Dike. Rivista di Storia del Diritto Greco ed Ellenistico, Vol. 2 (1999)

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Louis Gernet ERANOS Presentazione, traduzione e commento di Andrea Taddei * «LA CONFIANCE DES UNS ET LE SENTIMENT DOBLIGATION DE LAUTRE» kaˆ a‡scion Ãn a„thqšnta m¾ doànai À a„t»santa m¾ tuce‹n (Thuc. II,97) Argomentando sulla difficile distinzione tra «civiltà della colpa» e «ci- viltà della vergogna», Eric Dodds scriveva nel 1951 che ancora in età classica «lo spettro dell’antica solidarietà [della tribù e della famiglia] continuò a turbare gli spiriti religiosi» 1 . L’inedito di Louis Gernet che viene qui pubblicato per la prima volta stabilisce una duplice rela- zione con la citazione tratta da I greci e l’irrazionale: se da un lato infatti i vincoli della famiglia continuarono a condizionare l’indivi- duo «ancora molto tempo dopo» 2 l’introduzione di un sistema ogget- tivato di norme, d’altra parte essi ebbero modo di manifestarsi in un ambito della società in cui la religione continuava a giocare un ruolo decisivo e letteralmente basilare: quello delle associazioni private. * Desidero ringraziare Eva Cantarella e Alberto Maffi per la loro disponibilità al dialogo scientifico e per avere accolto questo articolo nella loro rivista. Vorrei inoltre e- sprimere una particolare gratitudine nei confronti di Riccardo Di Donato: senza le sue annotazioni e i suoi utili suggerimenti questo lavoro – è il caso di dirlo – non sarebbe mai esistito. 1 «La liberazione dell’individuo dai vincoli della tribù e della famiglia fu una delle principali conquiste del razionalismo greco, e il merito spetta alla democrazia ateniese. Tuttavia, ancora molto tempo dopo l’avvenuta liberazione sul terreno del diritto lo spet- tro dell’antica solidarietà continuò a turbare gli spiriti religiosi» (Dodds 1997, p. 112). 2 Cfr. la citazione contenuta nella nota precedente. Dike, 2 (1999), pp. 5-61

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5Louis Gernet

ERANOSPresentazione, traduzione e commentodi Andrea Taddei *

«LA CONFIANCE DES UNSET LE SENTIMENT D’OBLIGATION DE L’AUTRE»

kaˆ a‡scion Ãn a„thqšnta m¾ doànai À a„t»santa m¾ tuce‹n

(Thuc. II,97)

Argomentando sulla difficile distinzione tra «civiltà della colpa» e «ci-viltà della vergogna», Eric Dodds scriveva nel 1951 che ancora in etàclassica «lo spettro dell’antica solidarietà [della tribù e della famiglia]continuò a turbare gli spiriti religiosi» 1. L’inedito di Louis Gernet cheviene qui pubblicato per la prima volta stabilisce una duplice rela-zione con la citazione tratta da I greci e l’irrazionale: se da un latoinfatti i vincoli della famiglia continuarono a condizionare l’indivi-duo «ancora molto tempo dopo» 2 l’introduzione di un sistema ogget-tivato di norme, d’altra parte essi ebbero modo di manifestarsi in unambito della società in cui la religione continuava a giocare un ruolodecisivo e letteralmente basilare: quello delle associazioni private.

* Desidero ringraziare Eva Cantarella e Alberto Maffi per la loro disponibilità aldialogo scientifico e per avere accolto questo articolo nella loro rivista. Vorrei inoltre e-sprimere una particolare gratitudine nei confronti di Riccardo Di Donato: senza le sueannotazioni e i suoi utili suggerimenti questo lavoro – è il caso di dirlo – non sarebbemai esistito.

1 «La liberazione dell’individuo dai vincoli della tribù e della famiglia fu una delleprincipali conquiste del razionalismo greco, e il merito spetta alla democrazia ateniese.Tuttavia, ancora molto tempo dopo l’avvenuta liberazione sul terreno del diritto lo spet-tro dell’antica solidarietà continuò a turbare gli spiriti religiosi» (Dodds 1997, p. 112).

2 Cfr. la citazione contenuta nella nota precedente.

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Lo studio gernetiano sull’œranoj, pur occupandosi di una que-stione che indubbiamente ha relazione con il diritto greco, non faparte degli scritti rubricati come «Sociologia giuridica» e contenutinella terza sezione delle Archives Louis Gernet 3; esso è invece collo-cato nella seconda sezione di ALG, dove è stato archiviato l’interocorpus di scritti sulla leggenda greca 4. Come si vedrà più avanti, lacollocazione all’interno dell’archivio riveste un ruolo che va ben ol-tre la funzione, pur fondamentale, di fornire una precisa indicazionebibliografica. Se considerata insieme alle altre relazioni che si cer-cherà di stabilire, essa consente infatti di comprendere a fondo laportata di uno scritto che non si limita solo alla volontà di descrivereil funzionamento di un istituto giuridico ed il suo rapporto conun’associazione, ma cerca anche di collocare le molteplici questioniche vengono di volta in volta sollevate entro linee di ricerca cheincrociano diverse discipline e problemi di diversa natura. È tuttaviada una serie di considerazioni sul terzo cartone di ALG che è neces-sario partire per presentare l’inedito qui pubblicato.

Le Archives contengono un discreto numero di inediti giuridici,buona parte dei quali è stata pubblicata oppure è in corso di pubbli-cazione. Il terzo cartone di ALG non contiene solamente lavori inedi-ti, ma anche appunti, schedature, note per corsi universitari e sche-mi di lavoro. Quest’ultimo tipo di annotazioni, che Gernet elaboravae rivedeva continuamente nel corso delle sue ricerche, sono assaiutili per l’indagine storico-culturale. Gli schemi e le note permettonoinfatti di fotografare, per così dire, la nervatura degli inediti e con-sentono di fornire loro una collocazione all’interno della produzione(reale e «virtuale») gernetiana. Per quel che concerne gli scritti giuri-dici, gli schemi di lavoro si rivelano particolarmente indicativi per losviluppo dell’antropologia storica gernetiana.

Sembra infatti di potere affermare che lo studioso francese avesseconcepito un ampio piano di lavoro riguardante l’esperienza giuridi-ca ellenica. Si tratta di un progetto che è reso esplicito a più ripresenegli schemi contenuti in ALG III (il fascicolo che raccoglie le carte ei lavori di attinenza giuridica) e che si proponeva di affrontare la

3 ALG, d’ora in poi. Le Archives sono state ordinate e classificate da Riccardo DiDonato. Per ogni approfondimento sullo stato degli Archivi, ora custoditi a Pisa, si ve-da Di Donato 1990, pp. 14-130 e 319-324 (dove è contenuto l’inventario di ALG).

4 Eranos costituisce ALG II,8

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materia da più punti di vista. Nei molteplici indici di lavoro dissemi-nati nel terzo fascicolo (e non solo) di ALG ogni argomento è artico-lato in sezioni e in paragrafi che trovano spesso rispondenza neglistudi, editi e inediti, elaborati da Gernet nel corso della sua attivitàscientifica. Si può giungere ad affermare che quasi tutta l’operascientifica gernetiana in materia di diritto greco antico trovi rispon-denza negli schemi che lo studioso andava continuamente stenden-do nel corso della sua attività. Le carte dell’archivio mostrano chiara-mente il concepimento di un progetto ben più analitico rispetto aquanto Gernet pubblicò in Droit et société dans la Grèce ancienne, ilvolume di sintesi che egli fece stampare nel 1955 5. Un buon esem-pio del progetto di lavoro gernetiano è costituito da ciò che si leggein ALG III,5,62. Si tratta di uno schema piuttosto articolato:

I. Le Droit: origine religieuseII. Organisation domestique et matrimoniale

III. Organisation des groupes secondairesIV. Organisation politiqueV. Droit de propriété

VI. Droit des obligations etc.VII. Droit pénal

VIII. ProcédureIX. Droit international

Tutti gli inediti gernetiani che oggi si direbbero giusgrecistici sonorichiamati direttamente o indirettamente in questi schemi (o nei lorosviluppi) e vanno a integrarsi nell’ampio progetto di lavoro cui si èfatto cenno 6. Eranos, invece, non fa parte di nessuno di questi schemi.

Passando all’esame dell’articolo di cui fornisco la trascrizione, èbene precisare che esso, pur essendo caratterizzato da un grado diomogeneità piuttosto avanzato (come è testimoniato anche dalla sud-

5 Il progetto comprendeva anche il confronto diretto con le fonti: la documenta-zione oratoria (che Gernet affrontò in modo sistematico curando le edizioni critiche diAntifonte, Lisia e del Demostene «civile») e «filosofica» (si pensi all’introduzione alle Leg-gi di Platone). Per questi temi si veda l’introduzione a Gernet 2000.

6 Fondamentale in questo senso è il fascicoletto contenuto in ALG III,17 (1r-9v),dove gli schemi di lavoro sono più volte rielaborati e instaurano molteplici rapporti di-retti e indiretti anche con un indice provvisorio a matita di Droit et société che chiude,con una funzione tanto reale quanto simbolica, lo stesso fascicolo (ALG III,185r/v) e ilvolume Le fonctionnement du droit (cfr. Gernet 2000).

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divisione interna in cinque paragrafi, di cui quattro compiuti ed unoquasi concluso), non è giunto alla completezza né era pronto per lapubblicazione 7. Naturalmente anche Eranos è corredato dai consue-ti piani di lavoro cui si è fatto già cenno; gli schemi che Gernet haseguito per redigere questo articolo hanno caratteristiche diverse e,specialmente quelli relativi al quarto e quinto paragrafo, sono piutto-sto tormentati da revisioni e ripensamenti. In particolare, il quintoparagrafo, fondamentale per gli sviluppi tematici in esso contenuti,non esplicita l’ultimo dei punti previsti nello schema del § V, quellodel rapport avec les faits scandinaves 8. Naturalmente non sono sola-mente gli schemi ad essere oggetto di revisioni: nel saggio sono nu-merose, come sempre negli inediti contenuti in ALG, le abbreviazio-ni, le cancellature, le crittografie e frequenti i progetti di rimando innota che non sono poi resi espliciti nel corso del testo.

Tutto ciò fa parte del normale modo di lavorare di Gernet e nonè questa la sede per discutere 9 di problemi di filologia gernetiana:basti qui precisare che la trascrizione è stata effettuata sulla basedella collazione dell’intero corpus, verificando di volta in volta leintegrazioni e le soluzioni delle numerose abbreviazioni e crittogra-fie. C’è tuttavia un dato, desumibile proprio dallo studio dei mano-scritti, che pare a me rilevante per comprendere la natura e la porta-ta dell’inedito che viene qui pubblicato.

7 Ecco lo schema di lavoro per la stesura di questo testo:III. Opinion actuelle. DifficultésIII. Les liens entre les 2

1. noms2. terminologie3. érane prêt pratiqué dans l’érane association

III. Sens de éranos. Réfutation des objections tirées de la séparation des emploisIV. Importance pour le droit contractuel

È evidente che tutti i punti previsti dallo studioso sono stati sviluppati con coerenza.Ciò non toglie che gran parte (quasi tutti) i riferimenti non siano esplicitati e che nonsempre la forma abbia assunto un carattere di completezza.

8 L’allusione ai faits scandinaves potrebbe costituire il ponte esplicito con il saggiomaussiano sul dono (Mauss 1925). Un rapporto diretto con questo studio pare a me co-munque controverso e non del tutto chiaro. Si veda più diffusamente infra.

9 Mi sia consentito di rinviare a quanto è osservato nell’Introduzione al volumeinedito gernetiano Le fonctionnement du droit (Gernet 2000, in corso di stampa). Si ve-dano in proposito anche Di Donato 1990, Gernet 1984, 1968, 1983, 1996.

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Come si è già accennato, Eranos non è inserito in nessuno deinumerosi schemi di lavoro «giuridici» di cui si è parlato, e non sem-bra fare parte del piano di studio che l’autore di Droit et société si eraproposto di seguire prima di giungere alla pubblicazione antologicadei suoi scritti giuridici. Eranos, significativamente collocato in ALGII, assume infatti una posizione tutta particolare entro gli studi ger-netiani, non essendo, a vedere bene, uno studio di diritto greco anti-co in senso stretto. Si tratta di uno studio su una forma (pre)giuridi-ca, nella quale il diritto, fatto sociale totale, intesse mutue relazionicon la dimensione politica, religiosa ed economica. Potrebbe forsedefinirsi uno studio di antropologia sociale, che – attraverso il dise-gno dell’evoluzione storica dell’istituto – cerca di fornire all’œranoj

un contesto sociale e religioso, ponendolo in relazione con le formedella società e tentando di stabilire il grado di relazione realmente e-sistente tra l’œranoj-società e l’œranoj-prestito.

Come è noto, il sostantivo œranoj rinvia a due realtà distinte macomplementari ancora nella Atene classica. ”Eranoj indica un tipo diprestito distinto dal daneismÒj: diversamente da questo, infatti, l’œ-ranoj è raccolto da parte di più persone a favore di un amico 10, enon comporta interessi 11. Esso si rivolge per lo più a campi di appli-cazione definiti (esplicitati e discussi da Gernet) che attengono so-prattutto all’ambito familiare. D’altra parte il termine indica anche unaassociazione religiosa che trova nella convivialità una delle sue e-spressioni rituali (a partire dal senso omerico fino alle attestazionidel termine nei comici o in Teofrasto) 12.

10 La pluralità dei prestanti trova un’eccezione in Dem. LIII,8 (cfr. Longo 1986, p.114).

11 Su una linea diversa si muove Cohen 1992. Cfr. p. 208 «… there is no actual evi-dence that the absence of interest differentiated eranoi loans from other types of cre-dit». E ancora «… despite modern suggestions, there is nothing inherently “friendly” ornon commercial about an eranos loan» (p. 209).

12 Non sono molti gli studiosi che si sono occupati dell’œranoj. In Droit et prédroitGernet (Gernet 1968, p. 193 n. 51) lamenta esplicitamente la mancanza di uno studiointeramente consacrato all’œranoj e rinvia a Beauchet per ogni tipo di informazionesulla materia (Beauchet 1897, IV, p. 258 ss.). L’unica monografia dedicata a œranoj èVondeling 1961 (su cui si veda anche la recensione e la discussione di H.J. Wolff 1965);Longo 1986; la voce œranoj, curata da Th. Reinach per il Dictionnaire des antiquités(Daremberg - Saglio 1897), da D. Mac Dowell per l’Oxford Classical Dictionary, da G.Thür in Der Neue Pauly, Enzyklopädie der Antike, Band IV. In Harrison 1971 la questio-

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Prima di procedere ad una presentazione tematica dell’inedito èbene cercare di situare il documento nello spazio e nel tempo; ilcompito non è facile e la datazione del manoscritto non è determina-bile in modo assoluto. Gli elementi di incertezza sono costituiti dallamancanza di riferimenti espliciti decisivi e da una certa eterogeneitàdi composizione dei documenti raccolti da Gernet sotto il titolo di”Eranoj in una circostanza diversa da quella della loro stesura.

Si procederà quindi in un primo momento sulla base di criteriinterni alle Archives e, in secondo luogo, instaurando delle connes-sioni (importanti da più punti di vista) tra ALG II,8 e due saggi ger-netiani confluiti nella Anthropologie de la Grèce antique. In primoluogo è necessario però procedere ad una presentazione del docu-mento nelle condizioni in cui esso è stato ritrovato.

In un foglio di quaderno ripiegato, l’autore ha inserito il vero eproprio studio, intitolato – in caratteri latini – Eranos, insieme a varifogli di lavoro contenenti schemi, appunti e indicazioni bibliografi-che. L’articolo è scritto sul recto e sul verso di 13 fogli di quadernoformato piccolo. I ff. 1r-2v appartengono ai tipici cahiers scolasticifrancesi, a righe e con uno dei margini più ampio e ben distinto dalcorpo del testo; i ff. 3r-13v non hanno né quadretti né righe e pos-seggono solo la gialla patina del passare del tempo.

È bene precisare che il fascicolo che costituisce ALG II,8 non con-tiene solamente l’articolo. Ai 13 fogli del saggio fanno corredo anche 5fogli con note di lavoro di diversa natura. Il f. 14r/v, identico a 1r-2v,contiene riferimenti a iscrizioni e testi antichi che non sono richiamatiin nessun modo nell’articolo, e ne paiono anzi uno sviluppo eventua-le 13. Questo stesso foglio, nel verso, contiene però un importanteschema che comprende i primi quattro paragrafi del lavoro 14.

ne del prestito eranico è solamente accennata (p. 22 e n. 6) in relazione all’ipotesi del-l’esistenza di una d…ke ™ranik» (azione non inserita tra le d…kai attestate in Todd 1993,p. 98 ss.). Notizie specifiche, ma molto brevi, possono essere reperite nel commentoalla Contro Midia demostenica curato da D. Mac Dowell (Mac Dowell 1990, pp. 322-323). Si vedano anche Finley 1951, pp. 100-106; Jones 1956, pp. 171-172; Cohen 1992,p. 207 ss. (con bibliografia alla n. 108).

13 È curioso osservare come, tra i testi citati nel saggio e quelli citati nelle note dilavoro, si instauri un processo di esclusione reciproca. Diversamente da ciò che avvie-ne in altri inediti di ALG i pochi riferimenti a iscrizioni o testi contenuti nell’articolonon sono elencati nelle note di lavoro.

14 Lo schema è citato supra, p. 8 n. 7.

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Il quinto paragrafo del lavoro costituisce un’eccezione rispetto aquella che appare una prima struttura dell’articolo: esso, oltre a rive-stire un’importanza fondamentale per la comprensione – allo stessotempo – dell’œranoj e dell’Eranos gernetiano, è una sorta di svilupposecondario del § IV. Lo schema di quest’ultimo paragrafo è infattil’unico ad essere ripetuto anche all’interno del testo nel corso dell’e-laborazione: al f. 6v viene annunciata una divisione (IV a) che èconfermata dallo schema, letteralmente inserito nel testo, del f. 8r,dove la seconda parte del paragrafo (IV b) enuncia temi che sonotrattati per esteso nella sezione aggiunta e conclusiva del lavoro (ap-punto il quinto paragrafo).

Il f. 15 è intestato al Cabinet du Doyen de la Faculté des Lettresdella Université d’Alger e contiene, come i restanti fogli (15r/v-19r/v),pochi riferimenti a epigrafi e testi antichi e alcune note di lettura distudi sull’œranoj. Ancora una volta si tratta di riferimenti non utiliz-zati nel testo; è importante tuttavia notare fin d’ora che molti dei testiindicati sono presenti nelle note a pié di pagina di Droit et prédroit,il fondamentale saggio del 1951 con cui brevi sezioni di Eranos in-staurano delle relazioni, anche puntuali. Una menzione particolaremerita il f. 19r, dove è contenuto un ulteriore schema del lavoro che,pur facendo riferimento ai temi trattati nell’articolo, non ne seguel’ordine logico e non ne sembra costituire, per dir così, l’ossatura.Potrebbe trattarsi, se le ipotesi che stiamo per formulare circa la da-tazione del manoscritto dovessero risultare verificate, di un probabi-le indice di lavoro (incompleto) per una seconda stesura del saggio,forse in relazione proprio con i molti riferimenti ai testi contenutinelle pagine che corredano lo studio vero e proprio.

È di quest’ultimo tuttavia che torniamo ora ad occuparci.Il carattere eterogeneo dei documenti trovò una sua omologazione

al momento della costituzione del fascicolo. Dopo la stesura del testo,o almeno con una stilografica diversa da quelle usate per testo e anno-tazioni, l’autore ha apposto sulla fascicolazione il titolo – questa voltanella inconfondibile calligrafia greca gernetiana – «”Eranoj». Non sem-bra purtroppo possibile una datazione precisa delle varie fasi di com-posizione, poiché – come si è detto – nessuno dei 13 fogli che com-pongono l’articolo contiene indicazioni temporali esplicite. Come av-viene normalmente di fronte ad un documento di datazione incertasarà allora necessario procedere alla individuazione dei due terminipiù probabili, per fornire almeno una collocazione indicativa al testo.

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Stabilire dei punti cronologici di riferimento – ancorché vaghi –riveste, almeno per questo inedito, anche un ruolo storico-culturaledi non piccola rilevanza. Il tentativo di datazione risponde infattianche alla esigenza di collocare l’inedito in un momento determina-to della produzione gernetiana per ponderarne la portata. Per l’ela-borazione del suo studio, Gernet presuppone infatti una serie di la-vori che incrociano diverse discipline: la tradizione antichistica fran-cese (Caillemer, Foucart), la sociologia (Davy-Huvelin), gli studi suldiritto romano (Huvelin), l’etnologia giuridica (Post), gli studi giuri-dici in senso stretto (Reinach, Partsch, Lipsius). Si tratta di opere chesi dispongono su di un arco di anni che va dal 1873 (Foucart) al 1922(Davy). Lo studio maussiano sul dono (pubblicato nel 1925) non èesplicitamente citato, anche se forse è presupposto in alcune delleargomentazioni che vengono condotte.

Gernet non era solito apporre datazione sui fogli su cui stendevai suoi lavori ed in Eranos egli non ha purtroppo rinunciato alla suaabitudine. L’unico dato esplicito di cui possiamo disporre per stabili-re un terminus post quem è l’indicazione, su di un foglio contenutonel fascicolo (ma non richiamato nel testo) di alcuni studi, tra i qualiil più recente è un lavoro di J. Bisinger del 1929 15. Gli elementidiretti utili alla datazione dell’inedito sono quindi pochi ed è neces-sario procedere mediante criteri di cronologia interna, sulla basecioè delle relazioni tra diversi documenti contenuti in ALG, ed ester-na (attraverso il rapporto tra questo testo ed altri lavori gernetianipubblicati).

In mancanza di indicazioni esplicite il solo elemento di datazioneinterna di cui disponiamo è costituito dall’uso, da parte dell’autore,della carta intestata al Cabinet du Doyen della Facoltà di Lettere diAlgeri. Si tratta di un elemento certamente importante, ma che sirivelerà tanto utile quanto indeterminato.

Esso sembrerebbe consentire di individuare nel 1933 un sicuroterminus post quem. È infatti nel novembre di quest’anno che Gernetfu eletto Doyen della facoltà di Algeri: si tratta di un primo dato, checomunque si rivela meno preciso e determinato di quanto possa ap-parire a prima vista. L’attività di insegnamento universitario di Ger-

15 J. Bisinger, Der Agrarstaat in Platons Gesetzen, Klio Beiheft 17, Leipzig 1929. Sitratta di un lavoro probabilmente attinente a ALG II,9.

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net ad Algeri si svolse a partire dal gennaio 1921; nel 1925 Gernetdivenne Assesseur du Doyen 16 e poté dunque iniziare a disporre del-la carta intestata del Cabinet du Doyen molto prima del 1933. Delresto, adottare il 1933 come terminus post quem non sembra coeren-te con la stesura del lavoro. Mi sembra poco verosimile infatti che lostudio possa essere stato redatto facendo uso di una bibliografia che,come si è visto, non va oltre il 1922 (o 1925). Una datazione legataalla metà degli anni venti sembra quindi la più probabile, anche inconsiderazione del fatto che la carta intestata al Cabinet du Doyencontiene solo qualche breve riferimento a testi antichi che non han-no alcuna relazione diretta (né esplicita né implicita) con Eranos.

L’individuazione di un terminus ante quem si rivela tuttavia anco-ra più difficile, poiché, posto un riferimento a quo nella prima metàdegli anni venti, l’unico dato che appare certo è il ritorno di Gernet aParigi, avvenuto nel 1948. A ben vedere c’è però un ulteriore ele-mento da tenere in considerazione.

Gernet tornò sulle questioni relative all’œranoj in un suo impor-tante saggio di storia del diritto greco: Droit et prédroit en Grèce an-cienne, pubblicato nell’«Année sociologique», III série (1948-49),stampato a Parigi nel 1951 17. Ciò che è importante in questa sede è,oltre alla ripresa del tema, anche e soprattutto il fatto che alcunesezioni dell’inedito che viene qui presentato sono state riprese inDroit et prédroit. Molte delle schedature e dei riferimenti a testi anti-chi sono rifluiti nel saggio pubblicato, dove la trattazione ha unarelazione molto più diretta con i testi 18 e un rapporto molto piùserrato con i dati desumibili dalla mitologia. Bisogna quindi operare

16 Doyen della facoltà era allora l’amico di Gernet Pierre Martino. Ricavo le notiziesulla vita universitaria algerina di Louis Gernet da Di Donato 1990, p. 18 ss.

17 La ripresa del tema in questi anni è testimoniata anche dalla trattazione dell’œra-

noj durante una lezione del corso di Sociologie Juridique tenuto nell’a.a. 1948-1949.Così ho potuto verificare negli appunti presi da J.-P. Vernant alla lezione del 20/1/1948,durante la quale – a dire il vero – il tema è comunque solo accennato. La lezione seguemolto da vicino (per i temi e per i testi citati) ciò che Gernet scriveva, nello stesso pe-riodo, in Droit et prédroit. Tutti gli appunti di Vernant presi alle lezioni di Gernet sonoconservati in ALG.

18 Le corrispondenze con Droit et prédroit sono indicate nel testo. Tra i saggi ana-lizzati nelle schede di lavoro (ma non presenti nell’inedito) si può ricordare la nota dilettura del f. 17r/v di M. San Nicolò, Aegypt. Vereinsw. zur Zeit der Ptol. u. der Römer,München 1913, citato in Gernet 1968, p. 194 n. 53.

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una distinzione all’interno della datazione: da una parte sta la stesuravera e propria del lavoro, dall’altra la sua rielaborazione, avvenutamolti anni più tardi. La ripresa esplicita di temi e di sezioni di testo ciporta quindi sicuramente a ipotizzare il 1951 come data «ufficiale»per il documento. E tuttavia, una redazione del lavoro attribuibile alperiodo algerino sembra confermata anche dal rapporto formale chesi instaura tra questo inedito ed alcune sezioni di un lavoro gernetia-no del 1928, Frairies antiques, anch’esso confluito nella Anthropolo-gie de la Grèce antique 19. L’articolo del 1951 sembra costituire, inogni caso, il punto di riferimento per l’inserimento, con stilograficanera, di varie annotazioni e riferimenti a testi, talvolta presenti nellenote di Droit et prédroit.

Il lavoro sull’œranoj fu insomma estremamente tormentato da ri-pensamenti, revisioni e volontà di espansione.

Le relazioni «esterne» che l’inedito stabilisce con i saggi contenutinella Anthropologie sono rilevanti non solo ai fini della datazione,ma anche da un punto di vista tematico e, in un certo senso, meto-dologico. Si è già sottolineato infatti che alcune argomentazioni con-tenute nell’inedito sono vicine al lavoro sulle Frairies antiques cui siè già accennato, mentre altre hanno stretto rapporto con il saggioDroit et prédroit. Per quanto riguarda la datazione del manoscritto, leimplicazioni sono tutt’altro che dirimenti: la già citata conferma diuna redazione attribuibile alla prima fase del periodo algerino si ac-compagna ad una relazione con un lavoro dei primi anni del rientroa Parigi 20.

Ciò che invece mi pare interessante segnalare è che i due lavoripubblicati cui si è fatto riferimento posseggono, all’interno dell’An-thropologie, una collocazione che assume un valore per così diresimbolico per la natura stessa di Eranos. Nella Anthropologie de la

19 Gernet 1968, p. 21 ss.20 Il tema dell’œranoj torna anche nell’articolo-recensione che Gernet scrisse a Fr.

Pringsheim, The Greek Law of Sale, Weimar 1950 e che fu pubblicata in «A.S.», 3a sér.(1951), Paris 1953, nonché ripresa in Gernet 1955, pp. 201-224. Si fa allusione all’œra-

noj lamentandone la mancata trattazione da parte dell’autore: «Il y aurait à faire unebonne place à ces “prêts gratuits” que sont les eranoi (M. Pringsheim ne les mentionnepas à l’occasion du mutuum inter amicos): les eranoi créateurs d’obligations à leur ma-nière, et qui ont même été sanctionnés par le droit officiel, mais sans doute sur le tard»(Gernet 1955, p. 212).

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Grèce antique, infatti, il primo dei due saggi con cui Eranos stabili-sce connessioni è stato inserito nella sezione intitolata Religion etsociété, mentre il secondo – in apparenza più specificamente giuridi-co, comunque appartenente alla storia del diritto greco – fornisceesso stesso il titolo alla terza sezione della raccolta 21. I termini diriferimento per la comprensione dell’œranoj sono insomma tutt’altroche univoci: il diritto, la religione, l’economia e la società incrocianola storia della religione e la storia del diritto. L’istituto non può esse-re compreso interamente che nell’intersezione di questi diversi ap-procci e al crocevia di diverse linee tematiche.

La ripresa di Eranos all’interno dell’Anthropologie consente ancheun ulteriore livello di riflessione, che deve forse essere reso esplicitoe che contribuisce a legittimare la pubblicazione stessa dell’inedito.Si tratta del ruolo giocato dallo studio sull’Eranos entro lo sviluppodella antropologia storica gernetiana.

Dalle riprese (anche testuali) di alcune sezioni dell’articolo all’in-terno di Droit et prédroit risulta infatti chiaro che il tema dell’Eranosentrò a fare parte, anche se in via indiretta, del progetto gernetianorelativo alla pubblicazione della Anthropologie de la Grèce anti-que 22. Attraverso l’inserimento di alcune sue sezioni in uno studioche appartiene alla storia del diritto ed è, allo stesso tempo, uno deicardini della produzione antropologica gernetiana, la riflessionesull’œranoj non si limita ad instaurare relazioni cronologiche e tema-tiche, ma entra anche a fare parte del processo di elaborazione delpensiero antropologico gernetiano.

Per affrontare, seppure brevemente, questo livello di riflessioneè a mio avviso interessante ed utile citare una piccola nota di lavoro,contenuta ancora in ALG II, in un fascicolo assai importante per lostudio della leggenda greca 23. Si tratta di un foglio molto piccolo,scritto, con la penna blu, solo sul recto:

Eranos: sens du mot. La légende donne l’impression directe d’institu-tion vivante: réunir un érane, de la part du chef, c’est donner un festin

21 È bene ricordare che la raccolta fu operata da J.P. Vernant, ma era progettata dal-lo stesso Gernet prima della morte, avvenuta nel 1962. Si veda in proposito l’introdu-zione di J.P. Vernant a Gernet 1968. Per comprendere «le ragioni dell’Antropologia» cfr.Di Donato 1990, pp. 112-130.

22 Gernet 1968. Cfr. anche nota precedente.23 Si tratta del fascicolo intitolato cripticamente «Gr». Cfr. Di Donato 1990, p. 122 ss.

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qui oblige les convives à des prestations définies, pour une occasionégalement définie. 24

L’osservazione è chiaramente connessa con la stesura di Droit etprédroit. Il riferimento alla légende non ha diretta relazione con ilnostro inedito, ed instaura invece molteplici connessioni propriocon i temi sviluppati da Gernet nel suo lavoro del 1951 25. D’altraparte, si è già parlato dell’importanza della collocazione del mano-scritto in ALG II e della molteplicità di linee che si intrecciano nel-l’inedito. Il legame testuale con Droit et prédroit, la conferma di unavolontà di trattazione del tema in relazione alla légende, i contattitematici con l’Anthropologie contribuiscono, a mio avviso, a sottoli-neare l’importanza di Eranos non solo per il valore scientifico deldocumento in sé, ma anche per il suo ruolo nello sviluppo della an-tropologia storica gernetiana.

I temi affrontati da Gernet nel suo Eranos sono numerosi: la sto-ria dell’istituto e il suo legame con il carattere di festa, la discussionedelle tesi – soprattutto l’articolo di Reinach per il Dictionnaire desantiquités, citato esplicitamente – che vedono un rapporto di filia-zione diretta tra l’œranoj-prestito e l’œranoj-società, l’importanza deitratti di associazione familiare dell’œranoj, la nascita del concetto diobbligazione in rapporto alla fides degli associati di un gruppo.

Dopo avere individuato nella Algeri della prima metà degli anni’20 il contesto per la stesura dell’articolo e nella Parigi del 1948 ilmomento della ripresa del lavoro per un suo inserimento in un sag-gio di respiro diverso, è forse ora opportuno procedere ad una pre-sentazione tematica dell’inedito.

Dell’esistenza di una molteplicità di linee di ricerca che si intrec-ciano nell’articolo e della non specificità giuridica di quest’ultimo siè già detto. Si tratta ora dunque di determinare e di specificare que-ste direzioni di indagine.

L’autore pone subito una questione storiografica importante, di-staccandosi dalla tradizione antichistica e giuridica francese, e rifiu-tando in modo deciso una serie di ipotesi elaborate nel XIX secolo dastudiosi come Foucart, Caillemer, Reinach 26. La voce curata da que-

24 ALG II,2,40r.25 Gernet 1968, p. 192 ss.26 Si vedano le citazioni nella nota ad loc.

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st’ultimo nel Dictionnaire des antiquités (i cui lemmi di diritto greco,è bene ricordarlo, erano redatti anche da Glotz e Haussoullier) sepa-ra radicalmente i significati di œranoj ed è esplicitamente citata erifiutata da Gernet, il quale prende anche le distanze dalle posizionidi F. Poland, E. Ziebarth e J.H. Lipsius 27.

L’ipotesi gernetiana è poi precisata con argomenti linguistici eepigrafici. Attraverso la connessione etimologica – a dire il vero tut-t’altro che certa, ma da tutti presentata come la più probabile 28 – traœranoj e ™ort» vengono precisate le valenze religiose del termine,mentre una testimonianza epigrafica viene usata per sostenere lanecessità di non separare i due significati della parola.

La conclusion est celle que nous avions laissé entrevoir: le prêt d’amitiéa été pratiqué d’abord entre membres d’une même société, à la faveurdes liens qui les unifiaient et de la fides qu’un tel milieu pouvait créer.(f. 4r)

Ciascuna parola della frase citata possiede una risonanza assaiprofonda per la comprensione dei temi sviluppati nell’intero lavoro.Il problema della elaborazione di gruppi sociali che hanno una ma-trice familiare allargata si intreccia con quello della loro integrazionenell’organizzazione politica, con la vita economica (il prestito) e conla relazione stabilita tra lo sviluppo della nozione di fides e la nascitadella nozione di obbligazione. La precisazione della natura giuridicadell’istituzione si accompagna alla riflessione sulla dimensione so-ciale di un’associazione che ha radici molto più antiche di quantolascerebbe supporre la documentazione (p. XXX).

Il valore di contribuzione ad un atto religioso, all’interno di unasocietà, permette di comprendere il funzionamento stesso dell’isti-tuto:

Non seulement la nature des liens qui unissent les membres d’unemême société peut rendre compte de la spontaneité de l’opération, dela confiance des uns et du sentiment d’obligation de l’autre: mais l’éra-nos nouveau se coule dans les mêmes formes que le précédent, et parlà nous comprenons sa nature d’institution ... (f. 6r)

27 Cfr. le note ad loc.28 Cfr. le note ad loc.

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Il terreno è pronto per una riflessione sulla nascita della nozionedi obbligazione che viene condotta instaurando connessioni storio-grafiche solamente accennate e stabilendo invece relazioni assaipuntuali con l’istituzione esaminata. La teoria «classica», «qui prendpour ainsi dire toutes faites les formes contractuelles», viene messain discussione, e la questione è posta in relazione al rapporto tra iltipo di associazione di cui l’œranoj è un esempio e l’organizzazionecivica (legge di Solone, d…kai ™ranika…). Tutta la riflessione conduceancora al problema della nascita dell’obbligazione e del cautionne-ment «primitif» (verso il quale Gernet aveva progettato di esprimerein nota una réserve) 29. L’ipotesi gernetiana è che la «caution de l’éra-ne ne sérait autre que le bénéficiaire de l’érane, celui que nous ap-pellerions le débiteur». Dietro l’argomentazione è ben presente tuttala riflessione che Mauss e Davy stavano conducendo tra il 1921 e il1925 (probabilmente proprio gli anni di elaborazione del manoscrit-to) sulla nascita della nozione di obbligazione 30. Si tratta di un temache ha contrappuntato la riflessione di Gernet per buona parte dellasua attività scientifica ed è ripreso sia in Droit et prédroit (1951) chein Le temps dans les formes archaïques du droit (1956) 31.

L’argomentazione di Gernet è sempre attenta anche agli aspettilinguistici della questione 32. Nel lavoro si insiste sulla terminologia

29 Nel corso dell’elaborazione dei suoi manoscritti Gernet è sempre stato coerentenell’uso della simbologia. Nell’inedito che qui viene presentato sono da segnalare l’usodel trattino lungo basso (—–) per indicare un discorso da riprendere in un secondo mo-mento e l’uso della X tra parentesi – con o senza aggiunta di parole di riferimento – peri progetti di nota a piè di pagina. Quando – ed è la maggior parte dei casi – fosse pre-sente solo il progetto di rimando in nota si è preferito eliminare il simbolo per agevola-re la continuità di lettura del testo. Il problema della garanzia è affrontato da Gernetanche in Droit et prédroit (Gernet 1968, p. 179 ss.) e nell’articolo apparso sul «Journalde Psychologie» 53 (1956) e poi rifluito nella Anthropologie, Le temps dans les formesarchaïque du droit (Gernet 1968, pp. 277-278).

30 G. Davy nel suo La foi jurée stampato a Parigi nel 1922 e M. Mauss negli studi suldono che lo portarono alla pubblicazione, nel 1925, del celebre Essai (Mauss 1925).Proprio nella parte incipitaria del Saggio sul dono, Marcel Mauss lega le sue ricerche aquelle di Davy. Basta poi leggere il capitolo che Davy dedica a Le potlach et le contratper vedere quanto La foi jurée dipenda dalle ricerche che Mauss stava conducendo suscala etnografica (cfr. e.g. Davy 1922, p. 165 ss.). Cfr. anche Granet 1922 e Davy 1923(discussi infra).

31 Si vedano, rispettivamente, Gernet 1968, p. 179 ss. e Gernet 1968, pp. 274-280.32 È bene ricordare che il sottotitolo della Thèse gernetiana del 1917 (Recherches

sur le développement de la pensée juridique et morale en Grèce) è «étude semantique».

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dell’œranoj, sottolineando – come si è visto – le relazioni etimologi-che con rilevanza storico-religiosa, e la connessione di lingua e civil-tà in certi usi della terminologia tecnica (l’uso di ™ran£rchj o di tÕn

koinÕn tîn ™ranistîn). In relazione all’obbligazione lo studiosofrancese evoca una categoria sulla quale egli ha molto insistito neisuoi lavori (quella di ™ggÚh 33); alludendo poi alla terminologia grecaper il beneficiario del prestito (™gguht»j), egli rivela una dipenden-za dalle indicazioni fornite da Reinach nel Dictionnaire des antiqui-tés 34, ma avvia anche la sua argomentazione in una direzione che vaben oltre le indicazioni di Reinach e apre la sezione che diremmomeno giuridica dell’inedito. È bene comunque precisare che, parlan-do di «sezione meno giuridica», non si intende un’estraneità dei temigiuridici dalle argomentazioni che vengono condotte; si tratta piutto-sto di una linea tematica che fa del diritto un fatto sociale, mettendo-lo in relazione con le formazioni sociali di cui esso è espressione,diretta o indiretta.

Il quinto paragrafo introduce infatti – sotto forma di conclusioneassai estesa – il problema cruciale dell’articolo, quello del rapportotra determinati tipi di società e l’obbligazione contrattuale. La que-stione è posta in relazione alla psicologia e ai rapporti di fiduciareciproca che si creano nelle formazioni religiose anteriori (e con-temporanee) alla costituzione della comunità cittadina. Tali forma-zioni non esaurirono in nessun modo il loro ruolo all’interno dellapÒlij 35, e contribuirono a creare – per quel che riguarda il diritto –quelle situazioni di vero e proprio pluralismo giuridico che paiono

Sulle Recherches gernetiane e sul loro ruolo nella storia del diritto greco si veda Maffi1981.

33 Per una bibliografia dei lavori gernetiani sulla ™ggÚh si veda la nota 26 a p. 53(infra).

34 Cfr. Dictionnaire des antiquités, s.v. Eranos, p. 806, seconda colonna.35 Condivido senz’altro la posizione di Ilias Arnaoutoglou (1998, p. 69) secondo la

quale le associazioni di culto greche non possono essere considerate semplicementeun prodotto dell’età ellenistica, connesso al declino della pÒlij. «Cult association werenot an alternative to the pólis but complementary to it». Altre posizioni contenute in Ar-naoutoglou 1998 (come quella che suggerisce di individuare la peculiarità delle asso-ciazioni greche nel loro fungere da agenzie di socializzazione) paiono a me meno con-divisibili, anche alla luce dello studio gernetiano qui presentato. Sulla questione si vedala premessa di R. Di Donato a Gernet 2000 (cfr. infra). Sulle fratrie si veda Lambert1983.

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ancora presenti in età demostenica 36. Si stabilisce una dialettica,esplorata da Gernet in più occasioni (cfr. infra), tra forme della so-cietà e forme della famiglia. Le pÒleij greche mantengono al lorointerno delle forme sociali di diversa natura, funzione e composizio-ne che sono state considerate da buona parte della critica come for-mazioni secondarie rispetto alla città. La riorganizzazione su baseterritoriale delle società greche determinò tuttavia una situazione incui la contemporaneità delle diverse formazioni sociali (tribù, fratrie,demi, gšnh, o!koi) contribuì a determinare «contraddizioni, tensioni,equilibri transitori» 37.

Gernet rifiuta l’ipotesi aristotelica – che egli definisce intellectua-lisme e attribuisce anche a buona parte della critica a lui contempo-ranea – secondo la quale la dialettica tra individuo e società si risol-ve a tutto favore del primo dei due termini. Come il collettivo sispiega attraverso l’individuale, così le associazioni sarebbero costitui-te sul modello della città. Questo tipo di intellectualisme aristotelicoè contraddetto, secondo Gernet, dal riconoscimento precoce delle ob-bligazioni da parte del diritto cittadino 38.

La conclusione è all’insegna della riflessione della scuola di Dur-kheim e dei suoi allievi (Davy - Mauss). La matrice familiare dellesocietà religiose è sottolineata a più riprese, così come i legami dutype familial tra gli associati. Attraverso delle riflessioni che fanno diquesto inedito un lavoro di antropologia sociale, le ultime paginedel saggio si caratterizzano per una densità di spunti difficilmenteriassumibili in questa presentazione tematica. La costituzione dei

36 Tale mi sembra essere anche il ruolo della corporazione degli ’Exhgeta… quale sipuò desumere dal controverso caso della Contro Evergo e Mnesibulo dello Pseudo-De-mostene (cfr. [Dem. ] XLVII,69 ss.).

37 La questione è affrontata nell’introduzione di Riccardo Di Donato a Gernet 1983a(p. 137), da cui è tratta anche la citazione. Nella premessa a Le fonctionnement dudroit, l’altro inedito gernetiano in corso di pubblicazione (Gernet 2000) Di Donato ètornato sul problema proponendo una riconsiderazione della «realtà delle società gre-che delle diverse pÒleij, sotto la specie della categoria sociologica di società poliseg-mentarie piuttosto che di società coese e uniformi». Si veda anche Mauss 1998, pp. 162ss. e ibid. l’introduzione di R. Di Donato (p. XLIX).

38 Gernet allude evidentemente alla legge di Solone (Gaius, Dig. XLVII,22) la cuiautenticità è negata da chi procede dalla linea aristotelica (Arnaoutoglou 1998, p. 72,dove si riprendono dubbi che furono già di Wilamowitz). Cfr. l’annotazione al testoad loc.

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gruppi del tipo œranoj avviene in funzione della fratria – «de la phra-trie que l’Etat définitivement constitué abandonnera à ses destinés»(11v). Il conflitto del principio gentilizio e di quello territoriale, ilmélange de population determinano una reazione organica

qui satisfait un besoin social: les thiases auront leur fonction nécessaireà l’intérieur de la phratrie, et les orgéons pourront être rapprochés desgennètes. (12r)

Queste formazioni sono – dice Gernet – connotate da un caratte-re misto: da una parte sono «naturali» per l’assimilazione ai gruppifamiliari e per la spontaneità del loro sforzo di ricomposizione; d’al-tra parte esse «insinuent dans un ordre social autrefois compact etrigide la contingence et le vouloir», supponendo dei fondatori e co-stituendo – di fatto – il ponte tra i gruppi familiari e le società orien-tate intorno ad un culto in età classica.

Le applicazioni dell’œranoj, descritte e commentate da Gernet,ricordano il carattere familiare delle società nelle quali esso si è for-mato. Per tali applicazioni l’autore chiama in causa le nozioni disolidarité familial e di obbligatorietà della prestazione da parte delgruppo (obbligato in virtù della sua legge interna, p. 13r). I legami diparentela e di quasi-parentela determinano «une prestation et une con-tre-prestation également obligatoires». All’orecchio di chi cerchi ipunti di riferimento storico-culturali per questo lavoro, i nomi comunidelle nozioni richiamate sembrano evocare i nomi propri di Durkhe-im, Glotz, Davy, Mauss.

Lo scritto sull’œranoj si articola su linee che, come si è già avutomodo di accennare, intersecano tradizioni culturali diverse. Si è giàdetto della posizione critica nei confronti della tradizione antichisti-ca e giuridica francese (Caillemer, Foucart, Haussoullier, Reinach) edell’instaurazione di un dibattito critico con gli studi giuridici (Post,Partsch, Reinach, Lipsius). Tutto lo studio sembra comunque entrarein relazione con due direzioni di ricerca fondamentali: il problemadella nascita del contratto (che presuppone anche il confronto con latradizione francese di studi sul diritto greco) 39 e quello della integra-

39 Per un panorama sulla tradizione francese di studi di inizio secolo sul diritto gre-co si veda Haussoullier 1917.

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zione, della natura e della funzione dei gruppi familiari e pseudo-familiari all’interno del gruppo politico in via di elaborazione. Si trat-ta evidentemente di una separazione che viene qui utilizzata soloper comodità espositiva. Le due linee convergono infatti entro laquestione più generale della coesistenza, all’interno di un sistemagiuridico in via di oggettivazione, di norme connesse con gruppisociali anteriori e contemporanei alla formazione politica, ovvero,formulato il problema in termini più «gernetiani», del rapporto tradiritto e prediritto 40.

I due binari su cui si muove la riflessione gernetiana si scambia-no con tradizioni culturali di cui si cercherà di stabilire la portata el’influenza. In primo luogo Eranos entra in relazione con le riflessio-ni della scuola durkheimiana (Huvelin, Davy, Mauss) sul problemadella nascita del contratto. In secondo luogo il saggio stabilisce unarelazione privilegiata, anche se forse più nascosta, con lo studiocondotto da Gernet su La famiglia nell’antichità greca e, di riflesso,con le considerazioni che Emile Durkheim aveva sviluppato sul te-ma della famiglia (soprattutto sul rapporto tra la cosiddetta famigliaallargata e la famiglia ristretta).

Ad un’attenta lettura, l’intero saggio gernetiano mostra a più ripre-se il rapporto con la riflessione sulla famiglia che accompagnò l’in-tera attività scientifica dell’autore del manoscritto. Esistono tre ineditigernetiani, pubblicati in francese nel 1983 e in italiano nel 1997 41,che si occupano delle «forme e delle strutture della parentela in Gre-cia antica»: si tratta di Quelques désignations homériques de la paren-té (databile tra il 1915 e il 1921), La famille dans l’antiquité grecque.Vue générale (databile tra la metà degli anni venti e la metà deglianni trenta) e la conferenza letta il 17 aprile del 1953 (Observationssur le mariage en Grèce) 42. I tre lavori appartengono ad un periodoampio (dal 1915 al 1953) e hanno punti di riferimento storico-cultu-rali molteplici, che variano a seconda della loro collocazione nel

40 Il rapporto tra diritto e prediritto non deve essere letto come una pura relazionedi carattere cronologico, una priorità del secondo rispetto al primo. La relazione tra idue termini ha carattere dinamico e fecondo ancora in età classica. Per il dibattito sivedano Cantarella 1984, Burchfiel 1993, Behrend 1993.

41 Gernet 1983a, 1997.42 La datazione dei manoscritti è stata effettuata da R. Di Donato.

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tempo e vanno da un’originaria «ortodossia» durkheimiana, attraver-so Granet e le Annales di Bloch e Febvre, fino a Lévi-Strauss e Meyer-son 43.

La data che si è proposta per Eranos assume allora una rilevanzaparticolare. Come si cercherà di dimostrare, questo inedito instauraun rapporto tematico privilegiato con i primi due lavori citati, databi-li appunto intorno agli anni venti. I contatti nelle argomentazioni trai lavori, la vicinanza con le posizioni di Durkheim e della scuoladurkheimiana, paiono inoltre convalidare l’ipotesi di datazione chesi è proposta, almeno per la stesura del lavoro.

Il tema della famiglia è reso esplicito, come si è detto, nell’ultimoparagrafo del saggio. Il § V si occupa infatti da vicino del rapportotra gruppi familiari o quasi-familiari e l’elaborazione del gruppo civi-co. Le associazioni di tipo familiare che Gernet prende in esame nelsuo saggio (i «groupes que nous qualifions de “naturels”»: f. 11r/v)hanno diretta relazione con il problema del rapporto tra famiglia «na-turale» (nucleo ristretto) e famiglia allargata, che tradisce una nettainfluenza di Durkheim. Basti ricordare gli interventi dell’autore de Ladivision du travail social, raccolti nel terzo volume dei Textes 44 sottoil titolo di Fonctions sociales et institutions: in essi è dedicata un’at-tenzione quasi ossessiva al tema della non priorità della famiglia co-niugale rispetto alla famiglia allargata. Del resto, è lo stesso MarcelMauss a ricordare l’importanza del tema della famiglia negli studi diEmile Durkheim 45; le tesi della Division du travail social ribadisconoquesta importanza. A partire dalla lezione del 2 aprile 1892 (ma pub-blicata da Mauss nella «Revue Philosophique» del 1921) e attraversomolti degli interventi del sociologo alsaziano in tema di famiglia ècontinuamente ribadita la necessità di considerare la famiglia coniu-gale come esito e non come punto di partenza 46.

43 Faccio mie qui le osservazioni di R. Di Donato nelle introduzioni agli scritti ger-netiani sulla famiglia (Forme e strutture della parentela in Grecia antica. Tre inediti diLouis Gernet). Cfr. Gernet 1983a, pp. 122-123 e Gernet 1997, p. 14 ss.

44 Durkheim 1975.45 Mauss 1998, pp. 246-247.46 Solo a titolo di esempio si veda Durkheim 1975, pp. 50-52 (Parenté artificielle

chez les slaves du sud, 1899. Recensione a S. Giszewski, Künstliche Verwandtschaft beiden Südslaven) o pp. 70-94 (L’origine du mariage dans l’espèce humaine d’après We-stermarck). Sull’importanza del tema della famiglia per Durkheim e la scuola durkhei-

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È già stato messo in luce in altra sede il ruolo di riferimentoesercitato dalla linea Durkheim, Davy, Davy - Moret per le riflessionigernetiane sulla famiglia 47. Se, per esempio, nella lezione del 2 apri-le 1892 Durkheim affermava che «le progrès de la famille a été de seconcentrer et de se personaliser», la lezione fu ben recepita da Geor-ge Davy, sia nella Foi jurée (dove l’autorità di Durkheim torna a piùriprese) sia in Des clans aux empires, il volume scritto con A. Moretnel 1923 48. Davy fonda infatti tutta la sua riflessione relativa allagenesi del contratto proprio sull’emancipazione dei gruppi ristretti esull’individualismo come premessa per la nascita del contratto 49. L’au-torità di Durkheim è citata continuamente nella Foi jurée ed è u-tilizzata come supporto diretto per le argomentazioni che vengonocondotte.

Anche la riflessione gernetiana, ovviamente rivolta all’esperienzaellenica, segue la linea durkheimiana relativa ai rapporti tra la fami-glia e l’organizzazione statale. Nel lavoro sulle designazioni omeri-che della parentela Gernet affronta una questione trattata anche inEranos. Affrontando lo studio del gšnoj, Gernet mostra un contattodiretto con la linea durkheimiana:

loin que la famille étroite préexiste au clan, elle est, relativement à lui,un produit dérivé et secondaire qui peut d’ailleurs être très ancien maisqui est si peu principe que son autonomie a toujours été une conquê-te. 50

miana, cfr. quanto ha osservato R. Di Donato introducendo gli scritti gernetiani sullafamiglia (Gernet 1983a, pp. 130-131.). Per quel che concerne la Grecia antica si può ri-cordare che, recensendo nel 1903 uno studio di H. Francotte del 1901, Durkheim af-frontò direttamente il problema del rapporto tra principio gentilizio e principio territo-riale nella Grecia antica (Villes, états et confédérations en Grèce, recensione a H. Fran-cotte, Formation des villes, des Etats, des confédérations et des ligues dans la Grèce an-cienne, «Bull. De l’Acad. roy. de Belg., Cl. des lettres», 9-10, 1901), e ribadì che l’elabo-razione della città non riuscì a cancellare l’organizzazione su base gentilizia (Durkheim1975, p. 246 ss.).

47 Cfr. Di Donato, in Gernet 1983a, p. 130 ss., e Gernet 1997.48 Cfr. e.g. Davy - Moret 1923, p. 14 ss.49 A questo proposito è interessante segnalare, in margine al presente lavoro, la vi-

vace discussione tra Granet e Davy sul volume La foi jurée, comparsa sotto la forma direcensione del primo e replica del secondo sul «Journal de Psychologie» (cfr. Granet1922 e Davy 1923).

50 Gernet 1983a, p. 166 (= 1997, p. 49).

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Alcuni dei temi trattati in Eranos instaurano contatti diretti con ilavori gernetiani sulla famiglia. In particolare, è necessario far con-vergere l’attenzione ancora sul tema dell’integrazione dei gruppigentilizi nel gruppo civico organizzato, a partire dalla riforma cliste-nica, su base territoriale. Si è visto che la questione del prestito era-nico ha diretta relazione con l’organizzazione dei gruppi «naturali» inrapporto alla fratria e ai demi (f. 11r) e con la riorganizzazione degli«ancient cadres, essentiellement familiaux … dans le moment où lacité s’élabore».

Nell’articolo gernetiano del 1915-1921 si legge:

Je m’explique: en même temps qu’il modifiait l’antique répartition descitoyens en tribus, Clisthène a permis l’accès des phratries à tout Athé-nien … mais, à l’intérieur de la phratrie, le groupe plus concret et plusessentiel de la gens devrait jouer son rôle: il ne s’appellera toujoursgšnoj … il s’appellera thiase ou groupe d’orgéons, mais on ne sauraits’en passer. 51

Il passo ha una relazione diretta con il nostro inedito. Basti vede-re la serie di argomentazioni ai ff. 11v-12r 52 di Eranos per verificarele coincidenze, quasi verbatim, dei due testi.

A l’intérieur de la phratrie, qui représente l’élément le plus fondamentalet le plus traditionnel, on reconnaît un double mouvement, de concen-tration dans le gšnoj, et de réformation dans des groupes comme lesthiases et les sociétés d’orgéons. (11v)

È forse superfluo precisare che non si tratta qui di stabilire unrapporto di dipendenza reciproca tra i due testi, analogo a quello chesi è tentato di stabilire tra Eranos ed alcune riprese testuali e tematichepresenti in Droit et prédroit. L’attenzione agli stessi temi serve a mioavviso a confermare l’ipotesi di datazione che si è avanzata, e – so-prattutto, in questa fase dell’esposizione – a individuare in Durkheimuno dei riferimenti principali per l’argomentazione condotta da Ger-net. Si vedrà più avanti che anche la riflessione di Davy (Foi jurée, Desclans aux empires) o di Mauss (almeno il Mauss degli studi preparatorial saggio sul dono) hanno un ruolo cruciale per la stesura di Eranos.

51 Gernet 1983a, p. 167.52 Cit. supra, nel corso dell’esposizione tematica di éranos.

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E tuttavia quello indicato non è il solo tipo di contatto che Eranosstabilisce con gli scritti gernetiani relativi alla famiglia.

La trattazione del problema dell’integrazione dei gruppi familiarinella vita civica ha rapporto anche – come è ovvio – con la dimen-sione religiosa. L’elemento familiare dell’œranoj non si riduce allavolontà di reperire tra i parenti degli associati i membri dell’associa-zione, né alla importanza degli elementi familiari nella vita dell’asso-ciazione: «c’est aussi qu’on peut retrouver dans un culte gentilice lesorigines du culte qu’elles pratiquent et qui est leur raison d’être» (11r).

La questione è affrontata anche nell’ultima sezione del secondodegli inediti sulla famiglia (La famille dans l’antiquité grecque). L’im-portanza, per la nostra riflessione, di questa sezione delle lezionigernetiane emerge anche dal solo titolo del paragrafo: L’émancipa-tion de la famille étroite. Gernet fa osservare come la graduale sop-pressione del particolarismo nobiliare da parte dello Stato in corsodi elaborazione agisca anche sui culti:

L’Etat se constitue et il se constitue par-dessus les groupes tradition-nels, il domine les gšnh et veut en réduire la puissance. [La democrazia]réduit à l’extrême la signification des phratries et des gšnh. Les cultesqui étaient monopole de telle ou telle grande famille lui restent dévo-lus, mais par une espèce de concession expresse de la cité et leur vertus’étend à toute la cité: il y a ainsi comme un système qui s’accomplit. 53

La riflessione condotta da Gernet sulla linea della famiglia mostrainsomma la mancata soluzione di continuità tra le questioni più pro-priamente giuridiche connesse con l’œranoj e le dimensioni sociali,politiche, economiche, religiose delle società greche.

È bene in ogni caso ribadire che il tema dell’integrazione deigruppi di matrice familiare all’interno della pÒlij è analizzato dal-l’autore del manoscritto in costante relazione con la questione dellanascita dell’obbligazione. Non si tratta di due riflessioni separate, madi due aspetti complementari dello stesso processo di pensiero.

L’altra linea tematica su cui si snoda la riflessione gernetiana, for-se quella più connessa con le questioni giuridiche, è quella dellagenesi del contratto. Come si è già accennato, in questo ambito Ger-

53 Gernet 1983a, p. 194 (= 1997, p. 102).

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net contrae un debito intellettuale (in parte reso esplicito) con glistudi condotti in modo congiunto da Davy e Mauss sulle origini del-l’obbligazione. I punti di riferimento per questa linea sono Huvelin,gli studi di Davy che si sono già indicati, e i lavori maussiani sullapreistoria del contratto e sul dono. Resta da ricordare, da un lato, lacomune matrice durkheimiana di questi studi e, ovviamente, la com-ponente di originalità gernetiana nell’affrontare l’esperienza giuridi-ca ellenica.

Come ormai è legittimo attendersi, anche la questione della ge-nesi del contratto è messa in relazione con lo studio dei rapportireciproci tra i gruppi sociali anteriori e contemporanei alla formazio-ne politica. Gernet approda in questa parte del suo lavoro anche aduna matrice storica, alludendo all’evoluzione – disegnata da Davy –da un sistema di rapporti totali tra gruppi verso un’individualizzazio-ne del sistema di scambi.

Il Davy della Foi jurée è sicuramente il punto di riferimento piùimmediato per l’elaborazione della parte relativa alla nascita dell’ob-bligazione. La questione dei rapporti tra gruppi è posta in relazionecon l’evoluzione disegnata da Davy, che individua nel passaggiodalle prestazioni totali tra gruppi verso le prestazioni nei confrontidell’individuo il momento adatto allo sviluppo della nozione di con-tratto. Gernet parla dell’«état social qui prépare le développement ducontrat, c’est à dire où les liens prennent un aspect individualiste», in-staurando una connessione diretta, forse immediata, con la ricostru-zione sistematica (evoluzionistica) 54 operata da Davy.

Scrive l’autore della Foi jurée:

C’est précisement au fur et à mésure que l’autorité individuelle se déga-ge, sous la forme en particulier de l’autorité domestique du chef de lafamille masculine, que les prestations collectives et totales statutaire-ment obligatoires entre phratries vont pouvoir, grâce au ferment derivalité qu’elles contiennent, se muer en prestations individuelles, spé-ciales et proprement contractuelles. 55

54 Cfr. Granet 1922, p. 938, dove a Davy è attribuita la «préoccupation de marquerla distance entre le primitif et l’évolué».

55 Davy 1922, p. 330 (l’alternanza tra corsivo e tondo è mia). La recensione di Gra-net a Davy 1922 si occupa anche del volume di P. Fauconnet sulla responsabilità (Fau-connet 1920). In questo studio l’elaborazione della nozione di responsabilità stabilisce

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In diversi luoghi di Eranos le tesi di Davy sono presupposte perl’argomentazione che viene sviluppata. Il passo che si è scelto dicitare stabilisce relazioni dirette, verbali e tematiche, con il nostroinedito. I temi della fides interna al gruppo, dell’obbligatorietà del-l’intervento familiare, i riferimenti al diritto romano (che mostranoanche un contatto con Huvelin), sono infatti evocati anche in Era-nos. Parlando ad esempio delle obbligazioni interne alla società dieranisti, Gernet precisa che «elles dérivent d’un type qui n’est pascelui de l’obligation contractuelle, mais celui de l’obligation statutaire»(f. 11r) 56.

Il rapporto con gli studi di Davy (non solo La foi jurée, ma ancheDes clans aux empires) emerge inoltre dall’importanza assegnata daGernet alle «società private» del tipo œranoj per lo sviluppo dellanozione di contratto 57. L’individualizzazione dei legami sociali (f. 12v)stabilisce una relazione con il ruolo che Davy, disegnando – a diffe-renza di Gernet – l’evoluzione dalle forme primordiali alle formeevolute del contratto, assegna alle «società segrete» 58.

una connessione stretta con il processo di individualizzazione. Granet rileva l’impor-tanza dello studio di Fauconnet sottolineandone anche la matrice durkheimiana (Gra-net 1922, p. 931). A proposito di Fauconnet 1920 è intervenuto anche Gernet nel 1921(Gernet 1921 = Gernet 1983b, p. 175 ss.). Il tema della responsabilità personale è legato– in modo significativo anche per l’inedito che viene qui pubblicato – all’integrazionedella famiglia nel gruppo politico (Gernet 1921, p. 186). L’importanza del processo diindividualizzazione è sottolineata anche da Gernet, che rinvia – altro fatto rilevante perquesto inedito – alle osservazioni di Mauss «dans son étude sur l’ouvrage de Steinmetz»(Gernet 1983b, p. 186 n. 4). Cfr Mauss 1998, p. 177 ss.

56 Mi pare interessante riportare ciò che in proposito Gernet scrisse nella recensio-ne a Pringsheim cit. (Gernet 1955, p. 201 ss.): «Car c’est toute une vie contractuellequ’on entrevoit, un peu en marge: la vertu des opérations qui s’y concluent n’existe pasen fonction de la justice des tribunaux» (Gernet 1955, p. 212).

57 In apertura dell’inedito (§ I) si legge «on raisonne comme si la pratique même duprêt gratuit et d’ailleurs obligatoirement remboursable était une chose qui allaît de soi... pareil sous-entendu peut étonner quand on considère avec quelles difficultés et parquels tâtonnements la notion d’obligation contractuelle est entrée dans les esprits ...On vient plutôt ainsi à se demander si le développement de cette notion n’a pas été fa-vorisé, en Grèce, par l’existence des sociétés privées que nous savons y avoir été sifréquentes et dont l’œranoj est une espèce – ou une désignation entre d’autres».

58 Lo stesso Davy prende le distanze dall’espressione «società segreta» di Webster(Primitive secret societies, London 1908) alla quale preferisce confrairie (cfr. Davy1922, p. 355). Alla p. 359 della Foi jurée si legge: «C’est l’histoire de l’individu lui mêmequi, avant de s’émanciper du groupe, commence par l’incarner fidèlement et celle aussi

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Resta da chiarire il problema del rapporto con Mauss e, in parti-colare, con l’Essai sur le don.

L’autore del manoscritto sottolinea a più riprese i valori di reci-procità della parentela (f. 13); è a questo proposito che sono evocatele nozioni di prestazione e di controprestazione connesse con i lega-mi di parentela e quasi parentela (13v). Si tratta di un tema già dur-kheimiano, ripreso da Davy in più occasioni 59. L’evocazione dellenozioni di prestazione e controprestazione farebbe pensare però adun contatto diretto anche con Mauss. La relazione che sembra stabilirsitra Gernet, Davy, Mauss è quindi molteplice e tutt’altro che lineare.

L’asse Davy-Mauss è indubbio ed esclude, per questioni cronolo-giche, un rapporto diretto tra la Foi jurée e l’Essai sur le don 60. Al-trettanto sicuro è a mio avviso il rapporto tra Gernet e Davy (e diconseguenza tra Gernet e le ricerche di Mauss anteriori al Saggio suldono). Ciò che è invece in discussione è il rapporto diretto con l’e-sperienza maussiana del 1925. In Eranos, infatti, non è presente al-cuna allusione, né esplicita né implicita, all’Essai, sebbene il lavorodi Mauss possa instaurare dei legami privilegiati con i temi trattatinel nostro inedito. È importante osservare che i vari studi utilizzatidall’autore del manoscritto per la stesura di Eranos sono comunquerichiamati nel testo, o attraverso il nome degli autori oppure median-te citazioni dirette o indirette delle opere 61. È interessante notare delresto che in Le fonctionnement du droit (posteriore almeno al 1935)il debito con il Saggio sul dono è pagato in apertura del volume, edin modo piuttosto esplicito 62.

du contrat qui doit composer avec le statut et lui emprunter sa force». Sul ruolo «politi-co» delle «società segrete» si veda anche quanto G. Davy osserva, riprendendo moltedelle argomentazioni contenute nella Foi jurée, in Davy - Moret 1923, p. 118.

59 Si veda ad esempio Davy - Moret 1923, p. 14 ss. Ovvio è anche il riferimento aGlotz 1904.

60 Sul rapporto tra la Foi jurée e gli studi maussiani si veda la dura recensione di M.Granet al lavoro di Davy. Tra le questioni messe in risalto da Granet c’è proprio quelladella dipendenza di Davy dagli studi di Mauss (così come di Durkheim): «portant surdes opinions d’auteurs, ces excursus contribuent à donner à l’ouvrage l’apparenced’une suite de compte-rendus critiques» (Granet 1922, p. 931). Davy ammette la propriadipendenza da Mauss anche nella secca replica a Granet (Davy 1923), dove Davy pre-cisa di avere citato le sue autorités (Davy 1923, p. 283).

61 Nelle note al testo si è cercato di mettere in evidenza tutti questi contatti.62 Cfr. Gernet 2000.

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Si è già visto come Mauss dichiari apertamente la collaborazionecon Davy negli studi sulla nascita del contratto; è chiaro del restoche gli studi maussiani sull’etica del dono devono avere precedutodi qualche anno la pubblicazione, nel 1925, dell’Essai. Il lavoro diDavy utilizza e cita ampiamente a più riprese le ricerche di Mauss sulsistema del potlach, non giunte ancora alla elaborazione del Saggiosul dono. In Eranos non sembra invece che i temi suggeriti nel Sag-gio (quelli del dono e del contro-dono, piuttosto che le nozioni di-prestazione e contro-prestazione) siano direttamente evocati. Ciòche è in gioco nella riflessione gernetiana sembra essere piuttosto ilcomplesso di relazioni obbligatorie interne al gruppo familiare (nelsenso precisato da Durkheim), il valore «economico» della parentela.Solo l’allusione, nell’indice di lavoro, ai fatti scandinavi (allusionepoi non resa esplicita) sembra supporre un contatto diretto con l’Es-sai maussiano.

Più probabile sembra invece un contatto con il lavoro dedicatoda Mauss, nel 1921, alla preistoria del contratto presso i Traci, unostudio in cui vengono esplicitamente connessi il rituale di conviviali-tà del banchetto e la genesi di forme contrattuali. L’articolo maussia-no del 1921 fu del resto sicuramente usato da Gernet al momentodella stesura di Droit et prédroit 63, dove è citato proprio in relazioneall’œranoj.

È utile a questo punto, anche per ponderare la specificità gerne-tiana nella conduzione del lavoro, tentare di instaurare un rapportointerno alle Archives, con almeno due testi in cui Gernet ha affronta-to il tema della nascita dell’obbligazione. Il primo dei due scritti faparte di ALG III,17 il secondo di ALG I,4.

In ALG III,17 è contenuto, oltre al manoscritto di Le fonctionne-ment du droit, un lavoro che intesse stretti contatti, tematici e testua-li, con Droit et société. Si tratta di un inedito riguardante i rapporti tradiritto civile e diritto commerciale 64. In esso, affrontando il proble-ma della nascita dell’obbligazione, Gernet pone l’accento sul valoredella convenzione in sé:

63 Mauss 1921, è citato due volte in Droit et prédroit, sempre in relazione all’éranos(cfr. Gernet 1968, p. 192 n. 50 e 187 n. 28). Un ulteriore contatto maussiano può forseessere rilevato anche nell’importanza data al processo di individualizzazione. Cfr. Ger-net 1983b, p. 186 n. 4 e Mauss 1998, p. 177 ss.

64 ALG III,17 ff. 170-172.

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Les Athéniens ont le sens très net que le commerce de l’agora, le com-merce de la banque, le commerce maritime supposent la notion du«crédit» (pistis = fides), de la confiance dans la valeur de l’accord en tantque tel: dans les opérations complexes auxquelles ce commerce donnelieu, les plaidoyers civils permettent de voir jouer l’homologia commeélément essentiel. 65

La collocazione della questione in un ambito mediterraneo, oltrea situarsi sulla linea della allusione al precontratto, cui si farà cennopiù avanti, pone anche il problema del rapporto con il diritto roma-no, che costituisce un punto di riferimento più volte esplicitato nel-l’inedito di cui do la trascrizione.

Il problema del rapporto con l’esperienza giuridica romana è,come si vede, connesso non solo con l’individuazione di un terrenofavorevole all’emergere di determinate categorie psicologiche (quel-la della prestazione obbligatoria, della controprestazione, della re-sponsabilità, della garanzia), ma anche con il problema più generaledi un formalismo valutato come una fiducia nella forza efficace delleforme e di un diritto che trova nella solenne ritualità del gesto la pro-pria forza creativa 66.

In un inedito, collocato in calce a Les débuts de l’héllenisme eintitolato Le droit (ALG I,4,25r ss.) 67, il problema della nascita del-l’obbligazione è posto ancora in relazione a Roma e all’importanzadel formalismo. Gernet sta discutendo il problema della tarda rice-zione, nel diritto romano, dell’idea che il semplice accordo delle vo-lontà sia «condition nécéssaire et suffisante de l’obligation. D’autrepart un des traits les plus caractéristiques du droit athénien, dès le V

65 ALG III,17,170r. Il saggio è denso di richiami formali e sostanziali a Droit et so-ciété, e precede nel fascicolo proprio l’indice dei lavori che l’autore ha poi pubblicatoin Gernet 1955.

66 L’importanza del formalismo per la genesi del contratto è sottolineata ancora daDavy (1922, p. 365). Si vedano anche le importanti osservazioni di I. Meyerson a pro-posito della forma (Meyerson 1948, p. 21 ss.).

67 Les débuts de l’hellénisme, di importanza basilare per lo sviluppo del pensierogernetiano (cfr. Di Donato 1990, p. 114 ss.), è stato pubblicato per la prima volta nel1982 («Annales E.S.C.» (1982), pp. 965-983) ed è il saggio che apre Les grecs sans mi-racle (Gernet 1983b). Le droit è scritto sullo stesso tipo di fogli, con lo stesso inchiostroe nella stessa grafia, dei Débuts de l’hellénisme: i due lavori sono assolutamente con-temporanei e sono stati scritti tra la fine del 1949 e la fine del 1951 (per la datazione diLes débuts de l’hellénisme cfr. Gernet 1968, p. 17).

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siècle probablement, c’est l’affirmation sous forme d’un adage fré-quemment répété, que la convention en tant que telle, l’accord puret simple des volontés, a force exécutoire» 68. Gernet parla poi diun’antithèse historique (quella della tarda datazione romana rispettoall’antichità delle obbligazioni verbali in Grecia) che egli propone dirisolvere formulando l’ipotesi secondo la quale il riconoscimento deicontratti consensuali a Roma – avvenuto entro lo ius gentium – com-porti l’acquisizione di un elemento proveniente dall’esterno:

l’application du principe nouveau représente quelque chose d’hétéro-gène par rapport au droit que nous pouvons dénommer national ouindigène, lequel tenait pour un de ses principes essentiels que le sim-ple pacte, c’est-à-dire la convention en elle-même, ne peut pas engen-drer d’action en justice. Le progrès ne fait pas l’effet d’un développe-ment organique, l’elément vient du dehors. Ainsi, dans le droit l’appa-rition de ce concept essentiel de l’accord des volontés peut être impu-tée à la Grèce. 69

Si è visto che nello studio di Mauss sulla nozione di contrattopresso i Traci 70 si individua una relazione diretta tra banchetto, o-spitalità, dono e contratto. La festa e il banchetto sacrificale costitui-scono l’occasione per stabilire legami che vengono individuati daGernet come forme di «precontratto» 71.

Ed è in relazione alla festa e al banchetto che deve essere inqua-drato anche l’œranoj, ancora in età classica. Gernet dà come acquisi-to il legame etimologico tra œranoj ed ™ort» 72: si tratta di un datoche conferisce all’associazione una collocazione nell’ambito dellafesta religiosa, e del banchetto sacrificale. In particolare, l’œranoj

68 ALG I,4,30r.69 ALG I,4,30r.70 Mauss 1921 dove si cita Xen. An. VII,2,35-38 e Thuc. II,97. Il dato della gratuità

della prestazione si inquadra in un’etica della reciprocità della prestazione che contri-buisce, da un lato, a stabilire le gerarchie, e dall’altro a stabilire vincoli obbligatori tracolui che fa il dono e colui che lo subisce.

71 La nozione di precontratto, di cui non è necessario sottolineare la vicinanza (manon la contiguità) con quella di prediritto, è evocata anche in Gernet 1951 (p. 196 n.63), su scala etnografica e in relazione al «mondo della Kabilia», dove si rimanda a R.Maunier, in «Annales Sociol.», sér. C, 2 (1937), p. 42 ss.

72 L’etimologia resta la più probabile, anche se non è presentata come certa né daChantraine (Dictionnaire étimologique) né da Vondeling 1961.

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sembra avere diretta relazione con il carattere obbligatorio delle pre-stazioni all’interno di un gruppo sociale ristretto. La necessità(¢n£gkh a Gortina) 73 non riguarda solo l’eventuale restituzione delprestito, ma anche la stessa prestazione, nei casi in cui la solidarietàdel gruppo familiare aveva modo di manifestarsi. Del resto, come simette in evidenza anche nell’inedito, i casi di applicazione del pre-stito amichevole a titolo gratuito ruotano tutti intorno alla solidarietàfamiliare 74.

Sarebbe superfluo fare riferimento a tutti i testi antichi che Ger-net cita nel suo Droit et prédroit 75. Tra tutti pare comunque utilericordare almeno la storia del banchetto in cui Perseo è invitato aportare, come contributo al banchetto comune di Polidette, la testadella Gorgone 76.

La tradizione del banchetto a spese comuni sotto il nome di œra-

noj pare delinearsi senza soluzione di continuità almeno fino ad etàellenistica. In particolare, nell’Inno a Demetra di Callimaco, si puòleggere la storia di Erisittone. Questi, avendo compiuto una ripetutaviolazione rituale nei confronti di Demetra e della sua sacerdotessa,era stato colpito da una devastante bulimia. I genitori di Erisittone,presi da vergogna (a„dÒmenoi gonšej), non lasciavano più andare ilfiglio ai banchetti comuni, inventando, per amore, continuamentenuove scuse.

oÜte nin e„j ™r£nwj oÜte xunde…pnia pšmpon 77

73 Cfr. IJG XVII,40. Una persona caduta nelle mani degli stranieri chiede il paga-mento di una cauzione. Il pagamento non sembra evitabile visto che colui che ha ricevu-to la richiesta è detto Øp’¢n£nkaj ™kÒmenoj (per questa interpretazione cfr. IJG XVII, VII,p. 135). La lettura della parte di iscrizione cui Gernet fa riferimento è assai tormentata.Cfr. Nomima I,13, dove si rende conto di una diversa lettura e interpretazione del testo.

74 Interessante in questo senso un’usanza attribuita da Cornelio Nepote a Epami-nonda (Corn. Nep. Epam. III,5: Nam cum aut civium suorum aliquis ab hostibus essetcaptus aut virgo amici nubilis quae propter paupertatem collocari non posset, amico-rum consilium habebat et, quantum quisque daret, pro facultatibus imperabat).

75 Gernet 1968 p. 48 n. 51. Gernet si è occupato del mito di Erisittone anche in ALGII,1 (Polyvalence des images, un testo frammentario sul simbolismo delle immagini diprossima pubblicazione a cura di R. Di Donato) senza però fare riferimento diretto al te-ma dell’œranoj.

76 La storia è narrata in Apoll. Bibl. II,4,1: Polidette, innamorato di Danae: sunek£-

lei toÝj f…louj, meq’ïn kaˆ Persša, lšgwn œranon sun£gein ™pˆ toÝj =Ippodame…aj

tÁj O„nom£ou g£mouj.77 Call. Hymn VI,72.

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È forse interessante notare che Erisittone è presentato da Callima-co alla testa di venti giganti occupati insieme a lui a raccogliere legnaper la costruzione di una sala da pranzo in cui si progetta lo svolgi-mento di numerosi banchetti. A questo proposito vale la pena citareciò che, ancora in relazione a Erisittone, Gernet scrisse in un altroinedito (La polyvalence des images):

D’autre part, Callimaque nous montre Erysichton à la tête d’une bandede 20 géants et lui fait dire qu’il entend tailler dans le bois la couvertured’une salle de festin à l’intention de ses «compagnons». Il est normalqu’un chef ait ses «nourris», et la tradition ne l’a pas oublié: la notion seprécise ici dans celle d’une troupe qui participe à la construction d’une«salle» dont le souvenir evoque la «maison d’hommes» de la Crète histo-rique et les institutions correspondantes de Sparte. 78

L’uso di œranoj da parte di Callimaco sembra molto preciso, vistoche, entro l’inno, l’indicazione del banchetto e della festa avvienecon tre vocaboli diversi 79. Nel caso di Erisittone la possibilità di in-serirsi nel circuito di reciprocità veniva ad essere frustrata, poiché,come narra lo stesso Callimaco nei toni grotteschi propri di questoinno 80, la famiglia aveva dilapidato completamente il patrimonio.

La peculiarità dell’œranoj-banchetto consiste proprio nel trattodella reciprocità che dà origine ad un circuito di prestazione e con-troprestazione. Un esempio celebre, cui si fa cenno nel testo quipubblicato e utilizzato da Gernet anche nell’Anthropologie, è costituitodal banchetto di Tantalo e dagli ¢moiba‹a de…pna pindarici 81.

L’œranoj sembra inoltre connotato da caratteristiche che lo distin-guono dagli altri tipi di banchetto. L’attestazione odissiaca del termi-ne cui accenna anche Gernet in apertura del suo lavoro costituisce, a

78 ALG II,1,4r.79 Al v. 62: da…ta; v. 63 e„lap…nai. La distinzione tra g£moj, e„lap…nh, œranoj è già

omerica. La serie dei tre termini potrebbe quindi essere in Callimaco anche una sempli-ce ripresa epica. Si veda anche Longo 1986, p. 108 ss., dove vengono discussi vari e-sempi di banchetto attestati nell’epica.

80 Si vedano a questo proposito le osservazioni contenute in Hopkinson 1984 (nelcui commento si sostiene che il termine œranoj significhi semplicemente «feast») e inD’Alessio 1996 ad loc.

81 Cfr. Pind. Ol. I,39. Si veda la discussione del passo in Gernet 1968, pp. 48 e 192.Cfr. anche Longo 1986, p. 111, dove viene citato anche Epicarmo, fr. 87 Kaibel e Pind.Pyth. XII,14.

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questo proposito, un buon esempio: il banchetto a spese comuni èinfatti opposto alla festa nuziale e al banchetto sacrificale sontuoso.In a 225-226 si legge:

225 t…j da…j, t…j daˆ Ómiloj Ód’œpleto; t…pte se creè;e„lap…nh ºþ g£moj; ™peˆ oÙk œranoj t¦de g’™st…n.

Anche in l 413 è operata la stessa distinzione tra le tre forme dibanchetto. Siamo nel corso della Nškuia e Odisseo dialoga con Aga-mennone, il quale sta narrando la propria morte «miserrima» (l 412ìj q£non o„kt…stJ qan£tJ). L’Atride paragona la propria morte aquella di sÚej ¢rgiÒdontej che vengono uccisi nella casa di un uo-mo potente:

o† ·a t’™n ¢fneioà ¢ndrÕj mšga dunamšnoio415 À g£mJ À ™r«nJ À e„lap…nV teqalu…V.

Sia valida o meno la distinzione proposta da Oddone Longo tra«banchetti su contribuzione» e «circuito di convivialità» 82, la ritualitàdi un œranoj-banchetto è bene attestata nella documentazione mito-grafica, dove essa è riferita ad una dimensione di cui potrebbe sem-brare persa ogni traccia in età storica. Gli esempi omerici e quellipindarici, così come quello callimacheo, sembrerebbero costituireinsomma una sorta di background etico ad una pratica ormai sparita.La gratuità del prestito eranico, la contribuzione dei singoli alla rac-colta del denaro e l’uso prevalentemente «familiare» avrebbero la-sciato il segno di un’usanza antichissima, ma oramai definitivamentetramontata. Le cose non sembrano però stare esattamente in questitermini.

L’associazione tra œranoj e banchetto è presente anche in etàclassica. Da più parti si è osservata l’esistenza di gruppi autonomi afinalità conviviale (dining clubs) 83. Oswin Murray ha dedicato la suaattenzione soprattutto al simposio, sottolineandone i ruoli e le carat-teristiche all’interno della pÒlij. L’œranoj è associato da Murray adun vasto numero di gruppi conviviali ed è inserito nell’ambito di unfenomeno assai generale: «the survival into the age of the polis of a

82 Cfr. Longo 1986, p. 111 e passim.83 Vondeling 1961, p. 258.

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pre-existing aristocratic social organisation through the feast of me-rit» 84. Pauline Schmitt Pantel ha sottolineato lo stretto rapporto tra iltipo di banchetto di cui l’œranoj fa parte e l’etica del dono studiatada Marcel Mauss. Per ciò che riguarda l’œranoj il lessico di età classi-ca è – come noto – piuttosto ambiguo. Sulla scorta del lavoro diVondeling, la Schmitt-Pantel parla di «dualité du service et du serviceen retour» 85. La testimonianza più antica dell’esistenza di società pri-vate che trovano nella commensalità una delle proprie forme di so-cialità e che hanno nome œranoj è offerta da un frammento di Ari-stofane:

próhn ™ranist¦ ˜stiîn ¼yhs’œtnoj. 86

L’associazione tra œranoj-banchetto e amicizia è presente anchein età più tarda. Demetrio di Skepsis 87 racconta che Ermesianatte,nella corte di Antioco il grande, ricevette – grazie alla propria esecu-zione – l’onore di essere ammesso al banchetto:

oÛtwj Âse tÕn basilša ést’™r£nou te ¢xiwqÁnai kaˆ tîn f…lwn eŒj ge-nšsqai.

Anche l’uso metaforico di œranoj si rivela utile per la compren-sione dell’idea di contributo individuale alla collettività, e sono moltigli usi «politici» del termine: in genere l’idea è quella del versamentodella propria parte alla dimensione collettiva 88. Il valore metaforico

84 La riflessione di Murray non si occupa direttamente dell’œranoj, che egli sceglieesplicitamente di non trattare: «But religion itself and the religious eranos would be awhole other krater, which I do not yet feel ready to mix» (Murray 1983, p. 268). Si veda-no Murray 1980 (dove il simposio è posto in relazione con il Life Style aristocratico),Murray 1982 (Simposio e Männerbund), Murray 1983. In Murray (ed.) 1990, la questio-ne è aggredita da diversi punti di vista.

85 Schmitt-Pantel 1992, p. 56. Cfr. Vondeling 1961, p. 262 «In accordance with theoldest meanings of œranoj it must be assumed that its essential meaning was “servicewhich is service in return or expects a service in return”». Cfr. anche ibidem: «the essen-ce of œranoj is that it is a service which evokes and completes another service».

86 fr. 408 Kock. Si veda anche Phot. s.v. ™ran…saj. ™ranist»j è detto colui che par-tecipa all’œranoj. In età più tarda Aristotele potrà muovere delle critiche verso il com-portamento di chi possa confondere lo svolgimento di un œranoj con quello di un ban-chetto di nozze (Arist. Eth. Nic. 1123a19 ss.).

87 Apud Athen. IV,155b.88 Così ad esempio in Aristoph. Lys. 653 e Thuc. II,43,1-2.

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di œranoj può inoltre applicarsi anche al rapporto tra genitori e fi-gli 89.

Solo a titolo di esempio, per verificare l’etica della contropresta-zione che sta alla base del prestito degli eranisti, è interessante ricor-dare il § 184 (= 101) dell’orazione demostenica Contro Midia, ed illucido commento di D. Mac Dowell. In Dem. XXI,184 si legge:

™gë nom…zw p£ntaj ¢nqrèpouj ™r£nouj fšrein par¦ p£nta tÕn b…onaÙto‹j ...

L’uso di œranoj vuole qui indicare una norma basilare della reci-procità nell’agire quotidiano. Non si tratta tuttavia di un principiogenerale che stabilisce una relazione direttamente proporzionale trale proprie azioni e le reazioni da parte degli altri. Il valore è invecequello di una sorta di reciprocità differita nel tempo, di un circuito direciprocità. Come ha sottolineato Mac Dowell, usando i termini pro-pri all’œranoj-prestito non diremmo qui che «ciò che presti ti verràrestituito», ma piuttosto che «ciò che presti, ti sarà prestato in un’altraoccasione» 90.

Tra coloro che contraggono questa forma di prestito amichevolesi creano vincoli che, esasperati dall’ironia di Teofrasto, possonoapparire di difficile soluzione. In Char. XVII,9 il debitore di un œra-

noj si dice angosciato, e non felice, di essere riuscito a raccogliere lasomma di cui necessitava. Oltre alla restituzione del denaro – pre-sentata come dato di fatto –, si parla della gratitudine dovuta al «be-nefattore»:

kaˆ ™r£nou e„senecqšntoj par¦ tîn f…lwn ... de‹ t¢rgÚrion ¢podoànai™k£stJ kaˆ cwrˆj toÚtwn c¦rin Ñfe…lein æj eÙergethmšnon. 91

L’obbligazione sembra nascere come puro accordo delle parti,come fiducia nel valore dell’accordo in quanto tale, nella solennità

89 Cfr. la sentenza attribuita a Talete (D.K. A 1,37), Arist. Pol. 1332b35-41, Aless. fr.280 K.

90 Mac Dowell 1990, p. 323.91 Theophr. Char. XVII,9. Secondo Longo 1986 un altro passo di Teofrasto allude-

rebbe alla pratica dell’œranoj ed in particolare alla pratica del banchetto a spese comu-ni (Theophr. XXX,18). L’ipotesi, suggestiva, potrebbe fornire un ulteriore esempio dicontinuità della pratica del banchetto.

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data da un rispetto religioso delle forme 92. La nascita di questa no-zione trova nel prestito operato da associazioni private come l’œra-

noj un terreno di fertile sviluppo che sembra avere lasciato più diuna traccia nella vita giuridica ateniese.

La legislazione platonica dell’utopia delle Leggi non prevede in-fatti una persecuzione giudiziaria per il debitore insolvente in casodi œranoj e la disposizione riguarda in generale tutte le operazionidi credito. Sembra anzi di potere affermare, se è vera una notizia ri-portata da Teofrasto 93, che la non copertura giudiziaria delle opera-zioni di credito non appartenga solo all’ambito ateniese. Per restareall’ambito ateniese, ricorderemo che, in riferimento al prestito gra-tuito degli amici, Platone ammette – usando la stessa formula delleleggi ateniesi (tÕn boulÒmenon) – la riunione dell’œranoj-prestito tragli amici (accordando quindi l’inserimento della tradizione nella proie-zione utopica del proprio progetto), ma nega in modo assoluto lapossibilità di copertura giudiziaria in caso di dilazione del pagamento:

’Er£nwn dþ pšri, tÕn boulÒmenon ™ran…zein f…lon par¦ f…loij: ™¦n dþ tijdiafor¦ g…gnhtai perˆ tÁj ™ran…sewj, oÛtw pr£ttein æj dikîn mhdenˆperˆ toÚtwn mhdamîj ™somšnwn. 94

Il dato è in aperto contrasto con la descrizione che abbiamo delsistema giudiziario ateniese nella ’Aqhna…wn Polite…a. Aristotele an-novera infatti tra le d…kai œmmhnoi proprio la d…kh ™ranik» dando co-sì testimonianza dell’esistenza di questo tipo di azione, peraltro scar-samente documentata 95.

Introducendo l’edizione delle Leggi per la Collection des universi-tés de France, Louis Gernet ha insistito a più riprese sui contatti tral’utopia platonica ed il diritto ateniese, ribadendo in più occasioni lapossibilità di inserire, per la conoscenza di determinati aspetti deldiritto greco antico, Platone (insieme ai comici e alla documentazio-

92 L’importanza del rispetto del formalismo è sottolineata da I. Meyerson 1948, p.21 ss.

93 Apud Stob. Ecl. IV,20. Il riferimento è gernetiano ed è in relazione alla legislazio-ne di Caronda.

94 Plat. Legg. XI,915E.95 Arist. Ath. Pol. LII,2. Non ci resta che qualche frammento di lÒgoi ™raniko…. Ma

cfr. Todd 1993, p. 98 ss.

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ne mitologica) tra le fonti della nostra conoscenza 96. A propositodelle operazioni di credito le disposizioni platoniche sono messe inrelazione con uno stadio legislativo arcaico, che comunque potevaessere conosciuto in altre città 97.

Il credito in quanto tale non viene riconosciuto; per far valerel’obbligazione sono necessari dei riti giuridici quali la costituzione digaranzie. È un dato comunque interessante – come osserva lo stessoGernet – che proprio Platone parli di uno dei mezzi che possonoavere contribuito alla nascita della obbligazione, la cauzione. InLegg. V, 742c si legge infatti:

mhdþ nÒmisma parakatatiqšsqai ÓtJ m» tij pisteÚei.

dove il verbo parakatat…qhmi può riferirsi tanto al creditore che aldebitore. È importante ricordare che, se si fosse verificata la primaipotesi, il significato sarebbe, secondo Gernet, se faire remettre engage 98. Il deposito di una somma di denaro o l’impegno della perso-na di un garante costituirebbero i mezzi con cui un costume anticoha contribuito al concretizzarsi dell’obbligazione.

Come si vede, ci sono dei temi che hanno funzionato da contrap-punto all’intera riflessione gernetiana. La stessa questione della na-scita dell’obbligazione torna in occasioni diverse della produzionescientifica edita e inedita dell’autore del manoscritto. Ciò che si vuo-le ancora una volta notare è che queste direzioni di indagine si sfio-rano, si intersecano, si allontanano continuamente. La riflessione suun istituto giuridico ha toccato quella sulla famiglia (senza la qualeesso risulta difficilmente comprensibile), ma anche quella relativaalla formazione politica e quella più propriamente giuridica.

La conclusione è, dal punto di vista della giusgrecistica, un po’ insordina. Non credo infatti che questo inedito porti sostanziali ele-menti di novità sul versante del funzionamento del diritto ateniese

96 In Gernet 2000 un paragrafo intero del primo capitolo è dedicato alle Sources,comprendendo sia le fonti della nostra conoscenza sia le fonti giuridiche in senso stretto.

97 Gernet 1951, p. CLXXV «Jusque dans ses partis pris, le droit platonicien est toutautre chose en l’espèce que fantaisie pure: il se réfère à un état de législation qu’onpeut qualifier d’archaïque, mais qui n’avait pas encore disparu, qui était même sansdoute assez largement représenté en dehors des cités commerçantes».

98 Il significato è associato da Gernet a IJG XXII,27.

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relativamente all’istituto di credito eranico. A dire il vero, come hocercato di fare emergere, questo non era forse neppure il vero inten-to di Gernet, almeno nella prima fase di stesura del testo. Gli oratorisono praticamente assenti tra le citazioni, e non si insiste in modoparticolare sulle articolazioni o sul funzionamento dell’istituto in etàclassica. Tutt’altro che assente dall’orizzonte del lavoro, la dimensio-ne giuridica è assunta come base di partenza e di arrivo per unariflessione di antropologia sociale di grande rilevanza. Ciò che è ingioco, insieme alla questione della nascita del contratto, è l’elabora-zione della pÒlij e l’articolazione dei gruppi familiari (e non) al suointerno.

Si è visto che l’ipotesi di una seconda revisione del lavoro (forse«più giuridica») sembra trovare qualche conferma nei molti testi chesono elencati, senza ordine apparente, nelle schede di corredo altesto. Il terreno del probabile si rivela tuttavia troppo insidioso e inquesta sede è meglio limitare la presentazione a ciò che il documen-to appare oggi, nella redazione che ci è pervenuta.

Ho aperto questa presentazione citando una frase di Dodds sullapersistenza dello spettro della famiglia in età classica. Vorrei chiude-re citando un problema, sollevato da Gernet sotto forma di doman-da, che ha stretta attinenza con l’intero ragionamento sviluppato nel-l’inedito. L’analogia tra le due citazioni è in primo luogo nella loroforma. Occupandosi di gšnoj et autres, la parte di Les désignationshomériques de la parénté che forse ha più relazione con Eranos,Gernet scrive: «Mais pourquoi le fantôme du gšnoj continue-t-il d’en-combrer l’imagination historique?» 99.

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99 Cfr. Gernet 1983a, p. 166 (= 1997, p. 49).

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ERANOS *

Il ne s’agit pas d’examiner ou de reprendre les problèmes qu’intéres-sent l’une ou l’autre des institutions que ce mot désigne. Il s’agit dececi: œranoj s’applique à un prêt d’amitié dont les deux caractèresessentiels sont qu’il est gratuit et qu’il est consenti par plusieurs indi-vidus à la fois; œranoj s’applique aussi à une forme d’associationreligieuse, analogue aux thiases et aux groupes d’orgéons, dont l’or-ganisation et le fonctionnement nous sont connus par un certainnombre de documents épigraphiques. Entre ces deux emplois duterme, entre ces deux institutions, quel est le rapport?

I

On dirait la question vidée, et qu’il n’y ait pas lieu d’y revenir; lathèse courante, aujourd’hui, c’est que le rapport est tout extérieur; cene serait pas une pure homonymie, mais presque. Le plus ancienemploi du mot est d’Homère: il y désigne une espèce de pique-nique 1. En partant de l’idée générale de «réunion à frais communs»,on aurait abouti à deux sens: d’une part association permanented’un caractère religieux, et qui organise des repas à intervalles pério-diques; d’autre part, cotisation en vue d’un prêt. Donc, dérivationlogique dont les points d’arrivée sont bien distincts: «Les diversessignifications du mot doivent être rigoureusement séparées» 2.

Historiquement, cette thèse s’oppose à une thèse ancienne – trèsancienne et qu’il n’est pas question de reprendre, car, dans l’état

* Una prima trascrizione del manoscritto è scaturita dalla collaborazione fra me eRenato Amenta, che qui ringrazio, in occasione della tesi di laurea da questi sostenutaa Milano sotto i comuni auspici dell’Istituto di diritto romano della Facoltà di Giurispru-denza dell’Università Statale di Milano e dell’insegnamento di Antropologia del MondoAntico dell’Università degli Studi di Pisa. Per la presente pubblicazione ho effettuatouna seconda revisione intervenendo con nuove integrazioni e correzioni rispetto a quan-to era stato trascritto in un primo momento.

1 [Cfr. Gernet 1968, p. 47].. 2 [La citazione è tratta da un lavoro che Gernet tiene molto presente in questa pri-ma parte del suo studio: Lipsius 1915 (cfr. p. 730: «Das Wort hat verschiedene Bedeu-tungen, die scharf zu scheiden sind». Si vedano anche Foucart 1873, pp. 2-3, 142 e Rei-nach s.v. Eranos in Dictionnaire des antiquités].

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actuel des documents, elle est visiblement périmée: c’est que l’éraneaurait été quelque chose d’intermédiaire, une forme mixte, c’est àdire une association religieuse – une association au premier sens –mais qui aurait prévu la pratique régulière du prêt gratuit en faveurde ses membres, qui par elle-même et [1v] par définition, aurait faitoffice de banque coopérative. Cette forme mixte, on ne la rencontrepas; et il est bien certain qu’au point de vue de la terminologie, ilconvient de distinguer, en effet, l’érane-prêt et l’érane-association 3.

Cela veut-il dire qu’il n’y ait pas de lien véritable entre les deux?La question que nous posons ici dépasse, et peut dépasser à bondroit, celle où l’on paraît se confiner. On raisonne comme si la prati-que même du prêt gratuit et d’ailleurs obligatoirement remboursableétait une chose qui allât de soi et comme si, à une opération quiparaît très naturelle, on avait simplement transporté le terme qui im-pliquait l’idée abstraite de cotisation: pareil sous-entendu peut éton-ner quand on considère avec quelles difficultés et par quels tâtonne-ments la notion d’obligation contractuelle est entrée dans les esprits,et quand on sait que l’antiquité classique elle-même pourrait en té-moigner. On en vient plutôt ainsi à se demander si le développe-ment de cette notion n’a pas été favorisé, en Grèce, par l’existencedes sociétés privées que nous savons y avoir été si fréquentes etdont l’œranoj est une espèce – ou une désignation entre d’autres 4.

L’idée qu’on se fait ici du développement sémantique n’est ac-ceptable qu’en apparence. Il est curieux que le progrès même desétudes l’ait rendue à la fois plus radicale et plus difficile à admettre.On a d’abord pensé à déduire tout au moins la notion de l’érane-prêtde celle de l’érane-association: on faisait observer qu’ «il y a une

3 [Cfr. ancora Lipsius 1905, p. 730 dove si discutono le tesi di Foucart 1873, vanHolst 1835 e Caillemer 1872. In quest’ultimo studio viene citata una disputa tra studiosidel XVII secolo che appare curiosa nella sua formulazione. Il secondo paragrafo del la-voro di Caillemer, quello dedicato alle società di eranisti, inizia infatti con queste paro-le: «ce sujet a déjà été plusieurs fois étudié; c’est même à son occasion que deux éruditsdu XVIIe siècle, Saumaise et Héraud, engagèrent une lutte plus honorable pour leurscience que pour leur coirtoisie»].

4 [L’argomentazione è qui in stretta relazione con quanto Gernet ha scritto sul-l’œranoj nel suo lavoro del 1928 sulle Frairies antiques (Gernet 1968, p. 51). Per il pro-blema della nascita della nozione di obbligazione si vedano anche gli inediti citati nellaPresentazione, nonché Biscardi 1982, p. 143 ss. e, più di recente, Todd 1993, pp. 264,con bibliografia].

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sorte d’association plus ou moins étroite entre des coprêteurs» et ons’expliquait la filiation de sens en admettant que la forme de l’œra-

noj-prêt était «la plus récente» et «probablement dérivée» de l’autre 5.Mais les données historiques, décidément, ne s’accommodent pas àcette hypothèse: c’est assez tard 6 que [2r] nous voyons fleurir l’asso-ciation dénommée œranoj; auparavant, nous constatons que le prêtd’amitié est déjà d’une pratique très fréquente: la succession chrono-logique serait donc inverse de celle qu’on supposait. Dès lors, plusde déduction ou de dérivation possible, de l’une à l’autre forme,entre les deux, la séparation même doit être encore plus accusée:car, occasionnel et bénévole, le prêt collectif ne nous indique pasl’existence d’une société quelconque; et quand on opposait l’œranoj-Sozietät à l’œranoj-Verein, on n’allait pas encore assez loin: il faut sedébarrasser de toute notion de Sozietät 7.

Il est possible, après tout: on peut toujours faire des réserves enface d’une théorie qui dogmatise à la faveur d’une documentationtronquée, mais il est possible; l’exposé qu’on vient de voir est celuique commandent les textes jusqu’à nouvel ordre: nous le respec-tons. Mais alors, on voit que les deux formes essentielles de l’œranoj

ne se lient plus entre elles qu’à l’aide d’une idée très abstraite ouplutôt très vague: un même mot aura signifié une opération contrac-tuelle, probablement profane bien entendue, et puis plus tard uneassociation œneka qus…aj kaˆ … comme parle Aristote 8 – sans qu’une

5 [Tutte le citazioni sono tratte da Reinach, in Dictionnaire des antiquités, p. 805,che si rivela largamente utilizzato da Gernet in questa prima parte dell’articolo].

6 [La datazione bassa dell’apparire delle associazioni religiose nella documentazioneepigrafica non sembra comportare una assenza di associazioni di questo tipo in età classi-ca. Si veda a questo proposito Arnaoutoglou 1998, p. 69 «lack of evidence does not neces-sarily mean absence of associational activity». L’emergere delle associazioni è connessoda alcuni al declino della pÒlij. Cfr. Kloppenborg 1996, p. 17: «Voluntary associations –collegia in latin thiasoi, koina, orgeones, eranoi, and a variety of others terms in Greek –are essentially phenomena of the Hellenistic period … although the mention of hieronorgeones and thiasotai in Solon’s law indicates that associations were in existence in sixth-century Athens, it was the Age of Alexander that witnessed the striking proliferation ofthis associations». Su una linea diametralmente opposta rispetto a questa posizione – for-se un po’ troppo olocomprensiva – si vedano le osservazioni di I. Arnaoutoglou (1998)].

7 [Cfr. Poland 1909, p. 28 in linea con le tesi di Ziebarth (1896, p. 15 ss.). AncheLipsius 1915, p. 730 n. 197 si colloca sulla stesse posizioni].

8 [Il nome di Aristotele rinvia qui senz’altro a E.N. 1159b-1160a. In particolare la ci-tazione è tratta da E.N. 1160a20: œniai dþ tîn koinwniîn di’¹don¾n dokoàsi g…gnesqai,

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pratique sociale quelconque les rattache l’une à l’autre, et parce [2v]qu’ainsi l’aura voulu le caprice de la logique? Il n’est pas facile decomprendre cela. On s’en tient, en somme, à une question de termi-nologie étroite: on distingue, comme il faut le faire, deux institu-tions; et parce que les textes n’en révèlent pas une autre, et parcequ’il semble abusif d’en supposer une, dénommée du même termeet qui pouvait faire le pont entre les deux, on les sépare radicale-ment: au fond, la conclusion dépasse les prémisses. La question quenous posons pour notre compte dépasse, et peut dépasser à bondroit ——

9.Et cela sans faire tort au témoignage des textes: le nom d’érane

peut fort bien n’avoir été appliqué qu’assez tard à un certain typed’association sans qu’il soit interdit d’admettre que l’érane-prêt soitné dans les sociétés religieuses privées.

II

Préciser l’hypothèse, ce sera mentionner ou rappeler les liens qu’onpeut constater, malgré tout, entre les deux emplois du mot.

D’abord, dans le mot lui-même: on n’a pas le droit d’en faireabstraction, et si l’étymologie ne peut rendre raison des emploisd’un terme, il faut tout de même en tenir compte. Or une dérivationparfaitement correcte apparente œranoj et ™ort» 10. Il y a donc aumoins des chances pour que l’opération dénommée œranoj se rap-porte en principe à des fins religieuses, suppose une réunion denature religieuse. Le pique-nique vulgaire qu’on voit dans les exem-

qiaswtîn kaˆ ™ranistîn: aátai g¦r qus…aj ›neka kaˆ sunous…aj. Per una discussio-ne aggiornata del passo si veda Arnaoutoglou 1998, cha basa il proprio approccio distudio delle associazioni religiose di Atene sul passo aristotelico in questione].

9 [Tra i diversi simboli usati, in modo coerente, da Gernet nella stesura dei suoi mano-scritti il trattino basso allungato sta a indicare un discorso le cui argomentazioni non sonoesplicitate. Nel nostro caso la frase in questione è identica a quella che si trova al f. 1v].

10 [Argomentazione vicina a Gernet 1968, pp. 47-48. «L’etymologie permet des pre-cisions: le rapport œranoj-™ort» est autorisé et quasi commandé par la linguistique …».L’etimologia è presentata come la più probabile in Chantraine, Dictionnaire étimologi-que de la langue grecque. Vale la pena di ricordare la paretimologia antica che legaval’istituzione al verbo ™r©n. Si veda in proposito Vondeling 1962, cap. IX. Si vedano an-che pp. 264-267].

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ples homériques ne doit pas faire illusions 11. Il faut compter avec lespartis pris sociaux d’Homère: chez lui, le féodal prédomine, et cesont les rois qui régalent, parce que telle est leur fonction, la marqueet garantie de leur souzeraineté; d’autres réalités sociales sont lais-sées par lui dans l’ombre, et notamment ces banquets à frais com-muns qui sont en réalité des banquets sacrificiels, et qui se ratta-chent à de très anciennes formes de société – il suffit de rappelerceux des hétairies et syssities. Aussi bien, le mot peut-il prendre lesens défini de «festin public [3r] à la suite d’un sacrifice» comme onle voit dans un exemple très net de Pindare 12. Ainsi le «premier sens»du mot ne saurait être purement profane ou laïc: dériver d’une pureidée de cotisation, qui serait l’idée primordiale, l’emploi du mot œra-

noj comme désignant une association permanente, c’est ce qui neparaît pas possible.

Inversement, la terminologie permet de voir combien la pratiquede l’érane-prêt plonge dans la vie de société 13. A première vue, elleen paraîtrait indépendante: dans l’usage à l’époque classique, àAthènes, et dès le V siècle, on voit le prêt d’amitié se constituerspontanément, pour une nécessité occasionnelle; un individu a be-soin d’argent: il s’adresse à plusieurs compagnons qui fournissentchacun leur quote-part, «il réunit un érane». Mais la généralité mêmede l’usage, les principes sous-etendus auxquels il se plie attestentqu’il y a là une véritable institution: et que l’institution suppose aupoint de départ une association définie, c’est le seul moyen d’expli-quer deux choses: d’abord, l’idée de réciprocité que nous constatonsdans la terminologie relative au prêt d’amitié; ensuite, le parallélismedes expressions qui sont consacrées dans l’érane-prêt et que nousretrouvons dans l’érane société. [3v] Un rapprochement aussi intimeque celui qui se faisait ainsi dans la pensée des Grecs entre les deuxespèces d’érane nous rend concevable un fait capital dont on nevoudrait plus tenir compte: c’est que la société dénommée œranoj

11 [cfr. a 226 e l 413. L’allusione al pique-nique mostra il contatto tra l’argomenta-zione di Gernet e le notizie ricavabili in Reinach (Dictionnaire des antiquités) e in Cail-lemer 1873].

12 [Pind. Ol. I,35 ss.].13 [L’argomentazione è in stretto contatto con Droit et prédroit (Gernet 1968, pp.

194-195)].

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pratique à l’occasion le prêt dénommé œranoj. Nous en avons unexemple irrécusable dans une inscription d’Amorgos 14, qui a étél’objet de bien des commentaires. Il s’agit d’une borne hypothécaire,attestant qu’un certain Xénoclès a engagé ses biens en garantie d’unecaution constituée à l’occasion d’un érane: l’engagement a lieu auprofit «de l’érane, du président de l’érane (¢rcšranoj) Aristagoras etde la femme d’Aristagoras», et le cautionnement a été souscrit «pourl’érane réuni par Aristagoras conformément aux statuts des éranis-tes». Laissons provisoirement de coté certaines difficultés d’interpré-tation, touchant la nature des opérations juridiques que sont ici men-tionnées: il est visible, en tout cas, qu’il y a, d’une part, un érane-association, à quoi se rapportent le titre ¢rcšranoj (mettons qu’Aris-tagoras l’ait fondé – Cf. Poland) 15 et la mention du nÒmoj tîn ™ra-

nistîn; d’autre part, un érane prêt, opération à laquelle sont asso-ciés Aristagoras à titre de «collecteur de l’érane» et Xénoclès à titre de«caution». Voilà donc le témoignage [qui n’est peut-être pas isolé] –sur lequel il semble pourtant qu’on n’ose pas insister – de l’associa-tion étroite qu’il peut y avoir à l’occasion entre les deux emplois dumot. [4r]

III

Les données nous paraissent suggestives. Il s’agit d’en tirer un ensei-gnement défini. Nous avons vu, en somme: qu’il est impossible deséparer radicalement les deux érans; qu’il est impossible de rattacherle sens d’érane-société à l’idée vulgaire de cotisation qui se seraitd’abord développée dans le prêt d’amitié; qu’il est impossible enfinde considérer ce dernier comme une formation arbitraire et toutespontanée. La conclusion est celle que nous avions laissé entrevoir:le prêt d’amitié a été pratiqué d’abord entre membres d’une mêmesociété, à la faveur des liens qui les unifiaient et de la fides qu’un telmilieu pouvait créer. Pour justifier cette conclusion, il faut surmonterune difficulté: ne revenons-nous pas à l’interprétation que nous di-

14 [IJG LXIV, p. 116: kaˆ ’AristagÒrai tîi ¢rcer£nwi kaˆ tÁi gunaikˆ aÙtoà ...

kat¦ tÕn nÒmon tîn ™ranistîn. Si veda Foucart 1873, p. 226].15 [Il riferimento è a Poland 1909, p. 32].

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sions périmée, et ne supposons-nous pas, sauf à la rejeter dans lesbrumes du passé, l’existence d’un érane-société qui aurait été, enmême temps qu’une association religieuse, une association de se-cours mutuel? 16 – Sur quoi, on observera d’abord que la lettre mêmede l’hypothèse n’autorise pas cette traduction: autre chose est d’ad-mettre qu’un certain prêt – le mutuum au sens étymologique dumot, mais pourvu d’ailleurs d’une singularité instructive – a trouvédans les sociétés en général un terrain favorable pour sa naissance etson développement, autre chose de postuler arbitrairement un [4v]très ancien érane mixte que les documents ne nous donnent pas,sous prétexte qu’ils auraient pu nous le donner. Mais aussi bien, ilfaut s’expliquer sur le terme même, puisque c’est la terminologie quihypnotise; or, de ce que le terme n’est appliqué qu’assez tard à uneassociation – plus tard, dans l’état de nos textes, qu’après avoir servià désigner le prêt d’amitié – il n’y a rien à conclure quant à notreobjet: c’est en réalité la valeur propre du mot œranoj qui explique cedouble emploi et qui rattache, positivement, la pratique du prêt à lapratique de l’association. Des principales sociétés religieuses quedésigne un terme générique – thiases, éranes, groupes d’orgéones –la société dénommée érane est la plus récente; on ne la rencontrepas dans les textes épigraphiques avant le milieu du IIIe siècle (en-core, Aristote), tandis que, dans la suite, elle est celle qui apparaît laplus vivante: on voudrait en conclure qu’elle témoigne d’un momentdéfini dans le développement de la vie d’association, qu’elle repré-sente un type plus ou moins nouveau où la pensée religieuse seraitplus ou moins oblitérée; pour désigner ce type, on aurait recouru auterme laïque qui avait beaucoup servi par ailleurs et où l’idée mêmede société n’était qu’adventice. Il est clair qu’en face d’une pareille[5r] théorie, notre hypothèse ne tiendrait plus. – Mais la théorie pro-cède d’un postulat bien contestable: c’est que les noms des sociétés

16 Cfr. Foucart, p. 142 ss. [Il riferimento – gernetiano – è a Foucart 1873, pp. 142-143. La posizione assunta da Foucart è quella di una separazione netta tra l’idea di as-sociazione religiosa e quella di prestito. A p. 146 Foucart afferma «... il y a loin de là àune société de secours mutuels ... de plus, aucun fait certain ne permet d’attribuermême cet usage ainsi restreint de l’éranos aux associations religieuses dont nous étu-dions les monuments». Si veda anche Lipsius 1905, p. 730 n. 197: «Darum verzichte ichauch, mit Ziebarth, von Eranossozietät im Gegensatz zum Eranosverein zu sprechen»].

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répondent à des types rigoureusement spéciaux 17; quand même ilserait établi – et cette formule plus modeste serait aussi plus accepta-ble – que la désignation œranoj, ™ranista… ne se répand vraimentqu’à partir du III siècle, il ne s’en suivrait point qu’elle indiquât uneespèce à part, et qu’elle notât une idée nouvelle par rapport auxautres espèces. Les faits, du moins, sont contraires. Car sans compterqu’il est question d’œranoj dans des sociétés qui portent un autrenom – nous allons y venir – nous voyons que des associations vouéesau même culte peuvent s’appeler, ici, éranos et là thiases; nousvoyons que le président d’un thiase peut avoir le titre d’™ran£rchj.

Cet échange de termes s’explique parfaitement quand on consi-dère la valeur précise, en matière de société, du mot œranoj. Pourdésigner la société même, il est très rare, et c’est presque une ellipseconventionnelle que justifie d’ailleurs le «génie de la langue», quinous fait parler des œranoi-sociétés: l’expression normale, c’est tÕn

koinÕn tîn ™ranistîn. L’œranoj, on l’a vu il y a déjà longtemps, c’estproprement la contribution apportée par les membres d’une société.[5v] Cette contribution n’est pas nécessairement en argent: elle peutêtre en nature et on conçoit qu’elle consiste dans l’apport obligatoirede chacun à un festin sacrificiel: on entrevoit, dans telle société, uneréforme qui l’aurait convertie en cotisation pécuniaire. En tout cas,rien ne limite l’emploi du mot à un type particulier de société: cetœranoj est mentionné dans des sociétés qui ne sont pas d’«éranistes».Et il apparaît que, pris dans son vrai sens, l’œranoj est la désignationtechnique d’un usage commun à bien des associations et quasi né-cessaire à toutes.

Dès lors, la question du rapport entre les deux «érans» est quel-que peu renouvelée: elle devient celle de la genèse d’une formecontractuelle. Nous admettons comme première valeur d’œranoj cel-le de contribution à un acte religieux, à l’intérieur d’une société.L’étymologie nous permet de la préciser puisque la racine impliquel’idée de prestation, qui se retrouve à l’occasion dans le terme appa-renté ™ort». Le transfert de sens, qui est indéniable, mais qui nouspermet de saisir comment le prêt d’amitié a pu naître, a consisté à

17 [Sovrascritto, tra parentesi: cfr. Roussel. L’ipotesi più probabile è che il nome rin-vii ad un lavoro di P. Roussel utilizzato da Gernet anche al momento della stesura dellostudio sulle Frairies antiques. Si tratta di Roussel 1916].

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étendre cette désignation aux cotisations versées par des membresde la société pour [6r] assister l’un d’entre eux, à charge pour celui-ci de les rembourser suivant telles modalités: nous avons vu en effetce genre de prêt pratiqué dans les sociétés. Ce transfert de sensn’avait rien d’arbitraire: la pensée reste continue; si l’éranos prenaitainsi un aspect plus profane, l’opération nouvelle n’était possiblequ’à la faveur du caractère religieux qui revêtait la première formedu prestige et du respect qui s’y attachait. Non seulement la naturedes liens qui unissent les membres d’une même société peut rendrecompte de la spontanéité de l’opération, de la confiance des uns etdu sentiment d’obligation de l’autre: mais l’éranos nouveau se couledans les mêmes formes que le précédent, et par là nous comprenonssa nature d’institution, qui nous avait déjà paru inexplicable si on nela rattachait à la vie d’association, à ses usages et à ses règles (nÒmoi).Normalement, il suppose des cotisations égales; normalement, il estremboursé par versements échelonnés qui sont désignés par lemême nom de fora… que les contributions périodiques des éranis-tes, des thiasotes, des orgéons, etc. [6v]

IV

Ce n’est pas d’hier qu’on a tenté l’étude scientifique, ou du moinsdescriptive, des obligations dans leur plus lointain passé: plus onregarde de prés à ces faits multiples et bigarrés qu’on a commencéde rassembler (H. Post) 18, plus on se persuade que les origines dudroit contractuel son multiples (Huvelin - Davy) 19. Si notre étude aune raison d’être, c’est de montrer quel intérêt présente, à ce pointde vue, l’institution de l’œranoj. Double intérêt, semble-t-il: 1°) nous

18 [H. Post, Ethnologische Jurisprudenz, 1893. Sul contributo di Post all’antropolo-gia giuridica si veda Rouland 1988 (p. 53 dell’edizione italiana)].

19 [P. Huvelin, La magie et le droit individuel, Paris 1907; G. Davy, La foi jurée, Paris1922. «Nella partizione del lavoro dell’équipe durkheimiana Huvelin era lo storico deldiritto romano, accreditato come tale anche tra gli specialisti ed autore di importanticontributi al Dictionnaire des Antiquités». Cfr. Di Donato 1990, pp. 46-47 e n. 16. Le tesiespresse da Davy nel suo Foi jurée suscitarono un dibattito acceso tra lo stesso Davy eM. Granet. Cfr. ancora Di Donato 1990, p. 19, dove la questione è legata alla disgrega-zione del «monolitismo dei durkheimiani». Cfr. anche ibid., p. 62 e 139].

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voyons dans l’œranoj le lien qui rattache l’obligation contractuelle àl’obligation statutaire. 2°) nous entrevoyons le rapport de l’une et del’autre avec certaines formes sociales.

La théorie classique, issue de la doctrine romaine qui prend pourainsi dire toutes faites les formes contractuelles, considère la sociétéun contrat comme les autres. On comprend cela, en effet, dans undroit évolué. Pourtant, même dans un droit évolué, on aperçoit àl’occasion telles particularités instructives, ou, en général, telles sin-gularités de structure qui font de la société une espèce à part [7v] oùla pure conception contractuelle ne laisse pas de subir des atteintes.Historiquement, en tous cas, la société ne pouvait être mise sur lemême plan que les autres «contrats». L’exemple de la Grèce et desassociations du type qui nous intéresse ici le montre assez. D’abord,le caractère spécial de la société y apparaît à l’évidence: l’élément devolonté individuelle qu’elle requiert pour sa formation – outre qu’ilpeut se réduire jusqu’à n’être que l’acceptation d’un testament, outrequ’il peut disparaître en tant que le titre de sociétaire se transmet parhérédité – se résorbe en tout cas dans le fonctionnement organiquede l’institution. Qu’un individu, ou plusieurs, fondent un érane ouun thiase, celui-ci va vivre d’une vie propre qu’ordonnera le nÒmoj

de l’association, et un nÒmoj d’une forme traditionnelle où la ressem-blance quasi obligatoire des règles typiques atteste une espèce decontrainte sociale. Par là se manifeste, aux origines, plus qu’ailleurs,la spécificité de l’institution: tandis que, dans les applications moder-nes du «contrat de société», la réglementation apparaît en procédanten grande partie d’un Etat qui se pose en face des volontés indivi-duelles, faisant saillir, en antithèse, l’élément proprement contrac-tuel, ici un conformisme spontané et coutumier fait voir dans la so-ciété, avant tout, l’organisme qui subordonne à sa loi les opérationsqui en rythment l’existence et qui en manifestent l’activité.

[8r] Parmi ces opérations, il y en a de contractuelles qui se for-ment à la faveur du nÒmoj de l’association: et l’on conçoit le rapportétroit qu’établit le langage entre celle-ci et celles-là, un œranoj étant«réuni» à l’intérieur de l’œranoj, et «réuni» kat¦ tÕn nÒmon tîn ™ra-

nistîn (Amorgos) 20. Or les «dispositions» prises par les associés engénéral sont parmi les premières qui aient été reconnues et consa-

20 [cit, supra].

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crées par le droit de la cité: à une époque où les autres contrats sontsans doute encore soumis à la règle traditionnelle qui met les risquesdu «crédit» à la charge du créancier, à une époque, par conséquent,où, par ailleurs, les futures «sûretés accessoires» constituent encore lecorps même de l’obligation, une loi de Solon prononce expressé-ment: Óti ¨n toÚtwn (c’est à dire des associés de telle sorte qui vien-nent d’être énumerés) diaqînta… tinej, kÚrion e!nai 21. A la pleinereconnaissance du contrat en général, le droit prélude par la consé-cration du «contrat» de société et des opérations qu’il entraîne.

[8v] Car il n’y a pas lieu de distinguer ici, par exemple, entre laconformité aux statuts et l’exécution d’une convention particulièrecomme celle de l’ œranoj-prêt, s’il est vrai ce que nous nous sommesefforcé d’établir, que l’une et l’autre chose aient leur fondement dansune même réalité morale, dans un même système de croyances. Etc’est pourquoi une fois franchi le pas décisif – dès lors que les obli-gations des associés trouvent leur garantie dans la sanction de la cité– il n’y a aucune raison de restreindre le champ d’application desd…kai ™ranika…, l’instrument judiciaire du nouveau régime: elles serapportent aussi bien à la restitution conventionnelle d’un prêt qu’auversement statutaire d’une cotisation 22.

Sur les virtualités contractuelles de la société du type œranoj,nous n’aurions pas tout dit si nous ne risquions ici une conjecture:une conjecture sans plan, et dont notre exposé n’est pas solidaire,mais qui a ce intérêt de «se situer» dans la théorie scientifique desobligations qui s’esquisse depuis quelques temps. On sait le rôle quecette théorie a reconnu au cautionnement primitif – et que Partsch 23

a brillamment illustré par l’exemple grec. Le cautionnement primitif(x réserve) 24 n’est pas une «sûreté accessoire»; c’est en lui, au con-

21 [Gaius Dig. XLVII,22. La legge soloniana ha suscitato un’ampia discussione circala sua autenticità. Contro l’auteniticità si è espresso, da ultimo, I. Arnaoutoglou (1998,p. 72 ss.) che riprende dubbi già di Wilamowitz. Sulla linea opposta si muove, adesempio, Kloppenborg 1996, p. 17].

22 [cfr. Arist. Ath. Pol. LXII,2].23 [Il riferimento è a Partsch 1909].24 [Gernet usa la x per i progetti di rimando in nota. Quando, come in questo caso,

il progetto contiene anche una – seppure piccola – indicazione sul contenuto, si è scel-to di mantenere il riferimento nel testo. Tutti gli altri progetti di rinvio in nota sono statieliminati per agevolare la continuità di lettura. Cfr. la Presentazione].

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traire, que l’obligation se réalise: le créancier n’y recourt pas commeà un moyen subsidiaire, pour obtenir la prestation d’un tiers éven-tuellement adjoint que le débiteur ne fournirait pas; il y recourt pourfonder une responsabilité qui ne porte pas d’abord sur la personne –encore moins, sur les biens – du débiteur, mais sur la personne de lacaution; celle-ci ne s’engage pas à un idem facere, idem praestare,mais à ce que le débiteur s’exécute. En [9r] d’autres termes, l’enga-gement direct du débiteur serait inopérant, et l’obligation ne peut secréer qu’en s’incorporant dans la personne du garant qui en est pro-prement le sujet. Le corollaire, c’est que, dans l’évolution qui faitpasser le contrat à la forme moderne où la prestation est l’objet di-rect de l’obligation et le débiteur le sujet immédiat de la responsabi-lité, on doit pouvoir trouver des formes intermédiaires où le débiteurintervient comme «garant de lui-même». Et on en rencontre, en effet,notamment dans le droit germanique où le débiteur est dit son pro-pre piège, mais aussi, à l’occasion, dans le droit romain lui-même.Rien ne commande, au surplus, que cette désignation ait été univer-selle: en Grèce, on ne l’a pas rencontré jusqu’ici; mais la questionreste ouverte de savoir comment, en Grèce, l’obligation contractuel-le du droit classique a pu sortir de l’état primitif que Partsch a discer-né. Or le cautionnement joue un rôle à l’occasion de l’éranos-prêt,et, dans un des cas au moins qui nous sont attestés, d’un éranos-prêtcontracté à l’intérieur d’un éranos-société. Ce cautionnement appa-raît sous des espèces singulières qu’on n’a peut-être pas suffisam-ment soulignées: il semblerait naturel d’admettre – et c’est ce qu’onadmet couramment – que l’érane a été réuni en faveur d’un tierspour qui le garant désigné se serait porté caution. Mais dans un acteoù l’opération est spécifiée et, si l’on peut dire, identifiée, ce bénéfi-ciaire devrait être mentionné par son nom: il ne l’est dans aucun desdeux textes épigraphiques qui concernent un «cautionnement d’éra-ne». Aucune [9v] allusion à un débiteur cautionné qui, à pareille date(III et II siècle av. J. Ch.) n’a pas besoin sans doute d’être mis endemeure, mais dont le défaut du moins a dû être constaté ou éprou-vé: comme un chose qui va de soi, l’exécution porte immédiatementsur la caution; c’est un payement intégral qui apparaît prévu, etéchelonné suivant les mêmes modes que pour un débiteur ordinai-re d’érane (ceci plus important qu’il ne paraît à première vue).Question se pose: comment peut-on dire, a priori, que la cautionaura tout à payer? – [«caution» à Myconos, sous nom désignée ain-

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si 25]; et à l’occasion de ce contrat plus libéral et plus philanthropi-que que les autres, la «caution» se voit imposer (peut-être par la «loi»même de l’érane) une obligation particulière, celle de constituer unehypothèque sur ses propres biens: or le moins qu’on puisse dire dece cumul (sur la même tête de la garantie personnelle et de la garan-tie réelle), c’est qu’on n’en trouve pas trace par ailleurs dans les droitsgrecs, et que nous en aurions là l’unique exemple qui fût attesté.

Ces difficultés nous suggèrent une solution simple et hardie: c’estque la prétendue «caution de l’érane» ne serait autre que le bénéfi-ciaire de l’érane, celui que nous en appellerions le débiteur. On voitassez que cette solution donnerait réponse aux questions qui se po-sent; mais d’autre part, elle peut être justifiée par l’histoire et lesdestinées du «cautionnement»: on concevrait que les sociétés où lafides de l’associé débiteur d’un prêt était une condition immédiate-ment donnée aient constitué un milieu favorable pour le développe-ment d’une notion primitive comme celle d’™ggÚh 26 et pour cettedéfinition nouvelle de la responsabilité par quoi se constitue le con-trat moderne. En principe, aussi bien, le véritable [10r] débiteur del’érane, c’est la société même qu’il a rendu possible; le bénéficiaireserait défini obligatus par le terme qui impliquait essentiellementl’idée de l’obligation; et c’est un ancien emploi qui se serait ainsiprolongé jusqu’à une date assez basse dans la terminologie de l’érane.

V

Le résultat général que nous avons cru atteindre ne reste pas isolé:pour le droit romain au moins, on a indiqué comment, en regard

25 [cfr. IJG VI,1-10].26 [Gernet si è occupato dell’™ggÚh nel corso della sua conferenza del 1953 sul ma-

trimonio in Grecia antica (cfr. la Presentazione), soprattutto in relazione alla posizionedi U.E. Paoli (Paoli 1939 e 1936). Si veda Gernet 1983a, p. 199 ss. (= 1997, p. 107 ss.). Sivedano anche le osservazioni di R. Di Donato nell’introduzione all’inedito (Gernet1983a, p. 143 ss). Anche in Droit et prédroit Gernet torna sull’™ggÚh (in relazione al ma-trimonio e allo scambio). Cfr. Gernet 1968, p. 204 ss. e 248 ss. Nell’articolo Les noblesdans la Grèce ancienne (1938), a proposito della ™ggÚh matrimoniale si legge «l’™ggÚh,qui au point de vue juridique est un contrat verbis …» (Gernet 1968, p. 339). Sulla™ggÚh si veda Cantarella 1964, Harrison 1968, p. 3 ss].

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d’un type comme le nexum, où la rigueur de l’obligation peut s’ex-pliquer par ses origines qui plongent dans un droit pénal primitif,toute une partie de la vie contractuelle suppose, entre les contrac-tants, cette confiance a priori qui ne peut être donnée que dans lavie d’un groupe. Seulement, notre connaissance des faits romains nenous permet guère, ici, qu’une affirmation de principe; on voudrait,par exemple, pouvoir préciser le rôle des sodalicia. Le cas de l’œra-

noj aurait cet avantage pour nous de montrer, sur un point particu-lier, ce que l’obligation contractuelle peut devoir aux sociétés d’uncertain type. Il ne le montrera bien que si nous pouvons nous expli-quer, avec la raison d’être de ces sociétés, l’origine des opérationscontractuelles qui s’y pratiquent, celle du moins qui nous intéresseici et qui est une espèce très définie de mutuum 27. [10r]

Démarche qui s’impose, d’ailleurs: car ces sociétés qui n’apparaî-traient d’abord que comme un produit assez tardif de la civilisationgrecque et qu’on trouvait naguère tellement en marge qu’on lescroyait réservées dans le principe aux étrangers, nous en avons trai-té comme si elles avaient un long passé et comme si elles avaient puélaborer, au sein de la cité, des notions juridiques essentielles. L’hé-sitation est permise, d’autant que les modernes céderaient volontiersà la même suggestion qu’un Aristote 28: Aristote, théoricien de la cité,représente admirablement un certain type d’intellectualisme; et, demême qu’il a conçu la cité comme un agrégat volontaire où le collec-tif, en fin de compte, s’explique par l’individuel, de même il a conçules associations comme constituées sur le modèle une fois créé de lacité, et définies par le but que se proposent individuellement lesassociés. En d’autres termes, le contrat est logiquement et chronolo-giquement antérieur à la société qui en suppose la notion déjà éla-borée, et la société est une formation essentiellement artificielle etarbitraire.

A une pareille vue s’oppose décidément le fait que nous avonsnoté, la reconnaissance précoce des obligations des associés par ledroit de la cité. Et le texte même de la loi solonienne nous permet decomprendre les sociétés religieuses dans leurs origines et comme

27 [L’argomentazione è vicina ancora a Droit et prédroit (Gernet 1968, p. 196)].28 [Il riferimento è ancora al passo di E.N. già citato supra. I. Arnaoutoglou (1998)

basa il suo studio proprio sulla ricostruzione fornita da Aristotele].

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réalités organiques. On a déjà relevé, et l’observation s’impose, queplusieurs des groupes énumérés sont des groupes que nous quali-fions [11r] de «naturels» et qu’on ne s’attendrait pas à voir rangerparmi les sociétés dont la loi s’occupe, sinon pour les réglementer,du moins pour consacrer les obligations de leurs membres: ainsi lesdèmes et les phratries. Mais c’est bien pourquoi les obligations quise rattachent à la société ont été consacrées les premières: elles déri-vent d’un type qui n’est pas celui de l’obligation contractuelle, maiscelui de l’obligation statutaire. De quel type et par quel processus?

A la première question, la réponse n’est pas difficile; le texte dela loi la suggère et l’étude des sociétés la confirme: les liens entre lesassociés sont du type familial parce que les sociétés en questiondérivent de groupements analogues à la parenté. Ce n’est pas seule-ment que l’élément familial, même à une époque récente, y joue unrôle encore considérable – l’association se recrute volontairementparmi les parents des associés, quand elle n’est pas tout simplementun groupe de parents – ni que les événements familiaux aient leursrépercussions dans la vie de la société, quand ils ne sont pas, com-me les funérailles, l’occasion de leur service: c’est aussi qu’on peutretrouver dans un culte gentilice les origines du culte qu’elles prati-quent et qui est leur raison d’être. – Maintenant, comment [11v] lessociétés elles-mêmes, avec l’élément de liberté et de convention qu’el-les comportent, sont-elles dérivées des groupements familiaux?

L’explication doit être cherchée dans un fait de structure, qui estde la plus haute importance pour la constitution des sociétés grec-ques comme pour le développement de la pensée religieuse. Il ap-paraît assez que, dans le moment où la cité s’élabore, les ancienscadres, essentiellement familiaux, n’ont pu se conserver tels quels. Al’intérieur de la phratrie, qui représente l’élément le plus fondamen-tal et le plus traditionnel, on reconnaît un double mouvement, deconcentration dans le gšnoj, et de réformation dans des groupescomme les thiases et les sociétés d’orgéons. Les noms nous sontfamiliers: et ce n’est pas d’hier qu’on a relevé cette homonymie. Ceserait se condamner à n’y rien comprendre que de voir dans la plusancienne espèce de thiases ou d’orgéons une organisation que pro-cède de l’État: pareil «artificialisme» échouerait d’ailleurs à expliquerla prolifération spontanée de ces organismes qui, à l’occasion, a be-soin d’être contenue. De fait, c’est surtout en fonction de la phratrie– de la phratrie que l’État définitivement constitué abandonnera à

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ses destinées – que les groupes de ce genre se constituent: à unedécomposition dont on entrevoit les facteurs – mélange de popula-tion, conflit du principe gentilice et du principe territorial – s’opposeune réaction organique qui satisfait un besoin social: les thiasesauront leur fonction nécessaire à l’intérieur de la phratrie, et les or-géons pourront être [12r] rapprochés des gennètes. Seulement, enraison des conditions sociales où elles sont apparues, ces formationsprésentent un caractère mixte: «naturelles», elles le sont par ce qu’il ya de spontané dans l’essai de recomposition à quoi elles répondent,et en conséquence elles le sont aussi par leur nature obligatoire quiles assimile à des groupements familiaux; en revanche, elles insi-nuent dans un ordre social autrefois compact et rigide la contingen-ce et le vouloir: elles ne sont pas du tout fait; elles procèdent del’initiative; elles supposent des fondateurs. Ainsi font-elles le pontentre les groupes proprement familiaux et les sociétés qui, à l’épo-que historique apparaissent librement groupées autour d’un culte,prototype elles-même des associations de toutes sortes.

Maintenant, si notre hypothèse sur l’œranoj-prêt est fondée, nousdevons nous attendre à le voir fonctionner pour des objets qui rap-pellent le caractère primitivement familial des sociétés où il seraitné. C’est ce que l’expérience confirme. On a déjà relevé, sansd’ailleurs tirer de l’observation le parti qu’il aurait fallu, que l’œranoj

s’emploie, là où son emploi est [12v] attesté, dans les cas suivants:paiement d’une peine pécuniaire, rançon d’un prisonnier, rachatd’un esclave à fin d’affranchissement, constitution d’une dot. Cecidès une époque où l’œranoj revêt une forme déjà plus libre et plusindividualiste, mais où le prestige de la tradition continue à définirles cas où il s’applique. Le dernier, en effet, se commente lui-même:les trois autres ne sont pas moins intéressants: ils se ramènent, quantaux origines, à un seul par où se témoigne éminemment, dans tousles anciens droits, la solidarité familiale: lorsqu’un membre du groupese trouve engagé, c’est le cas de le dire, dans une obligation exdelictoou, d’une façon générale, au pouvoir d’un ennemi, le groupe inter-vient pour le libérer et paye la composition. Il y a là un acte déjàpassablement complexe, et où se dessinent plusieurs traits du com-merce contractuel.

D’abord, du point de vue de la vie interne du groupe, cette inter-vention est un devoir; la loi de Gortyne emploie à ce propos le ter-me significatif d’¢n£gkh, qui par ailleurs s’applique à l’«obligation»:

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c’est une obligation du futur «créancier» lui-même qui déclenche lasérie des actes juridiques. D’autre part, celui qui bénéficie de l’inter-vention devient un «obligé» au sens strict: dans l’état social qui pré-pare le développement du contrat, c’est à dire où les liens sociauxprennent un aspect individualiste, cette obligation peut même rece-voir la sanction rigoureuse et en principe interfamiliale de la con-trainte par corps, qui est attesté dans le cas précité du droit gorty-nien et qui subsiste par exception dans le droit d’Athènes; car, il estbon de le noter, [13r] dans cette vie multiforme qu’est celle du droitdes obligations à ses débuts, des courants différents s’entrepénètrentà l’occasion, et le résultat final est celui d’un fusionnement. Enfin,l’¢n£gkh qui est au point de départ n’est telle qu’au regard du grou-pe: le groupe est obligé en vertu de sa loi interne, il ne l’est pas envertu des règles de la vengeance qui dominent les relations entrefamilles. L’offensé n’a rien à lui réclamer; il ne peut que satisfaire savengeance sur la personne de l’offenseur: tout le mécanisme desactions noxales s’explique par là. En somme, nous trouvons d’unepart un élément de nécessité qui se rattache au droit statutaire: lesliens de parenté ou de quasi-parenté déterminent une prestation etune contre-prestation également obligatoires; d’autre part, un élé-ment de contingence par quoi se prépare le droit contractuel: la sé-rie des actes est suspendue à une convention librement conclue en-tre l’offensé et le groupe de l’offenseur.

Le moment social où le contrat collectif commence à produiredes effets individuels, où l’on voit saillir un facteur comme la bonnevolonté du créancier et un principe comme celui de la contre-presta-tion, garantie par une fides spéciale entre membres du même grou-pe, c’est celui qui apparaît dans les débuts du cautionnement, siessentiel à l’institution du contrat: en le rappelant, nous n’avons faitqu’indiquer les conditions qui ont rendu possible cette forme [14r] sipratiquée du mutuum que nous avions en vue.

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Intorno alla nuova legge ateniese sulla tassazione del grano 63Michele Faraguna

INTORNO ALLA NUOVALEGGE ATENIESESULLA TASSAZIONE DEL GRANO

Il nuovo nÒmoj ateniese del 374/3 magistralmente pubblicato da R.S.Stroud 1 susciterà, come anticipato dall’editore, un intenso dibattitotra gli studiosi. Questo non perché la legge, la nona che possa sicu-ramente essere identificata come tale tramandataci epigraficamente,presenti lacune o difficili problemi testuali – se si fa eccezione peralcune lettere alla fine di ogni riga, e in particolare delle linee 58 e60, il documento, completo, è in uno straordinario stato di conserva-zione ed è pienamente leggibile –, bensì per il fatto che il suo conte-nuto apre nuove prospettive per chi si occupi delle strutture ammini-strative della pólis ateniese, in questo caso anche nei rapporti tra lacittà e le sue «dipendenze».

Data la novità del documento, presento, per comodità del lettore,una traduzione italiana del testo, non senza peraltro la precisazioneche, considerata la pregnanza semantica di alcune espressioni e l’o-scurità di certe formulazioni, specie nelle disposizioni finanziarieconclusive, essa deve essere letta anche alla luce del commento del-lo Stroud:

Sotto l’arcontato di Socratide (374/3 a.C.). Legge sulla dodicesima sulgrano delle isole. (vacat) Agirrio presentò la mozione. Affinché vi sia

1 R.S. Stroud, The Athenian Grain-Tax Law of 374/3, «Hesperia», Suppl. 29 (1998).Una recensione al volume, ad opera di P.J. Rhodes, è già uscita nella rivista elettronica«BMCR» 99.3.13.

Dike, 2 (1999), pp. 63-97

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Michele Faraguna64

per il démos una scorta di grano pubblico, si appaltino la dodicesimariscossa a Lemno, Imbro e Sciro e la cinquantesima sul grano (oppure,secondo l’interpretazione dello Stroud, «si appaltino la dodicesima pre-levata a Lemno, Imbro e Sciro e la cinquantesima cosicché siano riscos-se in grano»). Ciascuna «porzione» (mer…j) sarà di 500 medimni, 100 digrano e 400 di orzo. L’appaltatore trasferirà il grano fino al Pireo a suorischio, trasporterà il grano fino alla «città» (¥stu) a proprie spese eammucchierà il grano nell’Aiákeion. La pólis metterà a disposizione l’A-iákeion asciutto e munito di porta. L’appaltatore peserà il grano per lapólis entro trenta giorni dopo averlo trasportato in città a proprie spese.Dopo che l’avrà portato fino alla città, la pólis non esigerà affitto (perl’Aiákeion) dagli appaltatori. L’appaltatore peserà il grano al peso di untalento per cinque hektéis e peserà l’orzo al peso di un talento permedimno, secco e puro dal loglio, riempiendo il recipiente (s»kwma;cfr. M. Guarducci, Epigrafia greca, II, Roma 1969, pp. 469-472) finoall’orlo (?), come fanno gli altri mercanti. L’appaltatore non effettueràun pagamento iniziale (prokatabol»), ma verserà 20 dracme per «por-zione» a titolo di tassa sulla vendita e di compenso per l’araldo (il ban-ditore d’asta). L’appaltatore fornirà due garanti solvibili per «porzione»che siano stati approvati dalla boulé. La «porzione» pari a 3.000 medim-ni, e cioè sei uomini (appaltatori), costituirà una simmoria. La pólis esi-gerà dalla simmoria il grano sia da ciascuno (singolarmente) sia (collet-tivamente) da tutti coloro che partecipano alla simmoria, fino a quandonon abbia ricevuto quanto le spetta. Il démos elegga dieci uomini tratutti gli Ateniesi in occasione dell’assemblea in cui eleggono gli strate-ghi, i quali facciano da «curatori del grano». Questi, dopo aver fattopesare il grano secondo le disposizioni, lo vendano nell’agorá, quandosembri opportuno al démos. Non sia lecito (al démos) votare la vendita(del grano) prima del mese di Anthesterión. Il démos fissi il prezzo delgrano e dell’orzo, a quanto bisogna che i magistrati eletti lo vendano.Gli appaltatori della dodicesima depositino il grano (nell’Aiákeion) pri-ma del mese di Maimakterión. Gli eletti dal démos prendano cura cheil grano venga consegnato nel tempo stabilito. Dopo aver venduto ilgrano i magistrati eletti presentino il rendiconto nell’assemblea e sipresentino essi (davanti a questa) portando il denaro e siano i proventidel(la vendita del) grano destinati alle spese militari. Gli apodecti «asse-gnino» il deposito iniziale (prokatabol») derivante dalle isole e, dellacinquantesima, quanto l’anno scorso venne ricavato dai due decimi.Che questo per il presente confluisca nell’amministrazione generale(dio…khsij), ma in futuro i due decimi non siano tolti dal denaro versa-to [e siano quindi destinati anch’essi alla cassa militare]».

La legge, che porta alle ll. 3-4 il titolo di nÒmoj perˆ tÁj dwdek£-

thj toà s…tou tîn n»swn, riguarda quindi le procedure messe in atto

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Intorno alla nuova legge ateniese sulla tassazione del grano 65

per l’appalto della riscossione di una «dodicesima», una tassa di cuinon si aveva altrimenti notizia 2, sul grano (s‹toj) delle isole di Lem-no, Imbro e Sciro, che sappiamo ritornarono in possesso di Atenecon la pace di Antalcida del 387/6 (Xen. Hell. 5,1,31). Parallelamenteviene in due occasioni (ll. 5-7 e 55-57) menzionata un’ulteriore tassa,denominata penthkost¾ s…tou o, secondo l’interpretazione propostadall’editore, ma forse meno plausibilmente, soltanto penthkost»,che sembra peraltro avere rilevanza tutto sommato marginale nell’e-conomia del provvedimento. In quanto segue ci si occuperà quindiprincipalmente della dwdek£th.

Le disposizioni contenute nella legge possono essere così sinte-tizzate: dopo il prescritto, in cui compare la menzione dell’arconte,l’intitolazione del nÒmoj e il nome del proponente 3, ma in cui mancaogni riferimento ai nomoteti o alla procedura di approvazione dellamozione 4, fanno seguito, motivate dall’obiettivo di garantire al dé-mos un’adeguata scorta di grano pubblico (ll. 5-6: Ópwj ¨n tîi d»mwi

s‹[t]oj Ãi ™n tîi koinîi), le seguenti clausole: a) ordine di procede-re all’appalto della dodicesima riscossa ™n L»mnwi kaˆ ”Imbrwi kaˆ

SkÚrw[i] e della penthkost¾ s…tou (ll. 6-8); b) definizione, introdottasenza preambolo alcuno, di mer…j in termini di una quantità fissa digrano (100 medimni) e orzo (400 medimni) (ll. 8-10); c) obbligo per

2 Una tassa nella misura di un dodicesimo era anzi del tutto sconosciuta per Atene(una ricerca di dwdekat- condotta sul PHI CD ROM #7 rivela che il termine ricorre nelleiscrizioni attiche pressoché esclusivamente in formule di datazione, con riferimento algiorno della pritania, al giorno del mese o, più tardi, al numero della pritania, oppure,nell’ambito di inventari o rendiconti finanziari, in enumerazioni di staqmo…, ·umo… o se-rie di oggetti sacri); essa è invece attestata, per Iaso, nella forma di una tassa sulla ven-dita del vino, da un decreto onorario recentemente ripubblicato, con l’aggiunta di nu-merosi frammenti, da G. Pugliese Carratelli, Decreti di Iasos in onore di giudici stranie-ri, «RAL» 44 (1989) [1991], nr. 1, pp. 47-51 = SEG 41,929, ll. 3-5: kaˆ pÒro]i Øp£rcws[in]

oƒ ¢podedegmšno[i to‹j ne]wpo…aij kaˆ e„j t¦ loi[p¦ dapan»]mata pl¾n toà perigino-

mšnou [¢pÕ] tÁj dwdek£thj toà pwl[hqšntoj o]‡nou (cfr. anche BE 1992, nr. 443).3 Sul noto personaggio di Agirrio (J.S. Traill, Persons of Ancient Athens, I, Toronto

1994, nr. 107660) si veda l’esaustiva discussione di Stroud, pp. 16-25.4 Si veda per confronto la legge di Nicofonte sul dokimast»j (R.S. Stroud, An Athe-

nian Law on Silver Coinage, «Hesperia» 43 [1974], pp. 157-188 = SEG 26,72) approvatasoltanto una anno prima (375/4); ulteriore bibliografia in M. Dreher, Hegemon undSymmachoi. Untersuchungen zum Zweiten Athenischen Seebund, Berlin - New York1995, pp. 90-106; e, ora, T.J. Figueira, The Power of Money. Coinage and Politics in theAthenian Empire, Philadelphia 1998, pp. 536-547.

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l’appaltatore di provvedere al trasporto del s‹toj dalle isole al Pireoe da qui all’Aiákeion a suo rischio e a sue spese (ll. 11-15); d ) obbli-go per la città di mettere gratuitamente a disposizione per la conser-vazione del grano l’Aiákeion, stšgon kaˆ tequrwmšnon, «in condizio-ne tale da essere asciutto (munito di tetto) e munito di porta» (ll. 15-21); e) prescrizioni minute sulle modalità con cui si dovrà procederealla pesatura del grano e dell’orzo (ll. 21-27), operazione da effet-tuarsi entro trenta giorni dopo l’immagazzinamento nell’Aiákeion (ll.16-18); f ) esenzione dell’appaltatore dalla prokatabol» (cfr. Suid. ePhot., s.v. prokatabol¾ kaˆ proskatabÒlhma) e contemporaneo ob-bligo di effettuare un pagamento fisso di 20 dracme per «porzione» atitolo di ™pènia e khrÚkeia (ll. 27-29); g) obbligo per l’appaltatore difornire due garanti approvati dalla boulé per ciascuna «porzione» (ll.29-31); h) disposizioni relative alla possibilità per gli appaltatori diformare simmorie (ll. 31-36); i) elezione di una commissione di dieci™pimelhtaˆ toà s…tou e regolamentazione delle procedure per lavendita a prezzo politico del grano pubblico così accumulato (ll. 36-51); l ) obbligo per i «curatori del grano» di presentare all’assemblea ilrendiconto finanziario della propria gestione e di «consegnare» aldémos il ricavato della vendita, destinato alla «cassa militare» (ll. 51-55); m) norme transitorie volte a regolare la fase precedente all’en-trata in vigore della legge (ll. 55-61).

Il nómos, in cui si rileva l’assenza delle consuete disposizionifinali per la «pubblicazione» epigrafica del documento, pare pertantoconsistere, nel suo nucleo centrale, di due ampie sezioni, di cui laprima (ll. 6-36) si occupa nel dettaglio dei rispettivi obblighi degliappaltatori e, per parte sua, della pólis in relazione alle quantità, allaqualità, al trasporto e all’immagazzinamento dei frutti della dwdek£-

th che gli appaltatori si impegnavano a versare alla città, la seconda(ll. 36-55) delle modalità secondo cui doveva essere effettuata, sottoil controllo di una commissione di dieci, appositamente eletta, lavendita del grano pubblico depositato nell’Aiákeion. Se la secondasezione viene ad arricchire e integrare il dossier di testi che fannoluce sul tema del s‹toj dhmÒsioj e sui modi della sua amministrazio-ne 5, rivelando tra le altre cose come Atene avesse iniziato una poli-

5 Si vedano in proposito i recenti lavori, con ampi riferimenti alla precedente bi-bliografia, di U. Fantasia, Distribuzioni di grano e archivi della «polis»: il caso di Samo

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tica di intervento attivo nel settore dei rifornimenti granari prima diquanto si supponesse 6, è soprattutto la prima, relativa alla «dodicesi-ma», a contenere i maggiori elementi di novità e a porre agli studiosiuna serie del tutto inattesa di problemi. L’esistenza di regolari formedi tassazione diretta ad Atene era infatti sconosciuta e, anche dopol’esaustivo commento dello Stroud, rimane sotto questo rispetto an-cora da fare luce sul significato del nuovo apporto di conoscenzefornito dal documento e sui meccanismi di riscossione della tassa.

I

Il primo punto da chiarire è naturalmente se veramente ci troviamoqui di fronte ad una tassa sul raccolto. La formula t¾n dwdek£thn

pwl[e‹]n t¾n ™n L»mnwi kaˆ ”Imbrwi kaˆ SkÚrw[i] delle ll. 6-7 trovainfatti un esatto parallelo nell’analoga espressione [toÝj dþ pwlht¦j

t¾]n penthkost¾n pwle‹n t¾n ™n tÁ[i Nšai] di SEG 18,13 (= C.J.Schwenk, Athens in the Age of Alexander. The Dated Laws and Decre-es of «the Lykourgan Era», 338-322 B.C., Chicago 1985, nr. 17, pp. 81-94 = Agora XIX, L 7, pp. 183-185), ll. 11-12, dove oggetto dell’appal-to è la penthkost» riscossa in un distretto denominato ¹ Nša, verisi-milmente identificabile con una parte del territorio di Oropo 7. Il

(pp. 204-228), e L. Migeotte, Les ventes de grain public dans les cités grecques aux pério-des classique et hellénistique (pp. 229-246), in C. Moatti (éd.), La mémoire perdue, Rome1998.

6 Tolta la nostra iscrizione, la prima sicura attestazione di una carica pubblica concompetenze nel settore dei rifornimenti di grano, in questo caso quella di sitènhj, è inDem. 18,248 (vd. anche [Plut.] Mor. 851A-B). Su Dem. 20,33 e sul problema in generalecfr. U. Fantasia, Il grano di Leucone e le finanze di Atene. Nota a Demostene, 20,33,«ASNP» 17 (1987), pp. 89-117; utile anche P. Garnsey, Famine and Food Supply in theGraeco-Roman World, Cambridge 1988, in part. 134-149. Sul fondo dei sitwnik£ atte-stato da IG II2 1628, ll. 339-452; 1629, ll. 859-975; 1631, ll. 7-15, vd. L. Migeotte, Le painquotidien dans les cités hellénistiques. À propos des fonds permanents pour l’approvision-nement en grain, «CCG» 2 (1991), p. 24 con n. 16; M. Faraguna, Atene nell’età di Ales-sandro. Problemi politici, economici, finanziari (Mem. Mor. Acc. Lincei, s. 9, v. 2, fasc.2), Roma 1992, p. 384.

7 La localizzazione delle Néa è una delle questioni aperte degli studi degli ultimidecenni per il momento destinate a rimanere irrisolte. Ciò che è sicuro, consideratal’entità tutt’altro che trascurabile dell’affitto ottenuto per essa (4.100 dracme), è che do-veva trattarsi di un tratto di territorio di una certa ampiezza. Se si lasciano da parte leimprobabili identificazioni proposte per esso da M.K. Langdon, An Attic Decree Con-

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Lewis, nell’editio princeps dell’iscrizione, aveva prospettato la possi-bilità che tale «cinquantesima» dovesse essere interpretata come tassasul prodotto 8; la sua proposta non resse tuttavia alla critica del Ro-bert il quale rilevava che, secondo la lettera del testo, «la penthkost»

n’est pas levée précisément “sur la Néa” (tÁj Nšaj), mais “dans laNéa”, ™n tÁi Nšai» e, identificata quest’ultima con Oropo, conclude-va di conseguenza che la pentekosté non poteva che essere la tassacomunemente riscossa dalle póleis sulle merci in entrata e in uscita 9.La nuova legge ci costringe inaspettatamente ad attenuare la portatadell’obiezione linguistica del Robert. Fermo restando che ogni docu-mento rappresenta un caso a sé, e come tale deve essere analizzato,essa non vale infatti per il nÒmoj proposto da Agirrio, la cui intitola-zione nÒmoj perˆ dwdek£thj toà s…tou tîn n»swn (ll. 3-4) rivela,

cerning Oropos, «Hesperia» 56 (1987), pp. 47-58 (cfr. BE 1988, nr. 349), e da O. Hansen,On the Site of «Nea», «Eranos» 87 (1989), pp. 70-72, il candidato più probabile rimanesempre Oropo (L. Robert, Sur la loi d’Athènes relative aux Petites Panathénées, «Helle-nica» 11-12 [1960], pp. 189-203; si noti tuttavia che uno degli argomenti utilizzati dallostudioso francese a sostegno della sua identificazione [p. 198 n. 1], e cioè il fatto che gliAteniesi avrebbero deliberatamente evitato di usare nel linguaggio ufficiale il nome’WrwpÒj non è più valido dopo la pubblicazione di D.M. Lewis, Dedications of Phialaiat Athens, «Hesperia» 37 [1968], nr. 50, l. 45; e di Langdon, An Attic Decree ConcerningOropos cit., pp. 47-58 [= Agora XIX, L 8], l. 10 [testo peraltro fortemente integrato]). Secosì è, ne consegue che il territorio di Oropo doveva constare delle seguenti parti: a) ilsantuario di Anfiarao (IG II2 1672, l. 272: ¹ ™pˆ ’Amfiar£ou); b) il distretto montagnoso(t¦ Ôrh t¦ ™n ’Wrwpù) assegnato alle tribù ateniesi (Hyp. 3,16; Agora XIX, L 8); c) laNéa del cui affitto si occupava SEG 18,13. Quanto alla collocazione cronologica di que-st’ultima iscrizione, va rilevato che se la tesi di D. Knoepfler, Adolf Wilhelm et la pen-tétèris des Amphiaraia d’Oropos. Réexamen de A.P. LIV 7 à la lumière du catalogue IGVII 414 + SEG I 126, in M. Piérart (éd.), Aristote et Athènes, Fribourg 1993, pp. 295 conn. 50 (cfr. anche Idem, Une paix de cent ans et un conflit en permanence: étude sur lesrelations diplomatiques d’Athènes avec Érétrie et les autres cités de l’Eubée au IVe siècleav. J.-C., in Ed. Frézouls - A. Jacquemin [éds.], Les relations internationales, Strasbourg-Paris 1995, p. 360 e n. 190), secondo cui Oropo sarebbe ritornata in possesso di Ateneper opera di Alessandro, e non di Filippo, soltanto nel 335, può essere accettata, la datapiù probabile tra quelle proposte diventa il 335/4.

8 D.M. Lewis, Law on the Lesser Panathenaia, «Hesperia» 28 (1959), pp. 243-244(rist. in Idem, Selected Papers in Greek and Near Eastern History [ed. P.J. Rhodes], Cam-bridge 1997, pp. 258-259).

9 Robert, Sur une loi d’Athènes cit., pp. 193-200, in part. 193, da cui la citazione.Sulla penthkost» cfr., in generale, J. Vélissaropoulos, Les nauclères grecs, Genève-Paris1980, pp. 207-210.

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senza lasciare spazio al dubbio, come la dodicesima dovesse gravaresul grano delle isole.

Tale constatazione non è per noi priva di conseguenze. La naturastessa del provvedimento, esplicitamente definito come nÒmoj 10, di-mostra infatti che le norme del documento erano state concepitecome permanenti e che non ci troviamo pertanto di fronte a misurestraordinarie o, in linea di principio, di breve durata. La prima inevi-tabile conclusione è quindi che il sítos prodotto nelle tre isole erasoggetto ad un’imposta diretta nella misura di un dodicesimo.

Cruciale diventa pertanto la questione dello statuto di coloro cheerano soggetti alla dwdek£th. Secondo la dottrina comunemente ac-cettata le tre isole sarebbero state, dopo il 387, abitate da cleruchiateniesi la cui denominazione, nei documenti ufficiali, appare esserestata, ad esempio con riferimento a Lemno, quella di Ð dÁmoj Ð

’Aqhna…wn tîn ™n Mur…nei (IG XII 8,3, ll. 4-5) oppure Ð dÁmoj Ð

’Aqhna…wn Ð ™n Mur…nei o„kîn (IG XII 8,4, ll. 1-2) nel caso di Mirina,e, sebbene qui si possa soltanto portare l’esempio di testi fortementeintegrati o tardi, di Ð dÁmoj Ð ’Aqhna…wn (Ð oppure tîn) ™n =Hfaist…ai

(IG XII 8,15, ll. 5-6; II2 672, ll. 29 e 37; SEG 12,399) in quello diEfestia 11. Gli studiosi devono peraltro oggi confrontarsi anche conun’altra proposta di esegesi. In uno studio recente N. Salomon, nel-l’ambito di un riesame complessivo della natura e delle funzioni del-le cleruchie ateniesi nel V e IV secolo, ha infatti sostenuto che taliformule si riferirebbero non ai cleruchi, bensì al démos delle comu-nità locali, dotate di una propria organizzazione e di una certa auto-nomia amministrativa, cui, in un qualche momento, forse proprionel 387, era stata elargita la cittadinanza ateniese; da queste comuni-tà andrebbero poi distinti i cleruchi, il cui insediamento, con esclusi-ve funzioni di fulak» e in linea di principio non permanente, sareb-be stato incompatibile con stabili forme organizzative e, di fatto, im-possibile in assenza di una comunità locale cui appoggiarsi 12. Ne

10 Sulla distinzione tra nÒmoj e y»fisma nell’Atene del IV secolo cfr. M.H. Hansen,The Athenian Democracy in the Age of Demosthenes, Oxford 1991, pp. 165-177.

11 J. Cargill, Athenian Settlements of the Fourth Century B.C., Leiden - New York -Köln 1995, pp. 59-66; cfr. anche F. Gschnitzer, Abhängige Orte im griechischen Alter-tum, München 1958, pp. 102-103.

12 N. Salomon, Le cleruchie di Atene, Pisa 1997 (cfr. J. Roy, «CR» 49 [1999], pp. 153-154).

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discenderebbe che Lemno, e come Lemno, anche Sciro e Imbro,avrebbero costituito innanzitutto possedimenti stabili abitati da Ate-niesi naturalizzati, come tali iscritti nei demi e nelle tribù attiche, conuno statuto in tutto e per tutto simile a quello di Salamina 13, su cui,a fini di protezione militare, poteva poi essere innestato uno stanzia-mento di cleruchi.

Tale proposta, per quanto fondata su un esame della documenta-zione acuto e per certi aspetti convincente 14, rimane tuttavia alquan-to ipotetica. Essa deve infatti presupporre un provvedimento di «na-turalizzazione» degli abitanti delle tre isole per il quale non esistonoriscontri nelle fonti 15 e che avrebbe posto problemi pratici non tra-scurabili per la sua attuazione. Il conferimento della cittadinanza,che, secondo la legge citata da [Dem.] 59,89, era di norma legatoall’acquisizione da parte del beneficiario di particolari meriti di fron-te al démos ateniese (m¾ ™xe‹nai poi»sasqai ’Aqhna‹on, Ön ¨n m¾

di’¢ndragaq…an e„j tÕn dÁmon tÕn ’Aqhna…wn ¥xion Ï genšsqai pol…-

thn) e che rimase in tutto il IV sec. un atto altamente onorifico, com-portava infatti quanto meno l’iscrizione in una tribù e in un demo 16

13 Il caso ugualmente anomalo della posizione di Salamina nello stato ateniese èora esaustivamente analizzato da M.C. Taylor, Salamis and the Salaminioi. The Historyof an Unofficial Athenian Demos, Amsterdam 1997; cfr. anche Salomon, Le cleruchie diAtene cit., pp. 193-196. Degno di nota è che in IG II2 30, in seguito ripubblicata conl’aggiunta di nuovi frammenti da R.S. Stroud, «Hesperia» 40 (1971), nr. 23, pp. 162-173(= Agora XIX, L 3), il decreto molto frammentario che, dopo la pace di Antalcida e larestituzione delle isole ad Atene, presumibilmente disponeva l’invio di cleruchi ateniesia Lemno (vd. infra), figuri, alla l. 34, in un contesto non ricostruibile, l’espressione[kaq£p]er to‹j ™j Salam[‹na ....]. Analogamente, in IG II2 1672, ll. 263-279 e 297-298, lacelebre lista delle ¢parca… versate alle Dee eleusinie nel 329/8, la lista delle quote dicereali fornite dalle tribù attiche è seguita dai quantitativi inviati da Drymos, Salamina edalle isole di Sciro, Lemno (Mirine e Efestia) e Imbro. L’esistenza di un ’Aqhna…wn Ð dÁ-

moj Ð ™n Salam‹ni è attestata da IG II2 3206 (ante a. 318 secondo il Kirchner; sul pro-blema della datazione di questa iscrizione vd. Taylor, Salamis and the Salaminioi cit.,p. 173 n. 108).

14 Essa è definita «séduisante» da Ph. Gauthier, BE 1998, nr. 146.15 Come appare dalle pp. 76-81 l’autrice oscilla nella collocazione cronologica del

provvedimento posto ora nella seconda metà del V sec. ora nel 387.16 Nel caso della concessione della polite…a ai Plateesi e ai Samî non viene fatta

menzione della fratria (vd. M.J. Osborne, Naturalization in Athens, III-IV, Brussel 1983,pp. 181-183). Sul significato di tale esclusione da ultima C. Bearzot, Ancora sui Plateesie le fratrie di Atene, in L. Criscuolo - G. Geraci - C. Salvaterra (a cura di), Simblos. Scrittidi storia antica II, Bologna 1997, pp. 43-60, con ampia rassegna e discussione della

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e anche nei pochi casi attestati di naturalizzazione di gruppo il privi-legio, per potere avere effetto e non rimanere soltanto teorico, impli-cava la presenza fisica dell’onorato ad Atene e la sua precisa volontàdi usufruire della concessione. In termini più generali, la stessa natu-ra della nozione di polite…a, in cui l’aspetto della partecipazione atti-va alla vita pubblica della comunità politica (metšcein tÁj pÒlewj; Lys.6,48; Arist. Ath. Pol. 26,4) trascendeva l’astratto contenuto giuridicodelle prerogative ad essa legate, mi sembra di per sé opporsi all’ipo-tesi di una estensione indiscriminata della cittadinanza ateniese aiLemnî e agli abitanti delle altre isole, per quanto questi potesseroessere sentiti come affini per comunanza di origine, lingua e costumi(Thuc. 7,57,2: tÍ aÙtÍ fwnÍ kaˆ nom…moij œti crèmenoi L»mnioi kaˆ

”Imbrioi) 18.A ciò si aggiunge il fatto che per sostenere la sua tesi, che come

abbiamo detto mira a fornire una chiave interpretativa per il fenome-no delle cleruchie nelle sue generalità, N. Salomon fa giustamentericorso al maggior numero possibile di casi paralleli e analogie; macasualmente proprio uno di questi, quello di Samo, giunge ora aindebolire considerevolmente il fondamento della teoria. Secondoquesta bisognerebbe infatti distinguere tra il corpo civico dell’isola,costituito dai Samî cui era stata concessa alla fine del V sec. la citta-dinanza ateniese e cui si farebbe riferimento nei documenti ufficialicon la formula di Ð dÁmoj (’Aqhna…wn) Ð ™n S£mJ (IG II2 416, ll. 4-5;

precedente bibliografia. Cfr. anche K. Kapparis, The Athenian Decree for the Naturali-sation of the Plataeans, «GRBS» 36 (1995), pp. 359-378.

17 Su questo punto, e sul carattere fondamentalmente esclusivo della città greca, sivedano le considerazioni di Ph. Gauthier, «Générosité» romaine et «avarice» grecque: surl’octroi du droit de cité, in Mélanges d’histoire ancienne offerts à William Seston, Paris1974, pp. 207-215; Idem, La citoyenneté en Grèce et à Rome: participation et intégra-tion, «Ktèma» 6 (1981), pp. 167-179; R.K. Sinclair, Democracy and Participation inAthens, Cambridge 1988, pp. 24-27; Ph. Manville, The Origins of Citizenship in AncientAthens, Princeton 1990, pp. 4-7 e 35-54. Contra, per una visione «aperta» della comuni-tà politica ateniese, si veda ora E.E. Cohen, The «Astoi» of Attika: Nationality and Citi-zenship in Athens, in G. Thür - J. Vélissaropoulos-Karakostas (eds.), Symposion 1995,Köln-Weimar-Wien 1997, pp. 57-95.

18 La migliore analisi del passo tucidideo rimane quella di V. Ehrenberg, Thucydi-des on Athenian Colonization, «CPh» 47 (1952), pp. 146-149 (rist. in Polis und Impe-rium, Zürick-Stuttgart 1965, pp. 250-253); cfr. anche A.J. Graham, Colony and MotherCity in Ancient Greece, Chicago 19832, pp. 182-184.

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1437, ll. 20-21; 1440, l. 24; 1443, l. 89; SIG3 276A [= SEG 18,200]; 276B[= SEG 18,202]; SEG 18,201 [su questi ultimi testi cfr. Cargill, Athe-nian Settlements cit., pp. 229-232]; IG II2 3207, ll. 20-21; ecc.), e icleruchi impiantati da Atene, a fini di difesa militare, sulla comunitàlocale 19. La recente pubblicazione da parte di K. Hallof e Chr. Habi-cht del primo documento contenente una lista dei buleuti (in nume-ro di 250) e dei magistrati (arconti, strateghi, segretari, ecc.) dellacomunità samia al tempo dell’occupazione ateniese, databile in unanno vicino al 350 20, ci costringe peraltro a rivedere, per lo meno inquesto caso, la proposta. Qualora infatti questa fosse corretta, i nomidei buleuti e dei magistrati presenti nell’iscrizione dovrebbero poter-si identificare come quelli dei Samî naturalizzati che costituivano il«démos (degli Ateniesi) a Samo». Di fatto l’analisi prosopografica hainvece evidenziato una situazione diversa perché un numero nontrascurabile dei nomi elencati nelle undici colonne del testo può,con diversi gradi di probabilità, essere identificato con personaggiateniesi altrimenti noti 21. Ciò risulta inoltre essere coerente con ilfatto che le fonti antiche fanno costantemente e senza apparenteeccezione riferimento agli Ateniesi stanziati a Samo con il nome diklhroàcoi (Aesch. 1,53 e schol. ad loc.; Philoch. 328 F 154; Strabo14,1,18 = C638; Habicht, Samische Volksbeschlüsse der hellenisti-schen Zeit, «MDAI(A)» 72 [1957], nr. 2, pp. 164-169, ll. 9-10 22; cfr.anche Arist. Rhet. 1384b32-35; Demad. fr. 91, ll. 213-214 De Falco[klhrouc…a]) e che secondo la testimonianza di Arist. fr. 611,35 l’oc-cupazione ateniese dell’isola avrebbe portato all’espulsione di tutti iSamî (p£ntaj ™xšbalon) 23. Più in generale, proprio con la forte enti-

19 Salomon, Le cleruchie di Atene cit., pp. 81-85.20 K. Hallof - Chr. Habicht, Buleuten und Beamte der athenischen Kleruchie in Sa-

mos, «MDAI(A)» 110 (1995), pp. 273-303 (cfr. BE 1998, nr. 312).21 Hallof-Habicht, Buleuten und Beamte cit., pp. 291-301.22 Per l’integrazione, ora generalmente accettata, cr»sim[Òj te ge]gšnhtai perˆ tÕm

p[Òlemon tÕm] prÕj toÝj klhroÚ[couj], con riferimento ai cleruchi ateniesi, cfr. E. Ba-dian, A Comma in the History of Samos, «ZPE» 23 (1976), pp. 289-294 (SEG 26,1022).

23 Al medesimo contesto deve con ogni probabilità essere riferito anche Crater. 342F 21, su cui si vedano le osservazioni di T.J. Figueira, Athens and Aigina in the Age ofImperial Colonization, Baltimore-London 1991, pp. 27-30, in part. 29 n. 59. Che l’espul-sione dei Samî dall’isola dovesse essere stata pressoché totale è stato sostenuto da G.T.Griffith, Athens in the Fourth Century, in Imperialism in the Ancient World (eds. P.A.Garnsey - C.R. Whittaker), Cambridge 1978, pp. 139-142; G. Shipley, A History of Sa-

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tà dello stanziamento dei cleruchi inviati da Atene, ora divenuta ma-nifesta alla luce dell’elevato numero dei buleuti, si spiega la fermadeterminazione di Atene di opporsi ad ogni costo all’ordine di Ales-sandro di restituire l’isola agli esuli samî (Diod. 18,8,7) 24.

La conclusione cui si perviene è pertanto quella che «il démosdegli Ateniesi a Samo» deve essere identificato con il corpo dei cleru-chi insediati nell’isola e che se si vuole procedere per analogia lamedesima situazione dovrà essere assunta anche per Lemno. Talerisultato, che costituisce un ritorno all’opinione tradizionale, lasciaperaltro in quest’ultimo caso ancora aperti e irrisolti numerosi pro-blemi che devono essere qui sinteticamente presentati.

Punto di partenza è il fatto che, secondo le fonti, Lemno divienedopo il 387/6 territorio ateniese: a Xen. Hell. 5,1,31 (t¦j dþ ¥llaj

=Ellhn…daj pÒleij kaˆ mikr¦j kaˆ meg£laj aÙtonÒmouj ¢fe‹nai

pl¾n L»mnou kaˆ ”Imbrou kaˆ SkÚrou: taÚtaj dþ ésper tÕ ¢rca‹on

e!nai ’Aqhna…wn) fanno infatti eco Eschine, che accusa Filippo diattentare alla sovranità di Atene perˆ L»mnou kaˆ ”Imbrou kaˆ SkÚ-

rou, tîn ¹metšrwn kthm£twn (2,72 e schol. ad loc.); Egesippo, chenuovamente enumera le tre isole tra i possedimenti della città su cuiFilippo, facendo valere il principio messo in atto per Alonneso,avrebbe potuto teoricamente mettere le mani ([Dem.] 7,4; cfr. anche[Dem.] 59,3; Diod. 16,21,2); e alcuni passi dell’oratoria attica in cuigli abitanti di tali isole sono definiti pol‹tai (Dem. 4,34; Hyp. 2[Lyc.],17). Che l’autorità di Atene su di esse si esercitasse, sul pianomilitare e amministrativo, anche nella normale prassi quotidiana èinoltre ad es. rivelato, oltre che ovviamente dall’iscrizione qui in esa-me, dalla carica elettiva dell’ipparco e„j LÁmnon, eletto con mandato

mos, 800-188 B.C., Oxford 1987, pp. 140-143; Hallof-Habicht, Buleuten und Beamtecit., p. 286 n. 7; E. Badian, The Ghost of Empire. Reflections on Athenian Foreign Policyin the Fourth Century B.C., in W. Eder (hrsg.), Die athenische Demokratie im 4.Jahrhundert v. Chr., Stuttgart 1995, p. 91 n. 26; diversamente J. Cargill, IG II2 and theAthenian Kleruchy on Samos, «GRBS» 24 (1983), pp. 321-332, la cui posizione risultaperaltro considerevolmente attenuata in Idem, Athenian Settlements cit., p. 21 n. 20.

24 Per una lucida sintesi dei dati e dei problemi cfr. ora Chr. Habicht, Athens fromAlexander to Antony, Cambridge (Mass.) - London 1997, pp. 30-35, ove la bibliografiaessenziale.

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annuale (Arist. Ath. Pol. 61,6; Dem. 4,27; Hyp. 2 [Lyc.],17) 25, e daB.D. Meritt, «Hesperia» 29 (1960), nr. 33, pp. 25-28 [= Agora XIX, P 4],una stele in cui era registrata, con tutta evidenza ad opera dei poleti,una serie di ¢pografa… di beni immobili situati in alcune località diLemno (ll. 7: [… ’O]mfal[…]aj tÁj ¥nw ¢pšgrayen ™n L»mnw[i …]; 8:cwr…on ™n ’Omfal…ai) 26.

Ciò che, anche alla luce del parallelo offerto da Samo, rimaneproblematico sono invece le modalità con cui si giunse all’incorpo-razione delle isole nel territorio ateniese. A differenza di quanto av-viene per Samo il termine klhroàcoi appare, con riferimento a Lem-no, soltanto in un unico testo epigrafico (Agora XIX, L 3; cfr. n.13) 27, e tutta la questione deve pertanto vertere sul problema delrapporto tra i cleruchi e la comunità locale dei Lemnî, discendentidei coloni ateniesi insediatisi nell’isola, come generalmente si ritie-ne, verso la fine del VI secolo e fedeli alleati di Atene, per quantosoggetti al pagamento del fÒroj, durante tutta la guerra del Pelo-ponneso 28. Gli studiosi assumono infatti che questi erano tropponumerosi e da troppo tempo stanziati a Lemno (cfr. Xen. Hell. 5,1,31:ésper tÕ ¢rca‹on) perché Lisandro, nel 405/4, potesse semplice-mente espellerli come aveva fatto con i coloni ateniesi altrove (Xen.Hell. 2,2,2 e 9) 29 e la loro presenza nell’isola all’inizio del IV sec.appare d’altra parte verisimilmente confermata da un passo del DePace di Andocide, in cui, confrontando le condizioni risultanti daltrattato (sponda…) imposto da Sparta nel 404 con quelle assai più

25 Si vedano in proposito P.J. Rhodes, A Commentary on the Aristotelian «Athena-ion Politeia», Oxford 1981 (19852), pp. 686-687; e G.R. Bugh, The Horsemen of Athens,Princeton 1988, pp. 209-218.

26 Cfr. Cargill, Athenian Settlements cit., pp. 194-195.27 Che i cleruchi in oggetto (ll. 13, 20, 22, 33, 42, 47) fossero veramente in rapporto

con Lemno, come presupposto nell’integrazione della l. 4 (prÕj tÕj [klhrÒcoj tÕj o„]-

kýntaj ™n [L»mnwi]), è rivelato dal frequente ricorrere del nome dell’isola nel testo (ll.5, 7, 15, 40, 50, 51).

28 Fonti e bibliografia al riguardo in Salomon, Le cleruchie di Atene cit., pp. 31-66;cfr. anche Graham, Colony and Mother City cit., pp. 174-184; Figueira, Athens and Aigi-na cit., pp. 253-256.

29 Così ad esempio P.A. Brunt, Athenian Settlements Abroad in the Fifth CenturyB.C., in E. Badian (ed.), Ancient Society and Institutions. Studies Presented to VictorEhrenberg on his 75th Birthday, Oxford 1966, pp. 80-81 (rist. in Studies in Greek Hi-story and Thought, Oxford 1993, pp. 123-125).

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favorevoli previste dalla pace (e„r»nh) allora – nel 392 30 – in discus-sione, l’oratore sostiene LÁmnon dþ kaˆ ”Imbron kaˆ Skàron tÒte mþn

œcein toÝj œcontaj, nàn dþ ¹metšraj e!nai (3,11-12). Sebbene non vipossa essere certezza assoluta al riguardo, l’esegesi più soddisfacen-te del passo, che identifica i «possessori» (toÝj œcontaj) delle isolecon la popolazione locale 31, porta ad una duplice deduzione: ecioè, da un lato, che al tempo dei negoziati per la pace le isoledovevano di fatto essere già state ricuperate al controllo ateniese(Andoc. 3,14; Xen. Hell. 4,8,1-2 e 15) 32; dall’altro che, qualunquefosse stata la natura del governo stabilito dopo la «liberazione» spar-tana 33, il ritorno nella sfera di influenza di Atene dovette significare,per lo meno dal 387/6, la perdita dell’autonomia formale. Che cosaaccadesse ai Lemnî e agli abitanti delle altre isole in tale circostanzacostituisce il vero punto oscuro della questione.

È probabile che la posizione dei cleruchi a Lemno fosse oggettodi un decreto ateniese del 387/6 (Agora XIX, L 3) 34, ma di questonon rimangono che alcuni magri frammenti, i quali consentono sol-tanto malsicure ipotesi sul contenuto della stele. Ferma restando l’ar-

30 Sulla data dell’orazione cfr. U. Albini, Andocide. De Pace, Firenze 1964, pp. 11-13; E. Badian, The King’s Peace, in M.A. Flower - M. Toher (eds.), Georgica. Greek Stu-dies in Honour of George Cawkwell, «BICS», Suppl. 58 (1991), pp. 26-34; cfr. anche M.Edwards, Andocides, Warminster 1995, pp. 105-113. L’autenticità del De Pace e, conessa, la storicità stessa delle trattative di Sparta per le quali, secondo la tradizione,l’orazione fu composta sono peraltro ora messe in dubbio, con buoni argomenti, daE.M. Harris in un saggio, The Authenticity of Andocides’ «De Pace». A Subversive Essay,di prossima pubblicazione.

31 In tal senso Ph. Gauthier, Les clérouques de Lesbos et la colonisation athénienneau Ve siècle, «REG» 79 (1966), pp. 72-73 n. 24; Figueira, Athens and Aigina cit., pp. 37 e240 n. 24; Cargill, Athenian Settlements cit., pp. 13-14.

32 K.J. Beloch, Griechische Geschichte, III.1, Berlin-Leipzig 19222, pp. 78-79; R. Sea-ger, Thrasybulus, Conon and Athenian Imperialism, 396-386 B.C., «JHS» 87 (1967), pp.102 n. 66; B.S. Strauss, Athens after the Peloponnesian War. Class, Faction and Policy,403-386 B.C., London-Sidney 1986, pp. 128-129; scettico P. Funke, «Homónoia» und«Arché». Athen und die griechische Staatenwelt vom Ende des Peloponnesischen Kriegesbis zum Königsfrieden (404/3-387/6 v. Chr.), Wiesbaden 1980, p. 133 con n. 91. Rima-ne poi incerto se ciò fosse avvenuto per l’azione diretta di Conone.

33 Figueira, Athens and Aigina cit., p. 37, ritiene probabile per Lemno l’insediamen-to di una decarchia; più cauto R.S. Stroud, Inscriptions from the North Slope of the Acro-polis I, «Hesperia» 40 (1971), p. 171.

34 Per la datazione del documento cfr. Stroud, Inscriptions from the North Slope cit.,p. 169.

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bitrarietà del procedimento di chi cerchi di restituire un senso coe-rente a quanto conservato combinando termini attinti qua e là daiframmenti, alcuni elementi possono tuttavia essere evidenziati. Ilprimo è che, a giudicare dalla supposta ampiezza delle righe, ci tro-viamo di fronte ad un monumento in origine di notevoli dimensioni(più di m. 1,30 di altezza, e 0,85-0,90 di larghezza, secondo loStroud) che portava un testo complesso di parecchie decine di linee.In esso doveva in particolare essere disciplinato il problema dellaterra dei cleruchi come conseguenza di una serie di contese territo-riali (ll. 23: ¢mfisbhtîn tÁj gÁj À tÁ[j …]; 27: ¢mfi]s[b]htîn) e diconfische (ll. 6: ¢pograf¾[n]; 7: dhm]euqÁi tÁj nàn ¢pogegrammš[nhj]).La normativa concerneva inoltre non soltanto case di abitazione, an-ch’esse dichiarate di proprietà pubblica (l. 14: tîn o„kiîn tîn dedh-

me[umšnwn]) e la terra da coltivare (l. 17: ÐpÒshn d’ aÙtoˆ ºrg£zon-

[to]), ma anche t]¦ Ôrh kaˆ t¦ ¢for…smata (l. 18), con cui deveforse essere messo in rapporto il termine m…sqwsij della l. 19, e cioèla terra marginale e quella sacra 35. Si ha cioè l’impressione che ildecreto affrontasse il problema del regime della terra nel suo com-plesso. Particolare importanza sembra inoltre essere attribuita a certi«pagamenti» (ll. 8 e 16), di cui è detto che devono essere effettuatinella nona pritania (l. 8), e all’esistenza di debiti verso il dhmÒsion (ll.20-21).

Nell’ambito di un documento in cui vi è una elevata concentra-zione di termini giuridici quello potenzialmente più istruttivo è pe-raltro senza dubbio rappresentato da ¢pograf». L’¢pograf» era inprimo luogo un inventario, un elenco di beni redatto al fine di con-sentirne la confisca da parte della pólis, e quindi per estensione ilprocedimento messo in atto per giungere alla confisca stessa. Comemettono in luce i lessicografi (Lex. Seg. pp. 198-199 Bekker, s.v. ¢po-graf¾ kaˆ ¢pogr£yai; p. 199, s.v. ¢pogr£fein; Harpocr., s.v. ¢po-graf»), presupposto per essa era che un privato si trovasse illegal-mente in possesso di beni appartenenti alla città 36. In che modo

35 Per il significato di t¦ ¢for…smata vd. Stroud, Inscriptions from the North Slopecit., p. 170; M.B. Walbank, Agora XIX, p. 168.

36 Si vedano in proposito J.H. Lipsius, Das attische Recht und Rechtsverfahren, Lei-pzig 1905-1915 (rist. an. Hildesheim 1966), pp. 299-308; A.R.W. Harrison, The Law ofAthens, II: Procedure, Oxford 1971, pp. 211-217; K. Hallof, Der Verkauf konfiszierten

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questo si applicasse al caso di Lemno può soltanto essere oggetto disupposizioni. Nondimeno il fatto che Atene nel 387/6 ufficialmenteautorizzasse l’uso di procedure normalmente volte al recupero diproprietà pubbliche rivela che le rivendicazioni su tali beni doveva-no fondarsi sull’affermazione di una continuità rispetto alla situazio-ne del V secolo, continuità che appare del resto presupposta ancheda Xen. Hell. 5,1,31: taÚtaj (scil. Lemno, Imbro e Sciro) dþ ésper tÕ

¢rca‹on e!nai ’Aqhna…wn.

Se si ritorna al problema del rapporto tra i Lemnî e i cleruchi talerisultato non è per noi privo di implicazioni. Si può infatti con unacerta plausibilità dedurne che le «rivendicazioni» ateniesi dovevanoessere dirette contro l’illegale occupazione di terra considerata cleru-chica da parte degli abitanti dell’isola 37. Se fino al 387/6 la presenzadi questi ultimi può dunque essere inferita sulla base di indizi, perquanto tenui questi siano, da quel momento essi spariscono invecedel tutto dalla documentazione e siamo perciò lasciati di fronte aduna scomoda alternativa:

a) i Lemnî costituiscono una comunità indipendente che vive afianco dei cleruchi ateniesi. Dal nostro punto di vista una simile ipo-tesi avrebbe il vantaggio di fornire una spiegazione per una delleclausole della legge proposta da Agirrio (ll. 51-55), in cui viene pre-scritto che i dieci epimeletái eletti dal démos, una volta procedutoalla vendita del grano, dovranno darne conto pubblicamente di fron-te all’assemblea, non trascurando di esibire in quell’occasione il rica-vato dell’operazione, il quale doveva essere assegnato al fondo deglistratiwtik£ (™peid¦n dþ ¢podîntai oƒ aƒreqšntej tÕn s‹ton, lo-

gis£sqw[n] ™n tîi d»mwi kaˆ t¦ cr»mata ¹kÒntwn f[š]rontej e„j tÕn

dÁmon kaˆ œstw strati[w]tik<¦> t¦ ™k tý s…to genÒmena). Qualorasi ammettesse infatti che la «dodicesima» doveva gravare sui Lemnî, enon sui cleruchi, si potrebbe anche capire il perché di una cerimoniadi consegna dei cr»mata così plateale e che potrebbe in qualchemodo ricordare la processione annuale con cui nel V secolo gli allea-

Vermögens vor den Poleten in Athen, «Klio» 72 (1990), pp. 405-407 e 415-419. Un pun-tuale esame della casistica è in R. Osborne, Law in Action in Classical Athens, «JHS» 105(1985), pp. 44-47 e 54-55.

37 In tal senso Stroud, Inscriptions from the North Slope cit., pp. 170-171; Salomon,Le cleruchie di Atene cit., pp. 142-145 (cfr. anche SEG 42,87).

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ti portavano il loro tributo alla città egemone (Isocr. 8,82: ™yhf…san-

to tÕ perigignÒmenon ™k tîn fÒrwn ¢rgÚrion dielÒntej kat¦ t£-

lanton e„j t¾n Ñrc»stran to‹j Dionus…oij e„sfšrein ™peid¦n plÁrej

Ï tÕ qšatron: kaˆ toàt’ ™po…oun … ™pideiknÚontej to‹j mþn summ£-

coij t¦j tim¦j tÁj oÙs…aj aÙtîn ØpÕ misqwtîn e„sferomšnaj

ktl.) 38. Gli elementi invocabili a sostegno di tale interpretazionesono tuttavia assai fragili: tolti alcuni testi sui quali i dubbi manifesta-ti dal Cargill mi sembrano del tutto condivisibili 39, essi si riducono difatto ad un’unica iscrizione, datata approssimativamente al 300 a.C.,contenente un catalogo di mercenari, IG II2 1956, in cui alle ll. 91-93compaiono i nomi di due personaggi preceduti dall’etnico L»mnioi 40.Questo può tuttavia essere agevolmente spiegato alla luce degli e-venti dei decenni immediatamente a cavallo tra il IV e il III secoloche videro le isole di Lemno, Imbro e Sciro a più riprese sottratte alcontrollo di Atene e quindi formalmente indipendenti 41. Di frontealla pressoché totale assenza di indizi positivi, va invece rilevata l’in-sistenza delle fonti nel presentare le isole come possedimenti «degliAteniesi» (vd. supra). Dalla celebre lista delle ¢parca… inviate al san-tuario di Eleusi (IG II2 1672, ll. 263-279 e 297-298), anche tenutoconto delle più volte rilevate difficoltà di utilizzarne a fini statistici idati numerici 42, emerge inoltre, attraverso il confronto tra le quotedi grano e orzo rispettivamente delle tribù attiche e delle isole, che ilterritorio controllato dai cleruchi ateniesi di Mirina e Efestia doveva

38 Su questo passo cfr. A.E. Raubitschek, Two Notes on Isocrates, «TAPhA» 72 (1941),pp. 356-362; B. Smarczyk, Untersuchungen zur Religionspolitik und politischen Propa-ganda Athens im Delisch-Attischen Seebund, München 1990, pp. 155-167.

39 Athenian Settlements cit., pp. 67-69. Riguardo a IG II2 492, il riesame dei fram-menti da parte di A. Wilhelm, Attische Urkunden V, «SAAW» 220 (1942), nr. 63, pp. 175-183 (rist. in Akademieschriften zur griechischen Inschriftenkunde [1895-1951], I, Leipzig1974, pp. 791-799), esclude per la l. 5 la precedente proposta di lettura: [perˆ tÕn dÁmon

tÕ]n ’Aqhna…wn kaˆ Lhm[n..] (cfr. Kirchner ad loc.); vd. anche Osborne, Naturalizationin Athens, III-IV, cit., T 83, pp. 79-80.

40 Cfr. M. Launey, Recherches sur les armées hellénistiques, Paris 1949-1950 (19872),I, pp. 67-69. Per una lista, estremamente esigua, di L»mnioi residenti ad Atene vd. oraM.J. Osborne - S.G. Byrne, The Foreign Residents of Athens, Leuven 1996, pp. 144-145.

41 Cfr. K. Friedrich, IG XII 8, pp. 3-4; Cargill, Athenian Settlements cit., pp. 42-58;Habicht, Athens from Alexander to Antony cit., pp. 60-87 e 130. Quest’ultimo studioso(pp. 84-85) data in particolare la nostra iscrizione agli anni compresi tra il 301 e il 295.

42 Si vedano in proposito le osservazioni di Stroud, pp. 32-37, con ampia rassegnadella precedente letteratura.

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essere di grande estensione, ciò che rende l’ipotesi di una comunitàlemnia insediata a fianco di quella ateniese del tutto improbabile 43.

b) Vi era a Lemno un’unica comunità formata dai cleruchi, siache questi fossero ancora quelli di V secolo 44 o di nuova immissio-ne 45, e dai membri di quella che al tempo della Lega delio-attica erastata una pólis alleata e soggetta al tributo 46. Per quanto una simileipotesi sia quella che sembra meglio dar conto dell’immagine «unita-ria» suggerita per Lemno dalle fonti di IV secolo, questo non devetuttavia oscurare il fatto che le modalità e il momento in cui si giunseall’integrazione dei due gruppi non possono essere soddisfacente-mente chiariti. Il Brunt, sulla base del presupposto che i coloni nel Vsecolo mantenevano la cittadinanza di origine e considerando a po-steriori la fusione dei due gruppi come l’esito naturale della storiadella comunità dell’isola, cerca di capovolgere la questione chieden-dosi invece per quale ragione «Athens had exacted any tribute fromLemnos and Imbros in the fifth century, at least after sending cleru-chs to the islands, whereas in the fourth century all Lemnians andImbrians ranked as cleruchs» (loc. cit.), e ipotizzando che ciò fossedovuto al filomedismo del 480. Il problema, nonostante questa bril-lante soluzione dialettica, però rimane e i dubbi espressi da N. Salo-mon sulla dottrina comunemente accettata, nonostante i rilievi criticisopra espressi, mi sembrano pertanto pienamente giustificati.

Questa lunga e in parte inconcludente discussione termina per-tanto in un’aporia. Essa ci consente nondimeno di acquisire un risul-tato che, per quanto formulato in termini negativi, non è per noiprivo di significato. L’avere infatti escluso, per Lemno e, per esten-sione, forse anche per Imbro, la presenza di una comunità localecoesistente con quella dei cleruchi ateniesi porta infatti a concludere

43 Da IG XII 8,4 apprendiamo che il démos degli Ateniesi di Mirina aveva a sua vol-ta donato un cwr…on ai Calkidšej oƒ ™n Mur…nei o„koàntej; cfr. in proposito Cargill,Athenian Settlements cit., pp. 68-69.

44 Così M.H. Hansen, Demography and Democracy, Herning 1986, p. 70.45 Come gli studiosi generalmente ammettono sulla base di Agora XIX, L 3; cfr. Car-

gill, Athenian Settlements cit., p. 14.46 Questa è la soluzione adottata da Gschnitzer, Abhängige Orte im griechischen

Altertum cit., pp. 100 e 110; Brunt, Athenian Settlements Abroad cit., pp. 80-81 (= 123-124); Figueira, Athens and Aigina cit., p. 239.

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che la «dodicesima» della nostra iscrizione doveva gravare proprio suquesti ultimi. Questo fatto è di per sé in qualche misura sorprenden-te e deve ora essere considerato in dettaglio.

La necessità di uno studio sistematico che raccolga tutte le fontiattestanti l’esistenza di un’imposizione diretta regolare all’internodelle città greche e che porti ad una più articolata formulazione delladottrina, risalente al Boeckh, secondo cui simili forme di tassazionesarebbero state incompatibili con la «libertà» del pol…thj 47, è stata apiù riprese espressa, soprattutto in tempi recenti, dagli studiosi 48 edè verisimile che esso potrà portare ad un significativo arricchimentodelle nostre conoscenze in materia di finanze greche 49. Nel casospecifico di Atene, quello complessivamente meglio noto, le possi-bilità di giungere ad una revisione seppure parziale del quadrotradizionale 50 mi sembrano peraltro per ora piuttosto ridotte, seb-

47 A. Boeckh, Die Staatshaushaltung der Athener, I, Berlin 18863, p. 367: «In Athenund gewiß in allen übrigen hellenischen Freistaaten erhob man keine unmittelbareSteuer von Eigenthum …; eine regelmässige Grundsteuer oder Zehnten (dek£th) gabes in Freistaaten nicht».

48 A cominciare da G. Busolt, Griechische Staatskunde, München 19203, p. 610; A.Wilhelm, Zu den Inschriften aus dem Heiligtum des Gottes Sinuri, «SAWW» 224 (1947),pp. 16-20 (rist. in Akademieschriften, III, cit., pp. 264-268); e, in relazione al caso ate-niese, da Lewis, Law on the Lesser Panathenaia cit., pp. 243-244 (= 258-259), fino ai piùrecenti lavori di H.W. Pleket, Economic History of the Ancient World and Epigraphy:Some Introductory Remarks, in Akten des VI. Internationalen Kongresses für Griechi-sche und Lateinische Epigraphik, München 1973, pp. 251-252; M. Corsaro, Tassazioneregia e tassazione cittadina dagli Achemenidi ai re ellenistici: alcune osservazioni,«REA» 87 (1985), pp. 89-91; S. Isager - J.E. Skydsgaard, Ancient Greek Agriculture, London -New-York 1992, pp. 135-144; L. Migeotte, Les finances publiques des cités grecques: bilanet perspectives de recherche, «Topoi» 5 (1995), pp. 7-32; Stroud, pp. 27-28 con n. 47 e31-32.

49 Una raccolta di fonti aventi rilevanza per il tema che sto da qualche tempo pre-parando rivela che queste sono piuttosto numerose e, sorprendentemente, che buonaparte dei testi deve essere collocata entro la fine del IV secolo. Spero di poter ritornaresulla questione in un ulteriore contributo.

50 Contrariamente a quanto sostenuto da Isager-Skydsgaard, Ancient Greek Agricul-ture cit., p. 135, la più chiara enunciazione dell’idea secondo cui «[i]n a city-state … theland was in principle free from regular taxation» appare implicitamente espressa nellasezione «teorica» del secondo libro dell’Economico pseudoaristotelico, là dove le entra-te (prÒsodoi) dell’oikonomía satrapica sono contrapposte a quelle dell’oikonomía cit-tadina: mentre infatti entrambe hanno in comune le entrate ¢pÕ tîn „d…wn, e queste fi-gurano al primo posto nell’ambito delle fonti di entrata delle póleis, l’oikonomía satra-piké è l’unica a poter contare sui proventi ¢pÕ tÁj gÁj. Questa forma di prÒsodoj viene

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bene non manchino alcuni indizi che meritano forse di essere valo-rizzati.

Il primo punto da considerare è se vi siano per il IV secolo noti-zie di imposizioni gravanti sui cleruchi in qualche modo assimilabilialla nostra dwdek£th. Qui un interessante parallelo esiste, proprioper Lemno, in un passo dell’orazione iperidea Contro Licofrone, incui il convenuto, sottolineando i meriti e l’irreprensibilità del suocomportamento nei confronti della città, sostiene di essere statol’unico ateniese ad avere rivestito la carica di ipparco e„j LÁmnon perben due volte e di avere anzi avuto il mandato esteso ad un terzoanno oÙ boulÒmenoj pol…taj ¥ndraj ™pˆ kefal¾n e„spr£ttein tÕn

misqÕn to‹j ƒppeàsi ¢pÒrwj diakeimšnouj (2,17). L’interpretazionedi quest’ultima frase non è priva di difficoltà, ma se si assume, comela lettera del passo sembra suggerire, che i pol‹tai ¥ndrej fossero icleruchi stanziati a Lemno, ne discende che questi erano tenuti aversare il misqÒj spettante alla forza di cavalleria inviata da Atenenell’isola 51. Degno di nota diviene allora il fatto che il contributo acarico dei «cittadini» veniva riscosso ™pˆ kefal»n, era cioè una sortadi testatico. Sebbene non sia da escludere che si trattasse di unamisura legata a circostanze eccezionali, non mi risulta che ciò abbiaconfronti nella tradizione su Atene (ma vd. infra).

Un’ulteriore notizia, questa volta riferibile a Samo, compare inPolyaen. Strat. 3,10,5 52. Secondo questo autore Timoteo, durantel’assedio di una città, fatta delimitare una porzione di territorio dautilizzare per il sostentamento dei suoi soldati, aveva quindi venduto(rimane incerto a chi, agli assediati stessi?) la parte restante della cè-

anzi definita prèth … kaˆ krat…sth (1345a28-b8); per un’analisi del passo rimando aR. Descat, De l’économie tributaire à l’économie civique: le rôle de Solon, in Mélanges P.Lévêque, V, Paris 1990, pp. 85-90; D. Musti, L’economia in Grecia, Roma-Bari 1981, pp.134-143.

51 Per questa interpretazione vd. Bugh, The Horsemen of Athens cit., pp. 212-218, inpart. 215; cfr. anche Salomon, Le cleruchie di Atene cit., pp. 93-94, 130-131 e 146-147(Dem. 18,115 non costituisce peraltro un parallelo perché il démos ivi menzionato nonpuò essere quello di Imbro, bensì è il «popolo» ateniese). Arist. Ath. Pol. 61,6 (ceirotonoà-

si dþ kaˆ e„j LÁmnon †pparcon, Öj ™pimele‹tai tîn ƒppšwn tîn ™n L»mnJ) è ambiguo.52 Che lo «stratagemma» si riferisse all’assedio di Samo è dimostrato dal confronto

con 3,10,9 (cfr. anche [Arist.] Oec. 1350b4-7, con B.A. van Groningen, Aristote. Le se-cond livre de l’Économique, Leyde 1933, pp. 154-155; L. Cracco Ruggini, Eforo nelloPseudo-Aristotele, Oec. II?, «Athenaeum» 55 [1967], pp. 48-52).

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ra, avendo cura che nulla nel territorio venisse distrutto o danneg-giato. E questo nella convinzione e„ mþn krato…h, ple…ouj fÒrouj ™k-

lšgein, e„ dþ Ð pÒlemoj mhkÚnoito, trof¦j ¢fqÒnouj kaˆ katagwg¦j

œcein. Il termine fÒroj è qui certamente un anacronismo e il passoviene in generale ad iscriversi in una tradizione di racconti volta amettere in luce l’abilità con cui Timoteo riusciva ad autofinanziarsinelle proprie campagne e a non gravare sul bilancio ateniese (Isocr.15,108; Corn. Nep. Timoth. 1,2). È stato peraltro giustamente osser-vato che il particolare del fÒroj non pare appartenere al medesimocontesto e, se si vuole ammettere che Polieno l’avesse attinto alla tra-dizione, esso deve essere spiegato altrimenti. Una possibilità divieneallora quella di pensare che dietro il fÒroj vi fosse un generico rife-rimento ai benefici economici che, in caso di successo, i cleruchiateniesi avrebbero tratto dalla terra dell’isola 53; un’altra, ora suggeri-ta dalla legge sulla dodicesima delle isole (che è cronologicamenteanteriore alla cleruchia di Samo), è che il riferimento fosse ai benefi-ci che sarebbero venuti alla città proprio da parte dei cleruchi.

Rimane infine da considerare [Arist.] Oec. 1347a18-24, un passoche più volte ha attirato l’attenzione degli studiosi e che tuttavia ri-mane ancora di non chiara interpretazione. Secondo tale luogo gli«Ateniesi residenti a Potidea» (’Aqhna‹oi … oƒ ™n Potida…v o„koàntej)per fare fronte alle necessità imposte da una non bene specificataguerra «avevano ordinato a tutti» (¤pasi sunštaxan) di procederealla registrazione dei propri beni (oÙs…aj), non tutti in blocco pressoil demo di residenza, bensì bene per bene secondo l’ubicazione diciascuno di essi (m¾ ¡qrÒaj e„j tÕn aØtoà dÁmon ›kaston, ¢ll¦

kat¦ ktÁma ™n ú tÒpJ ›kaston e‡h); «a chi non possedeva alcunbene prescrissero» inoltre «di dichiarare la persona per un valore didue mine» (tÕ sîma dimna‹on tim»sasqai). Su questa base, conclu-de l’autore del trattato, ciascuno doveva contribuire all’e„sfor£ con-formemente al valore registrato (¢pÕ toÚtwn oân e„sšferon ™pigra-

fþn ›kastoj) 54. Quale fosse la guerra in oggetto e con chi si debba-

53 Così Shipley, A History of Samos cit., pp. 138-140. Questo presuppone natural-mente che gli Ateniesi vedessero sin dall’inizio in Samo soprattutto una colonia di po-polamento.

54 Sul significato e sui meccanismi dell’operazione cfr. van Groningen, Aristote. Lesecond livre cit., pp. 76-80; Ch.J. Bullock, Politics, Finances, and Consequences, Cam-bridge (Mass.) 1939, pp. 128-129.

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no identificare gli ¤pantej destinatari del provvedimento sono i dueinterrogativi intorno a cui ruota tutta la questione e sui quali il testonon consente conclusioni sicure. Se tuttavia si segue il Moggi nell’as-sunto che la differenziazione delle condizioni economiche riflessanel passo è incompatibile con l’isomoiría che almeno in linea diprincipio doveva presiedere all’assegnazione coloniaria, ne discendeche una collocazione nel IV secolo diviene quella più plausibile eche l’e„sfor£ deve intendersi applicata non ai cleruchi (o non soloai cleruchi), bensì a quella comunità dei Potideati che nel 362/1 ave-va richiesto ad Atene l’invio di una guarnigione (IG II2 114 [= Tod146], in part. ll. 5-9; il termine frour£ ricorre in Diod. 16,8,5) 55. Setale interpretazione dello stratagemma finanziario è corretta, è chiaroallora che il passo, descrivendo misure intese per la comunità deiPotideati, e non per quella dei cleruchi, soltanto indirettamente harilevanza per il nostro discorso. In un altro contributo ho peraltrocercato di dimostrare che nel «suggerire» ai Potideati, ai fini dellariscossione di un’eisphorá, un sistema fondato sulla registrazione deibeni demo per demo i cleruchi non avevano fatto altro che introdur-re a Potidea quanto era già in uso ad Atene 56. Analogamente, sipotrebbe concludere che se essi proposero di assegnare alla personadei nullatenenti un valore imponibile fisso, anche l’idea della tassa-zione personale non era loro del tutto sconosciuta 57. Abbiamo infatti

55 M. Moggi, L’e„sfor£ dei coloni ateniesi a Potidea ([Arist.] Oec. 2,2,5 [1347a]),«QUCC» 30 (1979), pp. 137-142. A favore del IV sec. vd. anche N.F. Jones, Public Orga-nization in Ancient Athens, Philadelphia 1987, p. 267. Propendono per il V secolo J.A.Alexander, Potidaea. Its History and Remains, Athens (Georgia) 1963, pp. 75-77; Crac-co Ruggini, Eforo nello Pseudoaristotele cit., pp. 12-13; e ora Salomon, Le cleruchie diAtene cit., pp. 203-208. Cargill, Athenian Settlements cit., pp. 22-23, 70 n. 15, 194 n. 9,non prende una decisa posizione al riguardo. Sulla cleruchia ateniese di Potidea cfr.Chr. Habicht, «Gnomon» 31 (1959), p. 707; M. Moggi, Alcuni episodî della colonizzazio-ne ateniese (Salamina - Potidea - Samo), in Studi sui rapporti interstatali nel mondo anti-co, Pisa 1981, pp. 14-16.

56 M. Faraguna, Registrazioni catastali nel mondo greco: il caso di Atene, «Athenaeum»85 (1997), pp. 7-33.

57 Questo avrebbe tanto più valore se, come sostiene il Moggi, Alcuni episodî dellacolonizzazione ateniese cit., p. 15, il «tutti» del passo avrebbe incluso i cleruchi ateniesistessi. Sulla relativa diffusione di forme di imposizione personale nel mondo greco o-rientale cfr. Ph. Gauthier, ’Atšleia toà sèmatoj, «Chiron» 21 (1991), pp. 49-68 (sul ca-so di Potidea vd. in part. pp. 62-63).

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visto che i cleruchi di Lemno contribuivano ™pˆ kefal»n al misthósdei cavalieri di stanza nell’isola.

Esistono dunque indizi, per quanto molto tenui, che sembranoriflettere la possibile esistenza di forme di tassazione diretta (sul pro-dotto o sulla persona) gravanti sui cittadini ateniesi inviati nelle cle-ruchie. Va allora a questo proposito osservato che, secondo l’esegesiproposta dallo Stroud (pp. 77-84 e 109) per le ll. 51-61, la nostralegge non avrebbe fatto altro che modificare le modalità di esazionedella «dodicesima», sostituendo il pagamento in natura a quello inmoneta e introducendo di conseguenza nuove procedure e nuoveregole per gli appaltatori che si assumevano la responsabilità dellariscossione della tassa. In altri termini è molto probabile che la dw-

dek£th esistesse in altra forma forse sin dal 387/6 58 e, tenuto contoche, come abbiamo visto, dall’iscrizione sui cleruchi di Lemno (Ago-ra XIX, L 3) del 387/6 emerge chiara la volontà ateniese di affermarel’aspetto della continuità della cleruchia rispetto al precedente analo-go insediamento del V secolo, ci si può chiedere se tale continuitànon investisse anche la sfera fiscale.

Il problema della natura e, di conseguenza, della diffusione e delnumero delle cleruchie ateniesi nel V secolo data la frammentarietàdelle fonti è ovviamente troppo ampio e complesso per essere af-frontato in questa sede 59. Ancora più oscuro è l’aspetto degli even-tuali obblighi a carico dei cleruchi verso la metropoli. In questo con-testo vanno peraltro considerati due testi contenenti clausole di na-tura fiscale, il cui significato non è stato finora sufficientemente chia-rito. Il primo, il decreto ateniese per Salamina (IG I3 1 + Add. p. 935),considerata l’ampiezza delle lacune presenta problemi testuali che la

58 Lo Stroud (pp. 31-32 n. 59 e 84) crede anzi di riconoscere una clausola finanzia-ria in quanto rimane di Agora XIX, L 3, l. 10

59 La bibliografia è amplissima. Rimando, tra i lavori più importanti degli ultimi de-cenni, a Graham, Colony and Mother City cit.; Gauthier, Les clérouques de Lesbos et lacolonisation athénienne au Ve siècle cit., pp. 64-68; P.A. Brunt, Athenian SettlementsAbroad in the Fifth Century B.C., in E. Badian (ed.), Ancient Society and Institutions.Studies Presented to Victor Ehrenberg on his 75th Birthday, Oxford 1966, pp. 71-92(rist. con addenda in Studies in Greek History and Thought, Oxford 1993, pp. 112-136);Figueira, Athens and Aigina cit.; C. Bearzot, Motivi socio-demografici nella colonizza-zione ateniese del V secolo: promozione o relegazione?, in M. Sordi (a cura di), Coerci-zione e mobilità urbana nel mondo antico, Milano 1995, pp. 61-88; Salomon, Le cleru-chie di Atene cit.

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recente scoperta di un nuovo frammento soltanto in parte ha contri-buito a risolvere 60. Alle ll. 1-3 viene concesso ai cleruchi (o agliAteniesi) già residenti a Salamina di abitare nell’isola a quanto sem-bra a condizione che essi [… ’Aqš]nesi telün kaˆ strat[eÚesqai] 61.Gli studiosi, pur differendo sulle integrazioni del testo, sono per lopiù concordi nell’ammettere che ciò deve significare «pagare le tasse(o assolvere gli obblighi fiscali) e prestare servizio militare ad Atene(o con gli Ateniesi)» (cfr. n. 61) 62, ma curiosamente mai specificanoin che cosa consistessero tali tšlh. È vero infatti che, secondo Arist.Ath. Pol. 55,3, durante la dokimas…a degli arconti una delle domandeche si ponevano a ciascun candidato era t¦ tšlh <e„> tele‹ (cfr.Cratin. Jun. fr. 9 Kassel-Austin), ma è proprio qui che iniziano ledifficoltà perché, come emerge dal confronto con Din. 2,17-18, nelIV secolo si doveva con ciò alludere in primo luogo all’e„sfor£.Questa, come noto, fu introdotta durante il V secolo 63 e diviene per-

60 A.P. Matthaiou, ’Epigrafþj ’AkropÒlewj, «Horos» 8-9 (1990-1991) [1993], pp. 9-13.61 Per le diverse proposte di integrazione della l. 2 rimando all’apparato critico di

IG I3 1. Il nuovo frammento ha tuttavia consentito di escludere la restituzione[’Aqena…oi]si, rendendo certo, come avevano visto B.D. Meritt (Notes on Attic Decrees,«Hesperia» 10 [1941], pp. 301-304) e M. Guarducci (L’origine e le vicende del gšnoj atticodei Salamini, «RFIC» 76 [1948], pp. 238-241), l’obbligo per i destinatari del decreto ditelün kaˆ strat[eÚesqai] «ad Atene»; cfr. Taylor, Salamis and the Salaminioi cit., pp.17-18 n. 11.

62 Cfr. ad esempio Meritt, Notes on Athenian Decrees cit., p. 303: «pay taxes and ser-ve in the army at Athens»; ML 14, p. 27: «[t]he cleruchs must pay taxes and give militaryservice to Athens»; Moggi, Alcuni episodî della colonizzazione ateniese cit., p. 3: «assol-vere gli obblighi fiscali a favore di Atene e prestare servizio militare con gli altri Atenie-si»; Figueira, Athens and Aigina cit., p. 146 parla di «liability to service and tax paymentin Athens».

63 La questione della data di introduzione dell’eisphorá è legata all’interpretazionedi Thuc. 3,19,1: kaˆ aÙtoˆ (gli Ateniesi) ™senegkÒntej tÒte prîton ™sfor¦n diakÒsia

t£lanta (riferito al 428/7). L. Kallet-Marx, Money, Expense, Naval Power in Thucydi-des’ «History» 1-5.24, Berkeley - Los Angeles - Oxford 1993, pp. 134-136, ha ripropostoora la tesi secondo cui Tucidide avrebbe inteso con ciò dire che gli Ateniesi avevanoallora fatto ricorso alla riscossione di una tassa di guerra per la prima volta in assoluto(cfr. anche R. Sealey, The «Tetralogies» Ascribed to Antiphon, «TAPhA» 114 [1984], pp. 77-80). Prescindendo dal discusso problema della datazione del «secondo decreto» di Cal-lia (IG I3 52B, ll. 17-19; vd. ora L. Kallet-Marx, The Kallias Decree, Thucydides, and theOutbreak of the Peloponnesian War, «CQ» 39 [1989], pp. 94-113; L.J. Samons II, A Noteon the Parthenon Inventories and the Date of IG I3 52B, «ZPE» 118 [1997], pp. 179-182),va tuttavia osservato che un riferimento all’eisphorá compare anche in IG I3 41, l. 38

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tanto necessario trovare, per il decreto su Salamina, una diversaspiegazione. Altre soluzioni sono naturalmente possibili: che «pagarele tasse» volesse in quel momento dire contribuire ai fondi delle nau-crarie (Arist. Ath. Pol. 8,3), qualunque fossero le funzioni di questeultime 64; oppure forse, più generalmente e senza dirette implicazio-ni fiscali, che gli Ateniesi residenti a Salamina rimanevano cionono-stante tenuti ad essere iscritti in una delle classi soloniane e ad assol-vere gli obblighi che ne conseguivano 65. In ogni caso, anche allaluce della formula, anch’essa presumibilmente antica 66, di Arist. Ath.Pol. 55,3: kaˆ t¦ tšlh <e„> tele‹ kaˆ t¦j strate…aj e„ ™str£teutai,in cui di nuovo tele‹n e strateÚesqai compaiono in associazione,mi sembra improbabile che nel decreto per Salamina l’espressione […’Aqš]nesi telün alludesse ad obblighi fiscali specificamente a caricodegli Ateniesi residenti nell’isola e tali da distinguerli dai cittadini dellametropoli.

Più chiare implicazioni fiscali ha invece il secondo passo da esa-minare, rappresentato dalle ll. 52-57 del decreto ateniese per Calcide(IG I3 40) 67: tÕj dþ csšnoj tÕj ™n Calk…di, hÒsoi o„kýntej mþ telý-

(cfr. in proposito Graham, Colony and Mother City cit., pp. 171-172). J.G. Griffith, ANote on the First Eisphora at Athens, «AJAH» 2 (1977), pp. 3-7, interpreta il passo nelsenso che gli Ateniesi avrebbero allora riscosso per la prima volta una tassa straordina-ria di guerra di 200 talenti. Secondo R. Thomsen, «Eisphora». A Study of Direct Taxationin Athens, København 1964, pp. 119-146, l’eisphorá risalirebbe all’età di Temistocle. SuArist. Ath. Pol. 8,3 cfr. Rhodes, A Commentary on the Aristotelian «Athenaion Politeia»cit., p. 153.

64 Sulle naucrarie si vedano, da ultimi, V. Gabrielsen, Financing the Athenian Fleet,Baltimore-London 1994, pp. 19-26; e M. Ostwald, Public Expense: Whose Obligation?Athens 600-454 B.C.E., «PAPhS» 139 (1995), pp. 370-374. U. von Wilamowitz-Moellen-dorff, Aristoteles und Athen, II, Berlin 1893, pp. 165-166 n. 52, riteneva che i cleruchi diSalamina fossero tenuti al mantenimento della nave di stato Salaminia.

65 Cfr. Arist. Ath. Pol. 7,3-4, e in particolare la domanda, certamente un fossile diantica origine, po‹on tšloj tele‹ rivolta a coloro che si candidavano ad un’arché; si ve-dano in proposito G. Busolt - H. Swoboda, Griechische Staatskunde, II, München19263, p. 821 con n. 2; Rhodes, A Commentary on the Aristotelian «Athenaion Politeia»cit., p. 140. Sull’espressione ƒpp£da (o qhtikÒn) tele‹n cfr. G.E.M. de Ste. Croix, Demo-sthenes’ t…mhma and the Athenian e„sfor£ in the Fourth Century B.C., «C&M» 14 (1953),pp. 42-44.

66 Si veda da ultimo Ostwald, Public Expense cit., p. 376 con n. 31.67 Cfr. anche Ch. Koch, Volksbeschlüsse in Seebundangelegenheiten. Das Ver-

fahrensrecht Athens im Ersten attischen Seebund, Frankfurt am Main 1991, T 4, pp. 135-169, con le relative note alle pp. 514-529.

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Intorno alla nuova legge ateniese sulla tassazione del grano 87

sin ’Aqšnaze, kaˆ e‡ toi dšdotai hupÕ tý dšmo tý ’Aqena…on ¢tšleia,

tÕj dþ ¥lloj telün ™j Calk…da, kaq£per hoi ¥lloi Calkidšej. L’in-terpretazione di tale clausola è stata negli anni Settanta al centrodi un vivace dibattito incentrato sui caratteri e sulla natura dell’impe-rialismo ateniese 68. Ai nostri fini, indipendentemente dalla questio-ne di come si debba interpretare l’inciso kaˆ e‡ toi dšdotai hupÕ tý

dšmo tý ’Aqena…on ¢tšleia, ciò che importa è in ogni caso il fattoche la disposizione presuppone l’esistenza a Calcide di un gruppo dixšnoi che pagavano le tasse ad Atene. Concordo sul fatto che, essen-do questi sussunti nella più ampia categoria degli «stranieri» residentia Calcide ed essendo la formula manifestamente concepita in rispo-sta ad un preciso quesito dei Calcidesi, la definizione di xšnoi non èin questo caso inappropriata se applicata a cittadini ateniesi 69. Neconsegue pertanto la necessità di comprendere a quale titolo taliAteniesi fossero residenti (o„kýntej) a Calcide e quali fossero i tšlh

che pagavano alla madrepatria. In entrambi i casi risposte univochenon sono nuovamente possibili; nondimeno una discussione dellesoluzioni prospettabili consente per lo meno di delimitare il campodelle ipotesi. Il primo punto è che, se il decreto di Anticle giungevaa prevedere regole specifiche al riguardo, il numero degli Ateniesiinteressati dalla clausola doveva essere in qualche misura significati-vo. Se quindi l’ipotesi della cleruchia, per quanto anche in tempirecenti non priva di sostenitori 70, appare oggi, soprattutto alla luce

68 Si vedano D. Whitehead, IG I2 39: «Aliens» in Chalcis and Athenian Imperialism,«ZPE» 21 (1976), pp. 251-259; e i successivi interventi di J.D. Smart, IG I2 39: «Aliens» inChalcis, «ZPE» 24 (1977), pp. 231-232; S.R. Slings, Athenian Ateleia in IG I2 39, «ZPE» 25(1977), pp. 276-279; Ch.W. Fornara, IG I2, 39.52-57 and the «Popularity» of the Athe-nian Empire, «CSCA» 10 (1977), pp. 39-55; K.J. Dover, DE in the Khalkis Decree, «ZPE»30 (1978), p. 94; A.S. Henry, Athens and Chalcis: IG I2 39, lines 52-57 Yet Again, «ZPE»35 (1979), pp. 287-291. Una implicita presa di posizione sul problema è anche in M.F.McGregor, The Athenians and their Empire, Vancouver 1987, pp. 87-89.

69 Giungono a questa conclusione, in maniera apparentemente indipendente, Whi-tehead, IG I2 39: «Aliens» in Chalcis cit., pp. 253-256; e Fornara, IG I2, 39.52-57 cit., pp.40-41.

70 A favore della cleruchia, dopo B.D. Meritt - H.T. Wade-Gery - M.F. McGregor,The Athenian Tribute Lists, III, Princeton 1950, pp. 294-297, si vedano E. Erxleben, DieKleruchien auf Euböa und Lesbos und die Methoden der attischen Herrschaft im 5. Jh.,«Klio» 57 (1975), pp. 83-92; W. Schmitz, Wirtschaftliche Prosperität, soziale Integrationund die Seebundpolitik Athens, München 1988, pp. 99-101; e, ora, con nuovi ingegnosiargomenti, Salomon, Le cleruchie di Atene cit., pp. 209-213.

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degli argomenti del Fornara 71, obiettivamente come quella più de-bole, bisognerà per lo meno postulare la presenza di un gruppoconsistente di Ateniesi insediati su terre confiscate nel territorio diCalcide 72. Riguardo ai loro obblighi fiscali verso Atene mi sembrache gli argomenti di D. Whitehead (IG I2 39: «Aliens» in Chalcis cit.,pp. 254-255) contro l’ipotesi che si trattasse di imposte indirette (da-zi, epónia, ecc.) conservino tutta la loro forza: appare infatti manife-sto dalla nostra clausola che i rispettivi obblighi di pagare tali tšlh

ad Atene o a Calcide si escludevano a vicenda (tÕj dþ csšnoj tÕj ™n

Calk…di, hÒsoi o„kýntej mþ telýsin ’Aqšnaze.... . . .tÕj dþ ¥lloj

telün ™j Calk…da), ciò che male si adatterebbe a dazi o tasse por-tuali le quali potevano evidentemente essere riscosse più volte, e inluoghi diversi, sugli stessi beni 73. Anche la possibilità che i tšlh deb-bano identificarsi con l’eisphorá (cfr. IG I3 41, l. 38), per quanto se-ducente 74, non è esente da obiezioni. Essa presuppone infatti l’e-sistenza di un’omologa «tassa di guerra» a Calcide e inoltre che taliimposizioni fossero, subito dopo la metà del V sec., talmente frequentida richiedere una precisa regolamentazione in materia. L’ipotesi chele proprietà degli Ateniesi in territorio extra-attico fossero soggette aqualche forma di regolare tassazione diviene pertanto non del tuttopriva di verisimiglianza e si potrebbe allora, seguendo il Fornara, in-terpretare la nostra clausola nel senso che Atene, la quale si riserva-va in ogni caso un beneficio dalle proprietà che i suoi cittadini dete-nevano al di fuori dell’Attica, rivendicava per essi la totale esenzioneda ogni forma di obbligo fiscale nei confronti di Calcide 75.

Se ritorniamo ora alla legge di Agirrio del 374/3 non mancano in real-tà i motivi per giustificare l’esistenza di un’imposizione diretta sui cle-ruchi di Lemno, Imbro e Sciro, e forse sui cleruchi in generale. In IGII2 1214, un decreto del demo del Pireo (primo quarto del III sec. a.C. 76),

71 IG I2, 39.52-57 cit., pp. 43-50.72 Così Brunt, Athenian Settlements Abroad cit., pp. 87-89 (= 132-134); R. Meiggs,

The Athenian Empire, Oxford 1972, pp. 565-568; Fornara, IG I2, 39.52-57 cit.; Figueira,Athens and Aigina cit., pp. 256-260.

73 Cfr. anche Fornara, IG I2, 39.52-57 cit., p. 55 n. 52.74 Smart, IG I2 39 cit., p. 232; Figueira, Athens and Aigina cit., pp. 192-193. Fornara,

IG I2, 39.52-57 cit., p. 55 n. 52, parla genericamente di «property-tax».75 Fornara, IG I2, 39.52-57 cit., pp. 50-52.76 D. Whitehead, The Demes of Attica, 508/7-ca. 250 B.C., Princeton 1986, pp. 385-

386 (nr. 89) e 425 (nr. 150).

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Intorno alla nuova legge ateniese sulla tassazione del grano 89

una clausola concedeva all’onorato l’esenzione dall’™gkthtikÒn, contutta evidenza una tassa sulla proprietà, riscossa dal demarco, appli-cata a chi non era registrato nelle liste del demo (tele‹n dþ aÙtÕn t¦

aÙt¦ tšlh ™n tù d»mJ ¤per ¨g kaˆ Peiraie‹j kaˆ m¾ ™glšgeim par’

aÙtoà tÕn d»marcon tÕ ™gkthtikÒn). Tale télos è direttamente atte-stato soltanto per il Pireo, ma la sua esistenza può essere inferitaanche in relazione ai demi di Eleusi (IG II2 1187, ll. 16-17) e Lamptre(IG II2 1204, ll. 11-12) sulla base dell’atéleia che questi potevanoconcedere a non-demoti. [Dem.] 50,8-9 attesta inoltre che negli «ar-chivi» dei demarchi venivano custodite liste ufficiali di ™gkekthmšnoi,cosicché appare giustificata la conclusione che l’™gkthtikÒn dovesseessere uno degli istituti comuni a tutti i demi 77. È vero che i dettaglici sfuggono: non sappiamo con quale frequenza esso venisse riscos-so, né quale fosse la sua incidenza. L’impressione è peraltro che, sel’esenzione poteva essere conferita come un privilegio in un decretoonorario, non doveva soltanto trattarsi di un contributo simbolico 78.Quello che è certo è invece che l’™gkthtikÒn, essendo riscosso nel-l’ambito dei demi, non doveva gravare sui possedimenti extra-atticidei cleruchi e che a ciò si aggiungeva il fatto che i klhroucik£ eranoesclusi dal computo dei beni ai fini della trierarchia (Dem. 14,16) 79.Anche tenuto conto dell’importanza delle tre isole nel sistema degliapprovvigionamenti granari ateniesi (Stroud, pp. 32-37) la dwdek£th

in sítos, e la tassa in moneta che dovette certamente precederla, ve-nivano quindi in qualche modo ad equilibrare i privilegi di cui gode-vano i cleruchi.

77 V. von Schoeffer, Demoi, «RE» 5.1 (1903), coll. 17-18; M.K. Langdon, The Territo-rial Basis of the Attic Demes, «SO» 60 (1985), p. 8. Cfr. anche Whitehead, The Demes ofAttica cit., pp. 75-76 con n. 38 e 150-151, il quale non considera peraltro la documenta-zione sufficiente per procedere a generalizzazioni; e ora, nello stesso senso, N.F. Jones,The Associations of Classical Athens. The Response to Democracy, New York - Oxford1999, pp. 64-65.

78 Whitehead, IG I2 39: «Aliens» in Chalcis cit., p. 257. Secondo Descat, De l’économietributaire à l’économie civique cit., p. 98, la tassa era «modeste».

79 Cfr. Gabrielsen, Financing the Athenian Fleet cit., pp. 85-90, con le successiveosservazioni di Salomon, Cleruchie e trierarchie: nota a Demostene, Perˆ tîn summo-riîn, 16, «ASNP» 25 (1995), pp. 243-247.

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II

Come osserva lo Stroud (in part. pp. 109-115), la legge di Agirrionon contiene alcuna indicazione esplicita sui meccanismi che dove-vano presiedere alla riscossione della dwdek£th. La cosa non è deltutto sorprendente perché l’obiettivo del nómos è innanzitutto quellodi definire i compiti e gli obblighi degli appaltatori nei confrontidella pólis, ricadendo le modalità concrete dell’esazione nella nor-mativa generale sugli appalti (oƒ nÒmoi oƒ telwniko… in Dem. 24, 96-101 e 122) 80 oppure essendo esse in ogni caso specificate in un altrodocumento 81. Ciò che rimane in particolare del tutto in ombra sonoi modi con cui gli appaltatori, assumendosi gli obblighi e i rischi,certo non minimi, imposti dalla città, potevano a loro volta ricavarneun profitto. A questo proposito, mi sembra che le importanti consi-derazioni dell’editore possano essere ulteriormente sviluppate e chela chiave per ogni tentativo di soluzione del problema debba essereindividuata nel termine mer…j.

Questo viene introdotto nella legge senza alcun’altra indicazionee viene definito esclusivamente in termini di una quota fissa di granoe orzo (ll. 8-10). Dalle ll. 27-36 si evince inoltre che la mer…j eral’unità minima appaltabile da un individuo e che era tuttavia ammes-sa la possibilità di formare simmorie pari a sei mer…dej. Una similedefinizione di mer…j contrasta peraltro con il fatto che la tassa, comerivela il nome di dwdek£th, era con tutta evidenza una tassa propor-zionale. Il sospetto è, cioè, che mer…j dovesse alludere a qualcosa dipiù che ad una semplice quantità di s‹toj e, più precisamente, corri-spondesse nello stesso tempo ad una «porzione» di territorio, ad un«distretto» geografico.

Questa interpretazione mi sembra suggerita da un’analisi dellasemantica stessa del termine. Al di là delle numerose attestazioni incui compare, nelle iscrizioni attiche, ad indicare la «porzione» di car-ne sacrificale distribuita ai partecipanti di una festa (ad esempio IG I3

80 W. Schwahn, NÒmoj telwnikÒj, «RE» 17.1 (1936), coll. 843-845.81 Si noti che, secondo la descrizione dell’editore (pp. 1-2), il lato sinistro, non levi-

gato, della stele rivela che questa era stata preparata in modo da essere accostata aqualcosa. Poteva trattarsi di una seconda stele? Questo spiegherebbe anche l’assenza,nella legge, della formula relativa alla sua «pubblicazione» epigrafica.

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255, B, l. 5; IG II2 334, ll. 10-13 e 25-27 82; 1214, ll. 11-14; 1231, ll. 9-13; SEG 21,527 [= Agora XIX, L 4], ll. 39-41), mer…j infatti ricorre nonraramente in rapporto ad una «sezione» della cèra, sia che si tratti diun distretto anche di notevole ampiezza (come le mer…dej macedo-ni 83; cfr. anche, per il caso egiziano delle suddivisioni del nomodell’Arsinoite, OGIS 177, ll. 9-12; e 179, ll. 8-11) che di un più mode-sto lotto di terra. Quest’ultima accezione, più volte documentata daipapiri egiziani 84, ricorre anche nella prima tavola di Eraclea (IG XIV645, ll. 15-35) 85 e in un decreto onorario di Priene ascritto dal Hillervon Gaertringen all’inizio del III sec. (I.v. Priene 12, l. 24: ([¢tšleiam

p]£ntwm pl¾n gÁj mer…doj 86). IG II2 463 (= F.G. Maier, GriechischeMauerbauinschriften, I, Heidelberg 1959, nr. 11, pp. 48-67), ll. 119-130, rivela inoltre come il termine mer…j potesse denotare le «sezioni»in cui nel 307/6 vennero divise le mura di Atene ai fini dell’appaltodei lavori di riparazione 87. Il caso che, come vedremo, più si avvici-na a quello qui in esame è tuttavia costituito dall’uso di mer…j in re-lazione a parti o sezioni di miniere. Nei Lexica Segueriana, s.v. ¢-posšscen (sic!) toÝj Órmouj toà met£llou (p. 205 Bekker), vieneinfatti spiegato che Órmoi dš e„sin ésper k…onej toà met£llou, oá-toi d’Ãsan kaˆ Óroi tÁj ˜k£sthj mer…doj, ¿n ™misqèsato par¦ tÁjpÒlewj. Gli Órmoi erano quindi i pilastri che segnavano i limiti delle

82 Su questa iscrizione cfr. da ultimo P. Brulé, La cité en ses composantes: remar-ques sur les sacrifices et la procession des Panathénées, «Kernos» 9 (1996), pp. 37-63.

83 Su queste si veda ora l’esaustiva trattazione di M.B. Hatzopoulos, MacedonianInstitutions under the Kings, I, Athens 1996, pp. 232-260.

84 B. Meißner, «Meris VI ad ludum Neronianum»: Beobachtungen und Überlegun-gen zu einer Inschrift des Katasters von Orange, «ZPE» 90 (1992), pp. 179-180. Cfr. an-che L. Robert, Dédicaces et reliefs votifs, «Hellenica» 10 (1955), p. 25 n. 4.

85 Cfr. A. Uguzzoni - F. Ghinatti, Le tavole greche di Eraclea, Roma 1968, p. 69.86 Cfr. Gauthier, ’Atšleia toà sèmatoj cit., pp. 53 e 66. Un esempio analogo (mš-

roj) è fornito dal decreto di Issa sulla colonia di Kerkyra Melaina, SIG3 141 (vd. da ulti-mo M. Lombardo, Lo «psephisma» di Lumbarda: note critiche e questioni esegetiche, in L.Braccesi [a cura di], Hesperìa, 3, Roma 1993, pp. 161-188), ll. 3-7. Cfr. ora J.-L. Ferrary -D. Rousset, Un lotissement de terre à Delphes au IIe siècle après J.-C., «BCH» 122 (1998),pp. 314-315 con n. 118.

87 In questo contesto va menzionata anche un’iscrizione dell’agorà ateniese recen-temente pubblicata da G.V. Lalonde, Greek Inscriptions from the Athenian Agora, «He-speria» 61 (1992), nr. 1, pp. 375-379 (SEG 42,145), in cui una simile «sezione» data inconcessione (l. 4: ™misqèqh) per un qualche lavoro pubblico, forse la costruzione (o lariparazione) di una strada, viene indicata con il termine mšroj (quest’ultimo a sua voltacontraddistinto con la lettera dšlta).

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singole sezioni in cui potevano essere divise le miniere e che la cittàdava in concessione a uno o diversi appaltatori. Si capisce pertantoper quale ragione l’anonimo attore della Contro Fenippo, presentandoi motivi del suo dissesto finanziario, afferma: kaˆ tÕ teleuta‹on nun…

me de‹ tÍ pÒlei tr…a t£lanta kataqe‹nai, t£lanton kat¦ t¾n mer…da

(metšscon g¦r…k¢gë toà dhmeuqšntoj met£llou) ([Dem.] 42,3).È importante inoltre sottolineare che, nei testi menzionati, ogni

qual volta mer…j compare in rapporto ad un appalto o ad unam…sqwsij pubblica, la «parte» (o «porzione») che essa stava ad indica-re doveva essere accuratamente definita nei suoi limiti geografici 88.Sebbene, se interpretata in tal modo, la formulazione dell’iscrizionesuoni brachilogica e un po’ dura, la clausola delle ll. 8-10 deve per-tanto di fatto significare che la quota che gli appaltatori di ognimer…j, o distretto fiscale a tal fine delimitato, delle tre isole sonotenuti a versare alla pólis dovrà essere di 500 medimni, più precisa-

88 Cfr. ad esempio IG XIV 645, I, ll. 15-20: t¦n mþn pr£tan mer…da ¢pÕ tî ¢ntÒmw

tî p¦r t¦ Hhrèideia ¥gontoj eároj potˆ t¦n triakont£pedon t¦n di¦ tîn hiarîn

cèrwn ¥gwsan, m©koj dþ ¥nwqa ¢pÕ t©n ¢poro©n ¥cri ™j potamÕn tÕn ”Akirin kaˆ

™gšnonto metrièmenai ™n taÚtai t©i mere…ai ™rrhge…aj mþn diak£tiai m…a sco‹noi,

sk…rw dþ kaˆ ¢rr»ktw kaˆ drumî #exak£tiai tetrèkonta #þx sco‹noi hhm…scoinon («Ilprimo lotto si estende in larghezza sulla strada vicinale che fiancheggia la proprietà diEroda fino alla via larga trenta piedi che conduce attraverso i terreni sacri, e discendein lunghezza dalle sorgenti fino al fiume Aciri: in questo lotto risultarono misurati 201scheni di terra arativa e 646 scheni e mezzo di macchia, terra incolta e querceto»; trad.di F. Sartori, ap. Uguzzoni-Ghinatti, Le tavole di Eraclea cit., p. 229). Sebbene il terminemer…j non compaia nelle registrazioni dei poleti riguardanti le concessioni delle minie-re (Agora XIX, P 5-56, che aggiorna e supera la classica edizione dei frammenti di M.Crosby, The Leases of the Laureion Mines, «Hesperia» 19 [1950], pp. 180-312; e MoreFragments of Mining Leases, «Hesperia» 26 [1957], pp. 1-23) e l’esatto rapporto tra que-ste e le mer…dej cui si riferiscono Demostene e la tradizione lessicografica rimanga sfug-gente, si deve presumere che anche i limiti delle mer…dej in cui erano suddivise le mi-niere fossero, allo stesso modo di queste ultime (Harpocr. e Suid., s.v. diagraf»: ¹ dia-

tÚpwsij tîn pipraskomšnwn met£llwn dhloàsa di¦ gramm£twn ¢pÕ po…aj ¢rcÁj

mšcri pÒsou pšratoj pipr£sketai), accuratamente definiti (prova ne è il fatto che losconfinamento entro i limiti di una vicina concessione era uno dei reati puniti dal nÒmoj

metallikÒj; cfr. Dem. 37,35-38; Hyp. 3,35: f»nantoj g¦r Lus£ndrou tÕ ’Epikr£touj

mštallon toà Pallhnšwj <æj> ™ntÕj tîn mštrwn tetmhmšnon [dove bisogna conserva-re l’™ntÒj della tradizione]; [Plut.] Mor. 843D, con Harrison, The Laws of Athens, II, cit.,pp. 218-221; Faraguna, Atene nell’età di Alessandro cit., pp. 314-316, soprattutto n. 87;sulla f©sij vd. da ultimo D.M. McDowell, The Athenian Procedure of «Phasis», in M.Gagarin [ed.], Symposion 1990, Köln-Weimar-Wien 1991, pp. 187-198, in part. 196 conn. 18).

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mente 100 medimni di grano e 400 di orzo. In questo modo si com-prende allora in che cosa consistesse il guadagno dell’appaltatore.Questo doveva infatti risiedere nella differenza tra la dwdek£th,come tale di entità variabile, riscossa nella mer…j presa in concessio-ne e la quota fissa, evidentemente calcolata così da non essere trop-po gravosa, di 500 medimni che egli si impegnava in ogni caso atrasportare e depositare nell’Aiákeion.

L’analogia sopra rilevata con il sistema degli appalti delle miniered’argento 89 ci consente inoltre di precisare i meccanismi che presie-devano alla riscossione della «dodicesima», dimostrando nello stessotempo come la legge di Agirrio non facesse che applicare al s‹toj

delle isole procedure verisimilmente già collaudate del sistema «fi-scale» ateniese.

Il regime di sfruttamento dei mštalla del Laurion, sebbene suffi-cientemente chiarito nelle sue linee generali, rimane, come è noto,ancora sfuggente quando si considerino i dettagli del suo funziona-mento. Vi è un generale consenso sul fatto che la città detenesse unasorta di monopolio sui diritti minerari (Bergregal), che le singoleminiere venissero date in concessione ai privati per un certo, varia-bile, periodo di tempo in cambio di un corrispettivo (Arist. Ath. Pol.47,2), e che l’aggiudicazione delle concessioni avvenisse con ogniprobabilità sulla base di un’asta pubblica 90. Le incertezze comincia-no invece quando si tratta di interpretare, anche alla luce della re-stante documentazione disponibile, il significato dei «prezzi» che ap-paiono, nei rendiconti dei poleti, in coda a ciascuna registrazione.

89 Il ricorrere della terminologia della «vendita» in rapporto all’appalto della dw-

dek£th (l. 6) è un altro elemento che giustifica il parallelo (per il caso delle miniere cfr.ad esempio Arist. Ath. Pol. 47,2; Dem. 19,293; 37,22; Din. fr. XCIV Conomis; cfr. R.J.Hopper, The Attic Silver Mines in the Fourth Century B.C., «BSA» 48 [1953], pp. 206-207).Si noti tuttavia che, mentre nella legge in esame l’appaltatore viene più volte definito Ðpri£menoj (ll. 11-12, 21, 22, 27, 30 e 47), nei documenti dei poleti il concessionario di unaminiera è detto çnh(t»j). Tale sistema della concessioni era già operante nel 424 a.C.: cfr.Ar. Eq. 362: çn»somai mštalla.

90 Su quest’ultimo punto cfr. M.K. Langdon, Public Auctions in Ancient Athens, inR. Osborne - S. Hornblower (eds.), Ritual, Finance, Politics. Athenian Democratic Ac-counts Presented to David Lewis, Oxford 1994, pp. 253-265. Tutte le questioni relative alregime di sfruttamento delle miniere del Laurion sono criticamente discusse da Hop-per, The Attic Silver Mines cit.; utile anche C.E. Conophagos, Le Laurium antique, Athenai1980. Sui problemi posti da Arist. Ath. Pol. 47,2 vd. ora D. Vanhove, Aristote et les minesdu Laurion. À propos de la Constitution d’Athènes XLVII.2, «AC» 65 (1996), pp. 243-249.

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Tali cifre, come osservato da M. Crosby nell’editio princeps dei fram-menti («Hesperia» 19 [1950], pp. 202-204), potrebbero infatti corri-spondere ad un versamento unico effettuato a titolo di tassa di regi-strazione, ad un pagamento annuale o ad uno dovuto ad ogni prita-nia. Sulla base del fatto che i prezzi più frequentemente ricorrentisono quelli di 20 e 150 e che le fonti letterarie parlano di miniereprese in concessione per somme che vanno dalle 2.000 alle 9.000dracme (rispettivamente Dem. 40,52 e 37,22), la dottrina vuole che idati delle iscrizioni debbano riferirsi a versamenti da effettuarsi adogni pritania, corrispondendo questi in qualche modo, se moltiplica-ti per il numero delle pritanie, ai valori bassi delle fonti letterarie 91.

In uno studio pubblicato nel 1992, cui rimando per i dettagli del-la dimostrazione 92, ho avuto modo di mettere in evidenza l’impro-babilità di una simile ricostruzione. Da un lato essa si scontra con ilfatto che nelle iscrizioni dei poleti, accanto al ricorrere di prezzi fissi,si rileva anche la sporadica presenza di valori elevati, quali 6.100(«Hesperia» 1950, p. 246, nr. 16, l. 299 = Agora XIX, P 26, A, l. 93),3.500 («Hesperia» 1957, nr. S4, l. 4 = Agora XIX, P 19, l. 4) e forseaddirittura 17.550 dracme («Hesperia» 1957, nr. S5, l. 15 = Agora XIX,P 19, l. 30) 93, i quali sono naturalmente del tutto incompatibili conun regime caratterizzato da dieci scadenze annuali; dall’altro nontiene conto di alcune testimonianze della tradizione lessicografica(Suid., s.v. ¢gr£fou met£llou d…kh 94; Harpocr., s.v. ¢ponom») chesembrano invece rimandare ad un sistema di sfruttamento caratteriz-zato da un regime di compartecipazione dei profitti tra i concessio-nari delle miniere e la pólis. Significativo è in particolare il lemma diArpocrazione: ¢ponom»: ¹ ¢pÒmoira, æj mšroj ti tîn perigignomš-

nwn ™k tîn met£llwn lambanoÚshj tÁj pÒlewj, À æj diairoumšnwn

91 Hopper, The Attic Silver Mines cit., pp. 237-239; seguito da M.K. Langdon, AgoraXIX, p. 60. Sul problema si veda ora anche K.M.W. Shipton, The Prices of the AthenianSilver Mines, «ZPE» 120 (1998), pp. 57-63.

92 Faraguna, Atene nell’età di Alessandro cit., pp. 294-311.93 Non è escluso che in quest’ultimo caso i due tau facessero parte non del nume-

rale, bensì di un demotico abbreviato che precedeva (M. Crosby, «Hesperia» 26 [1957],p. 14 n. 7). Se fosse così la somma registrata sarebbe allora di 5.500 dracme, una cifraanch’essa di entità molto rilevante.

94 Su questo lemma, corretto a partire dal Lipsius in ¢<napo>gr£fou met£llou

d…kh (Das attische Recht und Rechtsverfahren cit., p. 409 n. 132), vd. Faraguna, Atene nel-l’età di Alessandro cit., pp. 298-299.

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Intorno alla nuova legge ateniese sulla tassazione del grano 95

e„j ple…ouj misqwt£j, †n’›kastoj l£bV ti mšroj: De…narcoj ™n tù

PrÕj toÝj LukoÚrgou pa‹daj poll£kij. In esso sono degni di rilie-vo il riferimento all’orazione di Dinarco Contro i figli di Licurgo chepossiamo sicuramente datare al 324/3 ([Plut.] Mor. 842E-F; 846C;Dem. Ep. 3) 95 e il fatto che il termine tecnico ¢ponom», spiegatocome sinonimo del più comune ¢pÒmoira 96, considerato l’interesse,anche indipendentemente documentato, di Licurgo per le minieredel Laurion ([Plut.] Mor. 843D), doveva presumibilmente comparirvi,poll£kij, nella prima delle due accezioni descritte 97.

Sebbene ogni conclusione, data la frammentarietà delle fonti,debba necessariamente rimanere ipotetica, gli indizi raccolti sembra-no quindi contraddire la tesi secondo cui le miniere del Laurionavrebbero garantito entrate ad Atene soltanto nella forma di canonifissi versati dagli appaltatori con scadenze mensili e autorizzare piut-tosto la ricostruzione di un sistema caratterizzato da due forme dipagamento distinte. La prima, documentata dalle diagrafa… dei po-leti, sarebbe consistita in una sorta di tassa di registrazione versatadagli appaltatori al fine di assicurarsi la concessione. La presenza diun numero limitato di somme piuttosto elevate a fianco del frequen-te ricorrere di prezzi fissi assai più modesti potrebbe allora spiegarsicon il fatto che le concessioni venivano messe all’asta partendo daun prezzo minimo di base e che, nel caso di miniere particolarmentericche di minerale o, comunque, promettenti, la competizione tra ipotenziali appaltatori poteva determinare un forte rialzo del prezzodi aggiudicazione. La seconda doveva invece consistere nell’obbligoper i concessionari di versare allo Stato una quota, non sappiamo sefissa o proporzionale, del minerale (o, più verisimilmente, del metal-lo puro) estratto. Di essa rimane traccia nelle fonti soltanto attraver-so il lemma di Arpocrazione. Non è escluso peraltro che, per il IV

95 Sulla cronologia dell’episodio cfr. J.A. Goldstein, The Letters of Demosthenes,New York - London 1968, pp. 44-58; L. Braccesi, recens. a J.K. Davies, Athenian Pro-pertied Families, 600-300 B.C. (Oxford 1971), «Athenaeum» 61 (1973), p. 422.

96 Sul ricorrere di ¢pÒmoira «als Bezeichnung für die Abgabe des schuldigen Teileseines Ertrages» cfr. A. Wilhelm, Zu den Inschriften aus dem Heiligtum des Gottes Sinuri,«SAWW» 224 (1947), pp. 16-20 (rist. in Akademieschriften, III, cit., pp. 264-268).

97 Anche l’uso del participio presente di perig…gnomai ad indicare «i proventi» deri-vanti da una qualche fonte di entrata deve considerarsi tecnico: cfr. ad esempio Isocr.8,82: tÕ perigignÒmenon ™k tîn fÒrwn ¢rgÚrion, con Raubitschek, Two Notes on Isocratescit., pp. 359-360; SEG 41, 929, ll. 4-5 (vd. n. 2).

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secolo, una conferma possa essere fornita da IG II2 1443, ll. 12-14, incui, nei rendiconti dei tesorieri di Atena del 344/3, è registrato ildeposito nel tesoro della dea di 28 barre (·umo…) di ¥shmon ¢rgÚrion

da parte del tam…aj tîn stratiwtikîn Nicerato di Cidantide ([¢s»]-

mou ™xaireqšnt[oj] par¦ tam…ou stratiwtikîn parel£bomen Nikh-

r£t[ou] Kudant…dou; segue l’enumerazione dei 28 ·umo… [ll. 14-88]).Da dove fosse giunto al tesoriere della «cassa militare» l’argento nonconiato poi fatto mettere da parte da Nicerato rimane naturalmenteincerto; alla luce del coinvolgimento diretto del tam…aj tîn stra-

tiwtikîn negli appalti delle miniere (Arist. Ath. Pol. 47,2), l’ipotesiche esso derivasse dai mštalla del Laurion e avesse origine in quel-la quota del ricavo dei concessionari che la città si riservava (mšroj

ti tîn perigignomšnwn ™k tîn met£llwn) mi sembra tuttavia esserequella con il maggior grado di probabilità.

Se ora ritorniamo alla nostra legge ateniese del 374/3, i punti diconsonanza con tale sistema non sono trascurabili. In entrambi icasi, qualora l’interpretazione di merís qui proposta sia corretta, gliappaltatori prendevano in concessione un’area precisamente defini-ta e si impegnavano a versare alla città una parte del ricavato. Nellanostra legge, così come nel caso delle miniere, chi otteneva il dirittoera inoltre tenuto al pagamento di una sorta di tassa di registrazionedel «contratto». Forse non del tutto casualmente la somma di 20 drac-me (ll. 27-29) ricorre con frequenza nei documenti dei poleti anchein relazione alle miniere, sebbene si supponga che in questo casoessa si applicasse soltanto alle miniere di nuovo sfruttamento 98. DalnÒmoj di Agirrio sappiamo inoltre che tale pagamento veniva effet-tuato a titolo di ™pènia kaˆ khrÚkeia (ll. 27-29). Proprio quest’ulti-mo termine, che implica la presenza del kÁrux, giustifica l’assuntoche la vendita delle mer…dej avvenisse mediante un’asta pubblica eche, come nel caso dei mštalla, 20 dracme dovesse pertanto rap-presentare la tassa di registrazione minima. Anche la destinazionedelle entrate, ma questo è probabilmente del tutto casuale, era forsela stessa. Se infatti i 28 ·umo… di argento di IG II2 1443 venivanoveramente dalla dianom» di cui parla Arpocrazione, è possibile chein entrambi i casi i proventi degli appalti fossero stati assegnati alfondo per le spese militari. Il riferimento agli stratiwtik£ nella leg-

98 Hopper, The Attic Silver Mines cit., pp. 234-236.

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ge sul grano di Lemno, Imbro e Sciro (ll. 54-55: kaˆ œstw strati[w]-

tik<¦> t¦ ™k tý s…to genÒmena) non è in ogni caso per noi privo diinteresse. Trattandosi di una disposizione in linea di principio per-manente, esso dimostra che la cassa militare, oltre a ricevere in tem-po di guerra il surplus dell’amministrazione ([Dem.] 59,4: keleuÒn-

twn mþn tîn nÒmwn, Ótan pÒlemoj Ï, t¦ periÒnta cr»mata tÁj dioi-

k»sewj stratiwtik¦ e!nai), disponeva anche di un’assegnazioneannuale già fin dal 374/3 99, confermando in tal modo la tesi di G.L.Cawkwell secondo cui essa doveva esistere per lo meno dalla fonda-zione della Seconda Confederazione Ateniese 100 e rivelando come ilsistema di ripartizione delle entrate tra i diversi fondi assegnati aimagistrati (merismÒj) fosse in quel momento già considerevolmentesviluppato 101.

La ricerca di analogie ha tuttavia valore soltanto nella misura incui esse ci consentono di mettere a fuoco modalità e meccanismiamministrativi di più ampia applicazione nella pólis ateniese. Daquesto punto di vista mi sembra che i due casi, sopra indipendente-mente analizzati, della legge del 374/3 e dell’amministrazione delleminiere integrandosi l’uno con l’altro portino a risultati convergenti,rivelando come procedure di appalto che prevedessero l’obbligo diversamenti in natura da parte del concessionario non dovessero es-sere infrequenti nel sistema fiscale ateniese 102.

99 In precedenza l’esistenza di una regolare assegnazione annuale era attestata apartire dal 347/6 (IG II2 212 [= Tod 167], ll. 39-44); cfr. P. Brun, Eisphora - Syntaxis -Stratiotika. Recherches sur les finances militaires d’Athènes au IVe siècle av. J.-C., Paris1983, pp. 170-175.

100 G.L. Cawkwell, Demosthenes and the Stratiotic Fund, «Mnemosyne» 15 (1962),pp. 377-383

101 Sull’organizzazione finanziaria ateniese nel IV sec. vd. Faraguna, Atene nell’etàdi Alessandro cit., pp. 171-209.

102 Agli esempi portati da Stroud, p. 32, può essere aggiunta Agora XIX, L 10, B, ll.1-5 (= IG II2 2495), dove l’espressione tîn æra…wn tÁj komidÁj deve verisimilmente es-sere riferita al versamento in natura di una parte del prodotto; più discusso il caso di IGII2 411, un’iscrizione molto frammentaria, di cui, nonostante alcuni recenti tentativi diesegesi (B. Palme, Ein attischer Prospektorenvertrag? IG II2 411, «Tyche» 2 [1987], pp.113-139; vd. anche A. Maffi, «RHD» 68 [1990], pp. 109-110), rimane ancora oscuro il con-testo: l’ipotesi che il documento riguardasse lo sfruttamento di un terreno pubblico (daultimo R. Osborne, Social and Economic Implications of the Leasing of Land and Pro-perty in Classical and Hellenistic Greece, «Chiron» 18 [1988], p. 282 con n. 9) mantienesempre, a mio giudizio, il maggior grado di plausibilità.

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Curses and Social Control in the Law Courts of Classical Athens 99Christopher A. Faraone

CURSES AND SOCIAL CONTROLIN THE LAW COURTSOF CLASSICAL ATHENS

The ancient Greeks used curses for a variety of purposes, sometimesto control social disputes and sometimes to exacerbate them 1. Onthe socially positive side, we find the common use of conditionalself-curses in oath ceremonies to sanction agreements, for examplethis description of the oath used by the people of Thera in the sev-enth century BCE, when they sent off colonists to found the city ofCyrene in Libya 2:

On these conditions they made an agreement, those who stayed there(i.e. in Thera) and those who sailed on the colonial expedition, andthey put curses (arái) on those who should transgress these conditionsand not abide by them … They molded wax images and burnt them upwhile they uttered the following imprecation, all of them, having come

1 This essay grows out of a lecture I gave at a conference, Democracy, Law andSocial Control organized by David Cohen at the Historisches Kolleg München in June1998. I owe many thanks to him and the other participants for their stimulating com-ments and questions. I use the following perhaps unfamiliar abbreviations:DT = A. Audollent, Tabellae Defixionum (Paris 1904).DTA = R. Wünsch, Defixionum Tabellae Atticae, Appendix to Inscriptiones Graecae III(Berlin 1897).SGD = D. Jordan, A Survey of Greek Defixiones Not Included in the Special Corpora,«GRBS» 26 (1985), pp. 151-97.

2 SEG 9.4; for a more detailed discussion see Faraone (1983), pp. 60-62 and 76-80.The translation is from A.J. Graham (1983), p. 226.

Dike, 2 (1999), pp. 99-121

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together, men and women, boys and girls: «May he, who does not abideby these oaths but transgresses them, melt away and dissolve like theimages – himself, his seed and his property».

In this case, a city in some kind of crisis (probably overcrowding) isforced to make an unpopular decision: to send a percentage of itspeople away to form a colony. In anticipation of strong resistanceand non-compliance, they resorted to this very dramatic curse that isclearly designed to embrace the entire populace, that is: not just themen who in archaic Greece are the primary actors in political life,but the women and children as well. We find another example of anelaborate self-cursing ritual in the third book of the Iliad, where theGreeks and Trojans seal a cease-fire agreement by swearing oathswhich include the following ceremony 3:

Drawing off wine from the mixing bowl, they poured it into cups andprayed to the gods who live forever. And in the following fashion eachof the Achaians and Trojans said: «Most glorious and greatest Zeus andthe other immortal gods, whichever of the two sides is the first to violatetheir oaths, may their brains flow upon the ground just as this wine (i.e.flows upon the ground), their own brains and those of their children …».

In both of these oath ceremonies, the person swearing the oath uttersthe conditional self-curse while performing a destructive ritual act –either melting wax effigies or pouring wine out onto the ground. Al-though as it turns out both of these oath curses in the end fail toachieve their goal – the Therans returned home after a few years andthe Trojans notoriously break their oath and resume hostilities – theywere clearly performed with the goal of shaping future behavior in amanner that was thought to benefit the larger social group.

This is quite different from the case of the katádesmoi or bindingcurses, which in the archaic and classical Greek world are used pri-marily in agonistic contexts to inhibit rivals. Perhaps the earliest lit-erary example of such a binding curse is the request of Pelops inPindar’s first Olympian Ode 4: «Poseidon come and bind (pédason)

3 Iliad 3.295-301; for a more detailed discussion see Faraone (1983), pp. 72-76.4 Olympian 1.75-78, with discussion in Faraone (1991), pp. 11-12 and Heintz

(1998).

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Curses and Social Control in the Law Courts of Classical Athens 101

the brazen spear of Oinomaos and give me the faster chariot by Elis’river!». Here, in a poem celebrating a victory in the chariot races atthe Olympian games, Pindar narrates the charter myth of the found-ing of the games: Pelops’ race against Oenomaus. In this myth,Pelops prays to the god to bind his opponent and make his chariotgo faster, and since he wins the race, we are to assume, of course,that the prayer was answered. The first half of his prayer may offendour modern sensibilities about fair play in competitive sports, but infact we know that such requests for binding a rival were used re-peatedly in the ancient world in precisely this situation. See for ex-ample, a Greek curse from the Roman-era, which calls on a numberof demons to 5:

… bind every limb and every sinew of Victoricus, the charioteer of theBlue team … and of the horses he is about to race … Bind their legs,their onrush, their bounding, their running, blind their eyes so theycannot see and twist their soul and heart so that they cannot breathe.Just as this rooster has been bound by its feet, hands and head, so bindthe legs and hands and head and heart of Victoricus, the charioteer ofthe Blue team, for tomorrow …

Here, like Pelops, the author of the curse calls upon supernaturalforces to bind the charioteer and his horses. He also performs anexpressive ritual that uses a formula similar to the curses used in thetwo oath-ceremonies discussed earlier: he apparently ties up thewings, legs and head of a rooster and asks that his rival be bound ina similar manner 6.

Given the focus of this essay on classical Athens, I shall now(with one exception) leave the rest of Greece behind and focus onhow these two types of curses – the oath-curse and the bindingcurse – were used within the context of fourth-century Athenian le-gal proceedings to shape, control or exacerbate social conflict. Inpart, I shall review how such rituals have been traditionally inter-preted by scholars using an evolutionary model, who argue that dur-ing the late archaic period, Athenians gradually abandon feudingand clan-based competition, by ceding authority and rights to an

5 DT 241.6 Faraone (1988) discusses this kind of similia similibus formulae in detail.

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allegedly dispassionate central authority with its democratic courts –a change that is allegedly narrated and eulogized in Aeschylus’ Ore-steia, where the vendetta claims of bloodthirsty Furies cede to theauthority of an Athenian jury. In short: «legal process triumphs overprivate violence» 7. This model has, of course, been rightly androundly criticized in recent years 8, but most of this recent work failsto take into account the important role played in legal confrontationsby curses. We shall see, for example, that oath-curses remain popu-lar throughout Athenian history and that far from being atavistic ves-tiges of some earlier pre-legal system, they play a crucial role inAthenian homicide trials, where – I shall argue – the increased inten-sity of their public performance probably reveals a proportional in-crease in anxiety over the inability of the legal and political systemto provide adequate forms of sanction in and of themselves. Or toput it another way: those points in legal procedure where we findthe most dramatic and frightening oath-curses are most probablysensitive «hot spots» of conflict or suspicion where it would seemthat false accusation or perjury cannot be adequately shaped or con-trolled by civic sanctions or – more importantly – where it is fearedthat the failure of the city to control perjury can have dire conse-quences for itself and its people. On the other hand, we shall seethat binding curses used in the context of an upcoming trial seem toreflect the mentality of those who use litigation as a vehicle for ex-tending personal rivalries and crushing their personal enemies at allcosts. In general, this paper builds on the gains made by scholars inrecent years, who have collapsed the modern distinctions betweenpolitics and the law, and have given us a much richer and nuancedunderstanding of the Athenian judicial system by showing how it isembedded in a much wider web of social relationships and that rath-er than eradicating or suppressing conflict, the law courts provide anarena for extending and perhaps even exacerbating long-term feudsand disputes. It is time, I think, to add rituals and beliefs about thesupernatural to this mix as well, and to resist the idea that such acomplex system can be described and comprehended without anymention of those other inhabitants of Attica whose existence the

7 As nicely summarized by Cohen (1995), p. 3.8 Cohen (1995), pp. 3-24 and passim.

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Athenian people repeatedly acknowledge throughout the fourthcentury: the gods, the demons and the ghosts of the dead.

OATH-CURSES IN ATHENIAN COURTS

Athenian men employed oaths at numerous points in their publiclives 9. Thus, for example, when a young child was enrolled in his orher phratry during the Apaturia festival, the father had to make asacrifice to Zeus and make an oath concerning the child’s paternity,an oath which contained a conditional curse and blessing: «Thesethings are true by Zeus Phratrios! If I am swearing a true oath, may Ihave all good things, but if I am swearing a false oath, may I havethe opposite» 10. In comparison with the two oaths described earlier,this curse is very simple and undramatic: perjury will result in thepunishment of only one person and the words of the curse are ap-parently not accompanied by any ritual. Two historical anecdotessuggest, however, that in some contexts, questions of paternitymight generate much stronger oaths. Andocides, for instance (1.126),tells the story of how the prominent Athenian politician Callias wasconfronted at this same festival by the male relatives of a formermistress who demanded that he recognize her son as his own. In-stead of yielding to these men and swearing the usual oath, Callias,instead, «took hold of the altar and swore that the only son he had orhad ever had, was Hipponicus … if that was not the truth, he prayedthat he and his house might perish completely». Here, Callias seemsto improvise a more serious or powerful form of oath, in order tosignal his utter resistance to their appeal; he gives a rhetorically ex-aggerated form of the oath by saying that Hipponicus (now an adult)was «the only son he had or had ever had», and he performs a dra-matic and intensified version of the self-curse, as he grips the altaritself of Zeus Phratrios and calls for the complete destruction of him-self and his household if he is lying. Herodotus tells of an even morevivid oath sworn by a parent, when he narrates the story of Demara-

9 Cole (1996) provides a recent and thorough survey.10 SIG3 921.109-15.

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tus, the Spartan king, who had been deposed as a bastard and thenstymied by his inability to prove his royal paternity. This Demaratuseventually sacrifices a bull to Zeus Herkeios – the traditional protec-tor of the household – and forces his mother to hold its entrails(splánchna), while she swore to the true identity of his father (6.67-68). Here, too, it seems probable that Demaratus – because his fatherAriston is dead – is improvising on a similar Spartan version of thepaternity oath, and although the exact wording of the mother’s oathis not quoted, it is presented as an excessively fearful oath designedto force the unwilling woman to speak the truth.

In their political life Athenian males took many other importantoaths, which like these paternity oaths can be arranged along a scaleof increasing severity and fearfulness. Thus it seems that all officialstook oaths before and during their term of office, including themembers of the Boule, jurors, generals, archons and various othercommissioners and overseers. Most of these oaths, however, seemedto the Athenians to be unremarkable, especially when compared toan extraordinary form of oath sworn by litigants in murder trials.Antiphon describes this special oath as the «greatest and most pow-erful oath» and Demosthenes concurs when he gives us our mostdetailed description of the oath 11:

On the Areopagus, where the law allows and orders trials for homicideto be held, first the man who accuses someone of such a deed willswear an oath invoking destruction on himself and his family and hishousehold, and no ordinary oath either, but one which no one swearson any other subject, standing upon the cut pieces of a boar, a ram, anda bull, which have been slaughtered by the right persons on the properdays, so that every religious requirement has been fulfilled as regardsthe time and as regards the executants.

Here we discover what makes the oaths sworn before the Areopagusso special: the self-curse that is merely stated verbally in other Athe-nian oath ceremonies is here acted out in a very lengthy and grisly

11 Antiphon, 5.11 (hórkon tón mégiston kái ischurótaton) and Demosthenes, 23.67-68, the latter translated by MacDowell (1963), pp. 90-91, with one change: «standingupon» for MacDowell’s «standing over» (the Greek is epí with the genitive). This is animportant detail for my argument, as most of these special oaths involve contact withmutilated animals.

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ceremony: the litigants swear their oaths while standing upon thecut-up pieces (tá tómia) that have been prepared by special ritualperformers, who on specially designated days slaughter and thenmutilate a triad of special animals. Like the oath forced upon Dema-ratus’ mother, we must imagine that this very elaborate curse cere-mony (unlike any ordinary oath, as Demosthenes says) was de-signed to be more fearful and compelling, and thereby (we suppose)more difficult for the potential perjurer to swear falsely, especially ina public ceremony that may have been witnessed by members of hisown family and household, people who would suffer under such acurse if he should forswear it 12.

A few lines later in the same passage Demosthenes says that de-fendants in a murder trial also swore this same oath, a point that iscorroborated by Antiphon and Lysias 13. Other sources suggest,moreover, that the man who won a murder trial had to make anadditional oath at the end of trial 14:

In homicide trials at the Palladion our ancestors very properly intro-duced the rule (and you have maintained this tradition up to thepresent day) that those who are victorious in the voting cut the cutpieces (témnontas tá tómia) and swear that those of the jurors whovoted for him were making the true and right decision, and that he hadspoken no lie, and that otherwise he invokes destruction on himselfand his house, but prays that the jurors who voted for him have manyblessings.

Here, Aeschines suggests that the special ritual of swearing upon amutilated animal at another homicide court (the Palladion) is a veryold custom introduced by their ancestors. The wording of this pas-sage suggests, moreover, that just like the Greeks and Trojans in theHomeric oath (discussed earlier), the person who swears this oathalso participated in the mutilation of the animal as he swore theoath. The goal of this ceremony is also more complex than the pre-trial oaths, for it makes the person swearing responsible for his ownperjury, while at the same time it explicitly deflects responsibility for

12 Faraone (1993), pp. 65-72.13 Demosthenes, 23.67; cf. Idem, 59.10, Antiphon, 6.16 and Lysias, 11.14 Aeschines, 2.87; trans. MacDowell (1963), pp. 91-92.

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a wrong judgment away from the jury, an important addition towhich I shall return.

Other evidence suggests that witnesses at murder trials also hadto perform the same type of self-curse as the principle litigants. Thusthe speaker of Antiphon 6 complains that the man who has accusedhim of murder has cleverly bypassed the correct procedure for pros-ecuting a homicide in order to avoid having his witnesses swear theproper oath: «The witnesses are giving evidence against me un-sworn, although they ought to swear the same oath as you15 andtouch the slaughtered animals (sphágia) before giving evidenceagainst me (Antiphon, 5.12)». It would seem, then, that all of theprinciple participants in a murder trial were required to take thisextraordinary form of oath, while participants in other trials wereonly compelled to take the ordinary form of oath. Finally, a singlesource reports that similarly grisly oaths were sworn by some publicofficials. The Aristotelian Constitution of Athens speaks of a specialoath that the nine archons swore upon a special stone in the Agoraat the beginning of their term of office (55.5):

… they go to the stone upon which are the cut-up (i.e. animal) bits (tátómia) – the stone on which the arbitrators also take an oath beforethey issue their decisions and (on which) the persons who are sum-moned as witnesses (take an oath) that they have no evidence to give– and mounting on this stone they (i.e. the archons) swear they willgovern justly and according to the laws, and that they will not takebribes.

This oath is mentioned in passing in a few other sources (e.g. ibid., 7.1and Plutarch, Solon, 25.2), but this is the only ancient which men-tions standing upon the tómia. This text seems to suggest that arbi-trators and potential witnesses also took an oath at this rock, but it isnot clear from the Greek if their oath included the cut pieces as well.

One gets the impression, then, from these descriptions that therewas a spectrum of Athenian oath-curses, that can be arranged alonga scale of increasing dread and power: (i) a simple verbal curse thatcalls down destruction only upon the single individual who swearsthe oath; (ii) a more powerful curse that implicates one’s family and

15 He turns to speak at this point to the man who is prosecuting him.

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household in the destruction; (iii) to this more powerful and globalversion of the curse is added a ritual in which the one who swearsthe oath cuts up an animal or otherwise comes in contact with thecarcass of a mutilated animal; and (iv) the most powerful curse of all,those apparently sworn only by principle litigants in murder trialswhile standing upon the cut-up bits of three different animals, whichhave been slaughtered in a very elaborate and public ritual per-formed by special performers on a special day. The text of the cursefor these two most forceful versions, although it is sometimes brieflyparaphrased, does not survive, but parallels from other parts ofGreece and the eastern Mediterranean suggest that it went some-thing like this: «Just as I, so-and-so, cut this animal into tiny pieces,in this very manner may I, too, be destroyed, and my family and myhousehold, if I am lying». It would seem, then, that what appears as arange of informal possibilities in the oaths of paternity discussedearlier, has in the rituals of the Athenian courts been more formal-ized, with the result that in the classical period the oaths connectedwith homicide trials were required to take this most fearsome anddramatic form.

This process is, as you can imagine, difficult to understand inlight of an evolutionist model. On the one hand, the use of thesesame terrifying curses in group oaths or international agreements –like the oaths of the Theran colonists or those of the Trojans and theGreeks – does, in fact, begin to fall out of use in the early classicalperiod 16, a development that has traditionally lent some support tothe evolutionist argument that such curses belong to a more primi-tive period of Greek cultural development. But if this is so, I find itall the more puzzling that equally dramatic rituals come to be for-malized primarily in Athenian homicide trials and that this is in factstressed by the Athenians themselves, as we saw in the testimony ofDemosthenes and Antiphon. In fact, the only other evidence that Ican find for the continuation of such terrifying rites is in connectionwith the Olympic games. Pausanias gives us a detailed description ofthe special ritual performed by the athletes, their entourage and thejudges prior to competing in the games at Olympia (5.24.9-11):

16 Faraone (1993).

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But the Zeus in the council chamber is of all images of Zeus the onethat has been designed to strike fear in men who do wrong (adíkonandrón). His epithet is Horkios («Of the Oath») and in each hand heholds a thunderbolt. It is required that beside this image the athletes,their fathers and their brothers and even their trainers swear an oathupon the cut-up bits (tómia) of a boar that there will be no misdeed(kakoúrgema) on their part in the competition at Olympia … The oathis also taken by those who examine the boys and foals entering theraces, that they will decide fairly and without taking bribes, and thatthey will keep secret what they learn about a candidate, whether ac-cepted or not … Before the feet of (i.e. this statue of Zeus) Horkios,there is a bronze plaque with elegiac verses inscribed upon it designedto instill fear in those who forswear themselves.

Once again it is our misfortune that Pausanias does not quote theactual words of the oath. He does, nonetheless, stress that the espe-cially fearful and solemn nature of the statue and the oath is clearlydesigned to dissuade men who would otherwise act unjustly. Thisoath, as we shall see, will provide a helpful comparandum for theoaths in the Athenian court system, which as we shall see is a verysimilar site of intense personal competition.

About thirty-five years ago, J.M. Roberts surveyed ethnographicreports from around the world and suggested that «oaths and auto-nomic ordeals are patterns associated with somewhat complex cul-tures where they perform important functions in the maintenance oflaw and order in the presence of weak authority and power defi-cits» 17. This description can, I think, make sense of the oaths of theparticipants of the Olympian games or even those of the Athenianarchons, for both venues seem in fact to lack a strong central author-ity which could guarantee that these individuals would not cheat oraccept bribes. The use of such curses in law courts however, is morecomplicated. Ethnographic parallels suggest that these kinds of ex-traordinary curses were often used in an ad hoc manner when judg-es suspect perjury. Thus Leach, in his discussion of a Sri Lankanvillage where perjury was widespread and openly acknowledged,reports that if the accuser and accused give diametrically opposedaccounts in a court of law, the judge could insist that the litigants go

17 Roberts (1965), p. 209.

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to a temple or a sacred tree to swear an oath, a process that is per-ceived in some cases at least to elicit the true story 18. Gibbs alsosuggests that oaths are usually employed in an ad hoc manner in theabsence of proof or in the case of conflicting testimony, when (in hiswords) there is no «rational» way to resolve the case 19. Frake dis-cusses a Muslim village, where if a court fails to formulate an accept-able ruling, the litigants may turn over their dispute to god by swear-ing on the Koran an oath that will bring down disease on themselvesand their relatives. Frake stresses the fact, moreover, that the threatof this oath is apparently a very effective deterrent to false prosecu-tions in this culture, since one’s relatives are crucial in pursuing andarbitrating such disputes 20. These improvisational uses of a moresolemn oath as an additional sanction is similar to the ad hoc varia-tions to the Athenian paternity oath discussed earlier, in which Cal-lias and Demaratus employ a much more powerful version becausethe circumstances seem to call for it. On the other hand – as Gagarinand others have noted – the required oaths in Athenian homicidetrials are somewhat unique; the closest parallel seems to be the prac-tice of the Tiv who make all witnesses swear to tell the truth whiletouching a fetish known as the swem and to proclaim that if theyswear falsely, the swem will make them ill and cause them to die 21.

We have no direct information as to why Athenian public offi-cials or Olympian athletes were made to swear this especially terrify-ing oath, but it seems prudent to assume that then, as now, topathletes and politicians were thought to be particularly prone tocheating and bribery. Thus, as in the case of the Theran oath overthe melting effigies, these very dramatic and frightening curses wereprobably used to create sanctions more powerful than those providedby civic authorities or peer pressure. The use of such curses in mur-der trials, however, needs some additional explanation, for it is hardto see why such a sanction is needed in a homicide trial and not,say, a trial over a large inheritance. In both types of cases, therewere in fact legal sanctions against false prosecutions and perjury,

18 Leach (1961), pp. 40-41, quoted by Cohen (1995), p. 112.19 Gibbs (1969), p. 187.20 Frake (1969), p. 163.21 Gagarin (1986), p. 31, citing Bohannan (1957), pp. 41-47 on the Tiv.

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although the latter seem to have been pursued only rarely, in caseswhen the mendacity was particularly outrageous. In fact – as DavidCohen has emphasized – the orators frequently complain about theperjury of their opponents in ways that suggest that mendacity waswidespread in Athenian trials and that jurors needed to depend in-stead on their own impressions of a litigant’s character and how wellhe was respected in Athenian society 22. Indeed, I suspect that thishigh tolerance for perjury in Athens, reflects an equally high toler-ance for a well-told lie – a tradition that is as old as the Odyssey andthe Homeric Hymn to Hermes and one that survives down to thepresent day in some parts of Greece, where as Herzfeld and othershave shown, outright fiction plays an important role in face-savingand in the gossip and other verbal attacks on one’s enemies 23.

In the light of apparently widespread perjury, the use of extraor-dinary curses to sanction oaths in murder trials alone requires somefurther explanation. First of all, I would reject any notion that thisapparently unique use of very powerful oath-curses reveals a suspi-cion that mendacity was greater in homicide trials, but rather I sug-gest that it points to a much greater fear that the endemic perjury atAthens might result in a false conviction of murder and then an un-just execution. Indeed, I think that Aeschines hints at the right expla-nation in a passage that I quoted earlier, where he reminds his audi-ence that the winner in a murder trial had to «swear that those of thejurors who voted for him were making the true and right decision,and that he had spoken no lie, and that otherwise he invokes de-struction on himself and his house, but prays that the jurors whovoted for him have many blessings» 24. There was clearly a fear that ifthe jurors falsely acquit a murderer or falsely condemn an innocentman to death, pollution or other supernatural forces like the Furieswould attack the false swearing litigant as well as the jurors them-selves, clearly a very dangerous outcome for the city 25. By forcinglitigants and witnesses in homicide trials to swear these especiallyfearful oaths in public, the city could probably expect that some

22 Cohen (1995), pp. 107-111.23 Herzfeld (1985).24 See above note 14.25 Mikalson (1983), pp. 31-38 gives a superb discussion of such fears.

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proportion would in fact be dissuaded from perjury by the oath, butthe more important feature seems to have been that the wording ofthe oath protect the jurors and the city in those numerous caseswhere men perjured themselves and won the case.

BINDING CURSES IN THE CONTEXT OF THE LAW COURTS

Now let me turn to the second kind of cursing associated with thelaw courts: binding curses 26. Despite the general reluctance on thepart of some scholars to acknowledge the fact, we now have clearand compelling evidence that the ancient Greeks in Sicily, Attica andOlbia from as early as the fifth century BCE did indeed practice aform of magic known in Plato’s day as a katádesmos or «bindingspell». This kind of curse was usually accomplished by inscribing thevictim’s name on a lead tablet, which was then folded up, piercedwith a nail and then deposited in a grave or underground body ofwater, such as a well or cistern. More than two hundred of thesetablets dating to the classical period have been unearthed in or nearAthens, mostly from graves in the Piraeus or the Ceramicus. Of thosewhose social context is decipherable, the majority focus on an up-coming trial, such as the list of names in a curse which begins withthe name Nereides and then closes with the telltale phrase: «… andall of the others who are prosecutors (katégoroi) with Nereides» 27.Other texts, however, give us more insight into context and thegoals of this procedure 28:

Theagenes the butcher. I bind his tongue, his soul and the speech he ispracticing.

Pyrrhias. I bind his tongue, his soul and the speech he is practicing.I bind the wife of Pyrrhias, her tongue and soul.I also bind Kerkion, the butcher, and Dokimos, the butcher, their

tongues, their souls and the speech they are practicing.

26 For what follows, see generally Faraone (1985), (1989) and (1991).27 DT 60, Attic, fourth-century BCE. Humphreys (1985) give a detailed discussion of

the numerous helpers at Athenian trials.28 DT 49, Attic, late 4th or 3rd century BCE.

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I bind Kineas, his tongue, his soul and the speech he is practicing withTheagenes.

And Pherekles. I bind his tongue, his soul and the evidence that hegives for Theagenes.

… All these (i.e. their names) I bind, I hide, I bury, I nail down. If theylay any counterclaim before the arbitrator or the court, let themseem to be of no account, either in word or deed.

The primary concern of this curse is to silence the tongues andspeeches of the primary opponent Theagenes and his associates – atypical feature in Athenian katádesmoi used in a legal context 29.This tablet also gives us a charming glimpse into upper middle-classlife in Athens; we can well imagine a lawsuit that somehow involvesthe testimony of three butchers and their friends. Note that the«tongue and soul» Pyrrhias’ wife are also bound, but there is no spe-cific mention of her testimony since women are normally not permit-ted to testify in person in Athenian courts. But despite her inabilityto testify, the author of this tablet nonetheless feels compelled tobind her as well, fearing no doubt that her thoughts and her adviceto her husband might prove detrimental to his own case.

Other texts are more expansive and give us even more insightinto the specific goals of binding spells used against rival litigants 30:

Let Pherenikos be bound before Hermes Chthonios and Hekate Chtho-nia … Just as this lead is worthless and cold, so let that man and hisdeeds be worthless and cold, and for those men with him (also let)whatever they say and plot concerning me (be worthless and cold). LetThersilochos, Oino[philos], Philotios and whoever else is a legal asso-ciate (sýndikos) of Pherenikos be bound before Hermes Chthonios andHekate Chthonia.

Here again, we see the similia similibus formula used in the oath-and binding curses discussed earlier. Like the previous text, more-over, this curse concerns an upcoming hearing in a court of law, asthe technical term sýndikos suggests, and like the previous exam-ples, the main target is a single man – the prime litigant – and anumber of his associates who are also apparently involved in the trial.

29 Faraone (1989).30 DTA 107, Attic, late 5th- or early 4th-century BCE.

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In most cases it is clear that such curses were written for a singleand probably imminent trial 31. But the following katádesmos (alsofrom classical Athens) suggests that some of these texts may be de-signed as a permanent injunction against a rival 32:

O Lady Katoche («Binder»), I bind Diokles, my legal adversary (antídi-kos). (You also) bind (his) tongue and mind, and all his helpers, as wellas his speech, his testimony, and all the pleadings which he is prepar-ing against me. (Grant that) Diokles not accomplish any of the plead-ings which he is preparing against me and that Diokles be defeated byme in every courtroom.

Here the author apparently anticipates a series of legal attacks fromDiokles over a period of time, suggesting that the man may havebeen a longtime enemy, from whom the author can expect numer-ous prosecutions in a number of different venues.

There is, then, a sizable body of epigraphic evidence pointing tothe use of binding spells in classical Athens to pre-empt or restrainthe speeches of legal opponents. But just how widespread was thisphenomenon and how important was it in the minds of the Athe-nians? Apparently quite important, for Aeschylus, when he presentsa charter myth in his Oresteia about the founding of the first Athe-nian court of homicide, also includes a binding spell, in a way thatimplies that such magic spells were a traditional, albeit unofficialpart of the Athenian legal system from the earliest periods 33. In theEumenides, the closing play of the trilogy, Orestes is chased andtormented by the Furies of his dead mother, who eventually trackhim to Athens where he seeks the trial and exoneration that Apollohas promised him. As I mentioned earlier, Aeschylus’ Eumenides istypically interpreted as a celebration of the successful evolution ofAthens from a feuding society, which settles disputes by violent re-prisals, to a more rational and law abiding one with juries who adju-dicate such matters with sensible laws. As it turns out, this traditionalreading ignores the fact that Aeschylus also gives us the chartermyth, as it were, for the first use of binding spells at Athens, for

31 Faraone (1991), p. 15, with note 67.32 DTA 94, Attic, late 4th or 3rd century BCE.33 For a more detailed discussion, see Faraone (1985).

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when the chorus of Furies find Orestes safely clinging to Athena’sstatue they begin to sing a song that they call a hýmnos désmios,which literally means «a binding song» 34. The refrain of the song is asfollows 35:

Over our victimwe sing this song, maddening the brain,carrying away the sense, destroying the mind,a hymn that comes from the Furies,fettering the mind, sungwithout the lyre, withering to mortals.

Like so many of the katádesmoi discussed above, the Furies hopethat their song will bind Orestes’ senses and thoughts. Clearly theirgoal in singing this binding song before Orestes’ trial is the same asthose individuals who inscribed the lead tablets discussed above: tofetter the mind of their legal opponent so that he is unable to defendhimself.

Perhaps the most startling feature of Aeschylus’ dramatic treat-ment of this judicial binding curse is its apparent success. Althoughthe trial scene in the play does not follow the traditional format of anAthenian trial with its set speeches for prosecution and defense, Or-estes is clearly presented as a weak and diffident advocate. Afterconceding with feeble protests to the first two accusations of theprosecuting Furies, he suddenly gives up completely his own de-fense and appeals to Apollo to come forward as both a witness andan expounder of the law. From this point on in the play, Orestes is,in fact, completely silenced and one wonders how the trial mighthave ended if the Furies had also included Apollo – as Orestes’ sýn-dikos – in their binding song, much as the binding spells discussedearlier are careful to include the names of the principal litigant andall of his helpers. Indeed, it seems that, just as Pindar includes atraditional binding curse in his charter myth for the Olympic games,

34 Aeschylus, Eumenides, 299-306 (trans. H. Lloyd-Jones): «Not Apollo, I say, ormighty Athene shall save you from going all neglected down to ruin, not knowingwhere in your mind joy can dwell, a bloodless shadow, food for spirits … and youshall hear this song to bind you (hýmnon … tónde désmion = lit. “this binding song”)».

35 Aeschylus, Eumenides, 328-333 and 341-348; trans. H. Lloyd-Jones.

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Aeschylus also provides a mythical explanation for the popular useof these curses against litigants, when he stages the first judicialbinding curse prior to the foundation of the very first Athenianjury.

These binding curses, then, would seem to occupy an importantrole in the Athenian imagination, but what precisely do they tell usabout the actual role of curses in legal procedures at Athens? As itturns out, binding curses aimed at litigants in classical Athens haverepeatedly resisted modern interpretation. Richard Wünsch, an ex-cellent scholar who produced the most important corpus of Athe-nian binding spells, was apparently so discomforted by the idea thatthe presumably enlightened citizens of classical Athens were usingsuch devices, that he simply assumed that all of the katádesmoishould be dated to the third century or later, except when epigraph-ic or prosopographic evidence explicitly pointed to a much earlierdate 36. Other scholars concede the classical date of these texts andtry to get around this problem by suggesting that there might be asociological or psychological explanation for why these curses wereused in Athens against litigants. Thus some suggest that they weredeployed mainly by women, slaves, metics or other disenfranchisedclasses of people, and thus reflect neither the beliefs or the motivesof the male citizens of Athens 37. Others have proposed that thesecurses were only invoked after the author had lost a trial and was ina burst of passion seeking revenge; presumably he takes things intohis own hands as a protest against an unfair decision. Recent re-search and excavation has, however, proved beyond a shadow of adoubt that throughout the fourth-century Athenians of all socialclasses were using these kinds of curses and that they were de-ployed prior to the trial as a kind of pre-emptive strike against one’srivals. There is, in short, no evidence for a disgruntled litigant usingsuch a curse after a defeat in the court system 38.

In my own work, I have toyed with yet another psychologicalexplanation: namely that these curses were used by diffident or lesstalented litigants in a defensive manner to protect them from what

36 Faraone (1991), p. 30 n. 74.37 Jordan (1983) and Faraone (1989) for discussion.38 Faraone (1991), p. 15, with note 67.

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they perceived as an unfair attack by a superior adversary, that is:defendants, when prosecuted on a charge by a particularly talentedorator, might be pushed to use such magical devices simply to levelthe playing field 39. Good examples of this kind of defensive scenar-io are found in the two binding-curses discussed earlier: the oneagainst Nereides and his fellow prosecutors and especially the curseagainst Diokles, where the author seems to bracing himself for aseries of legal attacks. In retrospect, however, my general character-ization of the users of these classical-era binding spells as «perennialunderdogs» now seems a bit naive as it ignores evidence that suchspells were used aggressively by prosecutors as well. Indeed, itseems abundantly clear that the wealthy and powerful in Athensemployed professional sorcerers to curse rival litigants just as theyhired talented speech writers like Lysias to write speeches for them.Both, it would appear, were simply additional weapons with whichthey hoped to win a victory against their political enemies. Our mostexplicit literary testimony for this aggressive use of binding spellscan be found in a passage from the second book of Plato’s Republic(364c):

And then there are the begging priests and soothsayers, who going tothe doors of the wealthy persuade them (i.e. the wealthy) that … ifanyone wants to harm an enemy, whether the enemy is a just or unjustman, they (i.e. the priests and soothsayers), at very little expense, willdo it with incantations (epagogái) and binding spells (katádesmoi),since (they claim) they have persuaded the gods to do their bidding.

A group of lead effigies dated securely to Plato’s lifetime clearly cor-roborates the philosopher’s testimony for such professional sorcer-ers in Athens. Each effigy was inscribed with a name or names andthen apparently imprisoned within a lead box which was itself in-scribed with a more fulsome binding spell. The first of this groupwas discovered in a grave in the Kerameikos more than forty yearsago: its right leg is inscribed with the name Mnesimachus and the lidof the coffin bears the names of nine men – including the sameMnesimachus – and closes with the now familiar phrase: «and any-one else who is either a legal advocate (sýndikos) or a witness (már-

39 Faraone (1991), p. 20.

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tys) with him» 40. This elaborate cursing ensemble was, thereforeclearly designed to bind a legal opponent and his associates.

Three more figurines of very similar manufacture and date wererecently discovered in a grave only a few meters from the one thatcontained the curse against Mnesimachus 41. One lead effigy has thesingle name Theochares inscribed on its left arm, while the box thatcontained it mentions three other individuals and «my other legaladversaries (antídikoi)». The second has a different arrangement: onthe inner surface of the coffin lid we read a list of four names thatbegins with Theozotides, and the effigy itself is inscribed twice withTheozotides’s name and once each with the other names. Althoughthere is no clear clues (e.g. words like antídikos or mártys) to thesocial context of this particular spell, it clearly aims primarily atTheozotides and then his three associates in a manner that is, as wehave seen repeatedly, typical of Athenian juridical katádesmoi. Thethird figurine is uninscribed, but the floor of the coffin list five vic-tims beginning with a man named Mikines, who once again we as-sume to be the primary target. Because the victims named on all fourof these texts are not identified fully and formally by their patronym-ic and demotic, we can never identify these individuals with fullcertainty. Nonetheless, David Jordan, has pointed out that three ofthe principle targets of these magical devices – Theozotides, Mikinesand Mnesimachos – have extremely rare names, and therefore theycan in all probability be identified with Athenian politicians whowere prominent around 400 BCE and who all were apparently pros-ecuted in this same period in lawsuits by men using speeches ghost-written by Lysias 42.

Most scholars see in these rather elaborate cursing ensembles thework of a professional magician, much like those whom Plato de-scribes as offering their services to the rich. Indeed, Jordan suggestsvery plausibly that we might see evidence here of some kind ofpolitical group at work, which is trying to ensure victory in a series

40 Trumpf (1958) and Jordan (1983), p. 275.41 What follows is entirely dependent on Jordan (1983).42 Jordan (1983), pp. 276-277. Theozotides, Mikines and Mnesimachos all appear as

the principle defendants in speeches composed by Lysias; see: P. Hibeh 4 and frags170-178 and 182 (Baiter/Sauppe). Theozotides’ son was Nicostratus, a disciple of So-crates.

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of legal attacks by employing both a professional speech writer andprofessional sorcerer. On the one hand, they pay Lysias to writespeeches for them by which they can prosecute these men in thecourtroom, while at the same time they hire a magician to inscribethese magical devices with another highly specialized kind of lan-guage: spells that aim at binding their opponents and thereby pre-vent them from mounting a credible case in court. It would seem,then, that my earlier attempts to characterize the users of these curs-es broadly as «underdogs» was erroneous, and that we need to un-derstand that such curses were used without discrimination by bothprosecutors and defendants, just as they made use of professionalspeech writers, who were indeed trained to argue either side of acase with equal conviction.

CONCLUSION

Let me conclude, then, by quickly summarizing some of mythoughts on the use of cursing in the Athenian courts of law andtheir possible role as instruments of social control. It is clear, I think,that the special and very dramatic oaths sworn while standing uponor laying hold of the bloodied carcass of a slaughtered animal wereobviously used to inhibit certain types of abuse of Athenian politicalsystem, namely to deter officials from taking bribes and most espe-cially to prevent false prosecution and false witness in murder trials.The oath curses suggest, moreover, that the Athenians sought to lim-it the destruction that widespread perjury and unbridled competitionmight bring about in the law courts, by placing enormously power-ful sanctions on those who might be tempted to use the courts asvehicles for killing their enemies. In other words it was apparentlytolerable and even admirable to accuse your enemies falsely and liein court, if conviction resulted in a large fine, banishment or loss ofcitizenship. It was, however, apparently intolerable in a homicidecase. I would stress, however, the likelihood that such a scruple wasgenerated not by any enlightened or evolved sense of fair play, butrather by deeply felt fears about pollution or other supernatural at-tacks, which might result if a man were unjustly executed by thecity. We saw this most clearly in the comments of Aeschines on the

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post-trial victory oaths, which focus the blame for any false convic-tion and execution squarely on the prosecutor and explicitly deflectsany responsibility away from the jurors and the city as a whole.

This scruple against allowing intramural competition to spill overinto homicide also seems to govern the use binding curses as well,for although such curses are widely used in the post-classical peri-ods to torture and kill rivals, nearly all of the extant examples fromclassical Athens merely aim at binding their victims and preventingthem from competing 43. There is, moreover, little sign outside ofPlato that such curses were frowned upon or discouraged by soci-ety. Indeed, we have seen how Pindar’s foundation myth about thechariot races at Olympia and Aeschylus’ charter myth for Atheniantrials both include aitiological stories about binding spells, whichseem to have been invented simultaneously with these notorioussites of competition. It is almost as if these two poets could not con-ceive of an Olympic chariot race or an Athenian trial without a bind-ing spell. Here, too, one gets the impression that such curses were atraditional, expected and even approved part of the competition it-self, as long as they did not cross the line and lead to intramuralkilling. In the end, the Athenian courts emerge from this inquiry assites of intense competition where perjury and binding curses aretypical weapons which citizens used to attack each other as theyvigorously pursued their own personal vendettas within the legalsystem. In both cases, however, there was one important constraint:that such competition not result in intramural killing. This scrupleseems to lie at the heart of the extraordinary self-curses performedby participants in homicide litigation and in the customary limita-tions on the katádesmoi, which use similar cursing technology toinhibit their victims without killing them.

43 Faraone (1991), p. 26 n. 38.

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The Penalty for Frivolous Prosecutions in Athenian Law 123Edward M. Harris

THE PENALTYFOR FRIVOLOUS PROSECUTIONSIN ATHENIAN LAW

The Athenians intended their courts to enforce the laws and to ren-der justice. Lycurgus (Leocr. 4) succinctly describes the aims of thelegal system: «It is the function of law to indicate what must not bedone, the task of the accuser to denounce those who are subject tothe penalties set forth in the laws, and the duty of the judge to pun-ish those whom both of these have brought before him». In hisspeech against Aristogeiton, Demosthenes (25.6) reminds the courtthat it is their duty to show their anger by punishing crime and urgesthem to fulfil their role as guardians of the law (fÚlakej tîn nÒmwn.Cf. Dem. 24.36; Din. 3.16). The courts were not designed to be justanother arena for citizens to pursue private feuds or to harass theirenemies with suits lacking any legal merit.

In graphái and other public suits, the aim of the courts was topunish those who had broken the law. As Lycurgus (Leocr. 6) puts it,«it is the duty of the just citizen therefore not to bring to public trialfor the sake of private quarrels people who have done the city nowrong, but to regard those who have broken the law as his ownenemies and to view crimes that affect the common welfare as pro-viding public grounds for his enmity against them» 1. Demosthenes

1 Compare Lys. 31.2: poi»somai kathgor…an, oÙ mšntoi ge „d…an œcqran oÙdem…an

metaporeuÒmenoj, and Dem. 23.1: nom…sV m»t’„d…aj œcqraj ™mþ mhdemi©j ›nec’¼kein ’A-

Dike, 2 (1999), pp. 123-142

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Edward M. Harris124

(18.123) takes it for granted that «our ancestors set up these courtsnot for us to have you meet here to hear us pour foul insults on eachother for personal reasons, but for us to examine whether someonehas done the city an injustice». The charge an accuser brings shouldbe directed at the wrongs for which the laws provide penalties (¢di-

k»mata … ïn ™n to‹j nÒmoij e„sˆn aƒ timwr…ai). The kind of slan-ders that personal enemies make against each other have no place incourt. Demosthenes (18.278) says «the respectable citizen should notask judges who meet to decide public cases to lend their support tohis grudge or personal feud» 2.

The Athenians enacted several measures to prevent litigants fromabusing the legal system for personal gain 3. To prevent litigantsfrom prolonging disputes and tying up the courts with endless wran-gling, the Athenians recognized the principle of res iudicata andmade it illegal to bring a case to court once a verdict had been ren-dered 4. The laws of Athens also encouraged out-of-court settle-ments by recognizing such agreements as legally binding (Dem.36.25, 37.1). If a litigant brought a case that had already been judgedby a court or settled by private agreement, the defendant could bring

ristokr£touj kathgor»sonta toutou…. Cf. 190, and Lys. 26.15. When accusers admitthat they have previously quarrelled with the defendant, they are careful to justify theircharges by claiming that their case follows the laws and serves the public good. See es-pecially Aeschin. 1.1-2 (aƒ g¦r ‡diai œcqrai poll¦ p£nu tîn koinîn ™panorqoàsi). D.Cohen, Law, Violence, and Community in Classical Athens, Cambridge 1995, p. 83, statesthat litigants «advance vengeance as a respectable motivation for litigation» but the pas-sages cited here show that Cohen’s generalization is simplistic and misleading.

2 See also Dem. 18.283-284, 290-293, 306-309. Demosthenes (18.281) claims thathe himself pursues only the public interest, not his own.

3 The account of measures against legal abuse found in M. Christ, The Litigious Athe-nian, Baltimore-London 1998, pp. 28-32, is incomplete and unreliable.

4 The only way to overturn a verdict was for a litigant to bring an action for falsetestimony against one of his opponent’s witnesses. Cohen, Law, Violence, and Commu-nity in Classical Athens cit., p. 92, claims that in Demosthenes’ litigation with hisguardians «legal judgments are by no means binding, nor do they serve to terminate orresolve the conflict», but fails to draw a distinction between «dispute» and «conflict». TheAthenian courts, like most legal systems, aimed a resolving disputes by their verdicts,but could only regulate conflict. For the distinction between dispute and conflict, see L.Nader - H.F. Todd, The Disputing Process-Law in Ten Societies, New York 1978, pp. 6,14-15.

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a paragraphé action to stop the case from going to trial 5. For manytypes of private cases there existed a statute of limitations requiringthat the accuser bring his charge before a certain date (e.g. Dem.36.26-7, 38.17) 6. Demosthenes (36.27) interprets this measure as ameans of forcing litigants to make their charges without a long delayto ensure that there will be witnesses to the relevant facts of thecase. And litigants could not bring a case without legal justification.If the plaint submitted by an accuser did not conform to the terms ofthe law under which it was brought, the magistrate to whom it waspresented might reject it 7. For instance, when Dionysodorus chargedAgoratus with murder before the Eleven, these magistrates refusedto accept the case until he expressed his charge with the correctlanguage so that his case fell under their jurisdiction (Lys. 13.85-87) 8. The ultimate deterrent to frivolous litigation is found in thediapséphisis procedure: if a deme voted to revoke the citizenship ofone of its members, and that person appealed the decision to a courtin Athens, then lost his case, he was sold into slavery (Ath. Pol.42.1).

The courts also required payment of fees called prytanéia by theplaintiff and defendant to discourage frivolous litigation in privatecases. If the amount in dispute was more than 1,000 drachmas, eachlitigant paid thirty drachmas each. If the amount was less than 1,000drachmas, but more than 100, each paid three drachmas. After thetrial the loser reimbursed the winner for his fee 9. In some privatesuits the unsuccessful plaintiff had to pay a fine of one-sixth of theamount claimed 10. In cases where someone claimed that a person

5 A.R.W. Harrison, The Law of Athens, II, Oxford 1971, pp. 106-124.6 Harrison, The Law of Athens, II, cit., pp. 116-120. There was no statute of limi-

tations for cases of homicide: Lys. 13.83.7 R.J. Bonner - G. Smith, The Administration of Justice from Homer to Aristotle, II,

Chicago 1938, p. 75 n. 2.8 The Eleven required him to add the phrase ™p’aÙtofèrJ. For the meaning of

this phrase, see E.M. Harris, In the Act or Red-Handed? «Furtum Manifestum» and «Apa-goge» to the Eleven, in G. Thür (hrsg.), Symposion 1993, Koeln-Wien 1994, pp. 129-46.For the power of the magistrate to reject a case that contravened the laws see also Anti-phon, 6.37, 42.

9 For the prytanéia, see Poll. 8.38 with Harrison, The Law of Athens, II, cit., pp. 92-94. The fee was waived in cases involving less than 100 drachmas.

10 On the epobelía, see Harrison, The Law of Athens, II, cit., pp. 181-183.

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being held as a slave was actually free but failed to prove his case, hehad to pay the owner of the slave five hundred drachmas and in addi-tion pay a fine of an equal amount to the treasury ([Dem.] 58.19-20).

With a few exceptions Athenian Law did not require the citizenwho brought a public case to pay court fees 11. But there were se-vere penalties for the prosecutor who brought a charge that was soweak that it failed to gain at least one-fifth of the votes cast by thecourt. According to Theophrastus (fr. 4b Szegedy-Maszak):

’Aq»nhsin oân ™n to‹j dhmos…oij ¢gîsin, ™¦n m¾ metal£bV tij tÕ pšmptonmšroj, cil…aj ¢pot…nei kaˆ œti prÒsest… tij ¢tim…a oŒon tÕ ™xe‹nai m»tegr£yasqai paranÒmon m»te fa…nein m»te ™fhge‹sqai. 12

At Athens in public cases, if someone does not gain a share of one-fifth(of the votes), he owes fine of 1,000 drachmas and in addition he losescertain rights such as the ability to bring a graphé or a phásis or an ephé-gesis against an illegal action.

The evidence of Theophrastus is confirmed by several passagesin the orators. Many texts refer to the penalty of 1,000 drachmas 13,and several mention the loss of the right to prosecute 14. Demos-thenes (26.9) states that when the prosecutor fails to gain one-fifth ofthe votes, he permanently loses the right to bring a graphé or use theapagogé or ephégesis procedures (tÕ loipÕn m¾ gr£fesqai mhd’¢p£-

gein mhd’™fhge‹sqai). When bringing his apographé against Nico-stratus, Apollodorus ([Dem.] 53.1) states that if he loses the case, herisks a fine of 1,000 drachmas and loss of the right to bring public

11 For the exceptions, see Ath. Pol. 59.3 with Harrison, The Law of Athens, II, cit., p. 94.12 Similar information can be found in Poll. 8.52-53. Reiske proposed emending

paranÒmon to paranÒmwn and was followed by Harrison, The Law of Athens, II, cit., p.83 n. 2, and MacDowell, Demosthenes Against Meidias, Oxford 1990, p. 327. But theemendation is unnecessary and vulnerable to several objections. See E.M. Harris, «Clas-sical Philology» 87 (1992), p. 79. The conclusion reached in that article is accepted byR.W. Wallace, Unconvicted or Potential «Atimoi» in Ancient Athens, «Dike» 1 (1998), p.66 n. 5.

13 [And.] 4.18; Dem. 23.80, 24.7; [Dem] 58.6.14 Cohen, Law, Violence, and Community in Classical Athens cit., pp. 102-103, 117

appears to believe there was only a fine for not receiving one-fifth of the votes; he doesnot mention the atimía even though he discusses [Dem.] 53.1-2, where this penalty isexplicitly mentioned.

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charges again 15. Hyperides (Eux. 34) says that the court did not giveTisis of Agryle one fifth of the votes when he brought his apographéagainst Euthycrates and penalized him with atimía (ºt…mwsan). Inhis speech for Ctesiphon, Demosthenes (18.266. Cf. 82) says thatAeschines is in danger of losing his right to bring charges if he re-ceives less than one-fifth of the votes 16. These penalties also appliedwhen a prosecutor brought a public charge, then failed to bring thecase to trial. Demosthenes (58.6) states explicitly that if a prosecutorinitiates a graphé, phásis or another public action and does not followthrough with his case (m¾ ™pex…V), he will pay a fine of 1,000 drach-mas. Demosthenes (21.103) tells the court how Euctemon brought acharge of desertion against him (’Eukt»mwn LousieÝj ™gr£yato Dh-

mosqšnhn Paianiša lipotax…ou). When Euctemon failed to followthrough on his prosecution, he suffered atimía, that is, he lost hisright to prosecute (ºt…mwken aØtÕn oÙk ™pexelqèn). The evidenceof Theophrastus and the orators is clear: the accuser who brought apublic charge, then failed to follow through his prosecution or towin at least one-fifth of the votes at the trial had to pay a fine of 1,000drachmas and lost his right to bring all public charges in the future 17.

Despite the ancient evidence, M.H. Hansen has argued that theprosecutor subject to this penalty only lost his right to bring a case ofthe same type in the future, not his entire right to prosecute on pub-lic charges 18. He points first to Demosthenes, Against Euboulides

15 Apollodorus exaggerates for rhetorical purposes by neglecting to add that thesepenalties would apply only if he failed to gain one-fifth of the votes.

16 Cf. And. 1.33; Dem. 26.9.17 According to Poll. 8.5-3 there was only a penalty of 1,000 drachmas and no

atimía for the proscutor who did not gain one-fifth of the votes in an eisangelía. M.H.Hansen, Eisangelia: The Sovereignty of the People’s Court in Athens in the Fourth Centu-ry B.C. and the Impeachment of Generals and Politicians, Odense 1975, pp. 29-31, ar-gues that this penalty was introduced between 333 and 330 and that there was no pen-alty at all in an eisangelía before this.

18 M.H. Hansen, Apagoge, Endeixis, and Ephegesis against Kakourgoi, Atimoi andPheugontes, Odense 1974, pp. 63-65. For references to the opinions of earlier scholars,see H. Wankel, Demosthenes: Rede für Ktesiphon über den Kranz, I, Heidelberg 1976,p. 562. Hansen is followed by S.C. Todd, The Shape of Athenian Law, Oxford 1993, p.143, and D.M. MacDowell, Demosthenes Against Meidias, Oxford 1990, pp. 327-328.MacDowell rightly rejects the proposal of U.E. Paoli, Studi di diritto attico, Firenze 1930,pp. 322-323, followed by Harrison, The Law of Athens, II, cit., p. 83 that the only kind

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(57) «where the defendant Euxitheos relates that Euboulides once, asprosecutor in a graf¾ ¢sebe…aj, had obtained less than one-fifth ofthe votes of the jurors. In the trial of Euxitheos Euboulides neverthe-less appears before the jurors as one of the prosecutors appointedby the deme». There are three objections to Hansen’s use of thisevidence. First, the speaker provides no evidence to prove his charge.One might just as easily argue that the allegation must be false be-cause Euboulides later appeared as a prosecutor. Second, there is noindication that the trial that resulted when a candidate rejected at adiapséphisis appealed the deme’s decision to a court in Athens wasone of those covered by the law. In this procedure there was noformal accusation made by an accuser. The person who was in dan-ger of losing his citizenship was appealing the decision of the deme,not defending himself against a charge brought by an individual.Although the advocates who spoke in favor of the deme were calledaccusers (kat»goroi), they are not the ones who bring a chargeagainst the defendant. They were appointed by the deme to argue itscase against the rejected candidate 19. They are thus not like accusersin a graphé, éndeixis, or ephégesis, but similar to the prosecutorswhom the pólis elected in certain important cases 20.

Hansen next points to Dem. 21.103 and 139 where he claims«Demosthenes refers to a graf» lipotax…ou which Euktemon hadbrought against him but withdrawn before the trial 21. Euktemon in-curred atimía but a few paragraphs later Demosthenes refers to him

of atimía suffered by frivolous prosecutors was the same one that applied to all citi-zens condemned to pay a fine, that is, total disenfranchisement that ended when thefine was paid.

19 For appeal against a deme’s decision about citizenship, see Ath. Pol. 42.1 withP.J. Rhodes, A Commentary on the Aristotelian Athenaion Politeia, Oxford 1981, p. 501:«The kat»goroi are accusers, who in opposition to the candidate will state the deme’scase for rejecting him». Note that Ath. Pol. 59.4 does not group these cases with díkai andgraphái, but with dokimasiai for magistrates and appeals from verdicts of the Council.

20 For prosecutors elected or appointed by the pólis, see Dem. 20.146; Aeschin.1.19, and Harrison, The Law of Athens, II, cit., pp. 34-5 with note 2. There is no indica-tion they were subject to the penalties for frivolous prosecution. Indeed, it would beunfair for them to suffer for losing a case that the pólis had brought against the defen-dant.

21 To be precise, Euctemon did not withdraw the graphé, but failed to followthrough on his prosecution. For the distinction see below.

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once more as a sycophant who habitually gave evidence in court forpay». These passages do not support Hansen’s argument either.Demosthenes (21.139) says that Meidias is protected (probšblhtai)by Polyeuctus, Timocrates, and Euctemon, but does not describewhat kind of protection they afford him. Demosthenes adds thatthere is another group (prÕj œti ›teroi toÚtoij), a «cabal composedof witnesses … who easily nod in silent assent at his lies». Demos-thenes’ language clearly indicates that this is a second group, distinctfrom the one containing Euctemon. Even if Euctemon were in thisgroup, Demosthenes never says that they brought public chargesagainst Meidias’ opponents.

MacDowell has observed that Diodorus in the speech Demos-thenes (24.7, 14) wrote for him to deliver against Timocrates allegesthat Androtion brought a graphé asebéias against him, but failed togain one-fifth of the votes at the trial and was fined one thousanddrachmas 22. Later in the same speech Diodorus (Dem. 24.14) reportsthat Androtion brought a graphé paranómon against Euctemon. ButDiodorus presents no evidence to support his allegation, and histestimony is suspect since Diodorus had every reason to exaggeratethe extent of Androtion’s defeat. One can just as easily argue thatDiodorus misrepresented the court’s vote in an attempt to portrayhis opponent as sycophant. That is why he mentions only the fine ofone thousand drachmas and not the atimía. If he had mentioned theatimía, the court would have easily been able to detect the inconsis-tency in his account of Androtion’s actions 23. A careful examinationof the evidence cited by Hansen and MacDowell reveals that there isno reason to doubt Theophrastus and the orators when they say thatthe prosecutor who failed to gain one fifth of the votes at the trial orto follow through his case lost the right to bring public charges inthe future.

22 MacDowell, Demosthenes Against Meidias cit., pp. 327-328.23 Wallace, Unconvicted or Potential «Atimoi» in Ancient Athens cit., p. 68, suggests

that in cases of impiety «failed prosecutors were subject only to a fine, not partialatimía», but cites no evidence to support his argument. We should also question Ae-schines’ charge (2.93) that Demosthenes did not follow through on his graphé againstDemomeles before the Areopagus, which imposed a fine on him (™pibol¾n). Moreoverit is not certain that the charge was actually a graphé: see M.H. Hansen, Graphe or diketraumatos? «GRBS» 24 (1983), pp. 307-320.

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Hansen has also argued that the ban on those subject to thesepenalties was not strictly enforced «a blind eye was often turned toátimoi who behaved as epítimoi». He points to «at least fifteen caseswhere the prosecutor withdrew a public action with impunity, asagainst only four examples of the prosecutor being fined and pun-ished with partial atimía» 24. If this is true, it has major implicationsfor our view of Athenian Law for it would give the impression thatthe Athenians did not take the enforcement of the penalties for friv-olous prosecution very seriously.

Several of the passages cited by Hansen, however, are so vagueor give so little information that it would be unsafe to conclude thatthe prosecutors in these cases actually violated the law. Hansendraws attention to Plato, Crito (45e), where Crito says that he isafraid that the fact that Socrates’ case came to court when it waspossible to avoid a trial will make people think that he and hisfriends failed because of their cowardice and poor character. ButCrito does not specify what means he would have used to preventthe case from coming to trial. In any event, Meletus did not with-draw his charge, and the case went to trial. Hansen claims that De-mosthenes (21.36-39) describes a case where «a próedros withdrawsa public action against Polyzelos for having assaulted a public offi-cial», but Demosthenes does not say that the official ever summonedPolyzelus or lodged a formal charge against him before a magistrate.On the contrary, Demosthenes states that the official agreed to aprivate settlement („d…v dialus£menoj) and did not bring Polyzelusto court (oÙd’e„s»gage tÕn PolÚzhlon) 25.

In another case listed by Hansen the prosecutor did not with-draw the charge, but actually brought his case to trial. Hansen be-lieves that at Andocides, 1.122 we find a case «where the prosecutorprobably withdrew a public action with impunity». The incident de-scribed by Andocides took place as part of his feud with Callias.Andocides (1.120-21) says he put in a claim to marry his cousin, thedaughter of Epilycus, who had become an epíkleros after the death

24 Hansen, Apagoge, Endeixis, and Ephegesis against Kakourgoi, Atimoi and Pheu-gontes cit., pp. 59-60, followed by Christ, The Litigious Athenian cit., p. 29.

25 The phrase ™rrîsqai poll¦ to‹j nÒmoij e„pën also implies that the officialchose not to have recourse to a legal procedure.

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of her father. Callias also wanted her and put in a claim under hisson’s name. To thwart Andocides, he paid Cephisius 1,000 drachmasto bring an éndeixis against him. When Callias saw that Andocideswas not about to desist, he told three of his friends that he wasprepared to convince Cephisius to come to an agreement. An-docides does not specify the form of the agreement, but since An-docides says that he refused to settle and invited him to proceedwith his prosecution (e!pon aÙtù … kathgore‹n), it appears that Cal-lias intended to persuade Cephisius to drop his suit. Andocides didnot come to an agreement, and Cephisius therefore was forced tobring his case to court. Since Cephisius did not actually withdraw thesuit, he was not subject to the penalties for frivolous prosecution.

Hansen also claims that Timarchus violated the law regarding friv-olous prosecutions during the diapséphisis of 346. Aeschines (1.114)relates that Timarchus claimed that Philotades was a former slave ofhis and persuaded the members of his deme to revoke his citizen-ship (¢poyhf…sasqai). Philotades then appealed his case to a court.Timarchus was one of the five accusers appointed by the deme toconduct the case (™pist¦j tÍ kathgor…v) and swore an oath that hewould not take a bribe, but accepted twenty minai from Leuconidesthe brother of Philotades and betrayed the case (proÜdwken). First ofall, this trial took place as part of diapséphisis, not one of the proce-dures covered under the law which penalized those who broughtgraphé, phásis, apographé, ephégesis. Second, it is not clear whatAeschines meant by «betrayed». There is no indication that this lattertype of prosecutor was subject to the same penalties that applied tovolunteer prosecutors. Second, when Aeschines criticizes Timarchus’conduct in the case, he blames him for violating his oath not toaccept gifts, not for violating the law about frivolous prosecution(114-115: ÑmÒsaj m¾ labe‹n dîra mhdþ l»yesqai … tÕn Órkon ™pi-

èrkhsen). Third, there is no reason to think Timarchus was in aposition to have the suit dropped, because the deme has passed thevote against Philotades, and Philotades was the one who initiatedthe appeal. Finally, if Philotades agreed to have the case dropped,the vote to exclude him from citizenship would have remained ineffect. For him to regain his citizenship Philotades had to have thecase go forward. As a result, Philotades would therefore not havepaid Timarchus to make sure the case did not go to trial. It is morelikely that what Aeschines means by «betrayed» was that Timarchus

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presented a weak case at the appeal and persuaded his fellow prosecu-tors to do the same so that the court would vote in Philotades’ favor 26.

In several other cases Hansen believes the prosecutor withdrewa public action with impunity. In these cases, however, which wewill examine below, the speaker never says that the prosecutor didnot «follow through» (™pexelqe‹n) or that the prosecutor suffered anypenalty for withdrawing his action. Hansen’s interpretation of thesecases depends on his implicit assumption that the verb ™pexelqe‹n, «tofollow through», must have a narrow meaning and can only refer tothe action of bringing a case to trial. The verb certainly does coverthis action: for instance, the speaker at Antiphon, 6.37 says that hecould not follow through his case and denounce his opponents’crime to the court (mhdþ … o!Òj te geno…mhn ™pexelqe‹n mhd’™nde‹xai

tù dikast»riJ t¢dik»mata) after they brought a charge of homicideagainst him. In this passage the speaker cannot follow through (™-pexelqe‹n) because he cannot bring his case to court (™nde‹xai tù

dikast»riJ). On the other hand, Hansen rules out the possibilitythat the verb could have a broader meaning and that bringing a caseto court was only one way of «following through». This means that thelaw could have allowed the prosecutor to «follow through» either bybringing the case to court or by formally withdrawing the charge atthe anákrisis. What was illegal was to summon a defendant andpresent a formal charge against him before the magistrate, then failto follow through on the charge by not appearing at the anákrisis orby failing to prosecute the case in court after attending the anákrisis.

26 Aristophanes, Wasps, 691-695 provides an example of this kind of scheme. SeeD.M. MacDowell, Aristophanes Wasps, Oxford 1971, p. 227. Hansen (followed by Cohen,Law, Violence, and Community in Classical Athens cit., pp. 99-100, interprets Aeschin.3.52 to mean that Demosthenes withdrew his graphé hýbreos against Meidias, but it ismore likely that Aeschines alludes to the kind of scheme mentioned by Aristophanes. Iowe this point to Lene Rubenstein. There is no reason to accept the interpretationmade by Plutarch (Demosthenes, 12) of Aeschines’ charge. Plutarch’s idea that Demos-thenes never brought the case to court has led several scholars to look for signs of in-completeness in Dem. 21, but there is no reason to believe that Aeschines’ charge is re-liable as evidence or that the speech is an unfinished draft – see H. Erbse, «Hermes» 84(1956), pp. 135-151; E.M. Harris, Demosthenes’ Speech against Meidias, «Harvard Stud-ies in Classical Philology» 92 (1989), pp. 117-136, and E.M. Harris, «Classical Philology»87 (1992), pp. 74-75. The arguments in these articles are ignored by Cohen, who uncrit-ically accepts Aeschines’ story and Plutarch’s interpretation of it.

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Two passages confirm this inference. Demosthenes (21.103) re-ports that Meidias convinced Euctemon to accuse Demosthenes ofdesertion (EÙkt»mwn LousieÝj ™gr£yeto Dhmosqšnhn Paianiša li-

potax…ou). But after bringing the charge Euctemon did not attendthe anákrisis (oÜt’¢nekr…neto). As a result, he did suffered atimía,that is, lost his right to bring public cases (ºt…mwken aØtÕn) becausehe did not follow through his prosecution (oÙk ™pexelqèn). Epi-chares (Dem. 58.8) states that Theocrines brought a phásis againstMicon and summoned him to appear (taÚthn t¾n f£sin … œdwke

mþn oátoj proskales£menoj M…kwna). He presented the charge tothe secretary of the Market Supervisors, who displayed it in front oftheir office. When the magistrates summoned Theocrines to theanákrisis, (e„j t¾n ¢nakr…sin kaloÚmenoj. Cf. 8: kaloÚntwn aÙtÕn

e„j t¾n ¢nakr…sin tîn ¢rcÒntwn), however, he did not obey theirorders nor «follow through» (oÙk Øp»kousen oÙd’™pexÁlqen) 27. Be-cause of his failure to show up at the anákrisis, Theocrines is subjectto the penalty of 1,000 drachmas (ta‹j cil…aij … œnocÒj ™stin),which is the penalty for violating the law about bringing frivolouscharges 28. In both these cases failure to follow through a prosecu-tion is equated with failure to appear at the anákrisis.

These two cases are markedly different from several other casescited by Hansen. In these other cases, the prosecutor came to anagreement with his opponent and formally withdrew his indictment,an action which must have taken place at the anákrisis. Two of thesecases occur in Apollodorus’ speech Against Neaira ([Dem.] 59). Apol-lodorus ([Dem.] 59.64-70) relates how Stephanus plotted with Neairaagainst Epaenetus, who had been her lover in the past. Stephanuslured Epaenetus to the countryside, caught him having sex withNeaira’s daughter, and charged him with moichéia 29. Epaenetus

27 The speaker claims that Theocrines bribed the secretary of the Supervisors of thePort to cancel his charge. This would indicate that if one were to withdraw the charge,one had to do it at the anákrisis. One could not try to withdraw the charge before ap-pearing at the anákrisis.

28 The speaker says Theocrines is also subject to arrest for bringing baseless charg-es against merchants, but this is a separate charge.

29 The view advanced by D. Cohen, The Athenian Law of Adultery, «RIDA» 31 (1984),pp. 147-65, that moichéia is equivalent to the modern concept of adultery is anachro-nistic and is disproved by this passage as has now been recognized by many scholars

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promised to pay him thirty minai and named two men as sureties.After Stephanus released him, Epaenetus brought a charge of wrong-ful confinement against him before the Thesmothetae (gr£fetai

prÕj toÝj qesmoqštaj graf¾n Stšfanon touton… ¢d…kwj eƒrcqÁnai

Øp’aÙtoà). Before the case went any further, Stephanus, fearing con-viction, invited Epaenetus to settle the dispute by arbitration. Epae-netus consented and withdrew his charges (69: ¢nelomšnou t¾n

graf¾n ¿n ™d…wke Stšfanon) 30. There is no reason to question Apol-lodorus’ account since he provides both the sureties and the arbitra-tors as witnesses (70-71) 31. Here the accuser appears to havedropped the charge immediately after presenting it to the magistrateand before the case proceeded to the anákrisis. For this reasonApollodorus does not criticize Epaenetus for his decision and neversays his withdrawing the charges made him subject to punishment.

Apollodorus ([Dem.] 59.52-54) also recounts how Phrastor broughta graphé against Stephanus before the Thesmothetai charging himwith pledging the daughter of a foreigner in marriage as if she werethe daughter of a citizen. Stephanus and Phrastor came to a settle-ment by which each agreed to drop his suit against the other (t¾n

d…khn toà s…tou ¢ne…leto, kaˆ Ð Fr£stwr t¾n graf¾n par¦ tîn

qesmoqetîn [scil. ¢ne…leto]) 32. Once again Apollodorus does not sayPhrastor did anything illegal or was subject to a fine or atimía. It isalso striking that in each case the prosecutor who withdrew the casewas willing to testify that he did so. If withdrawing a case wereillegal, it is hard to believe that Epaenetus and Phrastor would haveadmitted that they had broken the law in front of the court.

There are several other similar cases. Epichares (Dem. 58.32) re-ports that Theocrines summoned Polyeuctus and brought a graphéfor maltreatment of an orphan against him before the archon (pros-

beginning with E. Cantarella, «Moicheia». Reconsidering a Problem, and L. Foxhall, Re-sponse to Eva Cantarella, in M. Gagarin (hrsg.), Symposion 1990, Koeln-Wien 1991, pp.289-304.

30 K.A. Kapparis, Apollodoros «Against Neaira» [D.59], Berlin - New York 1999, p.314, does not comment on Epaenetus’ withdrawal of his charge.

31 For guidelines to evaluating the reliability of statements found in the orators, seeE.M. Harris, Aeschines and Athenian Politics, New York - Oxford 1995, pp. 7-16.

32 Kapparis, Apollodoros «Against Neaira» [D.59] cit., p. 275 does not comment onPhrastor’s withdrawal of his charge.

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The Penalty for Frivolous Prosecutions in Athenian Law 135

kales£menoj tÕn PolÚeukton ¢pofšrei graf¾n kat’aÙtoà kakè-

sewj prÕj tÕn ¥rconta). After he received two hundred drachmasfrom Polyeuctus, he withdrew his charge (t¾n graf¾n ¢ne…leto).Epichares criticizes Theocrines for abandoning the orphan (prodoÝj

tÕn ÑrfanÒn) but not for violating law about frivolous prosecutions.Earlier in the speech Epichares states that Theocrines has summonedand indicted several others on the graphé paranómon (24: pros-

kales£menoj kaˆ gray£menoj), then settled with the defendants inreturn for money (mikrÕn ¢rgÚrion lamb£nwn ¢pall£ttetai). Thespeaker attacks the practice of using the graphé paranómon for thispurpose, calling it detrimental to the democracy, yet never says it isillegal or that Theocrines should have suffered a penalty for withdraw-ing these indictments. Epichares also says that Theocrines would havewithdrawn (¨n ¢ne…leto) his graphé paranómon against his father ifhe had been willing to pay him a thousand drachmas (Dem. 58.33-34). Although the speaker is quick to accuse Theocrines of everyimaginable crime, he does not say that his proposal was illegal.

Dinarchus (1.94) provides another example of a prosecutor with-drawing an indictment. The speaker accuses Demosthenes of incon-sistency (metaballÒmenoj) and gives three examples of how Demo-sthenes changed his mind. First, he proposed that no one shouldworship any but the traditional gods, then declared that the peopleshould not dispute the divine honors granted to Alexander. Second,he indicted Callimedon by eisangelía for conspiring with exiles inMegara to overthrow the democracy, then withdrew the indictment(t¾n e„saggel…an … ¢nairoÚmenoj). Third, he claimed there was aplot against the dockyards, then made no proposal to deal with thethreat. The speaker does not criticize Demosthenes for breaking thelaw in the first and third examples; his complaint is that Demos-thenes says one thing, then does something else. This indicates thatthere was also nothing illegal about withdrawing his indictmentagainst Callimedon. Moreover, the speaker never says that it wasillegal for Demosthenes to withdraw his indictment or that he in-curred a penalty for doing so 33.

33 One could also explain the absence of any penalty in this case by arguing thatthere was no penalty for withdrawing an eisangelia before trial. See Hansen, Eisange-lia: The Sovereignty of the People’s Court in Athens in the Fourth Century B.C. and theImpeachment of Generals and Politicians cit., pp. 30-31.

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Demosthenes (20.145) mentions three graphái paranómonbrought against Leptines. The first never went to trial because theprosecutor died, and the third was somehow compromised (pa-

reskeu£sqh), though Demosthenes is rather vague about the details.In the second case, however, Demosthenes says the prosecutorcame to an agreement with and withdrew the case (peisqeˆj ØpÕ

soà diegr£yato). Once again there is no indication that the prose-cutor broke the terms of the law against frivolous prosecutions orwas subject to a fine 34.

These cases are very different from those involving Theocrines’phásis and Euctemon’s graphé lipotaxíou. Neither Theocrines norEuctemon showed up for the anákrisis or formally withdrew hiscase; Theocrines was brought to trial for violating the law, and Euc-temon was punished with atimía. In each of these cases by contrastthe speaker never says the person who dropped the suit violated theterms of the law (that is, never uses the phrase oÙk ™pexelqe‹n), didanything illegal, or was subject to a fine or loss of rights. Epichares(58.32) does criticize Theocrines for betraying the orphan, but notfor breaking the law about frivolous prosecutions. What is importantto note is that in all these examples, the speaker says that the chargewas formally withdrawn (Din. 1.94: ¢nairoÚmenoj; [Dem.] 59.53: ¢-

ne…leto, 69: ¢nelomšnou; Dem. 58.32: ¢ne…leto, 34: ¢ne…leto, ¢nai-

reqîsin; Dem. 20.145: diegr£yato). This must mean that when theparties met at the anákrisis, the prosecutor informed the magistratethat he wished to cancel his indictment, thus formally ending theprocedure. This in turn indicates that the prosecutor could «followthrough» (™pexelqe‹n) on his charge by either of two means: hecould bring the case to trial, or alternatively he could withdraw hischarge at the anákrisis. What the prosecutor could not do was sim-ply to let the case drop after making his initial indictment as Theo-crines and Euctemon did. He had to «follow through» in one way oranother. If he did not, he was in violation of the law and subject to afine and loss of the right to prosecute 35.

34 Demosthenes reports that Leptines claims these three prosecutors broke the law(oÙk ™pexÁlqon), but Demosthenes obviously disagrees with him and puts forward hisown account of what happened to contradict his claim.

35 A prosecutor who attended the anákrisis, then did not show up at the trial, wasprobably also subject to the penalties imposed by the law.

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The Penalty for Frivolous Prosecutions in Athenian Law 137

This analysis of the law against frivolous prosecutions allows usto explain several cases where an agreement was reached betweenthe litigants and as a result their dispute never went to trial. The firstexample is described in Lysias, Against Andocides, 6.11-12. Thespeaker claims that Andocides, soon after returning to Athens fromexile, summoned Archippus before the archon Basileus on a chargeof impiety (prosekalšsato d…khn ¢sebe…aj prÕj tÕn basilša) 36.When they met before the magistrate, Andocides claimed Archippuscommitted sacrilege against his ancestral Herm and applied for ananákrisis (œlacen … f£skwn tÕn ”Arcippon ¢sebe‹n perˆ tÕn =ErmÁn

tÕn aØtoà patrùon). Archippus denied the charge, but preferred tosettle by offering payment. The settlement evidently included apromise on the part of Andocides to withdraw his charge at theanákrisis, which had not yet taken place. This would explain whythe speaker never says Andocides broke the law or was subject to afine of 1,000 drachmas and loss of the right to bring public charges 37.A similar type of agreement may have also taken place between theThesmothete and the man who beat him mentioned at Dem. 21.36-39.Demosthenes says that the Thesmothete settled the dispute in returnfor payment (21.39: „d…v peisqeˆj ÐpÒsJ d»pot’¢rgur…J). AlthoughDemosthenes does not explicitly say whether the Thesmothete hadalready initiated proceedings or not, the phrase kaqufeˆj tÕn ¢gîna,«dropping the case», appears to indicate he had. If this is the case, it

36 The charge must be a graphé asebéias because it was brought before the árchonbasiléus. See Ath. Pol. 57.2; Hyp. 4.6; Dem. 35.48. The fact that the speaker uses theterm díke does not mean this must have been a private suit – see Poll. 8.41 (™kaloànto

aƒ grafaˆ d…kai, oÙ mšntoi aƒ d…kai kaˆ grafa…). There is no reason to think Andoci-des brought a díke asebéias on the basis Dem. 22.27, which mentions the possibility ofmaking a charge of asébeia by dik£zesqai prÕj EÙmolp…daj. We know too little aboutthe judicial competence of the Eumolpidai to know what this means. For a suggestion,see R. Parker, Athenian Religion: A History, Oxford 1996, p. 296 («this tribunal doubt-less adjudicated on offences against the Mysteries alone, and could perhaps only im-pose such penalties as exclusion from a shrine»). On the other hand, even if one couldbring a díke asebéias before the Eumolpidai, the speaker in Lys. 6 says Andocidesbrought his case before the árchon basiléus, not the Eumolpidai.

37 The speaker criticizes Andocides not for breaking the law but for his hypocrisyin accusing someone else of the very crime he is now on trial for. He adds that if An-docides thought it right to punish someone else for impiety, the judges should nowpunish him for the same crime. This argument appears to take for granted the legalityof Andocides’ actions against Archippus.

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is important to observe that Demosthenes only criticizes him for fail-ing to use the remedies provided by the legal system and does notsay the settlement violated the law. Apollodorus ([Dem.] 45.4-5) mayalso allude to this kind of agreement. Apollodorus says he brought agraphé hýbreos against Phormion for marrying his mother. At first,the case did not go to court because no trials were taking place.Later his mother and Phormion’s relatives asked him to desist. Apol-lodorus then skips over what follows (†na suntšmw), saying onlythat Phormion did not think he had to do what he had agreed to(æmolÒghse). This implies there was an agreement, in which Apol-lodorus probably agreed to withdraw his case against Phormion 38.

* * *

The message conveyed by the penalties for frivolous prosecutionshould be clear: the Athenians did not want litigants to view theprocedures created to prosecute public cases as just another meansof pursuing private vendettas. The right to bring graphái and otherpublic charges was a valuable privilege, one so important that theAthenians considered just one serious abuse of the right as groundsfor permanently revoking it. And there is no reason to think that theAthenians did not enforce the atimía that was imposed as a penaltyfor frivolous prosecution or that «a blind eye was often turned toátimoi who behaved as epítimoi». The procedures for public caseswere created to protect the community’s interest. If someone usedthese procedures merely to pursue his own vendetta, the Atheniansbelieved he could not be trusted to use the courts to look after thepublic interest. When Aeschines brought a graphé paranómon with-out legal merit against Ctesiphon just to slander Demosthenes, thecourt put an end to his career as a prosecutor 39.

38 Aeschines (2.148) alleges that Nicodemus of Aphidna indicted Demosthenes fordesertion (™gr£fhj lipotax…ou), but Demosthenes was «saved» (™sèqhj) by paying offNicodemus (tÕn gray£menon NikÒdhmon tÕn ’Afidna‹on cr»masin pe…saj). Aeschinesdoes not say that Nicodemus withdrew that case, and it is possible that Aeschines mayallude to the kind of arrangement discussed in note 26. Demosthenes, 25.47 may alsoallude to this kind of arrangement between Aristogeiton and Demades (t¦j kat¦ Dh-

m£dou graf¦j … ™xšlipen).39 For discussion of the trial and Aeschines’ motives, see Harris, Aeschines and

Athenian Politics cit., pp. 139-148, 173-74, and Law and Oratory, in I. Worthington

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It is interesting to compare the Athenian approach to the prob-lem of frivolous prosecutions with the approach taken by EnglishLaw in the eighteenth and nineteenth centuries. During this periodmost prosecutions on criminal charges were made by private indi-viduals or corporations 40. The English courts recognized that liti-gants might use the system to harass opponents with baseless accu-sations, but did not penalize prosecutors who failed to win theircases by a wide margin. By the early eighteenth century the courtscreated a tort of malicious prosecution. To recover damages, the vic-tim had to prove that there was no reasonable cause for the accusa-tion. There were also criminal charges for perjury or conspiracy toprefer a malicious indictment, but these could not be used in capitalcases out of fear that they would discourage prosecution. As Dou-glas Hay has observed, however, «a prosecution for perjury was bothexpensive and difficult, as it entailed the technicalities and costs as-sociated with trials for serious misdemeanour, and perhaps also re-quired (as a criminal proceeding) a higher standard of proof» 41. Thismeant that the best way for a victim to proceed was the action formalicious prosecution, but litigants often found it difficult to recoverdamages with this action. Hay notes that «the records of lawsuits inthe courts at Westminster suggest that few victims of malicious pros-ecutions began actions. The rolls of the three common law courts forfour sample years between 1740 and 1815, covering over 3,000 civilcases, do not identify a single suit for malicious prosecution. Thefuller information extant for one court, Common Pleas, shows onecase out of a total of 710 actions in six sample years between theinterregnum and 1840» 42. By contrast, the punishment for frivolousprosecution in Athens was automatic and far more severe. The vic-

(ed.), Persuasion: Greek Rhetoric in Action, London - New York 1994, pp. 140-148.Note that a certain Lycinus, who brought a graphé paranómon against Philocrates andfailed to gain one-fifth of the votes (Aeschin. 2.14; cf. 3.62), is never again attested inour sources, presumably because the resulting atimía put an end to his political career.

40 My account relies on D. Hay, Prosecution and Power: Malicious Prosecution inthe English Courts, 1750-1850, in D. Hay - F. Snyder (eds.), Policing and Prosecutionin Britain 1750-1850, Oxford 1989, pp. 343-395.

41 Hay, Prosecution and Power: Malicious Prosecution in the English Courts, 1750-1850 cit., p. 350.

42 Ivi, p. 353.

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tim did not have to prove that the prosecution lacked reasonablecause or knowingly made false statements. All he had to do was togain acquittal by a wide margin.

At the same time, the Athenians wished to encourage out-of-court settlements by allowing a prosecutor to withdraw his chargeafter indicting the defendant without suffering a penalty. By allow-ing litigants to end a dispute by private settlement, the Athenianshelped to reduce the case-load of the courts and to prevent theirlegal system from becoming overburdened. If they did not permit aprosecutor to withdraw an indictment after lodging it, this wouldhave meant that every time a magistrate received a public charge,the case would have had to be tried in court. We do not know howmany public charges were made every month, but our sources in-form us that a public case took up an entire day and required at least501 judges, each of whom had to be paid three obols 43. Althoughconvictions were often very lucrative for the pólis, acquittals broughtno money into the treasury 44. Requiring prosecutors to try everycase they brought would not only have been time-consuming, butalso expensive.

This approach certainly had advantages and permitted litigants touse the threat of a public charge to force their opponents to agree toprivate settlements in cases where the victim had suffered a seriousviolation of his rights. This is what happened in the two cases de-scribed by Apollodorus in his speech Against Neaira ([Dem.] 59.50-54, 64-70). Phrastor claimed that Stephanus had betrothed Phano to

43 For the trial of a graphé taking an entire day, see Aeschin. 3.197-198 withRhodes, A Commentary on the Aristotelian Athenaion Politeia cit., pp. 723-728. For thesize of courts in a public suit, see Ath. Pol. 68.1; Dem.24.9, and scholia ad loc. withRhodes, A Commentary on the Aristotelian Athenaion Politeia cit., p. 729.

44 If the prosecutor failed to gain one-fifth of the votes cast, however, the póliswould collect the fine of 1,000 drachmas. The most profitable case we know about wasLycurgus’ conviction of Diphilus, which brought in 160 talents (Plu. Mor. 843d). Christ,The Litigious Athenian cit., p. 29 claims «Athenians were lax about the collection of statedebts», but ignores the fine paid by Diphilus, passages like Dem. 20.63 (Satyrus collects34 talents), and the abundant records of the poletái (see IG I3 421-430; G.V. Lalonde -M.K. Langdon - M.B. Walbank, The Athenian Agora XIX: Inscriptions, Princeton 1991,pp. 53-144). Christ cites Dem. 25.85-91, where Aristogeiton is reported to claim thereare many men in debt to the treasury. He appears not to have observed that the speak-er agrees with Aristogeiton only if one considers only two debtors «many».

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him under false pretenses and divorced her without returning herdowry. When Stephanus brought a suit to recover the dowry, Phras-tor replied by bringing a graphé against him on the grounds that hehad given in marriage the daughter of a foreigner. The threat ofprosecution encouraged Stephanus to withdraw his claim againstPhrastor in return for having the case against him dropped. Epaene-tus thought Stephanus had extorted money from him by claiming hehad seduced his daughter and used the threat of a graphé to compelhim to submit their dispute to arbitration 45.

But the approach also had its disadvantages. In cases where thedefendant had committed an offense not against an individual, butagainst the entire community, it permitted the defendant to buy offhis prosecutor and avoid paying a fine to the pólis. For example,when Theocrines brought his phásis against Mikon, if he had con-victed him, half of the price of the goods confiscated would havebeen sold by the state 46. By withdrawing the charge in exchange forpayment by the defendant, Theocrines might have deprived the pólisof a considerable sum of money. For this reason the law about frivo-lous prosecutions appears to have forbidden some kinds of settle-ments, especially those designed to cheat the treasury of fines or otherpayments ([Dem.] 58.5: tÕn nÒmon … tÕn perˆ tîn fainÒntwn kaˆ oÙk

™pexiÒntwn, ¢ll¦ dialuomšnwn par¦ toÝj nÒmouj) 47. According toEpicrates the rule was that in private matters litigants could makewhatever agreement they could persuade each other to accept, butin matters involving the treasury, the settlement could not violate thelaw ([Dem.] 58.20: pros»kei toÝj ¢ntid…kouj Øpþr mþn tîn „d…wn,

Ópwj ¨n aØtoÝj pe…qwsi, dioike‹sqai prÕj ¢ll»louj, Øpþr dþ tîn

prÕj tÕ dhmÒsion, Ópwj oƒ nÒmoi keleÚwsin). For instance, Theo-crines had claimed that the slave woman of Cephisodorus was a freeperson ([Dem.] 58.19-20). If the prosecutor in such a case did notprove his charge, he had to pay the owner of the slave five hundreddrachmas and in addition pay a fine of an equal amount to the trea-

45 This strategy is forbidden in the American legal system, where it is illegal to usea criminal charge, or the threat of one, to force a settlement in a civil case.

46 On the procedure of phásis, see D.M. MacDowell, The Athenian Procedure of«Phasis», in M. Gagarin (hrsg.), Symposion 1990, Koeln-Wien 1991, pp. 187-198.

47 The law clearly did not forbid all settlements, but only those that violated thelaws.

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sury. The speechwriter Ctesicles, however, brokered a settlementbetween the two opponents, which allowed Theocrines to avoidpaying the fine to the treasury, a settlement that Epicrates says wasillegal. By requiring the prosecutor who came to an agreement withthe defendant to formally withdraw his charge at the anákrisis, thelaw made it possible for a magistrate to question the litigants and toensure that they had not conspired to deprive the pólis of a fine.

Another drawback in allowing settlements for public charges wasthe possibility that a skilled speaker, who enjoyed influence with thecourts, could bring a specious charge against an average citizen,who would prefer to pay off his prosecutor rather than risk convic-tion in court. This is not a theoretical possibility; our sources revealthat it was a common problem 48. The Athenians could have prevent-ed this abuse by requiring that all public charges had to go to trial,but this would have brought the disadvantages we noted above. Tosolve this problem, the Athenians created the graphé sycophantías 49.This charge was made not against men who withdrew public suits,but sycophants who brought false charges for the sole purpose ofextorting money from defendants 50. In these ways, the Athenianswere able to retain the advantages of allowing prosecutors to with-draw a case after making an indictment while at the same time pro-viding a means of punishing those who abused the right of with-drawing a case.

48 D. Harvey, The Sycophant and Sycophancy: Vexatious Redefinition?, in P. Car-tledge - P. Millett - S. Todd, Nomos: Essays in Athenian Law, Politics, and Society, Cam-bridge 1990, p. 111 n. 27, lists thirty-four examples of this practice. Todd, The Shape ofAthenian Law cit., p. 93 n. 18, claims that accusations of blackmail were rare and callsthe numerous examples cited by Harvey «the few exceptions»!

49 For the graphé sycophantías, see Harvey, The Sycophant and Sycophancy: Vexa-tious Redefinition? cit., pp. 106-107, who argues the procedure applied in cases where«the prosecutor could provide no proper evidence, witnesses or proofs, so that it be-came clear that he had either hoped that his victim would pay him not to go to law, orthat he was bringing his case solely in order to obtain the prosecutor’s share of thefine». Todd, The Shape of Athenian Law cit., p. 93, followed by Christ, The LitigiousAthenian cit., p. 238 n. 114, believes that Harvey claims «the word must have been le-gally defined» but Harvey makes no such claim. He merely attempts to provide a defini-tion of the term that accounts for the way it is used in our sources.

50 Epichares (Dem. 58.12-13) makes a distinction between bringing a seriouscharge, then making an illegal settlement with the defendant out of court, and bringinga false charge. Only the latter is considered sycophantía.

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Disposizioni legislative riguardanti il regime della terra 143Adalberto Magnelli

DISPOSIZIONI LEGISLATIVERIGUARDANTI IL REGIME DELLA TERRAIN TRE INEDITI FRAMMENTIDA GORTYNA (CRETA)

Gli scavi che la Scuola Archeologica Italiana in Atene, sotto la dire-zione e il coordinamento del Direttore, Prof. Antonino Di Vita, hacondotto nella località di Gortyna (Creta) fra 1992 e 1994 interessantiprincipalmente il complesso romano del Pretorio e la impressionan-te basilica a cinque navate di Mitropolis 1, hanno restituito molti testiiscritti, prevalentemente su blocchi in positura di reimpiego, fra iquali un posto di particolare rilievo spetta a quelli relativi alle fasipiù antiche della vita della pólis. Si presentano dunque in questasede tre iscrizioni, databili tutte nell’arco del V secolo a.C., la cuiframmentarietà non impedisce tuttavia di evincerne l’argomento giu-ridico il quale, in àmbito gortynio, non può che ovviamente risultaredi particolare interesse interpretativo.

1

Inv. 94 GO 6613. Frammento di blocco (a. 0,395; l. 0,20; sp. 0,235) dicalcare poroso locale (porÒliqoj) rinvenuto nello scavo della basili-

1 A. Di Vita, nella rubrica Atti della Scuola, «ASAA» 70-71 (N.S. LIV-LV) (1992-1993)[1998], nella sezione relativa agli scavi di Gortyna.

Dike, 2 (1999), pp. 143-160

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Adalberto Magnelli144

2 IC IV, p. 87.

Figura 1 – 94 GO 6613. Foto di M. Quaresima

ca bizantina (settore III) in località Mitropolis (Gortyna). Oggi si con-serva nel magazzino della missione italiana a Hághioi Déka. È frattu-rato su tutti i lati ma la faccia iscritta, nonostante evidenti lacune,presenta ancora tracce dell’originaria lavorazione. Sul retro vi sonoevidenti tracce di una rilavorazione tarda. Reca 11 linee di un testoad andamento bustrofedico con lettere (a. 0,025; interlineo 0,01) in-cise abbastanza accuratamente e profondamente. Non vi è traccia disegni divisori o linee guida (fig. 1). Si può datare, su basi paleografi-che alla metà del V sec. a.C. 2

1 ← [---]d . [---]→ [---]lonto[---]

[---]er . . . [---][---]e . tad’ i[---]

5 [---]iestai[---][---]nbolai e[---][---]rhio si[---][---]den o di[---][---]. egram[(m)ena ---]

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Disposizioni legislative riguardanti il regime della terra 145

10 [---]noj m[---][---]rai[---]

L. 2. Non potendo sicuramente escludere una differente divisionedelle lettere, [---]lonto dovrebbe essere la terminazione di un tem-po storico mediale, forse la terza persona plurale dell’indicativo aori-sto medio di a„ršw 3.

L. 3. Dopo la R una lacuna (la pietra è del tutto spezzata) non per-mette di leggere altro. Ardua ogni integrazione.

L. 4. La seconda lettera è del tutto illeggibile per un frattura dellapietra. Potremmo leggere [---]e t¦d’ i[---] riconoscendo qui la men-zione del pronome plurale neutro t£de apostrofato 4.

L. 5. Potrebbe esser più consona con l’uso gortynio una restituzionedel tipo [--- pl]ˆej t©i[---] 5 piuttosto che pensare a [---]iestai[---],

probabile terminazione di infinito medio (™pid…esqai/stai?) 6 con scam-bio tra -sq e -st 7.

L. 6. La divisione delle lettere è problematica ma sembra che si possarestringere il campo a due ipotesi. La prima è quella di leggere [---]

nbolai e[---] per un totale di due termini. Una seconda possibilelettura presupporrebbe invece la presenza di tre parole [---]n bolai

3 La forma ™lÒnto non è attestata nelle iscrizioni dialettali ma sicuramente dovevaesser in uso fin dal VI sec. a.C.: vd. M. Bile, Le dialecte crétois ancien. Êtude de la lan-gue des inscriptions. Recueil des inscriptions postérieures aux IC, Paris 1988, pp. 152,159; inoltre p. 246 per le desinenze secondarie dei verbi tematici.

4 Per l’uso del pronome Ôde vd. Bile, Le dialecte cit., p. 288.5 Sull’impiego dell’aggettivo pl…on (pl…ej nom. plurale) cfr. IC IV 72 VII.18 e 24;

nella forma sostantivata cfr. IC IV 162,11. Per l’area dorica in generale vd. F. Bechtel,Die griechischen Dialekte, II, Berlin 1925, passim, C.D. Buck, The Greek Dialects, Chica-go 19552, p. 94 e Bile, Le dialecte cit., p. 284.

6 Questo verbo ricorre solo in un altro testo gortynio IC IV 41 I.8; II.5,8; IV.6,11-12 eVII.4-5.

7 Il fenomeno consonantico è noto a Gortyna fin dal V sec. a.C. (cfr. IC IV 79,8-9)e Axos (IC II V.1,7-11) dove compare sempre mistý al posto di misqý ma è anche appu-rato che, nel caso delle terminazioni dell’infinito medio, nel V sec. a.C. la forma con-sueta era -qai/-qqai con una o due occlusive aspirate che impedivano una pronunciaspirantizzata del tipo [sth]. In proposito ancora Bile, Le dialecte cit., pp. 239-242.

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e[---]. Più difficile pensare ad un unico termine [---]nbolaie[---] cherisulterebbe privo di senso (un verbo?). Bisogna infine far presenteche la prima lettera, essendo disposta esattamente sulla frattura dellapietra, potrebbe rivelarsi la parte finale di un nu, come si è propostosopra, così come quella di un mu, conformemente all’uso gorty-nio dell’assimilazione progressiva nb = mb.

L. 7. L’ipotesi più verosimile è che si tratti di due parole: [---]rhio

si[---].

L. 8. La lettura [---]den o di[---] sembra più convincente di [---]deno

di[---] che non pare avere riscontri grammaticali.

L. 9. Pare sicuro il supplemento [---]. ™gram[(m)šna ---], participioperfetto medio di gr£fw 8.

L. 10. I pochi resti conservati non permettono alcun supplemento. Èprobabile che si debba leggere [---]noj m[---]; forse la terminazionedi un participio medio?

L. 11. La prima lettera, disposta esattamente lungo la frattura delmargine sinistro parrebbe una R. Difficile qualsiasi supplemento.

Nonostante la evidente frammentarietà del testo e l’evidente im-possibilità di calcolare il numero esatto delle lettere costituenti lacolonna, sembra esservi tuttavia spazio per alcune considerazioni.Alla linea 6 abbiamo proposto [---]nbolai, che potrebbe celare iltermine sumbol£ il quale, oltre al significato di «patto, convenzione»,ha pure quello di «contribuzione, quota di partecipazione» 9. Tenen-

8 Cfr. IC IV 72 I.46 e 55; IV.10-11,50; XII.8-9; poi anche IC IV 80,12; 86,3. Per la for-ma del perfetto: Buck, The Greek Dialects cit., pp. 110-111 e Bile, Le dialecte cit., p. 124e pp. 223-224.

9 Cfr. LSJ, s.v., p. 1676. M. Guarducci, Studi di epigrafia cretese, «Historia» 5 (1931),pp. 224-225 n. 10 riteneva il termine symbolá alla base del sostantivo sumbol»tra men-zionato nell’iscrizione IC I x.2,3 da Eltynia (V sec. a.C.). Tale parola, secondo la stessastudiosa (p. 225) e R. Koerner, Inschriftliche Gesetzestexte der frühen griechischen Po-lis, Köln-Weimar-Wien 1993, nr. 94 indicherebbe semplicemente il «luogo dei pasti incomune» mentre per H. van Effenterre - F. Ruzé, Nomima II. Recueil d’inscriptions poli-

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do presente che a Creta una delle istituzioni principali delle póleisaristocratiche era quella dei sissizî o pasti in comune 10, è possibileche le symbolái fossero le quote di raccolto che i cittadini liberi dipieno diritto dovevano versare per partecipare ai banchetti delleHetairéiai. Alla luce di tale ipotesi potremmo cercare di interpretareanche i resti delle linee 7 e 8. Alla l. 7 un supplemento del tipo [---

tý ¢nd]r»io– s…[thsin ---] ci permetterebbe di rintracciare la menzio-ne del luogo nel quale, fin dal VII secolo a.C. a Gortyna e a Creta ingenerale, si riunivano i cittadini maschi adulti per consumare assie-me ai compagni i pasti comunitari 11. Per quanto riguarda la s…thsij

un testo di Malla (III sec. a.C.) 12 ci assicura che indicava esattamenteil «pranzo comunitario» 13.

Passando infine alla linea 8 risulterebbe conforme a quanto ipo-tizzato per le due linee precedenti proporre la lettura [--- (™s)-

pr£(d)]den, infinito presente attivo di pr£zw o del suo composto ™s-

pr£zw il significato dei quali era rispettivamente: «pagare, contribui-re» e «riscuotere le ammende, le contribuzioni» 14. Probabilmente, fin

tiques et juridiques de l’archaïsme grec, Rome 1995, pp. 290-293, nr. 80, si tratterebbesoltanto di un semplice «luogo di riunione». La «quota annuale» di partecipazione èmenzionata anche nel decreto riguardante lo scriba Spensithios da Lyttos-Afrati su cuiL. Jeffery - A. Morpurgo Davies, Poinikast£j and poinik£zein: BM 1969. 4-2.1. A NewArchaic Inscription of Crete, «Kadmos» 9 (1970), pp. 118-154 (da ultimo vd. anche H.van Effenterre - F. Ruzé, Nomima I. Recueil d’inscriptions politiques et juridiques del’archaïsme grec, Rome 1994, pp. 102-107, nr. 22). Nella colonna B alle ll. 12-13 trovia-mo infatti il verbo sunb£llw «versare una contribuzione» in concomitanza con l’espres-sione ™p’™niautÒn, «annualmente». Quest’ultimo termine potrebbe forse leggersi anchealla l. 6 del nostro frammento: [- - - su](m)nbolaˆ (©i) ™[p’™niautÒn - - -]. Cfr. ancheA.J. Beattie, Some Notes on the Spensitheos Decree, «Kadmos» 14 (1975), pp. 42-43.

10 Per l’organizzazzione del sissizio cretese resta fondamentale il racconto di Dosia-das (Ap. Athen. IV 143,a-b = FGrHist 458F2). Vd. R.F. Willetts, Aristocratic Society inAncient Crete, London 1955, pp. 20-27 e 139-140; H. van Effenterre, La Crète et le mon-de grec de Platon à Polybe, Paris 1948, pp. 86-89; R.F. Willetts, Everyday Life in AncientCrete, London 1969, pp. 106-108; C. Talamo, Il Sissizio a Creta, «MGR» 12 (1987), pp. 9-26.

11 Per le attestazioni a Gortyna del termine ¢ndr»ion cfr. IC IV 4,4 (VII sec. a.C.) e75,7,9 sull’esclusione dei beni di prima necessità dal pignoramento. Più in generalesull’andréion a Creta vd. M. Lavrencic, ’Andre‹on, «Tyche» 3 (1988), pp. 147-161; P. Schmitt-Pantel, La cité au banquet. Histoire des repas publics dans les cités grecques, Rome,1992, pp. 71-73 e 76.

12 IC I XIX.3,Ab38: s…thsin ™n prutane‚wi.13 Vd. Bile, Le dialecte cit., p. 344 n. 84: «repas pris en commun».14 L’utilizzo di un tal genere di verbi a Creta è ben testimoniato in IC I x.2,3 da Elty-

nia (V sec. a.C.); IC IV 41 VI.6; 72 I.36-37 (sulla schiavitù per debiti); IC IV 162,11 (de-

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dal V secolo a.C., fra i compiti della comunità cittadina rientravaanche quello di riscuotere le quote per la partecipazione ai sissizî omultare coloro che si rifiutavano di versarle 15. Tutto questo sarebbepoi stato svolto secondo delle norme già in vigore, alle quali potreb-be far riferimento l’espressione [--- kat¦ t]¦ ™gram[(m)šna---] inte-grabile a l. 9 con buona approssimazione 16. Exempli gratia avrem-mo così:

01 [---]– – –[---][---]– – –[---][---]– – –[---][---]queste cose[---]

05 [---]più a[---][---](contribuzioni/alla contribuzione)[---][---](dell’andreion il pasto)[---][---](raccolga)[---][---](secondo) ciò che è scritto[---]

10 [---]– – –[---][---]– – –[---]

Pur non potendo negare la ipoteticità di queste considerazioni,se tuttavia l’interpretazione proposta dei miseri resti di questo testorispondesse a realtà, potremmo avere qui una sezione di un regola-mento, del quale probabilmente esistevano varie altre colonne, men-zionante le modalità con le quali i proprietari terrieri dovevano ver-sare parte del provento dei loro poderi per la partecipazione ai sis-

creto sulla moneta bronzea della seconda metà del III sec. a.C.) e IC I IX.1,C109, 118-119, 128-129, 131-132 da Dreros (III sec. a.C.).

15 Si vd. in proposito l’iscrizione (IC IV 77) dei cosiddetti karpoda…stai, i «collettoridi frutti»; forse incaricati dalla pólis di riscuotere le quote in natura per i banchetti (vanEffenterre - Ruzé, Nomima, I, cit., pp. 202 ss., nr. 49). Anche ad Atene quando nel Vsec. a.C. si riscuotevano contribuzioni per le feste comunitarie, l’operazione era indica-ta con il verbo pr£ttesqai: cfr. Aristoph. Acharn. 1211: To‹j Cousˆ g£r tij xumbol¦j

™spr£tteto. Integrando con il verbo ™spr£zw/™spr£ddw potremmo pensare ad una ri-scossione di multe e quindi ipotizzare che nella parte restante di l. 8 potesse esseremenzionato il giudice, Ñ di[kast£j - - -], il quale poteva procedere contro altre even-tuali inadempienze.

16 Per l’espressione kat¦ t¦ ™gram(m)šna cfr. IC IV 72 IV.50 e XII.8-9. Penso che inquesto contesto possa far riferimento a una norma già vigente e non si riferisca sempli-cemente a quanto affermato nelle ll. precedenti dell’iscrizione.

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sizî di Gortyna nel V secolo a.C. 17 con relative ammende in caso dimancata riscossione.

2

Inv. 94 GO 6614. Frammento (a. 0,23; l. 0,215; sp. 0,23) di un bloccoin calcare poroso locale (porÒliqoj) rinvenuto, non lontano dal n. 1nello scavo della basilica bizantina (settore III) in località Mitropolis(Gortyna). Oggi si conserva nel magazzino della missione italiana inHághioi Déka. La faccia posteriore del fr. presenta lo stesso tipo dirilavorazione notata per il n. 1 e quindi è probabile che facesse partedello stesso blocco anche se probabilmente apparteneva a una co-lonna differente. La superficie iscritta, recante 5 linee di scrittura bu-strofedica, si presenta ancora con residui dell’originaria lisciatura. Lelettere (a. 0,025; interlineo 0,01) sono incise abbastanza profonda-mente. Non si intravedono linee guida e manca la rubricatura. L’an-golo inferiore destro è staccato dal resto ma essendo perfettamentecongiungibile non è stato indicato come ulteriore fr. La netta somi-

17 È d’obbligo un piccolo addendum: nel caso in cui a l. 6 integrassimo [- - - ™]n

bol©i ipotizzando la presenza del sostantivo indicante l’organo consiliare o bo–l£, biso-gnerebbe sottolineare il fatto che nel V sec. a.C. non vi sono attestazioni sicure di taletermine a Gortyna (incerta è la testimonianza di IC IV 23,4 in cui è possibile leggere™sbol£n oppure ™j (e„j) bo–l£n. M. Guarducci nel commento a IC IV 23, p. 78, opta perla prima ipotesi). Per indicare il consiglio si fa piuttosto riferimento agli anziani:Pre‹guj, preggeut£j, pre…gwn, pre…gistoj (cfr. IC IV, Praefatio, p. 32 e Willetts, Aristo-cratic Society cit., pp. 115 e 144-145; diversamente van Effenterre - Ruzé, Nomima, II,cit., p. 94, nr. 25; F. Ruzé, Délibération et pouvoir dans la cité grecque de Nestor à So-crate, Paris 1997, pp. 121 ss.). Per quello che riguarda invece il resto di Creta sembranoesserci per questa età almeno due attestazioni della bwl£, una in IC II V.9,13 da Axos;l’altra in IC I VIII.4,b45 da Cnosso su cui van Effenterre - Ruzé, Nomima, I, cit., pp. 223-224, nr. 54 II. J. Chadwick, Some Observations on Two New Inscripions from Lyktos, inEILAPINH hómm. a N. Platon, Herakleion 1987, pp. 329-334 aveva pensato di ricono-scere questo termine in un testo lyttio del 500 a.C. circa edito da H. van Effenterre - M.van Effenterre, Nouvelles lois archaïques de Lyttos, «BCH» 109 (1985), pp. 157-188; gli ar-gomenti linguistici sui quali poggiava l’ipotesi sono stati tuttavia nuovamente messi indubbio da van Effenterre - Ruzé, Nomima, I, cit., pp. 58-63, nr. 12 (con ampia discus-sione), e non sembrano tutt’oggi del tutto accettabili. Sulla menzione del consiglio gor-tynio per le età posteriori cfr. IC IV 292 (I sec. d.C.); 297 (II sec. d.C.); 307 (III sec.d.C.); 316, 328 e 324 di IV sec. d.C. Si tratta principalmente di dediche onorarie.

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glianza grafica con il n. 1 ci induce a proporre un’identica datazione(fig. 2).

1 ← [---]uod[---]→ [---]to por[---]

[---]ponio[---][---]mh ai d[---]

5 [---]ista[---]

L. 1. La prima lettera non è perfettamente leggibile perché la pietra èmolto rovinata. Un calco in plastilina pare comunque assicurare che

Figura 2 – 94 GO 6614. Foto di M. Quaresima

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si tratti di U piuttosto che N. La divisione delle lettere è incerta equindi sarebbero del pari ipotizzabili supplementi quali [--- d]uo/–

d[eka ---] 18 e [--- d]Úo– d[š ---] 19.

L. 2. L’unica integrazione ipoteticamente proponibile sembrerebbeessere [---] tý por[…mo– ---], con vocabolo che compare una solavolta nel decreto gortynio riguardante i rapporti con la vicina pólis diRhizenía 20.

L. 3. È probabile che si tratti di una delle varie voci verbali di po–-nšo– (fwnšw), che usualmente ha il significato di «affermare, dichiara-re», o del suo composto ¢popo–n…o– (¢pofwnšw) utilizzato nella Gran-de Iscrizione a indicare l’atto del «deporre in giudizio, testimoniare».Il contesto potrebbe suggerire un imperativo o tutt’al più un con-giuntivo 21.

L. 4. La sequenza delle lettere fa propendere per una lettura del ti-po [---] m¾ a„ d[š ---] come si può riscontrare a Gortyna in almeno tredifferenti tipi di clausola … m¾ a„ dš tij … (1); … m¾ a„ dš ka … (2);… pl…on dþ m¾. a„ dš … (3) 22.

L. 5. Un confronto con il lessico gortynio di V secolo a.C. e soprattut-to con quello della Grande Iscrizione potrebbe autorizzarci a ricono-scere in queste lettere una forma verbale da kat…sthmi, «versare una

18 Questo numerale ricorre varie volte in testi gortynî in riferimento a somme daversare: IC IV 8,g-h; 53,2; 72 III.39-40. Per i numerali in genere a Creta vd. Bechtel, Diegriechischen Dialekte cit., pp. 734-736 e Bile, Le dialecte cit., p. 218.

19 IC IV 1-143 passim e Bile, Le dialecte cit., p. 217.20 IC IV 80,6. Cfr. Bile, Le dialecte cit., p. 171 n. 70. Il Blass proponeva di integrare

lo stesso sostantivo anche in IC IV 84,5 testo riguardante il pagamento di ammende(cfr. IC IV, p. 193 ad loc.). Meno convincenti integrazioni quali [- - -]tý por[h‚o–- - -]

(IC III III.4,32 da Hierapytna di II sec. a.C., oppure [- - -] tý por[iomšno– - - -] in base aIC I VIII.12,16 da Cnosso di età ellenistica con lo scambio tra i e r (vd. M. Lejeune,Phonétique historique du mycénien et du grec ancien, Paris 1972, pp. 141-142).

21 Per l’uso dell’imperativo di ¢popo–n…o– cfr. IC IV 72 IX.37; per il congiuntivo di en-trambi i verbi cfr. IC IV 41 V.10-11; 46,4-5; 72 I.14; II.19-20 (¢popo–n…oi) e IC IV 41 V.7;42,B3; 72 I.19; II.54 (po–n…oi). Per tutte le altre forme vd. Bile, Le dialecte cit., pp. 108, 220,234, 238, 246 n. 347, 239-302, 296.

22 Cfr. rispettivamente (1) IC IV 41 VI.2; (2) IC IV 47,7-8; (3) IC IV 72 VII.29, VIII.3 e X.17.

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somma, pagare» 23. Le integrazioni possibili, presupposto il caratterelegislativo del frammento, dovrebbero essere: [--- kat]ist£ [to– ---],

[--- kat]ist£ [nto–n ---] (sing. e plur. dell’ imperativo pres. me-dio) 24 oppure l’infinito presente attivo [--- kat]ist£[men ---] 25.

Ciò che resta di questa iscrizione, pur non offrendo spazio a so-luzioni definitive, ugualmente presenta qualche spunto per una ri-flessione su quella che dovette essere la natura del testo originario.Il numerale che abbiamo supposto presente a l. 1 potrebbe riferirsi oa una somma (dracme o stateri) 26 oppure al numero legale dei testi-moni presenti alla stipula di certi atti 27. Quest’ultimo dato potrebbeessere interessante se integrassimo l. 3 con una voce del verbo¢popo–n…o– (¢pofwnšw) la cui presenza è solitamente richiesta per in-dicare l’atto giuridico compiuto dai ma…turej, i cosiddetti «testimoniformali», coloro che non obbligatoriamente dovevano aver assistitoai fatti oggetto del dibattimento 28. In tal modo avremmo forse unaclausola che richiedeva, per esser valida, una testimonianza.

La presenza dei testimoni potrebbe essersi resa necessaria inquanto si dibatteva una questione in qualche modo collegata al po-

r…mo– di l. 2. Il termine, che è attestato esclusivamente nel già ricorda-to decreto su Rhizenía, ha creato non pochi problemi e ancora ogginon si è realmente concordi sul significato da attribuirgli. MargheritaGuarducci 29 aveva pensato di riconoscervi la prima attestazione del

23 Sull’impiego e il significato del verbo a Gortyna vd. Bile, Le dialecte cit., pp. 327e 369.

24 IC IV 10,(c-e), (u), (z), (a-b); 72 I.45-46; 83,8.25 IC IV 8,(a-d); 41 VII.10; 72 I.54 e XI.35. Più raro l’uso di altre voci.26 Cfr. IC IV 72 III.39-40, in cui sono le espressioni: duo/–deka statüranj e duo/–deka

state/–ro–n; vd. anche IC IV 63,2 in cui ricorrono: med…mnonj duo/–deka.27 L’espressione ¢ntˆ maitÚro–n duýn è utilizzata quasi in ogni colonna della Grande

Iscrizione; si ritrova poi anche in IC IV 41 II.9-10; 47,22; 75,1-2 e 7. Per l’uso di questidue numerali vd. ancora Bechtel, Die griechischen Dialekte cit., pp. 734-735.

28 Vd. Bile, Le dialecte cit., pp. 351-352, ivi bibl. La testimonianza si rivelava indi-spensabile nel caso in cui venissero comminate pene pecuniarie come si può vedere daun semplice cfr. con IC IV 46,B3-5 dška statÁran|j katastase‹ a„ ¢|popo–n…o<i>ma…turj e IC IV 72 X.31-32 a„ ¢popo–n…|oien dÚo– ma…ture(j).

29 IC IV 80, p. 186, ad l. 6. Il fatto che in quest’ultimo testo si dovesse preferibil-mente leggere tý por…mo– anziché tý polšmo– come proposto da F. Halbherr (Epigraphi-cal Research in Gortyna, «AJA» 12 (1897), pp. 204-211, nr. 23; della stessa opinione an-che R. Dareste - B. Haussoullier - Th. Reinach, Recueil des inscriptions juridiques grec-

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termine ™fÒrimon, che in base al confronto con un altro testo di Rhi-zenía e con IC IV 84,4 avrebbe indicato un presunto «collegio cittadi-no degli efori» 30. Monique Bile 31 ha invece proposto l’identificazio-ne di pÒrimon con fÒrimon, parola con la quale si sarebbe voluta de-nominare una «imposta» ovvero una «contribuzione obbligatoria» chei cittadini di Rhizenía avrebbero versato ai magistrati locali e a quelliinviati da Gortyna, pena il pagamento di un’ammenda supplementa-re. Da ultimo Henri van Effenterre, riesaminando le clausole conte-nute a ll. 4-6 del decreto 32, ha proposto di riconoscere nel vocaboloin questione il sostantivo (™)forismÒj, parola sinora inattestata ma chemorfologicamente si formerebbe in modo analogo ad (¢)forismÒj estarebbe a significare «delimitazione di terreni, divisione confinaria»(bornage). In sostanza verrebbero punite con ammende tutte leeventuali infrazioni alla spartizione territoriale avvenuta, con il bene-placito di Gortyna, nella cèra di Rhizenía 33.

L’ipotesi di van Effenterre parrebbe esser quella che più si avvici-na alla situazione che abbiamo ipoteticamente descritto per il nostroframmento. Avremmo dei testimoni, in numero di due o più, che sa-rebbero chiamati in causa per dirimere una eventuale questione confi-naria. Nel caso in cui essi fossero venuti a mancare (a„ dþ m» [---] al. 4) si sarebbe forse instaurato un dibattimento in seguito al quale,qualora non si fossero rispettate dalle parti in causa le decisioni prese

ques, I, Paris 1892, pp. 319-327 e H. Bengtson, Die Staatsverträge des Altertums, II,Bonn 1962, pp. 160-162, nr. 216) sembra ormai generalmente accettato (cfr. van Effen-terre - Ruzé, Nomima, I, cit., p. 47, nr. 7). Il nostro frammento potrebbe risultare un’ul-teriore riprova a favore di questa lettura.

30 Si tratterebbe di IC I XXVIII.1,3-5 (molto frammentario); l’iscrizione gortynia fa rife-rimento al pagamento di tasse o ammende ai magistrati della cosiddetta ™pÒttaj. Dellastessa opinione anche Willetts, Aristocratic Society cit., pp. 110-114; Idem, Cretan Cultsand Festivals, London 1962, pp. 242-243; Idem, Civilization of Ancient Crete, London1977, p. 203.

31 Le dialecte cit., p. 171 n. 70.32 Le pacte Gortyne-Rhittèn, «CCG» 4 (1993), pp. 13-21. A p. 19 ha escluso ogni rela-

zione, già proposta da Bile, fra i termini tý por…mo– di l. 6 ed ™n t©i pÒrai di l. 10. Que-st’ultima espressione sarebbe l’equivalente dell’attico ™n tÁi ™p’oÙrai con riferimento aciò che starebbe iscritto sulla faccia posteriore della stele. Su questa espressione vd. daultimo le osservazioni di A. Chaniotis, Vier kretische Staatsverträge, «Chiron» 21 (1991),pp. 252-258 in cui si propone l’equivalenza [™]p’oÙr»i[a] = froÚria.

33 Su tutta la questione buna sintesi in van Effenterre - Ruzé, Nomima, I, cit., pp.46-51, nr. 7.

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in giudizio, sarebbe stata fissata l’eventuale sanzione pecuniaria a cari-co degli inadempienti ([--- kat]ist£[to–/-nto–n/-men ---] di l. 6) 34.

Potrebbe il nostro frammento far parte di una serie di disposizio-ni tese a difendere i piccoli lotti di terreno dalla crescita del latifondo?

3

Inv. 93 GO 6569. Blocco (a. 0,22; l. 0,35; sp. 0,21) di calcare porosolocale (porÒliqoj) rozzamente parallelepipedo e privo della origina-ria marginatura reimpiegato all’interno del vano 16 delle Terme delPretorio di Gortyna come rinforzo per il muro di un prefurnio (U.S.1415). È conservato nel magazzino della missione italiana in HághioiDéka. La faccia iscritta, recante 6 linee con andamento bustrofedico,non ha tracce di lisciatura, di linee guida o rubricatura. In originedoveva esser inserito entro un muro di qualche edificio pubblico edunque il testo, come in molti altri esempi gortynî, doveva prosegui-re su altri blocchi simili. Le lettere (a. 0,025, interlineo trascurabile)incise abbastanza profondamente richiamano la tipologia grafica pre-sente in alcuni testi di poco posteriori alla Grande Iscrizione (fig. 3) 35.

1 ← [---]em[---]→ [---]om priame[---]

[---]taqemenon[---][---]arpomeno e[---]

5 [---]teqemana[---][---]oro[---]

34 Il frequente insorgere di liti riguardanti la delimitazione dei confini fondiari è at-testato in IC IV 42B,1-11 contenente disposizioni secondo le quali i giudici avrebberodovuto istruire il dibattimento con le parti in causa entro quindici giorni. Simili questio-ni ritroviamo pure in IC IV 81, testo reimpiegato nella basilica di Mavropapa, nei pressidi Mitropolis, nel quale si stabiliscono regole per il pignoramento dei fondi agricoli allapresenza di testimoni, nella fattispecie costituiti dai possessori dei terreni circostanti econfinanti con quello del debitore, ai quali si richiede una dichiarazione o deposizione(cfr. a l. 17 po–n…onti) atta a individuare la reale delimitazione spaziale del lotto. Periscrizioni relative a contratti di terreni con verifica della loro estensione tramite testimo-ni vd. ancora G. Cousin - Ch. Diehl, Inscriptions de Mylasa, «BCH» 12 (1888), pp. 21-31.

35 IC IV, p. 123, della seconda metà del V sec. a.C. La caratteristica primaria di mol-te iscrizioni posteriori alla Grande Iscrizione è costituita dall’uso, già in questa presen-te, del carattere E a indicare contemporaneamente la vocale breve (e) e quella lunga (h).

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Disposizioni legislative riguardanti il regime della terra 155

L. 1. La lettura della seconda lettera, che si trova esattamente sullafrattura del margine superiore, non è sicura, potremmo anche leg-gere [---]es[---] (una preposizione?).

L. 2. Si può ipotizzare il supplemento [--- t]Õm pri£me[non ---] 36.

L. 3. Un’integrazione possibile risulta [--- tÕn ka]taqšmenon 37.

L. 4. Potremmo avere la sequenza [--- tý k]arpý mþn Ñ e[---], oanche [--- tý k]arpo–mšno– e [---] 38.

36 Cfr. la varia casistica in IC IV 41 VII.7 e 15; 43,Ba4 e 6; 72 VI.20,39-40; VII.11; IX.12;101,4.

37 Cfr. IC IV 41 V.17; 48,4,7,9,18-19; 72 VII.21,40; IX.12-13.38 Per karpÒj cfr. IC IV 72 II.48; III.27,35; V.39-40; VII.39-40; VII.49-50; IC IV 77,10;

91,3. La lettura [- - - tý k]arpo–mšno– rappresenterebbe la prima attestazione cretese diuna voce participiale relativa a karpÒw-karpÒomai: per il verbo in àmbito dorico vd.Buck, The Greek Dialects cit., p. 124. Per le attestazioni al medio cfr. IC IV 43,Aa3-4,legge sulle multe per coloro che si rivalgono sui beni dei nexî. Nella stessa iscrizione,alla colonna successiva, si trova anche il vocabolo ™pikarp…a: cfr. la seguente Ba6-7 ri-guardante una cessione di terreno in enfiteusi. Per la presenza del verbo in quest’ulti-mo contesto vd. Koerner, Inschriftliche Gesetzestxte cit. , pp. 396-398, nr. 130 e van Ef-fenterre - Ruzé, Nomima, I, cit., p. 196, nr. 47.

Figura 3 – 93 GO 6569. Foto di M. Quaresima

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Adalberto Magnelli156

L. 5. La terza lettera, anche se leggermente rovinata, sembra perla forma più prossima a una Q piuttosto che alla O. Difficile tuttavia,dal punto di vista morfologico e grammaticale, accettare il supple-mento [--- ka]teqšman, prima persona singolare dell’aoristo temati-co medio di katat…qhmi 39. Bisogna presupporre una diversa divisio-ne delle lettere. Forse è possibile isolare una sequenza del tipo [---

]teq e man a[---] nella quale sono individuabili la particella assevera-tiva e– (Ã) 40 seguita da m£n = ion. m»n 41. Avremmo allora un convin-cente parallelo con l’espressione à m£n …, attestata nel lessico gorty-nio relativo alle formule di giuramento 42.

L. 6. Non è chiara la lettura della prima e terza lettera delle qualiè traccia esattamente sulla frattura del margine inferiore. Sembra tut-tavia di poter riconoscere le metà superiori di due lettere tonde edunque si potrebbe proporre [---]oro[---].

I testi che dal punto di vista esclusivamente terminologico si av-vicinano più al nostro frammento sembrano essere IC IV 41 coll. VI-VII, IC IV 72 col. VI oltre alla prima parte della col. IX e IC IV 43Ba. Intutti e tre i casi l’argomento trattato riguarda la legislazione in mate-ria di garanzie reali (pegni o ipoteche) ovverosia beni sui quali incaso di inadempienza del debitore il creditore può rivalersi. A garan-zia possono esser date persone (quelle che con termine tratto dallaromanistica potremmo chiamare nexî ) come nel primo caso, oppurebeni, mobili ed immobili, come nella Grande Iscrizione. Le disposi-zioni contenute in IC IV 43Ba riguardano invece la proibizione per iprivati di acquistare, ipotecare o prendere pegni su terreni dati inconcessione dalla cittadinanza 43. Nel nostro frammento si fa men-zione di un compratore ([--- t]Õm pri£menon) di un creditore ipote-cario, letteralmente «colui che ha avuto in ipoteca» ([--- tÕn ka]ta-

39 Sulla formazione dell’aoristo tematico medio con relative desinenze cfr. Bile, Ledialecte cit., pp. 220 e 244.

40 Sul valore e le modalità di impiego di e– (= Ã) utilizzata anche in senso avverbia-le,vd. Bile, Le dialecte cit., pp. 209 s.

41 Cfr. IC IV 55,10.42 Cfr. ad es. IC IV 75,9 e 81,12. Il precedente [- - - ]teq potrebbe in via del tutto

ipotetica far parte dell’espressione [- - - ka]t’œ[q(e–) precedente la formula del giura-mento. Sull’uso di œqoj a Creta vd. Bile, Le dialecte cit., p. 83 n. 30.

43 Ll. 5-8 … m¾ katškeqai … t¦[n Ñ]n¦n mhd|þ [t¦]n ka[t£]qesin: mhd’™nek|ur£dden …

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Disposizioni legislative riguardanti il regime della terra 157

qšmenon), e forse di un qualche regolamento tra le parti circa la sortedel «provento» ([--- tý k]arpo–mšno– designa «ciò che è stato raccoltocome frutto») di un terreno fino al momento dell’estinzione del debi-to 44. La compresenza di tali unici punti di riferimento lessicale èriscontrabile solo in IC IV 43Ba e quindi, nel tentativo di rischiarareil senso del nostro fr., è preferibile analizzare meglio quest’ultimotesto.

Sembra ormai concordemente accertato 45 che nella prima partedell’iscrizione si tratti di una «distribuzione di terre pubbliche» che lapólis ha fatto in favore di privati al fine di una loro maggior resa pro-duttiva 46. La città tuttavia stabiliva per i nuovi possessori alcune li-mitazioni. Alle ll. 4-7 si afferma infatti: … A|‡ tij taÚtan pr…aito À

ka|taqe[‹]to m¾ katškeqai tý|i priamšno–i t¦[n Ñ]n¦n mhd|þ [t¦]n ka-

[t£]qesin, non era quindi lecito alienare il terreno né per mezzo del-la vendita né attraverso la costituzione di ipoteca 47. Segue la clausolasul pignoramento che indubbiamente presenta più di un problema ese-segetico: … mhd’ ™nek|ur£dden a„ m¾ ™pi[m]etr[Ái] t¦|n ™pikarp…an 48.Sostanzialmente si va dalla posizione di chi riconosce nell’iscrizioneun tentativo della pólis di allargare la base sociale per mezzo di «veree proprie privatizzazioni» di terra comune con conseguenti misure attealla difesa del possesso di tali nuove acquisizioni 49 e chi, sul versante

44 Cfr. IC IV 91,3 dove colui che ha dato in pegno il proprio terreno può ancora go-derne il frutto.

45 M. Guarducci era dell’avviso che la terra concessa dalla pólis rimanesse indubita-bilmente di proprietà pubblica: vd. IC IV 43Ba, p. 101. Sul dibattito relativo alla presen-za della proprietà privata nell’antichità M.I. Finley, Economy and Society in AncientGreece, London 1981, pp. 212-231.

46 Ll. 1-3 T¦n ™[n] Keskèrai kaˆ|t¦n ™m P£lai putali¦n œ<e>|dokan ¢ pÒlij pu-

teàsai. Bibl. in van Effenterre - Ruzé, Nomima, I, cit., p. 197, nr. 47.47 Non è ancora ben chiaro quale rapporto sussista fra katat…qhmi/-mai, che scom-

pare nei testi di Gortyna dalla fine del V sec. a.C., e il corrispondente ™nekur£ddw: vd.discussione in Bile, Le dialecte cit., pp. 330 s. Sul problema dell’alienabilità vd. F. Cas-sola, Sull’alienabilità del suolo nel mondo greco, «Labeo» 11 (1965), pp. 206-219 (=Scritti di storia antica, I, Napoli 1993, pp. 183-200); e bibl. in A. Maffi, Forme della pro-prietà, in I Greci, 2.2, Torino 1997, p. 362 n. 50.

48 Secondo Domenico Comparetti (riportato in IC IV 43Ba, p. 101 ad loc.) il testonon si concludeva ma era possibile intravedere, seppur molto evanescente, una se-quenza così ricostruibile: [™pˆ tÕ] tý [œkon]toj kr»ioj.

49 Sono le conclusioni alle quali giunge R. Koerner, Zur Landaufteilung in griechi-schen Poleis in älterer Zeit, «Klio» 69 (1987), pp. 443-449; Idem, Inschriftliche Gesetzes-texte cit., pp. 399 ss., nr. 132.

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Adalberto Magnelli158

opposto, ritiene si tratti di limiti che la città poneva in seguito all’isti-tuzione di un rapporto di tipo enfiteutico con privati 50. Nel primocaso la clausola finale dell’™pimetre‹n t¦n ™pikarp…an, inserita nelcontesto della difesa degli immobili contro l’esproprio, potrebbe ri-ferirsi alla possibilità, peraltro unica, di cedere in pegno eventual-mente il solo «provento» del terreno 51; nel secondo si ammetterebbela possibilità per il possessore di riscattare il lotto come definitiva-mente proprio dopo l’assolvimento di un ònere prestabilito, appuntol’™pikarp…a 52. È chiaro che un ruolo determinante è svolto dal ver-bo ™pimetršw. A tal proposito bisognerebbe forse, trovandoci in uncontesto «fondiario», tener presente l’uso comune che della coppiametršw/™pimetršw fa Esiodo. In Op. 349 ad es. il verbo metre‹sqai

ha il chiaro significato di «misurare per prendere in prestito» 53, lad-dove in Op. 397 si comprende inequivocabilmente che ™pimetršw

significa «misurare in più per distribuire in prestito» 54. Se adattassimoalla nostra clausola quest’ultimo significato, si avrebbe che colui cheprendeva in pegno (™nekur£dden) un bene appartenente alla pianta-gione non avrebbe potuto farlo se prima non avesse «misurato in piùil raccolto». Accadeva spesso infatti che il possessore di un terreno,per cause contingenti legate ad annate non particolarmente fruttuoseoppure per avventate speculazioni commerciali 55, fosse costretto aricorrere a prestiti i cui interessi talvolta lo spingevano prima a «im-

50 M.R. Cataudella, Aspetti del diritto agrario greco: l’affrancazione, «Iura» 27 (1976),pp. 96-100; van Effenterre - Ruzé, Nomima, I, cit., p. 196, nr. 47 parla di «concession detype emphytéotique».

51 Koerner, Zur Landaufteilung cit., p. 448; Idem, Inschriftliche Gesetzestexte cit., p.401. In questo senso potrebbe intendersi anche la traduzione «sans avoir fait évaluer larécolte» di van Effenterre - Ruzé, Nomima, I, cit., p. 186, nr. 47

52 Cataudella, Aspetti del diritto cit., pp. 99-100.53 Si cfr. ad es. lo stesso uso in Herond. VI 9; P. Hibeh 103 (del 231 a.C.); Syll.3 976,

61 e anche la glossa di Hesych., s.v. metre‹sqai: dane…zesqai, st»sasqai. TÕ dane…-

zesqai oÛtwj œlegon. ™pˆ staqmù g¦r p£lai ™d£neizon.54 A un possessore di lotto caduto maldestramente in disgrazia e venuto insistente-

mente a chiedere un prestito il poeta risponde infatti, vv. 396-397: ™gë dš toi oÙk ™pi-

dèsw oÙk ™pimetr»sw. La pratica del prestito era comune fra possessori di terreni con-finanti: cfr. Aristoph. Ran. 1558 ss.; Men. Dysk. 458 ss.; 505 ss.; 913 ss.; Cat. 5,3: «(veili-cus) satuei semen, cibaria, far, veinum, oleum mutuam dederit neminei»; Colum. 1,8,8.

55 Illuminanti in tal senso i consigli contenuti in un’elegia del Corpus Theognideum,1197,202 ss. Per queste problematiche vd. da ultimo B. Bravo, Una società legata allaterra, in I Greci, 2.1, Torino 1996, pp. 554-557.

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pegnare» beni immobili, e in ultima analisi a ipotecare la proprietàterriera. La disposizione contenuta nelle ll. finali di IC IV 43Ba vole-va forse ovviare a questa eventualità nel senso che, imponendo di«includere» nel prestito anche il «raccolto» 56, escludeva conseguente-mente quest’ultimo dalla categoria dei pegni che potevano esser datiin garanzia e quindi permetteva al debitore di mantenere, oltre alpossesso 57, anche il provento del lotto. Si raggiungeva così un du-plice scopo: si assicurava al debitore il sostentamento necessario perpotere poi saldare il debito e lo si tutelava contro un’eventuale ina-dempienza nelle contribuzioni ai sissizî che avrebbe comportato l’esclusione dal corpo dei cittadini a pieno titolo con susseguente ri-duzione al rango di ¢pštairoj 58.

Potrebbe risultare forse un po’ azzardato ma sicuramente sugge-stivo ipotizzare anche per il fr. del Pretorio una casistica analoga:dopo che alle ll. 2 e 3 si trattava della vendita e dell’ipoteca sarebbepotuta seguire a l. 4 la questione riguardante tutti quei beni chepotevano costituire ™nškura a esclusione del raccolto ([--- tý k]ar-

po–mšno–) che, qualora fosse integrabile in fine di linea una voce di™pimetršw, doveva essere «aggiunto al prestito». In una simile situa-zione non risulterebbe fuori luogo ipotizzare un supplemento [---

Ñm]Òro[i ---] nell’ultima linea, con riferimento a coloro che, proprie-tari del terreno confinante con quello del debitore, nel caso fosserosorte questioni relative a un’illegale appropriazione del frutto daparte del creditore 59, erano chiamati dal primo a prestare in suofavore un giuramento 60 del quale rintracceremo la menzione nel-

56 Il termine ™pikarp…a che nella Grande Iscrizione equivale genericamente al «pro-vento di una proprietà», nel nostro caso può semplicemente indicare «il raccolto»: cfr.M. Holleaux, Questions épigraphiques, «REG» 10 (1897), p. 36; Bile, Le dialecte cit., p.218. Contrariamente Cataudella, Aspetti del diritto cit., p. 100.

57 Il possesso del lotto veniva garantito dalle proibizioni di ll. 4-7: cfr. Koerner, In-schriftliche Gesetzestexte cit., p. 401 n. 132.

58 Cfr. supra, n. 9 e R.F. Willetts, The Law Code of Gortyn, «Kadmos», Suppl. nr. 1,Berlin 1967, pp. 12 s. Interessanti osservazioni anche in van Effenterre - Ruzé, Nomima,I, cit., p. 204, nr. 49. Un particolare interesse alla salvaguardia dei frutti raccolti sembragià presente nella prima colonna di IC IV 43,Aa1-7 A‡ k/ ¥loj ¢d|…koj ™nek[ur|£k]sanj

m¾ karpÒset[ai] … katastase‹ …59 Cfr. quanto è possibile evincere da IC IV 91, fr. nel quale si fa menzione di liti

per stabilire a chi realmente spettasse l’usufrutto di beni fondiarî impegnati.60 I cosiddetti «co-jureurs» della dottrina odierna. In IC IV 81,2,19-20 in numero di

nove erano chiamati, in mancanza di un catasto, a testimoniare dell’esatta situazione

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Adalberto Magnelli160

l’ipotizzata formula ([---]teq’ e_ m¦n a[---]) della quinta linea. Si po-trebbe quindi leggere:

1 [---]– – –[---][---]il compratore[---][---]il creditore ipotecario[---][---]del raccolto …[---]

5 [---]– – –[---][---]i vicini (?)[---]

Queste considerazioni potrebbero indurci a classificare il pezzo,seppur allo stato attuale ipoteticamente, fra quelli riguardanti la tute-la della proprietà terriera contro la alienazione o la costituzione digaranzie reali su di essa.

dei beni immobili pignorati: vd. Bile, Le dialecte cit., pp. 117; van Effenterre - Ruzé, No-mima, II, cit., p. 172, nr. 47.

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Dodicesimo Simposio di diritto greco ed ellenistico 161Lorenzo Gagliardi

DODICESIMO SIMPOSIODI DIRITTO GRECO ED ELLENISTICO

Nell’antica fortezza cinquecentesca di Pazo de Mariñán, trasformatanella seconda metà del XVIII secolo in un originale palazzo ispiratoalla sensibilità del barocco gallego, e ora monumento nazionale spa-gnolo, dal 6 al 9 settembre si è tenuto il XII Simposio di Storia deldiritto greco ed ellenistico, sotto gli auspici della Internationale Gesell-schaft für Griechische und Hellenistische Rechtsgeschichte, fondatada Hans Julius Wolff e attualmente diretta da Eva Cantarella, JosephMélèze Modrzejewski e Gerhard Thür.

Nel contesto del Pazo, affacciato su un fiordo oceanico non lon-tano da La Coruña, si sono riuniti studiosi di dodici Paesi (Austria,Spagna, Canada, Danimarca, Francia, Germania, Gran Bretagna, Gre-cia, Italia, Polonia, Stati Uniti, Ungheria). Secondo consuetudine,delle ventotto relazioni presentate una prima serie, che è ap-prossimativamente coincisa con le prime tre giornate di lavori, hapreso a oggetto il diritto dell’età arcaica e classica; le rimanenti si sonoconcentrate sul diritto ellenistico e greco-romano, mettendo a frutto,in particolare, la documentazione papirologica.

Dopo i saluti di benvenuto di Javier Fernandez Nieto, organizzato-re del convegno, e quelli di rito del Rettore, trasmessi da Víctor AlonsoTroncoso, è toccato a G. Thür, previa commemorazione della recen-te scomparsa di Arnaldo Biscardi, che per la Gesellschaft ha semprecostituito un importante punto di riferimento, introdurre il conve-gno, la cui prima sessione mattutina, dal titolo Época arcaica. Gene-ralia, si è svolta sotto la presidenza di Felice Costabile.

Prima relazione, anche per evidenti ragioni cronologiche sul te-ma trattato, è stata quella di Julie Velissaropoulos-Karakostas, Ho-

Dike, 2 (1999), pp. 161-172

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Lorenzo Gagliardi162

mère et Anaximandre de Milet. La studiosa greca, dopo aver descrittola matière, l’art e la pensée dello scudo di Achille del XVIII cantodell’Iliade, ha affermato che il mondo in esso descritto, pur costi-tuendo un racconto cosmologico, si differenzia nettamente dalle anti-che cosmogonie e si collega all’età della nascita delle pÒleij. Suquesta base ha quindi istituito un originale parallelismo tra Omero eAnassimandro di Mileto: come la giustizia è dal primo collocata al-l’interno del kÒsmoj, così analogamente Anassimandro ricorre a unaterminologia giuridica per esprimere una riflessione cosmologica.

Successivamente, Andréas Helmis, Souvenir des morts et générosi-té des vivants: organisation de jeux funéraires, ha analizzato un’iscri-zione (IG XIII 7, 515) della città di Egialea (II sec. a.C.), riguardanteun tale Critolao che aveva messo a disposizione della città la sommadi 2.000 dracme per commemorare suo figlio Aleximaco. La città a-veva prestato a interessi del 10% la somma, previa garanzia ipoteca-ria, e con gli interessi finanziava ogni anno un banchetto e giuochifunebri. Questo ha consentito a Helmis di osservare che, mentre nel-la società omerica i giuochi erano organizzati solo alla morte di uneroe, e nell’Atene classica la commemorazione di tutti i cittadinimorti in guerra avveniva collettivamente una volta all’anno, nell’etàellenistica si trova traccia di una annuale commemorazione funebredi un solo individuo.

Quindi, Sophia Adam-Magnisali (di Atene, come i due precedentistudiosi), nel corso di una relazione dal titolo Environnement et droitdans l’antiquité grecque, ha affrontato il problema dell’esistenza diuna tutela dell’ambiente nella civiltà greca. Dopo aver accennato allaconsapevolezza di proteggere l’ecosistema, che si rinverrebbe giànelle riflessioni filosofiche – da Eraclito ad Aristotele – Adam-Magni-sali ha concentrato la sua attenzione, quanto all’aspetto giuridico, sutre distinte tematiche, analizzate con riguardo particolare al mondoateniese: le regole in materia di gestione delle risorse idriche (comeben noto, assai scarse in Attica); le norme rivolte alla protezionedelle foreste, degli alberi da frutto e degli animali; infine, le disposi-zioni volte a preservare l’ambiente cittadino dall’inquinamento cau-sato dalle attività produttive.

La discussione che ne è seguita ha fatto registrare alcune diver-genze di opinioni circa i motivi sottesi alle regolamentazioni illustra-te da Adam. In particolare, Fernandez Nieto ha sostenuto che alla lorobase vi sarebbero ragioni di ordine sacrale, piuttosto che esigenze di

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Dodicesimo Simposio di diritto greco ed ellenistico 163

tutela ambientale. Fermo restando che l’argomento è senza dubbiomeritevole di ulteriori approfondimenti, non sembrano fuori luogodue considerazioni. Da un lato, nonostante la Grecia non presentas-se particolari problemi legati alla sovrappopolazione, sembra pococredibile che una città come Atene, che nel V secolo contava più di200.000 abitanti, potesse essere priva di disposizioni miranti, se nonproprio a tutelare l’equilibrio ambientale da un troppo massiccio usodelle risorse naturali (che è esigenza affatto moderna), quanto menoa regolamentare la convivenza urbana dei cittadini, che inevitabilmen-te e in ogni dove si scontra con esigenze legate, ad esempio, allosmaltimento dei rifiuti biologici, nonché alla limitazione delle immis-sioni moleste (di acque, di fumi, di odori, di rumori ecc.) tanto nel-l’altrui proprietà, quanto nei luoghi pubblici. Come del resto confer-ma, in territorio italico, l’esperienza non solo di Roma, ma di unacittà di dimensioni modestissime, quale Pompei. In secondo luogo,sembra opportuno ritenere che, quand’anche si ravvisassero evidentimatrici sacrali alla base di norme giuridiche, si debbano nondimenoinvestigare le latenti esigenze di ordine concreto, da cui tali normesacrali sarebbero state generate, considerata la mutua interdipenden-za e talora anche la coincidenza tra la sfera sacra e la sfera giuridica,soprattutto nell’età più antica.

Alberto Maffi (Milano), nell’ultima relazione antimeridiana, ha of-ferto alcuni nuovi risultati dei suoi studi ben noti sulla legge di Gor-tina: La legittimità a stare in giudizio del «kosmos» gortinio (IC IV 72 I51-55 e IC IV 41 IV 6-16). Distinguendo la propria opinione dall’au-torevole dottrina, secondo cui ai magistrati delle città greche non eraconsentito stare in giudizio né come attori, né come convenuti, Maffiha sostenuto, sulla base dell’esegesi delle due iscrizioni di Gortinaindicate, che il kÒsmoj della città cretese era legittimato ad agire ingiudizio per tutelare i propri interessi privati anche mentre era incarica. Inoltre, dall’analisi di IC IV 41 IV 6-16, l’autore ha propostouna nuova interpretazione della figura dell’o„keÚj ™pidiÒmenoj. Sul-l’ipotesi che il participio ™pidiÒmenoj derivi dal verbo ™pidšomai, enon da ™pid…omai, come comunemente si ritiene, Maffi ha sostenutoche tale o„keÚj sarebbe stato non genericamente lo schiavo fuggitivoe inseguito, ma in particolare lo schiavo in fuga dal proprio padrone,perché da lui maltrattato, e di conseguenza «fasciato», ovvero curato,accolto (tale sarebbe il significato di ™pidiÒmenoj), in un tempio o daun altro padrone che l’avrebbe rivenduto.

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Lorenzo Gagliardi164

La seduta pomeridiana, intitolata Instituciones públicas. Genera-lia, si è svolta sotto la presidenza di Maffi. Víctor Alonso Troncoso (LaCoruña), L’institution de l’hégémonie dans le droit grec des traités(VI-IVème s. av. J.C.), ha parlato dell’egemonia come istituto del di-ritto internazionale greco, con precipuo riferimento al diritto dei trat-tati. Ha quindi analizzato il sistema normativo, che regolava l’eserci-zio del comando supremo da parte della forza egemone nel seno diuna simmachia. Sotto il profilo delle fonti del diritto, Alonso Tronco-so ha nettamente distinto il diritto consuetudinario dal diritto scrittonegli accordi e ha rilevato che, in materia di egemonia, è particolar-mente evidente il carattere sussidiario della consuetudine nei con-fronti delle stipulazioni contenute nei trattati. Ha quindi proposto unelenco di norme consuetudinarie e di principi non scritti, regolantil’istituto dell’egemonia nel diritto greco internazionale in età classica.

L’identità di tematica con la comunicazione precedente, il dirittointernazionale, ha portato a collocare nella prima giornata del con-vegno anche la relazione di Kaja Harter-Uibopuu (Graz), Die Strukturdes Hellenenbundes unter Antigonos I Monophthalmos und Deme-trios Poliorketes, 302 v. Chr., StV 446, pur avendo questa per oggettol’età ellenistica. Sono state illustrate le tendenze di fondo della legadel 302 a.C. e al contempo si è delineato un confronto tra quella legae la precedente del 338 a.C. Scopo della simmachia del 302 era nonsolo quello di mantenere l’ordine tra le pÒleij in tempo di pace, maanche quello di costringerle a partecipare alla formazione dell’eser-cito comune. Tutto questo avveniva senza grandi poteri di decisionedelle singole pÒleij, le quali erano sottoposte alla forte influenzapolitica che il re esercitava sulla simmachia. In particolare, la relatri-ce si è soffermata sui meccanismi giuridici, previsti dallo statuto del-la lega, per controllare e limitare l’autonomia delle pÒleij aderenti.

Jean-Marie Bertrand (Parigi), De la fiction en droit grec. Quelquesréflexions, ha presentato una serie di esempi atti a dimostrare comela sanzione, nelle norme giuridiche greche, fosse sovente espressaindirettamente attraverso il richiamo analogico a una fattispecie di-versa, nella quale l’effetto era direttamente statuito (a titolo di esem-pio, uno dei diciannove casi da lui commentati è il seguente: œnocoj

œstw tù nÒmJ tù <™p… tù> t¦n st£llan ¢nšlonti t¦n perˆ tîn

tur£nnwn kaˆ tîn ™kgÒnwn, in Heisserer, Alexander and the Greeks,II, gamma, a, ll. 24-26). L’autore ha concluso che questa tecnica difinzione, o assimilazione, era uno strumento delle città greche per

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vivere il progresso senza rotture con il passato: il costante richiamodelle leggi antiche nelle nuove aveva la funzione da una parte diattenuare la contrapposizione tra le prime e le seconde e, dall’altra,di far ritenere che le seconde fossero, in un certo senso, già compre-se nelle prime.

La relazione di Bertrand apriva un ampio dibattito (Thür, Velissa-ropoulos, Gagarin, Dreher, Todd, Rupprecht), sulla possibilità di qua-lificare come «finzioni» i casi elencati come tali, prospettandosi l’ipo-tesi che il procedimento logico-giuridico in questione fosse piuttostoda identificare con l’«analogia», ovvero (Mélèze Modrzejwski) anchecon l’«estensione» o con la «trasposizione».

L’ultima relazione della tornata, di Léopold Migeotte (Québec),era dedicata a Taxation directe en Grèce ancienne. Opponendosi al-l’opinione secondo la quale la tassazione diretta e proporzionale aibeni posseduti era nel mondo greco generalmente evitata, in quantopercepita come una degradazione morale, ed era quindi sostituitadalla tassazione indiretta gravante sugli scambi commerciali, Migeotteha illustrato una serie di iscrizioni ellenistiche a testimonianza delladiffusione della tassazione diretta in numerose città greche. Dal pun-to di vista del regime fiscale sarebbero esistite varie tipologie di pÒ-

leij: le città più chiuse, con economia agricola e pastorale, avrebbe-ro ampiamente disposto della tassazione diretta, gravante soprattuttosui cittadini quali proprietari fondiari; le altre città, quelle aperte sulmare e forti dei proventi della tassazione indiretta, avrebbero inveceridotto o addirittura abolito l’imposizione diretta.

La seconda giornata del convegno è stata interamente dedicataad Athenas y el derecho ático. Presidente Thür, Lene Rubinstein(Londra) ha presentato «Synegoroi» and their place in our reconstruc-tion of the Athenian legal process, uno studio volto a illustrare il ruo-lo e il peso dei sun»goroi nei processi pubblici e privati. Secondo lastudiosa danese, mentre nei processi privati i sun»goroi più spessopronunciavano le loro orazioni sostituendosi alla parte che appog-giavano, nelle azioni pubbliche il loro ruolo consisteva nel recitareorazioni complementari a quelle delle parti. Ella ha inoltre rilevatouna maggior presenza dei sun»goroi nei processi pubblici (78%), chenon nei processi privati (44%). Nei primi, probabilmente, vari sun-

»goroi lavoravano in équipe a sostegno di una medesima parte pro-cessuale, ciascuno adducendo argomenti su materie in cui la propriaautorità era da tutti riconosciuta.

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Successivamente, chi scrive ha cercato di rispondere alla doman-da: Dove giudicavano gli efeti? Rilevando l’infondatezza dell’opinio-ne tralatizia, in base alla quale in età classica essi avrebbero giudica-to in almeno tre dei cinque tribunali competenti per l’omicidio (Pal-ladio, Delfinio, Freatto), si è sostenuto che essi giudicavano in unosolo dei tre tribunali citati, e cioè il Palladio.

Stephen C. Todd, di Keele, nella relazione Lysias on Abortion, haaffrontato l’arduo compito di commentare una delle più frammenta-rie orazioni di Lisia, quella contro Antigene, nella quale sembra trat-tato l’interessante caso di una donna accusata di aver abortito. Tutta-via, mentre secondo l’accreditata opinione di Gernet, Antigene –l’accusatore della donna, creduta una vedova – era ritenuto il paren-te più prossimo del suo defunto secondo marito, Todd ha ipotetica-mente sostenuto che Antigene fosse il terzo marito della donna, ge-nitore del feto abortito. Sulla base dei medesimi frammenti, Todd haanche cautamente arguito che nel diritto ateniese il procurato abortosarebbe stato considerato omicidio, qualora il feto fosse stato conce-pito da più di sei mesi.

Michael Gagarin (Austin), Who Were the Kakourgoi? Career Criminalsin Athenian Law, si è domandato perché, nel caso dell’¢pagwg» tîn

kakoÚrgwn, l’azione prendesse il nome dalle persone accusate delreato (tîn kakoÚrgwn) e non dal reato stesso (kakourg»matoj okakourg…a), come invece normalmente accadeva per le d…kai e perle grafa…. Su questo ha sostenuto l’ipotesi che la categoria deikakoàrgoi, che comprendeva tradizionalmente i klšptai, i lwpodÚ-

tai e gli ¢ndrapodista…, individuasse in origine non tanto i colpevo-li di reati singoli, quanto piuttosto un ben definito gruppo di perso-ne, criminali «professionisti» e perciò banditi dalla comunità, al paridegli ¥timoi, degli ¢ndrofÒnoi e dei feÚgontej. Se tuttavia in originevenivano di fatto considerati kakoàrgoi solo gli appartenenti alle tresotto-categorie sopra-elencate, a partire dall’età classica si sarebbe ve-rificato un ampliamento di tale accezione, che da allora, in modo nonsempre incontroverso, avrebbe incominciato a indicare altre tipologiedi malfattori, ben lontani dai criminali originariamente individuati.

La prima relazione del pomeriggio, presidente Gagarin, è statadedicata da Martin Dreher (Magdeburgo) all’argomento Der Prozessgegen Xenophon. Si sarebbe trattato di una e„saggel…a per un’accu-sa di tradimento e, contrariamente a quanto è opinione dominantenella storiografia moderna, Senofonte sarebbe stato condannato a

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morte e non all’esilio. Trattandosi tuttavia di una sentenza emessa incontumacia, Senofonte, che allora si trovava all’estero, non avrebbefatto mai più ritorno ad Atene, e sarebbe vissuto in esilio per il restodella vita. A giudizio di Dreher, la condanna di Senofonte sarebbestata determinata non tanto dalla sua partecipazione alla spedizionedi Ciro il Giovane del 399, quanto piuttosto dai servizi da lui resi adAgesilao e si inserirebbe quindi nell’àmbito della propaganda anti-spartana.

Klaus Hallof (Berlino), Dekrete der athenischen Kleruchen aufSamos, ha presentato un decreto onorario (IG XII 6, 1, 252) prove-niente dall’Heraion di Samo e riguardante una ƒerosul…a, risalentealla metà del IV secolo a.C. Secondo Hallof, il testo farebbe riferi-mento a un tale Zen … us (integrato come Zenodotus), autore di unadenuncia nei confronti di due individui (Pasiclea e Psillione), colpe-voli di avere rubato oro e altri beni dal santuario. A Zenodoto sareb-bero stati riconosciuti non solo onori, il più importante dei qualirappresentato dalla concessione della cittadinanza ateniese, ma an-che denaro (nella fattispecie, un talento).

Adele C. Scafuro (Brown - Rhode Island), «Horistai» and BoundaryDisputes in Attic Epigraphical and Literary Sources, ha illustrato leprincipali testimonianze sugli Ðristaˆ nel mondo greco in generale,e ad Atene in particolare (soffermandosi su IG II2 204). Pur apparen-do raramente menzionati nelle fonti, gli Ðristaˆ ateniesi risultereb-bero sempre correlati ad argomenti connessi con terre sacre e contempli. Di qui, Adele Scafuro ha ritenuto che essi fossero se nonaddirittura sacerdoti, personaggi incaricati di compiere riti di caratte-re sacrale. A suo avviso, a differenza degli Ðristaˆ di altre città gre-che, quelli ateniesi non risolvevano dispute e neppure procedevanoall’individuazione e alla determinazione dei confini, ma celebravanosolo i riti religiosi di volta in volta necessari per tali operazioni.

Infine, Robert W. Wallace (Chicago) ha concluso la giornata par-lando di «Phainein» in Athenian Law. Previa rassegna delle occor-renze, nelle fonti, della procedura di f£sij, Wallace ha cercato diindividuare se vi fosse un denominatore comune a tutti i casi indivi-duati: ha concluso che i vari esempi, tramandati nelle fonti ateniesiclassiche, sono diversi l’uno dall’altro e che quindi la f£sij non erauna specifica procedura applicabile a singole fattispecie astrattamen-te determinabili, bensì era indicata di volta in volta da singole leggiper fattispecie concretamente individuate.

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Nell’unica sessione, mattutina, del giorno 8 settembre (presidenteHans Albert Rupprecht), dedicata a Familia, esclavos, propiedad. De-recho penal, ha parlato Felice Costabile (Reggio Calabria) su L’impre-sa marittima di Andokides e la mutilazione delle erme in una «de-fixio» dal Kerameikós di Atene. Costabile ha presentato un’ineditadefixio opistografa, nella quale vengono maledetti «l’™rgast»rion de“La vecchia” e le menti dei crudeli uomini de “La larga”» e Andocideviene insultato come ermocopida. Poiché Andocide aveva costituitoun’impresa commerciale marittima, appare fondata l’ipotesi che ildocumento epigrafico restituisca i nomi di due sue navi. La minusco-la lamina di piombo, su cui è inciso il testo, sembra inoltre riprodur-re la sagoma di un’imbarcazione con la chiglia rivolta verso l’alto, adaumentare l’effetto malaugurante. Poiché l’attività di armatore navaledi Andocide si colloca dopo il suo processo per la mutilazione delleerme del 415 e poiché nel 399 il medesimo fu sottoposto a un nuovoprocesso per gli stessi fatti, è stato ipotizzato che tale ultimo annopossa rappresentare il terminus post quem per datare l’iscrizione.

Edward E. Cohen (Filadelfia), Written Contracts of Prostitution inFourth-Century Athens, dopo avere illustrato alcuni esempi, ha e-sposto la teoria secondo la quale ad Atene i contratti scritti per leprostitute, che non fornivano i loro servizi nei bordelli o per le stra-de, costituivano uno strumento giuridico assai frequente. Essi eranoprevisti da un’apposita legislazione (nÒmoj ˜tair»sewj), della qualetuttavia le disposizioni di dettaglio non sono a noi pervenute. Diquesto sistema avrebbe beneficiato anche la pÒlij, tassando i pro-venti delle prostitute. L’autore ha infine espresso l’opinione che ilcommercio del sesso, che oggi appare in contrasto con i valori dellemoderne società, influenzate dalla morale giudaico-cristiana, era in-vece del tutto conforme ai canoni della morale ateniese.

Inés Calero Secall (Málaga) ha quindi presentato Los órdenes su-cesorios en derecho griego: Un testimonio etolio (IG IX 12 2). Sullabase di un assai lacunoso documento epigrafico, l’autrice ha tentatodi delineare l’ordine della successione legittima in Etolia. Secondo Ca-lero Secall, il documento da un lato corroborerebbe l’opinione del-l’esistenza di un ordine successorio panellenico (la discendenza pa-trilineare), ma dall’altro testimonierebbe la presenza di altri privilegiassai rari nel diritto greco, quale la primogenitura, che compare soloa Samo. Nel corso della discussione, Gagarin ha espresso perplessitàsull’effettiva menzione di un diritto di primogenitura nel testo in que-

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stione, in quanto presupposta unicamente sulla base di un’integrazio-ne, alla linea 9 dell’epigrafe, che appare largamente opinabile: te-leutakÒtoj tÕn uƒÕn tÕn ™n S£ma[i pr©ton gennaqšnta (?) - - -].

Gerhard Thür (Graz), Diebstahl und Sachverfolgung in der an-tiken «Polis», ha negato l’esperibilità della diadikas…a nelle controver-sie relative al diritto di proprietà. È sua opinione infatti che nel dirit-to ateniese non esistesse una singola azione giudiziaria corrispon-dente alla reivindicatio del diritto romano, bensì diverse d…kai, e-speribili per far valere il diritto di proprietà. Il punto su cui egli haconcentrato la sua attenzione è costituito dai modi in cui tali d…kai

avevano inizio. Nel caso di controversie relative a beni immobili, percui si sarebbe ricorso alla d…kh ™xoÚlhj, ad esempio, il presunto pro-prietario, una volta spossessato, non avrebbe potuto semplicementecitare la controparte, ma avrebbe dovuto invadere il fondo usurpato-gli, subire per ciò eventualmente la reazione fisica dell’usurpatore equindi citarlo proprio a causa di tale reazione. Nel caso di controver-sie relative a beni mobili o a schiavi, la procedura per intentare lacausa sarebbe stata la medesima, con azione avente il nome di d…kh

¢fairšsewj.L’ultimo giorno del convegno (sessione mattutina: Fuentes jurídi-

cas, papirología, derecho helenístico y greco-romano), presidente Mé-lèze Modrzejewski, si è aperto con una comunicazione di Hans Al-bert Rupprecht (Marburgo), Zum Streit zwischen Nestnephis und Sata-bous. Rupprecht ha ripreso in esame una delle causes célèbres dellapapirologia, l’annosa controversia privata tra due sacerdoti, Nestne-phis e Satabous, da datarsi tra gli anni 11 e 17 d.C. Mentre nel passa-to, tuttavia, di questa causa si erano considerati soprattutto gli aspettiprocedurali e le inferenze che se ne possono trarre circa la registra-zione dei documenti in quel tempo, Rupprecht si è soffermato ad a-nalizzare le argomentazioni svolte dalle parti riguardo all’oggetto delcontendere, costituito dall’avvenuto acquisto di una terra pubblicada parte di un privato attraverso la complicità di Satabous, da cui eraconseguita la denuncia del fatto all’amministrazione, con l’obiettivoche venisse per ciò comminata una pena pubblica.

Bernard Legras (Parigi) ha parlato su La sanction du plagiat lit-téraire en droit grec et hellénistique. Sulla base di un passo del Dearchitectura di Vitruvio (VII, Praef. 4-7), in cui si narra di un concor-so letterario svoltosi ad Alessandria nel III-II secolo a.C. alla corte diTolomeo V Epifanio, conclusosi con la scoperta di plagi letterari e,

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previa actio furti, con la conseguente condanna ignominiosa dei col-pevoli, Legras si è domandato se i Greci, che sembrano considerareil plagio letterario nella categoria dei delitti, conoscessero e proteg-gessero quello che con termini moderni è chiamato diritto d’autore.Ma ha concluso che la volontà di rispettare l’autenticità delle opereletterarie per ragioni meramente filologiche e scientifiche sarebbe e-stranea alla storia giuridica dell’antichità greca: la proprietà letterariapertanto sarebbe stata tutelata solo in circostanze particolari, in cui ilplagio era interpretato come un attentato ai superiori interessi delloStato.

Bernhard Palme (Vienna) ha quindi discusso Form und Funktionder Gestellungsbürgschaften in den Papyri, fornendo un panoramasui documenti di promesse di garanzia, che l’Egitto ha finora ricon-segnato agli studiosi (circa 180 testi), per il lungo arco di tempo cheva dal primo Principato all’epoca araba. Fino al IV secolo, tali docu-menti appaiono correlati agli àmbiti liturgico e vadimoniale. Nei se-coli V-VII, invece, le garanzie risultano fornite da contadini a pro-prietari terrieri per altri contadini (garanzie per terzi). Di qui, la dot-trina maggioritaria aveva propeso per ritenere che tali documenti digaranzia più recenti fossero, quanto alla loro origine, strettamenteconnessi all’istituto del colonato. Palme, invece, ha osservato da unlato che alcune disposizioni di tali garanzie (come ad esempio ildivieto di asilo) non appaiono correlate con il colonato, e d’altro latoche vi sono chiare differenze nelle formulazioni di tali documenti daterritorio a territorio. Ha concluso che i documenti di garanzia dell’e-tà bizantina non sarebbero espressione autonoma di una presunta si-gnoria feudale, ma diretta derivazione di atti provenienti da una sfe-ra pseudo-liturgica, adottati dai proprietari terrieri nella loro qualitàdi organi statali, dopo il tramonto dell’amministrazione curiale.

Adam Lukaszewicz (Varsavia) ha svolto Quelques observationssur P. Eleph. DAIK 1. Si tratta di un papiro rinvenuto nell’isola Elefan-tina, al confine meridionale dell’Egitto, che sembra dare notizia diuna sentenza emessa dal tribunale dei crhmatista… a carico di dueindividui, un tale Musaio e un tale macedone, di nome Nicia, con-dannati ai lavori forzati (e„j t£ œrga). Datando alla fine del III sec.a.C. il papiro in esame (già datato da G. Wagner alla prima metà delIII sec., e da G. Nachtergael al III-II sec.), Lukaszewicz ha messo inevidenza l’importanza della datazione, al fine di collocare nel tempole funzioni del tribunale dei crhmatista…, collegio permanente di tre

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giudici, competente in materia di delitti contro lo Stato. A suo avviso,la condanna dei due individui menzionati si inserirebbe nel quadrodelle ribellioni interne all’Egitto alla fine del III secolo, domate dalsovrano Tolomeo V Epifanio.

Nel corso del dibattito (Rubinstein e Maffi) si è discusso dellecolpe che avrebbero portato alla condanna di Nicia, il secondo deidue individui menzionati nel papiro: egli avrebbe lasciato credered’essere il tutore di una donna, Biote, firmando per lei un contrattodi matrimonio, pur essendo ancora in vita il padre della stessa.

Sotto la presidenza di Léopold Migeotte, è infine iniziata l’ultimaseduta del convegno (Papirología, derecho helenístico y greco-roma-no), con una relazione di Joseph Mélèze Modrzejewski (Parigi), daltitolo L’invention de l’apostasie. Du droit ptolémaique au code Théo-dosien. Mélèze Modrzejewski ha affermato che la nozione di «aposta-sia» (rigetto totale della fede cristiana) accolta nell’attuale codice didiritto canonico, rappresenta l’ultimo stadio dell’evoluzione di un con-cetto che nel tempo ha assunto assai diversi significati. Egli ha quindiripercorso le tappe di questa evoluzione, partendo dalla monarchiaellenistica, in cui l’apostasia, eminentemente politica, corrispondeva alreato del tradimento (prodos…a) delle pÒleij greche dell’età classica.Ha quindi considerato l’esperienza del giudaismo alessandrino che hatrasferito tale nozione dal diritto penale all’àmbito religioso, e ha con-cluso analizzando l’apostasia in epoca romano-cristiana, quando, purlegata all’àmbito religoso, essa era considerata un crimen publicum.

Éva Jakab si è occupata di Bankurkunden aus der Antike. Muoven-do dall’interpretazione di Tab. Pomp. Sulp. 60 proposta da P. Groe-schler (secondo cui il documento rappresenterebbe una delegatiosolvendi, ossia l’ordine, dato da Titinia alla banca dei Sulpici, di ver-sare una somma di denaro a Euplia a titolo di mutuo), l’autrice, sullabase della prassi bancaria documentata dai papiri, ha osservato che:1) se si trattasse di un prestito, ci si aspetterebbe di vedere menzio-nati i termini per la restituzione e per gli interessi, ciò che non è; 2)il documento viene presentato da Groeschler come nomen arca-rium, dunque come estratto dal libro dei conti della creditrice: nonsi spiega tuttavia perché esso si trovasse nell’archivio dei Sulpici; 3)se si tratta di un documento bancario, deve essere un documentointerno, dato che la banca non è menzionata. In conclusione, il do-cumento non permetterebbe di dire come si configurasse il rapportotra Titinia ed Euplia.

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Nel penultimo intervento, Michele Faraguna (Trieste) ha affronta-to l’argomento de Gli archivi nel mondo greco: il caso delle registra-zioni fondiarie. Dopo aver considerato che le fonti ateniesi, pur con-tenendo riferimenti al caso di immobili la cui titolarità era discussa,sono parche di informazioni circa le modalità concrete per dimostra-re la legittimità di un titolo immobiliare, egli ha ipotizzato che il con-trollo della collettività sulle proprietà immobiliari individuali avvenisseper mezzo di registrazioni scritte e di archivi fondiari. A sostegnodella sua ipotesi, Faraguna ha ricordato da una parte la presenza dimagistrati, definiti «necessari» da Aristotele nella Politica, incaricati diregistrare i contratti privati; dall’altra, l’esistenza di una particolare ti-pologia di archivi, i registri delle vendite.

Infine, Pietro Cobetto Ghiggia (Torino) ha gettato uno sguardod’insieme sulle Fonti sull’«eythydikia», definita come «procedura sullaquestione di merito». Premettendo che i passi di Iseo e di Demoste-ne, i soli autori di età classica che menzionano l’istituto, non consen-tono di raggiungere conoscenze soddisfacenti circa la sua precisanatura, Cobetto Ghiggia ha di conseguenza rivolto la sua attenzionealle fonti retoriche di età tarda, passando in rassegna tutte le occor-renze di eÙqudik…a in Ermogene di Tarso, in Apsine, in Sopatro, in Li-banio, in Siriano e in Marcellino.

Come questa rapida rassegna dimostra, l’incontro di studiosi dal-la formazione talora assai distante, epigrafisti e papirologi, giuristi elinguisti, storici e filologi, ha costituito un positivo scambio di espe-rienze, arricchito da un’animata discussione, della quale purtropponon è stato qui possibile rendere conto in misura più ampia, comeavrebbe meritato.

Concluse le relazioni, Mélèze Modrzejewski e Thür rivolgevanoai partecipanti un saluto di commiato, mentre Gagarin annunciava illuogo prescelto per il prossimo colloquio: la Northwestern Universitydi Chicago.