DISPENSA - diee.unica.it · Dispensa Elettrotecnica 1. ... la densità di carica elettrica ρ e la...
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Dispensa Elettrotecnica
1. Il modello matematico dell’elettromagnetismo
L’ elettromagnetismo è lo studio dei fenomeni dovuti alle cariche elettriche, sia che esse siano
ferme o in moto. E’ noto che cariche ferme generano un campo elettrico e che le cariche in moto
danno luogo ad una corrente elettrica che a sua volta genera un campo magnetico. Si vedrà in
seguito che nel caso di campi variabili nel tempo il campo elettrico e il campo magnetico non sono
disaccoppiati, ma la variazione del campo elettrico produce un campo magnetico e viceversa. E’ per
questo motivo che si parla di campi elettromagnetici.
E’ inevitabile quando si parla dei fenomeni elettromagnetici introdurre il concetto di campo. Per
campo di una qualunque grandezza s’intende la distribuzione spaziale di quella grandezza, che può
essere o meno funzione del tempo.
L’approccio che si utilizzerà per richiamare la teoria dell’elettromagnetismo è quello deduttivo o
assiomatico che consiste nel postulare alcune relazioni fondamentali di validità generale che sono
considerate degli assiomi, ossia delle leggi di natura, e a partire da esse dedurre di volta in volta
delle relazioni che valgono per il particolare caso in studio.
Si seguirà questo approccio perché fornisce una maniera più elegante, concisa e ordinata di studiare
i fenomeni elettromagnetici. In particolare si costruirà il modello matematico
dell’elettromagnetismo seguendo i tre passi seguenti:
1) definizione delle grandezze fisiche coinvolte nei fenomeni elettromagnetici;
2) definizione delle regole matematiche con le quali queste grandezze possono essere
elaborate;
3) definizione dei postulati fondamentali tra le grandezze fisiche.
Le grandezze del modello elettromagnetico possono essere classificate in due categorie:
1) grandezze sorgente
2) grandezze di campo.
Elettrotecnica– 2006/07 2 P.Testoni
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Si è già detto che le grandezze sorgente sono le cariche elettriche ferme o in moto. Esso sono quindi
la densità di carica elettrica ρ e la densità di corrente di conduzione J�
.
Oltre alle due grandezze sorgente esistono quattro grandezze di campo, esse sono:
E�
V
m
vettore campo elettrico,
D�
2
C
m
vettore spostamento elettrico,
B�
[ ]T vettore densità di flusso magnetico o induzione magnetica,
H�
A
m
vettore campo magnetico.
Si vedrà meglio in seguito il significato fisico di queste grandezze, si noti intanto che sono tutte
grandezze vettoriali. Il campo elettrico è l’unica grandezza necessaria per studiare il campo
elettrostatico nel vuoto, quando si ha la presenza di dielettrici è necessario introdurre un’altra
grandezza: il vettore spostamento elettrico. Allo stesso modo, per problemi di magnetostatica nel
vuoto l’unica grandezza da considerare è il vettore densità di flusso magnetico e in presenza di
materiali ferromagnetici bisognerà introdurre anche il vettore campo magnetico.
Il vettore campo elettrico è definito come la forza per unità di carica che agisce su una carica di
prova puntiforme quando essa è immersa in una regione in cui esiste un campo elettrico:
0 lim
q
F VE
q m→
=
��
la carica di prova deve essere sufficientemente piccola da non perturbare il campo preesistente.
Anche la definizione del campo magnetico è legata ad una forza agente su una carica elettrica. Se si
considera una carica di prova che si muove con una certa velocità in un campo magnetico, sulla
carica agirà la forza di natura magnetica:
mF q v B= � ��
avente:
• ampiezza proporzionale a q e alla componente della velocità nella direzione perpendicolare
al campo;
• direzione perpendicolare rispetto alla direzione della velocità della carica di prova e alla
direzione del campo in quel punto:
Elettrotecnica– 2006/07 3 P.Testoni
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• verso secondo la regola della mano destra.
Nel modello matematico dell’elettromagnetismo oltre alle grandezze di campo e sorgente sono
definite tre costanti fondamentali, che sono legate alle proprietà dello spazio vuoto. Esse sono: la
velocità della luce nel vuoto, la permeabilità magnetica e la permittività dielettrica dello spazio
vuoto.
La velocità della luce nel vuoto è approssimativamente pari a:
83 10m
cs
⋅�
Le altre due costanti fondamentali si riferiscono a fenomeni elettrici e magnetici nello spazio vuoto.
In particolare la permeabilità magnetica del vuoto esprime il legame tra il vettore B�
e il vettore H�
nel vuoto, secondo la relazione:
0B Hµ=� �
mentre la permittività dielettrica del vuoto esprime il legame tra il vettore D�
e il vettore E�
nel
vuoto, secondo la relazione:
0D Eε=� �
Il valore delle due costanti è il seguente:
70 4 10
H
mµ π −= ⋅ e 12
0 8,8 10F
mε −⋅�
Le tre costanti non sono indipendenti, ma sono legate tra loro dalla seguente relazione:
0 0
1 mc
sε µ=
La maggior parte delle grandezze che definiscono il modello matematico dell’elettromagnetismo
sono grandezze vettoriali, altre invece sono scalari. Tutte queste grandezze solitamente variano sia
in funzione del tempo che del punto dello spazio considerato.
Le operazioni che quindi saranno necessarie per trattare queste grandezze sono quelle del calcolo
vettoriale e del calcolo differenziale.
Le relazioni fondamentali del modello matematico dell’elettromagnetismo sono le equazioni di
Maxwell e le relazioni costitutive. Esse permettono di descrivere tutti i fenomeni elettromagnetici,
qualunque sia il loro regime di variazione.
Elettrotecnica– 2006/07 4 P.Testoni
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Le equazioni di Maxwell sono così formulate:
t
DJH
∂∂+=×∇�
��
[1.1]
BE
t
∂∇ × = −∂
��
[1.2]
0=⋅∇ B�
[1.3]
ρ=⋅∇ D�
[1.4]
Le prime due equazioni coinvolgono l’operatore rotore, le altre due sono le equazioni della
divergenza.
L’equazione [1.1] è nota come equazione di Ampere-Maxwell e lega il rotore del campo magnetico
alla densità di corrente, sia essa di conduzione o di spostamento. Essa esprime il fatto che un campo
elettrico variabile nel tempo produce un campo magnetico, anche quando la densità di corrente di
conduzione è nulla.
In essa compaiono le seguenti grandezze:
H�
vettore campo magnetico,
J�
vettore densità di corrente di conduzione
t
D
∂∂�
densità di corrente di spostamento.
La seconda equazione ([1.2]) è la legge di induzione di Faraday-Neumann ed esprime la
rotazionalità del campo elettrico in presenza di un campo magnetico variabile. In essa compaiono le
seguenti grandezze:
B�
vettore induzione magnetica o vettore densità di flusso magnetico,
E�
vettore campo elettrico.
La terza esprime il fatto che il campoB�
è solenoidale, mentre la quarta esprime il fatto che il
vettore D�
ha divergenza diversa da zero.
Si può notare che nel caso stazionario le equazioni di Maxell assumono la forma:
H J∇ × =� �
0E∇ × =�
0=⋅∇ B�
ρ=⋅∇ D�
Elettrotecnica– 2006/07 5 P.Testoni
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e il vettore campo elettricoE�
assieme al vettore spostamento elettrico D�
formano una coppia
indipendente rispetto alla coppia formata dal vettore densità di flusso magnetico B�
e dal vettore
campo magnetico H�
. In altre parole i vettori del campo elettrico e quelli del campo magnetico non
sono tra loro in relazione. La densità di carica elettrica da origine ad un campo elettrico che a sua
volta può dare origine in un mezzo conduttore ad una corrente elettrica che è la causa del campo
magnetico. Quindi nel caso stazionario il campo elettrico e il campo magnetico possono coesistere,
ma non si influenzano vicendevolmente. Il campo elettrico può essere univocamente determinato a
partire dalla distribuzione di carica e il campo magnetico è solo una conseguenza del campo
elettrico che genera una corrente elettrica.
Le equazioni da [1.1] a [1.4] sono delle relazioni puntuali perché valgono per ciascun punto dello
spazio. Esse sono dette essere in forma differenziale appunto perché coinvolgono gli operatori
differenziali rotore e divergenza. Solitamente si è però interessati a valutare il campo dovuto ad un
aggregato di cariche o ad un sistema di correnti, ciò è possibile se si considerano le stesse equazioni
in forma integrale anziché differenziale. E’ infatti possibile integrando le equazioni di Maxwell in
forma differenziale su una superficie aperta o su un volume arrivare alla loro corrispondente forma
integrale.
E’ possibile esprimere la [1.1] in forma integrale integrandola su una superficie aperta:
C S S
DH dl J dS dS
t
∂⋅ = ⋅ + ⋅∂∫ ∫ ∫�
� � �� �
� [1.5]
dalla quale si evince che l’integrale di H�
lungo la linea chiusa C è pari alla corrente con essa
concatenata, sia essa corrente di conduzione sia corrente di spostamento.
Eempio:
In un conduttore rettilineo e infinitamente lungo circola una corrente I uniformemente distribuita
sulla sua sezione circolare di diametro 2a. Si determini la distribuzione del vettore induzione
magnetica in funzione della distanza dal centro del conduttore (sia all’interno che all’esterno del
conduttore).
Nel caso stazionario la prima equazione di Maxwell in forma integrale può essere espressa come:
C S
H dl J dS⋅ = ⋅∫ ∫� �� �
�
Introdotto un sistema di riferimento cilindrico (r,z,ϕ), il cui asse z coincide con il filo, per motivi di
simmetria il campo magnetico H è diretto in ogni punto dello spazio lungo il versore iϕ, ed il suo
modulo dipende solo dalla coordinata r.
Elettrotecnica– 2006/07 6 P.Testoni
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1) per r>a
La relazione diventa IldHC
=⋅∫��
che applicata alla circonferenza γ di figura (centrata sull’asse del
filo, giacente su un piano ad esso ortogonale, e di raggio r generico) permette di scrivere:
2H r Iπ = da cui 2
IH
rπ=
2) per r<a
Per punti all’interno del conduttore, r < a, alla circuitazione del campo H�
contribuisce solo la
corrente concatenata con una circonferenza di raggio r
Si ha quindi all’interno del conduttore
22H r J rπ π= da cui 22
IrH
aπ=
considerato che 2I J aπ=
Quindi il campo è nullo al centro del conduttore, cresce linearmente all’interno del conduttore
raggiungendo il massimo per r = a e poi decresce per r > a. L’andamento del vettore campo
magnetico all’interno e all’esterno del conduttore è mostrato nella figura seguente:
z
Elettrotecnica– 2006/07 7 P.Testoni
7
Integrando la [1.2] su una qualsiasi superficie aperta è possibile scrivere la corrispondente
equazione in forma integrale
( )C s C
d dE dl B dS
dt dt
Φ⋅ = ⋅ = −∫ ∫� �� �
� [1.6]
Questa relazione è nota come legge di Faraday ed afferma che la forza elettromotrice (la tensione)
indotta in un circuito chiuso eguaglia la variazione nel tempo, cambiata di segno, del flusso
magnetico concatenato con il circuito stesso. Il segno meno che compare nell’equazione si spiega
con la legge di Lentz secondo la quale in un circuito chiuso la fem indotta è tale da generare una
corrente indotta che ha verso tale da opporsi alla causa (alla variazione di flusso magnetico) che la
ha generata.
Eempio:
Si consideri una spira rettangolare di lati h e w immersa in un campo magnetico che varia con legge
sinusoidale che ha direzione normale all’asse della spira stessa. Si trovi la tensione indotta ai capi
della spira.
2
I
aπ
oB B sen tω=�
w
h
( )H r
Elettrotecnica– 2006/07 8 P.Testoni
8
n�
Il flusso concatenato con la spira è( )
o
s C
B dS B sen t hwωΦ = ⋅ = ⋅∫��
e la tensione indotta ai capi della spira:
cos coso o
de hw B t S B t
dtω ω ω ωΦ= − = − = −
In una spira di forma qualunque, percorsa dalla corrente I e immersa in un campo magnetico agisce
una coppia meccanica che tende ad allineare l’asse della spira nella direzione del campo.
Considerata la spira della figura precedente in cui si suppone circolare la corrente I, è possibile
scegliere il verso della normale alla superficie della spira secondo la regola della mano destra.
Se si indica con m SIn=� � il momento magnetico della spira che ha modulo dato dal prodotto della
superficie della spira e della corrente che in essa vi circola, direzione lungo l’asse della spira e verso
dato dalla regola della mano destra, si può dimostrare che la coppia può essere espressa come:
T m B= � ��
Integrando le due equazioni della divergenza [1.3] e [1.4] su un qualunque volume si ottengono:
0=⋅∫S
sdB��
[1.7]
QsdDS
=⋅∫��
[1.8]
che sono note come le leggi di Gauss del campo magnetico e del campo elettrico rispettivamente.
La equazione [1.7] esprime il fatto che il flusso di B�
attraverso una qualunque superficie chiusa S è
zero e che quindi le linee di campo magnetico sono sempre delle linee chiuse.
B�
I
Elettrotecnica– 2006/07 9 P.Testoni
9
L’ultima equazione ci dice che il flusso di D�
attraverso una qualunque superficie chiusa S eguaglia
la carica Q all’interno del volume racchiuso dalla superficie stessa.
Oltre alle equazioni precedenti, fanno parte del modello matematico dell’elettromagnetismo anche
le relazioni costitutive che consentono di legare, tramite un legame di causa ed effetto, i fenomeni
elettromagnetici tramite le proprietà dei materiali:
B Hµ=� �
[1.9]
D Eε=� �
[1.10]
J Eσ=� �
[1.11]
2. Proprietà magnetiche della materia
Le proprietà magnetiche della materia possono essere classificate in base alla loro
permeabilità µ oppure, se si vuole considerare come riferimento la permeabilità dello spazio vuoto,
alla loro permeabilità relativarµ , considerato il fatto che vale la relazione:
0r
µµµ
=
In particolare i materiali possono essere classificati in base alla loro permeabilità relativa in:
• diamagnetici: rµ poco più piccola di 1
• paramagnetici: rµ poco più grande di 1
• ferromagnetici: rµ molto più grande di 1
Una descrizione qualitativa delle diverse proprietà magnetiche dei materiali può essere effettuata
facendo riferimento alla struttura atomica della materia. In particolare, le proprietà magnetiche della
materia sono dovute agli elettroni che ruotano attorno al nucleo degli atomi (che generano un
momento magnetico orbitale, potendo considerare le orbite elettroniche come delle spire percorse
da corrente) e al momento magnetico di spin di ciascun elettrone, dovuto al fatto che l’elettrone
ruota anche attorno al proprio asse.
Nei materiali diamagnetici (rame, mercurio, oro, argento,..) in assenza di un campo magnetico
esterno il momento magnetico totale in ogni atomo è uguale a zero. L’ applicazione di un campo
Elettrotecnica– 2006/07 10 P.Testoni
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esterno produce una forza agente sugli elettroni che si muovono nelle loro orbite e una variazione
delle loro velocità angolari e quindi della corrente nelle orbite. In accordo con la legge di Lentz, la
variazione della corrente è tale da opporsi alla causa che l’ha generata e quindi da opporsi al campo
magnetico esterno; è per questo motivo che i materiali diamagnetici hanno permeabilità relativa
minore di 1. Il diamagnetismo è un fenomeno che si produce in tutti i materiali, solo che in certi
materiali (paramagnetici e ferromagnetici) è mascherato da altri fenomeni. Il diamagnetismo è un
fenomeno reversibile (sparisce quando il campo esterno è eliminato) ed è pressoché indipendente
dalla temperatura.
Nei materiali paramagnetici (titanio, alluminio, magnesio, tungsteno) il momento totale degli atomi
o delle molecole non è nullo. In assenza di un campo magnetico esterno, a causa del moto di
agitazione termica, il momento magnetico complessivo del materiale è nullo. L’applicazione di un
campo esterno, a parte causare un effetto diamagnetico, tende ad allineare i momenti magnetici
degli atomi e delle molecole nella direzione del campo e quindi ad aumentare la magnetizzazione
del materiale. Questo processo di allineamento è però ostacolato dal moto di agitazione termica ed
è per questo motivo che i materiali paramagnetici hanno permeabilità relativa di poco superiore
all’unità. Anche questo fenomeno è reversibile ed è fortemente dipendente dalla temperatura.
Il comportamento dei materiali ferromagnetici (ferro, cobalto, nickel) può essere spiegato facendo
ricorso alla teoria dei domini di Weiss. Secondo questa teoria un materiale ferromagnetico è
costituito da tanti piccoli domini con dimensioni che vanno da alcuni µm fino ad 1 mm.
Ciascun dominino contiene circa 1015-1016 atomi. I domini sono separati tra loro da una regione di
transizione che può contenere lungo lo spessore un centinaio di atomi. In ciascun dominio il
momento magnetico degli atomi ha la stessa direzione. Se non è applicato un campo magnetico
esterno i momenti magnetici dei diversi domini sono orientati casualmente e non si hanno quindi
degli effetti macroscopici. L’applicazione di un campo esterno comporta che i domini che hanno
Elettrotecnica– 2006/07 11 P.Testoni
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momento magnetico orientato nel verso del campo esterno aumentino i loro confini alle spese degli
altri domini. Ciò comporta una magnetizzazione del materiale ed è per questo motivo che i materiali
ferromagnetici hanno permeabilità relativa molto maggiore dell’unità.
La permeabilità magnetica dei materiali ferromagnetici non è costante, ma varia al variare della
temperatura e in misura maggiore al variare del campo magnetizzante. Inoltre essa può assumere
valori diversi per uno stesso valore del campo a seconda dei precedenti trattamenti termici,
meccanici e magnetici subiti dal materiale.
Per descrivere il comportamento di un materiale ferromagnetico si può ricorrere allo studio
sperimentale del legame B Hµ=� �
.
A tale proposito si può considerare un provino toroidale attorno al quale è uniformemente avvolto
un avvolgimento costituito da N1 spire in cui circola la corrente I. Applicando la prima equazione di
Maxwell in forma integrale alla circonferenza di raggio medio rm all’interno del toro si può ricavare
la intensità del campo magnetico in funzione della corrente I:
1
2 m
N IH
rπ=
Un secondo avvolgimento di N2 spire è avvolto sul provino e permette la misura delle variazioni di
flusso concatenato con esse di risalire alle variazioni del vettore B�
.
Elettrotecnica– 2006/07 12 P.Testoni
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Non appena si fa scorrere una corrente nell’avvolgimento di N1 spire incomincia la
magnetizzazione del materiale, ma sino a quando il campo applicato è debole (sino al punto P) il
movimento dei domini è reversibile. Una volta superato P e arrivati per esempio a P1 il fenomeno
non è più reversibile e diminuendo la corrente la relazione BH non segue più il percorso P1PO, ma
per esempio quello indicato in rosso. Questo fenomeno è noto come isteresi magnetica. Se si
aumenta ancora il valore della corrente i domini nella direzione del campo applicato tenderanno ad
estendere velocemente i loro confini e la curva sale rapidamente con andamento pressoché lineare
sino al punto P2. Man mano che i domini si orientano nella direzione del campo, la magnetizzazione
diminuisce il suo ritmo di crescita e la curva BH si piega per formare il cosiddetto ginocchio della
curva dopo di che si arriva al punto P3 in cui si ha la saturazione del materiale (tutti i domini sono
ormai orientati) e la curva assume un andamento rettilineo con pendenza uguale a quella della retta
0B Hµ= . Il luogo di punti OP P1 P2 P3 è chiamato curva di prima magnetizzazione.
Se a partite dal punto P3 si diminuisce la corrente sino ad annullarla, la curva incontra l’asse delle
ordinate nel punto Br. Ciò significa che il materiale rimane magnetizzato anche dopo la scomparsa
del campo magnetizzante. Questo fenomeno fisico, chiamato magnetismo residuo, permette di
creare i magneti permanenti.
Quando poi si inverte il senso della corrente e se ne aumenta gradatamente l’intensità in valore
assoluto, l’induzione magnetica che è ancora positiva continua a decrescere sino a diventare nulla in
corrispondenza di –HC che si dice campo coercitivo. Il campo coercitivo rappresenta il valore del
HC
-Br
Br
-HC
B
H Hmax -Hmax P
P1
P2
P3
P4
Elettrotecnica– 2006/07 13 P.Testoni
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campo da applicarsi in senso inverso in modo da annullare il magnetismo residuo dovuto alla
precedente magnetizzazione.
Sia il magnetismo residuo, sia il campo coercitivo dipendono dal punto P3 in cui si inverte il verso
della corrente.
Si può dunque completare il ciclo arrivando al punto P4 e poi incominciare a fare crescere di nuovo
la corrente. Si ottiene in questo modo un altro ramo del ciclo simmetrico rispetto all’origine degli
assi.
Si può dimostrare che l’area racchiusa dal ciclo di isteresi rappresenta la energia dissipata per
isteresi per unità di volume di materiale ferromagnetico e per ciclo. L’energia dissipata per isteresi è
dovuta all’attrito incontrato dal moto delle superfici di separazione dei diversi domini di Weiss e
dalla rotazione dei domini stessi durante ciascun ciclo di magnetizzazione.
I materiali ferromagnetici utilizzati per le macchine elettriche (generatori, motori e trasformatori),
che sono sottoposti a ripetuti cicli hanno cicli di isteresi stretti (per ridurre le perdite per isteresi) e
alti (per avere una grande magnetizzazione per piccoli valori di campo magnetizzante). I materiali
ferromagnetici che hanno queste caratteristiche sono chiamati dolci.
Viceversa i materiali ferromagnetici utilizzati per creare dei magneti permanenti devono avere cicli
di isteresi tozzi, in modo da avere elevati valori di campo coercitivo per avere alta resistenza alla
smagnetizzazione. I materiali ferromagnetici con queste caratteristiche sono chiamati duri.
Le proprietà dei materiali ferromagnetici dipendono dalla composizione del materiale stesso, dalla
presenza di impurità e dai processi termici e meccanici da essi subiti.
3. I circuiti magnetici
Per circuito magnetico si intende una regione dello spazio in cui le linee di campo
magnetico si richiudono quasi completamente in materiali ferromagnetici. Esiste un’analogia tra i
circuiti elettrici e i circuiti magnetici. Nei circuiti elettrici si vuole trovare la tensione ai capi dei
diversi componenti e la corrente che fluisce in essi, quando il circuito stesso è alimentato da
generatori di tensione e corrente. Nei circuiti magnetici è invece richiesto di trovare il flusso
magnetico e l’intensità di campo magnetico in diversi suoi tratti dovuti alla corrente che circola in
avvolgimenti avvolti sul circuito magnetico stesso.
Elettrotecnica– 2006/07 14 P.Testoni
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Si può a tale proposito considerare un nucleo ferromagnetico di sezione S di forma toroidale su cui
è avvolto un avvolgimento di N spire percorse dalla corrente I.
Si suppone che il raggio medio mR del nucleo sia molto più grande del raggio della sezione S in
modo che si possa ritenere valida l’ipotesi di considerare il campo uniforme in qualunque punto del
materiale ferromagnetico.
Si può applicare la prima equazione di Maxwell espressa in forma integrale per il caso stazionario
alla linea di raggio mR . Considerato che il vettore H�
risulta in ogni punto tangente alla linea
chiusa e di modulo costante si può scrivere:
2 m
C
H dl H R NI Fπ⋅ = = =∫��
�
La quantità NI F= è chiamata forza magnetomotrice perché è l’analoga della forza elettromotrice
in un circuito elettrico.
Dalla precedente relazione si può scrivere:
2 m
FH
Rπ=
E’ allora facile calcolare il modulo del vettore induzione magnetica:
2 m
FB H
Rµ µ
π= =
e il flusso che attraversa la sezione S:
2 m
FBS S
Rµ
πΦ = =
S
Elettrotecnica– 2006/07 15 P.Testoni
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Si può dunque considerare il rapporto tra la forza magnetomotrice applicata al circuito e il flusso
generato:
2 m mR lF
S S
πµ µ
= =Φ
si vede che esso dipende solo dalle caratteristiche geometriche e fisiche del circuito magnetico e
prende il nome di riluttanza magnetica
ml
Sµℜ =
Dalla relazione precedente si può quindi scrivere la seguente relazione:
F = ℜΦ
che è nota come legge di Hopkinson e mostra che il flusso magnetico che si stabilisce in un circuito
magnetico è proporzionale alla forza magnetomotrice ed il coefficiente di proporzionalità è la
riluttanza magnetica.
Nella tabella seguente è riportata l’analogia tra circuiti magnetici e circuiti elettrici:
Circuito magnetico Circuito elettrico
Quando al circuito si applica una
forza magnetomotrice NI forza elettromotrice V
si genera in esso un
campo magnetico F
Hl
= campo elettrico V
El
=
il quale da luogo alla
induzione magneticaB Hµ= densità di corrente J Eσ=
e si stabilisce nel circuito
un flusso magnetico BSΦ = una corrente I
Il circuito e caratterizzato dalla:
ml
Sµℜ =
mlRSσ
=
e vale per esso la legge di
HopkinsonF = ℜΦ OhmV RI=
Nel caso in cui il circuito magnetico, anziché essere costituito da un materiale omogeneo come
abbiamo sino ad ora visto, è costituito da più tratti di diversa lunghezza e sezione e diversa
Elettrotecnica– 2006/07 16 P.Testoni
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permeabilità si può sempre esprimere la forza magnetomotrice come la somma delle cadute di
tensione magnetica nei diversi tratti. La caduta di tensione magnetica in un generico tratto del
circuito (bipolo magnetico) può essere espressa tramite la:
k k kF F∆ = = ℜ Φ
se si fa l’ipotesi che ciascun bipolo magnetico sia interessato dallo stesso flusso, ossia che i bipoli
magnetici siano in serie, si può scrivere:
k k
k k
F F= = Φ ℜ∑ ∑
Si può quindi ricavare la riluttanza equivalente di più bipoli magnetici collegati in serie:
eq k
k
Fℜ = = ℜΦ ∑
e dire che essa è uguale alla somma delle riluttanze dei singoli bipoli magnetici.
Esempio:
Si consideri un circuito magnetico costituito da quattro tratti di diversa riluttanza su cui siano
avvolti due avvolgimenti percorsi dalla corrente I1=10A e I2=1A. Le caratteristiche dei quattro tratti
siano riportate nella seguente tabella. Si vuole determinare il flusso magnetico attraverso una
qualunque sezione del circuito.
Si deve calcolare la riluttanza di ciascun tratto, calcolare la riluttanza equivalente e poi tramite la
legge di Hopkinson calcolare il flusso magnetico.
Sezione Permeabilità
relativa
Tratto 1 0.003 m2 1000
Tratto 2 0.008 m2 1200
Tratto 3 0.009m2 800
Tratto 4 0.001 m2 1000
Elettrotecnica– 2006/07 17 P.Testoni
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Se invece i bipoli magnetici si considerano in parallelo, il flusso Φ del ramo principale si suddivide
nei flussi Φ1 e Φ2 con Φ =Φ1 + Φ2. Per rendersi conto di ciò basta applicare la equazione di
Maxwell della divergenza del campo B�
espressa in forma integrale alla superficie chiusa
tratteggiata in figura.
Poiché la caduta di tensione magnetica è la stessa per entrambi rami si ha:
11
ABFΦ =ℜ e 2
2
ABFΦ =ℜ
e la riluttanza equivalente:
1 2 1 2 1 2
1 11/( )AB AB AB
ABF F Fℜ = = = = +Φ Φ + Φ Φ + Φ ℜ ℜ
Φ1 Φ2
NI R1 R2
R
�B
�A
Φ
S
0.5 m
0.5 m
1
2
3
4
N1=100 N2=10
Elettrotecnica– 2006/07 18 P.Testoni
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ossia la riluttanza di due o più bipoli magnetici collegati in parallelo è uguale all’inverso della
somma degli inversi delle riluttanze dei singoli bipoli. Si noti che la riluttanza equivalente del
circuito è data da:
eq ABℜ = ℜ + ℜ
Dall’analisi appena eseguita è chiara l’analogia con le equazioni di Kirchoff delle tensioni e delle
correnti.
Per un qualunque circuito magnetico chiuso è possibile scrivere:
( ) j k k
j k
NI = ℜ Φ∑ ∑
che permette di affermare che lungo un percorso chiuso di un circuito magnetico la somma
algebrica delle forze magnetomotrici eguaglia la somma algebrica dei prodotti tra le riluttanze e i
flussi
Per una qualunque giunzione di un circuito magnetico è possibile scrivere:
0j
j
Φ =∑
che permette di affermare che la somma algebrica dei flussi che attraversano una giunzione di un
circuito magnetico è uguale a zero.
Molto spesso in un circuito magnetico sono presenti dei sottili strati d’aria che sono chiamati
traferri. Essi permettono di inserire in un circuito magnetico degli organi che possono muoversi.
Si può a tale proposito considerare il solito nucleo ferromagnetico di forma toroidale e operare un
taglio in esso in modo che la sua continuità sia interrotta da un sottile strato d’aria di spessore t.
S
Elettrotecnica– 2006/07 19 P.Testoni
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Si suppone che lo spessore del traferro sia sufficientemente piccolo da non alterare la distribuzione
delle linee di campo e quindi da poter trascurare gli effetti di bordo. Si può in questo caso ritenere
che l’induzione magnetica in aria sia la stessa di quella nel ferro e scrivere quindi:
0 da cui fe fe fe fe t t tB B H H Hµ µ µ= = =
e quindi:
0
fet
fe
H
H
µµ
=
e poiché la permeabilità del ferro risulta essere molto maggiore di quella dello spazio vuoto il
campo magnetico in aria risulta essere molto maggiore di quello nel ferro. L’introduzione del
traferro modifica quindi, rispetto al caso di nucleo ferromagnetico continuo, la distribuzione
spaziale del campo magnetico.
Ci si poteva rendere conto di quanto detto applicando al circuito la regola per i bipoli magnetici in
serie:
( )fe tNI = ℜ + ℜ Φ
in cui
mfe
fe
l t
Sµ−ℜ = e
0fe
t
Sµℜ =
e notare quindi che la caduta di tensione magnetica risulta concentrata nel traferro.
Sino ad ora si è fatta l’ipotesi di considerare dei circuiti magnetici ideali. Nella realtà bisogna
considerare che l’analogia tra circuiti magnetici e elettrici non è perfettamente aderente infatti non
esistono dei materiali che dal punto vista magnetico si comportano come gli isolanti. Si deve tenere
conto che mentre la conducibilità elettrica dei buoni conduttori e degli isolanti può differire anche
di 15-20 ordini di grandezza per i materiali magnetici la permeabilità magnetica al più può variare
di 5-6 ordini di grandezza.
Elettrotecnica– 2006/07 20 P.Testoni
20
E’ per questo motivo che nei circuiti magnetici reali una parte delle linee di campo magnetico non
si svolge nel materiale ferromagnetico (in rosso), ma in aria (in blu). La parte di flusso che si chiude
in aria è chiamata flusso disperso.
Si deve inoltre tenere conto che nei circuiti magnetici reali la permeabilità magnetica non è
costante, ma varia al variare del campo magnetico. Pertanto mentre il calcolo della corrente I che
circola in un circuito elettrico sottoposto alla tensione V è facilmente eseguibile in base alla legge di
Ohm, in un circuito magnetico (per esempio quello col traferro appena visto) sottoposto alla forza
magnetomotrice il calcolo del flusso Φ non è altrettanto immediato in base alla legge di Hopkinson.
Infatti poiché µ è funzione di H e B secondo la relazione B= µH, per conoscere il valore della
riluttanza l
Sµℜ = bisognerebbe che fosse noto il valore di B = Φ/S che invece è la grandezza da
determinare.
Elettrotecnica– 2006/07 21 P.Testoni
21
4. Coefficienti di auto e mutua induzione
Si consideri una spira C1 percorsa dalla corrente I1 e una qualunque superficie S1 che si
appoggia sulla spira stessa. Si può assegnare in base alla regola della mano destra un’orientazione
alla normale alla superficie. Si suppone che la spira sia immersa in un mezzo lineare. La corrente
circolante nella spira produce un campo di induzione B1 le cui linee di forza sono concatenate con la
spira stessa. Per la legge di Biot-Savart il campo B1 è proporzionale a I1. Si può calcolare il flusso
attraverso la superficie S1
1
11 1 1
( )s C
B dSΦ = ⋅∫��
che risulta essere proporzionale per quanto detto sopra alla corrente I1 tramite un coefficiente di
proporzionalità che è chiamato coefficiente di autoinduzione:
11 11 1L IΦ =
L’unità di misura del coefficiente di autoinduzione è l’henry (H). Nel caso in cui il circuito percorso
dalla corrente I1 sia costituito da più spire (N1) vale ancora la stessa relazione e il flusso è quello che
concatena le N1 spire.
Si noti che il coefficiente di autoinduzione può essere espresso tramite la:
1111
1
LI
Φ=
e rappresenta il flusso concatenato con il circuito quando in esso circola la corrente di 1A. Il
coefficiente di autoinduzione dipende dalla geometria del circuito e dalla permeabilità magnetica
del materiale e se il mezzo è lineare non dipende dalla corrente che circola nel circuito.
Si suppone ora di essere in presenza anche di un altro circuito costituito da N2 spire. Il flusso che
attraversa una qualunque superficie S2 che si appoggia su C2 può essere espresso come:
I1
S1 C1
Elettrotecnica– 2006/07 22 P.Testoni
22
2
12 1 2
( )s C
B dSΦ = ⋅∫��
Anche esso è proporzionale alla corrente I1 tramite un coefficiente di proporzionalità che è chiamato
coefficiente di mutua induzione:
12 12 1L IΦ =
L’unità di misura del coefficiente di mutua induzione è sempre l’henry (H).
Si noti che il coefficiente di mutua induzione può essere espresso tramite la:
1212
1
LI
Φ=
e rappresenta il flusso concatenato con il circuito C2 quando nell’altro circola la corrente di 1A. E’
quindi chiaro che solo una parte del flusso generato dalla corrente I1 circolante nel circuito C1 si
concatena con il circuito C2, la rimanente parte del flusso si concatena solo con C1 e non con C2 ed
è pertanto chiamato flusso disperso. Si può dunque scrivere: 11 12 1dΦ = Φ + Φ
Si può dimostrare che il flusso concatenato con il circuito C1 dovuto ad una corrente unitaria che
scorre in C2 ossia il coefficiente L21 risulta essere uguale a L12. E’ per questo motivo che si usa un
unico coefficiente e si pone: M = L21 = L12. Anche il coefficiente di mutua induzione dipende dalla
geometria dei due circuiti e dalla loro posizione relativa e dalla permeabilità magnetica del
materiale e se il mezzo è lineare non dipende dalla corrente che circola nel circuito.
Il coefficiente di autoinduzione è sempre positivo, il segno del coefficiente di mutua induzione
dipende da come sono scelti i versi di orientazione della normale alla superficie dei due circuiti.
Nel caso in figura per esempio il coefficiente di mutua induzione è negativo perché la direzione
delle linee di campo prodotte dalla corrente positiva I1 è discorde con la normale alla superficie 2n�
e
I1
S1 C1
C2
1n�
2n�
Elettrotecnica– 2006/07 23 P.Testoni
23
viceversa la direzione delle linee di campo prodotte dalla corrente positiva I2 è discorde con la
normale alla superficie 1n�
.
Nel caso più generale entrambi i circuiti siano percorsi da corrente è evidente che il flusso totale
11Φ concatenato con la prima bobina è pari a 11 12 1dΦ = Φ + Φ e che il flusso totale 22Φ concatenato
con la seconda bobina è pari a 22 21 2dΦ = Φ + Φ .
L’accoppiamento tra due circuiti può essere totale, parziale o nullo a seconda della loro forma e
posizione reciproca. L’accoppiamento è totale quando:
11 12Φ = Φ e 22 21Φ = Φ
e quindi i flussi dispersi sono nulli. Ricordando che si può scrivere:
11 11 1L IΦ = e 22 22 2L IΦ =
e
12 1MIΦ = e 21 2MIΦ =
dalle due eguaglianze si ottiene:
11L M= e 22L M=
ossia
211 22L L M=
quando l’accoppiamento induttivo è totale, la mutua induttanza è uguale alla radice quadrata del
prodotto dei coefficienti di mutua induzione dei due circuiti:
11 22M L L=
in tutti gli altri casi risulta
11 22M L L<
E’ possibile definire il coefficiente di accoppiamento tra due circuiti:
11 22
MK
L L=
che varia da zero (accoppiamento nullo) a uno (accoppiamento totale).
Se viene fatta variare la corrente che circola in uno dei due circuiti per esempio nel circuito C1, la
conseguente variazione del flusso di induzione mutuamente concatenato 12ϕ produrrà nel circuito
C2 una f.e.m. indotta:
12 112( )
d die t M
dt dt
ϕ= − = −
oltre a produrre una tensione autoindotta nell’avvolgimento C1 stesso:
Elettrotecnica– 2006/07 24 P.Testoni
24
11 111 11( )
d die t L
dt dt
ϕ= − = −
Viceversa se viene fatta variare la corrente che nel circuito C2, la conseguente variazione del flusso
di induzione mutuamente concatenato 12Φ produrrà nel circuito C1 una f.e.m. indotta:
12 221( )
d die t M
dt dt
ϕ= − = −
oltre a produrre una tensione autoindotta nell’avvolgimento C2 stesso:
22 222 22( )
d die t L
dt dt
ϕ= − = −
Pertanto nel caso più generale le tensioni ai capi di due avvolgimenti mutuamente accoppiati
percorsi da correnti che variano nel tempo in essi possono essere espresse come:
1 21 11( )
di div t L M
dt dt= +
1 22 22( )
di div t M L
dt dt= +
Due circuiti magneticamente accoppiati tra loro sono rappresentati attraverso il simbolo circuitale:
La disposizione dei due punti ha lo scopo di definire il segno che deve essere attribuito alla mutua
induttanza. Essa viene considerata positiva se le correnti sono entrambi entranti o uscenti nei
morsetti contrassegnati con i puntini.
Elettrotecnica– 2006/07 25 P.Testoni
25
RL
5. Il trasformatore.
Il trasformatore è una macchina elettrica statica (non ha organi in movimento) in corrente
alternata che trasforma tensioni, correnti e impedenze. Esso è costituito da due o più avvolgimenti,
accoppiati magneticamente, avvolti su un nucleo di materiale ferromagnetico.
Si supponga di collegare il circuito di N1 spire (che chiamiamo avvolgimento primario) ad un
generatore di tensione alternata e l’altro avvolgimento (che chiamiamo avvolgimento secondario)
ad un carico di resistenza RL
Si noti che essendo in regime sinusoidale tutte le grandezze possono essere espresse tramite la
rappresentazione simbolica.
5.1 Il trasformatore ideale
In un trasformatore ideale si fa l’ipotesi che la permeabilità del nucleo di materiale
ferromagnetico sia infinita, che non si abbiano flussi dispersi ne fenomeni dissipativi.
Sotto queste ipotesi applicando la legge di Hopkinson al circuito magnetico della figura seguente si
ha:
1 1 2 2N I N I− = ℜΦ
in cui con 1I e 2I si è indicata rispettivamente la corrente nell’avvolgimento primario e secondario il
numero e conℜ la riluttanza del circuito magnetico.
Si noti che per la legge di Lentz nella precedente relazione la forza magnetomotrice 2 2N I indotta
nel circuito secondario si oppone al flusso creato dalla forza magnetomotrice del primario.
nucleo ferromagnetico
2I
Φ
RL
1I
Elettrotecnica– 2006/07 26 P.Testoni
26
Se si indica con lm la lunghezza media del circuito magnetico, con S la sua sezione e con µ la
permeabilità magnetica, la riluttanza può essere espressa come:
ml
Sµℜ =
e quindi:
1 1 2 2mlN I N ISµ
− = Φ [5.1]
Tenendo conto della ipotesi di permeabilità magnetica infinita la [5.1] può essere scritta come:
1 2
2 1
I N
I N=
ossia il rapporto dei moduli delle correnti al primario e al secondario di un trasformatore ideale è
uguale all’inverso del rapporto del loro numero di spire.
Inoltre per la legge di induzione di Faraday si può scrivere:
1 1V j Nω= Φ [5.2]
e
2 2V j Nω= Φ [5.3]
da cui:
1 1
2 2
V N
V N=
ossia il rapporto dei moduli delle tensioni ai capi dell’avvolgimento primario e secondario di un
trasformatore ideale è uguale al rapporto del loro numero di spire.
Il carico visto ai capi dell’avvolgimento primario può essere espresso come:
1 1 2 21
1 2 1 2
/
/LV N N V
RI N N I
= =
e quindi:
nucleo ferromagnetico
Φ
Elettrotecnica– 2006/07 27 P.Testoni
27
21 1
11 2
L LV N
R RI N
= =
Nel caso più generale in cui ai capi del secondario sia collegata un’impedenza si avrà:
21 1
11 2
L LV N
Z ZI N
= =
� �
In un trasformatore ideale non si hanno flussi dispersi e si trascurano tutti i fenomeni dissipativi.
Il simbolo circuitale del trasformatore ideale è:
5.2 Il trasformatore reale
Nei trasformatori reali si deve tenere conto dei seguenti fenomeni:
• la permeabilità finita del nucleo di materiale ferromagnetico
• l’esistenza di flussi dispersi
• la resistenza finita degli avvolgimenti primario e secondario
• fenomeni di isteresi e presenza di correnti indotte nel nucleo ferromagnetico.
Se si fa l’ipotesi che la permeabilità del nucleo sia finita, il flusso concatenato con l’avvolgimento
primario e secondario può essere rispettivamente espresso come:
12
1 1 1 1 2 2( )m
SN N I N N I
l
µΛ = Φ = −
22
2 2 1 2 1 2( )m
SN N N I N I
l
µΛ = Φ = −
che sostituite nelle [5.2] e [5.3] forniscono:
1 11 1 2V j L I j MIω ω= − [5.4]
2 1 22 2V j MI j L Iω ω= − [5.5]
in cui
1V 2V
2I1I
Elettrotecnica– 2006/07 28 P.Testoni
28
12
11m
SL N
l
µ=
22
22m
SL N
l
µ=
1 2m
SM N N
l
µ=
Si noti che in un trasformatore ideale non si hanno flussi dispersi e quindi K=1 e poiché la
permeabilità magnetica è infinita i coefficienti di mutua induttanza e di autoinduttanza sono infiniti.
Si noti ora che, nel caso di accoppiamento totale, esiste la possibilità di utilizzare un circuito
equivalente che usa il trasformatore ideale e un semplice induttore.
Nella [5.4] si può mettere in evidenza 11L
1 11 1 211
MV j L I I
Lω
= −
e nella [5.5] si può mettere in evidenza M
222 1 2
LV j M I I
Mω = −
dividendo membro a membro si trova:
1 1
2 2
V N
V N=
ossia la stessa relazione trovata per il trasformatore ideale.
Per le correnti si può scrivere:
'21 11 1 2 11 1 2 11 1
11 1
NMV j L I I j L I I j L I
L Nω ω ω
= − = − =
[5.6]
in cui si è posto
'1 1 2
11
MI I I
L= −
Ponendo
'' 21 2 2
11 1
NMI I I
L N= = [5.7]
si può scrivere:
' ''1 1 1I I I= +
Da questa relazione si può notare che la corrente 1I che circola nel primario può essere pensata
come costituita dal contributo di due termini:
Elettrotecnica– 2006/07 29 P.Testoni
29
• la '1I che per la [5.6] è la corrente che circola nella induttanza 11L . Si noti che essa si
può esprimere come ' 21 1 2
1
NI I I
N= − ossia '
1 1 1 1 2 2N I N I N I= − è la corrente che
circolando nel primario da origine alla stessa f.m.m. provocata dalle correnti
circolanti nei rispettivi avvolgimenti. A questa corrente si da il nome di corrente
magnetizzante.
• la ''1I che per la [5.7] è quella che circola nel trasformatore ideale. Essa è la corrente
secondaria ridotta al primario.
E’ pertanto evidente che lo schema equivalente del trasformatore reale in cui l’unica ipotesi diversa
da quella del trasformatore ideale è quella di avere permeabilità finita è il seguente:
Per tenere conto dei flussi dispersi Φ1d
e Φ2d
(ossia che non tutto il flusso prodotto dalla corrente 1I
si concatena con le N2
spire dell’avvolgimento secondario, così come non tutto il flusso prodotto
dalla corrente 2I si concatena con le N
1 spire del primario) si introducono le reattanze di dispersione
per l’avvolgimento primario e secondario X1
ed X2. I flussi dispersi, che non contribuiscono al
flusso principale Φ mutuamente concatenato, sono infatti responsabili di cadute di tensione
induttive nei rispettivi avvolgimenti.
Anche della resistenza degli avvolgimenti (che provocano cadute di tensione ohmiche e perdite per
effetto Joule) si può tener conto con le resistenze R1 ed R
2. Il circuito equivalente precedente può
allora esser modificato come di seguito:
X1 R1 R2 X2
2I'
1I
L11
1I''
1I
1V 2V
1V 2V
2I
'1I
L11
1I''
1I
Elettrotecnica– 2006/07 30 P.Testoni
30
Per tenere conto dei fenomeni dissipativi dovuti alle correnti indotte e ai fenomeni di isterersi si
inserisce in parallelo alla induttanza una resistenza R0.
La corrente che circola nel ramo in parallelo si modifica e si può scrivere come:
'0 1 fI I I= +
e prende il nome di corrente a vuoto.
Per questo circuito si possono scrivere le seguenti equazioni:
per il primario:
( )1 1 1 1 1V R jX I j Nω= + + Φ [5.8]
per il secondario:
( )2 2 2 2 2V R jX I j Nω= − + + Φ [5.9]
Si suppone ora che il trasformatore sia chiuso su un carico esterno di impedenza e e eZ R jX= +�
si può scrivere:
( )2 2e eV R jX I= +
e considerando la [5.9]:
( ) ( )2 2 2 20 e eR R j X X I j Nω = − + + + + Φ [5.10]
Per il circuito magnetico si può scrivere:
1 1 2 2N I N I− = ℜΦ� [5.11]
X1 R1 R2 X2
R0 2V
2I
0I
X0
1I''
1I
1V 2V
e e eZ R jX= +�
X1 R1 R2 X2
R0
2I
0I
X0
1I''
1I
1V 2V
Elettrotecnica– 2006/07 31 P.Testoni
31
Le equazioni [5.8], [5.10] e [5.11] sono le equazioni del trasformatore e permettono di studiare il
suo comportamento in ogni condizione di funzionamento.
Se si suppone noto il flusso può tracciare il vettore OA=Φ . Dalla conoscenza del flusso si può
risalire alla forze elettromotrici indotte nei due avvolgimenti:
1 1E j Nω= − Φ
2 2E j Nω= Φ
come si può notare i due vettori sono in opposizione di fase e sfasati di 2
πrispetto al flusso Φ e il
rapporto tra i loro moduli è dato da:
1 1
2 2
E N
E N=
I due vettori sono rappresentati in verde e ocra rispettivamente.
Dalla [5.10] è ora possibile calcolare la corrente al secondario:
( ) ( ) ( ) ( )2 2
22 2 2 2e e e e
j N EI
R R j X X R R j X X
ω Φ= =+ + + + + +
1 1 I jX
1 V
1 1 I R
1 E − 1 I
f I
1 I’
Φ A
2 E
1 E
2I
2ϕ 2ejX I
2V
2 2jX I−
2 2R I−
0I
''1I
2eR I
Elettrotecnica– 2006/07 32 P.Testoni
32
che sarà sfasata rispetto a di un angolo ϕ2 dato dalla:
22
2
e
e
X Xtg
R Rϕ +=
+
Se al vettore vettore 2E si aggiunge la caduta ohmica 2 2R I− del secondario (in opposizione di fase
con 2I ) e la caduta induttiva 2 2jX I− (in quadratura con 2I ) si ottiene il vettore 2V . La differenza
tra il vettore 2E e 2V rappresenta la caduta di tensione interna propria del circuito secondario. Si
noti che il vettore 2V è dato dalla somma dei vettori 2eR I e 2ejX I rispettivamente in fase e in
quadratura con 2I . La loro risultante rappresenta la tensione 2V ai capi del carico.
Considerata la relazione 1 0 1 1 2 2N I N I N I= − e la [5.11] si può facilmente calcolare la corrente
magnetizzante
01
IN
ℜ= Φ�
si può anche notare che questa corrente è composta dai due contributi che attraversano la reattanza
0X e la resistenza 0R che sono sfasate l’una rispetto all’altra di 90 gradi. Dalla conoscenza della 2I e
quindi della ''1I si può conoscere la 1I
Se al vettore 1E− si sommano i vettori relativi alle cadute di tensione nel primario dovuti ai
fenomeni resistivi 1 1R I e induttivi 1 1jX I si arriva a determinare la tensione 1V al primario.
Consideriamo a questo punto due condizioni di funzionamento del trasformatore particolari: il
funzionamento a vuoto e in cortocircuito.
Nel caso di funzionamento a vuoto il secondario è aperto e la corrente 2 0I = . In questo caso la
corrente al primario coincide con la corrente magnetizzante e le [5.8] e [5.10] possono
rispettivamente essere espresse come:
( )1 1 1 0 1V R j X I j Nω ω= + + Φ
1 0N IΦ =ℜ�
Se si suppone di mantenere costante il flusso, nelle due condizioni di funzionamento, la tensione al
primario varia e viceversa se si mantiene costante la tensione al primario è il flusso a variare. Si può
comunque fare l’ipotesi di tenere costante la tensione nel passare dal funzionamento a carico a
quello a vuoto e ritenere che anche il flusso rimanga costante, in questo caso anche la corrente di
Elettrotecnica– 2006/07 33 P.Testoni
33
magnetizzazione rimane costante ed è per questo motivo che prende il nome di corrente primaria a
vuoto. Le cadute ohmiche e induttive nel funzionamento a carico del trasformatore sono al massimo
il 4% della tensione impressa, la corrente a vuoto è inferiore al 10% della corrente a carico, ne
consegue che nel funzionamento a vuoto le cadute ohmiche e induttive nel primario sono inferiori
allo 0.4% della tensione1V che quindi si può assumere coincidente con la 1E . Risulterà pertanto che
la:
1 1 1
2 20 2
E V N
E V N= =
cioè a vuoto il rapporto tra la tensione impressa al primario e quella al secondario è uguale al
rapporto di trasformazione.
Nel caso di funzionamento in cortocircuito il secondario è cortocircuitato e quindi la tensione
2 0V = .
Si ha in questo caso 0 e 0e eR X= = . Se si mantiene immutato il valore della tensione primaria, le
correnti al primario e al secondario assumono valori assai elevati. La corrente di magnetizzazione
può allora essere trascurata, perché piccola rispetto a 1I e
21 2
1
NI I
N=
In cortocircuito il rapporto delle correnti primaria e secondaria è uguale all’inverso del rapporto di
trasformazione.
Considerati i grandi valori assunti dalle correnti, la condizione di cortocircuito non è realizzabile
permanentemente con il primario alimentato alla tensione nominale. Si incorrerebbe infatti in una
dissipazione di potenza troppo elevata e in un surriscaldamento eccessivo degli avvolgimenti che
porterebbe i materiali di cui essi sono costituiti alla loro temperatura di fusione.
La condizione di cortocircuito può essere mantenuta permanentemente se si alimenta il primario ad
un valore molto più piccolo della tensione nominale. Si chiama tensione di cortocircuito del
trasformatore il valore della tensione da applicare al primario con il secondario chiuso in
cortocircuito affinché negli avvolgimenti primario e secondario circolino le correnti nominali del
trasformatore.
Elettrotecnica– 2006/07 34 P.Testoni
34
Un trasformatore reale è infatti caratterizzato da specificati valori (riportati in una targa) di tensione
e di corrente, di potenza e di frequenza, chiamati valori nominali, che costituiscono le grandezze per
le quali si ha il funzionamento ottimale della macchina.
Si noti che il circuito equivalente del trasformatore può essere modificato come nella figura
seguente riportando la resistenze e la reattanza del secondario al primario.
Si è gia visto che si può scrivere:
2 21 1 1
12 2 2 2 12 121 2 2
( )V N N
Z Z R jX R jXI N N
= = = + = +
� �
Si può quindi studiare il trasformatore anziché considerando le sue grandezze reali solo quelle
riportate al primario e quindi abolire il trasformatore ideale. Si può pertanto considerare il seguente
circuito equivalente:
Naturalmente, se ai capi del secondario è connessa una certa impedenza di carico, anche essa andrà
trasformata e riportata al primario e quindi il circuito andrà chiuso su un’impedenza:
21
12
L LN
Z ZN
=
� �
Molto spesso questo circuito equivalente viene semplificato portando l’impedenza attraversata dalla
corrente magnetizzante a monte, perché essa è molto più grande delle impedenze 1Z� e 12Z� . Questa
X1 R1 R12 X12
R0
12I
0I
X0
1I
1V 12V
X1 R1 R12 X12
R0
12I
0I
X0
1I
1V 12V2V
Elettrotecnica– 2006/07 35 P.Testoni
35
impedenza si indica normalmente con 0 0 0Z R jX= +� , alla serie delle impedenze 1Z� e 12Z� si da il
nome di impedenza di cortocircuito e si indica con 1 12cc cc ccZ Z Z R jX= + = +� � � .
I parametri di questo circuito equivalente sono determinabili mediante due misure di potenza ai
morsetti del primario del trasformatore.
Prova a vuoto. Tramite una prova a vuoto, lasciando il secondario aperto e alimentando il primario
alla tensione nominale, si determinano i parametri del ramo magnetizzante.
La corrente assorbita in tali condizioni è solo la corrente magnetizzante 0I e la potenza attiva
assorbita sopperisce solo alle perdite nel nucleo di materiale ferromagnetico.
Misurando la potenza attiva P0 e quella reattiva Q
0 si ottiene:
2
00
nVR
P= e
2
00
nVX
Q= da cui si risale alla 0 0 0Z R jX= +�
Prova in cortocircuito. Tramite una prova in cortocircuito, chiudendo il secondario in
cortorcicuito, si determinano i parametri della impedenza di cortocircuito.
Tale prova è eseguita alimentando il primario con la tensione di cortocircuito, che come si è già
detto è molto più piccola della tensione nominale, in modo che al circoli nel trasformatore la
corrente nominale. La potenza attiva durante tale prova è prevalentemente dissipata negli
avvolgimenti.
Misurando la potenza attiva Pcc
e quella reattiva Qcc
si ottiene:
2n
cccc
VR
P= e
2n
cccc
VX
Q= da cui si risale alla cc cc ccZ R jX= +�
X1 R1 R12 X12 12I
X0
1I
1V 12VR0 1V
0I
Elettrotecnica– 2006/07 36 P.Testoni
36
6. Le macchine elettriche rotanti.
Le macchine elettriche rotanti permettono la trasformazione dell’energia elettrica in energia
meccanica oppure dell’energia meccanica in energia elettrica. Nel primo caso esse prendono la
denominazione di motori e nel secondo caso di generatori. Le macchine elettriche sono in genere
reversibili nel senso che possono operare la trasformazione inversa rispetto a quella per le quali
sono state progettate.
Nelle macchine elettriche rotanti si ha il moto relativo tra circuiti elettrici e campi magnetici. La
variazione di flusso magnetico concatenato da luogo nei circuiti a delle forze elettromotrici indotte;
l’interazione tra correnti che circolano nei circuiti e i campi magnetici da origine a delle forze.
Nelle macchine elettriche che funzionano da generatori si ha quindi da un lato la produzione di una
potenza elettrica Pe e dall’altro l’assorbimento di una potenza meccanica Pm. Nel funzionamento da
motori si ha invece da un lato l’assorbimento di una potenza elettrica Pe e dall’altro la produzione di
una potenza meccanica Pm.
Nel caso ideale e quindi in assenza di potenza dissipata
Pe =Pm
Nel caso reale (quando si tiene conto delle perdite nel ferro, negli avvolgimenti e meccaniche):
Pe >Pm nel funzionamento da motore
Pm > Pe nel funzionamento da generatore
In entrambi i casi si parla di rendimento della macchina come il rapporto tra la potenza erogata
(meccanica o elettrica) e la potenza assorbita (elettrica o meccanica).
Una macchina elettrica rotante è generalmente costituita da un corpo cilindrico (rotore) che ruota
attorno al suo asse all’interno di un corpo fisso (statore); i due corpi sono separati da un sottile
strato d’aria (traferro) in corrispondenza del quale si esercitano delle forze tra rotore e statore
statore
rotore
traferro
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Gli organi essenziali di una macchina elettrica sono il circuito magnetico, gli avvolgimenti e gli
organi di presa di corrente (il collegamento tra i circuiti esterni e quelli interni).
Le macchine elettriche possono essere classificate in:
� macchine acicliche
� macchine cicliche
� macchine a collettore
� macchine asincrone
6.1 Le macchine acicliche
Nelle macchine acicliche le f.e.m generate sono continue e sono prodotte a velocità di rotazione
costante.
In queste macchine sia il rotore che lo statore sono costituiti di materiale ferromagnetico massiccio.
Nel traferro si ha un campo magnetico radiale ed uniforme creato dalle bobine percorse da corrente
continua. Il tratto l di una generatrice del rotore, rotante a velocità costante, è sede di una f.e.m
indotta e Blv= che può essere raccolta tra due corone di contatti striscianti (spazzole).
6.2 Le macchine cicliche
Le macchine cicliche sono caratterizzate dalla variazione periodica del flusso concatenato
con i singoli circuiti e quindi le f.e.m. che in essi si producono sono alternate. Ciò non significa che,
N
N
SSpasso polare
+
I I
-
l
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tramite opportuni artifici, le f.e.m. viste dal circuito esterno non possano essere di frequenza diversa
e addirittura continue.
In queste macchine si ha una distribuzione periodica del campo magnetico lungo il traferro. Si dice
passo polare l’ampiezza lungo il traferro di un ciclo completo. Nella macchina in figura si hanno
due cicli, ma in genere si possono creare un numero p di cicli. Per semplicità si fa l’ipotesi che la
distribuzione del campo magnetico lungo il traferro sia sinusoidale.
Nel funzionamento della macchina da generatore si mette in rotazione il rotore ad una velocità
angolare costante rω .
Se si suppone che negli avvolgimenti di statore circoli una corrente continua, la funzione di
induttore è affidata allo statore. Su un conduttore di lunghezza l solidale con il rotore e
perpendicolare al piano del foglio sarà indotta una f.e.m. periodica di periodo uguale al tempo
impiegato dal conduttore per percorrere un intero ciclo.
Il valore istantaneo della f.e.m. indotta nel conduttore è:
e Blv=
essendoB il valore del campo di induzione magnetica che è variabile da punto a punto lungo il
traferro. Con le ipotesi fatte, questa f.e.m risulta sinusoidale con pulsazione:
2
60 r
npp
πω ω= =
dove n è la velocità di rotazione in giri al minuto e rω la velocità angolare.
Se si considera un conduttore distanziato da A di un semipasso polare esso è sede di una f.e.m.
indotta che è istante per istante uguale ed opposta a quella indotta in A. questi due conduttori
possono essere quindi collegati per formare una spira. Da quanto detto risulta chiaro che in queste
macchine si possono creare avvolgimenti aventi un numero qualsiasi di spire che permettono di
generare un sistema di tensioni alternate di qualunque valore e qualunque numero di fasi.
N
N
SSpasso polare
NN
S
S
A
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Per esempio distribuendo sulla superficie del rotore m avvolgimenti spostati tra loro di 1/m del
passo polare si genera un sistema polifase simmetrico di f.e.m. ad m fasi.
Il collegamento tra i circuiti rotanti e quelli fissi si realizza mediante contatti striscianti su anelli di
materiale conduttore calettati sull’asse di rotazione.
E’ anche possibile riservare al rotore la funzione di induttore e allo statore quello di indotto. In
questo caso gli anelli con contatti striscianti servono per le correnti di eccitazione e sono solo due; i
circuiti di indotto sono invece collegati direttamente alla linea esterna.
Nel funzionamento della macchina da motore si alimentano gli avvolgimenti di statore con tensioni
sinusoidali sfasate tra loro (nel caso di una macchina con tre poli le tensioni sono sfasate di 120°).
Le correnti che circolano negli avvolgimenti di statore generano tre campi di induzione ad
andamento sinusoidale nello spazio e nel tempo. I campi magnetici si combinano tra loro per dare
un’induzione risultante sinusoidale nel tempo e, in ogni istante sinusoidale lungo il traferro, ossia
un campo magnetico rotante con velocità angolare p
ω
Alimentando il rotore con una corrente continua, agiranno sui suoi avvolgimenti delle forze e quindi
delle coppie meccaniche che lo metteranno in rotazione alla stessa velocità del campo magnetico
rotante.
a
a b
b
c c
passo polare
a b c
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6.3 Le macchine a collettore
Gli avvolgimenti di indotto delle macchine elettriche che abbiamo sino ad ora visto sono
detti di tipo aperto perché i loro estremi sono collegati ai circuiti esterni. E’ però anche possibile
realizzare delle macchine elettriche con avvolgimenti di tipo chiuso.
Si consideri per esempio la macchina elettrica in figura costituita da uno statore bipolare e un rotore
di materiale ferromagnetico sul quale sono avvolte N1 spire che costituiscono un circuito chiuso.
E’ facile rendersi conto che nel suo moto di rotazione ciascuna spira sarà soggetta ad una variazione
di flusso concatenato e sarà quindi sede di una f.e.m. indotta periodica di periodo pari a quello
impiegato dal rotore a compiere un giro completo.
L’avvolgimento non è percorso da corrente perché alla f.e.m. indotta in una spira fa equilibrio,
istante per istante, la f.e.m. indotta nella spira diametralmente opposta e quindi la somma di tutte le
f.e.m. prodotte nel circuito è costantemente nulla.
Se si stabilisce un contatto tra due punti diametralmente opposti dell’avvolgimento con due anelli è
possibile raccogliere tramite dei contatti striscianti una f.e.m. alternata di frequenza uguale alla
frequenza della f.e.m. in ciascuna spira e di valore massimo proporzionale al numero di spire
dell’avvolgimento.
Il valore massimo si trova quando i punti A e B passano sull’asse trasversale ai poli, il valore nullo
si ha quando essi si trovano sull’asse dei poli.
N
S
N1
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41
Se al posto degli anelli di presa si sostituisce un cilindro costituito da tante lamelle conduttrici
ciascuna connessa ad una spira dell’indotto e si pongono i contatti striscianti in corrispondenza
dell’asse trasversale è facile notare che la f.e.m rimane di valore praticamente costante.
Il collettore a lamelle associato ad un avvolgimento chiuso permette di ottenere f.e.m. continue
attraverso la generazione di f.e.m. elementari alternate. Sul principio appena illustrato si basa il
funzionamento dell’anello di Pacinotti.
N
S
A
B
N
S
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6.4 Le macchine asincrone
Nelle macchine asincrone il sistema induttore è alimentato in corrente alternata. La loro
struttura è identica a quella delle macchine cicliche
Come già visto se si alimenta lo statore con un sistema alternato di correnti si produce nel traferro
un campo magnetico ruotante con velocità angolare s p
ωω = .
Se si chiudono gli avvolgimenti del rotore in cortocircuito, si hanno in essi delle f.e.m. indotte e
quindi delle correnti indotte che generano un campo di rotore che tende ad allinearsi con il campo di
statore e quindi il rotore entra in rotazione ma non raggiunge mai la velocità di sincronismo. La
condizione di equilibrio è raggiunta quando la coppia motrice trasmessa al motore è uguale alla
coppia resistente.
Si definisce scorrimento la grandezza
s r
s
sω ω
ω−=
Se il rotore girasse alla velocità del campo di statore (sincronismo), il flusso concatenato con le
spire di rotore sarebbe costante, la corrente indotta si annullerebbe, e quindi anche la coppia
applicata sul rotore.
a
a b
b
c c
passo polare
n ns
Coppia
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A velocità di rotazione nulla la macchina fornisce una certa coppia ed è per questo motivo che
questa macchina è particolare adatta a funzionare come motore.
La macchina asincrona nel suo funzionamento da motore ha una velocità di rotazione che non è
rigidamente fissa ma è di poco variabile al di sotto della velocità di sincronismo.
La caratteristica della macchina può essere cambiata inserendo negli avvolgimenti di rotore delle
resistenze in serie, ciò è per esempio utile in fase di spunto per limitare la corrente assorbita del
motore e aumentare il valore della coppia di spunto.
Quando ciò non è necessario gli avvolgimenti di indotto sono chiusi in cortocircuito a formare una
struttura che prende il nome di rotore a gabbia di scoiattolo.