Linee guida sull'opendata dell’Agenzia per l’Italia Digitale: una prima bozza
Elementi di valutazione per gli interventi di bonifica ... · (ISPRA), dell’Agenzia regionale per...
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Corso di Laurea Magistrale in
Scienze e Tecnologie per l’Ambiente e il
Territorio
Tesi di Laurea in Geopedologia
Elementi di valutazione per gli
interventi di bonifica dell’area
“ex GEZOOV” di San Potito
Sannitico (CE)
Candidato/a
Mario Navarra Matr.A33/102
Relatore
Prof.
Elio Coppola
Correlatore
Dott.
Angiolo Conte
A.A. 2017/2018
2
RINGRAZIAMENTI
Prof. Elio Coppola, relatore tesi
Dott. Angiolo Conte, correlatore tesi
Comune di San Potito Sannitico
Dott. Francesco Imperadore, Sindaco di San Potito Sannitico
Arch. Luciano Ricigliano
Dott. Pasquale Iovino, docente di chimica ambientale Università “Luigi Vanvitelli”
Dott. Michelangelo Raccio, docente di economia Università “Luigi Vanvitelli”
Dott.ssa Margherita Frattaruolo
Dott.ssa Eleonora Grilli
Dott. Pasquale Simonelli, presidente ASMV
Dott. Gianluigi Busico
Giuseppe Conte, testimone e dipendente dell’azienda “ex GEZOOV”
3
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4
INDICE
1 INTRODUZIONE…………………………………………………………….. 6
1.1 SITI CONTAMINATI: INQUADRAMENTO E DIMENSIONI DEL
FENOMENO…………………………………………………………………….. 6
1.2 RISORSE E STRUMENTI PER LA RIVALORIZZAZIONE DELLE AREE
DISMESSE …………………………………………………………………… 29
1.3CARATTERIZZAZIONE DEI SITI CONTAMINATI…………………... 33
1.4 IL CASO STUDIO DELL’AZIENDA GEZOOV (GENERALE
ZOOTECNICA VOLTURNO………………………………………………… 38
2 FINALITÀ…………………………………………………………….……... 51
3 MATERIALI E METODI………………………………………………..… 52
3.1 NORMATIVA DI RIFERIMENTO………………………………………. 52
3.2 CARTOGRAFIA CARTACEA E INFORMATICA………..…………… 52
3.3 RILEVAMENTO PEDOLOGICO……...………………………………… 54
3.4 CRITERI DI ANALISI DEI SUOLI………………………………………. 57
4 RISULTATI E DISCUSSIONE…....………………………...………….… 61
4.1 INQUADRAMENTO TOPOGRAFICO SAN POTITO SANNITICO…... 61
4.2 INQUADRAMENTO TERRITORIALE………………………………… 62
4.3 INQUADRAMENTO GEOLOGICO……..………………………....…….. 64
4.4 CARATTERISTICHE IDROGEOLOGICHE DEL TERRITORIO……… 68
5
4.5 INQUADRAMENTO PEDOLOGICO……..……………………........…… 73
4.6 ASPETTI VEGETAZIONALI……………………………………….…… 80
4.7 ZVNOA SAN POTITO SANNITICO……..…………………………….…. 83
4.8 IL SITO DELL’AZIENDA EX GEZOOV………………….……………... 85
5 CONCLUSIONI…………………………………………………………..... 101
BIBLIOGRAFIA…………………………………………………………...... 106
SITOGRAFIA……………………………………………………………….. 108
6
1. INTRODUZIONE
1.1 SITI CONTAMINATI: INQUADRAMENTO E DIMENSIONI DEL
FENOMENO
Il fenomeno dei siti contaminati in Italia ha dimensioni considerevoli: nel 2004
erano circa 5.000 quelli censiti dalle anagrafi regionali da bonificare, ed ulteriori
7.000 erano quelli potenzialmente inquinati (APAT, 2006); secondo i dati
aggiornati al 2013 risultano 9.665 siti potenzialmente inquinati inseribili, 5.303 i
contaminati accertati, 2.319 contaminati, 3.734 con interventi di bonifica avviati e
3.146 bonificati Tabella 1.1 (Camera dei Deputati, 2016).
Un sito si dice contaminato quando risultano superati i valori delle concentrazioni
soglia di contaminazione determinate mediante l’applicazione della procedura di
analisi di rischio di cui all’Allegato 1 alla parte quarta del Decreto Legislativo 3
aprile 2006, n.152 Norme in materia ambientale (D.Lgs. 152/2006) sulla base dei
risultati del piano di caratterizzazione (Arpae).
7
Tabella 1.1: Siti contaminati (2013)
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Piemontea Sì 1.435 256 469 814 245
Valle
d’Aostaa
Sì 15 - 8 8 11
Liguriaa Sì - 87 182 96 70
Lombardiaa Sì - 1.771 940
b 545 1.473
Prov Aut. di
Trento
Sì 107 48 24 194
Prov Aut. di
Bolzano
Sì
- - - 11 255
Veneto Sì - - - - -
Friuli-Venezia
Giulia
Sì 243 - 18 18 12
Emilia-
Romagnaa
No - - - -
Toscanaa Sì 2.826 548 430 180 307
Umbriaa Sì 123 44 64 64 12
Marchea Sì 1.581 171 285 215 410
Lazioa1
No 887 621 71 798 18
Abbruzzoa Sì - 252 169 122 88
Molisea1
Sì - - 2 3 0
Campania Sì - 420 154 11 30
Pugliaa Sì 643 158 198 176 4
Basilicataa1
No - 316 6 190 3
Calabriaa1
Sì 696 104 44 12 9
Siciliaa1
Sì 642 45 - 347 0
Sardegnaa1
Sì 574 403 171 100 5
Italia - 9.665 5.303 2.319 3.734 3.146
Fonte: http://www.camera.it/temiap/allegati/2016/01/29/OCD177-1685.pdf
Note: SIN Siti (contaminati) di Interesse Nazionale, sotto la sorveglianza diretta
dell’autorità statale centrale. a Non include SIN
b Include SIN
1 Regioni, dato aggiornato al 2012
2 Siti potenzialmente contaminati inseriti/inseribili, dato aggiornato al 2012
*Includono siti con interventi di messa in sicurezza e/o bonifica avviati
8
1.1.1 I siti di interesse nazionale
I siti d’interesse nazionale sono stati individuati con norme di varia natura e di
regola perimetrati mediante decreto e sotto la sorveglianza dell’attuale Ministero
dell'Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare (MATTM), d’intesa con le
regioni interessate.
La procedura di bonifica dei SIN è attribuita alla competenza del MATTM, che
può avvalersi anche dell’Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale
(ISPRA), dell’Agenzia regionale per la protezione ambientale/Agenzia
Provinciale per la protezione dell'ambiente (ARPA/APPA), dell’Istituto Superiore
di Sanità (ISS) ed altri soggetti qualificati pubblici o privati. L’art. 36-bis della
Legge 7 agosto 2012 n. 134 ha apportato delle modiche ai criteri di individuazione
dei SIN (art. 252 del D.Lgs. 152/2006 e ss.mm.ii.). Sulla base di tali criteri è stata
effettuata una ricognizione dei 57 siti classificati di interesse nazionale e, con il
D.M. 11 gennaio 2013, il numero dei SIN è stato ridotto a 39, Tabella 1.2
(ISPRA, 2014).
9
Tabella 1.2: Elenco Siti di interesse Nazionale (ISPRA, 2014)
SIN Regione/
Provincia Autonoma
Legge
istitutiva Emarese Valle D’Aosta D.M. 468/2001
Casale Monferrato Piemonte L. 426/1998
Ballangero Piemonte L. 426/1998
Pieve Vergonte Piemonte L. 426/1998
Serravalle Scrivia Piemonte L. 179/2002
Cengio e Saliceto Liguria-Piemonte L. 426/1998
Cogoleto – Stoppani Liguria D.M. 468/2001
Sesto San Giovanni Lombardia L. 388/2000
Pioltello e Rodano Lombardia L. 388/2000
Brescia – Caffaro Lombardia L. 179/2002
Broni Lombardia L. 179/2002
Laghi di Mantova e Polo Chimico Lombardia L. 179/2002
Trento Nord Provincia Autonoma Trento D.M. 468/2001
Trieste Friuli Venezia Giulia D.M. 468/2001
Laguna di Grado e Marano Friuli Venezia Giulia D.M. 468/2001
Venezia (Porto Marghera) Veneto L. 426/1998
Fidenza Emilia Romagna D.M. 468/2001
Piombino Toscana L. 426/1998
Massa carrara Toscana L. 426/1998
Livorno Toscana D.M. 468/2001
Orbetello Toscana L. 179/2002
Falconara Marittima Marche L. 179/2002
Terni – Papigno Umbria D.M. 468/2001
Sulcis – Iglesiente - Guspinese Sardegna D.M. 468/2001
Area industriale di Porto Torres Sardegna L. 179/2002
Napoli Orientale Campania L. 426/1998
Bagnoli Coroglio Campania L. 426/1998
Tito Basilicata D.M. 468/2001
Area industriale della Val Basento Basilicata L. 179/2002
Manfredonia Puglia L. 426/1998
Brindisi Puglia L. 426/1998
Taranto Puglia L. 426/1998
Bari - Fibronit Puglia D.M. 468/2001
Crotone – Cassano - Cerchiara Calabria D.M. 468/2001
Gela Sicilia L. 426/1998
Priolo Sicilia L. 426/1998
Biancavilla Sicilia D.M. 468/2001
Milazzo Sicilia L. 266/2005
Fonte: Ministero dello Sviluppo Economico, 2014
10
La maggior parte dei siti ricopre aree di media o grande dimensione – oltre la
metà supera i 100 ettari – e sono quindi definibili come “megasiti”: tra i maggiori,
si possono citare i poli industriali di Taranto e Brindisi, Porto Marghera
(Venezia), l’ex ACNA di Cengio (Savona). Alcune aree sono definibili come
“multisiti” in quanto contengono più di un sito (ad es. per quello di Sassuolo-
Scandiano, con 19 siti). Nel 42% dei casi si tratta di aree industriali “eterogenee”,
comprendenti cioè diverse industrie e nel 28%, di aree “omogenee”, ossia con una
sola industria. Nel 30% dei casi si tratta di siti con presenza di discariche e rifiuti
stoccati. Tra i principali settori industriali a cui collegare lo sviluppo dei siti
emergono quello chimico, quello petrolchimico il siderurgico e il
metalmeccanico. I siti attualmente in produzione risultano il 61%, ma in quasi la
metà degli insediamenti sono presenti stabilimenti inattivi o in via di dismissione.
Tra le cause di dismissione si annoverano il declino del settore produttivo e/o la
riconosciuta pericolosità della produzione.
1.1.2 Stato dei siti inquinati in Campania
In Campania i siti contaminati rappresentano uno dei problemi ambientali più
critici.
Dalla Tabella 1.3 si può notare la distribuzione dei siti inquinati presenti in
Regione Campania divisi per Provincia.
11
Tabella 1.3 – Siti inquinati – Campania (Fonte: ARPAC - Relazione sullo stato
dell’ambiente in Campania, 2009)
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Indag
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P
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siti
atti
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i
AV 100 2 1 7 2 6 0 1 2 1 22
BN 100 4 4 3 14 19 1 1 1 5 51
CE 1.219 17 167 13 51 10 0 2 4 1 265
NA 2.006 49 132 149 77 3 0 11 21 0 442
SA 308 18 6 6 54 4 0 1 0 6 95
Tot 3.733 90 310 178 198 42 1 16 28 13 876
MISE – Messa in Sicurezza d’Emergenza
PdC – Piano di Caratterizzazione
AR – Analisi di Rischio Sanitario Ambientale Sito-Specifica
PP – Progetto Preliminare di Bonifica
PB – Progetto Definitivo di Bonifica
MISP – Messa in Sicurezza Permanente
Nell’esaminare i dati si osserva che il 23,4% ovvero 876 siti contaminati e/o
potenzialmente contaminati sui 3.733 censiti, ha attivato la procedura di bonifica;
la maggior parte di essi (818 siti) si trovano ancora nelle prime fasi della
procedura. Degli 876 siti analizzati 44 hanno già presentato e ricevuto
l’approvazione del progetto preliminare e/o del Progetto definitivo di Bonifica/
Messa in Sicurezza Permanente. Solo per 13 di questi invece si sono concluse le
procedure con la certificazione di bonifica avvenuta o con la restituzione agli usi
legittimi all’esito di indagini di caratterizzazione che non hanno evidenziato
superamenti delle soglie limite.
Inoltre nella relazione sullo stato dell’ambiente in Campania del 2009 sono stati
individuati ben 6 (Tabella 1.4) dei 55 SIN presenti su tutto il territorio nazionale,
le cui estensioni sono riportate in Tabella 1.5.
12
Tabella 1.4 – SIN Campania 2009 (Fonte: ARPAC - Relazione sullo stato
dell’ambiente in Campania, 2009)
Denominazione
Sito
Riferimento
normativo di
individuazione
Estensione
(Ha)
Acqua
Estensione
(Ha)
Terra
Estensione
(Ha)
Totale
Napoli Orientale Legge n.
426/1998
1.433 834 2.267
Litorale Domitio
Flegreo ed Agro
Aversano
Legge n.
426/1998
22.414
157.000
179.412
Napoli – Bagnoli
Coroglio
Legge n.
388/2000
1.494
945
2.439
Aree del Litorale
Vesuviano
Legge n.
179/2002
6.698*
9.615
16.313*
Bacino
idrografico del
fiume Sarno
Legge n.
266/2005
- 44.350 44.350
Pianura
D.M. 11/04/2008 - 156 156
*Nota: nei dati riportati nella fonte ARPAC del 2009 era presente un errore che qui
è stato corretto
Tabella 1.5 – Estensione SIN Campania 2009 (Fonte: ARPAC - Relazione sullo
stato dell’ambiente in Campania, 2009)
Denominazione Superficie
complessiva
(m2)
Caratterizzazione
conclusa (m2)
Progetto di
Bonifica
approvato
(m2)
Siti
svincolati
e/o
bonificati
(m2)
Napoli Orientale 8.340.000 4.517.357 1.505.400 159.900
Bagnoli –
Coroglio
9.450.000 6.758.607 1.855.850 0
Litorale Domitio
Flegreo ed Agro
Aversano
75.635.364 6.892.547 102.912 230.000
Aree del Litorale
Vesuviano
9.552.167 445.536 120.250 0
Bacino
idrografico del
fiume Sarno
443.500.000 99.050 50 1150
Pianura 1.560.000 0 0 0
13
La situazione dei siti contaminati e potenzialmente contaminati presenti in
Campania è descritta nel Piano Regionale di Bonifica (PRB) adottato
definitivamente con Delibera di G.R. n. 129 del 27/05/2013, pubblicato sul BURC
n. 30 del 05/06/2013, approvato in Consiglio Regionale in data 25 Ottobre 2013
ed i cui dati sono aggiornati a settembre 2010.
Molti di quelli censiti nel Piano Regionale di Bonifica ricadono all'interno dei Siti
di interesse nazionale (SIN), individuati secondo i criteri di cui all'art.252 del
D.Lgs.152/2006.
Tuttavia, a seguito dell'entrata in vigore del D.M. 11/01/2013, per la Regione
Campania sono stati esclusi dall'elenco dei SIN il Litorale Domitio Flegreo ed
Agro Aversano, il Bacino Idrografico del Fiume Sarno, le Aree del Litorale
Vesuviano e Pianura. Pertanto i SIN attuali sono Napoli Orientale e Bagnoli
Coroglio (ARPAC, 2013).
Le norme impongono che i siti inquinati siano soggetti ad interventi di bonifica e
ripristino ambientale. Tali interventi sono a carico del responsabile
dell’inquinamento (secondo il principio “chi inquina paga”) o del proprietario
dell’area e in ultima istanza, della Pubblica Amministrazione. L’ostacolo della
scarsità delle risorse pubbliche sembra essere più facile da superare per un
particolare sottoinsieme di siti inquinati. Questi sono i brownfields, definiti siti
inquinati compresi in ambito urbano o di immediata periferia, già dotati delle
opere di urbanizzazione e prossimi alle infrastrutture per la mobilità ed il
trasporto.
L’Agenzia per la Protezione dell'Ambiente e per i Servizi Tecnici (APAT), nel
2008 assorbita come struttura e competenze all’interno dell’ISPRA (Istituto
14
Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale), si è occupata di questa
specifica problematica, ed ha proposto una procedura per la costruzione di un
programma di bonifica e valorizzazione dei siti contaminati rivolta al decisore
pubblico (APAT, 2006).
La proposta di linea guida è stata elaborata prima dell’entrata in vigore del
Decreto Legislativo 3 aprile 2006, n. 152, Norme in materia ambientale, e si
riferisce ancora al contesto normativo regolato principalmente dal Decreto
Ministeriale 25 ottobre 1999, n. 471.
Il documento è organizzato in quattro sezioni: la prima descrive l’oggetto e gli
obiettivi delle linee guida, la seconda contiene la proposta di linee guida, la terza
una rassegna degli strumenti e delle tecniche, la quarta una preliminare rassegna
delle esperienze di valorizzazione dei brownfields.
Le linee guida propongono una strategia e gli strumenti per sostenere la diffusione
degli interventi di recupero ambientale e di valorizzazione economica dei
brownfields. La proposta è l’esito di un articolato percorso di analisi che ha
indagato la dimensione e le caratteristiche del fenomeno dei siti contaminati, ed
ha identificato la natura e le caratteristiche del problema sul quale occorre
intervenire (APAT, 2006).
1.1.3 Oggetto delle linee guida
I brownfields sono siti inquinati nei quali gli interventi di riutilizzo o
trasformazione d’uso, valorizzandone le caratteristiche e collocazione geografica,
sono in grado di produrre benefici economici uguali o superiori ai costi, che sono
sia quelli relativi alle opere di trasformazione che quelli relativi alle opere di
15
bonifica o messa in sicurezza. Si tratta spesso di siti inquinati di ambito urbano o
di immediata periferia, dotati di luce, acqua, gas, rete fognaria ecc. e prossimi a
linee e raccordi di trasporto. Sono aree, degradate ed impattanti sia sull’ambiente
che sul tessuto antropico circostante, che tuttavia presentano caratteristiche tali da
essere utilmente trasformate e valorizzate, e che sono in grado di produrre, se
adeguatamente gestite, benefici finanziari ed economici e nuove opportunità di
sviluppo sostenibile per la collettività.
Per i paesi dell’Unione Europea una definizione adeguata di brownfield è stata
fornita dal progetto CLARINET (Contaminated LAnd Rehabilitation Network for
Environmental Technologies) «siti che sono stati interessati dai precedenti usi del
terreno circostante, sono abbandonati o sottoutilizzati, hanno un problema di
contaminazione reale o percepito, questi si trovano principalmente in aree urbane
sviluppate e richiedono un intervento per riportarli ad un uso benefico»
(CLARINET, 2002).
La definizione evidenzia gli interventi di bonifica e ripristino ambientale (ovvero
di recupero) di un brownfield - area precedentemente utilizzata a fini produttivi, e
attualmente dismessa o sotto-utilizzata, inquinata, localizzata in un contesto
urbano o comunque dotato di infrastrutture ma trascura le caratteristiche utili alla
valorizzazione e dunque al riutilizzo.
Privilegia invece questo aspetto la United States Environmental Protection
Agency (EPA) che definisce i brownfields come: «Proprietà reale, espansione,
riqualificazione il cui riutilizzo può essere complicato dalla presenza di sostanze
pericolose, sostanze inquinanti o contaminanti» (APAT, 2006).
16
Anche la definizione dell'EPA sembra parziale: concentrando l'attenzione sulle
operazioni di bonifica, di ripristino ambientale, di riuso e dunque di
valorizzazione, la definizione di brownfields non sembra porre nella necessaria
evidenza alcuni elementi importanti, quali l'uso (passato e attuale), la
localizzazione dell'area, ed il contesto geografico, economico e sociale ove tali siti
vengono a trovarsi. Elementi che sembrano di fondamentale importanza nella
valutazione dell'intero processo di riqualificazione dei brownfields.
La definizione di brownfield indicata dall’EPA è molto vicina a quella utilizzata
nel dibattito italiano sulla pianificazione delle aree dismesse, sebbene queste
ultime comprendano una categoria più ampia di oggetti territoriali, poiché le aree
dismesse non sono necessariamente delle aree contaminate.
La presenza dell’inquinamento e l’opportunità di valorizzazione sono i due
elementi costitutivi che identificano i brownfields come l’intersezione fra
l’insieme delle aree definibili come “siti contaminati” e l’insieme delle aree che
costituiscono opportunità di trasformazione urbana, individuate nel dibattito
italiano come “aree dismesse” (Figura 1.1).
Aree dismesse
Aree che necessitano di
interventi di riqualificazione o
rifunzionalizzazione
BROWNFIELDS Aree dismesse urbane o
urbanizzate con problemi di
inquinamento
Siti inquinati
Aree che necessitano di
interventi di bonifica ai sensi
della norma in materia di
bonifiche
Figura 1.1 - Aree dimesse, siti inquinati e brownfields. Fonte: APAT, 2006
17
I brownfields d’interesse sono quindi:
1. aree per le quali si prevede, un progetto di riqualificazione, e non solo di
bonifica e di ripristino ambientale;
2. aree che ricadono entro il campo di applicazione delle attività di bonifica.
In Italia, le norme che hanno introdotto per la prima volta una disciplina unitaria
in materia di bonifiche e che attengono alle attività di recupero ambientale dei siti
contaminati sono state il Decreto Legislativo n. 22 del 5 febbraio 1997 e i
successivi regolamenti di applicazione ed attuazione, in particolare il Decreto
Ministeriale del 25 ottobre 1999 n. 471. Tali norme definiscono la bonifica come
ripristino dei limiti di accettabilità delle sostanze inquinanti presenti nei suoli e
nelle acque; fissano gli obblighi dei proprietari dei siti inquinati, le competenze e
il controllo degli interventi di bonifica, nonché i sistemi di garanzia di natura reale
e patrimoniale che assistono le spese eventualmente sostenute dalla Pubblica
Amministrazione nel caso di esercizio del potere sostitutivo nell’attuazione degli
interventi.
La normativa si articola in tre fasi:
individuazione della situazione di inquinamento;
interventi di messa in sicurezza d’emergenza;
interventi di caratterizzazione e di bonifica
e inoltre individua i vari soggetti che devono fare la bonifica (Tabella 1.6):
responsabile dell’inquinamento;
proprietario dell’area;
Pubblica Amministrazione (P.A.).
18
Tabella 1.6 - Casi teorici di interesse (Fonte: APAT, 2006)
Notifica Messa in sicurezza Caratterizzazione
bonifica
Gruppo A: area di proprietà privata e proprietario non responsabile
Responsabile Responsabile P.A.
P.A. Responsabile P.A.
P.A. P.A. P.A.
P.A. Proprietario P.A.
Proprietario Responsabile P.A.
Proprietario P.A. P.A.
Proprietario Proprietario P.A.
Gruppo B: area di proprietà pubblica e proprietario (P.A.) non responsabile
Responsabile Responsabile P.A. proprietaria
P.A. proprietaria Responsabile P.A. proprietaria
P.A. proprietaria P.A. proprietaria P.A. proprietaria
Gruppo C: area di proprietà privata e proprietario responsabile
P.A. P.A. P.A.
P.A. Proprietario
Responsabile
P.A.
Proprietario
Responsabile
Proprietario
Responsabile
P.A.
Gruppo D: area di proprietà privata e P.A. responsabile
P.A. responsabile P.A. responsabile P.A. responsabile
Gruppo E: P.A. responsabile e proprietaria
P.A. proprietaria e
responsabile
P.A. proprietaria e
responsabile
P.A. proprietaria e
responsabile
Concludendo è possibile affermare che i brownfields considerati sono quei siti
inquinati per i quali gli interventi di bonifica gravano sulla Pubblica
Amministrazione, compresi quelli nei quali il responsabile esiste e si è attivato
solo per la messa in sicurezza e/o per la notifica, oppure non è individuato o non è
solvibile, e la messa in sicurezza e la notifica dell’inquinamento è realizzata dagli
altri soggetti (proprietario dell’area o Pubblica Amministrazione) (APAT, 2006).
19
1.1.4 Il fenomeno dei brownfields
La dismissione dei siti industriali in ambito urbano è legato alle trasformazioni del
sistema economico in particolare industriale, ed alle evoluzioni delle sensibilità
sociali e culturali verso i problemi di qualità della vita, in primo luogo degli
ambientali.
Come prima cosa si ha un progressivo abbandono delle aree urbane da parte delle
attività industriali. Esse si delocalizzano in aree esterne alla città, perché hanno
costi minori e migliore accessibilità; si diffondono sul territorio grazie alla
radicale riorganizzazione dei sistemi di produzione consentita dalla diffusione
delle nuove tecnologie e contribuiscono a formare i sistemi metropolitani. Oppure
la delocalizzazione si svolge anche a scale geografiche più ampie: gli impianti
dell’industria siderurgica, meccanica, chimica e petrolifera dall’Italia vengono
spostate in altri paesi dove è più economico produrre.
Le aree industriali dismesse o in via di dismissione diventano così un’occasione
per avviare processi di riqualificazione urbana con progetti di trasformazione,
gestiti o realizzati dall’amministrazione pubblica assieme a soggetti privati, che
prevedono la realizzazione di infrastrutture, servizi e manufatti per la residenza e
per le attività economiche.
Il fenomeno delle aree dismesse ha una dimensione rilevante, in alcune città
spesso occupa uno spazio addirittura superiore a quello del “centro storico”: ad
esempio il rapporto tra "superfici riconvertibili" e "superfici del centro storico": a
Genova è dello 0,769, a Vicenza dello 0,80, a Saronno è dello 0,87 e a Milano la
superficie delle aree riconvertibili è più del doppio di quella del centro storico
(2,08) (APAT, 2006).
20
Tuttavia l’intervento sulle aree dismesse è poco rilevante, ritenuto rischioso dagli
operatori e di difficile gestione dalle amministrazioni pubbliche (APAT, 2006).
1.1.5 Siti contaminati e brownfields
Si stima che negli Stati Uniti esistano almeno 450.000 brownfields. In Europa la
quantificazione del “fenomeno” è più difficile: nonostante i brownfields
rappresentino un problema ormai ampiamente riconosciuto, solo alcuni paesi
hanno avviato iniziative atte a valutarne la consistenza. Da un’indagine del 2002,
in Germania si stima che i brownfields occupino, approssimativamente, 128.000
ettari di territorio, nel Regno Unito 39.600 ettari, in Francia 20.000 ettari, in
Olanda 10.000 ettari, in Belgio (Vallonia) 9.000 ettari. In Italia, nella stessa
ricerca, nella sola provincia di Milano lo spazio occupato dai brownfields è
stimato in circa 1.260 ettari.
Come in molti altri paesi europei, anche in Italia non è ancora possibile
quantificare precisamente il numero dei siti contaminati, e dei brownfields in
particolare. Esistono degli obblighi normativi precisi in materia di costruzione di
informazioni sul fenomeno, che obbligano alla realizzazione del Censimento dei
siti potenzialmente contaminati, dell’Anagrafe dei siti da bonificare, e dei Piani di
bonifica.
Inoltre, nell’ambito di una stessa regione, le diverse istituzioni che hanno
competenze in materia di bonifica sulla base delle vigenti norme (Regione,
Provincia, Comune) operano con modalità di raccolta e archiviazione dei dati non
omogenee e con finalità diverse, con una scarsa condivisione dei dati e delle
informazioni (APAT, 2006).
21
1.1.6 Ricognizione dei brownfields
Data la scarsa conoscenza sui siti contaminati è stata avviata una specifica
indagine conoscitiva, coinvolgendo le Agenzie regionali per la protezione
dell’ambiente (ARPA/APPA) e le Regioni. Per l’acquisizione delle informazioni,
è stato messo a punto un questionario per ricercare informazioni relative ai siti,
con tipologia di attività industriale o commerciale, attualmente dismessi o
sottoutilizzati. Per questa particolare categoria sono stati richiesti dati su:
localizzazione, dimensione, stato dell’iter di bonifica, esistenza di piani e progetti
per il riutilizzo futuro.
Frequentemente, inoltre, i siti non sono georeferenziati e non se ne conosce
l’estensione.
Per quanto riguarda la ricognizione sui piani e programmi per il riutilizzo futuro
dei siti, si è verificato che, in genere, esiste una cesura tra i settori competenti in
urbanistica e quelli competenti in bonifiche negli enti ai diversi livelli di governo
del territorio (Regione, Provincia, Comune, ARPA). Di solito infatti, i settori che
hanno competenza in materia di bonifiche detengono scarsissime o nulle
informazioni in merito al futuro sviluppo urbanistico dei siti, tranne che nei casi di
particolare rilevanza.
1.1.7 I brownfields e il contesto normativo
Considerare i brownfields come una particolare classe di siti inquinati sui quali gli
interventi di trasformazione urbana associano remediation (recupero) a riuse
(riutilizzo), implica necessariamente che il contesto di riferimento normativo
debba includere tanto le norme relative al settore sanitario-ambientale quanto
22
quelle urbanistico-territoriali. In Italia, non esiste ancora una specifica
regolamentazione in materia di riqualificazione dei brownfields, oltre alla
legislazione e ai fondi previsti per il ripristino dei siti inquinati (APAT, 2006).
1.1.8 Il quadro normativo di riferimento in materia di brownfields
A livello internazionale non esistono ancora convenzioni specifiche sulla
disciplina della tutela, del recupero e della valorizzazione dei brownfields.
A livello di singoli paesi, invece, a parte il caso degli Stati Uniti dove vige dal
1980 una normativa specifica, sono disciplinate le modalità di intervento per la
bonifica dei siti inquinati e non in particolare quelle dei brownfields. La maggior
parte dei sistemi normativi si ispirano al principio “chi inquina paga” e prestano
particolare attenzione alle difficoltà operative di applicazione di tale principio.
In Europa, inoltre, dove non esiste una disciplina unica delle procedure di bonifica
per tutti i Paesi Membri, la problematica sulla responsabilità ambientale in materia
di prevenzione e riparazione del danno ambientale è stata affrontata con la
Direttiva 2004/35/CE. In tema di procedure di bonifica i diversi paesi hanno
emanato norme specifiche, tenendo conto del proprio contesto economico, sociale
ed ambientale.
In generale, sebbene con delle differenze nelle procedure, le normative dei vari
paesi costituiscono il tentativo di gestire l’impatto sulla salute pubblica,
sull’ambiente e sugli assetti economici della collettività, dovuto a incidenti
rilevanti e/o all’inquinamento diffuso (APAT, 2006).
23
1.1.9 Confronto della normativa italiana con quella internazionale ed Europea
(APAT, 2006)
Per un confronto tra i sistemi normativi dei vari paesi in materia di processi di
riqualificazione dei brownfields, assumono rilievo, oltre alle differenze negli
aspetti tecnico-procedurali relativi all’identificazione dei siti inquinati, anche le
modalità di reperimento delle risorse per gli interventi sostitutivi. I diversi
approcci tecnico scientifici seguiti dai diversi Paesi, per gestire l’impatto sulla
salute pubblica e sull’ambiente determinano infatti le differenti procedure
amministrative adottate per le azioni di bonifica, nonché l’intervento pubblico
sostitutivo del soggetto responsabile, o il parziale finanziamento pubblico delle
opere di risanamento quando il soggetto responsabile non fa fronte ai costi della
bonifica. In particolare, l’obbligo all’intervento di bonifica è individuato sulla
base dei risultati dell’analisi di rischio negli Stati Uniti e Danimarca, mentre la
maggior parte dei paesi (Olanda, Regno Unito, Germania, Italia) ricorre a sistemi
di tipo tabellare, seppure molto diversi fra di loro. Negli Stati Uniti
l’individuazione di un sito inquinato avviene attraverso una duplice modalità di
accertamento: mediante l’analisi di rischio e tramite tabelle. Nel Regno Unito, in
Spagna e in Svezia l’identificazione di un sito inquinato avviene soltanto con
l’analisi di rischio.
Viceversa la normativa tedesca utilizza l’approccio tabellare per determinare
l’obbligo o di procedere ad uno studio approfondito dello stato di alterazione del
sito oppure di intervenire con apposite misure. Pur se minima, infatti, esiste una
differenza tra i valori di accettabilità – intesi come valori limite superati i quali il
sito si caratterizza come “inquinato” e quindi da bonificare – e gli obiettivi della
24
bonifica. In alcune normative, come in quella italiana, tali valori coincidono, in
altre, come quella olandese e danese, i valori possono non coincidere essendo
individuati con criteri differenti. Anche negli Stati Uniti il criterio utilizzato per la
definizione degli obiettivi della bonifica non coincide con quello per la
definizione del sito inquinato. E’ infatti l’EPA a fissare caso per caso l’obiettivo
della concentrazione di inquinanti da raggiungere con la bonifica. Nel Regno
Unito, invece, l’obiettivo di bonifica consiste nel raggiungimento degli standard di
qualità che consentano al sito di essere utilizzato per lo scopo cui in quel
momento è destinato. L’interessato può procedere ad interventi di bonifica che
consentano di utilizzare il sito per scopi differenti, ma solo ed esclusivamente nel
caso in cui questi scopi richiedano un livello di qualità più elevato. In Italia
l’approccio è quello tabellare sia per i criteri per l’individuazione dei limiti di
accettabilità che per i valori di bonifica. L’analisi di rischio è usata in via
residuale, ovvero nei casi in cui l’obiettivo tabellare di bonifica non è
raggiungibile pur utilizzando le migliori tecnologie disponibili a costi
sopportabili. L’opportunità di usare l’approccio tabellare o l’analisi di rischio sia
per i criteri di individuazione dei siti inquinati sia per la definizione degli obiettivi
di bonifica è ancora al centro del dibattito nazionale ed internazionale.
I sostenitori dell’analisi di rischio ritengono che, in quanto “sito specifica”,
consenta di individuare meglio l’intervento di bonifica più appropriato: evita
l’aggravio dei costi quando i livelli tabellari risultano troppo bassi in relazione al
caso concreto, e riduce meglio il rischio per la popolazione e l’ambiente quando i
livelli tabellari risultino troppo alti. Anche l’individuazione del responsabile è
stata oggetto di dibattito. Negli Stati Uniti infatti dove la normativa facilita
25
l’identificazione del soggetto obbligato alla bonifica, in difetto di responsabili
meglio identificati, è il proprietario dell’area che risulta contaminata, seppure
senza una effettiva colpa o dolo, che deve realizzare la bonifica. È stato sostenuto
che tale impostazione abbia il vantaggio di rendere più rapide le operazioni poiché
la parte pubblica è sollevata dall’onere di individuare il responsabile
dell’inquinamento prima di poter obbligare i privati alla bonifica, ma che allo
stesso tempo presenti lo svantaggio di deprimere il mercato dei suoli industriali
dismessi. In Italia a differenza degli Stati Uniti e del Regno Unito, non si
prevedono accordi con i responsabili della contaminazione, i quali sono obbligati
a realizzare gli interventi, né è modificabile l’ordine del grado di responsabilità
dei vari soggetti coinvolti, come è previsto invece in Germania. Infatti mentre
negli Stati Uniti il fondo (Superfund) per le attività di bonifica entra in gioco nel
caso di siti abbandonati, o siti di proprietà di industrie fallite e per siti nei quali
non è rintracciabile un responsabile, in Italia i fondi sono distribuiti
prevalentemente sulla base del grado di inquinamento. Il criterio italiano è in linea
con la logica di tutela ambientale, allo stesso tempo ha delle conseguenze non
trascurabili relative all’effettiva realizzazione degli obiettivi normativi. Nel caso
degli Stati Uniti l’alimentazione del fondo avviene tramite il prelievo fiscale con
tasse ed imposte alle industrie chimiche e petrolifere. In Italia invece il fondo di
rotazione istituito ai sensi dell’art. 18 della L.349/1986, è alimentato dalla
riscossione dei crediti in favore dello Stato per il risarcimento del danno
ambientale, ivi comprese quelle derivanti dall'escussione di fidejussioni a favore
dello Stato, assunte a garanzia del risarcimento medesimo. Infine, il sistema del
Superfund statunitense è gestito e controllato dall’Office of Solid Waste and
26
Emergency Response (OSWER) dell’EPA, mentre in Italia, sia il citato fondo di
rotazione sia i finanziamenti stanziati per il programma nazionale di bonifica dei
siti di interesse nazionale, alimentati in parte dallo stesso fondo, sono gestiti dal
Ministero dell’Ambiente e Tutela del Territorio. In alternativa alle risorse
pubbliche, o in combinazione con esse, si ricorre a progetti di intervento
cofinanziati da soggetti privati. In tutti i paesi esaminati è previsto il ricorso alla
negoziazione tra l’autorità pubblica ed i soggetti privati proprietari dei suoli e non
responsabili dell’inquinamento. In ogni caso la negoziazione riguarda
esclusivamente gli aspetti procedurali e non la qualità dei progetti o i livelli e gli
standard di qualità da raggiungere. In alcuni Paesi questo strumento viene limitato
a specifiche ipotesi, come ad esempio in Germania dove si prevede il ricorso a
modalità negoziate per gli interventi su siti inquinati prima dell’entrata in vigore
della norma (Altlasten), mentre in altri (USA) viene consentito senza alcuna
condizione particolare e può addirittura essere ammesso anche con il responsabile
dell’inquinamento (APAT, 2006).
1.1.10 La riqualificazione dei brownfields
L’obiettivo principale per coloro che operano sui siti contaminati è l’eliminazione,
o la riduzione, del danno all’ambiente ed alla salute. Se nelle matrici ambientali vi
è presenza di sostanze contaminanti in concentrazioni superiori alla soglia di
rischio, occorre ridurre o eliminare tali concentrazioni. Le risorse economiche per
tali interventi devono provenire dai profitti che sono stati precedentemente
ricavati dall'attività produttiva.
27
I siti inquinati devono essere soggetti ad interventi di bonifica e ripristino
ambientale, e l’obbligo è a carico del responsabile dell’inquinamento (secondo il
principio “chi inquina paga”) o del proprietario dell’area. Qualora ciò non
accadesse dovranno intervenire, in ultima istanza, le amministrazioni pubbliche.
In questo caso è probabile che la bonifica dovrà essere finanziata con risorse
collettive, almeno inizialmente, visto che l'amministrazione pubblica potrà poi
rivalersi sul responsabile dell'inquinamento, prima di tutto sfruttando l'onere reale
che grava sull'area inquinata.
Realmente si incontrano delle difficoltà e il costo degli interventi finisce per
ricadere sulle finanze pubbliche che di solito sono molto scarse.
Per i brownfields le azioni di trasformazione urbana che associano remediation a
reuse possono produrre benefici superiori ai costi di quelli di bonifica e superare
quindi il problema della scarsità delle risorse. Il recupero del sito contaminato,
dipende da due elementi: dal costo e dal valore finanziario ed economico prodotto
dall’operazione, vale a dire dalla natura dell'inquinamento e dalle caratteristiche
del contesto geografico entro il quale il sito è collocato (APAT, 2006).
1.1.11 Il valore del progetto di intervento sui siti contaminati
Nel caso debba intervenire la pubblica amministrazione le principali difficoltà che
si incontrano sono:
Numerosi Enti Locali non dispongono delle competenze tecniche
ed organizzative necessarie a gestire autonomamente progetti di
bonifica;
28
la Pubblica Amministrazione ha difficoltà a reperire, soprattutto ad
anticipare, le risorse finanziarie necessarie per gestire
autonomamente questi progetti.
1.1.12 Le utilità per i brownfields
Le utilità riguardano l’area o sono relative alla collettività. Possiamo attribuire alle
utilità del primo tipo i vantaggi localizzativi tradizionali, dovuti ai minori costi di
accessibilità ed alla centralità urbana. In altre parole i fattori che determinano la
rendita e che possono dare luogo a maggiori ricavi al momento della cessione sul
mercato delle attività e dei servizi prodotti dal progetto. I vantaggi dipendono da
fattori fisici; inerenti la localizzazione spaziale in senso stretto, dalle condizioni
del mercato, dalla domanda, ma anche, dovremmo dire prima di tutto, dal sistema
della pianificazione. Per quanto riguarda le utilità collettive vanno distinti i fattori
che possono determinare i benefici diretti del progetto, in genere di tipo
socioeconomico, da quelli che generano benefici territoriali.
Alla prima categoria appartengono i benefici di tipo occupazionale, di sicurezza,
ambientali, di qualità della vita che sono connessi all'utilizzo attuale o possibile,
ma anche al non utilizzo, di un sito.
Nella seconda categoria sono comprese due tipologie di benefici:
- Le ricadute dell'utilizzo di un sito sul suo intorno spaziale. Le più ovvie sono
quelle relative ai valori immobiliari che i proprietari si distribuiscono, ma possono
essere intercettate dalla comunità attraverso opportuni strumenti di fiscalità locale;
- Le ricadute connesse al diverso utilizzo di un sito entro il sistema di
distribuzione spaziale delle funzioni di un'area urbana, o del sistema
29
dell'accessibilità, o di quello dei servizi: cioè a dire tutti i vantaggi competitivi che
possono derivare ad una città da un sistema infrastrutturale e da una
configurazione spaziale delle funzioni più efficiente e coerente. Per gli operatori, i
developers, le difficoltà sono quelle che normalmente incontrano quando si
trovano a dover gestire grandi progetti urbani, con l'aggravante ulteriore degli
obblighi connessi alla presenza di inquinanti, sia in termini di maggiori costi che
di maggiore complessità del processo decisionale. Del resto grandi progetti urbani
e brownfields in parte coincidono, poiché spesso i primi prevedono la
trasformazione d'uso di aree precedentemente industriali, cioè salvo rare eccezioni
di siti contaminati, nei quali è necessario realizzare interventi di bonifica prima
della realizzazione delle nuove opere infrastrutturali ed edilizie. Dal punto di vista
degli operatori immobiliari l'intervento sui brownfields è un investimento più
rischioso rispetto ai grandi progetti urbani, ovviamente quando vengono garantiti
ampi margini di ricavo. Concludendo: secondo gli operatori una maggiore
competitività del settore (operatori più preparati e di dimensione adeguata), e
minori rischi per gli investitori (maggiori certezze sui costi e tempi inferiori)
consentirebbero la diffusione degli interventi sui brownfields (APAT, 2006).
1.2 RISORSE E STRUMENTI PER LA RIVALORIZZAZIONE DELLE
AREE DISMESSE
1.2.1 Gli strumenti per i progetti di trasformazione urbana
Negli anni Novanta sono stati introdotti un considerevole numero di nuovi
dispositivi normativi, di programmazione e progettazione degli interventi:
30
iniziative complesse di riqualificazione, progetti integrati, programmi di iniziativa
comunitaria, patti territoriali. Gli strumenti più rilevanti sono: i Programmi di
Riqualificazione Urbana e Sviluppo Sostenibile del Territorio (PRUSST), i
Programmi Integrati, le Società di Trasformazione Urbana (STU), gli Accordi di
Programma, i Patti Territoriali.
PRUSST: è stato introdotto dal D.M. 8.10.1998 n.1169. I PRUSST hanno
l’obiettivo di realizzare, all'interno di quadri programmatici organici, interventi
orientati all’ampliamento e alla riqualificazione delle infrastrutture, del tessuto
economico-produttivo-occupazionale, dell'ambiente, dei tessuti urbani e sociali
degli ambiti territoriali interessati.
I PRUSST rappresentano una nuova fase che nasce dall'esperienza dei programmi
di riqualificazione urbana (PRU). I fondamentali obiettivi dei PRUSST sono:
realizzazione, adeguamento, completamento di attrezzature sia a rete che puntuali
e la realizzazione di un sistema integrato di attività finalizzate all'ampliamento e
alla realizzazione di insediamenti industriali, commerciali e artigianali.
Il tutto comprende vari interventi tra cui:
bonifica delle aree industriali;
opere di urbanizzazione primaria;
opere di urbanizzazione secondaria;
realizzazione e riqualificazione di insediamenti produttivi;
realizzazione e recupero di edilizia residenziale;
ristrutturazione di edifici di rilevante valore storico-artistico.
I PRUSST vengono finanziati dal Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti.
31
I soggetti promotori, che presentano le richieste di finanziamento, sono gli Enti
Locali Territoriali e le Regioni, singolarmente o in forma associata. I soggetti
proponenti, che hanno la funzione di presentare istanze, idee e proposte ai soggetti
promotori, sono le altre amministrazioni pubbliche centrali e locali, le camere di
commercio, gli enti pubblici economici, le università, le associazioni di categoria,
le imprese singole o consorziate, le società finanziarie e le banche. Sebbene
contemplati nel manuale ARPAC, oggi non sono più attivi (Raccio, 2018, com.
pers.)
Programmi Integrati di Intervento: assumono carattere di stabilità dalla legge
17 febbraio 1992 n.179. Sono strumenti urbanistici attuativi per il governo dei
processi di trasformazione urbanistica in aree edificate; utilizzabili nella
riqualificazione di aree dismesse o caratterizzate da situazioni di profondo
degrado edilizio, urbanistico ed ambientale, che possono prevedere variazioni
nelle destinazioni d’uso esistenti e la realizzazione di infrastrutture.
I programmi integrati sono promossi dai Comuni.
L’iter amministrativo di approvazione si articola nelle tre fasi fondamentali: della
presentazione della proposta, della approvazione della proposta ed infine nella
stipula della convenzione.
STU: sono società miste pubblico private, istituite per favorire la collaborazione
tra Amministrazioni locali e developers immobiliari. Introdotte per la prima volta
nel sistema giuridico italiano dal comma 59 dell’art. 17 della legge 15 maggio
1997. Ai sensi di tale norma “le città metropolitane e i Comuni, anche con la
partecipazione della Provincia e della Regione, possono costituire società per
azioni per progettare e realizzare interventi di trasformazione urbana, in attuazione
32
degli strumenti urbanistici vigenti. Le Società di Trasformazione Urbana
provvedono alla preventiva acquisizione delle aree interessate dall’intervento, alla
trasformazione e alla commercializzazione delle stesse. La STU è società per
azioni e società di scopo, il cui oggetto sociale è l’acquisizione delle aree
interessate dall’intervento di trasformazione urbana (individuate con delibera del
Consiglio Comunale), la progettazione e l’attuazione del programma di
trasformazione, la commercializzazione delle aree.
Accordi di Programma: Gli Accordi di Programma da sempre sono uno degli
strumenti delle politiche di bonifica dei siti inquinati. Sono stati utilizzati per
fornire un impulso determinante al programma di bonifica dei siti inquinati,
avviando progetti di recupero ambientale dei siti di interesse nazionale (Accordo
di Programma per l’ACNA di Cengio, Accordo di Programma per la chimica a
Porto Marghera).
L’accordo di programma assicura il coordinamento delle azioni e determina i
tempi, le modalità, il finanziamento ed ogni altro connesso adempimento per la
definizione e l’attuazione di opere o programmi di intervento che richiedono
l’azione integrata e coordinata di comuni, province e regioni.
Patti Territoriali: il Patto territoriale è un accordo tra soggetti pubblici, sindacati
e associazioni imprenditoriali per il rilancio di un territorio, preferibilmente in
declino industriale, che può essere anche integrato con interventi di natura
turistico-alberghiera. È stato introdotto dal D.L. 8/2/95, n. 32, relativamente agli
"interventi ordinari per le aree depresse". Lo scopo di esso è la realizzazione di un
accordo tra diverse parti sociali pubbliche e private locali, attorno ad un progetto
33
destinato allo sviluppo di quel territorio, che consiste nell'identificazione e nella
successiva realizzazione di interventi integrati in diversi settori.
1.3 CARATTERIZZAZIONE DEI SITI CONTAMINATI
La principale normativa di riferimento per la realizzazione del Piano di
Caratterizzazione di questo lavoro di tesi è il Decreto Legislativo 152/2006 il
quale prevede il Piano di Caratterizzazione all’articolo 242 “Procedure Operative
e Amministrative” e fornisce indicazioni sulla sua redazione all’allegato 2.
Il Piano di Caratterizzazione in caso di contaminazione sarà il primo di una serie
di passaggi necessari per la bonifica e/o messa in sicurezza nel sito.
Generalmente la caratterizzazione di esso è realizzata per fasi successive a
crescente dettaglio sui vari temi emersi. Il Piano della Caratterizzazione va a
descrivere in modo dettagliato il sito di interesse, tutte le attività svolte presenti e
passate ed individua la correlazione tra tali attività e la possibile localizzazione ed
estensione della contaminazione.
Il Piano si articola in tre sezioni:
1) raccolta e sistemazione dei dati esistenti;
2) caratterizzazione del sito e formulazione preliminare del modello
concettuale;
3) piano di investigazione iniziale.
Nella prima sezione, Raccolta e sistemazione dei dati esistenti, si organizzano i
dati raccolti e si procede ad una descrizione sintetica del sito. La documentazione
da raccogliere per la successiva progettazione comprende:
- Inquadramento geografico del sito;
34
- Identificazione del sito, delimitazione ed estensione;
- Tipologia dell’area;
- Planimetrie in scala;
- Storia del sito;
- Descrizione dei cicli produttivi;
- Materie prime utilizzate;
- Eventuali incidenti avvenuti;
- Descrizione dei rifiuti prodotti;
- Aree temporanee di stoccaggio dei rifiuti;
- Modalità di smaltimento dei rifiuti.
- Descrizione dello stabilimento - che faccia riferimento alle planimetrie
disponibili tramite numeri o lettere che ne permettano l’identificazione;
- Descrizione, modalità di approvvigionamento ed eventuali aree di
stoccaggio delle materie prime e del prodotto finito;
- Presenza di serbatoi - presenti nel sito indicando tipo numero materiale di
costruzione, volume, eventuali dispositivi di contenimento delle perdite,
verifiche sulla tenuta, tipo di sostanze contenute attualmente e nel passato,
presenza di tubazioni o pozzetti di collegamento alle zone di produzione;
- Aree di stoccaggio dei fusti - con descrizione della tipologia e del numero;
- Indicazione dell’approvvigionamento idrico - acquedotto, pozzo con
relativi volumi annui;
- Descrizione dei modi di raccolta, smaltimento, trattamento e scarico in
corpi idrici superficiali o fognature delle acque reflue;
35
- Riportare la presenza di materiali contenenti amianto e interventi di
rimozione o incapsulamento già effettuati o in programma;
- Riportare la presenza o meno di liquidi contenti PCB;
- Riportare riferimenti catastali del sito - con la descrizione degli strumenti
urbanistici vigenti o in corso d’approvazione;
- Riportare precedenti indagini ambientali effettuate.
Nella seconda sezione, caratterizzazione del sito e formulazione preliminare
del modello concettuale, si descrive l’assetto fisico dell’area con particolare
riferimento alle matrici suolo e acque sotterranee:
- Assetto geologico e idrogeologico - viene descritta la stratigrafia dei
terreni, profondità, spessore dei litotipi, granulometria e permeabilità.
Inoltre viene descritta la presenza o meno di una o più falde;
- Aree di potenziale interesse ai fini della contaminazione - esse sono
identificate in base alle informazioni contenute nei capitoli precedenti con lo
scopo di una migliore progettazione del piano di investigazione iniziale;
- Messa in sicurezza di aree contaminate;
- Formulazione del modello concettuale preliminare del sito - come previsto
dal Decreto Legislativo 152/2006. Con particolare attenzione ai caratteri
ambientali e sociali del territorio circostante il sito in modo da identificare con
sicurezza i bersagli potenziali di un’eventuale contaminazione.
Nella terza sezione, piano di investigazione iniziale, viene definito il seguente
Piano di investigazione:
- Pulizia della vegetazione infestante - onde evitare cadute accidentali;
- Presenza di sottoservizi - come linee elettriche o tubazioni metalliche;
36
- Indagine sui chiusini esistenti - per la verifica di eventuali infrastrutture
interrate sfuggite nella descrizione del sito;
- Verifica su pozzi e piezometri esistenti;
- Verifica della stabilità degli edifici;
- Piano di gestione e smaltimento dell’amianto - nel caso in cui i
sopralluoghi hanno evidenziato tale presenza;
- Piano di Gestione dei Rifiuti - nel caso in cui i sopralluoghi abbiano
evidenziato tale presenza;
- Gas interstiziale - quest’indagine viene utilizzata in corrispondenza di
punti vendita carburante, serbatoi e reti interrate;
- Sondaggi - il D.Lgs. 152/2006 non fornisce indicazioni sul numero di
sondaggi da effettuare, circa l’ubicazione dei punti di campionamento essi
devono essere disposti in modo da corrispondere agli obiettivi indicati nei
criteri generali con ubicazione ragionata oppure sistematica in base al caso;
- Piezometri - come per i sondaggi anche in questo caso il D. Lgs. 152/2006
non indica la quantità di piezometri da effettuare, il loro posizionamento viene
fatto in base alle caratteristiche idrogeologiche dell’area;
- Rilievo topografico di tutti i piezometri - indispensabile per capire la
direzione di deflusso della falda;
- Prelievo dei campioni di terreno - questo argomento viene trattato
nell’allegato 2 al Titolo V della IV parte del D.Lgs. 152/2006 secondo il quale
si deve procedere al prelievo di tre campioni: il primo da 0 a 1 m dal piano
campagna, il secondo nel metro che comprende la frangia capillare, il terzo
nella zona intermedia tra i due campioni;
37
- Prelievo dei campioni d’acqua - all’interno del piano vanno descritti i
metodi di spurgo dei pozzi e quelli di campionamento delle acque sotterranee;
- Analisi chimiche - non devono essere effettuate sulla lista completa delle
sostanze indicate in tabella ma vengono scelte le più critiche in base alle attività
pregresse del sito;
- Analisi geotecnica - esse prevedono il prelievo di campioni di terreno
rappresentativi delle litologie incontrate da sottoporre alle varie analisi;
- Sintesi dei risultati delle indagini - mettendo insieme tutti i risultati
ottenuti si riesce a giungere alla ricostruzione dell’assetto geo-idrologico dell’area
di interesse.
Il modello concettuale definitivo del sito si ottiene integrando i risultati delle
varie analisi e indagini effettuate durante il campionamento. In tal modo è
possibile individuare (APAT, 2007):
Le fonti della contaminazione presente o passata;
Le sostanze contaminanti presenti e la loro tossicità;
Le caratteristiche rilevanti dell’ambiente con cui il sito è in stretta
interazione;
La presenza di pozzi nel sito o nelle aree circostanti;
Gli elementi territoriali rilevanti;
Le modalità di esposizione dei vari bersagli.
38
1.4 IL CASO STUDIO DELL’AZIENDA GEZOOV (GENERALE
ZOOTECNICA VOLTURNO) (Figura 1.2)
Figura 1.2 – foto aerea ex GEZOOV
Nell’immediato dopoguerra obiettivo principale dei tecnici e degli imprenditori
agricoli - zootecnici è stata sempre la ricerca dei mezzi atti a ridurre al minimo i
costi di produzione, sia migliorando le tecniche colturali sia meccanizzando le
aziende agricole, effettuando cioè una vera e propria razionalizzazione aziendale.
In questo periodo in particolare si va alla ricerca dell’impiego di nuove tecniche
nella trasformazione dei foraggi in carne e latte (Di Muccio, 1971).
Nel 1958 il governo dell’epoca decide di avviare un piano di industrializzazione
per il Sud. Si tratta di un’operazione pianificata dalla Cassa per il Mezzogiorno.
Un ruolo fondamentale è svolto dalle Partecipazioni Statali, a cui viene assegnato
39
per legge l’obbligo di localizzare nel Mezzogiorno il 40% dei propri investimenti
(Lombardi, 2004).
Anche la comunità ed il territorio di San Potito Sannitico hanno vissuto esperienze
di un intervento statale che si inserisce perfettamente nella logica politica di
quegli anni (a partire dal 1960) ovvero la costruzione di uno dei più grandi centri
di allevamento intensivo zootecnico italiano e forse europeo di quel periodo: la
GEZOOV (Lombardi, 2004).
Con la denominazione GEZOOV (Figura 1.3) è indicata un’azienda agricolo-
zootecnica realizzata alla fine del periodo 1960 - 1970 (inizio lavori di
realizzazione 1966, funzionamento a pieno regime 1970-1971) per l’allevamento
di vitelli da ingrasso, un segmento specifico e, per l’epoca del tutto innovativo,
della filiera produttiva dell’allevamento bovino da carne.
Figura 1.3
40
La società GEZOOV S.p.A. fu fondata a Roma nel 1967. Lo statuto societario
prevedeva nelle proprie finalità “la valorizzazione dei territori del Medio Volturno
mediante l’organizzazione di uno o più centri zootecnici, comprendenti le
installazioni e gli impianti fissi e mobili, necessari ad un razionale ed efficiente
allevamento di bestiame e tutte le attività agricole ritenute necessarie al migliore
funzionamento o idonee a facilitare i soci nelle colture foraggiere e
nell’allevamento del bestiame”. Inoltre: “l’organizzazione dei trasporti, la
produzione di carni, latte e prodotti zootecnici, l’organizzazione eventuale di una
centrale di raccolta e pastorizzazione del latte, di un caseificio, di un frigo
macello, di impianti per la conservazione delle carni e del latte”. Lo scopo
principale era “abbandonare totalmente i vecchi e tradizionali metodi di
allevamento e creare nuovi ambienti razionali, rispondenti perfettamente alle
moderne tecniche fisio-meccaniche per la produzione della carne”.
Da queste premesse nella zona alta del Medio Volturno nel territorio del Comune
di San Potito Sannitico, in località Campochiaro nacque il grande Centro
Zootecnico di Allevamenti di vitelli da carne (baby beef). Il tutto per un valore
complessivo di 739.675.000 lire (al 1970). Il complesso è stato studiato,
progettato e realizzato dalla ditta specializzata in costruzioni zootecniche GI & GI
di Reggio Emilia.
La tecnologia relativa alla produzione del baby beef secondo i moduli GI & GI è
basato:
a) Produzione della carne nel periodo più favorevole del ciclo biologico dei
bovini;
41
b) Applicazione di un programma di alimentazione che potesse utilizzare
tutte le risorse fisiologiche dell’individuo, adottando un sistema alimentare
e per quantità e per qualità tale da adeguarsi alle varie fasi evolutive
dell’apparato digerente dei vitelli;
c) Allevamento, in stalla, a stabulazione libera.
Con questa tecnologia si ottengono i seguenti risultati: minimi investimenti in
ambiente e attrezzatura, ampia meccanizzazione dell’intero allevamento massimo
coefficiente di trasformazione degli alimenti in carne, e quindi conseguente
riduzione dei costi di produzione. La composizione sociale della società per
azione GEZOOV si articola sulla compartecipazione di tre gruppi di azionisti:
agricoltori organizzati in cooperative; agricoltori quali singoli azionisti; FINAM
(finanziaria agricola meridionale). Mentre i primi due gruppi hanno il compito di
adoperarsi per assicurare alla Società la più efficace assistenza nelle incombenze
tecniche nonché all’approvvigionamento del bestiame necessario all’attività del
centro zootecnico, (articolo 5, lettera b dello statuto), la FINAM si impegna a
fornire la propria assistenza e collaborazione per agevolare i rapporti con gli
istituti finanziari. Inoltre s’impegna a prestare, alle condizioni che saranno
concordate dalle parti, le eventuali fideiussioni richieste in relazione alle
obbligazioni contratte dalla Società, che ha anche il compito di commercializzare
non solo il proprio prodotto ma anche quello dei soci strappando definitivamente
gli agricoltori dalla speculazione spesso disonesta dei commercianti. Inoltre, sarà
l’agricoltura dell’intera zona che se ne avvantaggerà: per far fronte alle esigenze
foraggere-alimentari della sola società l’agricoltura dovrà completamente
ristrutturarsi per far fronte all’intero fabbisogno alimentare dell’allevamento della
42
società e degli allevamenti dei singoli agricoltori. Dall’altra parte scopo precipuo
dell’iniziativa della creazione della GEZOOV è stato quello di dar vita ad
un’impresa economicamente valida, nonché di stimolare l’emulazione degli
allevatori e dei foraggicoltori della zona (Di Muccio, 1971).
L’azienda, con diversi assetti, ha funzionato a pieno regime per circa 10 anni
(1971-1981) ma, con il fallimento dell’ultima società proprietaria, la San Simeone
S.r.l., l’azienda è stata occupata, in modo del tutto abusivo, da alcuni operatori del
settore zootecnico. Questi ultimi, in assenza di rivendicazioni da parte della
società proprietaria delle strutture e delle superfici, e senza dimostrare alcun titolo
o diritto legale d’uso, hanno proseguito le attività di allevamento usufruendo sia
delle strutture, per quanto via via sempre più fatiscenti, e delle superfici
coltivabili. L’abuso nell’occupazione si è spinto fino ad eseguire il sequestro dei
fabbricati non a norma, ai provvedimenti di messa in sicurezza delle strutture
(rimozione delle coperture in cemento - amianto), anche in contrasto con
l’amministrazione pubblica (nello specifico il Comune competente per il
territorio) che già rivendicava i propri titoli di proprietà sull’area.
Solo dopo circa 30 anni in data 31 ottobre 2008 con registrazione dell’atto presso
l’Agenzia delle Entrate di Caserta il 3 novembre 2008, dopo un lungo contenzioso
con gli occupanti abusivi l’azienda è acquisita al patrimonio del Comune di San
Potito Sannitico grazie ai fondi messi a disposizione nell’ambito di un progetto di
riqualificazione dell’area.
Caratteristiche dell’azienda
L’azienda sorgeva in un unico fondo con moderata pendenza in direzione NE-SO
denominata “fondo Raineri” di originaria proprietà della famiglia Filangieri di S.
43
Potito Sannitico. La parte destinata alla costruzione dei fabbricati è stata
regolarizzata nella pendenza con una serie di tagli del profilo altimetrico della
pendice per permettere la realizzazione di piattaforme orizzontali su cui edificare i
singoli fabbricati, mentre la viabilità e, a maggior ragione i cunicoli dei
sottoservizi rispettavano la pendenza iniziale. Anche nella parte coltivata del
corpo aziendale è stato rispettato l’andamento naturale della pendice anche se non
mancano evidenze di considerevoli movimenti di materiali terrosi che hanno, in
alcune zone a ridosso dei fabbricati, modificato l’andamento delle superfici.
Figura 1.2 - Planimetria generale
44
La struttura aziendale era stata progettata per ospitare, durante il corso di un anno,
due mandrie di circa 4.500 capi di bestiame bovino ed era, nel periodo di
funzionamento, probabilmente tra le più grandi dell’Italia e forse d’Europa se non
la più grande in assoluto. L’intero complesso era composto da: diversi fabbricati
per servizi tecnici (tra cui un piccolo frigo-macello ed un forno crematorio,
presumibilmente per le macellazioni d’urgenza); undici stalle della capacità di 400
capi ognuna; una tettoia di acciaio per il collegamento delle testate delle stalle;
diversi impianti per la preparazione e distribuzione meccanica dei foraggi e
concentrati; un deposito per i mangimi; un deposito di attrezzature varie; un
magazzino centrale per il fieno della capacità di 36.500 m3. In seguito è stato
costruito un impianto per l’essiccazione delle deiezioni solide e liquide (Figura
1.2). Questi manufatti, e la viabilità di servizio, coprivano una superficie di circa
27.000 m2 su una superficie aziendale totale di circa 275.300 m
2. Ogni stalla è
divisa in box in cui sono ospitati di norma 20 capi, in stabulazione libera, ognuna
di esse è fornita di impianto per la distribuzione meccanica dei foraggi e mangimi
concentrati; di impianto per la ventilazione e di impianto per la distribuzione
automatica di mangimi composti il tutto è azionato e comandato da un moderno e
completo sistema elettronico (Di Muccio, 1971). I ricoveri per gli animali
presentano dei pavimenti grigliati e sotto ad ognuno di essi era presente una vasca
a doppia pendenza centro-laterale per il recupero dei liquami i quali confluiscono
tutti in una vasca principale. La disposizione dei fabbricati destinati allevamento
era estremamente funzionale e si sviluppava su di piattaforma impermeabilizzata
che consentiva la viabilità dei mezzi meccanici e al di sotto della quale era
sviluppata la rete dei sottoservizi. Nella configurazione originale dell’allevamento
45
i liquami erano convogliati direttamente all’interno dell’essiccatore (Figura 1.4) e
da qui alla piattaforma di stoccaggio in attesa delle operazioni di insaccatura per il
trasporto al di fuori dell’azienda. In una fase, successiva questa parte
dell’impianto era stato dismesso e smantellato ̧perché il ciclo di essicazione era
stato ritenuto antieconomico.
Figura 1.4 – Essiccatore liquami
Tra alterne vicende l’azienda ha mantenuto fino al 2008 questo ordinamento
produttivo con alcune variazioni circa la numerosità della mandria residente e del
tipo di destinazione produttiva. Questo utilizzo non ha però evitato una
progressiva obsolescenza delle strutture che, con l’eccezione della costruzione di
alcuni paddock semiaperti e la sostituzione obbligata delle tettoie in cemento-
amianto, non sono mai state efficacemente manutenute. Con la definitiva
46
dismissione delle attività di allevamento del 2013 l’azienda si presenta in totale
abbandono e in uno stato di degrado molto avanzato (Figura 1.5).
Figura 1.5 – Vista aerea dell’ex GEZOOV
Criticità accertate nell’area occupata dall’Azienda ex GEZOOV:
Presenza di coperture in cemento amianto eternit
La presenza di questo materiale è attestata dal verbale Nr. 3 del 15 marzo 2001
dell’Azienda Sanitaria Locale CE/1; i quali in data 1° marzo 2001 attestano che
tale materiale risulta essere altamente danneggiato ed esposto tra l’altro ad agenti
atmosferici con possibile ulteriore degrado che consentirebbe un maggior rilascio
di fibre di amianto con rischio per la popolazione esposta. Inoltre, rilevano che
tale materiale è costituito da cemento amianto crisotilo in forma compatta,
quest’ultimo in percentuale variabile da 11,9 a 14,0 % così come certificato dalle
indagini ambientali eseguite per conto della stazione dei carabinieri di Piedimonte
Matese in data 9 novembre 2000 e dall’ARPAC. Suddetta area viene bonificata
molto tempo dopo (quasi 10 anni) come risulta dalla comunicazione del
47
Dipartimento di Prevenzione, Unità Operativa di Prevenzione Collettiva ASL
Caserta il 22 settembre 2011 prot. Nr. 3239 eseguita da parte della Ditta incaricata
Ecobuilding Srl con sede legale via Areusta N.3 S. Lucia di Serino (AV) per conto
dei proprietari delle mandrie che in quel periodo occupavano abusivamente le
strutture aziendali.
Inquinamento da idrocarburi causato dalla fuoriuscita di olio diatermici/nafta
con conseguente inquinamento delle superfici circostanti e dei fossati adiacenti
all’area
Vari documenti attestano questo episodio, tra cui il verbale Nr.17/42-1 di
protocollo del 25 luglio 1996 dei Carabinieri della Stazione di Piedimonte Matese
e il verbale del comando di Polizia Municipale di San Potito Sannitico protocollo
Nr.3761 del 26 luglio 1996; entrambi rilevano la presenza di questi composti nei
fossi di scolo adiacenti all’ex GEZOOV. Da ulteriore verifica si notò che
l’olio/nafta proveniva da tre cisterne che stazionano da anni nella ex GEZOOV.
Tale situazione fu confermata anche dalla Procura della Repubblica, che il 27
febbraio 1999 emise un’ordinanza (Nr. 4057/97 R.G. Not. di Reato) di bonifica
delle aree interessate da tale fenomeno a carico della Società Agricola
Montemiletto in quanto proprietaria dell’area.
Nuovo inquadramento dell’area nelle zone vulnerabili ai nitrati di origine
agricola (ZVNOA)
La recente (2017) delimitazione delle ZVNOA da parte della Regione Campania
ha riclassificato parte dell’agro del Comune di S. Potito Sannitico come zona
48
vulnerabile e, di conseguenza, soggetta ai vincoli della vigente "Disciplina tecnica
regionale per l'utilizzazione agronomica degli effluenti di allevamento" (DGR n.
762/2017) (Regione Campania, 2017). Tale situazione è il frutto di una
evoluzione normativa regionale, in particolare:
Febbraio 2003: Disciplina tecnica per lo spandimento dei reflui zootecnici
(DGR 610/2003)
Febbraio 2003: Zone vulnerabili ai nitrati di origine agricola (DGR
700/2003)
Luglio 2003: Direttiva tecnica per il piano di utilizzazione agronomica dei
reflui zootecnici (DGR 2382/2003)
Febbraio 2004: Programma d'azione della Campania (DGR 182/2004)
Luglio 2005: Piano di Comunicazione per il Programma d'azione (DRD n.
345/2005)
Febbraio 2007: Disciplina tecnica per lo spandimento dei reflui zootecnici
(DGR 120/2007)
Febbraio 2007: Rimodulazione del Programma d'Azione per la Campania
(DGR 209/2007)
Dicembre 2017: Delimitazione delle zone vulnerabili ai nitrati di origine
agricola (DGR 762/2017)
Le superfici coltivate di diretta pertinenza aziendale, se rapportate ai 4.500 capi di
bestiame annualmente presenti in progetto, appaiono, letti i criteri d’oggi, essere
sottodimensionate per lo smaltimento dei liquami prodotti. Tuttavia, già in fase di
progettazione il problema doveva essere stato preso in considerazione, infatti fu
49
realizzato un essiccatore alimentato a gasolio, che per problemi di progettazione e
di variazione del prezzo del petrolio restò in funzione solo per 2 anni dalla sua
realizzazione. Dal momento in cui l’essiccatore fu dismesso iniziarono a sorgere
problemi di collocazione dei liquami e furono attuate pratiche di smaltimento
incontrollate e non sostenibili persino per le fragili leggi di tutela ambientale della
seconda metà del secolo scorso. Infatti, sulla base di alcune testimonianze raccolte
tra gli ex-operai dell’azienda è possibile affermare che per far fronte a tale
problema sono state escavate sulle superfici agricole aziendali alcune vasche,
senza alcuna impermeabilizzazione (c.d. lagune). La realizzazione delle vasche
trovava una sua ragione nell’alta impermeabilità dei suoli argillosi dell’area che
garantiva di poter fare sedimentare le componenti solide dei liquami senza il
timore di eccessiva percolazione in falda. Per la frazione liquida così separata si
confidava nelle possibilità offerte dall’esteso reticolo idrografico superficiale,
costantemente alimentato dalla falda affiorante, per effettuare operazioni di
smaltimento più o meno occulte.
Attualmente tutti gli edifici aziendali si presentano in grave stato di
deterioramento delle strutture murarie e delle coperture, della viabilità interna e
delle strutture fognarie, dimensionate, peraltro, alla canalizzazione delle ingenti
quantità di liquami verso la cisterna interrata di stoccaggio. Tutte le attrezzature
amovibili e riutilizzabili sono state asportate, il saccheggio si è spinto fino
all’asportazione dei quadri e dei cavi elettrici. I motori e gli scambiatori termici
dell’impianto, così come il tamburo rotante di essicazione sono stati asportati.
Tutta l’area si trova in una accentuata condizione di degrado, non esente da
pericoli per la condizione di piante da alto fusto non correttamente potate, precaria
50
stabilità dei solai e delle tettoie dei fabbricati, assenza di chiusini sui pozzi di
ispezione dell’apparato fognario e delle cisterne interrate.
.
51
2. FINALITÀ
Lo scopo del presente lavoro è elaborare alcuni aspetti del piano della
caratterizzazione dell’area dismessa ex GEZOOV, situata nel comune di San
Potito Sannitico (CE).
L’area ex GEZOOV costituisce un caso abbastanza complesso di inquinamento
ambientale in ambito rurale, conseguenza delle attività di produzione e di
abbandono del sito post-produzione. Saranno quindi considerati alcuni aspetti del
piano di caratterizzazione dell’area secondo quanto previsto dal D.Lgs. 152/2006
(che riprende quanto illustrato dall’Allegato n.4 del D.M. 471/1999).
Saranno esaminate le tre sezioni in cui tale piano è articolato:
1. Raccolta e sistematizzazione delle informazioni esistenti;
2. Caratterizzazione del sito e formulazione preliminare del modello
concettuale;
3. Piano di investigazione iniziale sulla base dei risultati di cui i punti
precedenti saranno fornite le linee guida determinanti per la redazione
del progetto preliminare di bonifica secondo le più idonee strategie a
disposizione.
Tale sito, nonostante non sia inserito in un contesto urbano ma in una zona
periferica non urbanizzata del territorio comunale, può essere comunque definito
come un brownfield dato che ha tutte le caratteristiche di un’area industriale
dismessa e degradata bisognosa di un progetto di riqualificazione e
trasformazione.
52
3. MATERIALI E METODI
3.1 NORMATIVA DI RIFERIMENTO
Per la realizzazione del Piano della Caratterizzazione occorre fare riferimento al
D.Lgs. 152/2006 che lo contempla all’articolo 242 “procedure operative e
amministrative” e fornisce indicazioni sulla sua redazione nell’Allegato 2.
Le metodiche analitiche adottate sono quelle contenute nella “Raccolta 2000-
Metodi di Analisi dei suoli” redatta dal CTN SSC Centro Tematico Nazionale
“Suolo e Siti Contaminati” per acque sotterranee quelle del CNR-IRSA (Consiglio
Nazionale delle Ricerche – Istituto di Ricerca sulle Acque) e dell’EPA
(Environmental Protection Agency).
3.2 CARTOGRAFIA CARTACEA E INFORMATICA
La cartografia di base è rappresentata dai seguenti documenti cartografici:
1. Carta Geologica alla scala 1: 100.000; Foglio 161 Isernia, Foglio 162
Campobasso, Foglio 172 Caserta;
2. Carta Geomorfologica alla scala 1: 100.000;
3. IGM - Carta Topografica d'Italia fogli: 161 Isernia (1942-46), 162
Campobasso (1954-57) e 172 Caserta (1957), alla scala 1:100.000;
4. IGM - Carta Topografica d'Italia 161II SE Piedimonte d'Alife, (1946),
162III SO Cusano Mutri (1954) e 172 I NE Alife (1946), alla scala 1:25.000;
53
5. Carta dell'Uso Agricolo del Suolo (CUAS) relativa all'anno 2009;
6. ZVNOA (Zone Vulnerabili ai Nitrati di Origine Agricola) Campania
relativa all’anno 2017;
7. Stralcio della Carta Topografica d'Italia Foglio 418 Piedimonte Matese,
reticolo idrografico.
3.2.1 Carte derivate
Le carte derivate sono state ottenute dall’elaborazione della cartografia di base
tramite l’uso del software ArcGis 10.2 che consente di individuare i modelli, le
relazioni e le tendenze che caratterizzano i dati geospaziali, evidenziando ciò che
spesso non è facilmente deducibile da un database, un foglio di calcolo e da uno
strumento di analisi statistica.
Oltre alla visualizzazione dei dati come elementi geometrici su una mappa,
ArcGIS permette la loro gestione e integrazione, l'analisi spaziale avanzata e la
modellazione.
Il SIT consente di mettere in relazione tra loro dati diversi, sulla base del loro
comune riferimento geografico, producendo nuove informazioni attraverso
funzionalità di analisi tese a trasformare ed elaborare gli elementi geografici e gli
attributi.
Dall’elaborazione della cartografia di base sono state ottenute le seguenti carte
derivate:
a) ZVNOA San Potito Sannitico;
54
b) Reticolo idrografico San Potito Sannitico;
c) Carte delle Unità Litologiche;
d) Carta dell’uso agricolo del suolo (CUAS);
Tali contenuti saranno illustrati nel successivo capitolo dei risultati.
3.3 RILEVAMENTO PEDOLOGICO
Il rilevamento pedologico è stato svolto seguendo le indicazioni contenute nelle
“Linee guida dei metodi di rilevamento e informatizzazione dei dati pedologici”
(Costantini, 2007).
Nell’area sono stati effettuati in totale 5 profili speditivi nelle zone ritenute più
critiche. I profili sono descritti sommariamente e campionati per tutto lo spessore
di suolo esplorabile. Le attività di rilevamento sono state svolte in data 22
novembre 2017 (Figura 3.1).
55
Figura 3.1 – Planimetria generale con ubicazione dei profili
La localizzazione dei profili esplorativi è stata scelta dopo una valutazione
accurata di tutte le criticità emerse durante il sopralluogo effettuato in azienda in
data 22 novembre 2017.
In campo sono stati aperti cinque profili esplorativi:
Profilo 1_ salici (P117401) in ambiente semi-naturale con copertura di
salici;
Profilo 2_ paddock (P117409) nella parte adibita tuttora a coltivazione a
ridosso dei nuovi ricoveri di stabulazione semi aperti;
Profilo 3_ serbatoi (P117414) nella zona incolta in prossimità dei
fabbricati per il ricovero delle caldaie e dei motori dell’impianto di
essiccamento dei liquami zootecnici;
56
Profilo 4_ vasca (P117422) nella parte adibita tuttora a coltivazione in
prossimità di una vasca di raccolta delle acque sorgive;
Profilo 5_ ricovero (P117427) adiacente al profilo 4 in prossimità del
complesso dei ricoveri chiusi a stabulazione libera.
Il simbolo W nell’orizzontazione indica il rinvenimento della falda che, di fatto,
limita l’osservazione dello spessore verticale del suolo.
Successivamente in laboratorio sono state eseguite le varie analisi sui campioni
prelevati e in particolare sui campioni dei profili 2,3, 4 e 5, ritenuti i più
problematici.
In data 9 gennaio 2018 durante una seconda attività di rilevamento sono state
esplorate quattro trincee, per una profondità di 1,0 m, a ridosso del Profilo 3 per
delimitare l’area interessata da un probabile inquinamento da olii diatermici o
idrocarburi (Figura 3.2).
Figura 3.2 – Planimetria generale con ubicazione delle trincee di ispezione
57
3.4 METODI DI ANALISI DEI SUOLI
In considerazione degli obiettivi della presente Tesi e della diversa tipologia di
materiale da analizzare sono state utilizzate differenti tecniche di preparazione e di
analisi dei campioni prelevati in campo.
Per lo studio dei campioni sono stati usati i metodi di analisi chimica del suolo del
Ministero delle Politiche Agricole e Forestali, di seguito indicati come metodo n.I,
n. II, n. III, ecc., … (Violante, 2000).
Modalità di prelevamento di campioni di suolo da sottoporre ad analisi (metodo
n. I.1).
Preparazione del campione e determinazione dello scheletro (metodo n. II.1).
Per tale determinazione il campione viene fatto prima asciugare pesato e vagliato
con setaccio a 2 mm e infine viene pesato scheletro e terra fine.
Determinazione della granulometria per setacciatura ad umido e sedimentazione
metodo della pipetta (metodo n. II.5).
Tale determinazione è stata effettuata pesando 10 g di terra fine a cui sono stati
aggiunti 10 ml di sodio esametafosfato come agente disperdente, il tutto è stato
portato a volume con H2O distillata e posto in agitazione per due ore.
Successivamente, il campione è stato vagliato con setaccio metallico da 0.2 mm
ed è stato determinato il quantitativo di sabbia grossa. La restante frazione è stata
trasferita all’interno del Levigatore di Andreasen, dopo ciò, prelevando a tempi
prestabiliti è stato possibile definire le frazioni limo grosso, limo fine e argilla.
58
Determinazione del carbonio organico totale metodo di Springer e Klee (metodo
n.VII.2).
Il contenuto di carbonio organico totale (Total Organic Carbon - TOC) è stato
determinato secondo il metodo Springer-Klee, opportunamente modificato. In
particolare rispetto alla procedura classica (MiPAAF, 2000) è stata introdotta una
modifica nella fase di ossidazione con l’utilizzo di un digestore termostatato
temporizzato in luogo del riscaldamento tramite becco Bunsen a fiamma libera
(Rubino et al., 2008).
Tale metodo prevede che il carbonio organico venga ossidato per via umida con
una soluzione di potassio bicromato (K2Cr2O7) in ambiente acido in condizioni di
alta temperatura (160°C). La reazione che caratterizza questo processo è la
seguente:
3C+2K2Cr2O7+8 H2SO4→K2SO4+2Cr2(SO4)3+H2O+3CO2
L’eccesso di bicromato che non ha reagito con il carbonio viene successivamente
retrotitolato con una soluzione di un sale ferroso, in presenza di un indicatore ox-
red. I risultati sono stati espressi in chilo di matrice secca a 105°C.
Determinazione del fosforo assimilabile metodo Olsen (metodo n.XV.3).
Trasferire 2 g del campione di terra fine in contenitore di materiale plastico da 100
mL o un tubo da centrifuga da 125 ml. Aggiungere 0,5 g di carbone attivo e 40
mL (V1) della soluzione (0,5 moli.L
-1) di sodio bicarbonato a pH 8,5. Tenere in
agitazione per 30 minuti e filtrare la soluzione con filtro tipo Whatman® n°42
raccogliendo il filtrato in contenitore di materiale plastico munito di tappo. Se
59
necessario, per soluzioni molto scure, si aggiunge il carbone attivo per ridurre
l’interferenza della sostanza organica solubile. Preparare la prova in bianco
seguendo le stesse modalità operative, omettendo il campione di suolo. Il fosforo
infine viene determinato per spettrofotometri.
Incenerimento in muffola per la determinazione del carbonio organico totale.
Sono stati pesati 10 g di terra fine del campione di interesse e messi in muffola a
550°C fino ad imbianchimento. Dopo l’incenerimento è stato pesato il
quantitativo di ceneri, la determinazione è stata eseguita in tre repliche.
Determinazione idrocarburi e IPA (idrocarburi policiclici aromatici).
La determinazione degli idrocarburi del petrolio è stata fatta tramite una
microestrazione in fase solida con gas cromatografia-spettrometria di massa
(Journal of chromatographic science).
Per gli IPA è stata fatta una determinazione quantitativa di 16 idrocarburi
policiclici aromatici mediante microestrazione in fase solida (Journal of separation
science).
Tutte le analisi sono state svolte presso il laboratorio di Geopedologia del
Dipartimento di Scienze e Tecnologie Ambientali Biologiche Farmaceutiche
dell’Università degli Studi della Campania “Luigi Vanvitelli”, fatta eccezione per
la determinazione degli idrocarburi, svolta presso il laboratorio di Chimica
Ambientale dello stesso Dipartimento, sotto la direzione del Dott. Pasquale
Iovino.
60
Procedure di calcolo.
Tutti i dati sono stati elaborati adoperando il software Microsoft Excel 2010.
61
4. RISULTATI E DISCUSSIONI
4.1 INQUADRAMENTO TOPOGRAFICO SAN POTITO SANNITICO
L'area comunale di S. Potito Sannitico, alla base delle pendici meridionali del
Gruppo del Matese centrale (Campania settentrionale), è nella fascia latitudinale
compresa tra 41°29'24” e 41°18'40” NORD, e longitudinale tra 14°22'13” e
14°28'48” EST (valori riferiti al sistema cartografico nazionale, Gauss Boaga,
Zona 2, Roma40). Di forma sub rettangolare, orientata in direzione NE-SO, con
lunghezza di ca. 11 km ed un'ampiezza di ca. 2,5 km, copre un'area di ca. 22,8
km2 e si pone altimetricamente tra le quote di 1640 (Monte Pastonico) e 114 m
s.l.m. (Figura 4.1).
Figura 4.1 - Stralcio della Carta Topografica d'Italia Foglio 418 Piedimonte
Matese; in blu scuro traccia di una sezione topografica.
62
Il profilo topografico (Figura 4.2) realizzato lungo la traccia di sezione orientata
NE-SO (Figura 4.1), mostra le variazioni altimetriche della zona: l'area è
prevalentemente montuosa, articolata per l'alternanza di creste e selle, talora
ampie da costituire degli altopiani. Alla quota di ca. 470 m s.l.m. una rottura di
pendenza segna la fascia di raccordo con la pianura alluvionale di Alife del medio
corso del Fiume Volturno.
A
B
Figura 4.2 – Profilo topografico
4.2 INQUADRAMENTO TERRITORIALE
L’area oggetto di studio ricade interamente nel Comune di San Potito Sannitico
provincia di Caserta, il cui territorio si estende nel comprensorio matesino alla
sinistra del fiume Volturno da cui dista 15 km. Il territorio comunale di San Potito
Sannitico confina a nord con il massiccio del Matese ad ovest con il Comune di
Piedimonte Matese, ad est con il Comune di Gioia Sannitica ed infine a sud con il
territorio del Comune di Alife. L’area comunale è totalmente compreso nella
perimetrazione della comunità montana del Matese e parzialmente nel parco
regionale del Matese. Il centro urbano del comune ha un’altezza media sul livello
B
63
del mare pari a 289 m, mentre l’area di nostro interesse nella parte più bassa del
territorio comunale ha un’altezza media pari a 125 m.
Dal punto di vista geo – litologico il territorio si presenta costituito, nella parte
alta e in buona parte del centro urbano da roccia calcarea fratturata di ottima
resistenza ad una profondità media di circa 5 m. Nella parte di territorio a valle del
centro urbano e la rimanente parte del centro urbano stesso la geo – litologia è
sostanzialmente diversa essendo costituita da strati di argilla mista a calcare (c.d.
tassone), e strati di conglomerati. In questa zona lo strato di calcare di origine
carbonatica si trova a 10/15 metri di profondità; il territorio nel complesso non è
interessato da fenomeni di carattere franoso in atto né pregressi. Per quanto
riguarda l’idrografia sono presenti vari canali naturali che partendo dalle pendici
del monte Airola attraversano il territorio comunale dirigendosi verso la piana
alifana convogliando tutte le acque naturali e piovane. Il territorio comunale è per
la maggior parte destinato ad uso agricolo con colture erbacee di tipo seminativo
irriguo e colture arboree caratteristiche (uliveti, vigneti e frutteti).
Il tessuto urbano nelle zone agricole periferiche, si presenta essenzialmente
costituito da case sparse unifamiliari costruite con materiali naturali locali. Il
centro urbano si è sviluppato attorno al centro storico costituito da una notevole
densità edilizia superiore alla densità media dell’intero comune. All’interno del
centro storico vi è una serie di vie interne di piccole dimensioni intrecciate tra loro
che caratterizzano il paesaggio urbano dei comuni montani come San Potito
Sannitico (Navarra, 2014).
64
4.3 INQUADRAMENTO GEOLOGICO
Il Gruppo montuoso del Matese, con cime che localmente raggiungono e superano
i 2.000 m è costituito da potenti successioni sedimentarie carbonatiche
mesozoico-terziarie e da depositi flyschoidi tardo-miocenici, in seguito deformate
nel tardo Miocene da eventi orogenetici e dissecate nel Plio-Pleistocene da faglie
dirette, legate a tettonica distensiva. Di età quaternaria ed olocenica sono le ampie
fasce, costituite da detrito carbonatico e talora prodotti piroclastici rimaneggiati,
che costituiscono falde detritiche e conoidi di deiezione e i depositi alluvionali
eterometrici ed eterogenei di fondovalle, a cui esse si raccordano (Ippolito et al.,
1973).
Nell'area di San Potito i terreni più antichi affioranti sono riferibili ai depositi di
piattaforma carbonatica di età mesozoica che costituiscono l'ossatura della parte
francamente montuosa. Lembi di depositi flyschoidi tardo-miocenici affiorano
limitatamente nella zona di raccordo tra la Piana Alifana e le propaggini della
catena appenninica, ricoperti da detrito di falda (sciolto e/o cementato), costituito
prevalentemente da brecce calcaree che nel settore sud-occidentale sono ricoperte
da depositi (chiaramente alluvionali) di diversa natura ed origine, eterometrici,
organizzati in strati e lenti. Talora i depositi carbonatici, soprattutto in
corrispondenza delle depressioni intramontane, di origine carsica, sono sormontati
da accumuli costituiti da c.d. “terre rosse”. Il territorio di San Potito Sannitico
comprende una zona di fondovalle e una zona montana lungo il bordo sud-
occidentale del gruppo del Monte Matese. I terreni che affiorano nella zona sono
costituiti, dal basso geometrico verso l’alto, dalle seguenti unità: rocce
carbonatiche della piattaforma Abruzzese - Campana, coperture prevalentemente
65
argillose di età miocenica delle rocce carbonatiche mesozoiche e terreni quaternari
rappresentati da detriti e da alluvioni. Le rocce carbonatiche della piattaforma
Abruzzese - Campana costituiscono la gran parte dei rilievi del gruppo del Matese
e affiorano nella parte settentrionale dell’abitato. Queste hanno uno spessore
complessivo di 2.000-3.000 m, si presentano molto fratturate e localmente allo
stato cataclastico. I terreni miocenici sono rappresentati da alternanze di arenarie e
da argille, hanno uno spessore di alcune centinaia di metri e affiorano nella zona
ad oriente e occidente dell’abitato. Essi sono stati sede di importanti faglie dirette
recenti orientate NO-SE. Tali faglie hanno rigetti verticali complessivi di 1.000-
2.000 m. A nord - est del gruppo del Matese si trova la depressione strutturale ben
individuata dalle località di Morcone, Sepino, e Isernia con orientazione NO - SE
e delimitata da faglie dirette recenti di notevole importanza per i rigetti verticali e
per l’attività sismogenetica. San Potito Sannitico, si trova ubicato a circa 20 km di
distanza dalle strutture sismogenetiche più importanti che nel passato hanno
originato vari sismi. Il territorio di San Potito Sannitico è caratterizzato dal punto
di vista geologico e morfologico da:
- Un’ampia zona da submontana a montana da settentrione, nella posizione
nord orientale, il territorio presenta pendenze elevate generalmente
superiori al 20% e quasi mai inferiori al 30% costituite dalle alte e medie
pendici del versante meridionale di Monte Sant’Angiolillo e di Monte
della Crociella. Nell’insieme la morfologia di questa fascia è aspra e
rupestre con pareti rocciose; alla base di esse si notano frequenti massi
calcarei eterometrici, anche di grosse dimensioni, (accumulati per effetto
di fenomeni di crollo). La litologia è costituita da dolomie e da calcari
66
dolomitici spesso saccaroidi, in strati e banchi, con intercalazioni di
dolomie microcristalline leggermente bituminose, grigio scure, con
alternanze subordinate di calcari dolomitici, passanti alle formazioni più
calcaree di età giurassico. Lo spessore complessivo di questa parte di serie
carbonica raggiunge i 700-800 metri;
- Un’area intermedia costituente una fascia di raccordo tra i rilievi e il fondo
valle, su cui sorge il centro abitato del paese tra le quote altimetriche di
200–280 m s.l.m.. Dove si rinviene un substrato essenzialmente detritico,
localizzato nell’ambito di un’ampia conoide di deiezione costituita dalla
fusione di numerose conoidi, formatasi in corrispondenza degli impluvi
trasversali al versante meridionale del massiccio del Matese. Il limite tra la
fascia delle conoidi e le formazioni alluvionali della piana alifana è
abbastanza graduale, caratterizzato dalla frequente alternanza di livelli
ciottolosi e livelli sabbioso ghiaiosi, alle volte sabbioso limosi. I materiali
alluvionali della piana alifana presentano una giacitura sub-orizzontale; il
materiale detritico delle conoidi di deiezione si presenta generalmente
sotto forma di struttura lenticolare e a giacitura concorde rispetto al profilo
morfologico.
I terreni di natura carbonatica che costituiscono i rilievi sovrastanti il centro
urbano di San Potito Sannitico presentano sempre una permeabilità altissima per
fratturazione e carsismo. Ciò implica che la quasi totalità della pioggia che vi cade
può infiltrarsi e raggiungere la falda basale. La permeabilità dei terreni detritici
che dai bordi dei contrafforti montuosi raggiungono il fondovalle alluvionale
risulta essere sicuramente inferiore a quella dei calcarei, presentando una
67
permeabilità generalmente media – alta per porosità con coefficiente di
infiltrazione potenziale valutabile al 60% delle precipitazioni annue. In questo
caso il coefficiente di infiltrazione può subire variazioni all’interno del complesso,
in corrispondenza di quei livelli di deposizione che presentano granulometrie più
fini legati alla presenza di depositi alluvionali o di natura piroclastica. Nel
complicato sistema idrodinamico dell’area, i terreni riferibili al complesso in
questione rivestono l’importante ruolo di distribuire sotto forma di falda freatica
le acque di trabocco del massiccio matesino, trabocco che avviene in
corrispondenza della soglia di permeabilità sovrimposta all’acquifero e che essi
stessi tendono sovente a mascherare. Ne consegue che nei sedimenti più
tipicamente alluvionali la permeabilità scende a livelli decisamente bassi,
valutabile mediamente al 25% delle precipitazioni, con formazione di piccole
falde episuperficiali sospese, nella cui esistenza giocano un ruolo determinante i
materiali più fini. La circolazione idrica superficiale è legata alla presenza della
formazione detritica che presenta una permeabilità medio – alta dovuta
esclusivamente alla sua porosità; difatti nel sottosuolo dell’area interessata in
media il livello freatico si trova ad una quota tra 4 – 8 m all’interno di uno strato
costituito da detrito calcareo tamponato alla base da uno strato impermeabile
argilloso (Regione Campania, 2013). Da come si può osservare dalla Figura 4.3
l’area di nostro interesse risiede interamente sull’unità litologica costituita da
detrito di falda ed è posizionata nella zona di raccordo con la Piana Alifana
(Navarra, 2014).
68
Figura 4.3 - Carta delle Unità Litologiche
4.4 CARATTERISTICHE IDROGEOLOGICHE DEL TERRITORIO
L'idrografia dell'area è strettamente legata all'assetto litologico e strutturale
(Figura 4.4) della zona. L'area montuosa è caratterizzata da una rete di drenaggio
costituita da aste orientate prevalentemente in direzione appenninica, anti
appenninica ed est-ovest, in accordo con i principali allineamenti tettonici, a
costituire un pattern di tipo reticolare.
In corrispondenza del Monte La Crocella (808 m s.l.m.) lungo i versanti dei
quadranti meridionali si sviluppano incisioni che raccolgono acque sorgive e
zenitali convogliandole nel Vallone Pacifico e Fosso Pisciarello, ad andamento
69
anti appenninico, che incidono la falda detritica. Fosso Pisciarello in particolare
attraversa l'area urbana di San Potito, in parte tombato, e rappresenta un affluente
di sinistra del Fiume Volturno immettendosi nello stesso in prossimità della
località Scafa Nuova nel territorio di Alife.
Figura 4.4 - Stralcio della Carta Topografica d'Italia Foglio 418 Piedimonte
Matese; in evidenza le principali linee del deflusso idrico superficiale
70
L'assetto geologico dell'area caratterizza anche l'aspetto idrogeologico. Sulla base
delle rocce affioranti Corniello e coll. (2005) identificano più complessi
idrogeologici, ossia corpi costituiti da un insieme di termini litologici
generalmente simili, aventi una comprovata unità spaziale e giaciturale, un
prevalente tipo di permeabilità generalmente comune ed un grado di permeabilità
relativa che si mantiene generalmente in un campo di variazione piuttosto
ristretto. Procedendo da quello più recente, quindi quello più alto nella
successione stratigrafica sono stati definiti:
Complesso delle piroclastiti sciolte: è costituito da depositi piroclastici e
piroclastico – alluvionali, sciolti e spesso rimaneggiati. Rappresentano depositi in
sede, ma più spesso legati a processi di accumulo di materiali piroclastici erosi
dagli accumuli presenti sui versanti carbonatici. La granulometria è assai variabile
sia arealmente che in profondità, più spesso media o medio fine. Prevale cioè una
matrice cineritica associata a pomici, scorie e lapilli: questi elementi più
grossolani sono distribuiti nella matrice ovvero riuniti in livelli, anche di un certo
spessore, ma quasi sempre privi di significativa continuità areale. Alla base dei
versanti carbonatici, i materiali predetti si ritrovano spesso associati a detriti
carbonatici di varia pezzatura che a luoghi formano livelli anche di un certo
spessore. L’estrema variabilità della giacitura e della granulometria si traduce in
una grande variabilità della permeabilità. Il grado di permeabilità di questa è basso
nelle cineriti e comunque in tutti i materiali a matrice cineritica prevalente; ma
diviene elevato nei banchi, tasche e lenti di pomici, lapilli, scorie e sabbioni
vulcanici. Pertanto, prese nel loro insieme, alle piroclastiti in sede può essere
71
attribuita una permeabilità medio – bassa, che si fa più ridotta in quelle
nuovamente sedimentate.
Complesso dei depositi detritici di versante: sono rappresentati, in primo luogo,
dagli estesi depositi di conoide che si osservano ai piedi dei versanti carbonatici in
corrispondenza dei principali valloni. Si tratta di materiale calcareo e calcareo
dolomitico più o meno cementato e spesso in matrice piroclastica medio- fine. In
questa zona i livelli di piroclastiti e talora suoli sepolti sono intercalati a più
altezze stratigrafiche.
La permeabilità globale è piuttosto alta data la pezzatura sovente grossolana dei
clasti; le intercalazioni piroclastiche, discontinue e di ridotto spessore, non
giocano un ruolo idrogeologico significativo.
Complesso alluvionale: depositi alluvionali presenti a tetto dell’Ignimbrite
Campana, che rappresenta la base della Piana di Alife. Esso è costituito da
depositi prevalentemente argilloso-limosi, sabbiosi o sabbioso-ghiaiosi. Di
frequente, i sondaggi hanno rivelato a diverse altezze stratigrafiche, discontinui
livelli di materiale torboso. La struttura del complesso è pertanto assai articolata: i
depositi che lo costituiscono presentano, infatti, frequenti variazioni
granulometriche in senso areale e lungo le verticali. Pertanto è difficile che
s’individuino livelli di scarsa permeabilità sufficientemente continui da frazionare
il complesso in più strati distinti.
La permeabilità varia da bassa a media al crescere della granulometria.
Complesso arenaceo-marnoso-argilloso: è costituito da arenarie mioceniche
alternate a livelli di marne, di argille ed a calcari marnosi. La permeabilità è molto
bassa; il complesso costituisce di fatto un importante elemento di
72
condizionamento della circolazione idrica sotterranea, rappresenta, ad esempio, il
limite inferiore delle falde idriche.
Complesso calcareo: comprende i calcari, e subordinatamente i calcari dolomitici
che formano i rilievi carbonatici. I calcari sono sovente stratificati e costantemente
fratturati; la permeabilità è molto alta per fratturazioni e carsismo. Tali rilievi
carbonatici sono sede di acquiferi di importanza regionale. L’alta permeabilità,
l’assenza di importanti impermeabili intercalari, le quote topografiche raggiunte e
l’estensione comportano infatti, per questi rilievi, un elevata infiltrazione efficace:
questa di norma non si fraziona ad alimentare corpi idrici distribuiti a quote
diverse ma contribuisce alla formazione di cospicue falde di base che alimentano
grosse sorgenti e/ o importanti travasi sotterranei verso i complessi più ricettivi
delle piane. Va comunque osservato che non sempre dai rilievi suddetti vi è
alimentazione idrica sotterranea con recapito verso le piane; in altre situazioni,
poi, al bordo delle stesse i terreni presenti sono del tutto impermeabili e quindi tali
da non attivare alcun significativo travaso sotterraneo verso le piane.
Nella Piana di Alife, in particolare nella porzione pianeggiante del Comune di San
Potito Sannitico, sono state identificati due distinti acquiferi. Uno più superficiale,
è legato allo spessore detritico-alluvionale a tetto dei depositi marnoso-argillosi
pressoché impermeabili. L’altro, profondo, corrisponde al substrato carbonatico.
Tale substrato è senz’altro connesso con le falde di base del Massiccio del Matese.
Le fasce cataclastiche a ridosso delle numerose discontinuità tettoniche devono
verosimilmente rappresentare un serio ostacolo alla circolazione idrica
sotterranea. Nei fatti ciò determina una sorta di spartiacque che si può pensare
coincidente con la zona più depressa del substrato. Oltre al materiale alluvionale
73
vanno ad associarsi detriti carbonatici di versante, livelli di vulcaniti argillificate,
materiali questi tutti giusto apposti alle rocce calcareo-dolomitiche del massiccio.
Si tratta di terreni permeabili per porosità, anche se è da ritenere che le
caratteristiche granulometriche e deposizionali dei litotipi inducano frequenti e
non prevedibili variazioni in senso spaziale del grado di permeabilità. Per tale
situazione la falda presente non risulta tamponata con efficacia e parte di essa
travasa nei depositi detritico-piroclastici ed alluvionali giusto apposti. Questi
ultimi diventano così sede di un corpo idrico unico che tende tuttavia a digitarsi in
livelli, più o meno interconnessi, corrispondenti agli episodi di maggiore
granulometria. Il carattere generale di tale falda è freatico, non sono però da
escludere, per le ragioni ricordate, settori di falda con carattere semi confinato o
confinato in virtù di locali, e sufficientemente continui, livelli di fine
granulometria. L’esistenza di un travaso sotterraneo del massiccio verso i depositi
della piana è inoltre rivelato dal locale disegno piezometrico che presenta
direzioni di flusso sub- ortogonali al Matese e orientato verso il Volturno che, in
effetti, costituisce il recapito esterno e finale della falda. L’entità del travaso,
valutata mediante misure della portata in diversi sezioni dell’alveo del fiume, e
stimata in circa 1 m3/s.
4.5 INQUADRAMENTO PEDOLOGICO
La zona di nostro interesse ricade all’interno della stessa unità di paesaggio
esaminata durante un precedente lavoro di tesi (Navarra, 2014) e per questo è stata
presa in considerazione l’indagine pedologica già effettuata in precedenza.
74
L’unità di paesaggio rilevata, è caratterizzata da quota compresa tra 100 e 250 m
s.l.m., pendenza tra 0 e 2% su detrito di falda, e da presenza di seminativi. Questa
porzione di territorio rappresenta una parte dell’ampia superficie pedemontana
dove le pendenze non superano il 30% e dove si collocano la maggior parte delle
attività produttive. L’unità in questione si presentava particolarmente idonea allo
studio pedologico sia per la sua significatività all’interno dell’area produttiva, sia
in quanto agevole dal punto della accessibilità dei siti di studio (Figura 4.5).
area della precedente indagine pedologica
area studio
Figura 4.5 – Indagine pedologica
75
In Figura 4.7 è riportato il profilo di suolo rappresentativo dell’ Unità di
Paesaggio di interesse.
Di seguito si riporta la descrizione delle caratteristiche morfologiche in Tabella
4.1:
Figura 4.7 - Profilo del suolo San Potito
76
Tabella 4.1 - Caratteristiche morfologiche (Fonte: Navarra, 2014)
SCHEDA N SERIE PEDON
PROGETTO PROFILO
COORDINATE Long. 15°22’52’’Est,
Lat.41°19’44’’Nord COMUNE S. Potito Sannitico
PROVINCIA CE LOCALITA’ San Cassiano
RIFER. CARTOGRAFICO DATA 16/03/15
RILEVATORI Antonella Ermice
Mario Navarra FOTO
SUBSTRATO VEGETAZIONE Prato
spontaneo
USO DEL SUOLO Incolto
PENDENZA 0 - 2% ESPOSIZIONE SW
PIETROSITA’ Scarsissima ROCCIOSITA’ Assente
DRENAGGIO Lento
EROSIONE Assente
A1
(0-10 cm)
colore: 7.5 YR 3/ 2; scheletro: frammenti carbonatici con spessore
massimo di 3 cm; struttura: poliedrica sub angolare, resistente medio –
grande; consistenza : plastico; facce di pressione: assenti; umidità: umido;
drenaggio interno: limitato; rivestimenti: assenti; screziature: assenti;
concrezioni: assenti; radici: sottili, molto abbondanti; attività biologica:
assente; effervescenza: debolissima; tessitura: argilloso – franca.
A2
(10 - 30 cm)
colore: 7.5 YR 4/ 2; scheletro: scarso, minuto, fine con qualche elemento
carbonatico di 2 – 5 cm; struttura: angolare e sub angolare, resistente,
grande – media piccola (1 - 5 cm); consistenza : plastico; facce di
pressione: assenti; umidità: umido; drenaggio interno: limitato;
rivestimenti: assenti; screziature: assenti; concrezioni: assenti; radici:
qualche radice sottile; attività biologica: assente; effervescenza:
debolissima; tessitura: argilloso – franca.
Bw
(30 - 55 cm)
colore: 10 YR 4/ 6; scheletro: scarsissimo con presenza di piccole masse
carbonatiche; struttura: poliedrica, sub angolare, resistente, medio –
grande; consistenza : plastico; facce di pressione: assenti; umidità: molto
umido; drenaggio interno: limitato; rivestimenti: assenti; screziature:
giallastre (10 YR 5/ 8), nerastre (7.5 YR 3/0); concrezioni: assenti; radici:
qualche radice sottile; attività biologica: lombrichi; effervescenza: assente;
tessitura: argillosa.
B/C
(100 - 120/130
cm)
colore: 10 YR 5/ 6; scheletro: scarsissimo; struttura: poliedrica angolare,
mediamente resistente grandezza media (4 cm) grande (7cm) piccola (< 4
cm); consistenza: non plastico, resistente; facce di pressione: assenti;
umidità: umido; drenaggio interno: buono; rivestimenti: assenti;
screziature: scarsissime; concrezioni: assenti; radici: assenti; attività
biologica: assente; effervescenza: moderata; tessitura: argillosa, debole
tissotropia; strato tufaceo omogeneo incluso nell’orizzonte C.
C
(55-100/130cm)
colore: 7.5 YR 5/ 6, 10 YR 4/ 4, 10 YR 5/4; scheletro: abbondante, medio
– grande con presenza di frammenti carbonatici molti dei quali alterati;
struttura: poliedrica angolare, debole – molto debole con qualche
elemento grande più resistente; consistenza : sciolta – mediamente
resistente; facce di pressione: assenti; umidità: umido; drenaggio interno:
scarso; rivestimenti: assenti; screziature: giallastre (10 YR 6/ 8), grigiastre
(10 YR 6/1); concrezioni: assenti; radici: scarse; attività biologica:
assente; effervescenza: forte; tessitura: argillosa – argillosa sabbiosa con
possibile tissotropia.
77
Alla profondità di 130 cm, lo studio è stato interrotto a causa della presenza della
falda acquifera (Figura 4.8). Tuttavia, dall’osservazione effettuata
immediatamente dopo lo scavo, si è rilevata la presenza di un orizzonte con
caratteristiche simili a quelle del B/C, che risultava lateralmente continuo, a tetto
di un orizzonte caotico a tessitura variabile da sabbiosa a fine, a tratti sciolto e a
tratti strutturato: la sequenza pertanto continuerebbe con gli orizzonto 2Bwb- 3C.
Figura 4.8 - Profilo del suolo San Potito
78
Le caratteristiche della stazione e i risultati dell’indagine morfologica del profilo
di suolo indicavano quanto segue:
1) Il suolo era organizzato secondo una orizzontazione di tipo A-Bw-B/C-C
(A-Bw-B/C-C-2Bwb-3C). Tutto il profilo presentava caratteristiche legate
alla presenza di sedimenti di trasporto, già a partire dall’orizzonte Bw. I
sedimenti coinvolti erano ascrivibili a marne, arenarie e prodotti vulcanici;
in particolare, l’orizzonte C si presentava caoticamente stratificato, a
tessitura variabile da sabbiosa a fine, a tratti sciolto e a tratti strutturato; le
componenti di natura vulcanica erano fini sia tessituralmente che
granulometricamente, o con piccoli frammenti pomicei. Coerentemente
con queste caratteristiche, nella porzione più profonda del profilo era
presente una intercalazione dello spessore di circa 20 cm, lateralmente
discontinua, costituita da materiale interamente vulcanico, fine, strutturato,
a carattere tissotropico, che, ricorrendo alla denominazione secondo il Soil
Survey Manual (1995), costituisce un orizzonte di combinazione B/C;
2) Profilo di suolo potente, il cui limite inferiore era determinato dalla parte
superiore della falda che è risultata essere a circa di 160 cm nella fase
immediatamente successiva alla realizzazione dello scavo, e che si è
ridotta a circa 130 cm per il rapido innalzamento del livello della
medesima;
3) La profondità della falda non risulta variare molto al variare della stagione,
in quanto collegata al corpo idrico a carattere confinato e semiconfinato
localmente presente nella circostante Piana di Alife;
79
4) La presenza della falda impartisce caratteristiche aquiche, con relativi
evidenti segni di processi redoximorfici, già a partire dai 35-40 cm di
profondità, corrispondenti alla maggior parte dello spessore occupato dall’
orizzonte Bw, e via via sempre più accentuate nell’ orizzonte sottostante
C; tali screziature erano quasi del tutto assenti nell’ orizzonte B/C che
presentava granulometria e tessitura più fini e colore dominante
uniformemente più scuro rispetto all’ orizzonte C;
5) L’orizzonte di superficie manifestava piccole spaccature, poco profonde
che suggerivano deboli processi di vertisolizzazione, evidenti soprattutto
nel periodo estivo e solo limitatamente ai primi centimetri dalla superficie,
verosimilmente determinati dalla componente argillosa della frazione fine
dell’ orizzonte in questione, ma che sono comunque limitati sia dalle
diffuse condizioni di umidità del suolo impartite dalla falda che dalle
caratteristiche climatiche dell’area: i dati climatici mostrano infatti che
sono presenti eventi meteorici anche nel periodo estivo che deprimono la
stagionalità necessaria per il processo pedogenetico in questione;
6) A partire dalla profondità di 30 cm, fino a tutto il potente orizzonte C, e
soprattutto in questo, si osservavano diffusi elementi carbonatici, fini,
medi e grandi, molti dei quali si presentavano molto alterati; tuttavia, non
è stata riscontrata presenza di concrezioni o masse come evidenze dell’
esistenza di un processo di carbonatazione: a ciò può ragionevolmente
contribuire la presenza della falda relativamente stabile, che mantiene
condizioni di umidità del suolo più o meno omogenee nel corso dell’ anno,
impedendo al suolo di asciugarsi.
80
In conclusione, la morfologia del profilo è fortemente coerente con la sua
posizione fisiografica di fondovalle e con la litologia su cui insiste la fascia di
territorio selezionata, che si comporta da recettore dei detriti, quali arenarie,
argille, carbonati e tufi, che provengono dalle fasce pedemontane e montane alle
quali sono litologicamente associate, e che per progressivo trasporto a valle hanno
fornito il substrato pedogenetico delle coperture pedologiche attuali.
In considerazione delle caratteristiche morfologiche osservate, quali sviluppo
morfologico con evidenze di differenziazione di orizzonti, le caratteristiche di
colore e struttura dei singoli orizzonti, la presenza di un orizzonte Bw con
probabile cambicità diagnostica, sebbene non si sia in possesso di dati di
laboratorio, è possibile attribuire il suolo in questione al modello dei suoli a
carattere inceptico (Soil Survey Staff, 1999).
4.6 ASPETTI VEGETAZIONALI
Il territorio di San Potito Sannitico sotto l’aspetto della vegetazione si può
dividere in 3 zone principali (Regione Campania, 2003):
1 La prima zona comprende prevalentemente aree boschive e pianure
d’altura situate nella parte sommitale dei rilievi del massiccio, che
presentano rilevante interesse paesaggistico per l’assenza di modifiche
antropiche, l’equilibrio vegetazionale fra le varie essenze e il particolare
rapporto esistente tra morfologia del territorio e soprassuolo;
2 La seconda zona comprende prevalentemente aree agricole con presenza
di boschi cespugliati ed ingordi che presentano rilevanti interessi per
81
l’andamento naturale del terreno, caratteristiche formali e cromatiche della
vegetazione spontanea, colore e disposizioni delle colture;
3 La terza zona comprende aree a carattere agricolo con presenza di colture
arboree tradizionali e seminativo, di rilevante interesse per l’equilibrio
estetico assunto dai segni dell’attività antropica per dimensioni e forma
degli appezzamenti e per le caratteristiche formali delle colture
tradizionali e locali.
Dai dati elaborati a partire dalla Carta dell’Uso Agricolo del Suolo (CUAS, 2009)
il territorio è risultato ripartito come riportato nella tabella che segue (Tabella
4.2).
Tabella 4.2 - Uso attuale del suolo (Fonte: Navarra, 2014)
Tipologia Area m2 %
Ambiente urbanizzato e superfici artificiali 311.202,2 1,4
Aree a pascolo naturale e praterie di alta quota 2.447.215,4 10,7
Aree con vegetazione rada 48.757,2 0,2
Boschi di latifoglie 12.269.467,7 53,7
Erbai 754,2 0,0
Frutteti e frutti minori 113.154,3 0,5
Oliveti 2.153.788,4 9,4
Prati avvicendati 995.523,5 4,4
Prati permanenti, prati pascoli e pascoli 27.839,6 0,1
Seminativi autunno vernini - cereali da granella 4.210.951,9 18,4
Seminativi primaverili estivi - cereali da granella 6.842,8 0,0
Seminativi primaverili estivi - colture industriali 249.897,1 1,1
Totale complessivo 22.835.394,3 100
Come è possibile osservare nella Figura 4.9 l’azienda di interesse è posizionata
interamente nella classe dei Seminativi.
82
Figura 4.9 - Carta dell'Uso Agricolo del Suolo (CUAS, 2009)
Osservando i dati della Tabella 4.2, si può notare che:
1. Il 53,7% del territorio è costituito da boschi di latifoglie,
coerentemente col carattere prevalentemente montuoso del territorio;
2. Solo l’1,4% del territorio è urbanizzato, il che suggerisce che l’attività
antropica non ha causato modifiche sostanziali all’equilibrio naturale
della zona.
3. Le aree coltivate corrispondono al 33,9% del territorio di cui: le
coltivazioni dominanti sono i “Seminativi autunno vernini - cereali da
granella” che occupano il 18,4%, gli “Oliveti” che occupano il 9,4% e
il restante 33,9% è occupato dai “Seminativi primaverili estivi –
83
colture industriali”, “Prati permanenti, “prati pascoli e pascoli”, “Prati
avvicendati”, “Frutteti e frutti minori”.
4. Il 10,7% del territorio è occupato da aree a pascolo naturale e praterie
di alta quota (Navarra, 2014).
4.7 ZVNOA SAN POTITO SANNITICO
In Figura 4.10 si possono osservare le zone vulnerabili ai nitrati di origine
agricola del Comune di San Potito Sannitico, all’interno delle quali ricade anche
l’area oggetto di studio. La ZVNOA è stata elaborata partendo dallo shapefile
scaricato dal geo-portale della Regione Campania.
84
Figura 4.10 - ZVNOA San Potito Sannitico (elaborazione su foto di Google
etc)
85
4.8 IL SITO DELL’AZIENDA EX GEZOOV
L’azienda è identificata al Catasto dell’agro del Comune di S. Potito Sannitico al
Foglio 13, alle Particelle nn.1, 34, 5018, 33, 48, 3, 4, 2, 5019, 5023, 5030, 5029,
49, 5031, 54, 5025, 5026, 5027, 5028, 51, 52, 53, 27, 5022, 5024, 50 (Figura
4.11).
Figura 4.11 - Mappa catastale
Dall’osservazione speditiva dei profili sono stati spunti di approfondimento per
poter verificare alcune ipotesi circa le trasformazioni di cui sono state oggetto le
superfici, traccia di alcune pratiche di gestione aziendale dei liquami zootecnici
nonché le conseguenze delle fase di dismissione di parte delle attrezzature.
Di seguito sono descritti sommariamente i 5 profili indagati.
PROFILO 1 - salici (P117401) – Figura 4.12
In Tabella 4.3 è riportata l’orizzontazione del profilo.
86
Tabella 4.3 –Profilo 1. Descrizione
Orizzontazione Profondità Codice
Ap 0 – 30 117401
B 30 – 65 117402
Bk1 65 – 80 117403
Bw1 80 – 100 117404
Bw2 100 – 120 117405
Bk2 120 – 130 117406
C 130 – 140 117407
Ckm (non campionato) 140 – oltre 117408
Figura 4.12 – Profilo 1 (cod. P117401)
Il contesto semi-naturale legato alla presenza dell’impianto di salici (Salix spp.) è
stato confermato dall’analisi sommaria della morfologia del profilo. Pertanto sui
campioni raccolti da tale profilo non è stata eseguita nessuna analisi di
laboratorio.
87
PROFILO 2 (paddock) - Figura 4.13
In Tabella 4.4 è riportata l’orizzontazione del profilo.
Tabella 4.4 –Profilo 2. Descrizione
Orizzontazione Profondità Codice
A^p 0 – 25 P117409
A^ 25 – 75 P117410
Ab 75 – 85 P117411
BC 85 – 130 P117412
C 130 – oltre P117413
Tabella 4.5 –Profilo 2. Determinazione carbonio organico
Codice Carbonio organico Sostanza organica
P117410 9,40 16,21
P117411 56,21 96,91
P117412 9,14 15,75
88
Figura 4.13 – Profilo 2 (cod. P117409)
Figura 4.14 – Profilo 2 presenza accumulo materiale organico
89
Il profilo 2, escavato a ridosso dei nuovi stalli semiaperti, è stato realizzato in
seguito all’osservazione di foto aeree che lasciavano supporre un accumulo in
quella zona di materiale eterogeneo, apparentemente di natura organica
(probabilmente letame) Figura 4.14. La superficie della stazione, tuttavia, al
momento del sopralluogo si presentava lavorata superficialmente ed utilizzata
come seminativo con presenza di numerosi manufatti su tutto lo spessore del
profilo. Su tale profilo è stata condotta un’analisi di determinazione del carbonio
organico totale (metodo Springer e Klee). Dall’osservazione della Tabella 4.5 si
nota che il carbonio organico diminuisce con l’aumentare della profondità, fatta
eccezione per l’orizzonte Ab in cui il contenuto di carbonio organico è molto
maggiore rispetto all’orizzonte sovrastante e sottostante. L’ipotesi più attendibile
è che l’area sia stata oggetto di accumulo dei materiali terrosi di scavo provenienti
dalle fondazioni dei paddock. Per tale motivo si è assegnata la notazione ^ agli
orizzonti Ap ed A per evidenziare la loro natura di materiali di riporto. Infatti,
secondo tale ipotesi che trova conferma anche nelle analisi di laboratorio
l’orizzonte Ab è un orizzonte di superficie sepolto che ha conservato il suo
contenuto di carbonio organico presente al momento della sovrimposizione degli
altri orizzonti.
90
PROFILO 3 - serbatoi (P117414) Figura 4.15
In Tabella 4.6 è riportata l’orizzontazione del profilo.
Tabella 4.6 –Profilo 3. Descrizione
Orizzontazione Profondità Codice
A^p 0 – 20 117414
C^ 20 – 60 117415
B 60 – 90 117416
C 90 – 120 117417
2C 120 – oltre 117418
W 140 117419
Sacca 1 in C^ 20 - 60 117420
Sacca 2 in C^ 20 - 60 117421
Sul profilo 3 sono state svolte analisi per determinare la presenza di olii
diatermici e idrocarburi legati a sversamenti accidentali o dolosi. Infatti vi sono
Figura 4.15 – Profilo 3 (cod. P117414)
91
vari documenti che confermano questa ipotesi tra cui il verbale Nr.17/42-1 di
protocollo del 25 luglio 1996 dei Carabinieri della Stazione di Piedimonte Matese
e il verbale del comando di Polizia Municipale di San Potito Sannitico protocollo
Nr.3761 del 26 luglio 1996; i quali entrambi attestano la presenza di inquinanti nei
fossi di scolo adiacenti all’ex GEZOOV. Nella stessa area in seguito è stata fatta
un’indagine per tentare di delimitare l’area interessata da tale inquinamento
Figura 4.16.
Anche in questo caso gli orizzonti A^p e C^ sono di riporto. L’ipotesi più
attendibile è che l’area sia stata oggetto di accumulo dei materiali terrosi di scavo
provenienti dalla realizzazione del piazzale dove sono collocati i serbatoi e delle
fondamenta del locale caldaie. Durante l’ispezione del profilo sono state osservate
due sacche di materiale estraneo, entrambe contenute nell’orizzonte C^. Esse
avevano uno spessore di circa 30 – 40 cm ed erano posizionate una sulla parete
destra e l’altra sulla parete sinistra del profilo sfalsate tra loro di circa 2 m. Dai
risultati delle analisi condotte non è stata riscontrata alcuna presenza di
idrocarburi e di IPA.
92
Figura 4.16 – delimitazione area interessata da sversamento di idrocarburi
A seguito di questo primo rinvenimento si è proceduto a eseguire un secondo
sopralluogo per poter meglio delimitare l’area e gli spessori di suolo in cui fossero
presenti tali materiali. In Figura 4.16 è mostrata la disposizione degli scavi di
delimitazione dell’area d’interesse. Sono state realizzate 4 trincee d’ispezione
profonde 1 metro e lunghe circa 15 metri. In questo caso non è stata ritrovata la
presenza dei materiali ritrovati nello scavo del profilo 3. Questa evenienza
suggerisce che il ritrovamento precedente fosse da attribuire ad un episodio
susseguente al maldestro smantellamento agli scambiatori di calore di supporto
all’essiccatore. Durante la realizzazione delle trincee è stata inoltre rinvenuta una
tubazione di scarico in cemento che collegava la vasca impermeabilizzata dei
serbatoi di carburante per l’impianto di riscaldamento con il fossato a ridosso
dell’area ex GEZOOV. E’ presumibile che questa fosse la via di smaltimento di
perdite del combustibile verificatesi interno all’area pavimentata dei serbatoi e che
93
convogliava gli scarichi direttamente nel fossato e nelle aree di deflusso a valle di
esso.
PROFILO 4 - vasca (P117422) e PROFILO 5 – ricovero (P117427)
La superfice della stazione sulla quale sono indagati i due profili presentava una
morfologia della superficie convessa, non rilevabile alle foto aeree disponibili, che
ha suggerito l’ipotesi di un riporto di materiali terrosi, presumibilmente ricavati
dal livellamento delle superfici e dall’escavazione delle opere di fondazione del
vicino complesso di ricoveri per gli animali.
I profili 4 e 5 (Figg. 4.17 e 4.18) sono stati esaminati insieme, in quanto mostrano
caratteristiche del tutto simili.
Figura 4.17 – Profilo 4 (cod.
P117422)
Figura 4.18 – Profilo 5 (cod.
P117427)
94
In Tabella 4.7 è riportata l’orizzontazione dei profili 4 e 5.
Tabella 4.7 –Profilo 4 e Profilo 5. Descrizione
PROFILO 4 PROFILO 5
Orizzontazione Profondità Codice Orizzontazione Profondità Codice
A^p 0 – 50 117422 Ap 0 – 55 117427
C^ 50 – 130 117423 C (BC?) 55 – 100 117428
Cg 130/140
oltre
117424 C1 100 –
125/130
117429
W 180 117425 W 180 117430
Livello in C^ Spessore 5
cm
117426 Livello in C1 Spessore 5
cm
117431
Come è possibile vedere in Figura 4.19 – 4.20 lo scavo del profilo ha rilevato la
presenza di uno strato ben evidenziabile per il forte contrasto di colore. Tale strato
ha un andamento “a scodella” nel corpo del suolo e ben riflette l’ipotesi di
escavazione di un fossato per lo stoccaggio dei liquami. Lo scavo originario
doveva raggiungere notevoli dimensioni (almeno 5 m di sezione trasversale e 1,3
m di profondità). Il fossato è disposto con l’asse maggiore secondo la linea di
pendenza dell’area. In seguito alle lavorazioni agricole eseguite nella parte
superiore del profilo i bordi estremi della vasca sono stati obliterati.
95
Figura 4.19 - Profilo 4 (cod. P117422) Visione d’insieme dell’andamento dello
strato ritrovato in C^
Considerato l’esiguo spessore dello strato ritrovato nell’orizzonte C è stato
necessario unire più punti di campionamento per disporre di una quantità di
materiale sufficiente ad effettuare le analisi.
96
Figura 4.20 – Profilo 4 (cod. P117422) Particolare dello strato ritrovato in
C^
Per verificare l’ipotesi del ritrovamento delle tracce di una vasca di lagunaggio di
liquami sono state eseguite analisi mirate sui campioni di suolo prelevati dal
profilo, In particolare è stata valutata la quantità di scheletro e terra fine del
campione, nonché il tenore di C organico e di fosforo assimilabile (quest’ultimo
scelto perché poco mobile nelle condizioni pedologiche osservate).
In Tabella 4.7 è mostrata l’orizzontazione dei profili 4 e 5 in essa si può notare la
presenza di un livello dello spessore di 5 cm che attraversa obliquamente tutto
l’orizzonte C e va a formare una sorta di concavità riconducibile alla parete di
vasche interrate per lo stoccaggio di liquami realizzate per sopperire alla
disattivazione dell’essiccatore.
Sul profilo 4 è stata svolta un analisi di determinazione dello scheletro Tabella
4.8 e della tessitura Tabella 4.9 questo perché il profilo mostra orizzonti di riporto
97
dovuti probabilmente all’escavazione di vasche oppure a rimaneggiamenti delle
superfici e degli spessori del suolo dovuti all’escavazione delle fondamenta dei
ricoveri adiacenti. Analoga situazione è stata riscontrata anche nel profilo 5.
Come è possibile rilevare dalla Tabella 4.8.
Tabella 4.8 –Profilo 4. Determinazione dello scheletro
Tabella 4.9 – Profilo 4. Determinazione della tessitura
Codice Orizzontazione Profondità g/kg
Sg
g/kg
Sf
g/kg
Lg
g/kg
Lf
g/kg
A
T.
117422 A^p 0 – 50 191,66 136,61 165,25 345,52 160,96 FL
117423 C^ 50 – 130 294,35 251,91 107,02 245,53 151,18 FS
117424 Cg 130/140
oltre
364,70 208,71 82,13 231,08 113,38 FS
117425 W 180 n.d. n.d. n.d. n.d. n.d. n.d.
117426 Livello in C^ Spessore
5 cm
449,91 201,00 13,72 207,99 127,38 FS
Sg = sabbia grossa, Sf = sabbia fine, Lg = limo grosso, Lf = limo
fine, A = argilla, T. = tessitura
Appare evidente che il materiale ritrovato nel campione 117426 proveniente dal
livello obliquo ritrovato in C^ è disomogeneo in termini di scheletro con i
campioni raccolti nel profilo e presenta invece una tessitura della terra fine
pressoché identica. Inoltre dai risultati riportati in Tabella 4.10 si può osservare
che la concentrazione di fosforo assimilabile diminuisce con l’aumentare della
profondità, fatta eccezione per il livello contenuto nell’orizzonte C^. All’interno
Codice Orizzontazione Profondità Campione
g
Scheletro
g
%
t.f.
g
%
117422 A^p 0 – 50 1340 384 28,7 945 71,3
117423 C^ 50 – 130 1260 537 42,6 723 57,4
117424 Cg 130/140
oltre
960 595 62,0 359 48,0
117425 W 180 n.c. n.d. n.d. n.d. n.d.
117426 Livello in C^ Spessore
5 cm
219 25 11,4 193 88,6
98
del quale la concentrazione di fosforo raggiunge il valore massimo del profilo
superiore rispetto allo stesso orizzonte di superficie A^p.
Tabella 4.10 –Profilo 4. Determinazione del fosforo assimilabile
Orizzontazione Profondità Codice mg/kg
P assimilabile A^p 0 – 50 117422 230,32
C^ 50 – 130 117423 81,02
Cg 130/140 oltre 117424 46,65
W 180 117425
Livello in C^ Spessore 5 cm 117426 238,09
Tale evidenza conferma l’ipotesi dell’escavazione di una vasca per lo stoccaggio
di liquami di sostanze organiche nel corso degli anni, di cui questo strato di
materiali organici rappresenta uno strato di accumulo di materiali solidi in una
sorta di vasca di decantazione dei liquami. Poiché questo strato dello spessore di 5
cm che decorre obliquamente all’interno dell’orizzonte C mostrava un elevata
concentrazione di sostanza organica, è stato sottoposto ad incenerimento in
muffola per determinare il contenuto di carbonio organico totale e inoltre, è stata
svolta anche una determinazione analitica del carbonio organico totale secondo il
metodo di Springer e Klee. I risultati di entrambe le determinazioni sono riportate
in Tabella 4.11.
Tabella 4.11 – Determinazione carbonio organico totale del livello ritrovato
nell’orizzonte C (muffola e metodo Springer e Klee)
Codice Determinazione carbonio organico totale
metodo della muffola metodo Springer e Klee
ceneri
g/kg t.f.
sostanza
organica
g/ kg t.f.
carbonio
organico
g/kg t.f.
sostanza
organica
g/ kg t.f.
117431 526,49 473,55 206,41 355,79
99
Sulla base delle attuali tabelle di stima i vitelloni da ingrasso su grigliato
producono 9,1 metri cubi/capo/anno di liquami zootecnici corrispondenti a 33,6
kg di azoto al campo/capo/anno; la presenza di 4.500 capi, residenti su base
annuale, comporta una stima di produzione di liquami pari a circa 41.000 metri
cubi/anno ovvero 151.000 kg/anno di azoto al campo (in Tabella 4.12 è riportata
la composizione dei liquami bovini).
Tabella 4.12 – composizione liquami bovini (Fonte: unipd, 2013)
Umidità S.O. N. P2O5
85 – 95 % 8 – 8,5 % 0,4 % 0,3 %
Pertanto, in via teorica, per lo spandimento sono necessari 445 ettari siti in zona
non vulnerabile (limite di 340 kg di azoto/ettaro). Tuttavia nel 2017 l’area su cui
insite la superficie aziendale dell’ex GEZOOV è stata inserita nelle zone ZVNOA
della Regione Campania, pertanto le soglie si dimezzano (limite di 170 kg di
azoto/ettaro)e, di conseguenza, la superficie necessaria allo smaltimento è di 888
ettari, riducibili a 720 con la redazione di un piano di utilizzazione agronomica
(P.U.A.) dei reflui zootecnici. Tenendo conto che la superficie coltivabile del
Comune di San Potito Sannitico è di soli 400 ettari circa e considerata la presenza
di altre aziende zootecniche sparse sul territorio un’eventuale riqualificazione
dell’area che preveda una rinnovata destinazione zootecnica determinerebbe
l’insorgere di nuove criticità ambientali. Infatti, il territorio comunale di San
Potito Sannitico e i territori dei Comuni ad esso limitrofi sono inseriti in un areale
critico per la produzione e lo smaltimento dei liquami in questa parte della regione
Campania. Lo si deduce da un documento elaborato dalla Regione Campania
100
(2009) per la realizzazione degli investimenti tecnologici relativi alla produzione
del biogas. Per limitare le emissioni inquinanti e minimizzare i costi per la filiera
sono stati identificati tre areali che costituiscono le zone di maggiore interesse,
nell’ottica di ridurre quanto più possibile le distanze da percorrere per il trasporto
e lo stoccaggio della biomassa. L’Areale A interessa 20 comuni in provincia di
Salerno per una superficie totale di 108.139 ettari; l’Areale B, costituito da 20
comuni del Basso Casertano/Alto Napoletano per una superficie totale pari a ha
87.465; l’Areale C è incluso tra la provincia di Caserta e quella di Benevento ed è
costituito da 35 comuni per una superficie totale pari a ha 95.986, all’interno di
questo areale è inserito anche San Potito Sannitico (Regione Campania, 2009).
101
5. CONCLUSIONI
Lo scopo del presente lavoro è stato quello di applicare le linee guida, proposte
dall’APATT (2006), per lo studio e la bonifica dei brownfields per la
caratterizzazione dell’area dismessa denominata “ex GEZOOV”, una delle più
grandi aziende di allevamento di bovini da carne del Mezzogiorno d’Italia. L’area,
insistente nell’agro del Comune di S. Potito Sannitico (CE), presenta un’area di
circa 2,7 ettari, su di una SAT aziendale di 27 ettari, coperta da fabbricati destinati
all’allevamento, fabbricati e viabilità di servizio, nonché interessata da una rete
fognaria destinata al collettamento ed allo stoccaggio dei liquami d’allevamento.
L’azienda nel suo lungo periodo d’esercizio ha vissuto vicende alterne, culminate
con la presa di possesso nel 2008, in forza di legge, da parte dell’amministrazione
comunale di S. Potito Sannitico e nell’esecuzione forzosa dello sfratto degli ultimi
occupanti abusivi e del loro bestiame nel 2016. Per questo lungo contenzioso sulla
proprietà e sul diritto d’uso le diverse pertinenze aziendali presentano un avanzato
grado di deterioramento funzionale e strutturale tale da impedire una ripresa tout-
court di un’attività di allevamento. Inoltre nel corso degli anni con l’emanazione
di norme sempre più stringenti a tutela e dell’ambiente e della salute pubblica è
emersa la necessità di una completa revisione della struttura aziendale se non di
un radicale cambio di destinazione d’uso dell’area. Sono numerose infatti le
criticità emerse nella configurazione delle strutture e nello stesso indirizzo
produttivo aziendale, tali da costituire motivo di preoccupazione per l’opinione
pubblica circa la condizione di agibilità in sicurezza della struttura per la possibile
presenza di materiali (amianto) e di strutture pericolose (cisterne di liquami
zootecnici, depositi di carburanti) ormai in stato di abbandono.
102
Pertanto, in vista di un possibile intervento di recupero e di destinazione a un
nuovo utilizzo in senso socio-produttivo dell’area si è proceduto alla ricognizione
dello stato dei luoghi focalizzando l’attenzione alle criticità connesse ad un
possibile stato di contaminazione del sito e, soprattutto delle pertinenze agricole
costituite dai suoli coltivati.
Nel corso della ricognizione della parte documentale sono emerse diverse
evidenze di procedure non corrette di smaltimento dei reflui zootecnici, evidenze
aggravate dalla dimensione numerica del bestiame in allevamento, dalla
dismissione dell’impianto di trattamento dei reflui e dalla mancanza di qualsiasi
documentazione attestante la destinazione dei liquami. Allo stesso modo destano
preoccupazione ai fini dello stato di contaminazione del sito anche interventi di
smantellamento di parti delle strutture aziendali con rimozione di coperture in
cemento-amianto, smontaggio di motori, scambiatori termici e serbatoi di
carburanti non del tutto documentate.
Sono stati pertanto condotti dei sopralluoghi, e generate nuove informazioni
ricavate dall’esecuzione di una serie di sondaggi portati nelle aree agricole o
incolte, identificate in prima istanza come potenzialmente contaminate.
Appare evidente che le superfici coltivate siano stato oggetto di notevoli
rimaneggiamenti e modificazioni della morfologia superficiale in conseguenza
dell’apporto di materiali terrosi provenienti dall’escavazione o dai livellamenti
delle superfici per la costruzione avvenuta anche in fasi temporali diverse dei
ricoveri zootecnici. Tuttavia le notizie di situazioni di contaminazione legate alla
presenza di materiali come l’amianto o di sversamenti abusivi o incontrollati di
carburanti, lubrificanti e liquami zootecnici non sono state del tutto accertate.
103
In particolare:
a) È stata confermata la rimozione, condotta nel rispetto delle norme sul
trattamento dei rifiuti, delle coperture obsolete in cemento-amianto dei
ricoveri zootecnici con l’allontanamento dal sito produttivo dei rifiuti
speciali prodotti;
b) Lo smantellamento, non documentato, della sala caldaie e, in particolare,
degli scambiatori termici, è avvenuto in modo da provocare una situazione
di contaminazione puntuale, presumibilmente da olii diatermici vista
l’assenza di idrocarburi e di IPA, nella zona incolta a valle dell’impianto
di trattamento delle deiezioni zootecniche;
c) Lo sversamento di carburanti (gasolio), segnalato in passato, non ha
interessato le superfici aziendali, sebbene il ritrovamento di una fognatura
non autorizzata tra il deposito di carburanti e la rete dei fossi scolanti
perimetrali suggerisca che i possibili residui di contaminazione debbano
essere cercati al di fuori dei confini aziendali;
d) La realizzazione, del tutto abusiva alla luce delle attuali norme, di grandi
vasche non impermeabilizzate destinate al lagunaggio dei liquami, tale
evidenza è scaturita dal ritrovamento nel corpo del suolo di tracce di
escavazione estesa e profonda, nonché dalla presenza di stratificazioni del
tutto anomale per giacitura e composizione di materiali organici,
stratificazioni riconducibili a residui di decantazione di considerevoli
quantità di liquami zootecnici.
104
In conclusione tale area, pur richiedendo alcuni interventi mirati e circoscritti di
decontaminazione, può essere reimpiegata ad usi socio-produttivi, attraverso un
intervento di riqualificazione tenendo conto della fragilità del contesto ambientale
in cui è inserita.
Nel caso si voglia ripristinare l’ordinamento zootecnico-foraggero, occorre
considerare la nuova perimetrazione delle zone vulnerabili ai nitrati di origine
agricola della Regione Campania. Conservando le tare aziendali attuali e tenendo
conto delle norme attualmente vigenti per lo smaltimento dei liquami
occorrerebbero circa 1.000 ettari difficilmente reperibili anche nei comuni
limitrofi, considerata la presenza sul territorio di numerosi e consistenti
allevamenti bovini e bufalini. Pertanto, in vista di una rinnovata destinazione ad
uso produttivo dell’area, si sconsiglia qualsiasi insediamento zootecnico intensivo
dell’area, limitando la dotazione di bestiame bovino/bufalino (probabilmente una
scelta del tutto antieconomica) o attraverso una riconversione all’allevamento di
specie meno impattanti (ovine/caprine).
Un diverso progetto di riqualificazione che preveda l’indirizzo verso ipotesi di
altri tipi di ordinamento é la realizzazione di aree produttive di nuova generazione
che assicurino la sostenibilità ambientale.
In pratica si tratta di integrare tra loro i principi della sostenibilità nella
localizzazione, nell’insediamento e nella gestione delle aree produttive tramite
l’uso di strumenti innovativi in modo da ridurre gli impatti ambientali, favorendo
le imprese locali e creando una collaborazione tra istituzioni cittadine e imprese.
105
Di particolare interesse appare l’ipotesi progettuale avanzata da Conte e coll.
(2017) che ha come finalità la realizzazione di una piattaforma polivalente di
produzione e promozione dell’economia agricola locale in cui si prevedono:
- Attività agricole e zootecniche (anche a titolo dimostrativo) per la
promozione dei prodotti locali;
- Attività di trasformazione, confezionamento e immagazzinamento
- Attività di vendita di prodotti dell’ambito territoriale.
Queste attività sono integrate con attività di ricerca e sperimentazione di tecniche
e servizi innovativi destinati alla sviluppo del sistema delle aziende agricole del
territorio.
106
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