

e)  evitare intense correnti di carica e scarica f)  mantenere puliti morsetti e contenitore.  

   

Appendice  A8 

Magnetismo  

 

A8.1 ‐ Azione tra conduttori percorsi da corrente. Introduzione “sperimentale” di B 

Consideriamo, nel vuoto, due conduttori rettilinei indefiniti (fig.1) o di grande lunghezza L,  tra di  loro paralleli ed a distanza d ed ambedue  interessati da  corrente elettrica della stessa  intensità  I;  tra di essi  si esercita una  forza  (detta ponderomotrice)  che, per unità di lunghezza, vale in modulo 

⎥⎦⎤

⎢⎣⎡⋅== −

mN

dI

Lf

27102F

 (A.15.1‐1) 

se  I    è valutata  in due  riferimenti  antiparalleli o  “discordi”,  come  in  fig.1,  la  forza  è di repulsione, se “concordi”, di attrazione. 

La  (A.15.1‐1)  viene  utilizzata  per  la  definizione  dell’unità  di misura  dell’intensità  della corrente elettrica [A]. 

In  generale,  la  forza  ponderomotrice  dF  agente  su  elemento  tds  di  un  conduttore interessato da corrente di intensità I nello stesso riferimento t, può essere letta come 

BtF ×= dsId  (A.15.1‐2) 

dove  B  è  il  campo  (di  induzione)  magnetico,  che  quindi  viene  ricondotto  all’azione (elementare) di una corrente “elementare” (anche su scala microscopica fisica), ortogonale sia al conduttore che alla forza; se consideriamo ancora la configurazione fig.1, vista su un piano ortogonale al  foglio,  lungo una  circonferenza  centrata  sul primo  conduttore,  sulla quale si  immagina disposto  il secondo conduttore parallelo, B sarà sempre  tangente e di pari modulo (fig.2). Poiché un conduttore rettilineo interessato da corrente non è soggetto, per simmetria, a forze a causa del campo proprio, si deduce, integrando la (A.15.2) su un tratto unitario del secondo conduttore e confrontando la forza risultante con la (A.15.1‐1), 

[ ]TmA

NdI

≡⎥⎦

⎤⎢⎣

⎡⋅= −7102B  (A15.1‐3) 

I I 

F F 

I

B(P) 

B(Q)

P

Q

dove si è evidenziata l’unità tecnica tesla [T] a partire dalle unità fondamentali. 

 

 

 

 

 

    Fig. 1        Fig.2 

 

Con riferimento alla circonferenza di fig 2, di raggio r=d, si otterrà che 

Savart)Biotdi(legger

IBIIr

IrrBds −⋅=→⋅=⋅⋅==⋅ −−−∫ πππππ

2104104110222 77

27tB  

Ids 0μ=⋅∫ tB  

Si definisce quindi la costante  ⎥⎦⎤

⎢⎣⎡=⎥⎦

⎤⎢⎣⎡=⎥

⎤⎢⎣

⎡≡⎥⎦

⎤⎢⎣⎡⋅= −

mH

mAWb

mATm

ATm //104

27

0 πμ ; 

si può introdurre l’ intensità di campo magnetico H 

JHtBtH =×∇⇒=⋅=⋅ ∫∫ Idsds0μ (17) 

Per  definire  univocamente  i  campi  occorre  fissare  la  divergenza.  La  posizione 0=⋅∇ B consente di introdurre un potenziale vettore A tale che  BA =×∇ .  

Dalla (A15.1‐2) si può ricavare la forza specifica (per unità di volume) 

BJF×=

τdd

 

Conoscendo  la  distribuzione  delle  correnti  nello  spazio,  si  può  risolvere  l’equazione  di Poisson al potenziale vettore nello spazio vuoto (o omogeneo) ed ottenere  17 Nel caso non stazionario i campi magnetici dipenderanno anche dalle densità di corrente di spostamento.

Q’

Q

P(x,0)

dH’ 

dsQ 

rPQ 

α

dH

QPQ

Q

QPQ

QQPQ

QQPPQ

QPQ

QPQ

PQ

Q

dr

P

dr

drr

P

dr

Pdr

P

τπ

τπ

τπ

τπμ

τπ

μ

τ

ττ

ττ

∫∫∫

∫∫∫∫∫∫

∫∫∫∫∫∫

⎥⎥⎦

⎢⎢⎣

⎡×=

⎥⎥⎦

⎢⎢⎣

⎡⎟⎟⎠

⎞⎜⎜⎝

⎛∇×−=

⎥⎥⎦

⎢⎢⎣

⎡⎟⎟⎠

⎞⎜⎜⎝

⎛∇×−⎟

⎟⎠

⎞⎜⎜⎝

⎛×∇=

⎟⎟⎠

⎞⎜⎜⎝

⎛×∇=×∇=⇒=

3

0

0

41)(

14111

41)(

411)(

4)(

PQrJH

JJJH

JAH

JA

 

Nel caso di circuito filiforme, interessato da corrente di intensità I, si ricava 

QPQ

Q dsr

IP ∫⎥⎥⎦

⎢⎢⎣

⎡×= 34

)( PQrtH

π  

SPIRA CIRCOLARE 

Da questa espressione si può calcolare ad esempio il campo sull’asse di una spira in aria. 

 

 

 

 

Fig.3 

( )322

2

20

20

3 22

4sin2

44)(

ax

aIdra

raId

raIds

rIP

PQPQ

ππ

QPQ

Q+

==⋅=⎥⎥⎦

⎢⎢⎣

⎡×= ∫∫∫ α

παα

ππPQr

tH  

avendo considerato coppie di elementi circuitali diametralmente opposti, il campo risultante è diretto lungo l’asse della spira (fig.3) 

Al  centro  della  spira  si  ha          aIH

2)0( = .  Per  una  spira  di  raggio  1  cm,  interessata  da 

intensità di corrente di 1 A, l’intensità di campo magnetico al centro della spira vale 50 A/m e l’induzione magnetica circa 60 μT. 

SOLENOIDE CORTO E LUNGO 

Con le stesse considerazioni può essere calcolato il campo sull’asse di un solenoide “corto” di raggio a (fig.4) 

  22 22 rsenaNIdx

rsenaNIdxdH αα

⎟⎠⎞

⎜⎝⎛=⎟

⎠⎞

⎜⎝⎛=

ll 

 Considerato che r=a/senα, che x=a/tgα, dx=‐(a/sen2α) dα, si ha 

 

 

∫ ⎟⎠⎞

⎜⎝⎛−=⇒⎟

⎠⎞

⎜⎝⎛−=⎟

⎠⎞

⎜⎝⎛

⋅−=

2

1222 2

3

2

ε

ε

αααααα

α dsenNIHdsenNIa

senasenNIaddH

lll 

( )21 coscos22

)(2

1

εεααεπ

ε

+=⎟⎠⎞

⎜⎝⎛−= ∫

ll

NIdsenNIPH  

Se il solenoide è lungo il campo diventa uniforme e si ha 

nINIPH ==l

)(  

dove n è il numero di spire per unità di lunghezza. 

Indicando con S la sezione del solenoide, il flusso concatenato con una spira vale 

( ) nIaNI μπμ ==Φ 21 4

lS 

Il flusso concatenato con l’intero solenoide vale 

( ) ( )InaINNN μπμ ll

222

1 4 ==Φ=Φ  

ed il coefficiente di autoinduzione del solenoide lungo vale 

SnSNI

L N μμ ll

22

1==

Φ=  

Se ad esempio la lughezza del solenoide in aria con N=300 spire  è 30 cm, il diametro 5 cm, si ha L=738 μH. 

dx

l

a

P(x,0)

ε1 ε2

r

α

0 x

δ

l

a

0 x

Dalla  (A15.1‐2)  è  possibile  ricavare  la  sollecitazione  meccanica  su  un  solenoide  lungo. Considerando che  il campo all’interno è uniforme e   all’esterno è nullo, si può considerare che nella zona del conduttore vi sia un campo intermedio. Quindi 

aNI

F

dsNI

d

dsId

spira πμ

μ

l

l

02

02

2

=

=

×=

F

BtF

 

La forza su ogn elemento della spira è diretta verso l’esterno; le spire per unità di lunghezza sono N/L; quindi la forza esercitata sugli avvolgimenti del solenoide, per unità di lunghezza vale 

aNIF

πμ

2

20

2

lll =  

con una pressione 

20

22

02

20

2

2

20

2

21

22121 HIn

NIaaNI

SF

p μμμ

ππμ

===⋅

==lll l

pari cuiè all’energia magnetica per unità di volume (interno). 

SOLENOIDE LUNGO NON FILIFORME 

Sionsideri un solenoide di  lunghezza  l costituito da N spire massicce di spessore δ (oppure un gruppo equivalente di avvolgimenti stratificati in parallelo) (fig…) 

 

 

 

 

 

Il campo magnetico è costante all’interno del solenoide eè linearmente decrescente dal bordo interno al bordo esterno dell’avvolgimento. Pertanto, 

δδ

+≤≤−

=

≤≤=

araral

NIH

arl

NIH

"

0'

 

Il coefficiente di autoinduzione può essere calcolato  valutando l’energia magnetica associata al sistema 

 

( ) ( )

( ) ( )

( ) ( )[ ] ( ) ( )[ ] ( )[ ]

( )( ) ( ) ( ) ( )( ) ( ) ( )[ ][ ]{ }

( )[ ]δδπμ

δδδδδδδδδπμ

δδ

δδ

δδδ

δπμ

δδδ

δδπμ

πδδπμππμ

δδδ

ττ

++=

=+++++++++−+++=

=⎥⎦

⎤⎢⎣

⎡−++−+

+−−+

++=

=⎥⎦

⎤⎢⎣

⎡+

+−

++=

=⎥⎥⎦

⎢⎢⎣

⎡⎥⎦⎤

⎢⎣⎡ −+

+=⎥⎦

⎤⎢⎣

⎡+=+=

∫∫∫

∫∫+++

aal

N

aaaaaaaaaaal

N

aaaaaaaaal

N

drrdrrardraal

N

rdrral

Nl

aNrdrHIl

aNLLL

a

a

a

a

a

a

466

2382666

21

34

242

22"1"'

22

0

2222222

0

442

332

222

22

2

0

32

222

22

2

0

"

2222

0"

222

22

0

COEFFICIENTE DI MUTUA TRA SOLENOIDI SPESSI 

 

 

 

 

 

 

 

Poiché  risulta  M12=M21,  conviene  valutare  il  flusso  prodotto  dal  solenoide  esterno  (2), concatenato  con  il  solenoide  interno  (1). Esso viene valutato  considerando pesando  i  flussi conatenati con gusci elementari di spressore dr. 

x

R1e

l

dr

R1

0

( ) ( ) ( )

( ) 33

)(1

112

12

121031

31

11

210

2

11

210222

112

1021

1122

211

1

1

1

1

1

eeeqeq

e

e

R

Re

R

Re

R

Re

RRRRRR

lNN

MRR

RRlNN

drrRRl

NNdrr

lIN

RRIN

drrRRII

Meee

++==→→⎟⎟

⎞⎜⎜⎝

⎛ −−

=

=−

=−

=Φ−

= ∫∫∫

πμπμ

πμπ

μ

 

Ai  fini  del  calcolo  del  coefficiente  di mutua  induzione,  il  solenoide  “spesso”  si  comporta quindi  come  un  solenoide  sottile  di  opportuno  raggio.  Ad  esempio  se  il  raggio minimo dell’avvolgimento  interno  è  4  cm  e  quello  massimo  è  10  cm,  il  “raggio  equivalente”  dell’avvolgimento interno è di 7,2 cm. 

 SPIRE DI HELMHOLTZ 

Si  considerino  due  spire  piane  parallele  in  asse,  a  distanza  2b,  interessate  da  intensità  di corrente  I1=  I2  (riferimenti  congrui).  Il  campo magnetico  risultante  sull’asse  z  è dato dalla somma vettoriale dei campi prodotti dalle singole spire: Il modulo del campo vale: 

( )( ) ( )( )322

22

322

21

22)(

abx

aI

abx

aIzH+−

+++

=  

Al centro tra le due spire (z=0) il campo vale 

( ) ( )( ) ( )322

2

1322

22

322

21

22)0(

ab

aIab

aI

ab

aIH+

=+−

++

=  

Come  si può  notare  nella  fig…., per  bassi  valori del  rapporto  raggio/distanza delle  spire, ossia  spire piccole e distanti,    il campo è  fortemente disuniforme; avvicinandosi  le spire,  il campo sull’interasse tende a diventare  sempre più uniforme. 

 

Dalla fig… si può notare che per a/2b=1 (raggio delle spire pari alla loro distanza) il campo non varia più del 5% nello spazio tra i due centri spira. 

 

si può verificare agevolmente che il campo, per z=0, ha derivata prima e seconda verso z pari a zero, quindi nell’intorno del punto z=0  lo  sviluppo  in  serie  (per  la  simmetria mancano  i termini dispari) vale 

( )( )( ) ....

424

562525344

2.....

!41)0()( 4

23

22

5322

24

04

4

+⎥⎦

⎤⎢⎣

⎡ +−

+=++=

=

zbaaI

ab

aIzdz

HdHzHz

 

Ponendo a=b/2=1, si ottiene 

( )44

23

255625

2534445

0)0()( zz

HHzH

≅⎟⎠⎞

⎜⎝⎛≅

− 

a distanza di10 cm l’errore su un campo uniforme è dello 0,25% 

A

r0 r2

r1

B

AVVOLGIMENTO TOROIDALE 

Consideriamo un avvolgimento di N spire “compatte e serrate” distribuite uniformemente su un supporto (anche ideale) a forma di anello (toro). 

Applicando il teorema della circuitazione si verifica subito che il campo ha struttura circolare ed è nullo all’esterno dell’avvolgimento, mentre all’interno vale 

rNIrH

rrr π2)(

21=

<<  

se il toro è sottile, possiamo considerare il campo praticamente uniforme all’interno e pari al campo sull’asse 

002)(

21 l

NIr

NIrHrrr

=≅<< π  

 

 

 

 

 

 

 

Il flusso concatenato con le N spire vale 

0

2

00

2

0 22 rSNL

rSIN

N πμ

πμ Δ

≅→Δ⋅

≅Φ  

Volendo  valutare  il  flusso  concatenato  con  l’intero  avvolgimento  e  l’induttanza  vista  dai morsetti A‐B (comunque molto vicini tra di loro ed al toro), occorre tener conto anche della spira “grande” costituita dall’elica toroidale 

( )12

00

0

2

0 2ln

2''

rrr

rSNLLLABNtoro −

=+=→Φ+Φ=Φ μπ

μ = 

r0 r2

r1

BA

per evitare questa correzione, non sempre  trascurabile, occorrerebbe “compensare”  la spira “grande” con una “controspira” come in figura. In tal caso la configurazione di campo risulta molto più complessa. 

 

 

 

 

 

 

 

Se  in  un  avvolgimento  toroidale  si  volesse  tener  conto  della  variazione  del  campo  con  il raggio, il coefficiente di autoinduzione potrebbe essere calcolato nel modo seguente: 

 

 

1

22

0001 ln22

2

1rrbNdr

rbNI

INHdS

IN

INL

r

rS πμ

πμμ

===Φ

= ∫∫Δ

 

b

LINEA BIFILARE 

 

Si consideri un tratto di lunghezza unitaria di una linea costituita da due conduttori paralleli a distanza d, a sezione circolare di raggio R, interessati da una intensità di corrente I e quindi da una densità di corrente 

2RI

π=J  

diretta come in fig.  

Il potenziale vettore A può essere valutato come 

QPQ

Q dr

P τπ

μ

τ∫∫∫=

JA

4)( 0

 

Poiché tutti gli elementi di corrente sono diretti secondo un solo asse (y), anche il potenziale vettore sarà diretto lungo l’asse y 

dy’

J’

R

dy”

J”

R

d

r’

r”

P(x1) 0 x

⎟⎟⎟⎟⎟⎟⎟⎟⎟⎟

⎜⎜⎜⎜⎜⎜⎜⎜⎜⎜

∫∞+

∞−∫∞+

∞−

⎟⎟⎟⎟

⎜⎜⎜⎜

+−+

⎟⎟⎟⎟

⎜⎜⎜⎜

+−−

⎟⎟⎟⎟

⎜⎜⎜⎜

++

⎟⎟⎟⎟

⎜⎜⎜⎜

+=

=

⎟⎟⎟⎟⎟

⎜⎜⎜⎜⎜

∫∞+

∞−∫∞+

∞−⎟⎠⎞

⎜⎝⎛ +−+

⎟⎠⎞

⎜⎝⎛ ++

=

=⎟⎟

⎜⎜

⎛∫∞+

∞−∫∞+

∞−−=

⎟⎟

⎜⎜

⎛∫∞+

∞−∫∞+

∞−−=

=⎟⎟

⎜⎜

⎛∫∫∫+∫∫∫=+=

2

1

1

2

1

10

2

12

2

12

0

0

2

1

2

2

1

24

2

"

2

'4

""

''

4'"

''

40

"""'

'40

)(")(')(

dx

y

dx

yd

dx

y

dx

ydI

dxy

dy

dxy

dyI

rdy

rdyI

rdy

rdyI

dr

dr

PAPAPy

π

μ

π

μ

π

μ

π

μ

ττ

ττπ

μJJ'A

 

 

Ponendo 11 2

',

2xd

ydx

y

−=

+= ττ , si ha  

⎟⎟⎟⎟

⎜⎜⎜⎜

+

−⋅==

⎟⎟⎟⎟⎟⎟

⎜⎜⎜⎜⎜⎜

⎥⎥⎥⎥⎥

⎢⎢⎢⎢⎢

++

++

=

⎟⎟⎟⎟⎟⎟

⎜⎜⎜⎜⎜⎜

⎥⎥⎥⎥⎥

⎢⎢⎢⎢⎢

++

++

⋅=⎟⎟⎟⎟

⎜⎜⎜⎜

⎥⎥⎥

⎢⎢⎢

++

++⋅=

=⎟⎟⎠

⎞⎜⎜⎝

⎛⎥⎦⎤

⎢⎣⎡ ++−⎥⎦

⎤⎢⎣⎡ ++=

⎟⎟

⎜⎜

⎛∫∞+

∞−∫∞+

∞− +−

+=

∞+

∞+

∞+

∞+∞+

1

10

02'

20

0

2'

20

0

2

2

0

0

2

0

20

22

0

2

2ln24111

111

'ln2

4

111

111

'ln2

4'1'

1ln2

4

'1'ln21ln24'1

'

14)(

xd

xdII

II

IddIP

y

πμ

τ

τττ

πμ

τ

τττ

πμ

ττ

ττ

πμ

ττττπ

μ

τ

τ

τ

τπ

μA

In definitiva 

1

10

22ln

2)(

xdxdI

Py +

−=

π

μA  

sull’asse centrale è x1=0, quindi il potenziale vettore si annulla. 

Dalla circuitazione del potenziale vettore magnetico lungo una linea γ è possibile valutare il flusso concatenato con tale  linea, ossia  il flusso attraverso una qualsiasi superficie orlata da tale linea. Si consideri ad esempio (fig…) una linea rettangolare che si appoggia alle due linee 

( ⎟⎠⎞

⎜⎝⎛ −±= Rdx

21 ) per un tratto di lunghezza l. Si ottiene 

 

                 

RRdl

IRd

RR

RdlI

dsP −=⎥

⎤⎢⎣

⎡⎟⎠⎞

⎜⎝⎛

−−⎟

⎠⎞

⎜⎝⎛ −

=⋅=Φ ∫ ln22

2ln2

22ln2

)( 00

πμ

πμ

γγ tA   

Se ne ricava il valore dell’induttanza “interna” della linea bifilare per unità di lunghezza  

RRd

lIL −

= ln' 0

πμγ  

Nel caso di linea sottile (R<<d) si ha 

rdL ln' 0

πμ

≅     [H/m] 

ad  es. per R=2mm, d=30  cm  l’induttanza per kilometro di  linea  (induttanza di  servizio) vale L’=2.0 mH/km. 

d

x

γ

I

I

Per  composizione  si  può  calcolare  la  distibuzione  del  campo  risultante,  in  particolare lungo x (fig…) 

                      Il campo lungo x mantiene lo stesso senso nell’intervallo (‐d/2+R,d/2‐R) e vale  

⎟⎟⎟⎟

⎜⎜⎜⎜

−=

⎟⎟⎟⎟

⎜⎜⎜⎜

++

−=

22

42

2

1

2

12

)(xd

dI

xdxdIxH

ππ 

Il  campo  ha  un  minimo  al  centro  ed  è  massimo  in  prossimità  della  linea  (dove  è leggermente aumentato rispetto al caso del conduttore singolo) 

dRRI

dRR

IRdR

dIRdHH

dIHH

<<

→−

=−

=⎟⎠⎞

⎜⎝⎛ −=

==

πππ

π

2)1(

12)(22

2)0(

max

min

 

 All’interno  del  conduttore  occorre  considerare  la  somma  del  contributo  dello  stesso (lineare con la distanza dal proprio asse) e dell’altro conduttore (iperbolico) 

⎟⎟⎟⎟

⎜⎜⎜⎜

⎟⎠⎞

⎜⎝⎛ +

+−=

⎟⎟⎟⎟

⎜⎜⎜⎜

++

−=

⎟⎠⎞

⎜⎝⎛ +−∈

Rxd

RxdI

xdR

xdIxH

RdRdx

2

42

2

122

)(2

2

2,

2 ππ 

d

x

I

I

H

Hmin

che si annulla per  2

412 d

Rdx +=  ossia poco oltre l’asse del conduttore (assi magnetici della 

linea bifilare). Volendo calcolare l’induttanza della linea bifilare, considerando anche la distribuzione di campo magnetico anche all’interno dei conduttori, occorrerebbe suddividere il conduttore in  tanti  “filetti”  elementari  di  corrente  dI  e  valutare  il  flusso  del  campo  magnetico concatenato il singolo filetto elementare identificato con il loro asse; si considera quindi la media pesata (sulle correnti elementari) dei flussi così ottenuti 

∫∑∑

Φ→Δ

ΔΦ=

Φ=

Ii

i

iii

dIII

I

IIL 2

11  

Risulta in genere più agevole, conoscendo la distribuzione del campo magnetico (nel caso del  vuoto  o  di  mezzo  lineare),  valutare  il  coefficiente  di  autoinduzione  L  attraverso l’energia magnetica  

∫∫ ==→==ττ

τμτμ dHII

WLdHLIW m

m2

2222 12

21

21  

Nel nostro caso, in prima approssimazione, per linee bifilari non sottili, 

⎟⎠⎞

⎜⎝⎛ +=+=

=+=⎟⎠⎞

⎜⎝⎛+=

=+≅⎟⎟⎠

⎞⎜⎜⎝

⎛+=

∫∫

∫∫∫∫∫

41ln

4ln

ln22

2ln

2ln1

000

34

002

2200

22

00222

rdll

rdl

dR

lrdl

dlR

IIr

dl

dHIr

dldHdH

IL

R

o

R

o

conduttoreconduttoriaria

πμ

πμ

πμ

ρρπμ

πμ

ρπρπρμ

πμ

τμ

πμ

τμτμ

 

Se  ne  deduce  una  espressione  (di  largo  impiego  tecnico)  per  l’induttanza  per  unità  di lunghezza di una linea bifilare (es. per un cavo costituito da due conduttori paralleli nella stessa guaina)  

⎟⎠⎞

⎜⎝⎛ +=

41ln' 0

rdL

πμ  

 

ALCUNE CONSIDERAZIONI ENERGETICHE  Si consideria una spira interessata da corrente di intensità i1(t) erogata da un generatore di tensione  indipendente  e1(t),  supposto  puntiforme  o  comunque  “localizzato.  In  generale nella spira nasce una forza elettromotrice indotta; considerata la “resistenza” equivalente della spira, si  postrà scrivere 

1111111

11

111

iRdsS

idsSS

dtdeds ∫∫∫ =

Δ=⋅

ΔΔ

=−=⋅γγγ

ηηϕ tJtE  

 Moltiplicando per i1(t) per un intervallo elementare di osservazione dt si potrà mettere in evidenza  l’energia  erogata  dal  generatore  “concentrato”  nell’intervallo  di  tempo elementare 

112111 ϕdidtiRdte +=  

Anche  se  si  considerano  altre  spire  similari  si  potranno  considerare  bilanci  analoghi  e pervenire ad una formulazione del tipo  

*

2

dWdWdW

didtiRdte

Jg

kkk

kkk

kk

+=

+= ∑∑∑ ϕ

 

dove l’energia dei generatori è bilanciata dalla dissipazione per effetto Joule nei conduttori e dalla variazione di “energia magnetica”. Il campo B è solenoidale, ed anche la sua variazione temporale dB* è solenoidale, per cui si potrebbero individuare linee chiuse γ* di dB (la circuitazione di H lungo queste linee deve dar luogo alla corrente concatenata) e suddividere lo spazio in tubi di flusso di dB. Ad  ognuno di  questi  tubi di  flusso  elementare di  sezione  ΔS*  si potrebbe  associare un valore 

∫Δ

⋅=*

***S

dSdd nBϕ  

e costruire l’integrale  

**

ττ

ddBH ⋅∫Δ

 

esteso al volume definito dal tubo di flusso elementare dφ* di dB. Procedendo lungo γ* il flusso si mantiene costante e si avrà 

( ) ∑∫∫∫ =⋅=⋅=⋅ΔΔ k

kkinddltHddldSddd *****

ϕϕτττ

BHBH  

dove si sono messi in evidenza gli eventuali concatenamenti multipli nk.  Per un processo finito che porta alla formazione di un campo B in tutto lo spazio, potremo valutare l’energia magnetica per unità di volume 

BH dwB

m ⋅= ∫0

 

Nel caso di mezzi lineari (identificati da una permeabilità magnetica μ costante, l’energia magnetica spefifica è pari a 

22

0 21

21

21 BHdw

B

m μμ ==⋅=⋅= ∫ BHBH  

 Nel caso di due spire,  l’energia magnetica associata (in tutto lo spazio) vale 

( ) 2211 21

21

21 ϕϕτ

τ

iidWm +=⋅= ∫ HB  

 Nel caso di mezzi lineari 

( ) ( )

21222

211

12222112211

21

21

21

21

21

21

iMiiLiL

MiiLiMiiLiiiW im

++=

=+++=+= ϕϕ

 

Per il suo significato energetico, tale forma quadratica dev’essere non negativa; ciò implica che il coefficiente di accoppiamento 

21LLMk =  

dev’essere in valore assoluto non maggiore di 1.  La condizione k2=1 (k=1 se M>0, k=‐1 se M<0) vien detta di accoppiamento magnetico perfetto: in queste condizioni l’energia magnetica è un quadrato perfetto 

2

22

11

21222

211 222

121

⎟⎟⎠

⎞⎜⎜⎝

⎛+=++= iLkiLiMiiLiLWm  

in tal caso, per infinite coppie di valori delle intensità di corrente non nulle 

⎟⎟⎠

⎞⎜⎜⎝

⎛−= 2

1

21 i

LLki  

l’energia magnetica totale risulta nulla, ossia il campo magnetico è nullo in tutto lo spazio; tale  condizione  può  essere  praticamente  realizzati  con  due  solenoidi  lunghi  e  sottili, separati da un sottile strato di isolante. 

Per meglio  valutare  la  condizione di  accoppiamento magnetico  nel  caso  ad  esempio di trasformatori reali, costituiti ad esempio da due avvolgimenti, si introduce il flusso medio di auto e mutua induzione per spire 

1

2

02

212

2

1

01

121

2

22

02

222

1

11

01

111

12

12

NiM

NNiM

N

NiL

NNiL

N

im

im

im

im

====

====

==

==

ϕϕϕϕ

ϕϕϕϕ

L

L

 

 il coefficiente di dispersione magnetica 

12

2

2

22

1

2

2

22

22

12222

21

1

1

11

2

1

1

11

11

21111

1

1

NLNM

NiL

NiM

NiL

NLNM

NiL

NiM

NiL

m

mmd

m

mmd

−=−

=−

=

−=−

=−

=

ϕϕϕσ

ϕϕϕσ

 

e le induttanza di dispersione 

1

22222

2

11111

NNM

LLL

NNM

LLL

dd

dd

−==

−==

σ

σ

 

Si ricava  anche che  

( )( ) 2

21

2

21 11 kLL

Mdd ==−− σσ  

La  condizione  di  accoppiamento  perfetto  si  realizza  quando    i  due  coefficienti  di dispersione  sono,  oppure  quando  sono  di  segno  opposto  e  di  valore  opportuno  (ad esempio se il primo avvolgimento ha una spira, la seconda ha due spire di cui una copre la meà della spira del primo avvolfimento: i coefficienti di dispersione valgono 0,5 e ‐1). 

 

A

r0 r2

r1

B

A9– COMPORTAMENTO DEI MATERIALI FERROMAGNETICI 

Nel caso dei materiali  ferromagnetici assumone rilevanza  il comportamento collettivo degli atomi  di materiali  in  regioni  significative  (detti  domini  di Weiss,  delle  dimensioni  anche superiori al decimo di millimetro). 

Si consideri propedeuticamente un anello di materiale  ferromagnetico su cui è predisposto un avvolgimento di N spire (18). Il campo H vale  

002)(

21 l

NIr

NIrHrrr

=≅<< π  

 

 

 

 

 

 

 

18 Se il materiale presenta permeabilità molto elevate, la distribuzione di campo magnetico nel ferro non varia quasi per niente se le N spire sono concentrato in un tratto limitato della periferia dell’anello.

 Alimentando  l’avvolgimento con  intensità di corrente  I, ad una variazione di corrente  in un  certo  intervallo di  tempo  corrisponderà una variazione del  flusso di B  e quindi una tensione valutabile ai morsetti A‐B. Integrando nel  tempo per valori di  I crescenti  fino ad un valore  Imax si può  ricavare una relazione tra B ed H del tipo in fig……              Nella figura seguente è riportata la curva di magnetizzazione di una lega al ferro silicio a grani orientati  Il campo di induzione può essere letto come 

Jl

NIB o += μ  

con J intensità di magnetizzazione crescente fino al valore Js di saturazione.  La circuitazione del campo lungo l’asse del toro (nel ferro) risulta 

lJNIdltB

o 0μμγ

+=⋅∫  

Il termine  lJ

0μ  assume il significato di totale corrente molecolare concatenata con la linea 

γ . Con tale linea saranno concatenate le correnti elementari determinate dalle particelle (di raggio medio  r0)    poste  a  distanza  non  superiore  ad  r0  dalla  linea  γ  .  Se  la  densità  di particelle  è  n,  il  numero  totale  di  particelle  coinvolte  è  (nπ  r02l);  detta  im  l’intensità  di corrente elementare, la totale corrente molecolare concatenata vale 

MllmnilrnlJm ==⋅= 2

00

πμ  

dove m  è  il momento  elementare  ed M  il momento magnetico  risultante  per  unità  di volume (detto anche intensità di magnetizzazione). 

H=NI/l

B

  

62

I valori di saturazione  sono riportati nella seguente tabella Materiale  Intensità di Magnetizzazione Ms 

[A/m] μ 0Ms   [T] 

Ferro  1.7  106  2.1 Ferro‐cobalto  1.9  106  2.4 Acciaio temprato  1.4  106  1.7 Cobalto  1.4  106  1.7 Nickel  0.48  106  0.6 Magnetite  0.50  106  0.6  L’induzione magnetica può essere quindi riscritta come 

( )MHB +=→⎟⎠⎞

⎜⎝⎛ += oo M

lNIB μμ  

Se vi è linearità tra M e B , si può scrivere 

HHBBHB 01μμ

βμβμ r

oo =

−=→+=  

con μ permeabilità magnetica relativa  La permeabilità  relativa più adoperata  è quella differenziale,  che  si ottiene  considerando  il dB/dH  nella  curva  di  fig ….  La  permeabilità  iniziale  è  intorno  a  250,  poi  raggiunge  un massimo (vedi tab. ….) per poi diminuire gradatamente tendendo ad 1.  Materiale  μr  H   [A/M]  B  [T] Ferro elettrolitico  100000     Permalloy  (21.8% Fe‐78,2% Ni) 

90000  4,8  0,54 

Acciaio (1%C)  350  1600  0,7 Acciaio temprato  98  8000  1 Mu‐metal  30000