Dispense di Pedagogia Generale

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Programma di Pedagogia per il C.d.L. in Scienze Infermieristiche, Pediatriche ed Ostetriche. Dott. Massimo Pellecchia Appunti di Pedagogia Generale per il CdL in Scienze Infermieristiche ed Ostetriche. a.a.2012/2013 Secondo quanto riporta il vocabolario della lingua italiana “Devoto-Oli”, la parola Infermiere significa: “Persona specializzata nell’assistenza ai malati in conformità alle prescrizioni mediche.”. L’etimo di questa parola è “Infermo” , ossia: ” Affetto da una malattia grave o cronica, tale da imporre una totale o parziale inattività”. Vi sono poi altri due significati da attribuire alla parola infermo, che fanno riferimento uno all’aspetto morale, nel senso di persona priva di saldezza morale, e l’altro di condizione di salute cioè insalubre e malsano. Alla luce di queste brevi ed iniziali puntualizzazioni, emergono alcuni aspetti che certamente non sfuggono a coloro i quali oggi, si apprestano a compiere il cammino formativo che condurrà alla scoperta di una figura professionale quale è l’infermiere, che ha una storia importante alle sue spalle ed un altrettanto importante futuro davanti a sé. Gli aspetti emergenti riguardano i termini utilizzati nella definizione operata nel vocabolario, ossia: “persona specializzata” e “assistenza”. Questi, definiscono l’orizzonte teorico e pratico entro il quale i professionisti della salute operano, orizzonte che diviene sempre più ampio e ricco di implicazioni morali, etiche e deontologiche. Prima di trattare in maniera più incisiva della professionalità dell’Infermiere e dell’Ostetrica, vale la pena fare alcune riflessioni sul significato del termine di “salute e malattia”. Salute e malattia formano un binomio di realtà connesse nell’esistenza umana molto profondamente, e, in un certo senso, correlative sul piano concettuale e su quello culturale. L’impegno per mantenere la salute, e quindi anche l’impegno nel lottare contro la malattia, è un dato naturale in tutte le culture. A livello istintivo è un aspetto dell’istinto di conservazione, mentre sul piano di una riflessione etica si tratta di dare giustificazioni e motivazioni valide e un preciso impegno morale di curare la propria salute. Il discorso, però, si è a lungo snodato ‘più come cura di una malattia, che non come cura della salute’. D’altra parte, fino a un passato recente, mancava addirittura la possibilità di 1

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per il Corso di Laurea in Infermieristica ed Ostetricia, a cura del Dottor Massimo Pellecchia, dell'A.O.U. Federico II.

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Appunti di Pedagogia Generale per il CdL in Scienze Infermieristiche ed Ostetriche.a.a.2012/2013

Secondo quanto riporta il vocabolario della lingua italiana “Devoto-Oli”, la parola Infermiere significa: “Persona specializzata nell’assistenza ai malati in conformità alle prescrizioni mediche.”.L’etimo di questa parola è “Infermo” , ossia: ” Affetto da una malattia grave o cronica, tale da imporre una totale o parziale inattività”. Vi sono poi altri due significati da attribuire alla parola infermo, che fanno riferimento uno all’aspetto morale, nel senso di persona priva di saldezza morale, e l’altro di condizione di salute cioè insalubre e malsano.

Alla luce di queste brevi ed iniziali puntualizzazioni, emergono alcuni aspetti che certamente non sfuggono a coloro i quali oggi, si apprestano a compiere il cammino formativo che condurrà alla scoperta di una figura professionale quale è l’infermiere, che ha una storia importante alle sue spalle ed un altrettanto importante futuro davanti a sé.

Gli aspetti emergenti riguardano i termini utilizzati nella definizione operata nel vocabolario, ossia:“persona specializzata” e “assistenza”.Questi, definiscono l’orizzonte teorico e pratico entro il quale i professionisti della salute operano, orizzonte che diviene sempre più ampio e ricco di implicazioni morali, etiche e deontologiche.

Prima di trattare in maniera più incisiva della professionalità dell’Infermiere e dell’Ostetrica, vale la pena fare alcune riflessioni sul significato del termine di “salute e malattia”.

Salute e malattia formano un binomio di realtà connesse nell’esistenza umana molto profondamente, e, in un certo senso, correlative sul piano concettuale e su quello culturale. L’impegno per mantenere la salute, e quindi anche l’impegno nel lottare contro la malattia, è un dato naturale in tutte le culture. A livello istintivo è un aspetto dell’istinto di conservazione, mentre sul piano di una riflessione etica si tratta di dare giustificazioni e motivazioni valide e un preciso impegno morale di curare la propria salute. Il discorso, però, si è a lungo snodato ‘più come cura di una malattia, che non come cura della salute’. D’altra parte, fino a un passato recente, mancava addirittura la possibilità di una riflessione diversa, poiché la buona salute, in una società sacrale, era vista come un dono di Dio e la malattia come un effetto di forze malefiche o un castigo di Dio; mancava una conoscenza scientifica dei fattori che costituiscono la salute e delle vere cause di malattia, la lotta contro la malattia era spesso solo apparente ed era impensabile una difesa preventiva. L’ospedale era più il luogo per morire che per guarire, stragi periodiche, operate da malattie epidemiche o sociali, erano calamità da accettare come dati e fatalità inevitabili. In una tale situazione, la riflessione teologica doveva svilupparsi, sulla linea di un’attenta ricerca, su come si possa valorizzare la sofferenza in generale, la malattia in particolare.

Il termine “assistenza” contiene in sé diversi significati, che vanno dall’opera svolta dalla singola persona, fino a quella profusa da una intera organizzazione.

Quando però facciamo riferimento all’assistenza “infermieristica”, diventa doveroso precisarne il significato secondo una diversa prospettiva.In questo senso ci viene in soccorso il significato che a questa parola ha dato quella figura straordinaria di Florence Nightingale, la quale è stata una vera e propria pioniera in questa attività, slegandola dalla connotazione di attività puramente caritatevole o di beneficenza (in un certo senso come a disprezzarla) alla quale era legata in senso riduttivo, per elevarla ad attività svolta sulla base conoscenze scientifiche fondate, fermo restante l’ ispirazione tipicamente cristiana di carità vera, che nasce dal genuino desiderio di

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aiutare il prossimo, a sua volta conseguenza più palese della “socialità” qualità umana che si manifesta con la socievolezza, ossia il comportamento che spinge le persone a stare insieme. Storicamente l’assistenza alle persone malate o comunque bisognose era svolta dalla Chiesa. Questa vedeva e vede nel malato, l’immagine sofferente del Redentore, per questo lo valorizza ed esalta.L’assistenza resta appannaggio della Chiesa (in senso generale) fino alla rivoluzione francese.Fino a quel punto essa subì comunque un’evoluzione, nel senso che si avvertiva la necessità che non poteva essere relegata alla sola opera di carità, ma doveva essere ben strutturata ed erogata secondo determinati criteri. Fu cosi che ogni “Arte” si dotò di proprie organizzazioni ospedaliere per curare i propri infermi.Siamo nel XVII secolo, tempo in cui nascevano le Cliniche Universitarie, tempo in cui l’assistenza degli infermi stava acquisendo una importanza più che religiosa: diventava l’obbligo morale dell’autorità.

Tra la fine dell’800 e l’inizio del’900, da più parti giungono pressioni tale da sganciare del tutto l’assistenza infermieristica dalle mani della Chiesa, per renderla laica in tutti i sensi.In Italia ed Europa, gli sconvolgimenti politici, di questi anni, hanno reso travagliato il passaggio dell’assistenza Infermieristica da religiosa a laica, ed a dimostrazione di ciò vi sono i tentativi della Nightingale e della Fray che prima di vedere realizzato questo “sogno” hanno dovuto combattere a lungo, soprattutto nei confronti di un generale pregiudizio che vede costante ed immutabile l’equazione:infermiera = prostituta.

Considerate le conoscenze mediche di quegli anni, oltre che della disponibilità farmacologica presente, l’assistenza ai malati di tipo infermieristica e medica erano molto simili, dato che seppure la ricerca dava dei risultati incoraggianti, l’applicazione degli stessi era ancora da vedere.Entrambe puntavano tutto sulla guarigione spontanea e naturale dell’organismo. Entrambe confidavano sulle risorse rigenerative proprie del corpo alle quali si affiancavano attività assistenziali tese a creare le condizioni più favorevoli a questo scopo.

La Nightingale con la sua vita, precorre i tempi, nel senso che mostra con chiarezza e lucidità i tratti che caratterizzano l’Infermiera.Ponendo da parte la sua profondissima religiosità, ella si convinse che era indispensabile, al fine di offrire la migliore assistenza infermieristica, essere preparata.Per farlo era necessario rivolgersi ai migliori professionisti del tempo, per questo andò a studiare in Germania, presso un ospedale gestito da diaconesse luterane; benchè la gestione fosse religiosa, Florence non potè negare l'elevatissima qualità della medicina applicata, delle cure impartite ai malati e dello stile e dell'organizzazione dell'intera struttura, tanto diversa da quella inglese e decisamente più efficiente.Ispirandosi ufficialmente a tutto ciò, scrisse un rapporto, poi pubblicato anonimamente, intitolato The Institution of Kaiserswerth on the Rhine, for the Practical Training of Deaconesses, etc.

Sulla vita e l’esperienza vissuta dalla Nightingale è possibile fare alcune brevi considerazioni utili al discorso più generale sull’Infermiere di oggi.Florence era una donna di famiglia ricca e, nonostante questo, profondamente religiosa.L’assistenza ai malati era considerata “scandalosa” se praticata da donna di famiglia benestante;lo scandalo è dovuto al fatto che la figura dell’infermiera è legata a quella di prostituta.La Nightingale ha in mente un’assistenza infermieristica che includa non solo l’aspetto caritatevole del rapporto umano, ma anche quello più propriamente scientifico di studio e ricerca dei metodi per migliorare l’assistenza e l’aspettativa di vita.L’assistenza Infermieristica va insegnata in apposite scuole il percorso didattico prevede oltre al tirocinio guidato, conoscenze mediche e statistiche.

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Secondo il modello della Nightingale, l’assistenza infermieristica ruota intorno alla persona malata secondo 3 prospettive: a) ambiente fisico ( ventilazione, calore, odore, luce, rumore, dieta, posto letto, fogne);b) aspetto psicologico;c) relazioni sociali;per la Nostra, l’assistenza infermieristica consiste nel porre al centro la persona malata che non solo è portatrice di una condizione di disagio fisico indotto dalla malattia, ma è una persona che pensa e si preoccupa della sua condizione rispetto anche alle possibili implicazioni di tipo sociale.Assistere una persona malata significa anche creare attorno ad essa le condizioni favorenti la guarigione, che vanno dalla cura per l’ambiente circostante alla riduzioni dei tempi di attesa per l’invio ed il ricevimento delle richieste e risposte di eventuali indagini, consulenze e tutto quello che attiene all’attività che si svolge all’interno di un ospedale. La ricerca costante di soluzioni possibili al miglioramento delle condizioni dei pazienti, configura una costante dell’agire infermieristico che, come ha dimostrato la Nightingale più di un secolo fa, si avvale del contributo di altre scienze, tra cui la statistica, la psicologia ed i saperi della stessa medicina.Proprio perché AUTONOMA e proprio perché polivalente, le scienze infermieristiche si configurano come saperi “altri” rispetto a quelli medici con cui COLLABORANO e si integrano al fine di garantire livelli sempre maggiori nelle cure da offrire. L’autonomia a sua volta va regolamentata attraverso un codice comportamentale che sia osservato da tutti i professionisti, cioè il codice deontologico.La deontologia, termine il cui significato è dato dall’unione delle parole “dèon- ontos” che significa ciò che si deve fare, cioè il dovere e “logia” pensiero, studio. La deontologia indaga i doveri professionali tra il professionista sanitario e :i suoi colleghi, i suoi collaboratori, gli assistiti e le istituzioni

La produzione legislativa italiana dell’inizio del ‘900 mostra chi è l’infermiera.Con i Regi Decreti del 1925, 1926 e 1929 definiscono in maniera netta chi è questa professionista e quali sono i tratti che la devono contraddistinguere, a partire dal livello di istruzione di partenza, fino a definire le conoscenze che deve acquisire.In qualche modo è possibile evidenziare una certa continuità tra il percorso formativo definito dal legislatore italiano e l’impostazione della Nightingale.

Le date:

1914: PRIMO CONGRESSO FEMMINILE INTERNAZIONALE affiliato all’I.C.N. (INTERNATIONAL COUNCIL of NURSE;

1919: NASCE L’ ANITI (ASSOCIAZIONE NAZIONALE DELLE INFERMIERE);

1925: RD n° 1832 “ISTITUZIONE DELLE SCUOLE CONVITTO PROFESSIONALI PER INFERMIERE”; (la direzione di queste scuole era affidata ad infermiere che a loro volta avevano ricevuto una formazione sul modello della scuola della Nightingale);

1926: RD n° 2330 “REQUISITI MINIMI PER L’ACCESSO ALLE SCUOLE CONVITTO” (diverrà operativo nel 1929);

1934: RD n°1265 “TESTO UNICO DELLE LEGGI SANITARIE”: sono PROFESSIONI SANITARIE AUSILIARIE LA LEVATRICE, L’ASSISTENTE SANITARIA VISITATRICE E L’INFERMIERA DIPLOMATA”;

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1940: RD n°1310 “DETERMINAZIONE DELLE MANSIONI DELLE INFERMIERE DIPLOMATE E DELL’INFERMIERE ABILITATO”;

1946: RD n°233 “ISTITUZIONE DELL’ALBO PROFESSIONALE”;

1954: L.n° 1048 “ISTITUZIONE DEI COLLEGI IPASVI”; L. n° 1046 “istituzione delle scuole per I.G. della durata di 1 anno

1956: L.n° 1420 “ PER ACCEDERE AL CORSO DI INFERMIERA DIPLOMATA è RICHIESTO IL DIPLOMA DI SCUOLA MEDIA INFERIORE”;

1971: L.n° 124 APERTURA AGLI UOMINI DEI CORSI PER INFERMIERA. Le scuole convitto vengono chiuse, gli infermieri generici diventano anch’essi professionali a seguito di un anno di corso, gli ausiliari divengono I.G. con solo 4 mesi di corso. (sanatoria nefasta per la figura professionale).

1974: D.P.R. 225 ”VIENE INTRODOTTO IL MANSIONARIO PER GLI I.P. e modifica delle mansioni per gli I.G.;

1975: D.P.R. 867 “NUOVO ORDINAMENTO PER LE SCUOLE DI INFERMIERE PROFESSIONALE” il corso prevede 3 anni e 4610 h di tirocinio formativo;

1979: D.P.R. 509 e 571 ulteriore sanatoria per gli ausiliari divenuti I.G. che diventano I.P. (scomparsa dell’I.G.) senza che sia richiesta l’iscrizione all’albo professionale;

1980: L. n°243 scompaiono definitivamente gli I.G.(vengono chiuse le scuole) che sono divenuti Professionali.

1992: D.lgvo n°502 “RIORDINO DELLA DISCIPLINA IN MATERIA SANITARIA”;(il Diploma di Infermiere Professionale viene sostituito dal D.U. e conseguito presso l’Università)

1994: D.L. n° 739 “PROFILO PROFESSIONALE”;

1999: L.n° 42 “ABBROGAZIONE DEL MANSIONARIO E ELIMINAZIONE DELLA PAROLA “AUSILIARIA”DALLA DEFINIZIONE DI PROFESSIONE SANITARIA, NONCHE’ INDIVIDUAZIONE DI NUOVI CRITERI PER DEFINIRE L’INFERMIERE: PROFILO PROF., CODICE DEONTOLOGICO E ORDINAMENTI DIDATTICI”, EQUIPOLLENZA TRA IL D.U. ED IL Diploma precedente;

2000: L. n° 251 “ DISCIPLINA DELLE PROFESSIONI SANITARIE”

2001: D.M. del 2 aprile “Determinazione delle classi delle lauree universitarie e delle lauree universitarie specialistiche delle professioni sanitarie”: Rideterminazione dei percorsi formativi per le professioni sanitarie (il corso di Ostetrica/o torna ad essere di 3 anni) e adeguamento degli ordinamenti didattici dei D.U. a Laurea;

2002: viene sancita l’EQUIPOLLENZA tra il D.U. ed il Diploma conseguito secondo il D.P.R. 867/1975

2006: L.n° 43 “Riforma Ordini Professionali”, per le professioni sanitarie è previsto l’aggiornamento come quello per le professioni mediche.

2009: Approvato dal comitato centrale della Federazione con deliberazione n.1/09 del 10 gennaio 2009 e dal Consiglio nazionale dei Collegi Ipasvi riunito a Roma nella seduta del 17 gennaio 2009 il Codice Deontologico dell’Infermiere;

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2010: Approvato dal consiglio Nazionale nella seduta del 19 giugno 2010 il Codice Deontologico delle Ostetriche/i;

Le Qualità Umane.

Le Qualità Umane sono elementi passibili d’educazione. Esse sono abiti operativi dell’essere, presenti in potenza e oggetto dell’educazione stessa; fondare un’impresa in cui agiscono più persone tralasciando le Qualità Umane (magari considerandole valori) significa rinunciare in partenza all’educabilità dell'essere, e quindi alle possibilità di autonoma formazione, e proiettare tutto il contenuto dell’azione all’esterno dell'uomo, facendo leva soltanto sugli stimoli esterni e sui condizionamenti ambientali. In altre parole, se considero ad esempio l’onestà come una qualità umana, dovrò educare le persone a compiere, in piena libertà, sempre e in ogni caso, atti onesti, sia nelle cose piccole sia nelle grandi, fino a che questa qualità non diventi un abito operativo costante cioè un comportamento stabile della persona; se invece la considero un valore la trasformo in un obiettivo esterno ed esteriore, che deve essere raggiunto attraverso regole di costume o mediante leggi, ma non conquistato interiormente dalle persone. Diventa quindi un aspetto della cultura (nel senso che ha la parola nell’ambito della cosiddetta antropologia culturale), e quindi modificabile secondo i tempi.Altri esempi di qualità umane sono: laboriosità, responsabilità, rispetto degli altri, senso della giustizia.I condizionamenti poi, si configurano come i limiti entro cui l’agire individuale viene costretto. Nella realtà, essi hanno precisi pesi e caratteristiche che debbono essere opportunamente valutati.Esistono condizionamenti legati al luogo, al momento e alle condizioni della nascita, ossia che in maniera concreta vanno a formare le rotaie su cui noi ci muoviamo; esistono poi quelli che ci vengono proposti (imposti?) dalla società in cui cresciamo, e che ci spingono a comportamenti “obbligati” tali da renderci schiavi.Saper riconoscere i condizionamenti costituisce il primo passo per liberarsene, e dunque essere liberi di compiere scelte autonome e responsabili. Il passo decisivo nella conquista della propria autonomia e libertà è appunto quello di riconoscere i propri condizionamenti e farli diventare “condizioni” per un agire consapevole e deciso.

La concezione dell’uomo come PERSONA;

La persona: ‘per sé una’, ‘ipostasis’, soggetto sussistente, e insomma, sostanza individuale di natura razionale.La persona è dunque una sostanza individua, cioè una realtà interiormente indivisa e distinta da ogni altra (altrimenti l’uomo non sarebbe un essere ‘uno’, ma un aggregato di elementi, facoltà e atti, che resterebbero slegati fra di loro), ma nello stesso tempo, per la comunanza di natura fra gli individui umani, per la solidarietà istintiva che si forma tra loro, per l’ordinamento di tutti ad una finalità comune, si rileva come eminentemente sociale.In sostanza, la Persona è:a) la realtà di riferimento più importante dell'universo, di cui è al centro e che acquista senso in quanto la

materia, le cose, vengono messe in relazione con essa ed al suo servizio;b) una entità razionale, il che vuol dire che ha la possibilità di:conoscere se stessa, e di rendere nota

questa conoscenza agli altri,conoscere gli altri, con cui è in relazione;c) unica, perché è un principio vivente singolo, dotata di unità e di irripetibilità;d) dotata di identità, essendo sempre la stessa, sempre al centro della propria esperienza in ogni

momento della sua vita e in tutte le fasi della sua crescita, in una perfetta continuità;

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e) una sostanza individuale, nel senso filosofico della parola, vale a dire che non può essere né confusa né fusa in altre sostanze senza distruggersi; non può quindi essere considerata come un momento di un processo assoluto né come manifestazione di un principio primo, perché è autonoma quanto alla esistenza:

f) libera, in quanto capace di atti, di azioni dettate dalla volontà, alla luce di quanto mostra l'intelligenza;g) responsabile, poiché è padrona non solo del proprio pensare e del proprio agire, ma anche del proprio

omettere; h) socievole, ordinata per natura al rapporto con gli altri, ad unirsi in società con essi, per impulso positivo

e non per semplice esigenza di difesa da pericoli esterni;i) dotata di un elemento fondamentale dell’essere, la dignità, per la quale non può mai venire

considerata un mezzo per raggiungere un qualunque scopo, mentre può porre se stessa soltanto come fine;

una creatura, e in quanto sostanza finita, unica ed irripetibile rimanda necessariamente ad un Infinito che l’abbia posta in essere; la sua capacità creativa dipende direttamente dalla sua creaturalità.

Concetti di : Autorità, Responsabilità, Libertà;

Autorità, Responsabilità e Libertà costituiscono di fatto, i principi dai quali scaturisce la Professionalità.Ognuno di essi si costituisce dalla compresenza di specifiche qualità umane che coesistono in armonia.L’Autorità, naturalmente diversa dalla sua degenerazione che è l’autoritarismo, si fonda su tre elementi fondamentali che sono: Competenza, Equilibrio e Prestigio.La Competenza rappresenta tre generi di conoscenza distinti, che sono: conoscenza teorica, conoscenza di se stessi, conoscenza delle persone che ci si trova innanzi.Troppo spesso la competenza viene ridotta alla sola conoscenza teorica, cioè quella che viene acquisita attraverso i libri o internet e magari senza un approccio minimamente critico.Conoscere se stessi ed i propri limiti (condizionamenti compresi), comporta un’aumentata competenza personale, che si traduce in una continua crescita interiore ed anche esteriore.L’equilibrio riguarda la capacità della singola persona di sapersi sempre posizionare in maniera corretta, cioè equidistante, rispetto a se stesso e a tutte quelle occasioni in cui aggiungono nuove esperienze.Il Prestigio personale è quello che permette al professionista di essere stimato dagli altri e che si costruisce assumendo la consapevolezza della propria fallibilità. Esso consente di “non cullarsi” mai troppo sui successi, e di avere sempre “gli occhi bene aperti” su ciò che fa e dice. La Professionalità:

Significato del termine;la parola Professionalità rimanda a quella di Professione e quindi direttamente all’attività che viene svolta in quanto lavoro. Tutti questi termini rimandano a quello di “professare” ossia dichiarare apertamente qualcosa.Il professionista è colui che dichiara apertamente il suo “mestiere”, o se vogliamo la sua attività.Ogni professionista si caratterizza per il possesso di una precisa qualità: la Professionalità.Questa costituisce l’abito operativo costante del professionista, cioè il comportamento stabile e forte che assume la persona nello svolgere la propria attività.La Professionalità si fonda su tre pricipi:AUTORITA’RESPONSABILITA’LIBERTA’Questi, vanno definiti in concreto, ed è quindi indispensabile precisare quale sia il senso ed il significato a cui si fa riferimento, sempre nell’ambito di una impostazione che è improntata al realismo.

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Il termine autorità deriva dal verbo latino augere, che significa aumentare, accrescere, e dalla parola auctoritas che, oltre al significato di crescita, ha anche quelli di credito, prestigio, stima, giurisdizione, garanzia, influsso e reputazione. Si può ancora oggi avere una testimonianza di tutti questi significati nella espressione di senso comune che si pronuncia nei confronti di persone particolarmente competenti, equilibrate e di prestigio quando di una di esse si dice che «è una vera autorità in materia». Quando invece ci si riferisce ad atti di arbitrio o di prevaricazione sugli altri, non abbiamo l’autorità, ma la sua degenerazione, che si chiama autoritarismo.Queste sommarie precisazioni sono necessarie per introdurre l’esame degli elementi costitutivi che permettono di rendere concreti ed applicabili i tre concetti.Anche per quanto riguarda il concetto di responsabilità è indispensabile precisare che esso non va inteso in senso giuridico-legale, (che è invece quello più diffuso, al punto che spesso si confonde il ‘responsabile’ con il ‘colpevole’ di qualche azione cattiva), ma nel senso che gli attribuisce il verbo latino respondere, rispondere di qualche cosa, ossia contrarre un obbligo di cui si deve rendere conto. Essere responsabili di qualche cosa vuol dire assumere un compito specifico e rispondere di conseguenza di ciò che è stato liberamente scelto e progettato. Il riferimento alla responsabilità come principio intende anche riaffermare la radicale “disomogeneità” dell’uomo rispetto agli animali, perché implica una consapevolezza razionale delle azioni di cui ciascuno è autore unico e libero. Inoltre, la stretta connessione fra libertà e responsabilità permette di evitare di ridurre questa ultima a mera capacità neutrale di scelta o addirittura di confonderla con lo spontaneismo di chi si sente libero solo se può fare “quello che gli pare”. L’educazione in questo caso è indispensabile, anche a causa del fatto che l’uomo ha verso la libertà una forte e naturale tendenza, mentre non può dirsi altrettanto per la responsabilità, che deve essere promossa e sviluppata.È anche per questo che va ribadita una concezione della responsabilità intesa in senso esclusivamente positivo, e non nel senso strettamente giudiziario della “caccia al colpevole”. Infatti essere responsabili significa:- render conto con coerenza degli sviluppi e delle conseguenze di decisioni e di scelte prese

autonomamente; - avere la soddisfazione di portare a termine il lavoro una volta iniziato; - essere persone positive e capaci di cambiare l’ambiente anziché‚ lasciarsi passivamente influenzare da

esso.

La parola libertà viene usata esclusivamente in senso positivo, e strettamente collegato alle facoltà della persona. Infatti esiste anche il concetto di libero nel senso di “non-schiavo”, di libero da qualcosa, in senso prevalentemente negativo: è una accezione antica, presente già nel mondo greco, e ripresa poi nelle concezioni neopagane dell’Umanesimo e del Rinascimento, concezioni che sono tuttora alla base dei programmi della istruzione governativa. È in parte coincidente con il concetto di assenza di vincoli, o addirittura di vuoto, e che nel linguaggio comune è espresso dalla domanda che si fa in treno alla vista di un posto vuoto, quando si chiede agli altri passeggeri: «è libero?». Nel caso della professionalità, invece, ci si riferisce alla libertà come la possibilità di compiere azioni libere, mantenendo il dominio su di esse, ed assumendosene la piena responsabilità, in quanto si è fatto uso della volontà di compierli. In questo senso quindi la libertà è strettamente collegata con la responsabilità, al punto che può essere definita effettivamente libera solo un’azione di cui ci si può assumere la responsabilità, e viceversa, va considerata responsabile solo un’azione compiuta liberamente, senza costrizioni esterne. Il continuo, reciproco rimando di libertà e responsabilità costituisce la chiave di volta dell’azione, perché permette di verificare volta per volta la qualità e la consistenza dell’azione che si compie.

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L’AUTORITÁL’autorità è basata a sua volta su tre elementi fondamentali, che sono la competenza, l’equilibrio e il prestigio personale; occorrono in qualsiasi professione, ed a maggior ragione, in quella del medico.

La competenzaPrima di tutto la competenza:quella proessionale non è basata solo sulle conoscenze teoriche, (che possono essere comunque acquisite anche da chi non pratica la professione), ma si fonda su un modo di essere, e non soltanto su quanto si riesce a sapere. Dal modo di essere dipende quanto si compie, e quanto si dice. In altre parole la competenza degli infermieri e delle ostetriche, è nella conoscenza in primo luogo di se stessi e dei propri limiti, quindi degli elementi essenziali della materia che devono insegnare, e in terzo luogo la conoscenza dei pazienti, che sono per natura l’uno differente dall’altro. Oggi infatti è molto rilevante il rischio che gli operatori sanitari cerchino di dotarsi di un’infinità d’informazioni di carattere teorico, e che finiscano col confonderle con le decisioni che gli spettano. E finisce così con il contemplare le analisi cliniche invece che conoscere le persone, interrogarsi sul perché del loro comportamento, e sviluppare una particolare sensibilità umana e professionale.

L’equilibrioIl secondo elemento costitutivo dell’autorità è dato dall’equilibrio nella propria crescita personale. Potrebbe anche essere denominato maturità, ma questa parola può prestarsi ad equivoci, perché:- può dare l’impressione che si tratti di una situazione che si raggiunge una volta per tutte, senza bisogno

di ulteriori e continui perfezionamenti;- è stata usata molto per designare situazioni assai negative, quale è quella dell’adulto che è maturo in

quanto non ha più bisogno di formarsi perché‚ ormai è ‘fatto così’;- richiama, più o meno inconsciamente, uno dei capisaldi dello statalismo nel campo della istruzione, il

cosiddetto esame di maturità che aveva la funzione (e in parte ce l’ha anche adesso) di verificare il grado di inserimento del singolo nel tutto, per accogliere quindi l’individuo nella piena consapevolezza dello Stato, che è il solo a dargli significato attraverso i suoi funzionari precedentemente maturati.

Il termine equilibrio si collega invece più facilmente al concetto di crescita e di autoeducazione o ossia di formazione, che costituisce un processo continuo, senza interruzioni e senza certificati. Si tratta di percorrere la via della normalità, che non è quella statistica (altrimenti tutto sarebbe normale, compresi i comportamenti stravaganti e quelli lesivi del prossimo), ma quella delle qualità umane, che si trovano esattamente al centro fra due eccessi. Va riscoperto il significato profondo del motto latino secondo il quale in medio stat virtus interpretandolo correttamente, ma ricordando che virtus deriva da vis, che significa forza (ed implica quindi un atteggiamento attivo e fortemente impegnato) e che in medio vuol dire equidistanza, equilibrio, e non mediocrità, come un certo malsano romanticismo ha voluto interpretare.Equilibrio vuol dire quindi essere molto vicini all’uomo comune del medio evo cristiano che non all’eroe esaltato dalla mitologia pagana di ieri e di oggi.

Il prestigioIl terzo elemento dell’autorità è costituito dal prestigio personale. Può sembrare strano, ma solo in apparenza, perché non si tratta di assumere atteggiamenti da capo di Stato, ma semplicemente di entrare nell’ottica della persona che sa di non essere infallibile, e che quindi si impegna per quanto sa di poter poi mantenere. Il prestigio di un operatore della salute è costituito dalla sua capacità di dire dei si e dei no che siano stabili, senza cercare l’autorità nell’imposizione, dimenticando poi quanto era stato stabilito. Naturalmente occorre limitare gli interventi a quelli veramente importanti, tralasciando di intervenire nelle questioni relative ai gusti personali, e curando solo l’essenziale.

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LA RESPONSABILITÁ

La responsabilità basata direttamente sui seguenti elementi:conoscenza della realtà;capacità di giudizio;padronanza di sé.È in base a questi fondamenti che si può sostenere chel’educazione coincide con l’educazione alla libertà senza mezzi termini, perché‚ si tratta di elementi che possono riempiono di contenuto le decisioni dell’uomo.

Conoscenza della realtàLa conoscenza della realtà è un principio che si traduce in uno specifico atteggiamento di fronte ai pazienti: esso porta come prima conseguenza quella di evitare la predica saccente, basata sul continuo ricorso alla correzione e alla contraddizione. Realisticamente, ogni situazione costituisce un punto di partenza per un successivo miglioramento, qualunque esso sia: e ciò che conta non è quanto il paziente ha già fatto, ma la sua situazione di partenza, e i progressi che può compiere.La consapevolezza del valore e dei limiti di quanto si ha a disposizione è indispensabile per poter poi esercitare una effettiva libertà di decisione, senza cadere nella trappola della ‘mistica del magari’.Inoltre la conoscenza della realtà è strettamente legata al primo principio della libertà, che è costituito dalla attività: solo attraverso un equilibrato sviluppo della potenzialità di fare si può aumentare ed approfondire la realtà che ci circonda.

La capacità di giudizioSi deve tener presente che ogni persona ha un vero e proprio diritto alla valutazione: ma oggetto di questo diritto è ciò che la persona fa e non quello che la persona è. In altre parole, vanno valutati i fatti, e non le persone che li compiono; ed è sui fatti poi che entra in gioco l’assunzione di responsabilità. Ed è sempre su fatti chiari, ben documentati che si può ricorrere, quelle rare volte che è indispensabile, alla lode o al rimprovero. Giudicare i fatti è un dovere, è un aiuto indispensabile per la persona interessata, che riceve elementi per la sua crescita; giudicare le persone è invece un arbitrio inammissibile alla luce dei principi finora esposti.

La padronanza di séOccorre compiere una vera e propria rivoluzione copernicana, abbandonando il catalogo dei mali e delle ‘piaghe sociali’ imparato a scuola e rinforzato quotidianamente da giornali e telegiornali, (in nome della concezione dialettica della realtà…), per approdare invece ad una scoperta continua, entusiasmante, delle meraviglie del creato. Per fare questo ci si deve convincere che partendo dalla meditazione del male si arriva al brutto ed al problema, perdendo la speranza di conquistare il vero e il bello che sono nella realtà e che danno senso alla vita dell’uomo.A tutto questo va aggiunto come corollario il fatto che la padronanza di sé ha inizio con la padronanza della propria corporeità, per quanto riguarda sia la manualità che il coordinamento motorio: di qui l’importanza di cominciare dai sensi esterni, lo sviluppo completo dei quali condizione ogni successiva fase di crescita.

I condizionamenti.

La trattazione del tema della responsabilità non può considerarsi completa se non si accenna ad una argomentazione che oggi è molto di moda: il cosiddetto ‘condizionamento, a cui si fa in genere seguire un aggettivo ugualmente di moda, e cioè ‘sociale’. L’espressione ‘condizionamento sociale’ è stata ormai talmente ripetuta e diffusa, da essere entrata persino nella normativa sulla istruzione governativa e su vari aspetti della vita scolastica.

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In realtà i condizionamenti hanno caratteristiche e peso ben definiti, ed è indispensabile conoscerli per poterli trasformare in ‘condizioni’ in base alle quali esercitare la propria libertà, per superare limiti ed ostacoli e per inquadrare la vita in un piano che comporta una direzione attiva, evitando la una supina e passiva accettazione di quanto ci accade intorno.Vi sono due grandi categorie di condizionamenti:a) esterni, o ambientali;b) interni, o personali.I primi sono strettamente connessi al luogo, al momento, ed alle condizioni di nascita, e comprendono, oltre il semplice e decisivo fatto di essere nato (evento che nessuno al mondo potrà mai dire di aver deciso da solo, e fattore primario di condizionamento), il parlare una certa lingua e non un’altra, il conoscere poche o molte persone, l’avere molti o pochi stimoli, il trovarsi in una situazione di agiatezza o di ristrettezza economica, e così via; si tratta perciò di una serie di fattori individuabili concretamente, a seconda della loro consistenza.I secondi invece riguardano direttamente lo sviluppo della persona, e vanno dalle attitudini connesse con il temperamento di base che si ha fin dalla nascita fino al livello di istruzione che si è in grado di conseguire, e comprendono anche tutti gli aspetti che ricadono direttamente sotto il controllo della volontà di una persona. Il cristiano pone tra questi ultimi anche l’inclinazione al male, conseguenza del peccato originale, che indebolisce di molto la libertà personale e che va combattuta con i mezzi adeguati che sono i sacramenti.Nei confronti dei condizionamenti a carattere ambientale si agisce tramite due mezzi: la conoscenza e l’accettazione positiva finalizzata al cambiamento.La conoscenza costituisce il primo e fondamentale momento, senza il quale non è possibile alcun passo successivo: infatti bisogna conoscere per poter agire, e in questa fase l’ostacolo più rilevante può essere la mancanza di informazioni attendibili. Limitarsi a prendere atto dell’esistenza di condizionamenti significa dare, con l’espressione «sono condizionato da», un significato fatalistico e conclusivo ad una serie di considerazioni precedenti, che non cambiano nulla della situazione.Invece l’esame accurato ed analitico dei ‘condizionamenti’ permette di constatare che ne esistono anche di tipo positivo e che il termine, pur essendo ormai entrato nell’uso con un significato esclusivamente negativo, di fatto comprende ogni situazione in cui l’uomo si trova ad operare, e quindi anche quelle a lui favorevoli. A partire da questo esame (che può diventare - dato che esistono ormai tecniche che lo permettono - un vero e proprio studio dell’ambiente), ognuno può, in ordine alle proprie possibilità e limitatamente a queste, impegnarsi concretamente nella trasformazione della realtà, invece di perdersi nella vana attesa che “cambi tutto", senza il proprio personale contributo. Se si pensa che ogni ‘condizionamento’ sociale, familiare, economico, culturale, sia tale da determinare in modo negativo la vita di una persona, ciò significa che si ha una visione totalitaria e negativa dell’uomo. Naturalmente si è liberi di avere una tale concezione, a patto per di non pretendere che gli altri siano obbligati ad accettarla: occorre per conoscerne anche le conseguenze, che consistono nel fatto che chi non riconosce la possibilità… di essere liberi, difficilmente riesce a rispettare la libertà degli altri.Anche per i condizionamenti di carattere personale il primo momento è quello della conoscenza: sapere cioè se si tratta di limiti derivanti da veri e propri difetti, o da mancanza di determinate qualità o attitudini, oppure dal mancato sviluppo di capacità potenziali, e quindi passare ad una serena accettazione degli stessi, essenziale per iniziare il lavoro di superamento. Infatti non è possibile superare i propri condizionamenti personali se - pur conoscendoli - non si accettano così come sono, magari per orgoglio, per superbia, per dispetto, o altro: solo se ci si accetta come si è si può cominciare il lavoro di miglioramento, con una lotta che di solito continua per tutta la vita. Così, ad esempio, l’adolescente può essere condizionato dal non saper studiare, ed andare avanti alla meglio, senza essere soddisfatto del proprio lavoro intellettuale; ma nel momento in cui analizza, con il necessario aiuto, le cause della sua situazione, scoprire che ci può dipendere da precedenti lacune, oppure dal fatto che non sa leggere, o che non è ordinato e costante, e così via. Dal momento in cui viene a conoscenza delle cause del suo cattivo rendimento non è più ‘condizionato’, perché‚ dipende da lui stesso il cambiare o meno la situazione. Può

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non avere la volontà di farlo, ma in tal caso si tratterrà di prendere atto di questa causa ultima e di cominciare, attraverso obiettivi piccoli ma concreti, a rafforzarla. Identico è il caso dell’adulto che afferma «sono fatto così», non posso agire diversamente e che sceglie liberamente la comodità di restare in una situazione (che può essere sgradita anche per lui oltre che per gli altri) piuttosto che proporsi l’obiettivo di un miglioramento personale, obiettivo che fa parte integrante, anzi costitutiva, della stessa natura umana. In altre parole, la persona che, ad esempio, sia tanto soggetta all’ira da non poter discutere serenamente se non con chi la pensa come lui, decide:- di farsi condizionare dall’ira e quindi di privarsi della sua libertà di decisione nei momenti in cui ne è

preda;- di considerare ormai completo e irreversibile lo sviluppo della sua personalità, istituzionalizzandone i

difetti e mutilandosi di capacità e facoltà che così non avranno più possibilità di sviluppo.A ciò va aggiunto che il dire “sono fatto così” presume la possibilità di essere diverso, ed implica contemporaneamente l’affermazione di non volerlo essere. Tutto questo sta a dimostrare che la libertà è una continua conquista personale, che risulta impossibile senza l’aiuto dei propri simili, aiuto che viene fornito attraverso l’educazione, in modo graduale, e che è utile solo se liberamente accettato.

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